UTILIZZO E DIFFUSIONE DELLO SMART WORKING NEL TERZIARIO
Ente Bilaterale Nazionale Terziario
STRUMENTI E ANALISI PER LA CONTRATTAZIONE:
UTILIZZO E DIFFUSIONE DELLO SMART WORKING NEL TERZIARIO
a cura di
Xxxxxxxxx Xxxxxxx
Ente Bilaterale Nazionale Terziario
STRUMENTI E ANALISI PER LA CONTRATTAZIONE: UTILIZZO E DIFFUSIONE DELLO SMART WORKING NEL TERZIARIO
ENTE BILATERALE NAZIONALE TERZIARIO
Via Xxxxx e Xxxxxxxxxxx, 45 ‐ 00147 Roma ‐ Tel. 06/00000000 ‐ Fax 06/00000000
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Nel 2007 nasce, quale diramazione organizzativa del Xx.Xx. Centro Multiservizi, il Centro studi sociali per il terziario, turismo e servizi Filcams CGIL, al fine di promuovere e coordinare studi e ricerche in campo sociale e del lavoro e sulle tematiche previdenziali, assistenziali e assicurative.
L’azione e l’organizzazione del Centro studi ruotano attorno a una serie di ambiziosi progetti, che puntano alla promozione, all’attuazione e al coordi- namento di attività di studio e ricerca nei settori sindacale e del lavoro, della previdenza e della sicurezza sociale, del welfare contrattuale e della re- sponsabilità sociale delle imprese.
Si tratta di progetti di ampio respiro e di grande spessore culturale, sempre con un occhio di riguardo agli scenari, alle tematiche, all’evoluzione e alle innovazioni che, sia a livello nazionale sia internazionale, caratterizzano i comparti del terziario, del turismo e dei servizi.
Particolarmente importante è il lavoro realizzato dal Centro studi per l’Osservatorio sul terziario di mercato, progetto avviato nel 2011 in collaborazione con alcuni tra i maggiori esperti nel settore e condotto continua-tivamente, seppur con tempistiche e uscite differenti. I dati dell’Osservatorio offrono un insieme articolato e puntuale di informazioni di carattere tecnico, indispensabili elementi di conoscenza nel confronto negoziale tra le parti sociali e nella difesa delle condizioni e dei diritti dei lavoratori.
Il Centro studi cura la raccolta, conservazione e catalogazione, in un apposito archivio storico informatico, di pubblicazioni e materiale documentario relativo all’attività sindacale e alle tematiche del lavoro.
Per il conseguimento e nell’ambito di tali finalità il Centro studi si mette in relazione con organismi universi-tari e altri enti e gruppi di ricerca, e si avvale della consulenza di ricercatori, studiosi ed esperti nel campo delle problematiche individuate. Si occupa inoltre di promuovere e stimolare forme di incontro, scambio, comunicazione e confronto, nonché di divulgazione e di collaborazione scientifica interdisciplinare, anche attraverso l’organizzazione di convegni, seminari e ogni altra iniziativa volta a valorizzare, approfondire e diffondere il materiale culturale e informativo prodotto.
Il Centro Multiservizi Xx.Xx. svolge la propria attività nel settore editoriale, della ricerca, della formazione e informazione, della promozione del sistema bilaterale.
In relazione a un’area così vasta e complessa, l’offerta di Xx.Xx. si concretizza in una serie di servizi che rispondono a specifiche esigenze e si svi- luppano su più versanti:
⏹ pubblicazione di studi, ricerche, materiale informativo e volumi di pregio ad alto valore culturale, propri e di terzi, anche di carattere digitale, relativi alla sfera sociale e lavorativa;
⏹ impostazione e allestimento di campagne informative e servizi promozionali connessi alla sua attività;
⏹ gestione di siti internet dedicati al settore del terziario e al suo sistema bilaterale, attraverso la redazio-ne di contenuti, notizie, approfondimenti e di una Newsletter periodica che rappresentano un efficace strumento di promozione e conoscenza per aziende, lavoratori, professionisti del settore;
⏹ formazione professionale e sindacale;
⏹ organizzazione di seminari, congressi, convegni e incontri tematici;
⏹ attuazione di capillari campagne informative sulle tematiche previdenziali, assistenziali e assicurative e costruzione, sul territorio, di un servizio di rete al fine di far conoscere a lavoratrici e lavoratori le modalità per usufruire delle prestazioni e dei rimborsi;
⏹ in stretto e costante collegamento con l’Ufficio Stampa Filcams CGIL, Xx.Xx. infine è di supporto a Filcams nella fornitura di servizi connessi all’attività di ufficio stampa e videoconferenza.
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Ente Bilaterale Nazionale Terziario
Strumenti e analisi per la contrattazione: utilizzo e diffusione dello smart working nel terziario
A cura di
Xxxxxxxxx Xxxxxxx
Settembre 2021
Stampa
Tipografia X.X.X. X.x.x. Xxx xx Xxxxxx, 000/X 00000 Xxxx
Finito di stampare nel mese di novembre 2021
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Sommario
SOMMARIO P
Introduzione di Xxxxxxxxx Xxxxxxx
Lo scenario di riferimento Cos’è lo smart working
I dati dello smart working pre Covid-19
L’effetto della pandemia sui dati dello smart working Quale futuro per lo smart working?
1. Il lavoro agile: forme organizzative, condizioni di lavoro e azione sindacale di Xxxxxxx Xx Xxxxxx
Introduzione
1.1. La flessibilità spazio-temporale: un concetto in evoluzione 20
1.2. Flessibilità spazio-temporale: forme organizzative, partecipazione e rappresentanza 26
1.3. Conclusioni: oltre lo spazio-tempo, l’azione sindacale tra tutele di ordine generale, specificità contestuali
e individualizzazione 33
2. Profili normativi del lavoro agile di Xxxxx Xxxxxxxx 39
3. Lo smart working nella contrattazione di secondo livello
della Filcams di Beppe De Sario 53
3.1. Alcuni dati quantitativi: lo smart working 2015-2019 56
3.2. Caratteristiche dello smart working negli accordi aziendali
del perimetro Filcams 57
Sommario
4. Xxxxx working e pandemia: un focus sui luoghi di lavoro
di Xxxxxxxxx Xxxxxxx 63
4.1. Caratteristiche dell’indagine: metodologia e ambiti di analisi 65
4.2. La diffusione e l’utilizzo dello smart working 68
4.3. L’evoluzione nella percezione dello smart working 70
4.4. L’agire sindacale durante lo smart working:
difficoltà, complessità e pratiche aziendali 80
4.5. Conclusioni: riflessioni e spunti per la contrattazione 84
Riferimenti bibliografici 91
2
Capitolo 1 Il campione intervistato: caratteristiche
Introduzione
Introduzione
di Xxxxxxxxx Xxxxxxx
Lo scenario di riferimento
5
Le misure di contenimento della diffusione del virus Covid-19 hanno spinto il mondo, ed in particolare l’Europa e l’Italia, a conoscere più da vicino modalità di lavoro ancora poco diffuse, come ad esempio lo smart working, in conseguenza dello stato di necessità che ha costretto a ricercare tempi e modi di vita e di lavoro che garantissero adeguate tutele della salute e, nel contempo, la prosecuzione per quanto possi- bile delle abitudini e delle iniziative di ciascuno.
La pandemia Covid-19, ha infatti spinto in particolare le imprese a studiare ed adottare soluzioni alternative per poter proseguire le attività di produzione di beni e servizi pur con il necessario distanziamento fi- sico imposto dalle norme sanitarie, facendo peraltro fronte anche a evi- denti cali di domanda e fatturato, come testimoniato dalle risultanze ISTAT del giugno e dicembre 2020. Tale circostanza, peraltro, ha visto pienamente coinvolta la pubblica amministrazione, che, seppure con modalità differenti, ha comunque accelerato la sperimentazione di for- me di lavoro alternative a quelle precedentemente adottate.
CIG, riduzione della produzione, investimenti in innovazioni tecnolo- giche, telelavoro, smart working, sono state così oggetto di utilizzo dif-
ferenziato da parte dei soggetti della produzione e dell’amministrazione, al fine di ottenere il mix operativo ottimale per ciascuno in questo sce- nario emergenziale.
In realtà, per lo più, non si tratta di forme e modi completamente nuo- vi e sconosciuti in Europa; Sta di fatto, però, che l’emergenza pande- mica ha costretto tutti – al pari di quanto avvenuto, ad esempio, con l’innovazione tecnologica – ad una brusca accelerazione di processi di implementazione di forme flessibili di lavoro.
Il presente Rapporto – realizzato dalla Fondazione di Xxxxxxxx per con- to ed in collaborazione con la Filcams nazionale –, all’interno di uno scenario così sinteticamente descritto, si pone l’obiettivo di indagare, attraverso diverse attività di ricerca, il fenomeno dello smart working nel settore del terziario, al fine di mettere in luce la sua interpretazione e diffusione nel comparto durante la pandemia Covid-19, nonché le po- tenzialità e problematiche emerse nell’ambito di detta applicazione. Se, infatti, per il settore della pubblica amministrazione tale fenomeno è ri- sultato oggetto di normativa specifiche da parte del legislatore (i nu- merosi DPCM succedutisi nel corso dell’anno 2020), nel settore privato
l’estrema diffusione dello smart working non è stata accompagnata da
6 un progressivo e parallelo impianto regolamentare e normativo, lascian- do prevalentemente ai datori di lavoro la scelta di tempi e modalità per far utilizzare lo strumento dello smart working ai propri lavoratori, e an- dando così anche ben oltre gli accordi individuali alla base della scelta del lavoratore circa l’utilizzo o meno di questa forma di lavoro flessibi- le.
Un’altra motivazione alla base del presente studio è quella che lo smart working, a differenza di altri modi di lavoro flessibile, non ha alle spalle una disciplina normativa strutturata e consolidata, rendendosi così necessario un approfondimento ed uno studio sul fenomeno, per garantirne una sempre più corretta applicazione nella massima tutela dei diritti dei lavoratori coinvolti.
Cos’è lo smart working
Ma di cosa si tratta nello specifico quando si parla di smart working?
E quanti sono i lavoratori e le imprese che lo utilizzano?
In primo luogo va detto che lo smart working non è solo come molti
ritengono «lavorare da casa», soprattutto in questa fase in cui limitare le relazioni fisiche interpersonali appare una misura epidemiologica im- portante. «Lo smart working è proprio un nuovo approccio al lavoro», come spiega l’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Mi- lano. Ma in questo ultimo anno l’espressione è stata usata spesso per indicare semplicemente chi lavora senza recarsi nella sede di lavoro abituale.
Da questo punto di vista lo smart working si differenzia ad esempio dal telelavoro, che è invece una forma di lavoro prevista dall’ordina- mento italiano e che «implica una modificazione proprio del contratto di lavoro». Si indica quale sia la sede lavorativa del dipendente e questa deve essere in regola con le norme igieniche ed ergonomiche per ga- rantire la salute del lavoratore. Quindi, anche a casa, chi fa del telelavoro dovrà, per esempio, avere una sedia adeguata, una corretta illumina- zione naturale ed artificiale: non basta la scrivania messa nell’angolo del soggiorno.
Lo smart working, ancorché introdotto con la previsione normativa
n. 81/2017, è proprio una filosofia manageriale diversa, che non neces- sariamente prevede di lavorare da casa. Si cambia proprio l’idea: il la-
voro non è per forza un numero di ore passate di fronte a un computer 7
o in una fabbrica o sede aziendale, ma il raggiungimento di determinati obiettivi. Si lavora per progetti e, nel migliore dei casi, si instaura un rapporto di fiducia dato dal fatto che il lavoratore ha più autonomia, maggiore responsabilità e può mettere a frutto le proprie abilità in modo più creativo. E che si accompagna, molto spesso, a una flessibilità che rende appetibile non doversi necessariamente recare a orari fissi in uf- ficio o sul luogo di lavoro. Ciò in quanto, a prima vista, questa atipica forma di flessibilità lavorativa può essere astrattamente immaginata an- che all’interno di realtà operaie, in cui filiere produttive potrebbero se- condo alcuni addirittura essere autogestite dagli operai in quanto anche questo potrebbe essere smart working, e non solo stare al computer nella propria casa.
In realtà, anche alla luce degli approfondimenti sviluppati all’interno di questa ricerca, la realtà appare molto più complessa ed articolata e dietro l’utilizzo massiccio dello smart working si cela una moltitudine di prassi e pratiche deregolamentate che vanno dalla semplice delega di attività da svolgere nella propria abitazione, con oneri di attrezzatura e
di servizi di connessione a totale carico del lavoratore, a forme di fles- sibilità aziendali che vedono coinvolti i lavoratori in turni o possibilità di scelta oraria talvolta destrutturati e talvolta organizzati, fino a giungere a casi di grandi imprese in cui l’utilizzo dello smart working sta dando luogo addirittura a ripensamento e ristrutturazione persino dei luoghi e degli spazi di lavoro.
E, va detto sin da subito, all’interno di questo confuso ma diffuso nuovo processo di lavoro flessibile, i lavoratori vengono coinvolti in mo- do differenziato, poco tutelato, sovente costretti ad accogliere le con- dizioni imposte dalle aziende senza alcuna possibilità di scelta e, come detto, addirittura dovendone sostenere i relativi costi personali (acqui- sto del computer, connessione di rete, stampante, sedia ergonomica, ecc.).
I dati dello smart working pre Covid-19
Per cercare di capire meglio il fenomeno può essere utile prendere le mosse da alcuni dati e cercare di capire anche l’entità della diffusione
8 del fenomeno smart working in epoca Covid-19.
EUROSTAT, l’istituto statistico europeo, nel febbraio del 2020 aveva pubblicato i dati che riguardavano i cosiddetti «lavoratori da casa» dei paesi dell’Unione Europea; si trattava, quindi, di una definizione più am- pia e meno precisa dello smart working, ma può essere di ausilio per capire le dimensioni del fenomeno già un anno addietro.
L’Olanda risultava il paese con più lavoratori dipendenti che regolar- mente lavoravano da casa, seguita da Finlandia e Lussemburgo, tutti paesi del nord dunque ed economicamente molto avanzati. L’Italia si collocava in fondo alla classifica, con solo il 3,6% dei lavoratori dipen- denti coinvolti in questa modalità lavorativa. Ed il quadro non era molto differente neanche considerando solamente i dipendenti che lo prati- cavano qualche volta (per l’Italia, la percentuale scendeva all’1,2%). Dai dati risultava quindi evidente come per il nostro Paese vi fosse una net- ta predominanza di abitudine a considerare la presenza fisica elemento essenziale della prestazione lavorativa.
Peraltro, i dati restituivano anche una immagine piuttosto statica nel tempo del fenomeno, in generale, non solo in Italia, ma anche ad esem- pio in Germania e Regno Unito; ed anche in paesi come i Paesi Bassi
l’incremento negli ultimi dieci anni c’era si stato, ma solo dall’11 al 14% dei lavoratori dipendenti totali coinvolti.
Restringendo il campo al solo smart working propriamente detto e alla sola Italia, dalle stime dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, i lavoratori che «godono di flessibilità e autonomia nella scelta dell’orario e del luogo di lavoro» grazie agli strumenti digitali erano risultati nel- l’anno 2019 570.000, registrando una crescita del 20% circa rispetto al medesimo dato dell’anno precedente.
Protagoniste di questa già significativa crescita nell’utilizzo dello smart working in Italia risultavano soprattutto le grandi imprese che, nel 58% dei casi campionati, avevano già in campo iniziative strutturate in questo ambito.
Grafico 1 - La diffusione dello smart working in Italia nelle grandi imprese (val. %)
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gog cogosce il fegomego
Diverso si presentava, chiaramente, il quadro relativo alle PMI ed alla pubblica amministrazione.
Per le prime, infatti, gli ostacoli derivanti dalla piccola dimensione di impresa, dalla necessità di investire in tecnologia e formazione, risulta- vano certamente incidenti sulla diffusione del fenomeno: solo il 12%
delle imprese considerate con l’Osservatorio risultava avere in corso iniziative strutturate.
Grafico 2 - La diffusione dello smart working in Italia nelle PMI (val. %)
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gog cogosce il fegomego
Per la pubblica amministrazione, parimenti, la percentuale di soggetti con iniziative strutturate in corso appariva comunque esigua (16% nel 2019) e ad ogni modo va evidenziato che, nonostante le difficoltà, nel 2019 le iniziative di smart working nella pubblica amministrazione risul- xxxxxx raddoppiate rispetto all’anno precedente.
Grafico 3 - La diffusione dello smart working in Italia nella PA (val. %)
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2018
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gog cogosce il fegomego
Andando ad approfondire, tra le grandi imprese (cioè i maggiori uti- lizzatori), il livello di soddisfazione dei lavoratori per le forme di smart working sperimentate, emergono aspetti significativi legati all’esperien- za individuale, quali ad esempio la miglior conciliazione dei ritmi di vita e lavorativi, una maggiore motivazione e soddisfazione personale e la- vorativa, un incremento nella responsabilizzazione e nei rapporti di fi- ducia ai vari livelli gerarchici. Insomma, lavorare a progetto con maggiore soddisfazione, quando sperimentato in grandi contesti orga- nizzati, appare per i lavoratori fonte di soddisfazione.
Non mancavano, ovviamente, anche dei punti critici nell’adottare lo smart working. Circa un terzo dei lavoratori, per esempio, lamentavano una percezione di isolamento, mentre la tecnologia può rappresentare una barriera per l’11%. Ma c’è anche di più: c’è anche il rischio di es- sere responsabilizzati a tal punto da lavorare troppo in smart working, ben oltre quelle che dovrebbero essere le ore previste da una gestione
normale del lavoro. Anche per questi motivi, è necessaria un’azione di sensibilizzazione e strutturazione sindacale che permettano di passare a una nuova organizzazione più difficile senza molte delle difficoltà ri- scontrate.
L’effetto della pandemia sui dati dello smart working
Con l’esplosione nell’ultimo anno della pandemia Covid-19, smart working e telelavoro hanno, come detto, trovato una stagione di rile- vante rilancio ed accelerazione: in pochi mesi si è passati da circa
200.000 lavoratori impegnati stabilmente in questo modo a più di
8.000.000 potenziali, con un incremento rilevato dall’ISTAT di 40 volte tra il 2019 ed il 2020, a riprova di quanto ciò che prima dell’epidemia era una sperimentazione di flessibilità sia divenuta, con l’emergenza e la conseguente necessità di distanziamento fisico tra gli individui, una modalità quasi «normale» di svolgere le proprie mansioni lavorative.
In altri termini, secondo l’ISTAT, le misure adottate dal Governo per contrastare la diffusione pandemica hanno di fatto ampliato a dismisura
12 la platea di potenziali smart worker «non casuali», che vengono stimati
in circa 8,2 milioni: il ricorso al lavoro agile durante l’emergenza non è stato determinante solo per tutelare i livelli occupazionali, ma è stato anche funzionale al decongestionamento del sistema della mobilità e dei trasporti, soprattutto nelle città, a vantaggio persino della riduzione dei livelli di inquinamento.
Più in dettaglio, secondo i rapporti dell’ISTAT prodotti a giugno e di- cembre del 2020 (Rapporto ISTAT sulla situazione e le prospettive del Paese), «il 90% delle grandi imprese (250 addetti e oltre) e il 73,1% delle imprese di dimensione media (50-249 addetti) hanno introdotto o esteso lo smart working durante l’emergenza Covid-19». Ma un dato estremamente significativo è che anche le imprese di minori dimensioni hanno aumentato il ricorso al lavoro agile, passando al 37,2% delle pic- xxxx (10-49 addetti) e al 18,3% delle microimprese (3-9 addetti).
«Nei mesi immediatamente precedenti la crisi (gennaio e febbraio 2020), escludendo le imprese prive di lavori che possono essere svolti fuori dai locali aziendali, solo l’1,2% del personale era impiegato in la- voro a distanza», si legge nel Rapporto. «Tra marzo e aprile questa quo- ta sale improvvisamente all’8,8%». L’incidenza di personale impiegato
in modalità agile arriva al 21,6% nelle imprese di medie dimensioni dal 2,2% di gennaio/febbraio mentre nelle grandi dal 4,4% dei primi due mesi dell’anno accelera fino al 31,4%. I settori più coinvolti sono i ser- vizi di informazione e comunicazione (da 5,0% a 48,8%), le attività pro- fessionali, scientifiche e tecniche (da 4,1% a 36,7%), l’istruzione (da 3,1% a 33,0%) e la fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria con- dizionata (da 3,3% a 29,6%).
«Anche dopo la fine del lockdown (maggio-giugno 2020), la quota di lavoratori impiegati a distanza pur in declino resta significativa (5,3%), soprattutto nelle grandi e medie imprese (25,1% e 16,2%). Tali risultati suggeriscono che grazie all’implementazione di soluzioni informatiche e organizzative una fetta di imprese italiane è riuscita nel giro di poche settimane a estendere forme lavorative in precedenza limitate a una piccola minoranza a quote considerevoli di personale».
