INDICE-SOMMARIO
INDICE I
INDICE-SOMMARIO
DIRITTO CIVILE
Trib. Perugia, Sez. lav., 13 aprile 2011, con osservazioni di XXXXXX XXXXXXX..
CASS., Sez. un., 18 febbraio 2010, n. 3947 e App. Perugia, 3 aprile 2003, con nota di XXXXXX XXXXXX XXXXX: Contratto autonomo di garanzia: profili fun- zionali e applicativi.....................................................................................
Trib. Perugia, Sez. I, 14 gennaio 2010, con nota di XXXXXX XXXXX XXXXXXXX XXXXXXX, Procreazione medicalmente assistita e oggetto della polizza sani- taria.............................................................................................................
DIRITTO XXXXXX
Xxxxx xx Xxxxxx xx Xxxxxxx xx Xxxxxxx, 00 dicembre 2011, K. e S., con nota di XXXXXXX XXXXXXXX, Fenomenologia della prova indiziaria scientifica.........
Tribunale di Sorveglianza di Perugia, 20 ottobre 2011, M., con nota di XXXXXXX XXXX, Il diritto alla premialità anche per l’ergastolano “ostativo” non col- laborante......................................................................................................
G.I.P. Tribunale di Perugia, 23 febbraio 2012, M.S., con nota di XXXXXXX XX-
TONTI, Restituzione nel termine, errore del difensore e «caso fortuito».......
Tribunale di Perugia, 2 febbraio 2012 (ord.), con nota di XXXXX XXXXXXXXX, In- tercettazioni telefoniche tra utilizzabilità investigativa ed inutilizzabilità probatoria. ................................................................................................
G.U.P. Tribunale di Terni, 9 novembre 2011, C.F., con osservazioni di XXXXX XXXXXXXXX......................................................................................................
DIRITTO PUBBLICO
T.A.R. Umbria, 22 dicembre 2011 n. 401 con nota di XXXXXXXXXX XXXXXX, Brevi note in tema di difformità dell’offerta dalla lex specialis di gara, alla luce dell’art. 46, comma 1 bis, d.lgs. 163/2006.................................................
T.A.R. Umbria, 2 novembre 2011, n. 352, con nota di XXXXXXX XXXXX, Il provvedi- mento di rilascio dell’agibilità e la rilevanza dell’omissione del preavviso di rigetto...........................................................................................................
T.A.R. Umbria, 22 dicembre 2011, n. 400, con nota di XXXXXXXXX XXXXX, Natura giuridica della d.i.a. “dichiarazione di inizio attività” (ora, ai sensi del
Pag.
1
3
61
75
93
113
130
150
157
165
II INDICE
Pag.
nuovo art. 19 della L. n. 241/1990: s.c.i.a. “segnalazione certificata di ini- zio attività”) e tutela del terzo controinteressato........................................
T.A.R. Umbria, 10 novembre 2011, n. 360, con nota di XXXXXXX XXXXX, Il sin- dacato del giudice amministrativo sui provvedimenti in materia di tutela dell’ambiente: il TAR Umbria si pronuncia sul principio di precauzio- ne.................................................................................................................
MASSIME COMMENTATE
(a cura di Xxxxx Xxxx Xxxxxxxx)
T.A.R. Umbria, 3 ottobre 2011, n. 311 (in tema di danno da xxxxxxx xxxxx- xxxxxx)................................................................................................
T.A.R. Umbria, 11 ottobre 2011, n. 328 (in tema di segretezza delle offerte e sin- dacabilità del criterio di aggiudicazione)...................................................
T.A.R. Umbria, 18 ottobre 2011, n. 331 (in tema di comunicazione dell’aggiudi- cazione)........................................................................................................
T.A.R. Umbria, 28 ottobre 2011, n. 333 (in tema di impugnabilità o meno della ordinanza di demolizione di una trasformazione oggetto di d.i.a)...........
T.A.R. Umbria, 2 novembre 2011, n. 351 (in tema di garanzie procedimentali in materia edilizia)..........................................................................................
T.A.R. Umbria, 29 novembre 2011, n. 388 (in tema di tutela paesaggistica ed urbanistica).................................................................................................
T.A.R. Umbria, 22 dicembre 2011, n. 414 (in tema di autorizzazione paesaggi- stica in sanatoria).......................................................................................
DOTTRINA
Si pubblicano le relazioni svolte da Xxxxxxx Xxxxxxxxx ed Xxxxxxx Xxxxxxxxx in occasione della giornata di presentazione del volume di Xxxxxxxxx Xxxxx, Principi di diritto amministrativo, Torino, 2010, svoltosi a Perugia presso la Facoltà di Scienze Politiche, il 23 maggio 2011
XXXXXXX XXXXXXXXX, Riflessioni sulle situazioni giuridiche soggettive .............
XXXXXXX XXXXXXXXX, L’azione amministrativa fra pubblico e privato...............
Xxxxxx Xxxxxxxx, Note sulla natura e sul regime delle ordinanze di convalida di licenza o sfratto pronunciate ai sensi dell’art. 663 c.p.c. e delle ordinanze di rilascio emesse ai sensi dell’art. 665 c.p.c..............................................
Xxxxxxxxxxxx Xx Xxxxx, Profili civilistici del contratto di disponibilità.....
177
198
215
218
224
232
234
237
240
243
247
253
269
INDICE III
Pag.
Xxxx Xxxxxxxx, Forme e limiti della comunione legale nell’attività d’impresa.....
Xxxxxxxx Xxxxxx, Un nuovo organo monocratico, autonomo e indipendente, a tutela dei minori: l’Autorità Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza.....
XXXXX XXXXXX, I danni non patrimoniali da inadempimento.........................
Xxxxx Xxxxxxxxx, Il “carcere duro” tra giurisdizione ed amministrazione.....
OSSERVATORIO CEDU
XXXXXXXXX XXXXXXXX, nota a Corte Europea dei Diritti dell’uomo, sent. 23 settembre 1982: Diritto di proprietà, esproprio per pubblica utilità ed ac- cesso dei privati al controllo sull’operato degli organi statali................
XXXXXXXXX XXXXXXXX, nota a Corte Europea dei Diritti dell’uomo, sent. 26 marzo 1992: Diritti e obblighi a carattere civile e risarcimento da in- adempimento della Pubblica Amministrazione.......................................
309
341
351
391
399
404
IV INDICE
INDICE V
INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA
AMBIENTE - Inquinamento - Incertezze scientifiche - Principio di precauzione
- Proporzionalità - Motivazione, 198.
ASSICURAZIONE (CONTRATTO DI)
- Polizza sanitaria - Spese mediche
- Accesso alle tecniche della pma - Rim- borso - Obbligo - Sussistenza, 61.
ATTO AMMINISTRATIVO - Circolari
ministeriali - Conformità a legge o regolamento - Procedimento ammini- strativo - Attività vincolata - Garanzie partecipative, 234, 237.
BENI CULTURALI, PAESAGGISTICI
E AMBIENTALI - Autorizzazione in sanatoria - Aumenti volumetrici
- Compatibilità urbanistica - Compa- tibilità paesaggistica - Indipendenza
- Parere della Soprintendenza - Atto a contenuto decisorio e complesso, 237, 240.
CALUNNIA - Ritrattazione successi- va all’acquisizione probatoria della falsità dell’incolpazione - Incidenza sulla punibilità in concreto del reato di calunnia - Esclusione - Post factum irrilevante rispetto all’avvenuto per- fezionamento del reato di calunnia
- Concessione circostanza attenuante prevista dall’art. 62 n. 6 c.p. - Esclu- sione, 150.
CARCERI E SISTEMA PENITENZIA-
RIO - Permessi premio - Ergastolo
- Divieto di concessione di benefici penitenziari - Attività collaborativa
- Antinomia - Divieto di retroattività della norma penitenziaria - Esclusio- ne, 93.
CARCERI E SISTEMA PENITENZIA-
RIO - Sospensione dell’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dall’ordinamento
penitenziario - Revoca anticipata - Ammissibilità , 391.
CONTRATTI DELLA P.A. - Aggiudica-
zione - Comunicazione - Omissione o completezza - Legittimità della gara
- Criterio - Discrezionalità tecnica della P.A. - Insindacabilità - Eccezioni
- Commissione giudicante - Attività valutativa - Collegio perfetto - Con- danne riportate - Obbligo di dichia- razione-Gara - Lex specialis - Offerta difforme - Offerte - Principio di segre- tezza - Fondamento giuridico - Verifica di anomalia - Motivazione succinta o per relationem - Procedimento di gara - Rapporto di presupposizione, 57, 218, 224.
CONTRATTO AUTONOMO DI GARAN- ZIA (GARANTIEVERTRAG) - Causa
concreta - Caratteristiche - Differenze rispetto alla fideiussione, 3.
CONTRATTO AUTONOMO DI GARAN- ZIA (GARANTIEVERTRAG) - Nozione
e caratteri - Differenze rispetto alla fideiussione - Fattispecie, 3.
DIRITTI E OBBLIGHI DI NATURA
CIVILE - Diritto di proprietà, 399.
DIRITTI E OBBLIGHI DI NATURA CI-
XXXX - Xxxxxxxxxxxx del danno, 404.
EDILIZIA ED URBANISTICA - Abita-
bilità - Diniego - Preavviso di rigetto
- Abusi - Proprietario ed affittuario
- Solidarietà - Casi di esclusione - Assenza di titolo abilitativo - Diffida
- Omessa impugnazione - Sanzione ripristinatoria - DIA - Termine - Decor- renza - Autotutela - Rilascio dei titoli abilitativi - Limiti privatistici - Rispet- to - Obbligo di verifica, 156, 232.
XXXXXXXX - Xxxxx da ritardo giudizia-
VI INDICE
rio - Decreto di riparazione del danno
- Obbligazione pecuniaria - Interessi legali - Soggetto debitore - Ministero dell’Economia e delle Finanze, 215.
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA - DIA
- Controinteressato - Azione di adem- pimento - Ammissibilità - Fondatezza della pretesa- Accertamento - Azione di annullamento - Mancato esperi- mento, 177.
LAVORO E PREVIDENZA SOCIALE
- Obbligo di contribuzione - Man- cato assolvimento - Legittimazione attiva, 1.
MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA
- Intercettazioni di conversazioni o co- municazioni disposte a seguito dei ri- sultati di intercettazioni inutilizzabili
- Inutilizzabilità derivata - Esclusione
- Ragioni, 130.
MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA
- Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni - Obbligo di motiva- zione - Motivazione per relationem
- Condizioni di ammissibilità - Omesso rispetto - Inutilizzabilità dei relativi risultati, 130.
NOTIZIA DI REATO - Denuncia ano- nima - Inutilizzabilità sotto il profilo probatorio - Intercettazioni disposte in via d’urgenza dal p.m. sulla base di una denuncia anonima - Inutilizzabi- lità dei relativi risultati, 150.
PROVA PENALE - Prova indiziaria
- Prova scientifica - Criteri di am- missibilità - Conoscenze scientifiche utilizzabili, 75.
RESTITUZIONE NEL TERMINE IN
GENERE - Restituzione nel termine per l’impugnazione - Ignoranza dei termini per impugnare - Caso fortuito o forza maggiore - Inesistenza - Ra- gioni, 113.
SENTENZA PENALE - Sentenza di con- danna - Onere della prova - Certezza processuale - Ragionevole dubbio, 75.
SIMULAZIONE DI REATO - Falsa
incolpazione nei confronti di una persona determinata o facilmente determinabile - Reato progressivo
- Concorso con il reato di calunnia
- Esclusione, 150.
DIRITTO CIVILE 1
DIRITTO CIVILE
TRIBUNALE DI PERUGIA – Sez. lav. – 13 aprile 2011 – Est. MEDORO
Lavoro e previdenza sociale – Obbligo di contribuzione – Mancato assolvimento – Legittimazione attiva
La domanda tesa ad ottenere la condanna del resistente a «regolariz- zare la posizione contributiva» e di conseguenza a versare alla stessa i contributi deve essere intesa come domanda di condanna di pagamento in favore dell’ente previdenziale competente ed in quanto tale, trattandosi di domanda di condanna in favore di soggetto terzo rispetto all’odierno giudizio, essa è inammissibile in base al disposto dell’art. 81 c.p.c., se- condo il quale ciascuno può azionare in giudizio diritti affermati come propri e, solo in casi eccezionalmente previsti dalla legge (1).
(Omissis). (Tizia) si è rivolta a questo Tribunale per sentire dichiarare di avere prestato attività lavorativa subordinata irregolare alle dipen- denze dell’ex coniuge (Caio) dal maggio 1976 al 30.6.2003 e, per l’effetto, ottenere la condanna del medesimo ad effettuare la regolarizzazione contributiva, versandone i contributi previdenziali dovuti per legge.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione passiva.
Xxxxxxx, infatti, il Giudicante che la domanda di (Xxxxx), tesa ad ottenere la condanna del resistente a “regolarizzare la posizione contri- butiva” e di conseguenza a versare alla stessa i contributi debba essere intesa come domanda di condanna di pagamento in favore dell’ente previdenziale competente ed in quanto tale, trattandosi di domanda di condanna in favore di soggetto terzo rispetto all’odierno giudizio, la stessa è inammissibile in base al disposto dell’art. 81 c.p.c., secondo il quale ciascuno può azionare in giudizio diritti affermati come propri e, solo in casi eccezionalmente previsti dalla legge (ad esempio cfr. l’art. 18, comma quarto, St. lav.), nella specie non ricorrenti, richiede tutela in nome proprio per conto altrui.
Peraltro, anche volendo ritenere la domanda della ricorrente tesa a
2 RASSEGNA GIURIDICA UMBRA
conseguire una condanna diretta ad ottenere il pagamento dei contributi in proprio favore, la stessa sarebbe all’evidenza infondata, non esistendo un diritto in tal senso riconosciuto al lavoratore che, al più, ricorrendone tutti i presupposti, può in situazioni di lavoro irregolare, invocare (ma nessuna domanda in tale senso è stata proposta nel giudizio in questione) il risarcimento del danno pensionistico.
Dichiarata l’inammissibilità dell’azione, non vi è spazio per ulteriori statuizioni, atteso che la domanda di accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, per come formulata, ha carattere an- cillare rispetto alla domanda di condanna alla regolarizzazione, mentre nessuna domanda relativa all’aspetto del complessivo trattamento retri- butivo è stata formulata né riservata a successivo giudizio. (Omissis).
(1) La sentenza in esame si allinea alla giurisprudenza dominante in materia di difetto di legittimazione passiva.
Nel caso in oggetto la ricorrente dichiarava di aver prestato attività la- vorativa subordinata irregolare alle dipendenze dell’ex coniuge, dal maggio 1976 al giugno 2003, e chiedeva la condanna dello stesso ad effettuare la regolarizzazione contributiva, versandole i contributi previdenziali dovuti per legge.
Il Giudice del lavoro ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di legittimazione passiva, richiamando quanto disposto ex art. 81 c.p.c., secondo cui nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.
Compito del giudice, come recentemente richiamato in Trib. Treviso, Sez. II, 13 ottobre 2011, è quello di accertare in via preliminare se, secondo la sola prospettazione fatta nella domanda giudiziale, l’attore ed il convenuto possano, in relazione alla disciplina prevista per il rapporto controverso, assumere, rispettivamente, la veste di soggetto dotato del potere di chiedere la pronuncia e di subirla. Tale verifica deve essere effettuata sulla base dei soli fatti esposti dall’attore nell’atto introduttivo del giudizio.
Qualora questa verifica abbia esito negativo le domande devono essere dichiarate inammissibili, come confermato, tra le altre, in App. Catania, Sez. I, 23 aprile 2007, dallo stesso Trib. Perugia, Sez. Lavoro, 10 maggio 2010 e Trib. Genova, Sez. III, 19 settembre 2011, in quanto attore e conve- nuto devono identificarsi con i soggetti che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta.
Xxxxxx Xxxxxxx
DIRITTO CIVILE 3
I
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Unite, 18 febbraio 2010, n. 3947 – Pres. est. CARBONE – A.T.R. della Provincia di Perugia (già I.E.R.P. della Provincia di Perugia) (Avv. D’Xxxxxxxxxxxx e Xxxxxx), c. L.I. Assicu- razioni s.p.a. (Avv. Scofone e Cascino) e Viola Costruzioni
Contratto autonomo di garanzia (Garantievertrag) – Nozione e caratteri
– Differenze rispetto alla fideiussione – Fattispecie.
Contratto autonomo di garanzia (Garantievertrag) – Causa concreta
– Caratteristiche – Differenze rispetto alla fideiussione.
Il contratto autonomo di garanzia (c.d. Garantievertrag), espressio- ne dell’autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, che può riguardare anche un fare infungibile (qual è l’obbligazione dell’appaltatore), contrariamente al contratto del fideiussore, il quale garantisce l’adempimento della me- desima obbligazione principale altrui (attesa l’identità tra prestazione del debitore principale e prestazione dovuta dal garante) (1).
La causa concreta del contratto autonomo è quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecu- zione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no, mentre con la fideiussione, nella quale solamente ricorre l’elemento dell’accessorietà, è tutelato l’interesse all’esatto adem- pimento della medesima prestazione principale, con la conseguenza che, mentre il fideiussore è un «vicario» del debitore, l’obbligazione del garante autonomo si pone in via del tutto autonoma rispetto all’obbligo primario di prestazione, essendo qualitativamente diversa da quella garantita, perché non necessariamente sovrapponibile ad essa e non rivolta all’adempimento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore (2).
II
CORTE D’APPELLO DI PERUGIA, 3 aprile 2003 – Pres. XXXXXXXX – Est.
DI MARZIO – I.E.R.P. della Provincia di Perugia (Avv. Cutini) c. I. Assicurazioni s.p.a. (Avv. Busiri Vici e Scofone) e Viola Costruzioni
# RASSEGNA GIURIDICA UMBRA
Contratto autonomo di garanzia (Garantievertrag) – Nozione e caratteri
– Differenze rispetto alla fideiussione – Fattispecie.
