Contract
Prestazioni – Assegno sociale – Requisiti reddituali – Domanda del coniuge separato – Rinuncia all’assegno mantenimento in cambio casa coniugale di categoria lusso – Rilevanza reddituale.
Tribunale di Torino – 17.11.2017 n. 1709 - Dr.ssa Pastore - C.A. (Avv.ti Favali e Marzocchella) – INPS (Avv. Borla).
Ai fini dell’accesso all’assegno sociale, trattandosi di prestazione a carico della collettività, nel requisito reddituale vanno valutati anche i redditi di qualunque natura intesi in senso ampio, per cui non si può riconoscere una prestazione assistenziale in presenza di entrate patrimoniali attuali o anche solo concretamente possibili.
FATTO - Con ricorso depositato il 22 giugno 2016 A.C. ha convenuto in giudizio l'I.N.P.S. a seguito della reiezione della domanda di assegno sociale presentata in data 12 gennaio 2016 e chiedendo la condanna dell'ente al pagamento di tale prestazione.
Si è costituita in giudizio la parte convenuta la quale ha chiesto al tribunale di respingere la domanda, non ritenendo provato che la ricorrente versi in uno stato di bisogno tale da giustificare la prestazione richiesta, tenuto conto dell'immobile di pregio di cui ella risulta esser proprietaria.
Sentita liberamente la ricorrente, acquisita documentazione, sentiti sei testimoni, la causa è stata discussa dalle parti all'udienza del 19 settembre 2017 e decisa come da dispositivo trascritto in calce.
DIRITTO – 1. La domanda della ricorrente è stata respinta con provvedimento del 22 gennaio 2016 sulla base delle seguenti motivazione. "la S. V. in fase di procedura di separazione consensuale ha dichiarato al giudice <<i coniugi dichiarano di nulla avere a che pretendere l'una nei confronti dell'altra rinunziando in tal modo a chiedersi assegni di mantenimento>>. Perciò la sua situazione di bisogno è conseguente ad un atto volontario di rinuncia alla percezione di reddito, per cui la prestazione assistenziale dell'assegno sociale non potrebbe essere riconosciuta (doc. 2 ric)".
Avverso tale reiezione la ricorrente ha presentato ricorso amministrativo, segnalando di non aver rinunciato ad alcuna pretesa economica nei confronti del coniuge (doc. 3 e 4 ric). Con provvedimento del 23 marzo 2016 l'I.N.P.S. ha respinto il ricorso sulla base della seguente, ulteriore motivazione: "La stessa risiede in una casa di abitazione con il valore catastale pari ad euro 2034,00 denota una situazione di autosufficienza economica e non bisognosa di una prestazione assistenziale" (doc. 5 ricorrente).
La ricorrente contesta le motivazioni poste a fondamento della reiezione della sua domanda, allegando
- di aver ricevuto dal marito, in sede di separazione coniugale, quale forma di mantenimento una tantum, la quota del 50% di proprietà dell'immobile sito in Pino Torinese, ottenendone così la piena proprietà;
- di vivere da sola nel suddetto immobile dopo il trasferimento dell'ex marito a Parma;
- di non essere titolare di alcun reddito e di vivere grazie all'aiuto e al sostegno economico saltuariamente prestato da amici e parenti,
- di non riuscire a far fronte al pagamento delle rate del mutuo ipotecario gravante sull'immobile, tanto da essere costretta a chiedere la sospensione dei pagamenti;
-di aver messo in vendita l'immobile e di aver da ultimo ridotto ulteriormente il prezzo, senza ricevere alcuna proposta di acquisto.
La ricorrente, ritenendo di aver dimostrato di non percepire redditi diversi da quello della casa di abitazione, chiede dunque che l'ente sia condannato al pagamento della prestazione. La domanda, tenuto conto anche degli esiti della cospicua istruttoria esperita, ad avviso di questo giudice non appare meritevole di accoglimento.