«L’intensità dell’utilizzo del lavoro a distanza, al pari della sua diffu- sione, differisce tra i vari comparti, sebbene nell’ambito di una tendenza comune tra le diverse attività. In generale, l’utilizzo dello smart working/telelavoro sembra legato agli sviluppi attesi della crisi sanitaria:
le imprese di tutti i macrosettori prevedono di incrementare progressi- 13
vamente la quota di personale coinvolto nell’ultima parte del 2020, per poi ridurla senza tuttavia tornare ai livelli iniziali nel corso dei primi tre mesi del 2021. L’incidenza degli occupati a distanza appare inoltre influenzata dalle specifiche caratteristiche dei processi produttivi: in corrispondenza dei picchi previsti a novembre-dicembre 2020, raggiun- ge il 20,1% nelle attività industriali, il 25,0% nelle costruzioni, il 30,8% nel commercio, il 45,5% nei servizi di mercato, il 41,2% negli altri ser- vizi. Più in dettaglio, nei mesi finali del 2020 questa modalità di impiego potrebbe aver coinvolto oltre la metà del personale dei settori di con- sulenza e direzione aziendale, editoria e trasmissione, pubblicità/mar- keting, telecomunicazioni, trasporto aereo e marittimo, e oltre il 60% di quello delle agenzie di viaggio, consulenza informatica, R&S, fornitura di personale. All’opposto, nei settori industriali tradizionali o di scala, quali pelli, carta, prodotti in metallo (ma anche gomma e plastica), e in servizi alla persona come l’assistenza sociale residenziale, le imprese hanno previsto di non andare oltre il 15% di lavoratori a distanza. Sul piano dimensionale, tale quota è prevista salire al 30,6% nelle piccole e medie imprese (10-249 addetti) e al 36,7% nelle grandi (250 addetti
e oltre), per poi ridursi in entrambi i casi di tre punti percentuali nel primo trimestre 2021. Evidentemente il ricorso al lavoro agile è stata più una reazione a una crisi improvvisa piuttosto che derivare da una strategia pianificata, e ciò si riflette sui giudizi delle imprese circa gli effetti di tale scelta sulla performance aziendale».
Diversa appare la situazione per le unità produttive più piccole, che secondo l’ISTAT non hanno segnalato molti effetti su produttività, costi operativi, efficienza, investimenti in formazione del personale, adozione di nuove tecnologie. Le unità di piccole dimensioni segnalano in pre- valenza situazioni di aumento, mentre per medie e grandi imprese sono più frequenti le indicazioni di riduzione dei costi. Questi risultati potreb- bero segnalare tendenze specifiche di diversi segmenti del sistema pro- duttivo, a seconda che la diffusione del lavoro a distanza tenda a colmare o ad accentuare divari di efficienza già esistenti. La ragione è in parte legata al settore di attività economica: i vantaggi del lavoro a distanza tendono a osservarsi con maggiore frequenza nel terziario.
Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, la Funzione pub- blica ha attivato un monitoraggio sullo smart working nelle Regioni ita-
xxxxx: ad aprile del 2020, in piena pandemia, la situazione appariva la
14 seguente.
Tabella 1 - Personale in modalità lavoro agile nella PA (aprile 2020)
# | Regioni | Lavoro agile | Telelavoro | Totale personale | |
1 | Abruzzo | 1415 | - | 1415 | 100% |
2 | Basilicata | 711 | - | 1253 | 56,7% |
3 | Proviucia autouoma di Bolzauo | 2800 | - | 3845 | 72,8% |
4 | Calabria | 944 | - | 2050 | 46% |
5 | Campauia | 2883 | - | 4118 | 70% |
6 | Emilia-Romagua | 2235 | 461 | 3420 | 78,8% |
7 | Friuli-Veuezia Giulia | 2140 | 34 | 3680 | 59,1% |
8 | Lazio | 4340 | - | 4493 | 96,6% |
9 | Liguria | 1010 | - | 1281 | 78,8% |
10 | Lombardia | 2886 | 101 | 3034 | 98,4% |
11 | Marche | 1726 | 10 | 2079 | 83,5% |
12 | Molise | 395 | - | 622 | 63,5% |
13 | Piemoute | 1973 | 305 | 2954 | 77,1% |
14 | Puglia | 2291 | - | 2934 | 78,1% |
15 | Sardegua | 2005 | - | 2547 | 78,7% |
16 | Sicilia | 7800 | - | 13000 | 60% |
17 | Toscaua | 2870 | 352 | 3412 | 94,4% |
18 | Proviucia autouoma di Treuto | 3305 | - | 3487 | 94,8% |
19 | Umbria | 680 | - | 1106 | 61,5% |
20 | Valle d'Aosta | 1527 | 23 | 2450 | 63,3% |
21 | Veueto | 1428 | - | 2749 | 51,9% |
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I dati relativi al personale in modalità lavoro agile sono conteggiati al netto dei dipendenti collocati in ferie o che usufruiscono di permessi ai sensi della normativa vigente.
Quale futuro per lo smart working?
L’improvvisa forte accelerazione verso la modalità di lavoro dello smart working si è calata in una cornice definitoria non del tutto chiara: smart working (o lavoro agile), lavoro da remoto, telelavo- ro, sono modalità di esecuzione del rapporto di lavoro diverse, spesso utilizzate in maniera sovrapposta e non appropriata in quanto assumono significati, caratteristiche e ambiti di applica- zione differenziati.
Su questa modalità di lavoro il sindacato ha avviato un percorso di riflessione nei luoghi di lavoro, evidenziandone luci e ombre su
cui nell’attuale fase è necessario intervenire, per evitare da una parte un utilizzo improprio dello strumento, dall’altra per cercare di trasformare l’emergenza in opportunità alla luce dei processi di trasformazione nell’organizzazione del lavoro.
Gli ambiti della contrattazione che ruotano intorno allo smart wor- king sono molteplici ed articolati: la garanzia dei diritti sindacali, il salario, l’orario di lavoro, la tutela della sicurezza dei lavoratori, il diritto alla disconnessione, i luoghi della prestazione lavorativa, la formazione, la dotazione informatica individuale, la volontarietà. Per il sindacato, dunque, si tratta di accogliere una sfida impor- tante che impatta sull’organizzazione del lavoro e sui lavoratori e costituisce un tema centrale della contrattazione.
Nel presente studio, proprio per cercare di fornire una prima ri- sposta ai molti interrogativi aperti sull’utilizzo e la diffusione dello smart working – e che resteranno aperti ancora per lungo tempo, in quanto nessuno sa ancora prefigurare né la durata né le con- seguenze a regime sui comportamenti individuali e sociali della pandemia in corso – sono stati approfonditi i principali aspetti della questione. In particolare il primo capitolo presenta una ras-
16 segna della letteratura e degli studi sul lavoro agile mettendo in
luce gli impatti sulle condizioni di lavoro e le forme organizzative, al fine di evidenziare le sfide di natura paradigmatica che interes- sano l’azione sindacale. Il secondo capitolo approfondisce i profili normativi dello smart working: il terzo è dedicato alla contratta- zione aziendale sul tema e, infine, l’ultimo contiene un’analisi rea- lizzata attraverso cinque focus group tra delegati RSU, RSA e funzionari, finalizzata ad indagare cosa è concretamente accadu- to sui luoghi di lavoro, quali le difficoltà riscontrate e quali le op- portunità colte o percepite. Ciò ha consentito di fornire primi spunti di riflessione utili alla contrattazione sindacale sul lavoro agile.
1. Il lavoro agile: forme organizzative,
condizioni di lavoro e azione sindacale
1. Il lavoro agile: forme organizzative, condizioni di lavoro e azione sindacale*
di Xxxxxxx Xx Xxxxxx
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Introduzione
Questo capitolo propone un’analisi del fenomeno del lavoro agile considerando le forme organizzative e le criticità per l’affermazione della soggettività individuale, focalizzando l’attenzione sul ruolo degli attori: gli aspetti relazionali, la partecipazione dei lavoratori e l’azione sinda- cale.
Nel primo paragrafo, il lavoro agile è analizzato nel contesto delle tra- sformazioni paradigmatiche che stanno investendo il mondo del lavoro, con l’affermarsi una flessibilità spazio-temporale in forme molteplici e
* Il capitolo riprende le riflessioni maturate dall’autore su «Lo smart working: complessità organizzativa e difficoltà soggettive» nell’ambito del seminario annuale della Consulta Giuridica della CGIL, dedicato al tema «Smart working: tutele e condizioni di lavoro», 12 febbraio 2021. Per una lettura esaustiva del contributo cfr. la pubblicazione degli atti del convegno: Xx Xxxxxx X., 2021, «Lavoro agile, forme organizzative e soggettività del lavoratore», in Carabelli U., Fassina L. (a cura di), Smart working, tutele e condizioni di lavoro, Roma, Futura, pp. 33-57.
diversificate, considerando sia la fase pre-pandemica che quella attuale di emergenza da epidemia di Covid-19.
Nel secondo paragrafo, l’analisi si focalizza sul rapporto tra la flessi- bilità spazio-temporale, le condizioni e l’organizzazione del lavoro, al fi- ne di evidenziare le sfide specifiche per la partecipazione individuale e collettiva, tramite la contrattazione e la negoziazione.
Nelle conclusioni, si evidenzia la tensione tra la ricerca di tutele di or- dine generale e la valorizzazione delle specificità aziendali e individuali, per definire l’organizzazione del lavoro in smart working e i processi di riconoscimento dei diritti, che comporta nuove sfide per l’azione sin- dacale, con organizzazioni sindacali reticolari e adattive fondate sul- l’utilizzo dell’ICT.
1.1 La flessibilità spazio-temporale: un concetto in evoluzione
1.1.1 Diversificazione e molteplicità delle forme flessibili di
20 organizzazione spazio-temporale
Cosa significa «lavoro agile»?
I termini diffusi nel dibattito scientifico e istituzionale per definire le forme flessibili di organizzazione spazio-temporale sono molto diversi- ficati. Come noto, nel dibattito istituzionale italiano per disciplinare la flessibilità spazio-temporale si sono diffusi negli anni recenti termini co- me «smart working» e «lavoro agile» (come ad esempio nelle linee guida del POLA, il Piano Organizzativo del Lavoro Agile, emanate a novembre 2020 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri) e molti altri termini so- no utilizzati in ambito accademico, nelle imprese e nelle istituzioni, co- me: «telelavoro», «telecommuting», «teleworking» (i termini più utilizzati nelle normative nazionali e internazionali fino agli anni recenti), lavoro
«in remoto» (molto usato in ambito informatico), lavoro «da casa» o, al contrario, «mobile work» e finanche «digital nomadism» (per evidenziare la componente di stanzialità o di mobilità spaziale), «work from any- where» (per evidenziare la potenziale ubiquità del lavoro tramite ICT),
«flexible workplace», «coworking», «hotdesking», «hoteling work» (fo- calizzando l’attenzione sull’utilizzo degli spazi), ecc.
Tutte queste espressioni indicano un lavoro che non è svolto presso gli spazi fisici dell’impresa ma altrove, anche e non solo da casa, con forme più o meno standardizzate di organizzazione temporale, e ognu- no ha una sfumatura diversa e pone l’accento su alcune specifiche ca- ratteristiche.
Questa estrema diversificazione delle espressioni e, anche, delle mo- dalità di lavoro «fuori dall’impresa» è data dall’estrema e crescente di- versificazione delle forme di flessibilità spazio-temporale adottate dalle imprese contemporanee, per cui ad oggi non esiste (e difficilmente po- trà essere circoscritta) una definizione univoca di lavoro agile che vada molto oltre il riconoscimento di una flessibilità spazio-temporale, per poi precisare i diritti, le tutele e gli obblighi per i lavoratori e i manager, a livello nazionale e aziendale.
In estrema sintesi, il lavoro agile – volendo utilizzare questa etichetta ormai diffusa nel contesto italiano – è un lavoro condotto in un regime di flessibilità spazio-temporale, che alimenta il superamento di un’or- ganizzazione standardizzata e che, su una scala più ampia, alimenta il
superamento del paradigma fordista. In questo senso, il rapporto tra impresa, il lavoratore e la dimensione spazio-temporale del lavoro par- 21
tecipa di un processo più ampio di flessibilizzazione che ha determinato il superamento del fordismo e l’imporsi dei paradigmi contemporanei del lavoro con un ruolo decisivo assunto dall’evoluzione esponenziale delle tecnologie digitali. Di conseguenza, non è facile definire in maniera univoca un fenomeno paradigmatico e pervasivo della vita sociale ed economica contemporanea, la cui evoluzione è accelerata delle tecno- logie digitali, che si manifesta in molteplici forme e che ha assunto ca- ratteristiche specifiche nella fase emergenziale della pandemia di Covid-19.
1.1.2 La flessibilità spazio-temporale nel nuovo paradigma del lavoro
A partire dagli anni Duemila, con l’ascesa dell’uso dell’ICT tramite i personal computer, appare sempre più chiaro il nesso tra il lavoro fuori dall’impresa e la definizione di un nuovo paradigma organizzativo ge- nerale del lavoro. Ad esempio Xxxxxx (2006) analizza l’affermarsi di for-
me non-standard di lavoro, oltre che dal punto di vista contrattuale (un aspetto su cui si sono concentrati numerosi studi sulla precarizzazione del lavoro), anche dal punto di vista temporale e spaziale.
Nel contesto italiano, sono numerose le esperienze di sperimentazio- ne e di studio delle forme flessibili di organizzazione dello spazio-tempo, condotte a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, e gli studiosi più autorevoli convergono nell’inquadrare questi processi nell’ambito di una trasformazione paradigmatica del lavoro e della vita sociale.
De Masi (2020, p. 201-202) evidenzia l’affermarsi del lavoro agile in relazione all’affermarsi di un «nouveau paradigme», richiamando le ana- lisi di Xxxxx Xxxxxxxx (2005), che comporta l’ascesa di un modello an- tropologico, sociologico, economico e politico che ancora non è definito e che si manifesta in forme frammentarie e spontanee.
La flessibilità spazio-temporale si è affermata all’interno di un più am- pio cambiamento paradigmatico, quello della società dell’informazione, che emerge e si evolve in maniera graduale a partire dagli anni Novanta, maturando diverse forme organizzative che, come evidenziato da Pa-
xxxxxx Xx Xxxxxx (1995; 2015), scandiscono tre periodi storici del telela-
22 voro: a) il «telelavoro come sperimentazione e sostituzione del lavoro in ufficio» (1993-1997) dove il focus è sulla dimensione spaziale; b) l’«E- work: il telelavoro come sovrapposizione tra lavoro a casa e in ufficio» (1998-2005); c) il «telelavoro embedded e smart work» (a partire dal 2006) che comporta delle trasformazioni organizzative più estese e complesse.
L’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano definisce il lavoro agile come una «filosofia manageriale» complessiva volta a da- re autonomia di spazi, orari e strumenti al lavoratore in cambio di una responsabilizzazione sui risultati (Corso, 2019).
Butera (2020) analizza la necessità di un cambio di paradigma asso- ciato alla diffusione di queste forme organizzative e ne evidenzia l’aspetto partecipativo, indagato attraverso numerose ricerche ed espe- rienze in contesti aziendali: un paradigma fondato su una progettazione congiunta fra datore e lavoratori, che tenga conto sia delle differenze individuali (di strumenti, spazi e carichi di attività di cura, ecc.) che or- ganizzative (organizzazioni basate su progetti versus organizzazioni ba- sate su procedure).
1.1.3 Il lavoro agile nell’emergenza pandemica
L’analisi della flessibilità spazio-temporale nella fase pandemica me- xxxx una trattazione a parte, poiché da un lato presenta delle specificità e dall’altro prospetta un’estensiva istituzionalizzazione di queste forme di lavoro nell’economia pubblica e privata, per cui si aprono delle sfide per l’affermazione di nuovi diritti e tutele in uno scenario ancora molto incerto.
23
L’emergenza pandemica ha comportato la necessità di definire le at- tività essenziali, che potevano restare aperte con il lavoro in presenza, e di riorientare il lavoro verso forme di «lavoro da casa» obbligatorie. Mentre la questione sanitaria è stata gestita con dei margini di nego- ziazione e un ruolo fondamentale assunto dalle organizzazioni sindacali, attraverso i protocolli e gli accordi nazionali e di secondo livello (De Sa- rio, Xx Xxxxxx, Leonardi, 2020), lo smart working è stato introdotto per lo più unilateralmente dai dirigenti, anche se il sindacato ha cercato di partecipare alla sua definizione e gli accordi che hanno disciplinato gli orari di lavoro sono aumentati dal 6% al 34% tra il 2019 e il 2020 (Bra- chini, Xx Xxxxx, Xxxxxxxx, 2021).
Il lavoro da casa durante la fase epidemica ha comunque assunto un carattere emergenziale, ed è stato adottato con finalità di prevenzione per la salute senza che, nella maggior parte dei casi, fosse accompa- gnato da processi di negoziazione e da una revisione complessiva delle modalità organizzative.
L’applicazione emergenziale del lavoro da casa ha rafforzato alcune problematiche di una modalità lavorativa già poco regolamentata (Al- lamprese, Xxxxxxxx, 2017), con il rischio di un aumento del potere da- toriale sui singoli lavoratori a scapito della regolamentazione pubblica e della contrattazione collettiva (Xxxxxx, Xxxxxxxx, 0000; Cairoli, 2020). Nel settore pubblico, il lavoro agile è stato introdotto in maniera esten- siva e «invasiva» dal legislatore (Xxxxxxxx, Delogu, 2020), in un contesto caratterizzato da carenze dal punto di vista tecnologico e organizzativo (Monda, 2020).
In alcuni comparti, come ad esempio quello dell’istruzione, il lavoro agile ha fortemente destrutturato il servizio pubblico, sia nelle modalità organizzative, con una esposizione a cattive condizioni di lavoro per i docenti e l’imporsi di una gestione non collegiale della sua applicazione,
sia negli esiti, con un incremento delle disuguaglianze sociali dovute alle difficoltà di accesso ed utilizzo delle tecnologie e alla non uniformità delle metodologie, presentando degli ostacoli all’affermazione del diritto fondamentale all’istruzione che apre delle riflessioni sul rapporto tra la- voro agile e universalità dei servizi pubblici (Xx Xxxxxx et al., 2020).
L’emergenza pandemica ha rafforzato le vulnerabilità strutturali dei lavoratori (che determinavano precarietà e, più nel complesso, condi- zioni difficili di lavoro) aumentando la vulnerabilità dei soggetti più fragili (Xx Xxxxxx, Pedaci, Pirro, 2021) e questa tendenza generale si è intrec- ciata con l’adozione di forme di lavoro da casa con conseguenze che sono ancora difficili da interpretare. La maggior parte degli studi con- dotti durante la pandemia di Covid-19 in Italia concordano sulla natura emergenziale della situazione e, prospettando le tendenze future, evi- denziano sia le opportunità che si potrebbero associare a una migliore organizzazione dello smart working in seguito alla fase emergenziale che le criticità che comunque appaiono strutturali.
Uno studio condotto da Forum PA (2020) tramite questionario (5.225
rispondenti di cui 4.200 dipendenti pubblici) mostra che la maggioranza
24 degli intervistati (88%) giudica l’esperienza positiva e il 61,1% ritiene che questa nuova cultura, basata sulla flessibilità e sulla cooperazione all’interno degli enti, fra gli enti e nei rapporti con i cittadini e le imprese, prevarrà anche una volta finita la fase di emergenza.
L’analisi su un campione di circa 850 impiegati, per lo più di grandi e medie imprese del Nord-Est di Italia, mostra numerosi aspetti positivi vissuti dalla maggior parte del campione, rispetto ad alcuni fattori come la creatività, il conflitto casa-lavoro, l’isolamento sociale e l’esaurimento da lavoro, così come la volontà di proseguire ad adottare queste forme di lavoro anche in futuro (Garlatti Costa, Xxxxxxx, 2020).
Anche nelle inchieste da cui emergono analisi più critiche, come quel- la della Reti dei Lavoratori Agili (2020), la maggior parte dei rispondenti (95%, su un campione di 2.846 questionari) vorrebbe continuare l’espe- rienza di lavoro in smart working, anche se ritiene necessario superare l’unilateralità datoriale dell’introduzione e intervenire sui numerosi aspetti critici, come la necessità di ridefinire il modello organizzativo complessivo.
Difatti, sebbene la possibilità di conciliare lavoro e vita privata pos-
sano essere percepite dai lavoratori come un’opportunità, così come la possibilità di lavorare in seguito alle restrizioni alla mobilità per l’epi- demia di Covid-19, i rischi dello smart working sono molteplici: l’isola- mento, le difficoltà tecnologiche e organizzative, la tendenza verso una centralizzazione dei processi decisionali, l’intensificazione dei ritmi, la destrutturazione dei tempi con una erosione della separazione tra la- voro e vita privata (Xxxxx, Xxxxxx, 2020). E a tal proposito vanno eviden- ziate le disuguaglianze di genere, considerando la distribuzione dei carichi di cura familiare che pesano maggiormente sulle donne (Rania et al., 2020), e le diseguaglianze salariali, con opportunità maggiori per i lavoratori con retribuzioni più elevate (più spesso dipendenti di sesso maschile, più anziani) (INAPP, 2020). Lo smart working nella fase epi- demica, come mostrato da una ricerca con interviste a ricercatrici e ri- cercatori (Xxxxxxx, Xxxxxxx, 2020), ha rafforzato le disuguaglianze non solo tra uomini e donne ma anche tra donne con o senza compiti di cu- ra, in particolare per i figli.