L’elemento qualificante del contratto autonomo di garanzia, che lo differenzia dalla fideiussione (garanzia accessoria) è la previsione con- trattualmente predeterminata dell’escussione della garanzia a prima richiesta e senza poter opporre eccezioni (nel caso di specie il giudice ha ritenuto che la mancanza di tale previsione unitamente alla contestuale rinuncia al beneficio di escussione, nonché al richiamo contenuto nel contratto al rapporto sottostante, fonte dell’obbligazione garantita, va- lesse a qualificare la fattispecie come garanzia fideiussoria accessoria, con conseguente applicabilità della decadenza prevista dall’art. 1957 c.c.) (3).
I
(Omissis). L’Istituto per l’Edilizia Residenziale Pubblica della Pro- vincia di Perugia, con atto di appello del 2.11.2001, ha impugnato la sentenza con la quale il locale Tribunale ne aveva respinto la domanda di pagamento ad una somma di denaro, oggetto di polizza fideiussoria costituita in suo favore dall’appaltatore «Viola Costruzioni» (cui l’Istituto Edilizio appellante aveva commissionato lavori edili) presso la Xxxxx Xxxxxxx Assicurazioni, somma alla cui corresponsione da parte dell’assi- curatore lo IERP affermava di aver diritto per aver dichiarato unilateral- mente risolto – in conseguenza dell’inadempimento dell’appaltatore – il contratto di appalto ai sensi del d.P.R. n. 1063 del 1962, art. 10, comma 6, applicabile alla vicenda processuale ratione temporis.
Il Giudice di primo grado, qualificata la convenzione di garanzia in termini di fideiussione stricto sensu, e non di contratto autonomo
– come viceversa postulato dall’attore –, respinse la domanda, ritenendo che il diritto di rivalsa si fosse estinto, ai sensi dell’art. 1957 c.c., per non avere il creditore proposto tempestiva domanda contro il debitore principale.
La sentenza è stata confermata dalla corte territoriale adita, che ha escluso a sua volta la configurabilità, nel caso di specie, di un contratto autonomo di garanzia, sulla base di una interpretazione delle clausole negoziali in atti del tutto speculare rispetto a quella auspicata dall’ap- pellante.
La sentenza della Corte d’Appello di Perugia è stata impugnata dalla
A.T.E.R. (succeduta nelle more del giudizio all’originario attore) con ri- corso per cassazione sorretto da quattro motivi di gravame. (Omissis).
1. La giurisprudenza di questa corte ha seguito, nel tempo, itinerari interpretativi non sempre univoci sul tema dei rapporti tra fideiussione
e c.d. Garantievertrag, pur avendo di recente manifestato una sempre maggiore consonanza di pensiero nella strutturazione di una sempre più indispensabile actio finium regundorum tra le due fattispecie.
Già all’indomani della pronuncia di Xxxx. SS.UU. n. 7341 del 1987, nella quale ancora nebulosa apparve, ai commentatori e agli inter- preti più accorti, la distinzione tra contratto autonomo di garanzia e fideiussione con clausola solve et repete, le linee portanti dei due istituti verranno più pensosamente esplorate al sempre più nitido delinearsi dei caratteri tipici del contratto autonomo di garanzia, che (sorto alla fine dell’‘800 in Inghilterra e in Germania per soddisfare evidenti e pressanti esigenze di semplificazione del commercio internazionale), approda, non senza contrasti, nel nostro Paese con indiscutibile ritardo, attesa la problematica compatibilità della nuova fattispecie con i tradi- zionali parametri cui dottrina prevalente e giurisprudenza pressoché unanime erano avvezzi a far riferimento in materia negoziale: da un lato, il dogma della accessorietà «necessaria» del negozio di garanzia titolato, dall’altro, il requisito della causa negotii tralaticiamente in- tesa come funzione «economico sociale» del negozio – quantomeno fino alla recente svolta di questa corte di legittimità di cui alla sentenza 10490/2006, autorevolmente confermata dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 26972/2008.
Incertezze e disarmonie interpretative trassero linfa dalla peculiarità di una fattispecie felicemente definita (Trib. Torino, 29 agosto 2002), come
«un articolato coacervo di rapporti nascenti da autonome pattuizioni tra il destinatario della prestazione (e beneficiario della garanzia), il garante (sovente una istituto di credito), e il debitore della prestazione (ordinante la garanzia atipica)», in attuazione di una complessa opera- zione economica destinata a dipanarsi, sotto il profilo della struttura negoziale, attraverso una scansione diacronica di rapporti, il primo (di valuta), corrente tra debitore e creditore, tra cui viene originariamente pattuito l’adempimento di una certa prestazione del primo nei confronti dell’altro, il secondo (di provvista), destinato a intervenire tra debito- re e futuro garante, con esso pattuendosi l’impegno di quest’ultimo a garantire il creditore del primo rapporto, il terzo nascente, infine, tra creditore e garante, con quest’ultimo senz’altro obbligato ad adempiere alla prestazione del debitore a semplice richiesta del primo nel caso di inadempimento del secondo (rapporti ai quali non risulterà poi inusuale l’aggiunta di una quarta convenzione negoziale collegata, quella tra un secondo istituto di credito controgarante e banca prima garante, avente lo stesso contenuto del primo rapporto di garanzia).
L’elemento caratterizzante della fattispecie in esame viene indi- viduato nell’impegno del garante a pagare illico et immediate, senza alcuna facoltà di opporre al creditore/beneficiario le eccezioni relative ai
rapporti di valuta e di provvista, in deroga agli artt. 1936, 1941 e 1945 x.x., xxxxxxxxxxxxxxx, xx xxxxxxxx, xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx.
Elisione del vincolo di accessorietà e scissione della garanzia dal rapporto di valuta caratterizzano sul piano funzionale il Garantiever- trag, la cui causa concreta viene correttamente individuata in quella di assicurare la libera circolazione dei capitali e il pronto soddisfacimento dell’interesse del beneficiario (ovvero ancora in quella di sottrarre il creditore al rischio dell’inadempimento, trasferito nei fatti su di un altro soggetto, «istituzionalmente» solvibile), il quale può così porre affidamen- to su di una rapida e sollecita escussione di una controparte affidabile, senza il rischio di vedersi opporre, in sede processuale, il regime tipico delle eccezioni fideiussorie.
È in tali sensi che par lecito discorrere, a proposito del contratto ati- pico di garanzia, di una funzione di tipo «cauzionale», mentre la sua più frequente utilizzazione rispetto al deposito di una vera e propria cauzione trae linfa proprio in ragione della sua minore onerosità e della possibilità di evitare una lunga e improduttiva immobilizzazione di capitali (con- seguenza ineludibile del deposito cauzionale): è in conseguenza di tali aspetti funzionali che la garanzia muta «geneticamente» da vicenda lato sensu fideiussoria in fattispecie atipica che, ai sensi dell’art. 1322, comma 2 c.c., persegue un interesse certamente «meritevole di tutela», identifi- cabile nell’esigenza condivisa di assicurare l’integrale soddisfacimento dell’interesse economico del beneficiario vulnerato dall’inadempimento del debitore originario e, di conseguenza, di conferire maggiore certezza allo scorrere dei rapporti economici (specie transnazionali).
2. Emerge così, in via definitiva, sotto il profilo causale, la disarmonia morfologica e funzionale con la fideiussione (volta a garantire l’adempi- mento di un debito altrui), sopravvivendo resti di omogeneità tra i due
«tipi» negoziali soltanto nella misura in cui, attorno alle due le fattispecie, orbiti ancora il concetto di garanzia, pur nelle non riconciliabili differenze di gradazioni «che il rapporto con la garanzia stessa può assumere lungo lo spettro, unico, che conduce dalla accessorietà alla autonomia e che delinea il Garantievertrag entro ben determinati limiti di operatività: da un lato, un limite iniziale, costituito (soltanto) dalla illiceità della causa del rapporto di valuta, dall’altro, un limite funzionale, rappre- sentato dall’abuso del diritto da parte del beneficiario, la c.d. exceptio doli generalis seu presentis, che si verifica qualora la richiesta appaia fraudolenta e con esclusione della buona fede del beneficiario», come, di recente, un’attenta dottrina non ha mancato di osservare, aggiun- gendo ancora come l’indagine sulla volontà dei contraenti andrebbe più propriamente condotta lungo il sentiero ermeneutico dell’accertamento della carenza dell’elemento dell’accessorietà, destinato ad emergere, in concreto, attraverso l’adozione di un complesso di regole interpretative,
testuali ed extratestuali, ritenendosi, in particolare, che la clausola «a prima richiesta» o «a semplice richiesta» possa alternativamente rappre- sentare diversi «tipi» funzionali, a grado di intensità crescente: il primo, rigorosamente procedimentale, volto alla sola inversione dell’onere pro- batorio; il secondo, determinativo dell’effetto di solve et repete, per ciò solo del tutto inscritto (ancora) nell’orbita del negozio fideiussorio; il terzo, di sostanziale separazione del diritto all’adempimento della autonoma obbligazione di garanzia rispetto al contratto sottostante.
Largamente prevalente, in proposito, appare l’orientamento giuri- sprudenziale (avallato dalla dottrina maggioritaria), predicativo della decisiva rilevanza di clausole che sanciscano l’impossibilità, per il ga- rante, di opporre al creditore le eccezioni relative al rapporto di base che spettano al debitore principale (così, tra le altre, Cass. 31 luglio 2002, n. 11368; Cass. 20 luglio 2002, n. 10637; Cass. 7 marzo 2002, n. 3326;
Cass. 19 giugno 2001, n. 8324; Cass. 17 maggio 2001, n. 6757; Cass. 1
ottobre 1999, n. 10684; Cass. 21 aprile 1999, n. 3964; Cass. 6 aprile 1998,
n. 3552), mentre alcune pronunce di merito fondano la ricostruzione del Garantievertrag su altri elementi del tessuto negoziale, quali la previ- sione di un termine breve entro cui il garante è obbligato al pagamento, la decorrenza di tale termine dal ricevimento della richiesta del bene- ficiario, l’espressa esclusione del beneficio della preventiva escussione (ex aliis, Trib. Milano 22 ottobre 2001).
Criterio interpretativo utile ad orientare l’interprete verso l’autonomia della vicenda di garanzia divisata dalle parti riposa ancora sull’individua- zione – nell’ambito di una lettura complessiva delle singole convenzioni negoziali – di una sua eventuale funzione «cauzionale»: la peculiarità propria del Garantievertrag è difatti quella di consentire al creditore di escutere il garante con la stessa, tempestiva efficacia con cui egli potrebbe far proprio un versamento cauzionale. La funzione cauzionale sarebbe soddisfatta, e l’autonomia della garanzia sarebbe conseguentemente rinvenuta, secondo alcune pronunce di questa corte, tutte le volte che la relativa convenzione attribuisca al creditore la facoltà di procedere ad immediata riscossione delle somme, a prescindere dal rapporto garantito, realizzando così una funzione del tutto simile a quella dell’incameramento di una somma di denaro a titolo di cauzione (Cass. 17 maggio 2001, n. 6757; Cass. 21 aprile 1999, n. 3964; Cass. 6 aprile 1998, predicative di un principio di diritto condiviso da autorevole dottrina).
Con particolare riguardo alle polizze fideiussorie (sulle quali, fun- ditus, tra le altre, Cass. 11 ottobre 1994, n. 8295, pres. Xxxxx, rel. Bibo- lini, mentre l’orientamento tradizionale, che le inquadrava tout court nell’ambito della fideiussione, sembra risalire a Xxxx. 17 giugno 1957,
n. 2299), si è più volte sottolineato come esse concretino un rapporto di un soggetto (una compagnia di assicurazioni o un istituto bancario) che,
dietro pagamento di un corrispettivo, si impegna a garantire in favore di altro soggetto l’adempimento di una determinata obbligazione assunta dal contraente della polizza, strumento contrattuale che, pur non essen- do espressamente disciplinato dal codice del ‘42, è menzionato in molte leggi speciali che lo prevedono come forma di garanzia sostitutiva della cauzione reale, normalmente richiesta per chi stipula – come nel caso di specie – contratti con la P.A.
Disattesa pressoché unanimemente la ricostruzione volta a ricono- scere natura essenzialmente assicurativa alla fattispecie (risulta essersi pronunciata in tal senso la sola, peraltro assai risalente, Cass. 9 luglio 1943), la giurisprudenza di questa corte, sia pure nell’ambito dell’orien- tamento (che appare ormai minoritario) applicativo delle norme di cui agli artt. 1936 e ss. c.c. ha in passato ritenuto che la polizza de qua costituisse un sottotipo innominato di fideiussione, giudicando decisivo a tal fine il permanere della funzione di garanzia dell’adempimento di una altrui obbligazione, pur in presenza di elementi caratteristici idonei a distinguerla all’interno della fattispecie tipica della fideiussione come disciplinata dal codice (l’assunzione, cioè, della garanzia secondo moda- lità tecnico-economiche dell’assicurazione: tra le meno recenti, Cass. 8 febbraio 1963, n. 221; 9 giugno 1975, n. 2297; 17 novembre 1982, n. 6155). La maggior parte delle pronunzie, di converso (Cass. 11 ottobre 1994, n. 8295, poc’anzi citata; Xxxx. 9 gennaio 1975, n. 1709, in Mass. Giust. civ.,
1975; Cass. 14 marzo 1978, n. 1292, ivi, 1978; Cass. 25 ottobre 1984, n. 5450) avrebbe viceversa posto l’accento sul carattere decisamente atipico della polizza, separando la questione della determinazione della discipli- na applicabile al contratto da quella dell’individuazione del tipo nominato cui la polizza stessa appaia in sé riconducibile, ma circoscrivendo pur sempre il tema della atipicità alla alternativa tra causa assicurativa e causa fideiussoria (entrambe compenetrate in parte qua nel contratto); gli aspetti prevalenti, e tendenzialmente assorbenti resteranno, però, quelli tipici della fideiussione, con conseguente applicazione delle norme di cui agli artt. 1936 e ss. c.c.
La dottrina, dal suo canto, ha ritenuto di poter individuare tre tipi di polizze fideiussorie: quelle in cui l’obbligo del garante dipende dal- l’esistenza dell’obbligo del debitore principale; quelle in cui l’obbligo del garante è indipendente da quello del debitore principale; quelle, infine, in cui il beneficiario, per ottenere il pagamento della garanzia, deve provare, in genere mediante documenti indicati nella polizza stessa, alcuni fatti attinenti al rapporto principale (in tal guisa ritenendo ap- plicabile la disciplina della fideiussione alle sole polizze del primo tipo, per effetto della permanenza del carattere accessorio dell’obbligo assunto dal garante, e iscrivendo le altre nell’orbita dei contratti autonomi di garanzia).
Quanto alla giurisprudenza più recente, va in limine osservato come, tra le sentenze citate dall’odierno controricorrente, quelle di cui a Xxxx. 4 luglio 2003, 10574 (Pres. Genghini, rel. Marziale) e a Cass. 7 gennaio 2004, n. 52 (Pres. Fiducia, est. Xxxxxxxxxxx), pur contenendo alcune tra le più chiare distinzioni tra le fattispecie della fideiussione e del contratto autonomo di garanzia, non esplorino specificamente il terreno delle polizze fideiussorie: nella prima pronuncia si legge, difatti, che la deroga all’art. 1957 c.c. non può ritenersi implicita nell’inserimento, nella fideiussione, di una clausola di «pagamento a prima richiesta» o di altra equivalente, sia perché detta norma è espressione di un’esigenza di protezione del fideiussore, che prescinde dall’esistenza di un vincolo di accessorietà tra l’obbligazione di garanzia e quella del debitore principale e può essere considerata meritevole di tutela anche nelle ipotesi in cui tale collegamento sia assente, sia perché, comunque, la presenza di una clausola siffatta non assume rilievo decisivo ai fini della qualificazione di un negozio come «con- tratto autonomo di garanzia» o come «fideiussione», potendo tali espres- sioni riferirsi sia a forme di garanzia svincolate dal rapporto garantito (e quindi autonome) sia a garanzie, come quelle fideiussorie, caratterizzate da un vincolo di accessorietà, più o meno accentuato, nei riguardi dell’ob- bligazione garantita, sia infine a clausole, il cui inserimento nel contratto di garanzia è finalizzato, nella comune intenzione dei contraenti (non all’esclusione, ma) a una deroga parziale della disciplina dettata dal citato art. 1957, ad esempio limitata alla previsione che una semplice richiesta scritta sia sufficiente ad escludere l’estinzione della garanzia, esonerando il creditore dall’onere di proporre azione giudiziaria. Ne consegue che, non essendo la clausola di pagamento a prima richiesta di per sé incompatibile con l’applicazione della citata norma codicistica, spetta al giudice di merito accertare, di volta in volta, la volontà in concreto manifestata dalle parti con la stipulazione della detta clausola; nella seconda, ancora, che, ai fini della configurabilità di un contratto autonomo di garanzia oppure di un contratto di fideiussione, non è decisivo l’impiego o meno delle espressioni
«a semplice richiesta» o «a prima richiesta» del creditore, ma la relazione in cui le parti hanno inteso porre l’obbligazione principale e l’obbligazione di garanzia. Ne consegue che la carenza dell’elemento dell’accessorietà, che caratterizza il contratto autonomo di garanzia (performance bond) e lo differenzia dalla fideiussione, deve necessariamente essere esplici- tata nel contratto con l’impiego di specifica clausola, idonea ad indicare l’esclusione della facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, ivi compresa l’estinzione del rapporto (con riguardo, peraltro, a vicenda inerente ad un preliminare di vendita con fideiussione bancaria).