2. L'assegno sociale trova la sua disciplina normativa nell'art. 3, comma 6, della L. n. 335/1995, che dispone che "con effetto dal 1° gennaio 1996, in luogo della pensione sociale e delle relative maggiorazioni, ai cittadini italiani, residenti in Italia, che abbiano compiuto 65 anni e si trovino nelle condizioni reddituali di cui al presente comma è corrisposto un assegno di base non reversibile fino ad un ammontare annuo netto da imposta pari, per il 1996, a lire 6.240.000, denominato assegno sociale. Se il soggetto possiede redditi propri l'assegno è attribuito in misura ridotta fino a concorrenza dell'importo predetto, se non coniugato, ovvero fino al doppio del predetto importo, se coniugato, ivi computando il reddito del coniuge comprensivo dell'eventuale assegno sociale di cui medesimo sia titolare. I successivi incrementi di reddito oltre il limite massimo danno luogo alla sospensione dell'assegno sociale. Il reddito è costituito dall'ammontare dei redditi coniugali, conseguibili nell'anno solare di riferimento. L'assegno erogato con carattere di provvisorietà sulla base della dichiarazione rilasciata dal richiedente è conguagliato, entro il mese di luglio dell'anno successivo, sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti. Alla formazione del reddito concorrono i redditi, al netto dell'imposizione fiscale e contributiva, di qualsiasi natura, ivi compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, nonché gli assegni alimentari corrisposti a norma del codice civile. Non si computano nel reddito i trattamenti di fine rapporto comunque denominati, le anticipazioni sui trattamenti stessi, le competenze arretrate soggette a tassazione separata, nonché il proprio assegno e il reddito della casa di abitazione. Agli effetti del conferimento dell'assegno non concorre a formare reddito la pensione liquidata secondo il sistema contributivo ai sensi dell'articolo 1, comma 6, a carico di gestioni ed enti previdenziali pubblici e privati che gestiscono forme pensionistiche obbligatorie in misura corrispondente ad un terzo della pensione medesima e comunque non oltre un terzo dell'assegno sociale".
3. E' pacifico in causa che la ricorrente (nata il 1° ottobre 1950) si è separata dal marito
A.C.F. il 22 giugno 2015, tre mesi prima del compimento del 65° anno di età (v. doc. 4 e 5 ric), e che ella a seguito della separazione è divenuta proprietaria di un immobile sito in Pino Torinese. Con riferimento a tale ultima circostanza va rilevato che la ricorrente possiede, come accertato in sede di istruttoria, non una semplice casa di abitazione, ma un'intera porzione di una grande villa bifamiliare, di recente costruzione, su quattro piani, con un giardino privato di circa 500 m quadri (l'abitazione, come riferito dall'agente immobiliare G. all'udienza del 7 febbraio 2017 è così composta: una cucina, un bagno ed un soggiorno al pianterreno; due camere da letto, due bagni ed una cabina armadio al primo piano; un grosso bagno un locale sgombero ed una cabina armadio all'ultimo piano: una tavernetta, una sala hobby ed una lavanderia al piano interrato al secondo piano; si veda anche la fotografia prodotta dal teste N. alla stessa udienza).
La ricorrenza delle due suddette condizioni (l'avvenuta separazione coniugale a ridosso del compimento dell'età prevista per l'erogazione dell'assegno sociale e la proprietà esclusiva di una villa signorile con un grande giardino nel più ricco comune piemontese) impone una valutazione rigorosa dei presupposti per ottenere la prestazione dedotta in giudizio, prestazione che grava
totalmente a carico della collettività (in quanto corrisposta anche a chi non ha mai versato alcun contributo previdenziale) ed ha natura sussidiaria (potendo essere riconosciuta solo ove effettivamente manchino altre concrete e possibili fonti di reddito). Tanto premesso, si osservare che in sede di separazione la ricorrente - la quale nel corso dell'interrogatorio libero del 20 dicembre 2016 ha dichiarato di non aver mai lavorato dal 1992 o 93 in poi - ha dato atto di non essere economicamente autosufficiente; ella ha tuttavia accettato il trasferimento in proprietà della quota del 50% del suddetto immobile, gravato da un mutuo per l'importo residuo di euro 125.000 (per il quale doveva essere pagata una rata mensile di euro 1140), senza chiedere altro al suo ex marito.
Avendo rinunciato ad una forma di mantenimento periodica, la ricorrente - che ha dedotto di non godere di altri redditi - era evidentemente consapevole di poter far fronte alle proprie esigenze di vita unicamente attraverso il trasferimento in proprietà della metà della casa di abitazione ed anche di poter provvedere alle spese relative a tale immobile (mutuo, tasse, utenze), dato che altrimenti non avrebbe optato per tale soluzione.