Una ricerca della Fondazione Xx Xxxxxxxx (2020), condotta con la CGIL
Nazionale attraverso un questionario online (6.170 rispondenti, 66% settore privato, 34% settore pubblico; femmine 65%, maschi 35%), ri- 25
leva che l’82% del campione ha vissuto l’esperienza del lavoro da casa per la prima volta, iniziando a farlo nella fase di emergenza per l’epide- mia di Covid-19, ed emergono numerose criticità per le condizioni di lavoro, come l’intensificazione, le difficoltà nella conciliazione, il raffor- zarsi delle disuguaglianze di genere, gli ostacoli nell’accesso agli stru- menti e alle tecnologie, in un contesto di riduzione degli spazi di partecipazione e negoziazione (lo smart working nel 36% dei casi è sta- to introdotto in modo unilaterale dal datore di lavoro, 37% è stato con- cordato individualmente con il datore di lavoro, 27% attraverso contrattazione collettiva con il sindacato).
Un settore emblematico del lavoro «in remoto» e/o «da casa» e/o «in rete» è certamente quello del lavoro informatico, che è stato analizzato prima della fase pandemica in un’inchiesta con la FILCAMS tramite questionario (su un campione di una grande impresa privata e un cam- pione di controllo, per un totale di 278 questionari) (Xx Xxxxxx, Ferrucci, Mensi, 2019). I risultati evidenziavano da un lato la presenza di ampi margini di autonomia e di partecipazione per quanto riguarda l’organiz-
zazione temporale e gli obiettivi di lavoro individuali (ma meno per quelli di team e aziendali), dall’altro una elevata intensità del lavoro che si ac- compagna a una forte responsabilizzazione individuale. Un’inchiesta sullo stesso settore è in corso nella fase pandemica, in collaborazione con la FIOM Lazio (Coordinamento Informatici) e la CGIL Roma e Lazio, e i risultati parziali (su un campione di 1.266 questionari) confermano queste criticità nel rapporto tra condizioni, autonomia e pressioni per l’orientamento ai risultati.
1.2 Flessibilità spazio-temporale: forme organizzative, partecipazione e rappresentanza
La flessibilizzazione spazio-temporale ha degli impatti su tutte le di- mensioni dell’esperienza lavorativa. In questo paragrafo è analizzato il rapporto tra le forme organizzative, l’individuo e le relazioni di lavoro, considerando il ruolo determinante della partecipazione e della rappre- sentanza sindacale. L’analisi si propone di adottare un approccio teo- rico capace di considerare sia le forme organizzative, tecniche, che il
26 ruolo degli attori sociali (Maggi, 1990; 2011; Xxxxxxxxx, 2013).
1.2.1 L’organizzazione scientifica del lavoro a progetto: razionalizzazione tecnica e relazioni sociali
I modelli organizzativi del lavoro all’interno dei quali si affermano for- me di flessibilità spazio-temporale sono ormai molto diversificati e, an- che studiati e codificati. Nel tempo, sono stati avanzati molteplici approcci analitici e di intervento che cercano di razionalizzare le forme organizzative basate sulla flessibilità spazio temporale, con una forte enfasi sul ruolo delle relazioni tra gli attori.
Siamo assistendo alla crescente razionalizzazione del processo or- ganizzativo basato sulla flessibilità spazio-temporale. La maggior parte di questi modelli analitici e operativi cerca di contemplare sia gli aspetti tecnici che quelli sociali, considerando, da un lato, l’organizzazione tec- nica della flessibilità spazio-temporale, in particolare l’orientamento ver- so il lavoro per progetti, dall’altro le implicazioni relazionali, il ruolo degli attori in contesti sempre più dinamici e reticolari.
Queste analisi maturano dagli anni Ottanta del secolo scorso, a par- tire dalle varie interpretazione del «flexible work» di Xxxxxxxx (1984) che considera il rapporto tra la flessibilità interna ed esterna all’impresa, con una distinzione tra attori centrali e periferici (Xxxx et al., 2009), analizzato anche rispetto al telework (Xxxxxxxx Xxxxxxx et al., 2008), fino ad arrivare ad approcci più recenti che enfatizzano il ruolo dell’au- tonomia individuale in forme organizzative orientate ai tasks, all’interno di linee guida capaci di favorire una riflessività sul progetto e le relazioni tra gli attori (come nella definizione di «agile work»; Holbeche, 2015), o che mettono in risalto i principi di «actor-oriented organization» (Snow et al., 2017) che favoriscono l’auto-organizzazione e la collaborazione piuttosto che forme gerarchiche di organizzazione del lavoro.
Questi modelli esprimono forme di razionalizzazione dell’organizza- zione del lavoro basate su principi specifici (spesso frutto di ricerche scientifiche con esperienze empiriche) e cercano di disciplinare la rela- zione, e la tensione, tra l’autonomia individuale, la necessità di costruire relazioni cooperative tra gli attori e le forme organizzative a progetto,
orientate al cambiamento, scandite da attività e obiettivi, come anche evidenziato da Butera (2020) approfondendo l’analisi dei sistemi socio- 27
tecnici, e da Xx Xxxx che considera il punto di vista di tutti gli attori e la rilevanza dell’organizzazione razionale, per progetti (2020, p. 558).
1.2.2 Partecipazione, rappresentanza e riconoscimento del lavoro
Quale è il ruolo del lavoratore all’interno di questa organizzazione scientifica del lavoro?
Focalizzando l’analisi del sistema socio-tecnico in termini di demo- crazia sindacale (Tourinae, 1993; Farro, 2000) emerge il rischio che gli approcci partecipativi (come quelli che mettono l’accento sul «mana- gement partecipativo») pur favorendo forme di autonomia e di coope- razione ostacolino la possibilità di un giusto riconoscimento del lavoro e di una piena espressione della soggettività individuale, negando la presenza dei processi di dominazione, di tensioni insolubili tra lavoratori e dirigenti, di una conflittualità che può essere istituzionalizzata e ne- goziata (Xxxxxxxxx, 2013).
Più in generale, assistiamo a una trasformazione paradigmatica del lavoro dove i meccanismi di riconoscimento e retribuzione (i compensi, i premi e, per gli autonomi, le tariffe) sono sempre più legati alle presta- zioni individuali, segmentati in relazione ai compiti, mirati sugli obiettivi raggiunti e meno legati alle misure «standard» e «collettive» della con- trattazione, come gli inquadramenti e i tempi (Xxxx et al., 2015).
In questo contesto, è dunque fondamentale riflettere su come imple- mentare le forme negoziali e non solo incentivali di partecipazione dei lavoratori (Xxxxxxxx, 2010) così come su come rafforzare e istituziona- lizzare le forme di contrattazione e negoziazione, con nuove sfide per le relazioni industriali a ogni livello che si presentano sotto la spinta or- mai di lungo periodo di una diversificazione e frammentazione dell’eco- nomia, dall’individualizzazione crescente dei profili professionali, delle tensioni provocate dal decentramento della contrattazione, dalla perdita di potere contrattuale del sindacato (Regalia, 2012; Xxxxxxxx, Xxxxx, 2016; Xxxxxxxx, Xxxxxxxxx, 2018).
Esiste una tensione tra le logiche organizzative (tecniche) del lavoro
per progetti e le logiche relazionali, considerando l’autonomia indivi-
28 duale, la cooperazione, la condivisione ma, anche, la partecipazione diretta, le relazioni sindacali, i sistemi istituzionali.
Come evidenziato da Thoemmes (2015), per comprendere i nuovi modelli organizzativi basati sulla flessibilità spazio-temporale è oppor- tuno superare le distinzioni tra gli approcci disciplinari, per favorire una riflessione non dicotomica tra attori e sistemi e il ruolo delle interazioni soggettive (Maggi, 2015).
L’estensione dello smart working a partire dalla fase emergenziale pone numerose sfide rispetto agli impatti che questa logica organizza- tiva della flessibilità spazio-temporale ha sul sistema complessivo di organizzazione del lavoro, considerando tutte le logiche organizzative, interne ed esterne all’impresa, che determinano le relazioni tra gli attori (dirigenti, lavoratori, rappresentanze, istituzioni, ecc.): a) le logiche or- ganizzative interne, considerando le modalità di lavoro (ad esempio se si applica un’organizzazione del lavoro per progetti o per processi con- venzionali, se la presenza spazio-temporale è più o meno necessaria, oppure se si adottano modelli più o meno gerarchici, basati sulla con- divisione o il controllo) ma anche le relazioni di tipo istituzionale (come
ad esempio le relazioni tra gli attori determinate dai sistemi di preven- zione e di relazioni industriali); b) le logiche organizzative esterne (come le leggi, gli accordi collettivi nazionali, i protocolli, le linee guida e, fi- nanche, i codici etici quelli di responsabilità sociale) che determinano specifiche modalità relazionali tra gli attori e dunque condizionano la forma stessa dell’organizzazione del lavoro, i processi di partecipazio- ne, contrattazione e negoziazione e, dunque, di gestione delle tensione, dei conflitti, dei rapporti di potere.
1.2.3 Condizioni di lavoro: autonomia, intensificazione e valutazione congiunta
Numerosi studi hanno indagato il rapporto tra l’autonomia del lavo- ratore e il suo benessere, a partire dalla autorevole teoria del «job de- mand and control» (Xxxxxxx, 1979) che mostra l’importanza di avere ampi margini di controllo sul lavoro da parte del lavoratore, per gestire i propri carichi in regimi ad alta autonomia. Questa teoria è stata utiliz- zata anche da una recente ricerca dell’Eurofound-ILO (2017) per ana-
lizzare la trasformazione spazio-temporale del lavoro. L’analisi mostra 29
la forte associazione tra l’intensificazione del lavoro e le forme contem- poranee di lavoro da casa (con un forte utilizzo delle tecnologie ICT), anche in situazioni con margini maggiori di controllo.
Dunque, la flessibilità spazio-temporale pone delle sfide per gestire le tensioni tra l’autonomia, i carichi di lavoro e la possibilità da parte degli individui di poterli controllare e gestire, al fine di evitare un’inten- sificazione del lavoro.
All’interno di organizzazioni a progetto, con una flessibilità spazio- temporale, si afferma il rischio di una intensificazione del lavoro – in ma- niera simile a quella ampiamente studiata nelle organizzazioni tayloriste
– che comporta una saturazione dei tempi di lavoro e una esternalizza- zione dei rischi, per cui il lavoro a «progetto» si può trasformare in lavoro a «cottimo», con una estensione spazio-temporale senza limiti, 24h/7d, su scala finanche internazionale (come nella forma più estrema di lavoro taylorista da casa di Amazon Turk; Xxxxxxxx Kåreborn & Xxxxxxxx, 2014; Irani, 2015).
Al di là delle prospettive più drammatiche, l’intensificazione e la sa-
turazione del lavoro si possono manifestare in molteplici forme, nel mo- mento in cui cadono i limiti spazio-temporali che misuravano in maniera prevalente la prestazione di lavoro, con un eccesso di carichi di lavoro e responsabilizzazione individuale in organizzazioni a progetto, per obiettivi, senza che il lavoratore abbia la possibilità di potere partecipare alla loro definizione e senza che l’impegno aggiuntivo sia riconosciuto. Il rischio proprio di alcuni modelli, che possiamo definire di new Total Quality Management, è quello di costruire dei sistemi organizzativi schiacciati su obiettivi definiti unilateralmente, senza un’attenzione al ruolo dei lavoratori e all’articolazione complessiva dei processi. Prima degli obiettivi e della valutazione della performance (aspetti molto en- fatizzati, ad esempio, nelle linee guida istituzionali del POLA) ci sono dei lavoratori che operano attraverso delle attività, con delle compe- tenze, con dei bisogni di formazione, in maniera individuale o in gruppi di lavoro, con risorse economiche e di supporto sociale più o meno adeguate, su tasks e scadenze di breve, medio o lungo periodo. C’è,
30 dunque, un racconto di come si perseguono gli obiettivi e di come si raggiungono le perfomance che può essere costruito solo con la par- tecipazione diretta e tramite rappresenta dei lavoratori, attraverso dei
processi condivisi di programmazione, progettazione, monitoraggio e valutazione congiunti.
Se i processi non sono più standardizzati, la misura dei carichi di la- voro non può essere standardizzata, ma dipende dal contesto, dal pro- getto. Il confronto tra management e lavoratori è indispensabile per pianificare e gestire i carichi e sovraccarichi di lavoro, così come per vederli riconosciuti, ed è necessario supportare percorsi di gestione congiunta dei carichi di lavoro (del tempo impiegato in relazione alle at- tività lavorative), con una «co-gestione» dei progetti ex-ante (program- mazione), in itinere (monitoraggio), ex-post (valutazione).
In questo ambito, rientra la necessità di costruire sistemi condivisi di informazione e comunicazione, come proposto da Butera (2018; 2020), capaci di supportare i processi di cooperazione e gestione condivisa dell’organizzazione del lavoro.
1.2.4 Profili professionali e qualificazione dei lavoratori in sistemi dinamici
Secondo Xxxxxxxx, Xxxx e Xxxxxxxxxx (2017, pp. 176-177), in riferi- mento alle grandi trasformazioni del lavoro contemporaneo, «al centro del cambiamento ci sono nuovi ruoli organizzativi più autonomi e re- sponsabili del risultato, che si coordinano direttamente in rete o nel te- am» e «questo cambiamento non riguarda solo il passaggio dalla mansione al ruolo, già ampiamente descritta negli anni Novanta, ma il passaggio da ruoli basati su mansioni allargate o arricchite, e sempre in contesti ad alta gerarchia, a ruoli che si coordinano direttamente e senza intermediazione con altri ruoli vicini o distanti, di altre funzioni o di altri attori come i clienti e i fornitori».
Si affermano dei «ruoli aperti» (Butera, 2020) non facilmente pre-de- finibili, ma definiti dalle attività, dai progetti stessi che gli attori devono portare avanti.
I profili professionali si fanno più complessi e dinamici, diverse attività anche più o meno qualificate possono coesistere, così come diversi
gradi di responsabilità, le specializzazioni scientifiche sono in continua 31
evoluzione, servono competenze multiple (es. relazionali, gestionali, in-
formatiche, ecc.).
Anche su questo aspetto, il ruolo della partecipazione e della rappre- sentanza appare fondamentale.
Nel momento in cui le attività definiscono i carichi di lavoro, al di fuori di una dimensione spazio-temporale ben circoscritta, la partecipazione dei lavoratori e delle rappresentanze sindacali è necessaria per favorire il giusto riconoscimento del contributo individuale e collettivo al pro- cesso di lavoro, al fine di valutare i carichi di lavoro ma, anche, l’impe- gno, le conoscenze, le capacità messe al lavoro dagli individui, che definiscono quello che fanno, chi sono, i loro profili professionali così come i livelli di inquadramento, le indennità, le retribuzioni e finanche i fabbisogni di formazione e crescita professionale.
1.2.5 Le relazioni di lavoro: tra cooperazione, conciliazione e isolamento
Una gestione flessibile e dinamica sia dei «tempi» che degli «spazi»
implica l’autonomia, la volontarietà e il consenso del lavoratore nella gestione di entrambe le dimensioni.
Da un lato, come mostrato da numerosi studi, si affermano nuove opportunità di autonomia, espressione del sé, creatività, cooperazione date dal lavoro nell’epoca contemporanea (Xxxxxxx, 2008), all’interno di sistemi aperti di produzione capaci di favorire delle connessioni vir- tuose tra gli attori (Xxxxxxxxx et al., 2011) che possono facilitare forme orizzontali di organizzazione e finanche la creazione di commons sociali (Xxxxxx, 2014) e la sharing economy da parte di comunità fondate sulla condivisione (Xxxxxx, 2016), capaci di favorire la collaborazione e la co- struzione di un senso di comunità (Gastaldi et al., 2014).
Ad esempio, il rapporto tra flessibilità temporale e utilizzo degli spazi d’impresa è stato ampiamente analizzato considerando la trasforma- zione degli uffici e gli aspetti relazionali del design (Bagnara, Xxxxx, Poz- zi, 2015), e forme efficaci di lavoro agile si accompagnano alla creazione di spazi «aperti», «dinamici», «funzionali», basati sulle attività e le rela- zioni di lavoro più che per i regimi temporali e ruoli predefiniti (come,
ad esempio, meeting room, co-working quiet, co-working call, spazi di
32 socializzazione, social hub, postazioni modulari per team di lavoro, sale operative, war room, co-working, laboratori, fab-lab, hackathon).
Dall’altro, il rischio maggiore, è quello della frammentazione e di una individualizzazione «negativa» che accompagna l’istituzionalizzazione della precarietà nell’epoca contemporanea, caratterizzata da un’ecces- siva responsabilizzazione, isolamento, competizione, assenza di diritti e tutele (Castel, 1995). Lo smart-worker rischia l’imposizione di un iso- lamento, come evidenziato da Xxxxxx, Parisi e Tirabeni (2019, p. 62), con una rarefazione di rapporti sociali, con «interazioni sempre più in- dirette e formali, mediate da dispositivi digitali, con riduzione delle oc- casioni di incontro faccia a faccia, fondamentali per lo sviluppo di emozioni, conoscenze, valori e relazioni fiduciarie».
Se ci soffermiamo invece sull’osservare la vita privata, nella quale il lavoro penetra sempre di più attraverso la flessibilità spazio-temporale, si creano dei sistemi ibridi che definiscono le opportunità di «concilia- zione» che, come abbiamo visto, sono ostacolate da numerosi fattori di ordine culturale, economico, sociale, con il rafforzarsi di disugua- glianze di genere.
1.3 Conclusioni: oltre lo spazio-tempo, l’azione sindacale tra tutele di ordine generale, specificità contestuali e individualizzazione
Abbiamo analizzato come la flessibilità spazio-temporale alimenti una trasformazione dell’organizzazione del lavoro verso due direzioni com- plementari: da un lato una crescente diversificazione e dinamicità delle forme organizzative, in continua evoluzione, dall’altro l’emergere di al- cune tendenze generali che stanno definendo un nuovo paradigma or- ganizzativo in continua evoluzione.
Il lavoro svolto al di là di limiti spazio-temporali comporta la necessità di affrontare la complessità dei sistemi socio-tecnici, considerando le relazioni tra gli attori, la partecipazione dei lavoratori e la rappresentan- za sindacale, per contrastare – tra i tanti rischi – il potere di controllo manageriale, l’individualizzazione, l’intensificazione e la saturazione dei carichi di lavoro, il mancato riconoscimento economico e professionale, l’isolamento, l’eccesso di responsabilizzino, la dequalificazione, l’inva- sione della vita privata.
La partecipazione e la contrattazione si confrontano con la flessibilità 33
spazio-temporale e dunque con tutti gli aspetti dell’organizzazione complessiva del lavoro: i carichi di lavoro, le attività, gli obiettivi, i profili professionali, i luoghi di lavoro, la conciliazione tra vita lavorativa e pri- vata, i margini di autonomia e co-gestione, i riconoscimenti economici e professionali, le conoscenze e la formazione. Tutte queste dimensioni, nel loro insieme, determinano le opportunità di benessere e tutela della salute psico-fisica del lavoratore.
Nell’azione sindacale si rafforza una tensione tra la ricerca di tutele di ordine generale e la necessità di confrontarsi con le specificità pro- prie dei settori, dei cicli (e reti) produttivi, dei contesti aziendali, territo- riali e, finanche, di considerare le specificità individuali, i bisogni e le aspettative dei lavoratori, i loro desideri di autonomia e soggettivazione, all’interno di regimi spazio-temporali flessibili.
Dal punto di vista delle forme organizzative dell’azione sindacale, l’in- dividualizzazione del lavoro, la crescente flessibilità, la diversificazione dei processi produttivi, anche in termini di regimi spazio-temporali, im- pongono al sindacato la ricerca di forme organizzative più flessibili, re-
ticolari, modulari, «adattive» (Xx Xxxxxx, 2018), capaci di raggiungere i lavoratori all’interno di processi produttivi altamente frammentati e di rappresentare sia le specificità individuali che quelle contestuali, azien- dali, mettendole in relazione per affermare il benessere individuale e or- ganizzativo, così come per favorire la definizione collettiva di diritti e tutele fondamentali, di carattere universale.
Questa tensione – tra tutele di ordine generale, contestuale e indivi- duale – è presente in maniera crescente dalla fine del secolo scorso ed è aumentata con l’estendersi dei paradigmi flessibili del lavoro. Difatti, il sindacalismo italiano sta affrontando da lungo tempo un processo di trasformazione e adattamento continuo della propria «tipologia a ma- trice» (Regalia, 2012) verso un’articolazione sempre più flessibile e mo- dulare della sua struttura organizzativa, con nuove relazioni tra dimensioni verticali e orizzontali. Questo processo è di lungo periodo (forse strutturale nei paradigmi contemporanei dei lavoro, dopo il su- peramento del fordismo) e va nella direzione di un’«estensione» del- l’azione sindacale (in termini di ambiti e soggetti) e di una diversa
«profondità» (in termini di diritti e strumenti organizzativi), riprendendo
34 le dimensioni proposte da Xxxxxxxxx, per favorire una maggiore sinda- calizzazione dei lavoratori, indispensabile per rafforzare una «contrat- tazione più pluralistica» verso una «tutela più flessibile e differenziata» nei regimi flessibili del lavoro (Xxxxxxxxx, 1992, pp. 318-329). Queste trasformazioni dei contenuti e delle modalità di azione sindacale sono funzionali ad affermare «una rappresentanza più aperta e inclusiva» (Xxxxxxxx, 2012, p. 129) che assuma «la pluralità, anche personale, delle esperienze lavorative e dei punti di vista che ne derivano come una ri- sorsa a cui attingere».