3. Passando, allora, all’analisi specifica dei più significativi, prece- denti di legittimità in subiecta materia, deve essere considerato: da un
canto: 1) il dictum di cui a Xxxx. 2 aprile 2002, n. 4637 (Pres. Giustiniani, rel. Di Nanni), la quale, dopo la generale premessa secondo cui il con- tratto atipico di garanzia autonoma si differenzia dalla fideiussione per la mancanza dell’elemento dell’accessorietà, nel senso che il garante si impegna a pagare al beneficiario, senza opporre eccezioni fondate sulla validità o efficacia del rapporto di base, ha poi escluso, nella specie, che valessero a snaturare il contratto tipico di fideiussione ed a qua- lificarlo come garanzia autonoma le diverse previsioni contrattuali di un termine per il pagamento decorrente dalla richiesta, dell’esclusione del beneficio della preventiva escussione del debitore principale, della non necessità del consenso di quest’ultimo al pagamento da parte del garante, del divieto per il garantito a sollevare obiezioni sullo stesso pagamento (nella motivazione della sentenza, si legge ancora che in particolari rapporti, specie quelli di appalto, nella pratica da tempo è invalso l’uso che l’appaltatore, per evitare l’immobilizzazione di somme dovute a scopo cauzionale, presti al committente garanzie bancarie o assicurative di pagamento incondizionato ed irrevocabile di quanto è da lui dovuto: ciò consente all’appaltatore di non versare la cauzione e garantisce l’appaltante che conseguirà le somme a semplice richiesta, purché siano rispettate le forme previste, specificandosi, subito dopo, che questo risultato, peraltro, può essere realizzato anche attraverso una fideiussione, quando il contratto è articolato in modo atipico, prevedendo, ad esempio, deroghe diverse rispetto alla disciplina della fideiussione, come quella dell’esclusione del beneficio della preventiva escussione, ex art. 1944 c.c., oppure quella dell’esclusione per il fideiussore di opporre al creditore principale le eccezioni appartenenti al debitore principale, ex art. 1945 c.c.); 2) le affermazioni di cui a Xxxx. 6 aprile 1998, n. 3552 (Pres. Xxxxxxxx, rel. Preden), ove si legge che, al contratto cosiddetto di assicurazione fideiussoria (o cauzione fideiussoria o assicurazione cau- zionale), caratterizzato dall’assunzione di un impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazioni, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadempimento del- la prestazione a lui dovuta da un terzo, sono applicabili le disposizioni della fideiussione, salvo che sia stato diversamente disposto dalle parti. Riveste carattere derogatorio rispetto alla disciplina della fideiussione, la clausola con la quale venga espressamente prevista la possibilità, per il creditore garantito, di esigere dal garante il pagamento immediato del credito «a semplice richiesta» o «senza eccezioni». In tal caso, in deroga all’art. 1945, è preclusa al fideiussore l’opponibilità delle eccezioni che potrebbero essere sollevate dal debitore principale, restando in ogni caso consentito al garante di opporre al beneficiario l’exceptio doli, nel caso in cui la richiesta di pagamento immediato risulti prima facie abusiva o fraudolenta; 3) i principi di cui a Xxxx. 18 maggio 2001, n. 6823 (Pres.
Fiducia, rel. Xxxxx), secondo cui la cosiddetta assicurazione fideiussoria costituisce una figura contrattuale intermedia tra il versamento cauzio- nale e la fideiussione ed è contraddistinta dall’assunzione dell’impegno, da parte (di una banca o) di una compagnia di assicurazione, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta dal contraente. È, poi, caratterizzata dalla stessa funzione di garanzia del contratto di fideius- sione, per cui è ad essa applicabile la disciplina legale tipica di questo contratto, ove non derogata dalle parti. Dall’altro: 1) i principi di diritto affermati da Xxxx. 21 aprile 1999, n. 3964 (Pres. Xxxxxxxx, rel. Lupo) e 19 giugno 2001, n. 8324 (Pres. Xxxxx, rel. Xxxxxxx), a mente delle quali, ai fini della configurabilità di un contratto autonomo di garanzia, oppure di un contratto di fideiussione, non è decisivo l’impiego o meno delle espressioni «a semplice richiesta» o a «prima richiesta del creditore», ma la relazione in cui le parti hanno inteso porre l’obbligazione principale e l’obbligazione di garanzia. Infatti la caratteristica fondamentale che distingue il contratto autonomo di garanzia dalla fideiussione è l’assenza dell’elemento dell’accessorietà della garanzia, insito nel fatto che viene esclusa la facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni che spettano al debitore principale, in deroga alla regola essenziale della fideiussione, posta dall’art. 1945 c.c. (in entrambi i casi la fattispecie, analoga a quella oggetto del presente ricorso, aveva a sua volta ad oggetto una polizza fideiussoria cauzionale: i giudici di merito, con consonanti decisioni, confermate in punto di diritto da questa corte, ritennero di dover qualificare in termini di autonomia la convenzione di garanzia stipulata, valorizzando la clausola secondo cui la società garante avreb- be dovuto pagare entro un breve termine dalla richiesta del creditore, dopo semplice avviso al debitore principale, di cui non era richiesto il consenso e che nulla avrebbe potuto eccepire in merito al pagamento, anche in sede di rivalsa del garante, e opinando, in particolare, che la stessa apposizione di un termine breve precludesse a priori qualsiasi possibilità, per il garante, di sollevare eccezioni in ordine al rapporto sottostante, non essendo immaginabile, in tempi estremamente ristretti, lo svolgimento delle necessarie indagini per l’accertamento in concreto dell’inadempimento dell’appaltatore e della legittimità della richiesta dell’amministrazione garantita); 2) il recente dictum di cui a Xxxx. 2008, n. 2377, ove si legge che la polizza fideiussoria prestata a garanzia dell’obbligazione dell’appaltatore costituisce una garanzia atipica in quanto essa, non potendo garantire l’adempimento di detta obbligazione, perché connotata dal carattere dell’insostituibilità, può semplicemente assicurare la soddisfazione dell’interesse economico del beneficiario com- promesso dall’inadempimento, risultando, quindi, estranea all’ambito delle garanzie di tipo satisfattorio proprie delle prestazioni fungibili,
caratterizzate dall’identità della prestazione, dal vincolo della solida- rietà e dall’accessorietà, ed essendo, invece, riconducibile alla figura della garanzia di tipo indennitario – cosiddetta fideiussio indemnitatis
–, in forza della quale il garante è tenuto soltanto ad indennizzare, o a risarcire, il creditore insoddisfatto (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto che la polizza fideiussoria oggetto di controversia dovesse qualificarsi come garanzia atipica in quanto non finalizzata a garantire la restituzione di un credito erogato dalla Provincia autonoma di Bolzano a fondo perduto per un progetto di riconversione industriale finalizzato al raggiungimento dei livelli occu- pazionali ed economici preventivati, giacché detta restituzione sarebbe stata richiesta dalla medesima Provincia unicamente nel caso in cui il mutuatario non fosse stato in grado di adempiere al promesso piano di riconversione industriale).
Un ulteriore passo avanti verso la automaticità dell’equazione Polizza fideiussoria dell’appaltatore = Garantievertrag sembrerebbe implicitamente potersi rinvenire nella sentenza (ritenuta, in dottrina,
«una inspiegabile rottura, o quantomeno una forzatura, rispetto al pre- cedente indirizzo giurisprudenziale») di cui a Xxxx. 27 maggio 2002, n. 7712 (Pres. Xxxxxxxx, est. Durante), a mente della quale, ove sia prestata a garanzia dell’obbligazione dell’appaltatore, la polizza fideiussoria non è configurabile come fideiussione, bensì come garanzia atipica, in quanto l’insostituibilità della prestazione fa venire meno la solidarietà dell’ob- bligazione del garante e comporta che il creditore possa pretendere da lui soltanto un indennizzo o un risarcimento, che è prestazione diversa da quella alla quale aveva diritto (nella specie la Suprema Corte rico- noscerà la validità della polizza fideiussoria, a mezzo della quale una società assicuratrice aveva garantito l’adempimento delle obbligazioni dell’appaltatore, sebbene la sua stipulazione fosse stata addirittura posteriore al verificarsi dell’inadempimento dell’obbligazione garantita. In sede di commento alla pronuncia, non si è mancato di osservare come quest’ultima ancori la propria ratio decidendi al sillogismo per cui: 1) la polizza fideiussoria – a garanzia delle obbligazioni assunte da un appaltatore – assurge a garanzia atipica, a cagione dell’insostituibilità della obbligazione principale (premessa maggiore); 2) il creditore può pretendere dal garante solo un indennizzo o risarcimento, prestazione diversa da quella alla quale aveva diritto (premessa minore); 3) la poliz- za fideiussoria è valida anche se intervenuta successivamente rispetto all’inadempimento delle obbligazioni garantite (conclusione), sillogismo del quale si dicono condivisibili le premesse (sia quella maggiore che quella minore), ma non la conclusione.
Va infine ricordato come, ancora più di recente, Cass. 21 febbraio 2008, n. 4446 (Pres. Velia, rel. Mensitieri), abbia avuto modo di operare
una sorta di «sintesi» riepilogativa delle posizioni assunte da questa corte in tema di polizze fideiussorie, alla luce della quale: al contratto cosiddet- to di assicurazione fideiussoria (o cauzione fideiussoria o assicurazione cauzionale), caratterizzato dall’assunzione di un impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazioni, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta da un terzo, sono applicabili le disposizioni della fideiussione, salvo che sia stato diversamente disposto dalle parti. La clausola con la quale venga espressamente prevista la possibilità, per il creditore garantito, di esigere dal garante il pagamento immediato del credito «a semplice richiesta» o «senza eccezioni» riveste carattere derogatorio rispetto alla disciplina della fideiussione. Siffatta clausola, risultando incompatibile con detta disciplina, comporta l’inapplicabilità delle tipiche eccezioni fideiussorie, quali, ad esempio, quelle fondate sugli artt. 1956 e 1957 c.c., consentendo l’applicabilità delle sole eccezioni re- lative al rapporto garante/beneficiario (Xxxx. 1° giugno 2004, n. 10486); in tema di garanzia personale, la cosiddetta assicurazione fideiussoria o cauzione fideiussoria o assicurazione cauzionale, è una figura inter- media tra il versamento cauzionale e la fideiussione ed è caratterizzata dall’assunzione dell’impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazioni, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo in caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta dal terzo. Poiché infatti le norme contenenti la disciplina legale tipica della fideiussione sono applicabili se non sono espressamente derogate dalle parti, portata derogatoria deve riconoscersi alla clausola legittima in virtù del principio di autonomia negoziale – con cui le parti abbiano previsto la possibilità per il creditore garantito di esigere dal garante il pagamento immediato del credito «a semplice richiesta» o «senza ecce- zioni», in quanto preclude al garante l’opponibilità al beneficiario delle eccezioni altrimenti spettanti al debitore principale ai sensi dell’art. 1945 c.c. Siffatta clausola, risultando incompatibile con la disciplina della fideiussione, comporta l’inapplicabilità delle tipiche eccezioni fideiussorie, quali, ad esempio, quelle fondate sugli artt. 1956 e 1957 c.c., consentendo l’applicabilità delle sole eccezioni relative al rapporto garante/beneficiario (Xxxx. 14 febbraio 2007, n. 3257); nella ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza della obbligazione principale ma al suo integrale adempimento, l’azione del creditore nei confronti del fideiussore non è soggetta al termine di deca- denza previsto dall’art. 1957 c.c. (Cass. 27 novembre 2002, n. 16758; 19
luglio 1996, n. 6520; 24 marzo 1994, n. 2827); la clausola con la quale il fideiussore si impegni a soddisfare il creditore a semplice richiesta del medesimo configura una valida espressione di autonomia negoziale e dà vita ad un contratto atipico di garanzia, che pur derogando al principio
1# RASSEGNA GIURIDICA UMBRA
dell’accessorietà, non fa venir meno la connessione tra rapporto fideius- sorio e quello principale (Cass. 12 gennaio 2007, n. 412).
4. Sulla scorta di tali premesse, l’intervento delle Sezioni Unite deve, da un canto, definitivamente chiarire i tratti differenziali, sul piano mor- fologico, funzionale e interpretativo, tra le fattispecie della fideiussione e del contratto autonomo di garanzia; dall’altro, risolvere il contrasto circa la natura delle polizze assicurative cd. «fideiussorie», sia su di un piano generale, sia nella specifica dimensione, più propriamente oggetto di dubbi ermeneutici, delle convenzioni negoziali stipulate dall’appaltatore di opere pubbliche, con particolare riguardo, in quest’ultima ipotesi, e per quanto di interesse a fini interpretativi.
Alla disciplina normativa speciale abrogata, di cui, tra l’altro, al
d.P.R. n. 1063 del 1962 ‒ oggi abrogato dal d.P.R. n. 544 del 1999, art. 231 – il cui art. 3 disponeva che la cauzione cui è tenuto l’aggiudicata- rio deve essere prestata in numerario o in titoli di Stato, e può essere costituita, da fideiussione bancaria; alla l. n. 348 del 1982 – a sua volta abrogata dal d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 354, comma 1 – il cui art. 1 prevedeva che la costituzione di una cauzione a favore dello Stato o altro Ente pubblico potesse prestarsi, tra l’altro, con polizza assicurativa rilasciata da impresa di assicurazione debitamente autorizzata all’eser- cizio del ramo cauzioni; alla l. n. 109 del 1994 (con riferimento alla quale la garanzia fideiussoria contemplata all’art. 30 è stata assimilata ad una vera e propria caparra confirmatoria dalla 4a sezione del Consiglio di Stato con la sentenza 29 marzo 2001, n. 1840) – anch’essa abrogata dal d.lgs. n. 163 del 2006, art. 256, comma 1, recante il c.d. «nuovo codice dei contratti pubblici» ‒; alle circolari ministeriali autorizzative (la n. 145 del 7 gennaio 1960 e la n. 433 del 16 novembre 1979, ove si legge che le assicurazioni cauzionali assolvono alla stessa funzione giuridico- economica di una cauzione in denaro o in altri beni reali).
Alla disciplina attualmente vigente, in particolare all’art. 75 del nuovo codice dei contratti pubblici, a mente del quale la garanzia, pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, va pre- stata sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell’offerente. La cauzione può essere costituita in contanti o in titoli del debito pubblico garantiti dallo Stato al corso del giorno del deposito, presso una sezione di tesoreria provinciale o presso le aziende autorizzate, a titolo di pegno a favore dell’amministrazione aggiudicatrice, mentre la fideiussione può essere bancaria o assicurativa o rilasciata dagli intermediari fi- nanziari, e deve prevedere espressamente tanto la rinuncia al beneficio della preventiva escussione del debitore principale, quanto la rinuncia, all’eccezione di cui all’art. 1957 x.x., xxxxx 0, xxxxxx x’xxxxxxxxxxx xxxxx xxxxxxxx medesima entro quindici giorni, a semplice richiesta scritta della stazione appaltante.
Anche alla luce di tale plesso normativo potrà essere, così, effica- cemente verificata la esattezza, o meno, della tesi secondo cui, ove la cauzione sia sostituita da altra forma di garanzia prevista per legge (nella specie, quella che il codice del 2006 espressamente qualifica come «fideiussione»), questa debba offrire, o meno, alla P.A. un ana- logo risultato sul piano funzionale, e cioè l’incondizionato e pressoché automatico incameramento della somma in caso di inadempimento dell’aggiudicatario.
5. Il ricorso è fondato.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Perugia la A.T.E.R. propone quattro motivi di impugnazione, chiedendo all’adita Corte di legittimità di interpretare la convenzione negoziale per la quale è pro- cesso in termini di contratto autonomo di garanzia alla luce sia della previsione di un obbligo di pagamento entro un breve termine (dalla richiesta scritta) – non rilevando, in senso contrario, il mancato uso di espressioni quali «a semplice» o «a prima richiesta», atteso che l’interpre- tazione della convenzione negoziale de qua andrebbe viceversa desunta dalla relazione in cui le parti hanno inteso porre l’obbligazione principale e quella di garanzia –, sia dell’impegno assunto dalla ditta debitrice di rimborsare al garante tutte le somme versate, con espressa rinuncia a sollevare qualsiasi eccezione, sia della normativa pubblicistica all’uopo richiamata, che considera(va) la polizza come sostitutiva di una cauzione dovuta dall’appaltatore in favore dello Stato o di altro ente pubblico.
La ricorrente deduce, di conseguenza, l’inapplicabilità, alla fattis- pecie, della decadenza di cui all’art. 1957 c.c., ovvero la deroga a tale disposizione, dovendo ritenersi che la proposizione dell’istanza scritta di pagamento sia indice inequivoco della volontà dell’ente creditore di avvalersi della garanzia.
I motivi di ricorso appaiono meritevoli di accoglimento, per quanto di ragione.
È opportuno premettere, ad avviso del collegio, alcune più generali premesse in ordine ai rapporti tra negozio tipico di fideiussione e negozio atipico di garanzia (c.d. Garantievertrag) che consentano di pervenire a soddisfacente soluzione in diritto con riguardo alla vicenda processuale di cui queste Sezioni Unite risultano oggi investite.
6. È prassi ormai sempre più frequente, nel sottosistema civilistico delle garanzie personali, che contratti di identico contenuto siano indicati con nomi diversi, come accade, in particolare, in tema di polizza fideiusso- ria, denominata, di volta in volta, «assicurazione cauzionale», «cauzione fideiussoria», «polizza cauzionale», «fideiussione assicurativa».
La polizza fideiussoria è, sotto il profilo genetico, un negozio sti- pulato dall’appaltatore su richiesta del committente e in suo favore, strutturalmente articolato secondo lo schema del contratto a favore di
terzo, funzionalmente caratterizzato dall’assunzione dell’impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazione, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadem- pimento della prestazione a lui dovuta dal contraente (così, ex aliis, Xxxx.
n. 11261/2005); il terzo non è parte, né in senso sostanziale né in senso formale, del rapporto, e si limita a ricevere gli effetti di una convenzio- ne già costituita ed operante, sicché la sua adesione si configura quale mera condicio iuris sospensiva dell’acquisizione del diritto, rilevabile per facta concludentia, risultando la dichiarazione di volerne profittare necessaria soltanto per renderla irrevocabile ed immodificabile ex art. 1411 x.x., xxxxx 0 (Xxxx. n. 23708/2008 e n. 13661/1992); non rileva, difatti, che il contratto sia stato eventualmente stipulato anche con la partecipazione del creditore garantito, derivandone l’esclusivo effetto di obbligare direttamente la compagnia assicuratrice nei confronti del creditore stesso ed impedire che quest’ultimo, quale beneficiario della prestazione negoziata a suo favore dal debitore, possa dichiarare di non aderire alla stipulazione secondo la disciplina del contratto a favore del terzo (Cass. n. 7766/1990), anche se, alla forma giuridica bilate- rale della stipulazione – in relazione alla quale il committente è terzo
– corrisponde un’operazione economica sostanzialmente trilatera, in cui l’unica parte effettivamente interessata alla validità del contratto è il beneficiario della polizza, che ad essa condiziona l’erogazione delle sue prestazioni, potendo lo stipulante appaltatore anche non avere interesse all’effettiva validità ed efficacia dell’assicurazione (così, ancora, Cass. n. 23708/2008).