Non è credibile che, come riferito in sede di interrogatorio libero, ella intendesse provvedere al proprio mantenimento mettendo in vendita la casa ed estinguendo il mutuo, in quanto risulta che il mandato conferito all'agenzia immobiliare per la vendita della villa è stato conferito solamente in data 29 gennaio 2016 (v. doc. 16 ric), dunque oltre sei mesi dopo la sentenza di separazione, circostanza, questa, che dimostra come la C. avesse evidentemente altre risorse per far fronte al proprio mantenimento ed alle spese che gravano sulla casa di abitazione, ancorché già in data 12 gennaio 2016 avesse richiesto l'assegno di mantenimento. Nel senso della disponibilità di altre risorse depongono inoltre i versamenti in contanti effettuati sul conto corrente della ricorrente (ancora intestato anche al suo ex marito: si vedano gli estratti conto prodotti in atti), posto che sua figlia le accredita saltuariamente delle somme a mezzo bonifico bancario e che la teste V., amica della C., ha riferito di aiutare economicamente quest'ultima in modo saltuario, facendole la spesa o dandole dei soldi "quando scadono delle bollette", e non ha fatto cenno alcuno a versamenti in banca di importi non modesti (anche diverse centinaia di euro). Nello stesso senso depone anche il bonifico di euro 210,00 effettuato sul conto cointestato agli ex coniugi il 27/6/2016 a mezzo giro conto ad opera dell'ex marito della C., A.C.F. (a tale proposito si deve osservare che in sede di interrogatorio libero la ricorrente aveva invece lasciato intendere di non avere più rapporti con il marito, tanto da non sapere neppure dove questi abitasse: cfr. verbale udienza 20 dicembre 2016; in sede istruttoria è poi emerso che il sig. F., ancorché abbia formalmente trasferito la propria residenza a Parma, ha chiesto l'accredito della propria pensione presso un istituto bancario di Torino, dichiarandosi coniugato: si veda la documentazione prodotta in data 5.5.2017).
Neppure la documentazione prodotta in giudizio è di per sé idonea a smentire la suddetta conclusione, posto che i solleciti di pagamento prodotti in atti (inviati dai gestori di gas e elettricità) si riferiscono a debiti maturati tutti in epoca successiva alla presentazione della domanda amministrativa (cfr. doc. 12 e missive prodotte nel corso del giudizio, dalle quali si evince peraltro come l'utenza del gas sia ancora intestata al marito della C.), fatta eccezione per tre rate di muto relative al periodo marzo-giugno 2015 (doc. 14 ric).
4. Si deve poi osservare che nulla impediva alla ricorrente di richiedere al momento della separazione un assegno mensile a carico del marito e poi, una volta venduta la villa di Xxxx Xxxxxxxx, di optare per un conferimento una tantum in sede di divorzio, tanto più ove si consideri che, come dimostrato dall'I.N.P.S., al momento della separazione il sig. F. versava in condizioni economiche che certamente non potevano definirsi precarie ed era inoltre prossimo al pensionamento, dunque ben poteva farsi carico di un assegno di mantenimento mensile (dai documenti versati in atti risultano infatti consistenti fatturati nell'impresa commerciale esercitata dal signor X. negli anni 2011, 2012, 2014, con un volume d'affari di euro 271.108 per il 2011, euro
141.495 nel 2012, euro 34.061 nel 2014; risulta inoltre che il predetto ha venduto la propria azienda meno di un anno prima della separazione, al prezzo di euro 95.000, nonché delle obbligazioni al
prezzo di euro 5000, per poi ottenere la pensione, subito dopo la separazione, per un importo totale di euro 14.500 annui: cfr. deposizione N.).
Ciò che comunque appare dirimente per la reiezione della domanda della ricorrente è che nulla impediva ed impedisce tutt'ora a costei di chiedere la modifica delle condizioni di separazione in considerazione del suo asserito, sopravvenuto stato di bisogno: l'obbligo di assistenza materiale nascente dal matrimonio (ex art. 143 c.c.) non si estingue infatti con la separazione ed il procedimento di cui all'art. 710 c.p.c. può esser attivato per modificare non solo i provvedimenti adottati nella separazione giudiziale ma anche gli accordi raggiunti con la separazione consensuale, quindi ben poteva e può essere utilizzato dalla C. al fine di chiedere ex novo l'assegno di mantenimento, previa modifica delle originarie pattuizioni. Deve dunque ritenersi che anche per tale concorrente ragione la domanda non possa trovare accoglimento: il cittadino che versi in stato di bisogno, prima di rivolgersi alla solidarietà generale, è tenuto a richiedere il sostegno del proprio coniuge, in adempimento degli specifici obblighi che gravano su quest'ultimo e che permangono dopo la separazione (ed anche dopo la morte del coniuge, attraverso l'istituto della pensione di reversibilità). Solo in caso di accertata incapienza dell'obbligato, desumibile da infruttuosi tentativi di far valere il proprio diritto da parte dell'altro coniuge, può richiedersi l'intervento della collettività.