Infine, è bene evidenziare come questa trasformazione verso un sin- dacato fondato su reti flessibili e «adattive», soprattutto nel momento in cui si confronta con la destrutturazione spazio-temporale alimentata dalla pandemia, comporti anche un rafforzamento dell’utilizzo dell’ICT nell’azione sindacale. Anche in questo caso, si tratta di una trasforma- zione che investe l’organizzazione sindacale sotto molteplici aspetti, rafforzando processi di partecipazione individuale, collaborazione e de- mocrazia sindacale (Rego et al., 2016) e che è già in atto, come mo- strano le numerose esperienze maturate nel sindacato italiano nel corso
degli anni drammatici della pandemia, con un utilizzo intenso dei social network, il rinnovamento e l’investimento negli strumenti di comunica- zione, l’organizzazione di seminari, riunioni, gruppi di lavoro e assem- blee online, la conduzione di trattative e negoziazioni via web, corsi di formazione in dad, sportelli digitali nelle camere del lavoro (De Sario, Xx Xxxxxx, Leonardi, 2020).
35
2. Profili normativi del lavoro agile
di Xxxxx Xxxxxxxx
Dal punto di vista normativo, lo smart work(ing) – già da qualche anno al centro di una vivace proliferazione di contratti collettivi aziendali e di gruppo1 (Xxxxxxx, Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxxxx, 2016; Xxxxxxxxxx, 2017; Da- gnino et al., 2017; Xxxxxx, 2017; Xxxxxxxx, 2018; Xxxxxxx, 2019; FDV-
CGIL, 2020; 2021) – ha trovato una specifica disciplina legislativa, 39
nell’ambito della legge 22 maggio 2017 n. 81, fra le «Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’ar- ticolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato». Il Capo II, fra l’art. 18 e l’art. 23, è intitolato al «lavoro agile» che, a di- spetto del suo parziale discostamento semantico nella traduzione dal- l’inglese («agile» non è infatti l’equivalente italiano di «smart») (Xxxxxxxx, Nespoli, 2016) – coincide, di fatto, nel discorso comune come negli ac- cordi collettivi, con l’ormai più colloquiale «smart work» o «smart wor- king».
Nelle pubbliche amministrazioni, diversamente che nei settori privati, il telelavoro dispone di una cornice legale, prima ancora che contrattua- le, a partire dall’articolo 4 della legge 16 giugno 1998, n. 191, e detta- gliatamente disciplinato con il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 70. Più di recente, e quasi ad anticipare la successiva legge sul lavoro agile del 2017, la
1 Specialmente nei settori del terziario avanzato (banche, assicurazioni, telecomunica- zioni). Per una trattazione più ampia, relativa alla contrattazione aziendale, e a quella del terziario Filcams in particolare, vedi De Sario infra.
c.d. Riforma Madia del lavoro pubblico (art. 14, l. delega n. 124/2015) ha inteso promuovere il ricorso a «misure organizzative per l’attuazione del telelavoro», grazie anche alla sperimentazione – raccomandata dalla direttiva sulla funzione pubblica n. 3/2017, emanata subito dopo la l. 81/2017 – di «nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della pre- stazione lavorativa, il cosiddetto lavoro agile o smart working».
La letteratura giuridica ha già prodotto una gran mole di studi e com- mentari dei cinque articoli che disciplinano il lavoro agile, all’interno del- la l. 81/2017 (AA.VV., 2017; Xxxxxxx et al., 2017; Xxxxx Xxxxxx, Xxxxx, 0000; Cairoli, 2020). Frutto della fusione di due precedenti disegni di legge – il n. 2233/16 in tema di conciliazione vita-lavoro mediante tele- lavoro mobile alternato, e il n. 2229/1644, sull’organizzazione per risul- tati nell’ambito della prestazione subordinata – la l. 81/2017 si apre chiarendo innanzitutto lo scopo del lavoro agile, la sua ratio; ovvero, come si legge espressamente al comma 1 dell’art. 18: «incrementare la competitività» e, al contempo, «agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro»2. Un intento promozionale, «meramente promozio- nale», secondo alcuni (Xxxxxxxxx, 2017), mediante il quale si ambisce
a coniugare – in una prospettiva che potremmo definire «win-win» – le
40 istanze datoriali verso una organizzazione del lavoro più efficiente e ra- zionale, con le esigenze e le aspettative di una forza lavoro sempre più desiderosa di avvalersi delle nuove opportunità offerte dalla tecnologia digitale per ricavarne maggiori margini di autonomia, con riguardo tanto all’organizzazione del lavoro che nella gestione dei suoi tempi e luoghi. Un indirizzo mutuato, oltre che da una ormai assai vasta stratificazione di studi socio-organizzativi, dalla risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2016, ribadita e ulteriormente sviluppata in quella re- centissima dello scorso 21 gennaio, che fra i suoi punti qualificanti evo- cava «un approccio all’organizzazione del lavoro basato su una combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione, che non ri- chiede necessariamente al lavoratore di essere presente sul posto di lavoro o in altro luogo predeterminato e gli consente di gestire il proprio orario di lavoro, garantendo comunque il rispetto del limite massimo di
2 Nella normativa sul lavoro pubblico, allo scopo di incrementare la competitività si so- stituisce quello di promuovere la maggiore efficienza della PA, con lo scopo – si legge nella legge del 1998 sul telelavoro – di «razionalizzare l’organizzazione del lavoro e di realizzare economie di gestione attraverso l’impiego flessibile delle risorse umane».
ore lavorative giornaliere e settimanali stabilito dalla legge dei contratti collettivi». I riflessi di questo documento sull’ispirazione del legislatore italiano sono più che evidenti. Un lavoro agile che si intende da esple- tare «senza precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro», chiarisce infatti la norma, sancendo in tal guisa una decisa ed ulteriore evoluzione ri- spetto a quelle forme di lavoro a domicilio o di telelavoro (Gaeta, Pa- scucci, 1998), del quale il lavoro agile è ritenuto una variante più avanzata, abitualmente svolte secondo più rigidi parametri spazio-tem- porali (Cairoli, 20203), malgrado già per quelli non potesse escludersi la possibilità di effettuare la propria prestazione con modalità e tecno- logie mobili (si pensi all’utilizzo dei portatili o, nello specifico, alla vali- getta degli ispettori del lavoro), in alternativa alla forse più comune e nota modalità del telelavoro da casa.
La norma si rivolge esclusivamente a rapporti di lavoro subordinato, a termine o a tempo indeterminato, anche qualora il lavoro agile doves- se eseguirsi «con forme organizzative per fasi, cicli e obiettivi», con ciò volendosi rimarcare la natura volutamente duttile – ma non per questo, come vedremo, autonoma – di questa modalità, coerentemente col suo
duplice scopo di accrescere la competitività dell’azienda o della pub- 41
blica amministrazione, favorendo al contempo la c.d. work-life balance
del lavoratore. A parte forse il solo lavoro intermittente, c’è da ritenere che la modalità agile sia compatibile con le varie forme contrattuali ati- piche – apprendistato, tempo parziale, somministrazione – opportuna- mente adattato (Turrin, 2020). E tuttavia deve indurre a qualche riflessione il dato secondo il quale un gran numero di accordi aziendali in tema di lavoro agile si rivolga esclusivamente a lavoratori assunti con la forma standard del contratto di lavoro a tempo indeterminato, e che solo una minoranza offra un’apertura anche ai lavoratori «atipici», com- presi – abbastanza inspiegabilmente – quelli assunti a tempo determi- nato (Ibidem, p. 401)4.
3 Secondo questo A., «rispetto al telelavoro […] nel lavoro agile si osserva una più ac- centuata disarticolazione spazio-temporale dell’attività lavorativa: collocata a un livello superiore rispetto alla fattispecie del telelavoro, a causa dell’accresciuto impatto delle tecnologie digitali, tale da suggellare il definitivo passaggio dell’attività lavorativa dalla dimensione aziendale a quella da remoto» (2020; p. 257).
4 L’A., che ha esaminato 50 accordi, ha rilevato come ben 28 contengano una disposi- zione di questo tipo.
La normativa sul lavoro agile, si applica, se compatibile, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche – per le quali già esiste, diversamente che nei settori privati, una legislazione in materia di telelavoro – «fatta salva l’applicazione delle diverse dispo- sizioni specificamente adottate per tali rapporti».
L’accordo relativo alla modalità di lavoro agile «è stipulato per iscrit- to», e ciò solo ad probationem, «ai fini della regolarità amministrativa e della prova» (art. 19).
Sono ampi i rimandi all’autonomia privata di una legge, che altrimenti si caratterizza per la sua cornice relativamente leggera, seppur incen- trata intorno ad alcuni principi indispensabili, come: la genesi pattizia, frutto di una libera e sempre revocabile scelta delle parti (Andreoni, 2018; Xxxxx, 2021); l’esecuzione in forma mobile e alternata fra posta- zioni interne ed esterne ai locali aziendali, l’assenza di vincoli di luogo e tempo, «entro i soli limiti di durata massima dell’orario»; la parità di trattamento normativo ed economico (Cairoli, 2020).
Elemento essenziale affinché possa validamente instaurarsi un rap- porto in modalità agile è che ciò sia stabilito «mediante accordo fra le
42 parti» (art. 18), ulteriormente sviluppato dall’art. 19, relativamente al compito di disciplinare le forme di esercizio del potere direttivo e del controllo. Si tratta di una condizione che sembra quasi contraddire la
fattispecie della subordinazione (Xxxxxxxxx, 2017; Xxxxx, 2021), allu- dendo ad una sorta di potere direttivo consensuale e non invece unila- terale, ad un equilibrio di poteri, non contemplati dall’assetto strutturalmente asimmetrico postulato dall’art. 2094 del codice civile. E che, di fatto, potrebbe non tardare a manifestarsi, qualora il lavoratore si vedesse avanzare una richiesta di «remotizzazione» da parte del la- voro, come avvenuto in questi mesi di emergenza pandemica, in com- pleta deroga al principio consensualistico contenuto e prescritto nella norma del 2017. Malgrado non manchino evocazioni per le quali spazi peculiari della prestazione autonoma, specie nella forma della collabo- razione coordinata e continuativa, paiono ora insediarsi nel rapporto di subordinazione, deviandone la matrice causale – l’accordo individuale fra le parti, il venire meno dei tradizionali vincoli spazio-temporali, una qualche obbligazione di risultato – deve ritenersi da escludersi un su- peramento del rapporto di subordinazione. Il «lavoro agile» – da questo punto di vista – non rappresenta una autonoma tipologia contrattuale
(Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, 2017; Xxxxx, 2017; Xxxxxxxxx, 2017; Cairoli, 2020), un tertium genus, bensì una espressione particolare, «speciale» (Perulli, 2017)5, con cui oggi può esercitarsi la fattispecie subordinata. Essa ri- mane infatti inderogabilmente tale riguardo all’an, risultando solo diver- samente espletata relativamente al quomodo, secondo modalità attenuate e «destandardizzate» di etero-direzione, come del resto la qualificazione ex art. 2094 non ha mai precluso per figure lavorative e professionali intrinsecamente dotate di ampia autonomia organizzativa. Xxx manager ai docenti di vario ordine e grado. Altre norme, del resto, assoggettano a previo accordo col lavoratore talune prerogative in capo al datore di lavoro, senza per questo incidere sulla fattispecie. Ad esem- pio in materia di controlli a distanza (relativamente a dispositivi di even- tuale geo-localizzazione) o di tutela della privacy e dei dati personali, secondo quanto disposto dal Regolamento UE n. 2016/679.
A rinsaldare le prerogative datoriali, attenuate dalla parziale rarefa- zione spazio-temporale del suo potere civilistico di comando, giungono più avanti una serie di disposizioni volte a ribadire il potere direttivo, di controllo e sanzionatorio del datore di lavoro. Cosicché, l’accordo re-
lativo alla modalità di lavoro agile «disciplina l’esecuzione della presta- 43
zione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore». E, più avanti: «L’accordo re- lativo alla modalità di lavoro agile disciplina l’esercizio del potere di con- trollo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali nel rispetto di quanto disposto dall’arti- colo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni» (art. 23). Un potere di controllo, relativamente all’esatto adempimento
5 Scrive X. Xxxxxxx: «Tale subordinazione parzialmente “condivisa” attraverso il medium del contratto individuale non esprime affatto una contraddizione in termini. Essa appare, peraltro, conforme sia alle tendenze evolutive più generali del lavoro subordinato, sem- pre meno caratterizzato da schemi gerarchici e unilaterali di organizzazione del lavoro, sia con l’evoluzione della nozione di potere nell’ambito della teoria generale, che regi- stra una perdita del carattere discrezionale dei diritti potestativi, sia con una visione “procedurale” della subordinazione nell’ambito di rapporti, come quello agile, caratte- rizzati da una notevole capacità proattiva del prestatore». Inoltre, nel telelavoro pubblico la disciplina legale impone al datore di lavoro di fornire strumenti di lavoro, a differenza che nel lavoro agile dove l’assegnazione di strumenti tecnologici da parte del datore è del tutto eventuale (2017, pp. 258-259).
del risultato della prestazione, a cui si aggiunge canonicamente quello disciplinare, in base al quale: «L’accordo di cui al comma 1 individua le condotte, connesse all’esecuzione della prestazione lavorativa all’ester- no dei locali aziendali, che danno luogo all’applicazione di sanzioni di- sciplinari».
Insieme all’accordo individuale fra le parti e all’assenza di precisi vin- coli di luogo e orario di lavoro, una terza condizione essenziale affinché possa sussistere un lavoro agile nelle forme con cui lo qualifica e tutela il legislatore è che la prestazione venga eseguita in alternanza, vale a dire «in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa». Sarà l’accordo individuale a precisare con quali scansioni e frequenze ciò avrà luogo. Gli unici limiti previsti dovranno essere quelli della «durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva». Quello del rientro in presenza, secondo scansioni e proporzioni che la legge non predetermina, costituisce un elemento essenziale di questa modalità lavorativa, garantendo il rispetto di quelle esigenze di socialità che nessuna virtualità dei collegamenti è in grado di surrogare, e scon-
44 giurando eventuali rischi di isolamento esistenziale e di marginalizza- zione professionale in seno alla comunità lavorativa. Un’altra tipica materia su cui sarà necessario, e non solo opportuno, che intervenga
la contrattazione collettiva, a supporto di quella individuale.
Per «locali aziendali» si deve assumere un’accezione ampia, purché vi sia comunque una pertinenza diretta e chiara, afferente al proprio da- tore di lavoro, sicché un eventuale spazio di coworking utilizzato da più datori di lavoro, a prescindere da chi ne sia proprietario, non può inte- grare una situazione di lavoro agile (Cairoli, 2020).
«All’esterno senza una postazione fissa», costituisce una precisazio- ne della massima importanza, in quanto postula la più grande libertà del lavoratore nello scegliersi il luogo dal quale effettuare la propria mansione. Anche nella prospettiva di un numero indeterminato di po- stazioni. È da presumere che l’accordo individuale possa comunque inserire alcune garanzie, ad esempio sotto il profilo della qualità della connessione – quando prevista – in relazione ad eventuali momenti o orari di reperibilità, qualora ritenuti necessari dal datore di lavoro per il necessario raccordo o coordinamento del personale. A maggior ragio- ne, qualora dovesse esservi un collegamento fra il lavoratore remotiz-
zato ed una utenza esterna, come nel caso – vagliato contrattualmente in questi mesi – dei servizi al cliente, tipico nella telefonia mobile.
«I limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settima- nale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva» sono da in- tendersi a garanzia di quelle esigenze di conciliazione, poste fra i due obiettivi principali della legge. Dunque, malgrado l’elasticità con cui ver- rà concretamente svolto, l’orario di lavoro continua ad esistere e a co- stituire il necessario riferimento per la commisurazione del corrispettivo trattamento economico-normativo, cosicché i suoi vincoli, per quanto più imprecisi che nella modalità di prestazione standardizzata in pre- senza, non scompaiono del tutto, al fine di assicurarne il rispetto della durata massima. Ciò non implica che le parti non possano scegliere modalità orarie della prestazione assai più varie e flessibili che non nell’orario di lavoro normale.
«L’accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la discon- nessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro».
Quello alla disconnessione è un principio che il legislatore italiano ha mutuato da quello francese6, che però più esplicitamente ne parla come 45
«diritto» (Russo, 2020), e di recente ribadito dalla Risoluzione del Par- lamento Europeo del 21 gennaio 20217. Qui il tema dell’organizzazione del lavoro si interseca con quello della tutela della salute, il diritto al ri- poso, alla conciliazione, alla privacy. Il c.d. diritto alla disconnessione, come si dice, «a staccare la spina», consiste «nella facoltà del lavoratore di non utilizzare strumenti tecnologici e di non essere coinvolto in co- municazioni elettroniche relative alla dimensione lavorativa al di fuori dell’orario di servizi […], senza ovviamente subire alcun tipo di riper- cussione negativa nel caso in cui – terminato l’orario di lavoro – il di- pendente spenga il cellulare di servizio e il computer, non risponda a telefonate provenienti da colleghi, superiori o sottoposti, non risponda a mail e messaggi durante le ferie, le festività, i periodi di riposo» (Rus- so, 2020; p. 684).
6 L. n. 1088/2016 (Loi Travail) art. L. 2242-17, comma 7, del Code du travail, e succes- sivamente emulato da quello spagnolo, con Ley organica n. 3/2018, art. 88, e svizzero.
7 Non ne aveva invece fatto menzione l’Accordo quadro sulla digitalizzazione, siglato a livello europeo a giugno 2020.
Tutte le indagini sociologiche condotte in questi ultimi anni (v. infra, Xx Xxxxxx), sin da quando si iniziò a sperimentare e a discutere di tele- lavoro, convengono nel rinvenire in una dilatazione incontrollata dei tempi di lavoro uno dei maggiori e più ricorrenti rischi correlati all’iper- connessione, in generale, e a questa modalità di lavoro in particolare, altrimenti diffusamente apprezzata da chi ne testimonia l’esperienza8, come si evidenza in altre sezioni di questo rapporto. Il riferimento alla durata massima stabilita dalla legge e dalla contrattazione collettiva, a seconda del CCNL di riferimento, ambisce a scongiurare ogni abuso, senza tuttavia che si possa del tutto escludere – al riparo da ogni tipo di verifica operativa – una personale difficoltà del lavoratore ad attenersi ai suddetti limiti, con un sostanziale aggravamento della propria espo- sizione debitoria nel riguardi del proprio datore, con forme di autentico auto-sfruttamento, già diffusamente paventate dalle indagini sociolo- giche sui nuovi modi di lavorare nell’era della digitalizzazione.
Si tratta di uno dei passaggi più delicati dell’intero impianto norma-
tivo, al centro – seppur non previsti dalla legge, ma nemmeno preclusi
– di buona parte degli accordi collettivi aziendali siglati in questi mesi,
46 relativamente all’individuazione di fasce orarie di reperibilità – telefonica e via email – precludendo in ogni caso che ciò possa avvenire prima o dopo precisi limiti orari, definiti negli stessi accordi, compatibilmente col tipo di mansione ricoperta. Va anche detto che, già prima, nulla im- pediva di fatto di essere raggiunti telefonicamente o via email dai propri capi e/o colleghi di lavoro. Le parti hanno in questo modo declinato coerentemente il principio legale dell’assenza di vincoli orari, precisan- do e circoscrivendo le modalità e le fasce orarie di reperibilità, sottin- tendendo una legittima disconnessione per tutte le altre. Si tratta, in ogni caso, di una materia sulla quale la contrattazione collettiva, sor- prendentemente ignorata dal legislatore, potrà e dovrà esercitare un ruolo incisivo di regolamentazione. La legge, infatti, predispone questo diritto restando tuttavia nel vago su come esso debba essere attuato, relativamente a reperibilità e disponibilità funzionale (Cairoli, 2020). Non è l’unico caso in cui le disposizioni si presentano approssimative pro-
8 Basti solo pensare al risparmio di tempo ed energie dovuto all’eliminazione del tragitto casa/lavoro, con significativi guadagni dal punto di vista del tempo libero e del rispetto delle proprie esigenze di vita (Xxxxxxxxx, 2017).
prio quando avrebbero necessitato di maggiore precisione (Turrin, 2020). Tale diritto, come è stato opportunamente notato, «se affidato solo alla negoziazione individuale, rischia di sfumare» (Marchi, 2017; p. 42, nota 107).
Sempre l’art. 18 – autentico architrave dell’intera disciplina del lavoro agile – stabilisce che «il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al la- voratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa». Ciò implica che tutti gli obblighi previsti in capo al datore, a cominciare dalla valutazione del rischio e nella prevenzione di qualunque fattore possa minacciare l’in- tegrale incolumità psico-fisica del lavoratore, valgono nella stessa mi- sura anche quando quest’ultimo opera all’esterno dei locali aziendali (Allamprese, Xxxxxxxx, 2017). In base all’art. 22: «Il datore di lavoro ga- rantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rap- presentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annua- le, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rap-
porto di lavoro». Qui la norma fa appello fiduciariamente alla personale 47
collaborazione del lavoratore, che sarà «tenuto a cooperare all’attua- zione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali» (art. 22). Si tratta di due disposizioni di dettaglio che, fra gli analisti, sono apparse sin troppo generiche, mancando ad esempio un preciso richiamo all’art. 2087 c.c. e, soprattutto, al testo unico in materia di sicurezza (Xxxxx, 2021). Occorre infatti rilevare come, proprio in ragione della grande discrezionalità lasciata al lavoratore di effettuare la sua prestazione «senza una postazione fissa», taluni con- trolli – altrimenti nelle più completa disponibilità e trasparenza all’interno dei locali aziendali – possano divenire poco più che virtuali, se non an- che evanescenti. Basti solo pensare alla qualità ergonomica delle at- trezzature tipiche dell’ufficio, ai rischi muscolo-scheletrici che da una loro non corretta disposizione possono derivarne, all’esposizione ai vi- deoterminali, con relative pause di riposo.