Deve, pertanto, convenirsi con la più attenta dottrina che ricostruisce la fattispecie riconoscendo al debitore principale la qualità di parte del contratto – per assumerne la veste di stipulante –, al garante la veste di promittente, al creditore principale quella di (terzo) beneficiario (con la precisazione che, nella normalità dei casi, il testo della garanzia viene in realtà imposto dal beneficiario, il quale non lascia al debitore ordinante margini di negoziazione in ordine alle condizioni contrattua- li: né è escluso che il garante, su incarico del cliente-debitore, stipuli il contratto direttamente con il creditore).
È questa una prima, essenziale differenza morfologica rispetto allo schema tipico delle convenzioni fideiussorie, che, caratterizzate dalla funzione di garantire un’obbligazione altrui, intercorrono esclusivamente tra il fideiussore e il creditore (così, tra le tante, Cass. n. 1525/1984, che non manca di sottolineare come, ai sensi dell’art. 1936 x.x., xxxxx 0, xx xxxxxxxxxxxx sia efficace anche se il debitore non ne ha conoscenza: la differenza parrebbe attenuarsi nel dictum di cui a Xxxx. n. 3940/1995, a mente della quale la fideiussione «può anche essere stipulata con l’intervento del debitore o tra quest’ultimo ed il garante, in modo da
configurare un contratto a favore del terzo creditore che, dichiarando di voler profittarne, rende irrevocabile la stipulazione, ai sensi dell’art. 1411 c.c.», secondo una ricostruzione strutturale della fattispecie che parrebbe peraltro evocare, più propriamente, l’istituto dell’accollo cu- mulativo esterno, oltre che confliggere con il preciso dictum normativo di cui all’art. 1936 c.c., che identifica le parti del contratto nel creditore e nel garante).
Altra differenza funzionale rispetto alla fideiussione è costituita dal- l’essere la polizza o assicurazione fideiussoria «necessariamente onerosa» in quanto assunta dall’assicuratore in corrispettivo del pagamento di un premio (Cass. n. 221/1963), mentre la fideiussione può essere anche a titolo gratuito (nel qual caso il contratto, ponendo obbligazioni a carico di una sola parte, si perfeziona in forza del disposto dell’art. 1333 c.c.: Cass. n. 9468/1987).
7. Quanto alla natura giuridica delle polizze, la giurisprudenza di questa corte le ha diacronicamente considerate, sotto l’aspetto tipologi- co, di volta in volta come sottotipo innominato di fideiussione (Cass. n. 221/1963), come figura contrattuale intermedia fra il versamento cauzio- nale e la fideiussione, come contratto atipico, come contratto misto risul- tante dalla fusione di elementi propri di vari contratti (tra le tante: Xxxx. n. 2899/1968; n. 1292/1978; n. 6155/1982; n. 5981/1986; n. 6499/1990; n. 13661/1992; n. 3940/1995; n. 6823/2001; n. 11261/2005; n. 3257/2007; n. 14853/2007; n. 11890/2008, in motivazione; n. 12871/2009).
In particolare, diversamente dalla cauzione, la prestazione viene as- sunta da un terzo (garante) e non dallo stesso debitore obbligato, mentre manca il versamento anticipato di una somma di denaro, così evitandosi l’effetto negativo di una lunga e improduttiva immobilizzazione di capitali; diversamente dalla fideiussione, l’impegno del garante è di estensione tale da consentire al creditore principale di soddisfarsi in via di autotutela, cioè di realizzare il suo credito sui beni oggetto della garanzia (seppur non tramite l’incameramento della cauzione ma) mediante un atto uni- laterale costituito da una richiesta della somma assicurata (in caso di inserimento della clausola «a semplice» o «prima richiesta»), all’esito di un accertamento unilaterale ed insindacabile dello stesso creditore in ordine alla ricorrenza delle condizioni previste per l’escussione.
Va altresì sottolineato che, pur essendo prestata spesso da un’impresa di assicurazione, la funzione della polizza non consiste nel trasferimento o nella copertura di un rischio – che assume un rilievo assai marginale, essendo la prestazione del garante svincolata da un preciso ed obiettivo accertamento del suo presupposto (il quale è demandato allo stesso be- neficiario) – ma in quella di garantire al beneficiario l’adempimento di obblighi assunti dallo stesso contraente, anche quando l’inadempimento sia dovuto a volontà dello stesso e questi sia solvibile.
8. Secondo un primo orientamento della giurisprudenza di questa corte, poiché la causa del negozio de quo consiste sostanzialmente nel garantire l’adempimento («sostitutivo o di regresso»: Cass. n. 1292/1978, cit.) della prestazione dovuta al creditore da un terzo, troverebbe ap- plicazione la disciplina legale tipica della fideiussione, ove non espres- samente derogata, potendo le parti, nella loro autonomia contrattuale, richiamare le norme sull’assicurazione per quanto riguarda i rapporti tra il debitore contraente e l’assicuratore (Cass. n. 5450/1984 ritiene, pertanto, applicabili le norme sulla fideiussione, considerata come rapporto tipico «prevalente», e in particolare l’art. 1941 c.c. secondo cui la fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore né può essere prestata a condizioni più onerose; mentre Cass. n. 11038/1991 e
n. 6757/2001 si esprimono nel senso che, nelle ipotesi di dichiarazioni inesatte o reticenti del contraente-debitore in ordine alla formazione del rapporto principale, non trovi applicazione la disciplina dell’art. 1892 c.c. sull’assicurazione, dovendo la validità del contratto essere piuttosto valutata alla stregua delle regole dell’annullabilità per errore o dolo. Peraltro, in senso opposto, Cass. n. 2297/1975, n. 3457/1981, n. 7028/1983, n. 14656/2002 si esprimono nel senso dell’applicabilità della normativa sull’assicurazione, in particolare dell’art. 2952 c.c., comma 1, quanto alla prescrizione annuale delle rate di premio).
8.1. Di segno speculare, invece, l’orientamento secondo il quale (pur ritenendosi la convenzione in parola, tanto se diretta a garantire al beneficiario l’adempimento dell’obbligazione originariamente assunta verso di lui dal contraente della polizza, quanto se volta ad assicurargli la somma dovuta per inadempimento o inesatto adempimento funzio- nale a garantire un obbligo altrui secondo lo schema previsto dall’art. 1936 c.c., affiancando al primo un secondo debitore di pari o diverso grado), la polizza fideiussoria, se prestata a garanzia dell’obbligazione dell’appaltatore, non ripete i caratteri morfologici della fideiussione, ma si configura come garanzia atipica (c.d. fideiussio indemnitatis), in quanto l’infungibilità della prestazione dell’appaltatore fa venir meno la solidarietà dell’obbligazione del garante e comporta che il creditore può pretendere da lui solo un indennizzo o un risarcimento, che è prestazio- ne diversa da quella alla quale aveva diritto (così, tra le altre, Cass. n. 7712/2002; Cass. n. 2377/2008).
Questo secondo orientamento trae linfa dalla considerazione per cui elemento «normale ed essenziale» del vincolo fideiussorio è pur sempre l’identità con l’obbligazione principale nella sua stessa quantità e nelle sue stesse condizioni. Dal suo canto, autorevole dottrina evidenzia che la polizza non mira a garantire l’adempimento dell’obbligazione del de- bitore principale (come accade nella fideiussione), ma ad assicurare al creditore la presenza di un soggetto solvibile in grado di tenerlo indenne
dall’eventuale inadempimento del medesimo, ciò che dimostrerebbe il venir meno di uno degli elementi strutturali della fideiussione, vale a dire l’accessorietà dell’obbligazione del garante rispetto a quella del debitore principale, con conseguente slittamento verso il modello del contratto autonomo di garanzia e inadeguatezza del modello legale fideiussorio (erroneamente applicato secondo la teoria della prevalenza o dell’as- sorbimento, ove la disciplina normativa viene individuata attraverso l’incorporazione del contratto nel tipo prevalente o che più gli assomi- glia). La medesima dottrina propone, così, l’applicazione del c.d. metodo
«tipologico», che consentirebbe di rintracciare, nella trama del contratto in questione, sotto-strutture negoziali differenti mediante un’opera di destrutturazione del contratto che offra all’interprete l’opportunità di individuare diverse caratteristiche tipologiche che solo successivamente verranno utilizzate al fine di determinare (sempre senza valicare i limiti dell’incompatibilità) il mix disciplinare che meglio risponde all’esigenza di regolare il rapporto (mentre da altra parte si invita a considerare la naturale propensione delle polizze a modellarsi in funzione delle diverse esigenze di garanzia di volta in volta soddisfatte e a cogliere e valoriz- zare il quid proprium delle diverse configurazioni assunte nella prassi, rifuggendo da aprioristici tentativi di generalizzazione e di riduzione a un «tipo»).
Sulla polizza fideiussoria si riverbera così l’eco del dibattito sul con- tratto autonomo di garanzia (Garantievertrag) e sulla sua causa.
8.2. Pur non essendo questa la sede per approfondire gli esiti di tale questione, pare sufficiente considerare che, secondo una diffusa opinione, la funzione del Garantievertrag è quella di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, che non sempre consiste in un dare ma può anche riguardare un fare infungibile, contrariamente a quanto accade per il fideiussore, il quale garantisce l’adempimento della mede- sima obbligazione principale altrui (attesa l’identità tra prestazione del debitore principale e prestazione dovuta dal garante). In altri termini, mentre con la fideiussione è tutelato l’interesse all’esatto adempimento dell’(unica) prestazione principale – per cui il fideiussore è un «vicario» del debitore –, l’obbligazione del garante autonomo è qualitativamente altra rispetto a quella dell’ordinante, sia perché non necessariamente sovrapponibile ad essa, sia perché non rivolta al pagamento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sosti- tutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore.
Ne consegue che polizze fideiussorie e fideiussione, pur accomuna- te dal medesimo (generico) scopo di offrire al creditore-beneficiario la garanzia dell’esito positivo di una determinata operazione economica,
si distinguono perché le prime (se prestate a garanzia di obbligazioni infungibili) appartengono alla categoria delle c.dd. garanzie di tipo in- dennitario, potendo il creditore tutelarsi (rispetto all’inadempimento del debitore) soltanto tramite il risarcimento del danno, mentre la fideius- sione appartiene alle c.dd. garanzie di tipo satisfattorio, caratterizzate dal rafforzamento del potere del creditore di conseguire il medesimo bene dovuto, cioè di realizzare specificamente il soddisfacimento del proprio diritto.
8.3. Ancora con specifico riguardo alle polizze fideiussorie, l’introdu- zione, nelle condizioni generali di contratto, di clausole di pagamento con diciture «a semplice» o «a prima richiesta (o domanda)», «senza ecce- zioni» o analoghe («incondizionatamente», «a insindacabile giudizio del beneficiario» e così via), se ne ha di fatto evidenziato l’impredicabilità di qualsivoglia natura assicurativa e l’indiscutibile avvicinamento al modello cauzionale, ne ha specularmente posto il problema della com- patibilità con il modello tipico fideiussorio.
La previsione di siffatte clausole di pagamento manifesta, difatti, una rilevante deroga alla disciplina legale della fideiussione, che si sostanzia nell’attribuzione, al creditore-beneficiario, del potere di esigere dal ga- rante il pagamento immediato, a prescindere da qualsiasi accertamento (e dalla prova da parte del creditore) in ordine all’effettiva sussistenza di un inadempimento del debitore principale (ciò vale, in particolare, per l’incameramento della cauzione da parte dell’ente appaltatore di opere pubbliche, il quale non è tenuto a dimostrare la sussistenza di un danno in concreto, proprio in ragione della determinazione forfettaria dello stesso che consegue alla previsione della cauzione: così Cass. n. 8295 del 1994, in motivazione). A tale riguardo, questa corte ha avuto modo di affermare che, se è consentito alle parti di concedere (o far concedere da un terzo) una somma di denaro al creditore a garanzia dell’adempimento della prestazione dovutagli, allo stesso modo deve poter rientrare nei poteri riconosciuti all’autonomia negoziale la sostituzione della somma di denaro con l’impegno di un terzo di provvedere a quella prestazione o a quel pagamento a semplice richiesta del creditore, dovendosi pertanto riconoscere in dette clausole una «una valida espressione di autonomia negoziale».
9. Di tali clausole, secondo un primo orientamento della giurispru- denza di legittimità (Cass. n. 6499/1990, n. 10486/2004, n. 4446/2008 in motivazione), si predica la incompatibilità con la disciplina della fideiussione, e la conseguente inapplicabilità delle tipiche eccezioni fideiussorie, quali quelle fondate sull’art. 1947 (compensazione opposta dal garante con un debito del creditore verso il debitore principale), art. 1956 (liberazione del fideiussore per obbligazione futura assunta dal creditore) e art. 1957 c.c. (decadenza prevista per l’ipotesi che il credi-
xxxx non coltivi dopo la scadenza dell’obbligazione la propria pretesa nei confronti del debitore principale).
9.1. Secondo un diverso orientamento, dette clausole sarebbero invece idonee a valere anche come osservanza dell’onere di cui all’art. 1957 prescindendo dalla proposizione dell’azione giudiziaria (Cass. n. 7345/1995, cit.), sicché non si tratterebbe di un’esclusione ma di una deroga parziale della disciplina dettata dal citato art. 1957, ad esempio limitata alla previsione che una semplice richiesta scritta sia sufficiente ad escludere l’estinzione della garanzia, esonerando il creditore dall’one- re di proporre azione giudiziaria (Cass. n. 10574/2003, n. 27333/2005, n. 13078/2008, quest’ultima sulla limitata funzione, che può essere svolta da una clausola di pagamento a prima richiesta, di evitare al creditore la decadenza di cui all’art. 1957 non solo iniziando l’azione giudiziaria verso il debitore principale, ma anche soltanto rivolgendo al fideiussore la richiesta di adempimento).
9.2. È dunque opportuno approfondire le ragioni che hanno indotto la giurisprudenza di questa corte a ravvisare nelle clausole di pagamento in oggetto una deroga (seppur variamente atteggiata) alla disciplina legale della fideiussione onde chiarire se di semplice deroga si tratti, ovvero di una così rilevante alterazione del «tipo» negoziale fideiusso- rio tale da provocarne un exodus che conduca all’approdo al modello del Garantievertrag così come comunemente praticato nel commercio internazionale e, di recente, anche nazionale (nelle forme del Bid Bond o Bietungsgarantie, a garanzia del rispetto o del mantenimento di un’offerta contrattuale; del Performance Bond o Leistungsgarantie e del Vertragserfullungsgarantie, quale garanzia di buona esecuzione di un contratto; del Repayment Bond e dell’Advance payment Bond o An- zahlungsgarantie, a copertura del rischio che l’appaltatore non rimborsi al committente il pagamento degli anticipi ricevuti in caso di mancata esecuzione dei lavori; del Retention money Bond, la cui origine è nella prassi in base alla quale il committente trattiene una parte dei paga- menti in occasione dei diversi stati di avanzamento dei lavori, al fine di costituire un fondo di copertura per le spese eventuali da sostenere per riparare errori dell’appaltatore nell’esecuzione dei lavori).
Quelle ragioni risiedono nell’essere le suddette clausole volte a pre- cludere al garante l’opponibilità al creditore garantito delle eccezioni spettanti al debitore principale (siano esse relative al rapporto di valuta tra quest’ultimo e il creditore o al rapporto di provvista tra il debitore principale e il garante), in deroga alla regola essenziale della fideiussione posta dagli artt. 1945 e 1941 c.c., con l’effetto di svincolare (in tutto o in parte) la garanzia dalle vicende del rapporto principale e di precludere la proponibilità delle eccezioni fideiussorie.
9.3. Sotto l’aspetto morfologico, il contratto autonomo di garanzia
costituisce espressione di quella autonomia negoziale riconosciuta alle parti dall’art. 1322 c.c., comma 2, che si configura come un coacervo di rapporti nascenti da autonome pattuizioni fra il destinatario della prestazione (beneficiario della garanzia), il garante (di solito una ban- ca straniera), l’eventuale controgarante (soggetto non necessario, che solitamente si identifica in una banca nazionale che copre la garanzia assunta da quella straniera) e il debitore della prestazione (l’ordinante). Caratteristica fondamentale di tale contratto, che vale a distinguerlo da quello di fideiussione di cui agli artt. 1936 e seguenti c.c., è la carenza dell’elemento dell’accessorietà: il garante s’impegna a pagare al bene- ficiario, senza opporre eccezioni in ordine alla validità e/o all’efficacia del rapporto di base, e identico impegno assume il controgarante nei confronti del garante (così Cass. n. 1420/1998; sulla controgaranzia autonoma, Cass. n. 12341/1992 specifica che l’obbligo di pagamento del garante secondo il meccanismo dell’adempimento «a prima richiesta», tanto della «garanzia» che della «controgaranzia», si attiva a seguito dell’inadempimento dell’obbligazione principale, restando irrilevante l’avvenuto adempimento del contratto collegato a catena).
La diversità di struttura e di effetti rispetto alla fideiussione si riflette sulla causa concreta (in argomento, funditus, Cass. 10490/06) del Garan- tievertrag, la quale risulta essere quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no: infatti, la prestazione dovuta dal garante è qualitativamente diversa da quella dovuta dal debitore principale, essendo (non quella di assicurare l’adempimento della prestazione dedotta in contratto ma) sem- plicemente quella di assicurare la soddisfazione dell’interesse economico del beneficiario compromesso dall’inadempimento (Cass. n. 2377/2008, cit., proprio con riguardo alle polizze fideiussorie); per la sua indipendenza dall’obbligazione principale, esso si distingue, pertanto, dalla fideiussione, giacché mentre il fideiussore è debitore allo stesso modo del debitore prin- cipale e si obbliga direttamente ad adempiere, il garante si obbliga (non tanto a garantire l’adempimento, quanto piuttosto) a tenere indenne il beneficiario dal nocumento per la mancata prestazione del debitore, spesso con una prestazione solo equivalente e non necessariamente corrispon- dente a quella dovuta (Cass. n. 27333/2005; n. 4661/2007): ne consegue, in definitiva, la sua fuoriuscita dal modello fideiussorio, essendo il rapporto affidato per intero all’autonomia privata nei limiti fissati dall’art. 1322 c.c., comma 2 ed essendo la causa del contratto quella di coprire il rischio del beneficiario mediante il trasferimento dello stesso sul garante.