5. Infine, si deve osservare che il fatto che l'immobile posseduto dalla ricorrente abbia un valore ingente (è stato originariamente messo in vendita ad euro 595.000, prezzo poi ribassato ad euro 500.000, a fronte di una valutazione effettuata dall'agente immobiliare tra 480.000 e 520.000) consente di ritenere che la C., una volta venduto tale bene ad un prezzo adeguato all'attuale valore di mercato, estinto il residuo mutuo di euro 125.000 ed acquistata una casa più confacente alle sue esigenze, possa comunque godere di risorse sufficienti a garantirle un'esistenza libera e dignitosa: non può dunque ravvisarsi l'effettivo stato di bisogno che costituisce il presupposto del prestazione richiesta in giudizio.
Come più volte efficacemente osservato dalla locale Corte d'Appello, "la nozione di reddito a cui il legislatore ha fatto riferimento è notevolmente più ampia di quella del linguaggio corrente (secondo cui costituisce reddito soltanto il corrispettivo ricevuto per lo svolgimento di una determinata attività o per la prestazione di un servizio): se così non fosse, si dovrebbero ritenere escluse dal concetto di reddito tutte le prestazioni a carattere pensionistico o assistenziale, che sono invece sicuramente rilevanti ai fini dell'applicazione della norma citata, come è del resto confermato dal fatto che il legislatore ha sentito la necessità di escludere espressamente le pensioni, nella misura di un terzo. L'ampia formula usata dal legislatore ("redditi di qualsiasi natura"), e anche la non coincidenza con la nozione di reddito fiscale (dimostrata dal fatto che l'art. 3 comprende espressamente anche i redditi esenti da imposte) porta a ritenere che l'assegno sociale sia una prestazione assistenziale attribuibile solo a favore di soggetti che versano in effettivo stato di bisogno e, pertanto, che lo stesso non possa riconoscersi in presenza di entrate patrimoniali, attuali o concretamente possibili (fatta solo eccezione per le entrate espressamente escluse), che portino a ritenere insussistente una effettiva situazione di bisogno" (così, tra le altre, sentenza 29.10.2015 RGL 143 /2015). Il termine "redditi", utilizzato dall'art.3 cit., può essere inteso in senso stretto e cioè come riferito esclusivamente alle entrate conseguite in un determinato periodo, oppure in senso ampio ed estensivo, in modo da ricomprendervi tutti gli elementi patrimoniali indicativi delle condizioni economiche di chi richiede l'assegno sociale: ad avviso di questo giudice, solo quest'ultima soluzione appare corretta, in quanto coerente con la finalità dell'istituto, volto a far fronte ai bisogni essenziali di vita di chi si trovi involontariamente in uno stato di disagio economico, e dunque per sua natura incompatibile con la titolarità di un patrimonio tale a consentire alla persona di procurarsi da sé i necessari mezzi di sostentamento. La tesi contraria condurrebbe al risultato paradossale di consentire l'erogazione dell'assegno, ad esempio, anche in favore di chi fosse titolare di un compendio immobiliare ancor più prestigioso di quello della ricorrente (un castello, o un resort di lusso) o di rilevanti somme di denaro depositate in banca o di ingenti
partecipazioni societarie (che non possono di per sé definirsi redditi), ponendo la norma in esame in netto contrasto con l'art. 38 Cost. (di cui costituisce attuazione), secondo cui ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale solamente il cittadino "inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere".
6. Per tutte le ragioni dianzi esposte la domanda non appare meritevole di accoglimento. Il contrasto giurisprudenziale sussistente sulla questione da ultimo esaminata consente la compensazione delle spese di lite tra le parti.
(Omissis)