Occorre che lo svolgimento dell’attività lavorativa possa svolgersi mediante «utilizzo di strumenti tecnologici» (portatili, tablet o smartpho- ne), da intendersi qui come elementi accessori del rapporto, evocati
nella norma come possibilità e non dunque come condizione impre- scindibile per aderire allo schema del lavoro agile. Il suo svolgimento in alternanza potrebbe teoricamente ovviare ad una connessione tecno- logica costante, lasciando che in occasione dei rientri in presenza pres- so i locali dell’azienda il datore di lavoro possa esercitare quel potere direttivo e di controllo che questa modalità non abroga certo, limitandoli a modularne diversamente l’espletamento.
La legge non specifica espressamente che gli «strumenti tecnologici» assegnati al lavoratore siano di pertinenza del datore di lavoro, e che ad egli spetti l’obbligo di fornitura al lavoratore, come ad esempio nel caso della legge sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni (Cairoli, 2020). Dice che il datore «è responsabile», oltre che della sicurezza,
«del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavo- ratore», lasciando con ciò intendere che verifiche e valutazioni dovranno potersi effettuare, secondo modalità e tempi su cui – non esplicitato, ma del tutto auspicato – potrà certamente esercitarsi la contrattazione collettiva aziendale, verso la quale la legge 81 ha il grave limite – lo ab- biamo già detto – di non fare che un paio di citazioni. E che invece, gra-
48 zie al combinato disposto fra la remotizzazione emergenziale indotta dalle misure anti-pandemia e l’intraprendenza sindacale a riguardo, ha portato ad un gran numero di protocolli e accordi (FDV-CGIL, 2021),
largamente in grado di ampliare e precisare consensualmente e su base collettiva, prescrizioni e tutele che – sin troppo ottimisticamente – ha rimesso alla sola contrattazione individuale.
«Il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione la- vorativa resa all’esterno dei locali aziendali». Da sottolineare come la previsione si estenda anche agli infortuni sul lavoro occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del la- voratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza.
Per quanto attiene alla retribuzione, l’art. 19 della legge 81/2017 di- spone che il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile abbia diritto ad un trattamento economico e normativo «non infe-
riore a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda». Tale disposizione costituisce un principio di non regresso e al contempo un esplicito divieto di di- scriminazione, che vale sia per i lavoratori a tempo indeterminato che per quelli non standard.
L’art. 18 stabilisce inoltre che «gli incentivi di carattere fiscale e con- tributivo eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di pro- duttività ed efficienza del lavoro subordinato sono applicabili anche quando l’attività lavorativa sia prestata in modalità di lavoro agile». È evidente come su ciò, sebbene non esplicitato, sarà la contrattazione collettiva a svolgere ancora una volta un ruolo chiave (Turrin, 2020).
Una questione controversa, relativamente al trattamento economico, ha riguardato il godimento o meno dei buoni pasto durante le fasi o i giorni di lavoro svolti da postazione esterna ai locali aziendali. Sull’ar- gomento si è pronunciato il Tribunale di Venezia, escludendo questo diritto, laddove invece un gran numero di accordi collettivi ne ha già
sancito la piena fruizione (FDV-CGIL, 2021). 49
Altre disposizioni che qui può essere utile richiamare sono quelle re- lative al diritto all’»apprendimento permanente», che «può» essere ri- conosciuto – quasi a dire che non «deve» necessariamente – nell’ambito dell’accordo individuale, in modalità formali, non formali o informali, e alla periodica certificazione delle relative competenze.
Che si tratti di datori di lavoro pubblici o privati, una priorità nella scel- ta di chi richiederà di lavorare con modalità agile andrà riconosciuta alle lavoratrici, nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di con- gedo di maternità (d.lgs. 151/2001), ovvero dai lavoratori con figli in condizione di disabilità (l. 104/1992).
Come abbiamo già detto, la legge non prevede un ruolo particolar- mente attivo della contrattazione collettiva, preferendogli piuttosto il primato dell’accordo su basi individuali (Marchi, 2017). Ciò nondimeno, il suo impiego non può certo essere precluso (Turrin, 2020; Xxxxx, 2021), ampliando e precisando le garanzie legali, attraverso una più precisa regolazione e predeterminazione di taluni contenuti e modalità di ese- cuzione, senza bypassare ma supportando ulteriormente il consenso espresso dal lavoratore nel patto individuale. Insieme ad esso, andrà
potenziato il diritto all’informazione, alla formazione permanente, al coinvolgimento e alla partecipazione in materia di organizzazione del lavoro, senza escludere la possibilità di concepire un vero e proprio Sta- tuto del lavoro agile, come da più parti – in dottrina – viene suggerito (Xxxxx Xxxxxx, Xxxxx, 2018; Cairoli, 2020).
50
3. Lo smart working nella contrattazione
di secondo livello della Filcams
di Beppe De Sario
Nella stagione più recente – segnata dal contrasto del contagio da SarsCov2 nei luoghi di lavoro e più ampiamente dagli effetti della pan- demia – l’azione negoziale è stata particolarmente intensa, a tutti i livelli. Il sistema di relazioni industriali italiano ha saputo dimostrare la sua ef-
ficacia, costruendo una rete di protezione a favore dei lavoratori e anche 53
a garanzia delle attività produttive.
Lo smart working è richiamato ampiamente nelle norme emergenziali varate attraverso gli atti del Governo e del Parlamento nel corso del 20209. A questo proposito, si possono individuare grossomodo due fasi che coincidono rispettivamente con la prima onda della pandemia e con la successiva «fase 2», caratterizzata dalla riapertura progressiva di molte attività sociali e produttive. Alla prima fase ha corrisposto uno smart working «d’emergenza», sostanzialmente finalizzato a rendere
9 Anzitutto il Dpcm del 1° marzo 2020, che deroga alle modalità di lavoro agile discipli- nate dagli articoli 18-23 della legge 81 del 22 maggio 2017. A partire dal Decreto legge
n. 18 del 17 marzo 2020 («Cura Italia») fino alle modifiche introdotte con la Legge di Bi- lancio 2021 si stabiliscono i profili e le condizioni di rischio che «di norma» devono svol- xxxx la prestazione di lavoro in smart working. In base al «Decreto Agosto», poi modificato e convertito in legge a fine 2020 (n. 176 del 18 dicembre) hanno diritto al la- voro agile i lavoratori dipendenti genitori con figli di età inferiore ai sedici anni, i quali risultino in quarantena o la cui attività didattica sia stata sospesa. In base al «Decreto Mille proroghe» (Dl n. 183 del 31 dicembre 2020) la procedura di comunicazione del lavoro agile rimangono almeno fino al 31 marzo 2021 quelle semplificate applicate nel corso dell’emergenza.
immediatamente praticabile la remotizzazione dei rapporti di lavoro – per ogni genere di mansione lo consentisse – anche in deroga alle pur recenti norme stabilite con la legge 81 del 2017, in particolare rispetto all’obbligo di accordi individuali. Anche le causali soggettive per acce- dervi si sono ampliate, in rapporto alle necessità di prevenzione e tutela della salute dei lavoratori e delle lavoratrici. In questo contesto, i settori già strutturalmente predisposti a un lavoro eseguibile da remoto, insie- me alle mansioni fungibili tramite lavoro agile nelle attività «essenziali»
– ovvero attive anche durante il lockdown – hanno visto uno sposta- mento consistente verso il lavoro da remoto, fino a raggiungere nel set- tore privato 1,8 milioni di lavoratori10 nel secondo trimestre 2020, rispetto ai poco meno di 200 mila del medesimo periodo del 2019.
Nella seconda fase, seguente alla riapertura della tarda primavera 2020, hanno avuto luogo diverse tendenze – peraltro bisognose di ne- cessari approfondimenti11 – che da una parte hanno visto una pura e semplice inerzia dei regolamenti d’emergenza definiti durante il lock- down, con limitati aggiustamenti al margine soprattutto per quanto ri- guarda i criteri di rientro al lavoro (individuando categorie prioritarie,
54 oppure fornendo loro garanzie di permanenza in lavoro agile). Dall’altra, vi sono esperienze di contrattazione che hanno colto l’occasione del- l’esperimento forzato per realizzare accordi collettivi finalizzati ad ag- giornare – laddove presente in precedenza – o a rendere strutturale il lavoro agile all’interno dell’organizzazione del lavoro delle aziende. Molti di essi sono segnati ovviamente ancora da vincoli, preoccupazioni e fi- nalità connesse alla crisi pandemica; ma frequentemente nelle premes- se degli accordi si evidenzia come l’adozione dello smart working – più estesa, quantitativamente, e più integrata dal punto di vista funzionale nei processi produttivi – si collochi all’interno di una visione di cambia-
10 Cfr. Xxxxxxxx Xxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxx, Il lavoro da remoto in Italia durante la pan- demia: i lavoratori del settore privato, Note Covid-19, Banca d’Italia, 22 gennaio 2021. Per il settore pubblico, dopo il picco di aprile-giugno 2020, con percentuali di lavoratori in lavoro agile intorno al 60%, la quota di personale coinvolto si attestata in settembre a circa il 45%; vd. FormezPa, Monitoraggio sull’attuazione del lavoro agile nelle Pub- bliche amministrazioni, novembre 2020.
11 Alcuni spunti generali e focus su singole esperienze negoziali sul tema in Osservatorio CGIL-FDV sulla contrattazione di secondo livello, La contrattazione di secondo livello al tempo del Covid-19, febbraio 2021.
mento organizzativo da cui – per certi versi – sarà difficile tornare in- dietro. Ciò si conferma anche nelle più recenti analisi della CGIL e della Fondazione Xx Xxxxxxxx, evidenziate in un aggiornamento dell’analisi sul- la contrattazione ai tempi del Covid12. In estrema sintesi, gli accordi sul lavoro agile realizzati nel corso della pandemia – e oltre – paiono con- figurare una sorta di «contratti integrativi per gli smart workers», evi- denziando a un tempo l’impatto del lavoro agile sul complesso degli istituti che organizzano la prestazione di lavoro e la necessità di esten- sione dei diritti per i lavoratori e le lavoratrici che sono impegnati in que- sto processo di cambiamento.
Questa premessa sul presente mette in luce un grande attivismo della contrattazione collettiva sul tema del lavoro agile. Allargando lo sguar- do, è possibile osservare – sia a livello generale sia nel perimetro Fil- cams – quanto la contrattazione collettiva si sia già ampiamente confrontata con la regolazione dello smart working, soprattutto nella stagione successiva al varo della legge 81/2017, e nonostante in essa non vi fossero rimandi espliciti ad accordi collettivi, e semmai vi venisse data primazia all’accordo individuale. Ciononostante, la regolazione col-
lettiva del lavoro agile è stata senz’altro praticata largamente, in modo 55
particolare – e in qualità superiore – laddove le relazioni sindacali e le tradizioni contrattuali delle singole aziende, o di categoria, erano in qualche misura predisposte ad accogliere l’innovazione.
Paradossalmente, proprio l’esperimento di massa compiuto durante la fase pandemica, avendo coinvolto lavoratori e lavoratrici con figure professionali e mansioni assai differenti, oltre che con caratteristiche e bisogni soggettivi tra i più disparati (giovani e lavoratori maturi, single e genitori, uomini e donne, ecc.) può consentire di impostare un’agenda negoziale sullo smart working basata su inclusività e parità di tratta- mento, oltre che sulla risposta ai bisogni di conciliazione vita-lavoro, come in una parte consistente della contrattazione precedente.
Difatti, negli accordi degli anni passati non di rado il cuore del con- fronto e dei testi di accordo si concentrava sulle specifiche categorie di lavoratori che potevano ambire al lavoro agile, sulle loro caratteristi-
12 Vd. Osservatorio CGIL-FDV sulla contrattazione di secondo livello, La contrattazione di secondo livello al tempo del Covid-19. Oltre la pandemia: contrattare l’organizzazione del lavoro, giugno 2021.
che e sui loro bisogni. A questo si aggiungevano poche indicazioni ope- rative e di cornice: la regolazione dell’orario in termini di giorni lavorabili in smart working ogni settimana/mese, riferimenti generali alle norme di legge su salute e sicurezza, il trattamento dei dati personali e la tutela delle proprietà e dei dati aziendali. Tutto questo ha dato forma, certa- mente, a uno strumento utile per una maggiore esigibilità della conci- liazione, ma senza configurare il lavoro agile come una tra le modalità
«ordinarie» della prestazione (come avrebbe poi sostenuto la normativa emergenziale).
In qualche modo, la generalizzazione dello smart working durante l’emergenza Covid-19 ha rovesciato questa impostazione: il lavoro agile diviene una condizione per la continuità operativa delle imprese (quan- tomeno delle funzioni adattabili al lavoro da remoto); prefigura una dif- ferente organizzazione del lavoro e in base a questo non risulta di per sé una misura di conciliazione vita-lavoro; semmai questa nuova cor- nice richiede nuove e articolate misure per conciliare lo smart working con le caratteristiche dei lavoratori coinvolti (sempre più varie), con i
xxxxxxx famigliari e con la vita personale più in generale.
56
3.1 Alcuni dati quantitativi: lo smart working 2015-2019
Nella fase precedente all’attuale trasformazione, lo scenario risultava differente sotto diversi aspetti. I primi due Rapporti sulla contrattazione di secondo livello dell’Osservatorio CGIL-FDV hanno evidenziato alcuni elementi generali. Il più evidente fattore discriminante nella trattazione dei temi relativi all’organizzazione del lavoro – e tra di essi lo smart wor- king –, risiede nella dimensione aziendale, vedendo in prima fila le im- prese più grandi. Al crescere delle dimensioni d’impresa, infatti, aumentano considerevolmente anche gli accordi che si occupano di innovazioni dell’assetto organizzativo.
Per avere un maggiore dettaglio sui temi che predispongono effetti- vamente all’innovazione organizzativa, sono state aggregate le voci re- lative a team working, smart working e telelavoro che complessivamente ricorrono in circa il 7% degli accordi aziendali (n. 115 accordi aziendali nel periodo 2017-2019), registrando un aumento di circa 2 punti percentuali rispetto agli accordi del periodo precedente
(2015-2017)13. Considerando la distribuzione di questo tema aggregato rispetto al settore, si può vedere come questi accordi riguardino so- prattutto la manifattura – in particolare il settore meccanico (23%), l’in- dustria agroalimentare (17%) – e il terziario, in cui incide particolarmente il settore del credito e assicurazioni (22,6%).
Come detto, il 2020 ha mutato radicalmente lo scenario, e i dati della prima fase dell’emergenza (per quanto parziali, essendo ricavati da ac- cordi prevalentemente siglati in primavera, quindi soprattutto dedicati alla gestione dell’emergenza sanitaria) mostravano come oltre il 40% di tutti gli accordi facessero riferimento al lavoro agile. Ciò sicuramente si legava alle condizioni di necessità dettate in particolare dalla fase di lockdown e dalle chiusure produttive, insieme alla prescrittività delle nor- me che hanno regolato l’utilizzo del lavoro da remoto nella Pubblica am- ministrazione. La percentuale risulta più bassa nel terziario, anche se va considerato che in questa categoria si ritrovano valori assai diversi: dal commercio/turismo che conta solo il 31% degli accordi sui temi dell’or- ganizzazione del lavoro al credito/assicurazioni in cui questi aspetti ri- guardano circa il 50% degli accordi. Oltre la metà del manifatturiero è
interessato da cambiamenti organizzativi; in particolare presentano per- 57
centuali particolarmente alte l’edilizia (67%) e il chimico (63%).
L’analisi più recente ha inoltre mostrato che nella fase di ripresa e ri- partenza delle attività produttive è cresciuta notevolmente una contrat- tazione del lavoro agile più complessa e articolata, attraverso la sigla di accordi specifici14.
3.2 Caratteristiche dello smart working negli accordi aziendali del perimetro Filcams
Osservando il fenomeno in un arco temporale più ampio, si può no- tare una crescita delle ricorrenze dello smart working nei contratti azien-
13 I due dati si sovrappongono per quanto riguarda il 2017, anno di snodo della norma- tiva sul lavoro agile, ma evidenziano comunque una tendenza all’aumento delle intese a partire proprio dal 2017.
14 Tra gli accordi della fase 1 (corrispondente al lockdown fino alla fine di maggio 2020) che riportano il lavoro agile, i testi specificamente dedicati risultavano 9 su 89, mentre nella fase 2 il rapporto si è rovesciato: gli accordi specifici sono ben 68 su 81, vd. Os- servatorio CGIL-FDV sulla contrattazione di secondo livello, cit., giugno 2021.
dali dal 2017, con l’introduzione della legge 81. Va evidenziato tuttavia che si tratta di valori assoluti limitati che, nel caso Xxxxxxx, si riferiscono a un campione che non supera i 20 testi, entro un numero di accordi e contratti siglati dalla categoria che complessivamente raggiunge i 340 nel periodo 2015-2019. Ciononostante, si possono tratteggiare alcuni aspetti e caratteristiche di fondo. Anzitutto, gli accordi Filcams sullo smart working si concentrano – come d’altra parte quelli nell’ambito di altre categorie – soprattutto tra le aziende medio-grandi (500-1.000 ad- detti) e di grandi dimensioni (oltre 1.000 addetti). Sempre in ambito Fil- cams le attività economiche delle aziende coincidono con alcuni ambiti specifici del terziario avanzato e dei servizi alle imprese: consulenza e assistenza informatica, servizi digitali e applicativi gestionali per le aziende, servizi commerciali, consulenza e servizi per gestione e am- ministrazione aziendale, distribuzione farmaceutica, agenzie per il la- voro, travel management e agenzie di viaggio, gestione immobiliare e commercializzazione, organizzazioni internazionali.
Tabella 2 - Smart working: accordi aziendali 2015-2019
58 (% di accordi sul totale degli accordi aziendali)
2015-2017 | 2018-2019 | Totale | |
Filcams | 2,2 | 12,4 | 4,7 |
Totale accordi | 3,0 | 9,2 | 4,8 |
Fonte: Archivio sulla contrattazione di secondo livello CGIL-FDV, elaborazione dati FDV
In linea generale, oltre a dimensioni aziendali rilevanti per numero di addetti e fatturato, gli accordi Filcams sullo smart working condividono con quelli delle altre categorie un «ambiente contrattuale» articolato e generalmente orientato a introdurre misure di miglior favore su diversi istituti, nonché innovazioni poi entrate a far parte della normativa di leg- ge o della contrattazione collettiva nazionale.
Nei primi accordi considerati, siglati nel periodo 2015-201615, talvolta l’introduzione del lavoro agile nell’impianto dei contratti integrativi
15 IMS Health, Contratto integrativo 2016; Ricoh, Contratto integrativo 2016, Randstad, Accordo sperimentazione smart working 2016.
aziendali rimanda a sua volta a sperimentazioni per le quali si stabili- scono pochi punti cardine. Ad esempio, il numero massimo di giorni/settimana e giorni/mese lavorabili in smart working; i criteri per l’accesso (entro determinate unità/settori aziendali e per determinate mansioni, oltre a criteri soggettivi legati ai bisogni di conciliazione vita- lavoro); utilizzo ed eventuali contributi dell’azienda per connessione e dispositivi informatici. Sulla regolazione più organica si rimanda al con- fronto che sarebbe seguito alla valutazione degli esiti delle sperimen- tazioni, o direttamente a specifiche policy aziendali. Peraltro è interessante anche la collocazione degli articoli riguardanti lo smart working all’interno dei Contratti integrativi: solitamente accanto o entro le sezioni che affrontano il tema del welfare aziendale e della concilia- zione vita-lavoro (flessibilità in entrata e uscita, permessi aggiuntivi, contributi per abbonamenti ai mezzi pubblici, polizze sanitarie integra- tive, ecc.).
Gli accordi del periodo successivo16 (assumendo come spartiacque l’introduzione delle norme contenute nella legge 81 del 2017, da un lato, e l’emergenza Covid-19, dall’altro) presentano caratteristiche più varie-
gate, con la compresenza di spunti innovativi e tendenze consolidate
che sarebbero state riprese nella fase più recente. Resta il nesso con il 59
campo di istituti e interventi legati al benessere organizzativo, alla con- ciliazione, alle pari opportunità e al welfare aziendale. Nel periodo 2017- 2018, probabilmente anche per fattori contingenti legati alla recente introduzione di nuove norme di legge, il lavoro agile si ritrova talvolta fianco a fianco nel testo con l’adozione nei contratti di altre innovazioni della normativa come i congedi per le lavoratrici vittima di violenza/stal- king, o le misure di welfare aziendale rilanciate con la detassazione del Premio di risultato in base alla Legge di stabilità 2016.