Il riferimento, come oggetto della garanzia de qua, al rischio contrat- tuale da preservare (ovvero all’interesse economico sotteso all’obbliga- zione principale) ha rappresentato una soluzione funzionale a superare
l’apparente ossimoro celato nel sintagma «garanzia autonoma» (atteso che il concetto di garanzia presuppone ontologicamente una relazione di accessorietà con un quid che dev’essere garantito), con la conseguenza che la garanzia sarebbe autonoma rispetto all’obbligazione principale ma pur sempre accessoria rispetto all’interesse economico ad essa sotto- stante, così evitandosi la (preoccupante) conseguenza di individuare nel rapporto principale il termine della relatio e di assimilare in tal modo la garanzia autonoma a quella accessoria.
9.4. Sotto il profilo funzionale, il regime «autonomo» del Garan- tievertrag trova un limite quando: le eccezioni attengano alla validità dello stesso contratto di garanzia (Cass. n. 3326/2002, cit.) ovvero al rapporto garante/beneficiario (Cass. n. 6728/2002, sul diritto del ga- rante di opporre al beneficiario la compensazione legale per un credito vantato direttamente nei suoi confronti); il garante faccia valere l’ine- sistenza del rapporto garantito (Cass. n. 10652/2008, in motivazione,
«trattandosi pur sempre di un contratto (di garanzia) la cui essenziale
– quindi inderogabile – funzione è quella di garantire un determinato adempimento»); la nullità del contratto-base dipenda da contrarietà a norme imperative o illiceità della causa ed attraverso il contratto di garanzia si tenda ad assicurare il risultato che l’ordinamento vieta (Cass. n. 3326/2002; n. 26262/2007; n. 5044/2009); sia proponibile la c.d. exceptio doli generalis seu presentis, perché risulta evidente, certo ed incontestabile il venir meno del debito garantito per pregressa estinzio- ne dell’obbligazione principale per adempimento o per altra causa (nel senso che il garante non è autorizzato ad effettuare pagamenti arbitra- riamente intimatigli, a pena di perdita del regresso nei confronti del debitore principale: Cass. n. 10864/1999; n. 917/1999; n. 5997/2006; in generale, sull’obbligo del garante di opporre l’exceptio doli a protezione del garantito dai possibili abusi del beneficiario, Cass. n. 10864/1999; n. 5997/2006; n. 23786/2007; n. 26262/2007; sull’obbligo del garante di fornire la prova certa ed incontestata dell’esatto adempimento del debitore ovvero della nullità del contratto garantito o illiceità della sua causa: Cass. n. 3964/1999; n. 10652/2008), mentre discussa è la conse- guenza della impossibilità sopravvenuta della prestazione principale non imputabile al debitore (che, secondo una recente giurisprudenza di merito – App. Genova, 25 luglio 2003 – sarebbe a sua volta causa di estinzione della garanzia).
La più rilevante differenza operativa tra la fideiussione e il contratto autonomo di garanzia non riguarda, peraltro, il momento del pagamento
– cui (anche) il fideiussore «atipico» può essere tenuto immediatamente a semplice richiesta del creditore –, ma attiene soprattutto al regime delle azioni di rivalsa dopo l’avvenuto pagamento.
9.5. Se, difatti, il pagamento non risulti dovuto per motivi attinenti al
2# RASSEGNA GIURIDICA UMBRA
rapporto di base, il garante (dopo aver pagato a prima/semplice richiesta) che agisce in ripetizione con l’actio indebiti ex art. 2033 c.c. nei confronti dell’accipiens, cioè del creditore beneficiario, facendo valere le eccezioni di cui dispone il debitore principale, risponde in realtà come un fideiussore, atteggiandosi la clausola di pagamento in questione come una ordinaria clausola solve et repete ex art. 1462 c.c. Il garante «autonomo», invece, una volta che abbia pagato nelle mani del creditore beneficiario, non potrà agire in ripetizione nei confronti di quest’ultimo (salvo nel caso di escussione fraudolenta), rinunciando, per l’effetto, anche alla possi- bilità di chiedere la restituzione di quanto pagato all’accipiens nel caso di escussione illegittima della garanzia, ma potrà esperire l’azione di regresso ex art. 1950 c.c. unicamente nei confronti del debitore garantito (il più delle volte mediante il cosiddetto «conteggio automatico» a carico del debitore, quando questi ha anticipato alla banca le somme neces- sarie per il pagamento o quando sussista la possibilità di addebitare le somme su un conto corrente), senza possibilità per il debitore di opporsi al pagamento richiesto dal garante né di eccepire alcunché, in sede di rivalsa, in merito all’avvenuto pagamento (così Cass. n. 8324/2001; n. 7502/2004; n. 14853/2007).
L’effetto è di «autonomizzare» il rapporto di garanzia rispetto al rapporto base, contrariamente a quanto accade per la fideiussione tipica: è a quest’ultima, infatti, che si riferisce il principio secondo il quale «quando si estingue l’obbligazione principale, si estingue anche quella accessoria di garanzia. Pertanto, se il fideiussore paga un debito già estinto, per remissione, per pagamento o per altra causa, non può esercitare azione di regresso nei confronti del debitore principale» (così Cass. n. 2334/1967).
Sarà il debitore principale ordinante, vittoriosamente escusso dal garante che abbia pagato al beneficiario, ad agire in rivalsa, se il pa- gamento non era dovuto alla stregua del rapporto di base (ad esempio, per il pregresso e puntuale adempimento della medesima obbligazione), sulla base del rapporto di valuta, nei confronti del beneficiario, il quale ha ricevuto dal garante una prestazione non dovuta, mentre la stessa azione di rivalsa del garante verso il debitore-ordinante viene esclusa quando il primo abbia adempiuto nonostante disponesse di prove evidenti della malafede del beneficiario, salva in tal caso la possibilità di agire contro il beneficiario stesso con la condictio indebiti, ai sensi dell’art. 2033 c.c. (va in proposito ricordato che l’art. 20 della Convenzione UN- CITRAL, sulle garanzie autonome e sulle lettere di credito, elaborata dalla Commissione delle Nazioni Unite sul commercio internazionale, tra le alternative riconosciute all’ordinante per neutralizzare il pericolo di un’abusiva escussione, prevede sia la possibilità di inibire al garante di trattenere o recuperare presso l’ordinante le somme pagate in base
alla garanzia sia la possibilità di richiedere un provvedimento giudiziario che impedisca al beneficiario di riscuotere la garanzia).
10. Chiarite così le differenze operative tra fideiussione (even- tualmente resa atipica dall’inserimento delle clausole in questione) e Garantievertrag, va affrontata e risolta la speculare questione del- l’idoneità o sufficienza della clausola di pagamento a prima o semplice richiesta (o senza eccezioni) a trasformare un contratto di fideiussione (pur atipico) in un Garantievertrag. A tale riguardo, si segnalano due non omogenei orientamenti della giurisprudenza di questa Corte che
– pur nella consonanza delle affermazioni secondo cui, da un lato, la qualificazione della garanzia come contratto autonomo di garanzia o di fideiussione (eventualmente atipica) si risolve in un apprezzamento dei fatti e delle prove da parte del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cass. n. 4981/2001; n. 10637/2002; n. 11368/2002; n. 13001/2006; n. 2464/2004), essendo privo di valore il nomen iuris utilizzato dalle parti per designare la garanzia; dall’altro, a fronte della qualificazione della garanzia come fideiussoria, soggetta, in quanto tale, alla sorte del debito principale, la parte che faccia valere la diversa configurazione di detta garanzia come autono- ma, e, quindi, svincolata dal debito principale, ha l’onere di dedurre gli elementi oggettivi sui quali tale configurazione si fonda (Cass. n. 8540/2000) – appare, sul punto, contrastante: – un primo indirizzo è nel senso che l’inserimento di clausole del genere valga di per sé a qua- lificare il negozio de quo come contratto autonomo di garanzia, essendo incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza la fideius- sione (Cass. n. 3552/1998, in motivazione; n. 6757/2001; n. 3257/2007, cit.; n. 14853/2007; n. 11890/2008, in motivazione; in particolare, Xxxx.
n. 8248/1998 ha qualificato la garanzia come autonoma in presenza di una clausola di pagamento «a prima richiesta», con esclusione del beneficium excussionis e dell’accertamento dell’inadempienza da parte dello stesso creditore garantito sulla base della contabilità dell’appalto);
- un secondo filone interpretativo è invece nel senso che il contratto non assume i connotati del contratto autonomo di garanzia per il solo fatto di presentare un patto che obblighi il garante a pagare, sulla richiesta del beneficiario, il quale gli dichiari essersi verificati i presupposti per l’esigibilità della garanzia, e senza poter opporre eccezioni attinenti al rapporto di base: la distinzione tra fideiussione e Garantievertrag an- drebbe tratta, infatti, anche dalla considerazione dei profili funzionali della garanzia, e nel secondo caso la funzione sarebbe non già quella di garantire l’adempimento dell’obbligazione altrui o l’integrale soddisfaci- mento della pretesa risarcitoria traente origine dall’inadempimento del debitore, quanto quella, prossima a quella della cauzione, di assicurare al beneficiario la disponibilità almeno di una determinata somma di da-
naro, a bilanciamento di rischi tipici di determinati contratti. Un patto di rinunzia del fideiussore a far valere subito determinate eccezioni non altererebbe, peraltro, il tipo contrattuale, che resta caratterizzato, come la fideiussione, dal principio di accessorietà (artt. 1939 e 1945 c.c.): la clausola è dunque in sé valida, giacché, pur con riguardo alla causa del contratto di fideiussione ed alla relativa disciplina, essa costituisce una manifestazione di autonomia contrattuale, che resta nei limiti imposti dalla legge (art. 1322 c.c.), dalla quale si trae, insieme, che clausole li- mitative della possibilità di proporre eccezioni sono in certa misura ed a determinate condizioni consentite dall’ordinamento (art. 1341, comma 2 c.c.), e che una clausola del tipo di quella di cui si discute non è in contrasto con l’aspetto essenziale del contratto di fideiussione, aspetto rappresentato dall’accessorietà (così Cass. n. 2909/1996, in motivazione; nel senso che, ai fini della distinzione del contratto autonomo di garanzia dalla fideiussione, non è decisivo l’impiego o meno di espressioni quali «a prima richiesta» o «a semplice richiesta scritta», ma la relazione in cui le parti hanno inteso porre l’obbligazione principale e quella di garanzia, ancora di recente, Cass. n. 5044/2009, cit.).
Pur se non direttamente investite della questione, vertendo il contra- sto di giurisprudenza oggi sottoposto all’esame del collegio sulla natura e sulla disciplina applicabile alle polizze fideiussorie, queste Sezioni Unite ritengono che debba essere data continuità al primo degli orientamenti citati, che ha l’ineliminabile pregio di consentire, ex ante, la necessaria prevedibilità della decisione giudiziaria in caso di controversia, restrin- gendo le maglie di aleatori spazi ermeneutici sovente forieri di poco comprensibili disparità di decisioni a parità di situazioni esaminate, così che la clausola «a prima richiesta e senza eccezioni» dovrebbe di per sé orientare l’interprete verso l’approdo alla autonoma fattispecie del Garantievertrag, salva evidente, patente, irredimibile discrasia con l’intero contenuto «altro» della convenzione negoziale.
10.1. Così ricostruiti i caratteri strutturali ed effettuali del con- tratto autonomo di garanzia, pare innegabile che, in difetto di diversa previsione da parte dei contraenti, ad esso non possa applicarsi la norma dell’art. 1957 c.c. sull’onere del creditore garantito di far valere tempestivamente le sue ragioni nei confronti del debitore principale, poiché tale disposizione, collegata al carattere accessorio della obbli- gazione fideiussoria (così Cass. n. 3964/1999, cit., ancora in tema di polizza fideiussoria; Cass. n. 11368/2002, in motivazione) instaura un collegamento necessario e ineludibile tra la scadenza dell’obbligazione di garanzia e quella dell’obbligazione principale, e come tale rientra tra quelle su cui si fonda l’accessorietà del vincolo fideiussorio, per ciò solo inapplicabile ad un’obbligazione di garanzia autonoma.
10.2. Per ciò che più specificamente concerne l’oggetto della questione
sottoposta al collegio, è opportuno ripercorrere, in sintesi, le divergenze manifestatesi nella giurisprudenza di questa corte sui profili di seguito indicati.
10.3. Quanto ai caratteri morfologici della polizza fideiussoria, pre- valente appare l’orientamento predicativo della sua natura fideiussoria, con conseguente applicazione della disciplina legale tipica ex art. 1936 ss. c.c. ove non derogata dalle parti; un diverso, minoritario indirizzo, ne esclude, viceversa, la configurabilità in termini di fideiussione laddove essa sia prestata a garanzia dell’obbligazione dell’appaltatore: in tal caso, la convenzione integrerebbe gli estremi della garanzia atipica in quanto, non potendo surrogare l’adempimento «specifico» di detta obbli- gazione (connotata dal carattere dell’insostituibilità), ha la funzione di assicurare, sic et simpliciter, il soddisfacimento dell’interesse economico del beneficiario, compromesso dall’inadempimento. Essa risulta, per- tanto, vicenda del tutto disomogenea rispetto al sistema delle garanzie di tipo satisfattorio proprie delle prestazioni fungibili caratterizzate dall’identità della prestazione e dal vincolo della solidarietà (sussidia- rietà)/accessorietà, riconducibile di converso alla figura della garanzia di tipo indennitario, in forza della quale il garante è tenuto soltanto ad indennizzare, o a risarcire, il creditore insoddisfatto (Cass. n. 2377/2008, cit.; n. 7712/2002).
10.4. Queste Sezioni Unite intendono dare continuità al secondo degli orientamenti poc’anzi ricordati.
Non appaiono decisive, difatti, le riserve che dottrina e giurispru- denza attestate sul fronte dell’equiparazione della polizza de qua alla convenzione fideiussoria (quantunque atipica) hanno diacronicamente manifestato in subiecta materia. Si obietta, difatti, che la banca garan- tisce non già la prestazione primaria (cioè l’esecuzione dell’opera o della fornitura), bensì quella secondaria, che consiste nel pagamento di una somma di denaro prestabilita (la quale spesso assume i caratteri della clausola penale): ciò consentirebbe di ritenere che vi sia identità tra l’oggetto della prestazione garantita e quello dell’obbligazione di garan- zia, trattandosi in entrambi i casi di una (anzi della stessa) somma di denaro. Si è anche osservato che, da questo punto di vista, la differenza con la fideiussione è meno marcata, giacché l’indennità non solo può es- sere in certi casi omogenea alla prestazione pecuniaria ed originaria del debitore, ma è comunque omogenea rispetto alle prestazioni pecuniarie secondarie del debitore (derivino esse da un risarcimento del danno o da una clausola penale). Con specifico riguardo alla garanzia (c.d. definiti- va) dovuta all’Amministrazione appaltante, ai sensi della l. n. 109 del 1994, art. 30, comma 2, si è poi rilevato che, se è vero che la garanzia ha carattere indennitario, in quanto il fideiussore non è obbligato ad adempiere in luogo del debitore principale, essendo tenuto a rifondere
il creditore degli oneri affrontati in conseguenza del mancato o inesatto adempimento del debitore, è altrettanto vero che la diversità della pre- stazione dell’assicuratore non esclude la funzione di garanzia in quanto la fideiussione sostituisce non la esecuzione dell’obbligazione principale ma la cauzione, cioè la garanzia reale dell’obbligazione dell’esecutore: ad essere garantito non sarebbe tanto un qualsiasi adempimento, bensì la prestazione della cauzione.
Non si è mancato poi di sottolineare, per altro verso, che il concetto di fungibilità e infungibilità della prestazione appare qualificazione giu- ridica tra le più sfuggenti, cui, del resto, non sempre è riconosciuto un autonomo significato, trattandosi di un problema di interpretazione in senso lato, di talché la fungibilità di un’obbligazione non dipenderebbe tanto dal tipo di prestazione o dalla natura del suo oggetto secondo criteri astratti, ma avrebbe da esser valutata in concreto, tenuto conto anche dell’interesse del creditore, ex art. 1173 c.c. (ciò che ha consentito alla moderna dottrina di considerare fungibile anche l’adempimento delle obbligazioni di fare – così superandosi la tradizionale impostazione, fi- glia del codice del 1865, propensa a ritenere che soltanto l’obbligazione pecuniaria potesse essere garantita da fideiussione –, coerentemente con il disposto dell’attuale art. 1936 c.c. – il cui pendant è costituito dal 765, comma 1 del BGB –, il quale non contiene alcuna distinzione esplicita in argomento, indicando solo che la fideiussione garantisce
«l’adempimento di un’obbligazione altrui», così venendo meno qualsi- voglia argomento letterale a favore dell’idea di un’identità di contenuto dell’obbligazione principale e dell’obbligazione fideiussoria, mutando il precedente richiamo dell’art. 1898 c.c. abrogato alla «stessa obbligazio- ne»). Si è infine rilevato che l’accessorietà dell’obbligazione fideiussoria non implicherebbe una assoluta ed univoca dipendenza del rapporto di garanzia dal rapporto garantito, in quanto la fideiussione, al pari di qualsiasi altro rapporto obbligatorio, vive e si mantiene in questa relazione funzionale con una individualità propria, e che il nostro or- dinamento non conosce una nozione tecnica di accessorietà, ossia una disciplina unitaria del fenomeno, onde la «relativizzazione» del requisito in parola, intesa come conseguenza dell’acquisita autonomia causale della fideiussione, manifestandosi nell’ordinamento il riconoscimento di una certa indipendenza dell’obbligazione di garanzia rispetto a quella garantita, con un’implicita retrocessione del requisito dell’accessorietà a un livello non essenziale.