Se consideriamo il periodo più ampio che arriva fino al 2019, dal pun- to di vista della regolazione dei tempi e modalità di lavoro le soluzioni sono ancora variegate, in particolare su «reperibilità» e «disconnessio- ne» (il cui termine compare esplicitamente). Ad esempio i contratti oscil- lano lungo un continuum che va da una coincidenza pressoché identica
16 Wagonlit, Accordo smart working 2017; Gft, Contratto integrativo 2018; Alpitour, ac- cordo lavoro agile 2019; Comifar, Contratto integrativo 2019; Ericsson, Verbale accordo smart working 2018; Sixtema, Contratto integrativo 2018; Cineca, Accordo integrativo 2018; Unicef, Accordo smart working 2019; Ceetrus, Contratto integrativo 2019.
dell’orario di lavoro agile con quello in presenza applicato nelle unità di lavoro e nei settori di appartenenza, fino a schemi con fasce orarie più ampie e una definizione di disconnessione centrata sull’orario della pre- stazione (che sia su fasce o assimilata all’orario in presenza) e su una durata di almeno 11 ore, comprendendo l’arco di tempo corrispondente al lavoro notturno. Compaiono sporadici riferimenti alla pausa pranzo per i lavoratori in smart working e al godimento dei buoni pasto. Ri- spetto ai criteri di accesso si osserva una certa variabilità, tra confini circoscritti a determinate categorie di lavoratori (in ottica di conciliazio- ne vita-lavoro o tutela di categorie fragili), specifici ambiti aziendali e mansioni. È maggiormente enfatizzato rispetto al passato il tema della formazione tecnica per agevolare il lavoro da remoto e soprattutto quel- la su salute e sicurezza. È diffusa la disponibilità a fornire dispositivi in- formatici e dotazioni tecnologiche (probabile riflesso dei settori di attività economica delle aziende considerate, prevalentemente attive nel terziario avanzato).
Come detto, infine, la fase emergenziale che si aperta dal febbraio 2020 è stata caratterizzata da un’estensione massiva del lavoro agile.
60 Per certi versi ciò ha rappresentato anche una sperimentazione di mas- sa la quale ha coinvolto non solo molti più lavoratori e lavoratrici rispetto
al passato recente, ma ne ha ampliato la varietà quanto a caratteristiche soggettive (età, genere, condizione famigliare, condizione di salute, at- titudini alla tecnologia, ecc.) e professionali (profili, mansioni, ecc.). Seb- bene la prima fase, corrispondente con il lockdown della primavera 2020, di fatto abbia coinciso con una remotizzazione forzata del lavoro, questo processo ha attivato in molti contesti un confronto tra le parti per un’integrazione effettiva del lavoro agile nell’organizzazione del la- voro.
Al momento non è possibile individuare tendenze consolidate e ca- ratteristiche specifiche del lavoro agile in ambito Filcams durante la pandemia di Covid-1917. Ciò richiederebbe approfondimenti e un nu-
17 Tra gli accordi recentemente considerati nell’Ossevatorio CGIL-FDV sulla contratta- zione di secondo livello: verbale di Accordo Natuzzi aprile 2020, accordo Voihotels smart working maggio 2020, accordo smart working Cerved group giugno 2020, ac- cordo smart working Eataly luglio 2020, accordo smart working Gft e accordo proroga smart working Xxxxxxx Wagonlit luglio 2020, accordo BCD Travel Italy e Coop Alleanza
3.0 di dicembre 2020, accordo smart working Gromart gennaio 2021.
mero di accordi sicuramente più ampio, anche per una loro lettura qua- litativa. Ciononostante, è verosimile che anche nel perimetro Filcams sia rinvenibile una tendenza alla maggiore integrazione dello smart wor- king nell’organizzazione del lavoro sia per quei settori «pionieristici», tra quelli presidiati dalla categoria, sia per settori che si sono aperti a spe- rimentazioni solo a seguito della pandemia, poggiando però su un «am- biente negoziale» in qualche misura predisposto e in cui vigono buone relazioni sindacali.
A titolo orientativo generale, alcuni spunti emergono dalla lettura delle decine di accordi che hanno affrontato lo smart working nel corso del- l’emergenza Covid-1918. È interessante notare come la trattazione del lavoro agile si allarghi ad altri ambiti tematici e negli accordi specifica- mente dedicati alla sua regolazione si rafforzino alcuni istituti contrat- tuali e i conseguenti diritti: formazione, salute e sicurezza (in lavoro agile), diritti sindacali, partecipazione ai processi di cambiamento or- ganizzativo.
61
I singoli temi di seguito elencati risultano presenti ora nell’uno, ora nell’altro contratto; tuttavia la loro elencazione rappresenta una carto- grafia che riflette l’andamento delle agende negoziali emergenti in que- sta fase. C’è da aspettarsi che diversi temi, tra quelli qui presentati, possano già ritrovarsi in ciò che è stato fin qui realizzato dalla contrat- tazione della categoria, e interrogare anche le sue prospettive future.
⏹ Relazioni sindacali: emerge il tema dei diritti sindacali e della parte- cipazione dei lavoratori dsa remoto (assemblee, bacheca sindacale, liste e comunicati); regolazione del tema dei controlli a distanza.
⏹ Trattamento economico: sono presenti contributi per dotazioni tec- nologiche e spese correlate allo smart working; indennità per pre- senza/turnisti; smart working e Pdr (parametri, valutazione collettiva e individuale, ecc.).
⏹ Orario di lavoro: regolazione delle pause, disconnessione/reperibi- lità, esclusione di straordinario/supplementare, armonizzazione del tempo di lavoro in smart working con il tempo in presenza (in rap- porto al tipo di attività e mansioni), varietà di schemi orari coincidenti o disallineati rispetto all’orario in presenza.
18 Siglati tra marzo 2020 fino a maggio 2021, vd. Osservatorio CGIL-FDV sulla contrat- tazione di secondo livello, cit., giugno 2021.
⏹ Occupazione e rapporti di lavoro: regolazione del mix di lavoro agi- le-presenza e della transizione da presenza a lavoro agile, e vice- versa (accessibilità e reversibilità), definizione di quali mansioni risultano «remotizzabili»; possibilità di polivalenza dei lavoratori posti in smart working (specie nella fase più acuta dell’emergenza sani- taria).
⏹ Formazione: su procedure per la connessione da remoto, uso tec- nologie, corretto utilizzo e tutela delle informazioni e dei beni del- l’azienda, privacy e tutela dei dati personali. Coaching/tutoring per lavoro di squadra.
⏹ Ambiente, salute e sicurezza: aspetti assicurativi e di prevenzione nell’ambito del lavoro agile, con cenni a un maggiore coinvolgimento degli Rls anche per la formazione ai lavoratori agili; misure di inte- grazione sanitaria (check-up, screening periodici, couselling psico- logico) e attenzione ai profili che hanno maggiori fragilità di salute.
⏹ Welfare integrativo: riconoscimento dei buoni pasto, convenzioni per servizi di conciliazione specie riguardanti l’infanzia (per conci- liare lo smart working…).
⏹ Diritti e prestazioni sociali: previsione di aspettative e permessi re-
62 tribuiti per i lavoratori agili; interventi di sostegno alla genitorialità.
4. Xxxxx working e pandemia: un focus sui luoghi di lavoro
di Xxxxxxxxx Xxxxxxx
4.1 Caratteristiche dell’indagine: metodologia e ambiti di analisi
La ricerca si è sviluppata intorno a due assi di attività: un’analisi desk
e un’indagine di campo i cui risultati sono al centro di questo capitolo. 65
L’indagine di campo è stata condotta utilizzando la metodologia quali- tativa dei focus group, strumenti della ricerca sociale volti ad appro- fondire un tema o particolari aspetti di un argomento, mediante interviste rivolte ad un gruppo omogeneo di persone, nel nostro caso i delegati aziendali e RSA/RSU e i funzionari territoriali di un gruppo di aziende appartenenti principalmente al settore del terziario ma non so- lo. I delegati coinvolti nei focus group sono stati individuati dalla Filcams nazionale in collaborazione con alcune strutture territoriali. L’obiettivo dell’indagine di campo è stato di realizzare degli approfondimenti qua- litativi sul processo di diffusione e impiego dello smart working (imposto dall’emergenza sanitaria) nei luoghi di lavoro che hanno dunque costi- tuito l’ambito di osservazione privilegiato, valorizzando il punto di vista, le opinioni e le percezioni dei delegati sindacali e dei funzionari coinvolti. L’indagine si è basata su un approccio esplorativo, non ha riguardato approfondimenti specifici sui contesti aziendali bensì ha focalizzato l’at- tenzione sull’ascolto e sull’apprendimento delle esperienze positive e negative vissute nei luoghi di lavoro in cui l’utilizzo dello smart working
è stato imposto massivamente come risposta allo stato emergenziale dovuto alla crisi pandemica legata al Covid-19.
Nel complesso sono stati svolti 6 focus group in modalità online. Fra questi, 5 sono stati realizzati a Torino, Milano, Firenze, Roma e Bari (te- nendo indicativamente conto dell’articolazione macro territoriale) a cui hanno partecipato circa 50 delegati RSA/RSU rappresentanti di altret- tante aziende appartenenti prevalentemente al settore del terziario ma non solo. Inoltre, è stato realizzato un sesto focus group a cui hanno partecipato i funzionari Filcams territoriali19.
66
19 I focus group, realizzati nei mesi compresi tra ottobre e dicembre 2020, sono stati coordinati da Xxxxxxxxx Xxxxxxx per la Fondazione di Xxxxxxxx e da Xxxxxxxx Xxxxxxxxx per la Filcams nazionale che oltre al coordinamento ha svolto anche un importante ruolo nell’individuazione e organizzazione dei territori coinvolti. Un ringraziamento par- ticolare va a tutti i funzionari, delegati e le delegate che hanno partecipato ai focus group, di seguito ne riportiamo i nominativi. I funzionari: Xxxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxx X’Xxx- xxxxx, Xxxxxxxx Xxxxx, Xxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxxxx Xx Xxxxxx, Xxxxx Xxxxx, Xxxx Xxxxxx, Xxxxx Xxxx, Xxxx Xxxxxxx. I delegati, Bari: Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxx Xxxxxxx, Xxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxxx, Xxxx Xxxxxx. Firenze: Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxx Xxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxx Xxxxxx, Xxxxx Xxxxx, Xxxx Xxxxxxx, Xxxx Xxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxx. Torino: Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxx Xxx- xxxx, Xxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxxx, Xxxx Xxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxxxx Xxx- xxxxx, Xxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxxx Xxxx, Xxxxx Xxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx. Roma: Xxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxx, Xxxx Xxxx, Xxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxxxxxx Xx Xxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxx Xxxx’Xxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxxxxxxx Xx- xxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxxxxx. Milano: Xxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxxx Xxx- mela Xxxxx Xxxx Xxxx Xxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxx Xxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxx Xxxx, Xxxxxx. Nel pa- ragrafo gli stralci di intervista vengono riportati in corsivo.
Tabella 3
Territori | Delegati coinvolti | Aziende | |
1 | Toriuo | 1 gruppo di lavoro (8 delegati) | Aizoon, ADP, WT7, Wanpower, 7cai Finance, C7I Piemonte, EB7CO Informatio 7ervice srl, 7cai Consulting, C7I Piemonte |
2 | Milauo | 2 gruppi di lavoro (uel complesso 14 delegati) | Univar Universal 7olution 7pa, Bravo 7olution, Xxxxxxxxxxx.xx, Isti- tuto europeo di design, F2A, Balrow Class, Tiffany, Carrefour, Apple, Fiera Wilano 7pa, Bmw bank |
3 | Fireuze | 1 gruppo di lavoro (9 delegati) | Uffici Unicoop Firenze, Contacta, GFT, Ricoh, BCD Travel, Fonda- zione 7istema Toscana, Ikea, Casalini Libri, Diocomo Digital, Wan- power, Arval |
4 | Roma | 2 gruppi di lavoro (uel complesso 19 delegati) | Goldbet, 7iCamera, American E/press, Easily Italia, Unione Italiana Cechi, Comitato Italiano Unicef, Notartel, Istituto Alta Formazione, Vodafone Automotive, Fondazione Wusica per Roma, Cineca, Amne- sty International, Grandi 7tazioni Rail |
5 | Bari | 1 gruppo di lavoro (5 delegati) | 7oget, Cerved, Hoist Finance Hoist Finance, Caf CGIL, Patto Terri- toriale Nord Barese Ofantino |
Gli ambiti della discussione affrontati nei focus group hanno riguar- dato sostanzialmente tre assi tematici:
⏹ I cambiamenti e le trasformazioni dello smart working pre Covid e post Covid
⏹ Le criticità e le opportunità dello smart working
⏹ L’impatto dello smart working sull’agire sindacale 67
Per quanto riguarda le caratteristiche e i settori delle aziende, sotto il profilo della dimensione troviamo prevalentemente aziende medio grandi e grandi; sono presenti anche alcune multinazionali. I settori pro- duttivi invece coincidono prevalentemente con ambiti specifici del ter- ziario e dei servizi alle imprese: consulenza e assistenza informatica, servizi digitali e applicativi gestionali per le aziende, servizi commerciali, consulenza e servizi per gestione e amministrazione aziendale, distri- buzione farmaceutica, agenzie per il lavoro, gestione immobiliare, or- ganizzazioni internazionali. Inoltre le informazioni raccolte hanno riguardato anche alcune realtà aziendali della grande distribuzione, del commercio e del settore dei beni culturali. Il settore del terziario avan- zato costituisce un ambito di approfondimento stimolante da conside- rare come apripista per individuare esperienze aziendali e pratiche di contrattazione sullo smart working anche precedenti all’emergenza Co- vid-19. Il settore, che si caratterizza come settore flessibile e dinamico orientato a rispondere a una domanda diretta dei mercati e dei clienti, è costituito da una serie di servizi estremamente vari che si sono diffusi
soprattutto negli ultimi decenni in seguito allo sviluppo della tecnologia e delle telecomunicazioni. La complessità e la molteplicità dei servizi che caratterizzano questo comparto, ha evidenziato però come nella realtà, anche in un settore che «sulla carta» presenta caratteristiche specifiche per la diffusione e l’utilizzo dello smart working, in realtà non sia una modalità inserita nell’organizzazione del lavoro per diverse mo- tivazioni riconducibili prevalentemente a culture aziendali, ma anche sindacali, sbilanciate ancora su approcci al lavoro di tipo tradizionale. I risultati di questo percorso partecipato e condiviso sono stati fina- lizzati a fornire primi spunti di riflessione e strumenti utili alla contratta- zione sul lavoro agile. Come riportato da un funzionario nel corso di un focus group, «le difficoltà emerse nel siglare accordi sindacali aziendali e territoriali sono un segnale evidente di quanto ancora la contrattazio-
ne non sia tanto da elaborare ma da rivendicare e ottenere».
4.2 La diffusione e l’utilizzo dello smart working
L’introduzione repentina resa necessaria dalla pandemia dello smart
68 working si è calata in contesti aziendali profondamente diversi sotto il profilo dell’organizzazione del lavoro e delle relazioni industriali. Al di là delle specificità, quello che emerge dalle interviste con i delegati è che lo smart working prima della diffusione del Covid-19 non costituiva una pratica di lavoro diffusa e consolidata nei contesti aziendali, se non in alcune grandi aziende. Abbiamo rilevato sostanzialmente tre gruppi di aziende in relazione all’utilizzo e alla contrattazione dello smart working. Un primo gruppo (poche) è costituito dalle aziende, in cui le pratiche e le esperienze di contrattazione sono state «anticipatorie», ovvero messe in atto già prima della fase emergenziale. Si tratta prevalentemente di aziende di grandi dimensioni che hanno sperimentato progetti di smart working al proprio interno. Le sperimentazioni hanno riguardato solo specifiche mansioni, specifici reparti o uffici e rispetto alla durata della prestazione, i giorni di smart working erano sicuramente inferiori a quelli in presenza, generalmente uno a settimana. Le sperimentazioni sono state avviate sulla base di accordi individuali stimolati da scelte del la- voratore, su base volontaria. Le sperimentazioni si sono inserite nel quadro dei regolamenti aziendali oppure o sono rientrate in specifici contratti integrativi. Occorre evidenziare però che solo un piccolo nu-
mero di queste aziende è passato dalla fase di sperimentazione alla fa- se di strutturazione e di consolidamento dello strumento. L’esperienza sullo smart working in questi contesti ha consentito una gestione meno improvvisata dello stato emergenziale, essendo avvenuta all’interno di una cornice già delineata che ha consentito di rifarsi a quanto già spe- rimentato ampliando le figure professionali e allungando la durata della prestazione. «Noi abbiamo fatto un accordo aziendale sullo smart wor- king, eravamo già partiti prima della pandemia e il nostro contratto in- tegrativo prevedeva un giorno di smart working. Siamo partiti con una sperimentazione su alcune figure professionali. Dopo la pandemia ab- biamo firmato un accordo individuale ponte per poter far tutti lo smart working sulla base di quanto stabilito nel contratto integrativo e siamo in attesa di poter fare un accordo individuale a regime». E ancora:
«Nell’azienda dove lavoro lo smart working veniva utilizzato da diversi anni, era inserito all’interno di un contratto integrativo aziendale e coin- volgeva un numero limitato di figure professionali. L’accordo si rifaceva alla normativa del 2017, quindi accordo individuale, volontarietà, fasce orarie di compresenza, fasce orarie di flessibilità. Con l’emergenza Co-
vid, nel giro di una settimana tutti siamo passati allo smart working ma 69
l’applicazione è stata meno rigorosa, sono venuti a mancare i principi guida dell’utilizzo di questa modalità che da strumento concepito per la conciliazione vita-lavoro, su base volontaria e concordato con il da- tore di lavoro, ha coinvolto tutti come una valanga».
In un secondo gruppo di aziende rientrano quelle pratiche di contrat- tazione che sono state «avviate ma non concretizzate». Sono state sti- molate dal sindacato e dai lavoratori prime discussioni e primi confronti con le aziende sulle modalità e sull’utilizzo dello smart working che però si sono arenate e non hanno portato all’introduzione di specifiche spe- rimentazioni: «Avevamo iniziato a parlare e proporre una forma speri- mentale di smart working in fase pre Covid ma fino a febbraio avevamo difronte un muro da parte dell’azienda che non riteneva di affrontare lo smart working neanche a livello sperimentale. Poi è intervenuto il Covid che ha rivoluzionato tutto e da marzo l’azienda ha dovuto necessaria- mente mettere tutti in smart working per continuare a lavorare, tranne il magazzino. Dopo l’estate l’azienda ha proposto un accordo sullo smart working da sperimentare fino a giugno 2021 chiedendo la firma di un accordo, si tratta di una bozza di accordo che presenta punti van-
taggiosi: viene lasciato un ampio margine di scelta al lavoratore di la- vorare in sede o da casa, si richiede 1a disponibilità di un giorno di pre- senza in sede, vengono mantenuti i ticket e viene fornito a tutti il computer aziendale. Il lato negativo è costituito dal fatto che viene ri- chiesto di lavorare solo dalla propria residenza abituale, è più simile al telelavoro che non allo smart working».
Infine, il terzo gruppo è costituito da quelle aziende con pratiche di
«contrattazione assenti». Prima del Covid lo smart working non era mai stato oggetto di confronto e discussione tra sindacato e azienda. «Lo smart working non rientrava nell’approccio e nella cultura dell’azienda». In sintesi dunque, nella maggior parte dei contesti aziendali, lo smart working «spinto» svolto durante la prima fase emergenziale, così come quello utilizzato nella cosiddetta fase 2 di parziale rientro in sede, è sta- to applicato nella maggior parte dei casi in assenza di accordi indivi- duali e laddove presenti non sono stati del tutto applicati, complice anche la previsione normativa che ha stabilito che in fase emergenziale lo smart working potesse essere concordato senza alcun accordo in-
dividuale: «Gli eventi hanno superato gli accordi».
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4.3 L’evoluzione nella percezione dello smart working
4.3.1 Xxxxxxxx e svantaggi
Non è ancora affatto chiaro quale sia il sistema dei vantaggi e degli svantaggi individuali con l’utilizzo del lavoro agile. Ciò che costituisce un vantaggio per qualcuno può non esserlo per altri, e viceversa. La questione che appare fondamentale è il rispetto dei diritti di ciascuno di chiedere forme di flessibilità coerenti con i propri ritmi e stili di vita, ovvero la volontarietà della scelta, al di là di ogni imposizione. Nel corso dei focus group un’attenzione specifica è stata dedicata alla discussio- ne dei limiti e delle opportunità, dei vantaggi e degli svantaggi percepiti dai lavoratori rispetto allo smart working. Dalla discussione e il confron- to emerge chiaramente come il lavoro in smart working sia vissuto e percepito in maniera non omogenea; le dimensioni e le variabili che en- trano in gioco sono tante e influenzano il lavoratore a seconda della sua condizione soggettiva. Lo smart working emergenziale, nel periodo del lockdown, ha consentito ai lavoratori che svolgevano mansioni «trasfe-
ribili a casa», di mantenere i livelli salariali invariati, di evitare e contenere i rischi legati al contagio e alla diffusione dell’epidemia Covid-19 e, per i lavoratori con figli in età scolare, di conciliare il lavoro con la presenza dei figli in casa. Inizialmente dunque i lavoratori hanno accolto con grande entusiasmo il fatto di lavorare a distanza da casa. «Con il pas- sare dei mesi però l’aspetto positivo iniziale ha cominciato a perdersi soprattutto da parte delle donne che si sono trovate in difficoltà a con- ciliare tempi di vita, figli e tempi di lavoro. Ma non solo per le donne au- mentano le problematiche: ho bisogno di uscire, ho bisogno di incontrare i colleghi, ho bisogno di vita sociale che avviene anche nei luoghi di lavoro».
Per alcuni lavorare a distanza acuisce la solitudine e l’isolamento tan- to da percepire il bisogno di un supporto psicologico, altri dalla solitu- dine lavorativa traggono un vantaggio, ottimizzano i tempi per recarsi in ufficio, riescono a organizzarsi i tempi di lavoro in autonomia, hanno spazi e strumentazioni adeguate per poter lavorare. Le variabili da con- siderare dunque sono molteplici (condizione abitativa, status sociale, condizione familiare, predisposizioni e inclinazioni soggettive, tempi di
percorrenza e dislocazione delle sedi, ecc.): «Ciò che rappresenta un 71
limite per una persona per un’altra costituisce un’opportunità. Per que- sto è importante sottolineare in sede contrattuale la centralità della scel- ta volontaria rispetto allo smart working».
Il passaggio dalla fase iniziale della pandemia alla fase di parziale rientro in azienda ha segnato una certa inversione di tendenza nelle opi- nioni e percezioni degli intervistati: «Lavorare esclusivamente in smart working, 5 giorni su 5, risulta pesante, i rischi dovuti all’isolamento sono elevati, sicuramente è una modalità utile e vantaggiosa ma dovrebbe basarsi su un’alternanza di giorni in presenza e giorni in sede. La di- stanza porta i lavoratori a non vivere più l’azienda e a perdere il senso di appartenenza. Manca la sensazione di lavorare in un posto».
La maggior parte dei delegati ha evidenziato come nel corso di questi mesi, tra i principali timori e difficoltà manifestati dai lavoratori, ci sia il controllo e la socializzazione.
Nelle aziende i lavoratori temono che le tecnologie utilizzate per lo smart working siano «controllate», in quanto si utilizzano gli stessi soft- ware in azienda e sul computer fornito per lavorare a casa; i lavoratori, di conseguenza, si sentono più sorvegliati, ma nel modo sbagliato, nel
senso che «se in sede venivo controllato da un manager con cui co- munque avevo la possibilità di confrontarmi per fargli capire quale era stato il mio processo produttivo, temo invece che con un controllo a distanza venga valutato più per una quantità che per una qualità di quello che faccio» e i lavoratori temono che la valutazione che gli com- xxxx sia solo nell’ordine del «non hai lavorato a sufficienza».
Nella tavola che segue sono riportati, in estrema sintesi, i principali vantaggi e svantaggi segnalati nel corso delle interviste, separatamente per i lavoratori e le aziende. Va detto che, in merito a tali evidenze, il passaggio dalla prima fase pandemica alla seconda ha fatto registrare comunque una diminuzione dell’ottimismo iniziale – probabilmente le- gato alla «scoperta» di questa nuova modalità di lavoro ed alla perce- zione della limitata porzione di tempo nel quale essa si sarebbe dovuta esercitare – lasciando il posto, con il perdurare dei mesi, ad un maggior realismo che ha certamente consentito un atteggiamento più realistico da parte dei lavoratori ed una accentuazione delle loro esigenze di par- tecipazione attiva alla vita aziendale e condivisione e socializzazione dei processi di produzione in cui sono coinvolti.
72 Tabella 4 - Principali vntaggi e svantaggi dello smart working secondo la percezione degli intervistati
Vantaggi | Svantaggi | |
Per i lavoratori | Mauteuimeuto reddito Couciliazioue vita e lavoro Couteuimeuto rischio coutagio Ottimizzazioue del tempo traffico/per- correuza Couteuimeuto costi trasporti e beuziua Couteuimeuto stress | Eccessivo coutrollo del lavoratore Spazi iuadeguati (case piccole) Quvasioue del lavoro uella sfera privata Difficoltà a discouuettersi e cousegueute au- meuto del tempo di lavoro Maucauza di dotazioui iuformatiche per lavo- rare Scarsa autouomia e couosceuza delle tecuologie Maucata erogazioue di buoui pasto Aumeuto costi di gestioue della casa Scarsa socialità, povertà delle relazioui/solitu- diue e aumeuto stress Problemi di salute (legati alla postura) Pressioui lavorative e diritto alla discouuessioue |
Per le aziende | Mauteuimeuto della produttività Riduzioui costi Possibilità di rimauere operative | Coordiuameuto del lavoro Coutrollo della produttività Gestioue delle procedure |
4.3.2 Il sistema dei diritti
L’introduzione così massiccia e rapida dello smart working ha fatto
vacillare alcuni diritti dei lavoratori precedentemente consolidati, anche in virtù delle nuove modalità di espletamento dei lavori stessi. Così, ad esempio, il diritto al buono pasto, è stato messo in discussione da mol- te aziende sulla base del concetto che lavorando da casa il lavoratore potesse non averne più diritto. Anche i permessi, ad esempio, con l’in- troduzione del lavoro agile possono aver perso il loro senso originario, dal momento che il lavoratore può svolgere le sue mansioni in qualsiasi orario della giornata. Ciò che va detto, in proposito, è che al di là delle valutazioni di merito che ciascuno può fare in materia, le aziende sino ad ora, in mancanza di un quadro di regole condiviso, si sono compor- tate in maniera differenziata e spesso arbitraria. «Per il post pandemia noi temiamo che venga perso anche qualcosa dal punto di vista dei di- ritti, per esempio negli incontri che stiamo avendo ci hanno già pro- spettato che l’idea di ricorrere allo smart working per tanto tempo potrebbe consentirci di avere più tempo da dedicare al lavoro nei casi in cui noi avessimo bisogno dei permessi, in sostanza vogliono assor- bire i ROL perché dicono che se dovessimo avere necessità di un per- messo orario, possiamo poi recuperare quel tempo che perdiamo per
il nostro permesso, lavorando quando rientriamo. Cosa che non va as- 73
solutamente bene, dal nostro punto di vista, perché è a rischio un diritto acquisito e fondamentale pensando che si possa continuare a lavorare ad oltranza nell’arco della giornata quando rientriamo; ci sono diverse sfaccettature e risvolti della medaglia il nostro timore è che qualcosa possa ritorcersi contro di noi; non siamo contrari allo smart working ma siamo contrari al fatto che lo smart working tolga pezzi di diritti. […] è il concetto di smaterializzazione del lavoro che si porta dietro, mi viene da definirlo così, cioè oltre la sede e l’orario di lavoro, il concetto che io divento quasi un libero professionista e siccome mi gestisco il lavoro e gli orario come voglio io, a questo punto supero il concetto di orario di lavoro, quasi supero il concetto di ferie, di permessi perché tanto se tu vuoi scendere a prendere il pane alle 3 del pomeriggio non è che devi chiedere il permesso per uscire dall’ufficio ma sei lì e vai. Però questo è molto importante dal punto di vista contrattuale – vuol dire che ci ri- troviamo in una battaglia che rischia di essere persa se non siamo bravi anche noi a cogliere la palla, perché lo smart working è come un grande pallone che sta rimbalzando».
Affermazioni come quella sopra riportata sono state evidenziate nel
corso degli incontri svolti ed hanno consentito di porre in risalto un aspetto fondamentale dello smart working e, occorre dirlo, più in ge- nerale proprio di tutto il concetto di distanziamento fisico imposto dal- l’evento pandemico: la «liquidità» del sistema relazionale, ciò che essi hanno definito «smaterializzazione», come se i luoghi fisici dell’incon- tro/scontro sociale fossero stati improvvisamente azzerati, relegando ciascuno nella propria abitazione a svolgere – spesso anche con mezzi propri – le funzioni esistenziali e lavorative. E il timore generato da que- sto isolamento, da questa repentina destrutturazione dei sistemi rela- zionali e lavorativi, viene concretamente avvertita come prodromica a possibili destrutturazioni anche delle regole contrattuali stesse, ovvero andare ad incidere sui diritti contrattuali acquisiti trasformando di fatto i lavoratori delle aziende in semiprofessionisti a busta paga, nuove fi- gure professionali indefinite. In altri termini, in un sistema aziendale che man mano si allontana e, appunto, quasi «smaterializza», il lavoratore oltre all’isolamento intravede anche all’orizzonte la possibilità che – complice l’epidemia – qualcuno possa addirittura spingersi sino a rive- dere le regole del gioco e rimettere in discussione il sistema delle forme
74 contrattuali e dei diritti sindacali.
L’erogazione dei buoni pasto è stato uno dei principali ambiti di con- fronto e discussione nel corso del 2020 tra aziende, lavoratori e sinda- cato. Nei luoghi di lavoro le scelte aziendali e le soluzioni adottate sono state differenziate. Solo in pochissimi casi, si tratta prevalentemente di aziende di grandi dimensioni, i ticket ai lavoratori in smart working sono stati garantiti in continuità con le stesse modalità previste per il lavoro in sede. «L’azienda si è mossa in maniera piuttosto rigorosa: ha fornito strumenti, regole e soprattutto ha continuato a dare quei benefici come per esempio i ticket restaurant».
Tendenzialmente nella prima fase emergenziale del lockdown i buoni pasto non sono stati erogati. Ciò è accaduto anche in quei luoghi di la- voro dove lo smart working era stato previsto e sperimentato già prima della diffusione della pandemia. In queste aziende la sperimentazione aveva riguardato solo un numero limitato di figure che lavoravano a di- stanza solo qualche giorno al mese, tendenzialmente uno a settimana e nell’accordo individuale l’erogazione dei ticket non era prevista. Quin- di le aziende hanno fatto riferimento agli accordi e ai regolamenti definiti nella fase pre Covid. «Nell’azienda dove lavoro, avevamo concluso un
accordo, un contratto integrativo prima del Covid, grazie al quale ave- vamo già la possibilità di inserire una giornata di smart alla settimana senza erogazione del ticket: da febbraio essendo tutti in smart working, non abbiamo preso ticket per tutti questi mesi».
Nel corso dei mesi successivi, a partire da maggio con il parziale rien- tro in sede, l’erogazione dei ticket ha subito un’evoluzione anche su spinta del sindacato in azienda e dei lavoratori. I ticket sono stati erogati di nuovo in base alla presenza in sede e sono stati riconosciuti anche per i lavoratori in smart working. «Il fatto di non avere più i buoni pasto era in realtà una riduzione salariale: siamo riusciti con una battaglia in- credibile a recuperare 3 giorni di ticket durante lo smart working che ci erano stati tolti» (delegato). In altri contesti questo è avvenuto dopo la ripresa estiva: «L’azienda ha riconosciuto il ticket dal 1° ottobre alla fine dell’anno specificando però che non deve essere considerato un diritto acquisito ma solo per questo periodo».
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Poco meno della metà dei delegati coinvolti nei focus group, hanno riportato quanto accaduto nei loro contesti aziendali, ovvero: a partire dallo stato emergenziale e fino alla fine del 2020, i buoni pasto per i la- voratori in smart working, non sono stati erogati. «Nel corso di un in- contro con un’azienda dove lo smart working era l’argomento principale della discussione, ci è stato risposto noi diamo il buoni pasto per an- dare a lavorare. Questo fa capire molto bene la considerazione che al- cuni datori di lavoro hanno dello smart working; lo vedono solo come uno strumento emergenziale. Per questo è fondamentale inserire nella contrattazione futura questo aspetto per non retrocedere sui diritti ac- quisti dai lavoratori».
4.3.3 Le dotazioni e gli strumenti di lavoro
Una delle difficoltà maggiori che i lavoratori hanno incontrato riguarda la dotazione degli strumenti di lavoro necessari allo svolgimento delle attività. Soprattutto nella fase emergenziale, del lockdown generalizza- to, la maggior parte dei lavoratori ha utilizzato strumenti propri (com- puter, rete di connessione, cellulari, sedie ergonomiche, ecc.): «Si può dire che è stata una precondizione per lavorare in smart working». An- che le aziende del terziario avanzato, in particolare del settore della co- municazione, non erano attrezzate per fornire gli strumenti tecnologici. Questo ha creato delle evidenti difficoltà perché non tutti i lavoratori
erano dotati di strumenti informatici personali o comunque, vista la chiusura totale delle attività e delle scuole, soprattutto le persone con i figli in età scolare hanno dovuto riorganizzare i propri orari e spazi tra le attività scolastiche e il lavoro. Inoltre per molte persone le difficoltà erano anche legate all’utilizzo della strumentazione informatica e al ne- cessario adattamento delle tecnologie, dei sistemi e delle piattaforme sui propri computer personali. «Ci siamo adattati, non ci è stato dato alcun tipo di supporto portiamo avanti un’attività praticamente con quelle che sono le nostre forze e con i nostri strumenti». In alcuni casi, pur utilizzando strumenti personali, i lavoratori hanno la possibilità di collegarsi al computer dell’ufficio: «È sempre acceso così da poter ac- cedere ai programmi di ingegneria che ci servono per lavorare: ci col- leghiamo al computer da remoto».
È opportuno evidenziare che solo pochissime aziende hanno imme- diatamente dotato i lavoratori degli adeguati strumenti informatici e tec- nologici di proprietà aziendale (principalmente computer e chiavette di connessione) e sostanzialmente si tratta delle grandi aziende che ave- vano già sperimentato lo smart working prima della diffusione del Co-
vid-19. «Noi avevamo già un contratto integrativo che lo prevedeva un
76 giorno a settimana, eravamo anche tecnologicamente ben dotati in
quanto avevamo un Pc portatile da tempo, siamo organizzati in maniera molto flessibile da un punto di vista tecnologico». Questo è avvenuto in parte solo nei mesi successivi. I lavoratori dunque hanno sostenuto dei costi per l’acquisto di computer e hanno evidenziato anche un au- mento dei costi delle utenze dovute all’utilizzo della rete internet, della corrente, del riscaldamento e così via. «Ognuno di noi ha dato il mas- simo soprattutto per scongiurare la richiesta della cassa integrazione in deroga, non abbiamo ricevuto nessun contributo per le spese soste- nute, rete internet, costi bollette e così via».
Con il passare dei mesi, le condizioni dei lavoratori rispetto alla dota- zione tecnologica si sono via via differenziate sulla base delle diverse soluzioni adottate dalle aziende anche su spinta di specifiche richieste da parte delle organizzazioni sindacali presenti all’interno delle aziende:
I computer
Alcune aziende hanno fornito la strumentazione necessaria a tutti i la- voratori in smart working, o acquistando computer portatili o autoriz- zando il trasferimento del computer aziendale presso l’abitazione del
lavoratore. Altre aziende hanno fornito la strumentazione necessaria in maniera parziale, ovvero solo «ai lavoratori dotati di un computer che non consentiva la connessione VPN oppure non supportava i program- mi aziendali, in quel caso l’azienda ha messo a disposizione sia i note- book sia proprio le postazioni fisse, che sono state smontate dall’ufficio e rimontate nelle case».
I telefoni
La maggior parte dei lavoratori in smart working ha utilizzato i propri cellulari privati. Questo ha costituito un elemento forte di difficoltà so- prattutto in relazione alla gestione degli orari di lavoro: «Lavorando con i clienti ci chiamano a tutte le ore perché non lo trovano mai spento». In alcuni casi l’uso del telefono personale è stato addirittura richiesto da parte di un’azienda del settore del retail, della vendita al dettaglio.
«Ci sono i venditori in negozio e la parte amministrativa in ufficio e per loro lo smart working è ovviamente molto più facile mentre per noi è molto più complicato. Durante il lockdown, con il negozio chiuso, ci è stato richiesto di contattare in primis i nostri clienti fidelizzati e poi con-
tattare a caso altri clienti per cercare di non indirizzarli all’acquisto on-
line, il cui introito non andrebbe alla sede in Italia, ma cercare di farli 77
acquistare da remoto sviluppando la vendita a distanza attraverso il no- stro cellulare personale. I clienti in questo modo però ti possono con- tattare in qualsiasi momento del giorno, anche quando sei libero, e devi comunque rispondere; quindi una grande problematica è che noi non abbiamo una reperibilità prestabilita e questo fa sì che nel momento in cui tu dai il tuo numero privato ad un cliente ovviamente il cliente poi ti chiama quando vuole».
Le postazioni di lavoro
Secondo quanto emerso dalle interviste, le postazioni di lavoro a casa sono state «arrangiate» dai lavoratori che non hanno ricevuto contributi specifici per l’acquisto di sedie ergonomiche, solo in pochissimi casi, così come per i computer, è stato possibile prendere le sedie dall’ufficio e utilizzarle a casa. Per quanto riguarda gli spazi, viene osservato che
«non ci sarà più la scrivania “di proprietà” quando si andrà a lavorare in azienda perché ognuno con il proprio portatile si siederà sulla prima scrivania libera» e ci sarà così persino un risparmio sul servizio delle mense aziendali.
Da quanto osservato sopra, si evince come la situazione emergenziale abbia di fatto letteralmente «catapultato» il sistema dei lavoratori in una nuova realtà individuale spesso poco organizzata aziendalmente ed ar- rangiata presso le proprie abitazioni, con conseguente aumento dei co- sti a carico dei dipendenti e, soprattutto, sconfinamento tra orario di lavoro ed orario di vita, specialmente per le funzioni più esposte con la clientela finale.
4.3.4 Salute e sicurezza
Anche il sistema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori durante la pandemia è decisamente «saltato». Si tratta di un tema al centro nell’ambito dell’organizzazione del lavoro stesso ed è stato og- getto di fondamentali conquiste sindacali nel tempo, sino a giungere oggi ad una compiuta definizione di tutti gli aspetti relativi, sia quando si lavora presso una impresa o amministrazione pubblica, sia quando si lavora a casa nella modalità del telelavoro.
Larga parte dei lavoratori con il lavoro agile invece si sono trovati a
lavorare presso le proprie abitazioni, in concomitanza con la presenza
78 di familiari ed altre persone, in luoghi igienicamente e professionalmen- te non adeguati, senza attrezzature aziendali e con proprie apparec- chiature e connessioni, senza riferimenti precisi circa la loro necessaria reperibilità ed i conseguenti orari da seguire. In sostanza, ciascuna im- presa ha liberamente adottato propri criteri al riguardo, senza poter fare riferimento ad esperienze consolidate e condivise.
Le principali preoccupazioni, in questo ambito, riguardano la tutela della propria salute fisica e psicologica, anche relativamente a possibili infortuni, lavorando come detto in un ambiente domestico spesso non adeguato, «la casa non è uno spazio adeguato per lavorare, si lavora anche in cucina», con dotazioni non verificate al livello sanitario e della sicurezza individuale in generale. Non secondario in questo contesto, peraltro, è l’aspetto della tutela della privacy e dei dati elaborati, in quanto si opera su reti di connessione casalinghe non sempre sicure.
4.3.5 Controllo a distanza e diritto alla disconnessione
In mancanza di chiari riferimenti su orario di lavoro e condizioni di re- peribilità del lavoratore, ciascuno si è sentito costantemente chiamato
ad essere disponibile per l’azienda, talvolta addirittura sottoposto a for- me dirette ed indirette di controllo sulla «presenza» al lavoro, ovvero ri- spondere alle chiamate telefoniche o essere presente davanti al monitor del computer. Tra i disagi prevalentemente manifestati, quello della mo- mentanea assenza per motivi di stretta necessità (che in ufficio appa- rirebbero visibilmente giustificabili) ma che a distanza possono ingenerare del datore di lavoro sospetti o valutazioni negative sull’ope- rato del lavoratore stesso.
«Le aziende ne stanno approfittando e guardano solo l’aspetto della produttività dei lavoratori; non vogliono perdere il controllo sul lavora- tore».
Nel mese di gennaio 2021 il Parlamento europeo ha sollecitato la Commissione a elaborare quanto prima una normativa sul diritto alla disconnessione digitale e del rispetto degli orari di lavoro.
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Una delle distorsioni dello smart working infatti, così come dichiarato nel corso dei focus group, è rappresentata proprio dal fatto che spesso i lavoratori rimangono digitalmente collegati fuori e dentro l’orario di la- voro, con conseguenze negative sull’equilibrio tra vita professionale e vita privata. «Le persone che lavorano da casa hanno più del doppio di possibilità di lavorare ben oltre le 48 ore settimanali»: ciò è stato am- piamente confermato dai delegati che hanno partecipato all’indagine. Anche il diritto alla formazione è stato richiamato nel corso delle in- terviste. La formazione, infatti, viene vissuta come un importante stru- mento per evitare che le competenze digitali, necessarie con lo smart working, rendano obsoleti i lavoratori più avanti negli anni o meno qua-
lificati.
Alcune aziende hanno predisposto apposita attività formativa per i dipendenti, anche nella modalità a distanza, per cercare di colmare il gap relativo all’utilizzo delle dotazioni informatiche da casa; ma per la maggior parte la formazione non è stata praticata, lasciando così al la- voratore l’ulteriore onere di alfabetizzarsi all’utilizzo di quanto necessa- rio per lavorare in modalità agile.
4.3.6 Il rapporto con l’azienda
A differenza del passato, in cui il lavoratore chiedeva e concordava con il datore di lavoro, modalità di smart working, eventualmente con- cesse dal datore stesso per limitati periodi di tempo, con l’emergenza
pandemica si è come ribaltato il ruolo di ciascuno: alcune aziende sem- brerebbero puntare ad un lavoro agile totale anche al fine di conseguire ingenti risparmi nei costi generali aziendali, altre invece vorrebbero ri- tornare alla situazione precedente, considerando la fase emergenziale come una eccezione alla regola dell’estremo contingentamento nell’uti- lizzo dello smart working.
Sta di fatto che, in questo contesto di estrema incertezza, molti la- voratori si sono trovati addirittura a dover chiedere di rientrare a lavorare in presenza presso la sede e a vedersi rifiutata tale possibilità, magari a causa del contingentamento delle presenze dovuto alla pandemia.