11. Le considerazioni che precedono non appaiono decisive al fine di predicare una non realistica consonanza tra polizza fideiussoria e convenzione di garanzia tipica ex art. 1936 c.c. Al di là della osservazio- ne (di per sé decisiva) secondo la quale esse non appaiono sufficienti a far superare il principio secondo cui rimangono fuori dalla possibilità
di essere garantite per il tramite di una fideiussione le obbligazioni di fare infungibile, nelle quali c’è comunque un interesse del creditore alla personale esecuzione del debitore – non potendo, in questo caso, realizzarsi in alcun modo la sostituzione del fideiussore al debitore principale, poiché il garante non deve (né può) adempiere, in rapporto di solidarietà con il debitore principale, un debito identico a quello su di lui gravante – non sembra seriamente contestabile che si discorra di fideiussio indemnitatis con riferimento a fattispecie nella quale la fun- zione di garanzia viene piuttosto a porsi in via (succedanea e secondaria sì, ma) del tutto autonoma rispetto all’obbligo primario di prestazione, onde garantire il risarcimento del danno dovuto al creditore per l’ina- dempimento dell’obbligato principale e, quindi, per un’obbligazione non soltanto futura ed eventuale (ciò che non costituirebbe di per sé ostacolo alla configurabilità di una fideiussione, avendo l’attuale art. 1938 c.c. posto termine ad un dibattito dottrinale e giurisprudenziale formatosi nel vigore del precedente codice con l’ammettere esplicitamente la legittimità della fideiussione «anche per un’obbligazione condizionale o futura»), ma essenzialmente diversa rispetto a quella garantita, con l’ulteriore conseguenza che l’obbligazione del garante non diviene at- tuale prima dell’inadempimento della (diversa) obbligazione principale, verificatosi il quale sorge l’obbligo secondario del «risarcimento» del danno (rectius, dell’indennizzo conseguente all’inadempimento): viene irrimediabilmente vulnerato, in tal guisa, proprio quel meccanismo della solidarietà che attribuisce al creditore la libera electio, cioè la possibilità di chiedere l’adempimento così al debitore come al fideiussore, a partire dal momento in cui il credito è esigibile.
Venendo così meno la funzione di garantire, in senso preventivo, l’adempimento, la c.d. fideiussio indemnitatis pare definitivamente espunta dall’orbita della garanzia fideiussoria, per acquisire una fun- zione reintegratoria (non del tutto aliena da un modello assicurativo). Né decisiva appare, ancora, l’obiezione secondo la quale, nel nostro ordinamento, un’astrazione assoluta dell’elemento causale, in cui la sorte o i difetti dell’obbligazione sottostante non abbiano mai alcuna ripercussione sull’obbligazione astratta di garanzia, non pare a tutt’oggi
legittimamente predicabile.
Va premesso, in proposito, che, tra astrazione assoluta e accessorietà (intesa nel senso tradizionale) si stagliano orizzonti che abbracciano diverse gradazioni di strutture negoziali che il legislatore di volta in volta legittima, secondo un giudizio di valore rispetto ai vari interessi coinvolti: l’accessorietà dell’obbligazione autonoma di garanzia rispet- to al rapporto debitorio principale assume un carattere certamente più elastico, di semplice collegamento/coordinamento tra obbligazioni, ma non viene del tutto a mancare, come dimostrato, da un lato, dalla
rilevanza delle ipotesi in cui il garante è esonerato dal pagamento per ragioni che riguardano comunque il rapporto sottostante (supra, sub 6.2); dall’altro, dal meccanismo di riequilibrio delle diverse posizioni contrattuali attraverso il sistema delle rivalse.
Va inoltre considerato che, come condivisibilmente affermato dalla Terza Sezione di questa corte con la sentenza 10490/06 (e poi ribadito, sia pur in obiter, da queste stesse Sezioni Unite con le quattro pronunce dell’11 novembre del 2008, rese in tema di danno non patrimoniale), appaia oggi predicabile una ermeneutica del concetto di causa che, sul presupposto della obsolescenza della matrice ideologica che la configu- rava come strumento di controllo della sua utilità sociale, affonda le proprie radici in una serrata critica della teoria della predeterminazione causale del negozio (che, a tacer d’altro, non spiega come un contratto tipico possa avere causa illecita), ricostruendo tale elemento in termini di sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico, adoperato).
Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale, si badi, e non anche della volontà delle parti. Causa, dunque, ancora og- gettivamente iscritta nell’orbita della dimensione funzionale dell’atto, ma, questa volta, funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, secondo un iter evolutivo del concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga alfine a cogliere l’uso che di ciascuno di essi hanno inteso compiere i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale.
È innegabile, pertanto, che di causa negotii sia lecito discorrere, in termini di sua concreta esistenza, anche con riferimento al contratto au- tonomo di garanzia e alla polizza fideiussoria, ad esso assimilabile quoad effecta. È altresì innegabile, nel caso di specie, che la forma di garanzia prescelta dalle parti, in alternativa al deposito cauzionale in denaro o titoli, non sia stata quella della fideiussione, bensì quella della polizza fideiussoria, alternativa e, per l’effetto, sostituiva forma di prestazione della cauzione stessa, «consentita» (così, letteralmente, il testo negoziale rilevante in parte qua) dall’amministrazione appaltante senza essere accompagnata da alcuna dichiarazione abdicativa di tutti gli altri poteri e facoltà spettatile sulla base della normativa di settore vigente ratione temporis. La funzione individuale del singolo, specifico negozio (id est della polizza fideiussoria) è stata dunque quella di sostituire la traditio del denaro tipica della cauzione con l’obbligazione di corrispondere una somma di denaro, da parte del garante, a richiesta del creditore, senza alcuna possibilità, per il primo, di invocare il meccanismo, tipicamente fideiussorio, di cui all’art. 1957 c.c.
Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: la polizza fideiussoria stipulata a garanzia delle obbligazioni assunte da un ap- paltatore assurge a garanzia atipica, a cagione dell’insostituibilità della obbligazione principale, onde il creditore può pretendere dal garante solo un risarcimento, prestazione diversa da quella alla quale aveva diritto. Con la precisazione, peraltro, della invalidità della polizza stessa se intervenuta successivamente rispetto all’inadempimento delle obbliga- zioni garantite. (Omissis).
II
Con atto notificato il giorno 2 novembre 2001 l’Istituto Edilizia Re- sidenziale Pubblica della Provincia di Perugia ha proposto appello, nei confronti di Xxxxx Xxxxxxx x.x.a. e Xxxxx Xxxxxxxxx, xxtolare della ditta Violx Xxxxxxxxxxx, xxntro la sentenza del 9 agosto 2000-4 ottobre 2000, resa tra le parti dal Tribunale di Perugia, con la quale quest’ultimo aveva respinto la domanda dell’odierno appellante di pagamento della somma di Lire 61.291.937 portata da una polizza fideiussoria costituita presso l’assicuratore in favore dell’Istituto.
Xxxxx Xxxxxxx s.p.a. ha resistito al gravame e spiegato appello inci- dentale condizionato, mentre Xxxxx Xxxxxxxxx, xxtolare della ditta Violx Xxxxxxxxxxx, xx optato per la contumacia.
L’appello, istruito con produzione di documenti, è stato posto in de- cisione all’udienza collegiale del giorno 16 gennaio 2003. (Omissis).
§ 1. – Per una adeguata comprensione della vicenda è sufficiente rammentare che lo I.E.R.P. ha appaltato al Viola la costruzione di un immobile, sicché l’appaltatore ha, in data 17 novembre 1993, costituito presso Xxxxx Xxxxxxx s.p.a. una polizza fideiussoria diretta a garantire l’appaltante per il caso di inadempimento delle obbligazioni sorte a suo carico dalla stipulazione del contratto d’appalto.
Lo I.E.R.P., con delibera del 29 giugno 1995, notificata all’appaltatore il successivo 18 luglio, ha dichiarato risolto il contratto d’appalto per ina- dempimento dell’appaltatore medesimo, ai sensi dell’art. 10, sesto comma,
d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, disponendo in pari tempo l’incameramento della cauzione ai sensi dell’ottavo comma della medesima disposizione.
L’Istituto, non avendo ottenuto il pagamento della somma portata dalla polizza fideiussoria menzionata, nonostante richiesta in tal senso rivolta all’assicuratore in data 9 agosto 1995, ha dunque agito in giudi- zio nei confronti di quest’ultimo per ottenerne condanna al pagamento della somma detta.
Xxxxx Xxxxxxx x.x.a., costituitasi in giudizio, ha sostenuto che il rap- porto di garanzia del quale essa era parte aveva natura di vera e pro- pria fideiussione, con la conseguenza che il diritto ex adverso azionato
si era estinto ai sensi dell’art. 1957 c.c., per non avere l’attore proposto tempestivamente la domanda contro il debitore principale, e che, in ogni caso, la società convenuta, nella qualità di fideiussore, ben poteva far valere l’inesistenza dell’inadempimento del Viola, inadempiente essendo l’Istituto.
L’assicuratore ha inoltre in altro giudizio agito in manleva nei con- fronti del Viola, che è rimasto contumace, chiedendo ed ottenendo che la seconda causa fosse riunita alla prima.
Il primo giudice, dopo aver affermato che il rapporto in discussione aveva effettivamente natura di fideiussione e non, invece, di contratto autonomo di garanzia, come sostenuto dall’Istituto, ha rigettato la do- manda attrice, accogliendo l’eccezione di decadenza di cui all’art. 1957 c.c.
§ 2. – Con l’unico motivo di censura della sentenza impugnata l’appel- lante lamenta l’errore in cui il Tribunale sarebbe incorso nel qualificare rapporto quale fideiussione, anziché contratto autonomo di garanzia.
Sostiene l’appellante che il primo giudice non avrebbe tenuto nel debito conto la comune volontà delle parti, desunta dalla funzione, pur riconosciuta in sentenza, della polizza fideiussoria costituita presso l’assicuratore: funzione, espressamente riconosciuta dalla legislazione in materia, indubbiamente sostitutiva della cauzione, la quale all’evidenza consente all’ente garantito di farsi ragione da sé sulla somma nella sua disponibilità, senza incontrare ostacolo di sorta. Ed allora, la polizza fideiussoria, in quanto sostitutiva della cauzione, doveva parimenti consentire all’ente garantito di ricevere il pagamento senza che alcun ostacolo potesse esservi frapposto.
La sentenza impugnata, inoltre, non aveva considerato che il rappor- to in questione non poteva essere ricondotto allo schema della fideius- sione, trattandosi di negozio trilaterale, che prevedeva l’obbligazione del Viola di pagamento dei premi di assicurazione.
Anche sul piano dell’interpretazione letterale il Tribunale era incorso in errore, non avendo considerato che il pagamento da parte dell’assi- curatore doveva essere effettuato «a richiesta» dell’ente garantito, come accade nel caso del contratto autonomo di garanzia, senza che potesse porsi l’accento sulla mancanza dell’aggettivazione «semplice» o «prima»: la formula utilizzata della polizza, ove era previsto il pagamento «nel termine massimo di trenta giorni dalla richiesta scritta» era cioè equi- valente alle clausole «a semplice richiesta» o «a prima richiesta».
Naturalmente, una volta riconosciuto che il rapporto aveva natura di contratto autonomo di garanzia e non di fideiussione, veniva a cadere il ragionamento osservato dal Tribunale, in riferimento al profilo di de- cadenza di cui all’art. 1957 c.c., per disattendere la domanda attrice.
§ 2.1. – Il motivo va respinto.
Il ragionamento svolto dall’appellante esordisce in violazione della regola basilare dell’ermeneutica contrattuale posta dall’art. 1362, primo comma c.c., secondo il quale «nell’interpretare il contratto si deve inda- gare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole».
La fonte dell’interpretazione – stabilisce la norma — è costituita in primo luogo dal testo, dal quale occorre necessariamente muovere, non limitandosi al senso letterale, per ricostruire la comune intenzione delle parti: sì che integra procedimento interpretativo arbitrario quello che si fonda non sul testo, ma, come in questo caso, su considerazioni estrinseche ad esso, quali quella tratta dalla previsione legislativa della polizza in sostituzione – sostituzione di cui il documento in questione, come si vedrà, non parla – della cauzione.
In questo come in ogni altro caso, invece, occorre quindi scrutinare la lettera della pattuizione, sì da verificare semmai esso non consenta, in prima battuta, l’applicazione della regola in claris non fit interpretatio, tuttora riconosciuta, secondo l’opinione prevalente e preferibile, dalla norma da ultimo ricordata. Questo, dunque, il testo sul quale occorre ragionare: «Il pagamento delle somme dovute in base alla presente polizza sarà effettuato dalla società entro il termine massimo di trenta giorni dal ricevimento della richiesta scritta dell’ente garantito, restando inteso che, ai sensi dell’art. 1944 c.c., la società non godrà del beneficio della preventiva escussione della ditta obbligata» (art. 5 della polizza fideiussoria posta a fondamento della domanda).
Il pagamento, quindi, ha da essere effettuato «a richiesta»: e, in proposito, l’assunto dell’appellante secondo cui l’espressione utilizzata sarebbe equipollente a quelle che di solito caratterizzano i contratti au- tonomi di garanzia («a prima richiesta», «a semplice richiesta») appare francamente forzata. Che una richiesta debba esservi, tanto nel contratto autonomo di garanzia che nella fideiussione, è cosa evidente, sulla quale non pare proprio il caso di dilungarsi: è alquanto arduo pensare ad un garante tenuto a pagare al garantito che nulla gli chiede. La richiesta, cioè, è l’indispensabile passaggio diretto ad innescare il funzionamento del congegno di garanzia.
Ma, allora, l’espressione «a richiesta» risulta, sul piano del rilievo ermeneutico, del tutto neutra, potendo attenere tanto ad un contratto autonomo di garanzia quanto ad una fideiussione. Viceversa, sono proprio gli aggettivi «semplice», «prima», o altri equivalenti, a fare la differenza tra una garanzia di impostazione fideiussoria, accessoria ad un rapporto principale, con quanto ne consegue in punto di opponibilità da parte del fideiubente di eccezioni da esso dipendenti, ed una garanzia non già accessoria ma autonoma, quale quella invocata dall’ente appellante.
In definitiva, pare a questa Corte che lo I.E.R.P., nel sostenere la tesi
3# RASSEGNA GIURIDICA UMBRA
dell’irrilevanza degli aggettivi menzionati, si batta inutilmente contro l’evidenza, giacché è l’intero sintagma «a prima richiesta», «a semplice richiesta» – o quanti altri la fantasia degli operatori giuridici possa ana- logamente escogitare – a possedere una decisiva pregnanza significante, la quale manca alla parola «richiesta» di per sé sola considerata: a meno di non voler paradossalmente ritenere, in caso contrario, che la «richie- sta», essendo equipollente alla «prima richiesta», sia allo stesso modo equipollente alla «seconda», «terza» o «quarta richiesta», alla «motivata richiesta», alla «tempestiva richiesta», e così via.
Né rileva alcunché la previsione del termine massimo di pagamento fissato in trenta giorni: il termine, infatti, nulla dice sulla natura del contratto, limitandosi ad offrire al garante – il quale dovrebbe altrimenti pagare statim – il tempo ritenuto congruo ad adempiere la prestazione: anche l’apposizione del termine, dunque, è pienamente compatibile tanto con una fideiussione quanto con un contratto autonomo di garanzia.
D’altro canto, «le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal comples- so dell’atto» (art. 1363 c.c.): sicché diviene inspiegabile perché le parti, avendo utilizzato l’espressione «a richiesta», ritenuta assolutamente suggestiva del contratto autonomo di garanzia, avrebbero poi prestato attenzione ad escludere il «beneficio della preventiva escussione della ditta obbligata», preventiva escussione che con il contratto autonomo di garanzia fa evidentemente a pugni. Al contrario, la necessità di escludere la preventiva escussione del debitore principale trova logica giustifica- zione proprio nel carattere strettamente fideiussorio dell’obbligazione di garanzia assunta.
Il tutto – occorre aggiungere – nel quadro di una pattuizione in cui gli ulteriori riferimenti alla fideiussione sono molteplici ed espressi: in primo luogo la polizza viene definita quale polizza «fideiussoria», il che non può essere considerato privo di significato, attesa l’utilizzazione dell’espressione in un contratto concluso mediante modulo predisposto dall’assicuratore, il quale dovrebbe essere altrimenti ritenuto affatto digiuno di elementari nozioni e distinzioni giuridiche; prosegue la polizza esponendo che la società assicuratrice «si costituisce fideiussore nell’in- teresse della Ditta Viola Costruzioni»; all’art. 1 della polizza si ripete poi che la società si costituisce fideiussore nell’interesse del debitore per le somme che questo «fosse tenuto a corrispondere all’ente garantito in virtù degli obblighi ed oneri assunti con il contratto di appalto precisato nel frontespizio di polizza», evidenziando ulteriormente la relazione tra l’obbligazione accessoria di garanzia ed il rapporto principale; l’art. 6 della polizza, ancora, prevede la rinuncia del debitore alle eccezioni previste dall’art. 1952 c.c., anche esso posto in tema di fideiussione.
Insomma, tutto, sul piano dell’interpretazione letterale, depone – tor-
nando alla regola in claris non fit interpretatio – per la qualificazione dell’atto quale fideiussione: ed invece la polizza non fa alcun cenno al tratto saliente che caratterizza l’altra figura (il contratto autonomo di garanzia), ossia l’inopponibilità al garantito, da parte del garante, delle eccezioni spettanti al debitore.
Quanto al rilievo dell’appellante secondo cui la polizza avrebbe avuto natura sostitutiva della cauzione, merita in contrario osservare che essa non si autoqualifica affatto nel senso indicato: in realtà, il solo riferimento alla cauzione appare nel frontespizio della polizza in esa- me all’esclusivo fine dell’identificazione della somma garantita («L. 61. 291.937 [...] quale importo della cauzione dovuta alla Ditta Obbligata a garanzia dell’adempimento degli oneri ed obblighi assunti in dipen- denza del contratto di appalto»), senza in alcun modo suggerire che la garanzia offerta debba possedere le stesse caratteristiche di immediata aggredibilità della cauzione: insomma, non pare alla Corte revocabile in dubbio che una garanzia autonoma sarebbe stata più acconcia della fi- deiussione a realizzare l’interesse della garantita, ma ciò avrebbe dovuto tradursi in un’adeguata previsione contrattuale, non già nel tentativo ex post di ravvxxxxx xx contratto autonomo di garanzia laddove le parti hanno voluto una fideiussione.
Ed infine, è appena il caso di osservare che l’impegno assunto dal debitore di pagare i premi è elemento del tutto destituito di un rilievo tale da capovolgere le conclusioni interpretative fin qui raggiunte sulla base dell’indagine dell’intenzione dei contraenti desunta dal testo della pattuizione.
Correttamente, dunque, il primo giudice ha concluso per la qualifi- cazione della garanzia in discussione quale fideiussione, con l’ulteriore conseguenza che la decisione impugnata, in mancanza di gravame sul punto della constatata decadenza dalla garanzia, non può che rimanere ferma. (Omissis).
(1-3) Contratto autonomo di garanzia: profili funzionali e applica- tivi
1. L’Istituto per l’Edilizia Residenziale Pubblica della Provincia di Peru- gia impugna nel 2001 la sentenza con cui il Tribunale ne aveva respinto la domanda di pagamento di una somma di denaro, oggetto di polizza fideius- xxxxx costituita in suo favore dall’appaltatore «V. Costruzioni» (cui l’Istituto appellante aveva commissionato lavori edili) presso la «L.I. Assicurazioni»; l’Istituto afferma di aver diritto alla corresponsione della somma, da parte dell’assicuratore, per aver dichiarato unilateralmente risolto – a seguito d’inadempimento dell’appaltatore – il contratto di appalto in base alla nor-
ma di cui al 6° comma dell’art. 10 del d.P.R. n. 1063/1962, applicabile alla vicenda processuale ratione temporis. Il Tribunale, dopo aver qualificato la convenzione di garanzia in termini di fideiussione in senso stretto, respinge la domanda, ritenendo come il diritto di rivalsa si sia estinto ex art. 1957
c.c. non avendo proposto, il creditore, tempestiva domanda contro il debitore principale. La sentenza viene confermata dalla Corte d’Appexxx, xx quale esclude la configurabilità, nel caso di specie, di un contratto autonomo di garanzia sulla base di una interpretazione, delle clausole negoziali in atti, del tutto contraria rispetto a quella auspicata dall’appellante. Tale decisione viene impugnata dalla A.T.E.R. (nel frattempo succeduta all’originario at- tore), le cui ragioni vengono accolte dalla Suprema Corte, la quale osserva in proposito come il contratto autonomo di garanzia (c.d. Garantievertrag)
– in quanto espressione dell’autonomia negoziale ex art. 1322 c.c. –abbia la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adem- pimento della prestazione gravante sul debitore principale, la quale può riguardare anche un fare infungibile (qual è l’obbligazione dell’appaltatore), contrariamente alla fideiussione (in cui esclusivamente ricorre l’elemento dell’accessorietà), la quale garantisce – attesa l’identità tra prestazione del debitore principale e prestazione dovuta dal garante – l’adempimento della obbligazione «di base». Ne deriva che, mentre il fideiussore assume la funzione di «vicario» del debitore, l’obbligazione del garante autonomo si pone in via del tutto autonoma rispetto all’obbligo primario di prestazio- ne, essendo qualitativamente diversa da quella garantita, in quanto non necessariamente sovrapponibile ad essa e rivolta – non all’adempimento del debito principale, bensì – ad indennizzare il creditore insoddisfatto me- diante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore.
Al contratto autonomo di garanzia, in difetto di diversa previsione da parte dei contraenti, non si applicherà pertanto la norma di cui all’art. 1957 c.c., concernente l’onere del creditore garantito di far valere le pro- prie ragioni, tempestivamente, nei confronti del debitore principale: ciò in quanto tale disposizione – collegata al carattere accessorio dell’obbli- gazione fideiussoria – instaura un collegamento necessario e ineludibile tra la scadenza dell’obbligazione di garanzia e quella dell’obbligazione principale, e come tale rientra tra quelle su cui si fonda l’accessorietà del vincolo fideiussorio, per ciò solo inapplicabile ad un’obbligazione di garanzia autonoma.
Pertanto nel caso di specie, sostiene la S.C., la polizza fideiussoria sti- pulata a garanzia delle obbligazioni assunte da un appaltatore costituisce garanzia atipica in quanto, ferma restando l’invalidità della polizza stessa ove intervenuta successivamente rispetto all’inadempimento delle obbliga- zioni garantite, l’insostituibilità di queste ultime comporta che il creditore può pretendere, dal garante, l’esclusivo risarcimento del danno dovuto per l’inadempimento dell’obbligato principale – prestazione diversa da quella alla quale aveva diritto – venendo in tal modo vulnerato il meccanismo della
solidarietà che, nella fideiussione, attribuisce al creditore la libera electio, cioè a dire la possibilità di chiedere l’adempimento, così al debitore come al fideiussore, a partire dal momento in cui il credito risulti esigibile.
La Cassazione precisa infine come la c.d. polizza fideiussoria costituisca negozio distinto, sotto il profilo genetico, dalla «semplice» fideiussione, sia in quanto necessariamente oneroso (mentre la fideiussione può essere anche a titolo gratuito), sia in quanto stipulato non tra fideiussore e creditore bensì, di regola, dall’appaltatore (debitore principale) su richiesta e in favore del committente-beneficiario (creditore principale); esso è, inoltre, struttural- mente articolato secondo lo schema del contratto a favore di terzo, il quale non è parte né formale né sostanziale del rapporto.
2. La S.C. è stata chiamata, nell’ambito di una controversia ine- rente una polizza fideiussoria stipulata a fronte d’impegno connesso a pubblico appalto (poi dichiarato unilateralmente risolto, dalla stazione appaltante, a seguito d’inadempimento dell’appaltatore), a far luce sul sottile confine tra fideiussione e Garantievertrag (c.d. contratto autonomo di garanzia).
La polizza fideiussoria costituisce, pur non essendo a tutt’oggi contem- plata dal diritto positivo (1), modello contrattuale largamente utilizzato nella pratica degli affari: tale tipicità sociale, tuttavia, ha dato adito a diverse questioni circa l’effettiva natura giuridica del Garantievertrag, specialmen- te con riferimento alla definizione del relativo elemento causale, di talché numerose impostazioni si sono contrapposte, riconducendo il modello di riferimento talvolta nell’alveo delle garanzie autonome, talaltra di quelle fideiussorie.
Le Sezioni Unite hanno sostanzialmente dato riscontro a tre principali questioni, riguardanti nello specifico: a) i profili di distinzione, sul piano funzionale e interpretativo, tra fideiussione e contratto autonomo di garan- zia; b) il contrasto circa la natura delle polizze assicurative fideiussorie (con particolare riguardo a quelle stipulate dall’appaltatore di opere pubbliche);
c) le ipotesi di appalto pubblico nelle quali la cauzione risulti sostituita da altra forma di garanzia legislativamente prevista (nella specie, quella che il d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, qualifica in termini di «fideiussione»), e vi sia inadempimento dell’aggiudicatario.
(1) Si tratta di una figura, tuttavia, non del tutto estranea al nostro ordinamento. Alcune leggi speciali, infatti, richiamando varia terminologia («assicurazione cau- zionale», «cauzione fideiussoria», «polizza cauzionale», «fideiussione assicurativa»), fanno riferimento a tale forma negoziale: si pensi, ad esempio, al d.lgs. n. 163/2006, ove è prevista la possibilità, per l’appaltatore di opere pubbliche, di stipulare una polizza fideiussoria in alternativa al versamento della cauzione provvisoria (art. 75), mentre l’art. 113 la contempla – in funzione di cauzione definitiva – tra le garanzie a corredo dell’esecuzione dell’appalto. Sul punto v. infra, par. 6.
3. Il contratto autonomo di garanzia costituisce, notoriamente, un importante contributo della dottrina giuridica tedesca, la quale ha saputo conciliare le esigenze di rafforzamento delle garanzie del credito con la prassi contrattuale internazionale, a mezzo della separazione della garanzia dal relativo rapporto valutario (2): la distinzione di Xxxxxxxx tra contratti di garanzia accessori (fideiussione) e contratti di garanzia indipendenti dal rapporto garantito (fonti, pertanto, di obbligazione autonoma del promitten- te) risulta, ad oggi, riconosciuta anche dalla giurisprudenza italiana (3).
L’operazione di accoglimento del Garantievertrag nell’ordinamento italiano4, tuttavia, si è dovuta scontrare in particolar modo con la dottrina
(2) Cfr. NASTXX, Xx polizza fideiussoria nel genus delle garanzie atipiche, in Obbl. e contr., 2011, 104.
(3) Cfr. Cass., Sez. un., 1° ottobre 1987, n. 7341 (in Giur. it., 1988, I, 1, 1203, con nota di A. AXXXXXXXXX, Xx fideiussione con clausola di pagamento «a semplice richiesta»; in Foro it., 1988, I, 103, con nota di VIALE, Sfogliando la margherita:
«Garantievertrag» e fideiussione omnibus in Cassazione; ivi, 113 ss., con nota di XXXXX, Tutela del credito e validità della fideiussione «omnibus»; ivi, 1988, I, 3021, con nota di CALDERALE, La Cassazione ed il contratto autonomo di garanzia: il «big sleep» delle Sezioni Unite; in Foro pad., 1988, 7, con nota di X. XXXXXX-XXXXXXXXXX, Garanzia bancaria: negozio atipico ma non troppo; ivi, 1988, 193, con nota di X. XXXXXX, Xx fideiussione «a prima richiesta» al vaglio della Cassazione; in Riv. dir. comm., 1988, 339, con nota di X. XXXXX, Xxranzie bancarie da soddisfare a semplice richiesta; in Banca borsa tit. cred., 1988, 383, con nota di X. XXXXXXXX, Xxempimento del debito garantito e clausola di pagamento a vista e senza eccezioni), secondo cui:
«La clausola con cui il fideiussore si impegna ad adempiere in favore del creditore
costituisce una valida espressione di autonomia negoziale delle parti e dà vita ad un contratto atipico di garanzia, che pur derogando al principio dell’accessorietà, resta riferibile al rapporto fideiussorio per la finalità di garanzia che lo contraddistingue e non fa venir meno, quindi, la connessione tra i due rapporti»».
(4) Sul contratto autonomo di garanzia esiste una letteratura vastissima: tra gli altri, BENATTI, Garanzia (contratto autonomo di), in Noviss. dig. it., App., Torino, 1982, 918 ss.; RORDORF, Contratto di garanzia con causa astratta, in Società, 1986, 386 ss.; COSTANZA, Contratto autonomo di garanzia e ripetizione dell’indebito, in Giust. civ., 1990, II, 736 ss.; BARBXXXX, Xx garanzie atipiche e innominate nel sistema del codice del 1942, in Banca borsa tit. cred., 1992, I, 737 ss.; XXXXXXX, Interesse del garante e strutture negoziali. Contributo ad uno studio sistematico delle garanzie di esatta esecuzione, di pagamento del rimborso e di mantenimento dell’offerta, Napoli, 1995, 10 ss.; CHINÈ , Garanzia a prima richiesta, in CUFFARO (a cura di), Le garanzie rafforzate del credito, Milano, 2000, 831 ss.; ID., Garaxxxx x xrima richiesta, in Giur. sist. Bigiavi, II, Torino, 2000, 920ss. Per profili comparatistici PORTALE, Fideiussione e garantievertrag nella prassi bancaria, in AA.VV., Le operazioni bancarie a cura di Portale, II, Milano, 1978, 1043 ss.; GAMBARO, Garanzie bancarie (diritto comparato e straniero), in Enc. giur., XV, Roma, 1989; LAUDISA, Garanzia autonoma e tutela giurisdizionale, Milano, 1993, 92 ss.; VILLANACCI, Performance bond, caratteri e funzioni, Napoli, 1995, 25 ss. Sul punto vedi anche le Uniform Rules for Demand Guarantees, sulle quali CALDERALE, Le nuove norme della Camera di Commercio Internazionale sulle «Demand Guarantees» e la riforma dell’art. 5 dell’Uniform
tradizionale, restìa a concepire un contratto (apparentemente) affetto da
«astrattezza causale» (5).
Già la migliore dottrina civilistica si era occupata, negli anni Cinquanta, della fondamentale questione inerente la polisemia connaturale al lemma
«causa» (6). La causa del contratto, intesa quale funzione ad esso assegnata dalle parti, non pone tanto questioni riguardanti la propria esistenza quan- to, piuttosto, di liceità (art. 1343 c.c.) ovvero di realizzabilità; in tal senso, la causa contrattuale è incarnata dallo scopo del promittente condiviso dal promissario, cioè a dire consiste nella moderna rappresentazione oggettiva della causa intesa classicamente in senso soggettivo (7).
Peraltro, ove si contrapponga atto «causale» ad atto «astratto», l’impianto causale proprio di quest’ultimo sarà da ravvisarsi nel «rapporto fondamen- tale» (cfr. art. 1988 c.c.), cioè a dire nel rapporto in base al quale l’atto risulta posto in essere (8); in tal senso, la questione principale è costituita dalla ravvisabilità o meno di un atto astratto, tipologia quest’ultima, tuttavia, facilmente riconoscibile nel nostro ordinamento, considerato come l’unico atto astratto ammesso sia la cambiale (9), per emettere la quale è necessario il rispetto di formalità ben precise (cfr. art. 1 l.camb.).
Nel replicare ai sospetti di astrazione sollevati dalla dottrina più tradi- zionale, nonché intendendo la causa quale rapporto fondamentale, la garan- zia autonoma non può certamente considerarsi in termini di atto astratto per definizione, in quanto, mentre la cambiale non tollera l’apposizione di
Commercial Code negli Stati Uniti, in AA.VV., Le garanzie contrattuali. Fideiussione e contratti autonomi di garanzia nella prassi interna e nel commercio internazionale a cura di Draexxx x Xaccà, Milano, 1994, 97 ss.
(5) Cfr. in proposito C.M. BIANXX, Xxritto civile, III, Il contratto, 2a ed., Milano, 2000, 469: «la regola della causa quale requisito essenziale del contratto esprime una generale soluzione negativa verso l’astrattezza sostanziale», soluzione, questa, estesa ai negozi unilaterali.
(6) Cfr. GORLA, Il contratto, I, Milano, 1954, 262-316. Come è noto, si deve alle intuizioni della dottrina più moderna (PALAZZO, Atti gratuiti e donazioni, Torino, 2000, spec. 123 ss., 148 ss.; ID., Le donazioni, in Cod. civ. Comm., diretto da Sch- lesinger, 2a ed., Milano, 2000, spec. 10 ss., 39 ss.; ID., La causalità della donazione tra ricerca storica e pregiudizio dogmatico, Riv. crit. dir. priv., 2002, 245 ss.) il superamento dell’opinione classica che negava rilevanza all’elemento causale nel negozio gratuito (inteso in senso lato), caratterizzato dal binomio volontà-forma, in luogo di quello volontà-causa, presente invece nei contratti di scambio (cfr., per tutti, GORLA, Il contratto, cit., 145 ss.), avendo dimostrato la possibilità di realizzare per il disponente, tramite il contratto gratuito, interessi diversi, alcuni di natura pret- tamente patrimoniale (c.d. gratuità strumentale), altri di natura non strettamente patrimoniale (spirito di liberalità).
(7) Il riferimento è alla causa attributiva, che pone un problema di realizzabilità
(sia essa causa solvendi ovvero adquirendi) dello scopo del promittente. Cfr. GORLA,
Il contratto, cit., 207.
(8) GORLX, Xx contratto, cit., 283-293 e 303-310.
(9) V. la Relazione del Guardasigilli al Codice civile, n. 615.
condizioni (artt. 1, n. 2 e 100, n. 2 l.camb.), la garanzia autonoma costituisce promessa condizionata di dare (10): tale natura di atto causale, propria del contratto autonomo di garanzia, comporta come il garante autonomo possa sempre eccepire (anche verso terzi) i vizi del rapporto fondamentale.
Pertanto, mentre nel caso della polizza fideiussoria il rapporto fondamen- tale è costituito dalla stipula tra cliente-stipulante e assicuratore-promit- tente (11) (e non dal rapporto tra cliente e beneficiario), in quanto è in forza della medesima stipula che la compagnia s’impegna verso il beneficiario, nell’ipotesi in cui la garanzia autonoma venga, al contrario, assunta nella forma della garanzia bancaria attiva o passiva, la causa dell’obbligazione del garante autonomo sarà rappresentata: a) dall’obbligazione sorta dal- l’incarico conferito dal cliente verso l’istituto bancario (12); b) dallo scambio tra prestazione del garante e prestazione dell’istituto bancario (erogazione del credito, ovvero concessione di altro beneficio) (13).
Sotto il profilo della causa attributiva, infine, il garante autonomo as- sume l’obbligo di pagamento al fine di acquistare: a) nel caso in cui si tratti di polizza fideiussoria o di garanzia bancaria passiva, un diritto di credito (al pagamento del premio o della commissione) verso il cliente; b) quando si tratti di garanzia bancaria attiva, un diritto di credito (alla concessione di un beneficio al debitore) verso la banca (14).
4. Le Sezioni Unite, riguardo alla causa delle garanzie autonome, con la decisione in commento aderiscono all’orientamento giurisprudenziale di legittimità che identifica la causa contrattuale nella funzione economico- individuale, dal momento che, per l’appunto, la causa del contratto deve ne- cessariamente valutarsi in concreto (15) e non – come in base alla tradizionale identificazione della causa con la funzione economico-sociale – in abstracto.
(10) Cfr. SPADA, Cautio quae indiscrete loquitur: lineamenti funzionali e strutturali della promessa di pagamento, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, 000. Ma v. anche XXXXXXXXX, Xxxxxxxxxx e risarcimento nella promessa del fatto altrui, I, Il conflitto fra le diverse concezioni e le incongruenze che ne derivano, ivi, 1999, I, 603, nt. 127.
(11) Cfr. art. 1413 c.c.
(12) Cfr. il 2° comma dell’art. 1271 c.c.
(13) Si va, in proposito, dalla concessione stessa del credito, fino alla rinuncia ad azioni cautelari o esecutive. Cfr., in proposito il 2° comma dell’art. 2901 c.c., il quale ritiene onerosa la prestazione di garanzia per debito altrui che sorga conte- stualmente. Si veda inoltre, in dottrina, PALAZZO, Gratuità strumentale e donazioni indirette, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni diretto da Xxxxxxxx, VI, Le donazioni, Milano, 2009, 112 s., il quale ritiene come «La presenza di corrispetti- vo» costituisca «elemento caratterizzante di tutte le garanzie a prima richiesta che presentano autonomia rispetto all’obbligazione garantita».