L’accelerata e diffusa sperimentazione del lavoro agile ha anche con- sentito di verificare, attraverso l’esperienza diretta, la concreta possi- bilità di effettuare numerosi lavori, mansioni e funzioni, anche nella modalità non in presenza, aprendo così il campo a nuove possibilità e finanche alla trasformazione possibile di molti lavori così come sino ad oggi conosciuti e svolti.
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Numerose aziende si sono calate nell’emergenza pandemica con lo stesso approccio e gli stessi modelli organizzativi di sempre, la stessa rigidità e gli stessi processi lavorativi, semplicemente provando ad ap- plicarli allo smart working. «Mantenere in questi casi i processi lavorativi identici a prima e cambiare solo la sede di lavoro, ha chiaramente ge- nerato molta confusione, sia per le aziende che per i lavoratori, perché i lavoratori non si sono resi conto – e neanche le aziende – che questo non era smart working ma home working, mi viene da definirlo così vi- sto che erano tutti a casa. Per cui io ho notato molta confusione. Le aziende hanno avuto delle difficoltà anche nell’organizzazione gerar- chica e questo è stato percepito dai lavoratori come una mancanza di flessibilità proprio perché come dicevo prima i lavoratori hanno avuto una maggiore capacità di adattamento rispetto a come svolgere il la- voro, adattare orari e momenti della giornata».
4.4 L’agire sindacale durante lo smart working: difficoltà, complessità e pratiche aziendali
A fronte dell’utilizzo massiccio dello smart working, nel settore del terziario, la principale problematica riscontrata in questi mesi dai dele-
gati e dai funzionari della categoria è stata quella di riuscire ad attivare tavoli di contrattazione con le aziende per redigere accordi sindacali sul lavoro agile. Le poche aziende che avevano già sperimentato lo smart working si erano dotate di regolamenti interni e in tempi di pan- demia hanno utilizzato quanto già in essere scegliendo dunque di non coinvolgere il sindacato e i lavoratori su questi temi. La difficoltà mag- giore è stata di «portare al tavolo le aziende per chiedere di contrattare il lavoro agile e fare una contrattazione sindacale, anche se c’è stata una nostra richiesta specifica […], molte aziende hanno redatto il loro regolamento aziendale, l’hanno sottoposto e fatto sottoscrivere ai la- voratori e noi non abbiamo avuto molto margine di trattativa. I lavoratori hanno accettato subito le proposte delle aziende, non c’è stata la pos- sibilità di dire che sarebbe meglio fare un accordo sindacale». Sembre- rebbero poche dunque le aziende che durante i mesi del lockdown si siano dimostrate aperte a una discussione condivisa e disponibili a re- digere accordi sindacali. Primi segnali embrionali di cambiamento di rotta si rilevano in questi primi mesi del 2021 in cui, come evidenziato nel corso dei focus group dai funzionari Filcams, sono previsti incontri
con le aziende per discutere anche dello smart working. L’atteggiamen- 81
to delle aziende sembra essere interlocutorio, «utilizzano la scusa dello stato di emergenza che dà la possibilità di continuare così; non avver- tono la necessità di stipulare accordi aziendali, preferiscono attendere gli sviluppi e i provvedimenti legislativi o il rinnovo del contratto collet- tivo nazionale dato che lo smart working è uno dei temi dell’ordine del giorno nel rinnovo dei contratti nazionali».
L’impiego massivo dello smart working ha avuto un forte impatto an- che sulle modalità dell’agire sindacale nei luoghi di lavoro. Le difficoltà e le criticità evidenziate sono molteplici e riguardano diversi aspetti. In- nanzitutto gli strumenti di comunicazione. I lavoratori non sono in sede. Ciò richiede necessariamente l’adozione di strumenti alternativi che as- sumono una rilevanza centrale visto che la socialità connessa al lavoro è fortemente ridotta se non annullata del tutto visto che i lavoratori sono a distanza. Le soluzioni adottate dal sindacato nei diversi contesti aziendali sono in questo ambito state diverse: bacheca elettronica (ba- cheche virtuali), chat, utilizzo di piattaforme (Teams, Skype, Zoom). Si è riscontrato un diffuso utilizzo delle piattaforme soprattutto per orga- nizzare le assemblee sindacali in videoconferenza, tanto che molti de-
legati hanno suggerito di inserire l’introduzione e l’impiego di questi strumenti nella futura agenda contrattuale aziendale, «noi come strut- tura sindacale dovremo imparare a maneggiarli con sempre più grande attenzione, il vantaggio è reciproco: per i lavoratori è una condizione per mantenere il senso di appartenenza e il contatto con i colleghi e per i rappresentanti sindacali uno strumento per facilitare il contatto e le relazioni con i lavoratori».
In alcune aziende, l’assemblea a distanza ha stimolato una maggiore partecipazione «il lavoratore si sente più libero di partecipare, non passa davanti all’ufficio del capo, magari continua a lavorare ma intanto ascol- ta».
Le opinioni sulle modalità a distanza da adottare per fare le assem- blee sono contrastanti: in alcuni casi l’esperienza dello smart working, del remoto, ha portato ad un incremento delle relazioni sindacali in quanto grazie all’utilizzo delle piattaforme «a un’azienda diffusa sul ter- ritorio come la nostra, dove ci sono 20 RSA che vanno da Bari a Milano e dove riunirsi è molto impegnativo e anche costoso ha consentito in- vece la realizzazione di incontri settimanali sulla piattaforma Teams con
82 la commissione di controllo dell’emergenza Xxxxx, e almeno una volta al mese con gli RLS e la commissione dedicata allo smart working. La modalità a distanza nel nostro caso ha fatto registrare una maggiore
partecipazione».
E ancora: «Ci siamo incontrati puntualmente, almeno una volta al me- se, con le assemblee nazionali, con l’azienda e tutte le rappresentanze sindacali, sia aziendali che nazionali; ci siamo sempre incontrati e con- frontati anche perché abbiamo in ballo la questione del rinnovo del con- tratto integrativo, la regolamentazione dello smart working. Devo dire però che in presenza le questioni e le discussioni vengono affrontate in maniera più efficace».
Per l’organizzazione sindacale la sede fisica di lavoro rappresenta da sempre il luogo dove i lavoratori socializzano l’esperienza, dove si riu- niscono, «oggi non siamo nelle condizioni di farlo […]. La sindacalizza- zione a distanza è difficile: soprattutto per i lavoratori che verranno assunti direttamente attraverso questa modalità, come si coinvolgono queste persone? Per cercare di prevenire questo rischio, i contratti di lavoro per i neo assunti non dovrebbero prevedere l’ingresso in moda- lità di lavoro agile».
In molti contesti aziendali, il contatto, il dialogo e il confronto con i lavoratori sono stati realizzati attraverso l’utilizzo di chat (Messanger, WhatsApp, ecc.). «Abbiamo una bacheca elettronica ma non viene qua- si utilizzata e vista dai lavoratori, per cui noi delegati utilizziamo molto la chat il cui limite però è quello di raggiungere solo i lavoratori iscritti al sindacato. Purtroppo abbiamo perso la comunicazione con i non iscritti». La scarsa possibilità di dialogo con i colleghi che porta ad un frazionamento della collettività aziendale. «Questo determina il fatto che il sindacato nell’azienda rischia di perdere potere: la gente non ci rico- nosce più».
Di fronte alla richiesta dei rappresentanti RSA di prevedere una ba- checa sindacale elettronica, alcune aziende hanno proposto di utilizzare la loro rete, che gira sul sistema interno aziendale: «La nostra attività sindacale non può essere filtrata dall’azienda, non possono pubblicare le nostre cose».
In questi mesi le difficoltà incontrate sono state numerose, è mancato il confronto fisico in azienda, «l’incontro, lo scambio, il consiglio, il sug- gerimento: inizialmente c’è stato un momento di panico generalizzato
che abbiamo gestito telefonicamente, tramite WhatsApp, mail, telefo- 83
xxxx continue. Manca la socialità, l’incontro che si ha alla macchinetta del caffè, la pausa sigaretta, la pausa pranzo, manca sia a livello sin- dacale sia a livello aziendale perché non si scambiano le esperienze la- vorative, non si scambiano informazioni da altri reparti. Le chat non sostituiscono le macchinette del caffè».
Dalle interviste è emerso che nel periodo del lavoro a distanza in al- cuni contesti lavorativi il sindacato ha promosso e realizzato delle rile- vazioni interne volte a monitorare le percezioni dei lavoratori in smart working che in sintesi hanno rilevato un livello di apprezzamento riguar- do questa modalità di lavoro ma tendenzialmente per il futuro auspica- no una modalità di lavoro che alterni giorni in presenza e giorni a distanza nell’arco della settimana. Quasi nessuno ha espresso giudizi positivi sul completo e totale utilizzo dello smart working come modalità unica di lavoro.
La sfida per il sindacato dentro e fuori i luoghi di lavoro è quella di creare percorsi di consapevolezza dell’importanza della tutela collettiva. Uno dei rischi della parcellizzazione del lavoro, del lavoro a distanza è la spinta all’individualismo e il conseguente l’indebolimento del con-
cetto di tutela collettiva. «Finché io sto in ufficio e parlo con il mio col- lega, il problema di due diventa un problema collettivo; se io sto a casa lo percepirò sempre come un problema individuale e magari il problema di chi mi sta davanti non lo conoscerò o lo ignorerò perché il fatto di non avere contatti allontana, per questo il lavoro agile dovrebbe preve- dere il basarsi su un mix di lavoro in presenza e di lavoro a distanza».
«L’isolamento, l’impatto indiretto dello smart working sull’indotto, la preoccupazione diffusa, che non vuol dire essere pessimista ma è la difficoltà che necessariamente avremo di fronte nei prossimi mesi, quando la situazione sanitaria in qualche modo si risolverà ma lascerà una serie di problematiche che non saranno facilmente risolvibili come appunto l’impatto economico e occupazionale sulla forza lavoro». In questo contesto, «ovviamente fare riunioni, incontri, ecc. è comples- sissimo, mentre essere presenti in azienda è più semplice ed ha tutto un altro impatto, sproni di più le persone a partecipare».
A fronte dell’ampio utilizzo dello smart working, il tema dell’azione sindacale appare dunque fondamentale, e nel merito vengono effettua- te interessanti proposte, quali «promuovere il contatto continuo con le
84 persone e promuovere il contatto continuo tra lavoratori e aziende, per- ché l’attività sindacale è fatta di incontri formali ma anche di tanta in- formalità, di capacità di comunicazione con i colleghi, e la macchinetta del caffè è uno degli strumenti sindacali primari nella storia della nostra pratica».
4.5 Conclusioni: riflessioni e spunti per la contrattazione
L’improvvisa forte accelerazione verso questa modalità di lavoro, si è calata in una cornice definitoria non del tutto chiara: smart working (o lavoro agile), lavoro da remoto, telelavoro sono modalità di esecu- zione del rapporto di lavoro diverse spesso utilizzate in maniera sovrap- posta e non appropriata in quanto assumono significati, caratteristiche e ambiti di applicazione differenziati. Lo smart working non è solo il la- voro a distanza ma un «altro modo di lavorare» che dunque necessita di profonde trasformazioni nell’organizzazione del lavoro (flessibilità, autonomia nella scelta degli orari, dei luoghi e degli strumenti da utiliz- zare), che richiedono tempi di adattamento e di consolidamento impor-
tanti e soprattutto richiedono profondi cambiamenti dell’approccio cul- turale dei diversi attori del sistema: imprese, lavoratori e sindacati. L’in- dagine realizzata attraverso i focus group conferma che la maggior parte delle persone in questo ultimo anno ha lavorato secondo modalità più simili al telelavoro che non allo smart working: si è trattato di un tra- sferimento «imposto ed emergenziale» del lavoro dalla sede aziendale alla propria abitazione, utilizzando, nella maggioranza dei casi, gli stessi orari e soprattutto nei primi mesi utilizzando strumentazioni personali e non aziendali (computer, telefoni, connessioni di rete, sedie, scrivanie). Il confronto sindacale nel corso del 2020 ha visto un impegno delle parti dedicato prevalentemente a rispondere alla pandemia sia per gli aspetti di prevenzione e protezione del rischio da contagio sia per i temi specifici dell’organizzazione del lavoro, tra cui lo smart working. Dal- l’analisi condotta attraverso i focus group e dall’analisi dei contratti aziendali è emerso come, tra la primavera e l’autunno del 2020, i per- corsi negoziali non abbiano compiuto evidenti avanzamenti nel settore del terziario rispetto alla definizione di nuovi e specifici accordi sullo smart working Questa tendenza è dovuta anche al fatto che, come det-
to, a differenza del settore della pubblica amministrazione dove lo smart 85
working è stato indirizzato da precisi vincoli normativi e procedurali in- dicati via via nei diversi provvedimenti emanati dal Governo, la norma- tiva nel settore privato non è stata così stringente e vincolante, per cui lo smart working è stato introdotto per lo più unilateralmente dalle aziende in maniera differenziata a seconda delle fasi emergenziali e del- le caratteristiche strutturali aziendali.
Il sindacato, non sempre in maniera omogena nei luoghi di lavoro, pur con evidenti difficoltà, dovute sostanzialmente proprio «alla distan- za con i lavoratori e con i datori», ha agito attraverso azioni mirate a migliorare le condizioni di lavoro nel complesso, come per esempio l’in- serimento dei buoni pasto, la richiesta di dotazioni e strumenti di lavoro, l’adozione di strumenti alternativi per la garanzia dei diritti sindacali e la tutela dei lavoratori.
La sperimentazione di massa dello smart working durante la pande- mia costituisce sicuramente una buona base per il sindacato (e non so- lo) per definire l’agenda della contrattazione sullo smart working. Aver ascoltato e analizzato quanto accaduto nei luoghi di lavoro, consente di fornire primi spunti di riflessione utili alla contrattazione. Innanzitutto
il ruolo della contrattazione collettiva.
La contrattazione collettiva, ad oggi quasi assente sullo smart wor- king, dovrebbe intervenire con nuove modalità che regolino e valorizzi- no le diversità dei settori produttivi, delle aziende, dei lavoratori, dei contesti territoriali; i contratti aziendali dovrebbero fornire schemi aperti di riferimento per la definizione di accordi individuali e non adottare mo- delli rigidi che difficilmente consentirebbero di cogliere le diverse sfu- mature dello strumento e le esigenze sia delle aziende sia dei singoli lavoratori. Tra i nuovi temi oggetto della contrattazione un ruolo rilevante è costituito dall’inserimento e dalla regolazione di piattaforme digitali/in- formatiche decisive per l’adozione di questa modalità di lavoro e per il controllo del lavoro a distanza.
In particolare, i temi al centro dei confronti avviati dal sindacato con le aziende in questo ultimo anno sullo smart working hanno riguardato: Ampliamento delle figure professionali interessate: prima del Covid- 19 molte figure erano espressamente escluse dall’applicazione dello smart working. Con il Covid-19 e l’indispensabile estensione dell’utiliz- zo dello smart working molte figure sono state ricomprese necessaria-
86 mente. Ciò è un elemento che la contrattazione deve tenere in considerazione nel prossimo futuro in quanto conferma la possibilità di miscelare lavoro in ufficio e lavoro da remoto per il lavoratore che ne
avanza l’esigenza;
Durata della prestazione in smart working: prima della pandemia la tendenza era quella di porre limiti precisi al possibile utilizzo del lavoro da remoto (le sperimentazioni aziendali realizzate si basavano preva- lentemente su 1giorno a settimana di lavoro a distanza); con l’esplo- sione della epidemia, soprattutto durante la prima fase emergenziale, questo limite si è esteso fino al completo tempo del lavoro;
Orario di lavoro in smart working: su questo ambito dall’indagine so- no emerse diverse modalità, la più diffusa è quella dell’orario di lavoro coincidente con l’orario di lavoro ordinario in sede; in alcuni casi l’orario è stato regolamentato utilizzando elementi di flessibilità, ovvero all’in- terno delle ore individuali contrattuali ma con la possibilità di svolgere la prestazione in orario libero. Sugli orari di lavoro è stato evidenziato da più parti il tema della reperibilità e degli orari, del controllo (eccessi- vo) delle aziende sul lavoratore, del diritto alla disconnessione. Lo smart working richiede un cambio culturale basato sul passaggio «dal con-
trollo alla fiducia». Secondo quanto emerso dall’indagine, per il futuro consolidamento dello smart working, passata l’emergenza e fatto te- soro di quanto accaduto nei luoghi di lavoro, è indispensabile interve- nire sull’organizzazione del lavoro: il controllo della prestazione lavorativa, non può più basarsi esclusivamente sulla presenza in sede ma su modalità di controllo dei risultati oggettivi nello svolgimento della prestazione stessa. Questo è un tema centrale su cui è necessaria una riflessione profonda e condivisa.
Formazione: è chiaramente emersa l’esigenza di valorizzare le espe- rienze formative, affinché la spinta all’utilizzo di nuove tecnologie non possa divenire con il trascorrere del tempo motivo di obsolescenza an- ticipata di categorie di lavoratori. Anche le esigenze di aggiornamento ed informazione sono state evidenziate come rilevanti nell’ambito della formazione aziendale per i lavoratori.
Dotazioni e strumenti di lavoro: in alcuni casi le aziende hanno messo a disposizione dei lavoratori gli strumenti informatici necessari allo svol- gimento delle attività. In altre aziende invece i lavoratori hanno utilizzato i propri strumenti; la prima soluzione, ad eccezione della fase del primo
lockdown, è risultata la più diffusa. Appare chiaro come lasciare a ca- 87
rico del lavoratore l’organizzazione in ambito domestico della propria dotazione e strumentazione di lavoro, oltre che rischiare di compromet- tere i livelli di sicurezza dei luoghi e delle condizioni di lavoro, possa appesantire i costi sostenuti dal lavoratore stesso, nonché generare una eccessiva confusione tra i tempi di vita e quelli delle attività lavo- rative da svolgere. Occorre dunque definire bene il perimetro di com- petenza aziendale e quello del lavoratore.
Il welfare integrativo: il riconoscimento e l’erogazione dei buoni pasto sono stati al centro della contrattazione aziendale in tutto questo pe- riodo. Da una parte alcune aziende hanno concesso il buono pasto sin da subito, dall’altra, e costituiscono la maggioranza dei casi, la discus- sione è stata più complessa. Anche prima del Covid-19 la contratta- zione aziendale non aveva sciolto il nodo dell’erogazione del ticket, questo anche perché le esperienze (poche) di smart working pre Covid prevedevano tendenzialmente un giorno a settimana, per cui il buono pasto non impattava più di tanto sui redditi dei lavoratori. Il buono pasto era erogato in base alle «giornate di effettivo lavoro» o «lavoro presso la sede aziendale».
Le relazioni sindacali: un altro argomento utile alla discussione con- trattuale riguarda il tema dei diritti sindacali che sono stati messi forte- mente in discussione/difficoltà dalla diffusione e dallo sviluppo dell’utilizzo dello smart working. La presenza in sede e la socialità con- nessa al lavoro sono state ridotte e in qualche caso annullate, dunque il contatto con i lavoratori si è spesso allentato. In alcuni casi sono stati attivati strumenti sindacali alternativi (bacheche elettroniche, assemblee in videoconferenza, chat, ecc.) ma la loro efficacia non sembrerebbe la stessa se confrontata con le modalità «più tradizionali» dei rapporti sin- dacali, basate sulla presenza e sul contatto diretto con i lavoratori.
In conclusione, si può affermare che «il sindacato non può perdere l’occasione, deve utilizzare questo periodo quasi come un volano per una nuova contrattazione e anche un po’ per un cambio di cultura del lavoro, cultura sia sindacale che aziendale, per non disperdere tutte le esperienze che stiamo vivendo, sarebbe un grosso errore».
E parafrasando le parole di uno degli intervistati, la nuova frontiera della contrattazione potrebbe essere proprio il passaggio allo smart working come diritto contrattato, in una prospettiva futura di un cambio
88 culturale della relazione tra lavoratori, sindacato e datori di lavoro.
LO SMART WOREING: DA BENEFIT A DIRITTO CONTRATTATO
BENEFIT
CONCESSIONE
DIRITTO (CONTRATTATO) |
pre Covid
Covid
post Covid
Volendo infine sintetizzare in modo compatto il futuro dello smart working a partire da quanto si è osservato nei luoghi di lavoro, si può affermare che la pandemia abbia aperto la strada ad un più esteso uti- lizzo del lavoro agile e abbia favorito al contempo l’ampliamento delle figure professionali potenzialmente coinvolgibili in questa modalità di lavoro; ma la vera sfida è quella delle trasformazioni più complesse in atto nel mondo lavoro, che richiedono un’ampia partecipazione e nuovi approcci culturali da parte dei lavoratori, delle imprese, del sindacato e delle istituzioni.
La crisi pandemica ha dunque svolto un ruolo di acceleratore di una
trasformazione delle modalità di lavoro che era già in divenire e che, nell’emergenza, si è accelerata con modalità e risvolti organizzativi poco strutturati e non sempre ottimali: il lavoro da remoto, sia da casa, sia in modalità «agile» con maggiore flessibilità dei luoghi e dei tempi di la- voro. Il gradimento di lavoratori e imprese, relative al lavoro da remoto, evidenziano che questa nuova organizzazione del lavoro è destinata con ogni probabilità a consolidarsi anche nel prossimo futuro, lasciando tuttavia intravedere luci e ombre nel suo utilizzo diffuso. Il dibattito sullo smart working, con imprese e parti sociali, appare dunque ancora in pieno svolgimento e con l’impegno e la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti potrà condurre a nuove forme flessibili, ma tutelate e struttu- rate, di organizzazione del lavoro.
89
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