(14) XXXXX, Promesse «condizionate» ad una prestazione, in Riv. dir. comm., 1968,
I, 431 ss.; nonché ID., Il contratto, cit., 267 ss., nt. 5.
(15) XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. dir. div. diretto da Xxxxxxxx, Torino, 1952, 191.
Nonostante le prime, varie posizioni contrarie alla concezione di un valido contratto autonomo di garanzia (16), dottrina e giurisprudenza italia- ne hanno dovuto pertanto mettere da parte le ragioni della dogmatica più conservatrice (17), per tentare un approccio di maggiore armonizzazione del
(16) Del resto, il Garantievertrag è nato in un ordinamento, come quello tedesco, il quale notoriamente ammette il negozio astratto: cfr. sul punto, PORTALE, Le garanzie bancarie internazionali, Milano, 1989, 18 ss.
(17) A partire, infatti, da Xxxx., 3 settembre 1966, n. 2310 (in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, 00; in Giur. it., 1968, I, 83), i Giudici di legittimità hanno per la prima volta consacrato la validità della garanzia autonoma, concepita in termini di contratto atipico: afferma la S.C., infatti, come il patto di «sopravvivenza» risulti in contrasto con il dogma dell’accessorietà, della fideiussione, all’obbligazione principale, non potendo quindi parlarsi in termini di garanzia ove non esista l’obbligazione su cui questa insiste. La S.C., peraltro, al fine di valutare la liceità di tale clausola, richiama l’art. 1322 c.c. e afferma come tale pattuizione sia perfettamente lecita nonché compatibile con lo schema negoziale della fideiussione: a fronte della acclarata liceità di tale clausola nel contratto sottoposto alla sua disamina, la Corte di legittimità non effettua, in tal modo contraddicendosi, una riqualificazione del contratto di fideiussione in termini di «contratto autonomo di garanzia», al contrario ribadendone la relativa natura accessoria nonché giudicando operante, nella fattispecie, l’art.1957 c.c., il quale è volto ad assicurare al garante una maggiore certezza nel regresso previsto ex art. 1950 c.c. verso il debitore principale, e che si giustifica pertanto nell’ambito di un negozio di fideiussione, e non anche nell’ambito di un negozio autonomo, nel quale la prestazione dovuta non è la stessa rispetto alla prestazione dovuta dal debitore principale, non potendo quindi applicarsi alcun meccanismo legale di surrogazione nei diritti del creditore in base al 3° comma dell’art. 1203 c.c. (di cui l’art. 1949 c.c. ne costituirebbe specificazione). Maggiore chiarezza in tal senso è rinvenibile in Cass., 31 agosto 1984, n. 4738 (in Foro it., 1985, I, 505, con nota di VALCAVI, Se ed entro quali limiti la fideiussione omnibus sia invalida; in Dir. fall., 1984, II, 940; in Banca borsa tit. cred., 1985, II, 11; in Giust. civ., 1985, I, 800, con nota di PONTIROLI, Validità e limiti della fideiussione generale: una svolta nella giurisprudenza della Cassazione; in Giur. it., 1985, I, 1, 772; in Impresa, 1985, 666; in Fallimento, 1985, 611), la quale sostiene come – accertato che l’accessorietà della fideiussione rispetto all’obbligazione garantita deve considerarsi quale elemento logicamente necessario
– deve sempre ricercarsi l’effettiva volontà contrattuale emergente da eventuali clausole atipiche inserite dalle parti (tra cui deve annoverarsi quella di «sopravvi- venza»): «Nel contratto avente ad oggetto l’assunzione di garanzia fideiussoria, le clausole che, in deroga alla disciplina legale della fideiussione, rendano insensibile l’obbligazione del fideiussore alle vicende inerenti all’obbligazione del debitore garantito, ivi compresa quella con cui il primo rinunci ad eccepire nei confronti del creditore l’eventuale invalidità del debito del secondo, configurano una legittima ed efficace espressione della autonomia negoziale delle parti, qualora si ricolleghi- no ad un interesse meritevole di tutela giuridica, come nel caso di fideiussione in favore di una banca per tutti i debiti, anche futuri ed eventuali, di un determinato cliente in considerazione dei peculiari connotati della garanzia personale generale correlata ad operazioni con istituti di credito (ove il garante si trova normalmente in una posizione comune con il garantito, con la possibilità di controllare od ispirare il comportamento di quest’ultimo)».
Garantievertrag con i principi dell’ordinamento italiano (18).
Introdotto nella versione di «contratto atipico fideiussorio», in termini di fideiussione caratterizzata da astrattezza relativa riequilibrabile a mez- zo delle rivalse (sovrapponendosi, pertanto, alla fideiussione con clausola solve et repete) (19), il contratto autonomo di garanzia è stato poi ricondotto ad impegno, in capo al garante, a pagare «a semplice richiesta», senza alcuna facoltà – in deroga agli artt. 1939, 1941 e 1945 c.c. – di opporre, al creditore beneficiario, le eccezioni relative al rapporto tra questi e debitore originario.
È opinione diffusa che caratteristica fondamentale della garanzia autonoma sia rinvenibile nella elisione del vincolo di accessorietà della ga- ranzia, con totale scissione dal rapporto di valuta (20); l’attribuzione di tale
(18) Cfr. AMBROSOLI, Contratto autonomo di garanzia e invalidità dell’obbligazione garantita, in Contratti, 2002, 1085 ss. In giurisprudenza, sottolinea l’importanza del contratto autonomo di garanzia nell’ambito del commercio internazionale Cass., Sez. un., 1° ottobre 1987, n. 7341, cit.
(19) Cfr. Cass., 1° ottobre 1987, n. 7341, cit. Sul punto v. anche le osservazioni di PORTALE, Le garanzie bancarie internazionali, cit., 121 ss.
(20) X. Xxxx., 00 giugno 2000, n. 8540, in Foro pad., 2001, I, 242, secondo cui «Il contratto autonomo di garanzia, definito anche garanzia a prima domanda, si confi- gura come un coacervo di rapporti nascenti da autonome pattuizioni tra il destina- tario della prestazione (beneficiario della garanzia), il garante (di solito una banca straniera), il controgarante (soggetto non necessario e che solitamente si identifica in una banca nazionale che copre la garanzia assunta da quella straniera) e il debitore della prestazione (l’ordinante). Caratteristica fondamentale di tale contratto, che vale a distinguerlo da quello di fideiussione, è la carenza dell’elemento dell’accessorietà: il garante si impegna a pagare al beneficiario, senza opporre eccezioni né in ordine alla validità né all’efficacia del rapporto di base. Detti elementi, che caratterizzano il contratto autonomo di garanzia e lo differenziano dalla fideiussione devono ne- cessariamente essere esplicitati nel contratto con l’impiego di specifiche clausole, quali quella “a semplice richiesta” o quella “a prima domanda”, o altre analoghe, idonee ad indicare la esclusione della facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, ivi compresa l’estinzione del rapporto. Pertanto, a fronte della qualificazione della garanzia come fideiussoria, soggetta, in quanto tale, alla sorte del debito principale, la parte che faccia valere la diversa configurazione di detta garanzia come autonoma, e, quindi, svincolata dal debito principale, ha l’onere di dedurre gli elementi oggettivi sui quali tale configurazio- ne si fonda.»; conf. Cass., 12 febbraio 2008, n. 29215, in Notariato, 2009, 137, con nota di BOTTA, Garanzie autonome e disciplina delle eccezioni opponibili; Cass., 28 febbraio 2007, n. 4661, in Arch. loc., 2007, 510; in Cass., 20 aprile 2004, n. 7502, in Nuova giur. civ. comm., 2004, 730; Cass., 31 luglio 2002, n. 11368, in Banca borsa tit. cred., 2003, 245; Cass., 7 marzo 2002, n. 3326, in Contratti, 2002, 1085, con nota di XXXXXXXXX, Contratto autonomo di garanzia e invalidità dell’obbligazione garantita; in Studium juris, 2002, 795; in Giur. it., 2002, 1205, con nota di Xxxxx, Nota in tema di garanzia «a prima richiesta»; in Arch. civ., 2003, 65; Cass., 19 giugno 0000, x. 0000, xx Xxxxx xxxxx xxx. xxxx., 0000, XX, 000; Cass., 1° ottobre 1999, n. 10864, ivi, 2001, 666, in Contratti, 2000, 139, con nota di LAMANUZZI, Fideiussione e contratto
caratteristica all’obbligazione di garanzia ha, tuttavia, sollevato questioni di non poco rilievo (21).
Si pensi, infatti, al primo problema affrontato dalla S.C. nella sentenza in commento, relativo alla contradictio in terminis insita alla locuzione
«garanzia autonoma»: l’autonomia dell’obbligazione di garanzia assunta tramite Garantievertrag sarebbe espressione, secondo le Sezioni Unite, di una «disarmonia morfologica e funzionale con la fideiussione, sopravviven- do resti di omogeneità tra i due tipi negoziali soltanto nella misura in cui, attorno alle due fattispecie, orbiti ancora il concetto di garanzia, pur nelle non riconciliabili differenze di gradazioni che il rapporto con la garanzia stessa può assumere lungo lo spettro, unico, che conduce dalla accessorietà all’autonomia». Nel contratto autonomo di garanzia, infatti, non si garan- tirebbe – al contrario che nella fideiussione – l’adempimento di un debito altrui, in quanto altrimenti non vi sarebbe idonea spiegazione: da una parte, alla tendenziale insensibilità dell’obbligazione autonoma di garanzia alle vicende che concernono il rapporto di valuta; dall’altra, alla potenziale dif- ferenza quantitativa e qualitativa, della prestazione del garante, rispetto a quella del debitore originario.
Trattandosi di garanzia, deve pertanto chiarirsi quale sia l’oggetto della medesima, e la Cassazione rileva l’importanza di sciogliere il dubbio in via preventiva, proprio in quanto «il concetto di garanzia presuppone ontologicamente una relazione di accessorietà con un quid che deve essere garantito»: l’oggetto della garanzia viene individuato nell’integrale soddisfa- cimento dell’interesse economico del beneficiario (22) che viene a realizzarsi, anzitutto, grazie alla presenza di un debitore diverso da quello originario e che, rispetto a quest’ultimo, non può opporre le stesse eccezioni. Proprio tale distinzione tra garanzia di adempimento di un’obbligazione da una parte, e garanzia di realizzazione dell’interesse economico ad essa sotteso, dall’altra, consente alla Corte di legittimità di delineare, concettualmente, i profili
autonomo di garanzia, in Corr. giur., 1999, 1463, con nota di CARBONE, Fideiussioni atipiche; Cass., 21 aprile 1999, n. 3964, in Riv. not., 1999, 1271; Cass., 6 aprile 1998,
n. 3552, in Banca borsa tit. cred., 2001, II, 667; in Giur. it., 1999, 502, con nota di XXXXXXXX, La polizza fideiussoria tra normativa tipica e prassi contrattuale.
(21) Cfr. XXXXXXX, Note in tema di contratto autonomo di garanzia e inibitoria al pagamento (nota a Trib. Torino (ord.), 29 agosto 2002), in Giur. it., 2003, 520, secondo la quale «emerge una contraddizione in termini: lo stesso concetto di autonomia postula, per definizione, un collegamento con il rapporto sottostante e, quindi, evoca l’idea dell’accessorietà».
(22) V. in proposito CICALA, Sul contratto autonomo di garanzia, in Riv. dir. civ., 1991, I, 151, il quale evidenzia come nel Garantievertrag il rapporto di valuta sia richiamato al fine di delineare l’utilità da procurare al beneficiario, indipendente- mente dall’esistenza di un suo diritto. Sul punto anche SESTA, Le garanzie atipiche, Padova, 0000, 000, xxxxxx XX XXXXX, Xx contratto autonomo di garanzia, in I nuovi contratti, a cura di Napolillo, Piacenza, 2002, 279 ss.
## RASSEGNA GIURIDICA UMBRA
distintivi esistenti tra fideiussione e contratto autonomo di garanzia (23):
(23) Cfr., sul punto, Cass., 10 febbraio 2004, n. 2464 (in Foro it., 2005, I, 1191; in Gius, 2004, 2518; in Impresa, 2004, 678; Arch. civ., 2004, 1438; Società, 2004, 710; in Giur. it., 2004, 1669, con nota di XXXXXXX, Osservazioni in tema di cessione di azienda bancaria e responsabilità del cessionario), secondo la quale «Carattere fondamentale del contratto autonomo di garanzia, che vale a distinguerlo dalla fideiussione, è l’assenza dell’elemento dell’accessorietà della garanzia, consistente nel fatto che il garante non può opporre al creditore le eccezioni che spettano al debitore principale, salva la facoltà di eccepire la mancanza di causa – in quanto l’obbligazione principale non è sorta o è nulla – ovvero l’avvenuto soddisfacimento del creditore»; conf. Cass., 12 dicembre 2005, n. 27333 (in Mass. Giur. it., 2005), secondo la quale «Contratto autonomo di garanzia è quello in base al quale una parte si obbliga, a titolo di garanzia, ad eseguire a prima richiesta la prestazione del debitore indipendentemente dall’esistenza, dalla validità ed efficacia del rapporto di base, e senza sollevare eccezioni (salvo l’«exceptio doli»). Per la sua indipendenza dall’obbligazione principale si distingue pertanto dalla fideiussione, giacché mentre il fideiussore è debitore allo stesso modo del debitore principale e si obbliga diretta- mente ad adempiere, il garante si obbliga piuttosto a tenere indenne il beneficiario dal nocumento per la mancata prestazione del debitore, spesso con una prestazione solo equivalente e non necessariamente corrispondente a quella dovuta. Si distin- gue altresì dalla garanzia «a prima richiesta» o «a semplice richiesta scritta», nella quale il fideiussore si impegna a rinunziare ad opporre – prima del pagamento – le eccezioni che gli competono, in deroga all’art. 1945 c.c., sicché esso si risolve in una clausola «solve et repete» ex art. 1462 c.c. (laddove non valga viceversa a sottolinea- re l’autonomia dal rapporto principale garantito, in tal caso sostanziandosi in un contratto autonomo di garanzia). La deroga all’art. 1957 c.c. non può d’altro canto ritenersi implicita nell’inserimento, nella fideiussione, di una clausola di «pagamento a prima richiesta» o di altra equivalente, sia perché detta norma è espressione di un’esigenza di protezione del fideiussore che prescinde dall’esistenza di un vincolo di accessorietà tra l’obbligazione di garanzia e quella del debitore principale e può essere considerata meritevole di tutela anche nelle ipotesi in cui tale collegamento sia assente, sia perché la presenza di una clausola siffatta non assume comunque rilievo decisivo ai fini della qualificazione di un negozio come «contratto autonomo di garanzia» o come «fideiussione», potendo tali espressioni riferirsi sia a forme di garanzia svincolate dal rapporto garantito (e quindi autonome) sia a garanzie, come quelle fideiussorie, caratterizzate da un vincolo di accessorietà, più o meno accentua- to, nei riguardi dell’obbligazione garantita, sia infine a clausole, il cui inserimento nel contratto di garanzia è finalizzato, nella comune intenzione dei contraenti, (non all’esclusione, ma) a una deroga parziale della disciplina dettata dal citato art. 1957, ad esempio limitata alla previsione che una semplice richiesta scritta sia sufficiente ad escludere l’estinzione della garanzia, esonerando il creditore dall’onere di pro- porre azione giudiziaria. Ne consegue che, non essendo la clausola di pagamento a prima richiesta di per sé incompatibile con l’applicazione della citata norma codici- stica, spetta al giudice di merito accertare, di volta in volta, la volontà in concreto manifestata dalle parti con la stipulazione della detta clausola»; v. anche Cass., 3 ottobre 2005, n. 19300, in Mass. Giur. it., 2005; Cass., 9 novembre 0000, x. 00000, in Impresa, 2007, 486, nonché in Contratti, 2007, 635, con nota di MASTRANDREA, Fideiussione e contratto autonomo di garanzia: criteri distintivi; Cass., 28 febbraio
solo in quest’ultimo, quale xxxxxxxxxx indemnitatis, il garante s’impegna
– attraverso il pagamento di una somma – a tenere indenne il beneficiario dalle conseguenze derivanti dall’inadempimento della prestazione a lui dovuta dal fideiuvato (24).
La sentenza di legittimità in commento, rapportandosi con una garanzia di tipo indennitario, mira inoltre a precisare come la fideiussio indemni- tatis debba considerarsi garanzia autonoma tutte le volte in cui le parti vi abbiano inserito clausole di pagamento «a semplice richiesta» ovvero «a prima richiesta», e la prestazione oggetto di garanzia risulti connotata da infungibilità, proprio come accade nel caso di obbligazione dell’appaltatore; oggetto di garanzia autonoma è quindi, in tali ipotesi, il ristoro dei danni sofferti dal creditore a seguito dell’inadempimento del debitore della pre- stazione, e non l’interesse del beneficiario a conseguire l’utilità che avrebbe
2007, n. 4661, cit.; Cass., 31 gennaio 2008, n. 2377, in Notariato, 2008, 231; Cass.,
24 aprile 2008, n. 10652, ivi, 2008, 491; Cass., 12 dicembre 2008, n. 29215, cit.; da
ultimo, Cass., 10 gennaio 2012, n. 65, in CED Cassazione, 2012.
Per la giurisprudenza di merito x. Xxxx. Xxxxxx, 00 aprile 1987 (in Banca borsa tit. cred., 1988, II, 3, nonché in Foro pad., 1987, I, 379, con nota X. XXXXXX XXXXXXXXXX, Garanzie bancarie. Giurisprudenza concorde negli obiettivi), secondo cui «L’impegno assunto da una banca di garantire al beneficiario la prestazione di un terzo a lui dovuta a semplice prima richiesta del garantito, con rinuncia correlativa a far va- lere qualsivoglia eccezione inerente all’esistenza, validità e coercibilità del rapporto obbligatorio garantito, vuole intenzionalmente escludere rilevanza ad eventuali eccezioni derivanti dal rapporto sottostante; tale figura negoziale è compatibile con il nostro ordinamento, salva la necessità, per impedire abusi dei creditori garantiti, di consentire al debitore l’exceptio doli nell’azione di regresso».
In dottrina, v. le osservazioni di CUCCOVILLO, Gli ultimi sviluppi giurispruden-
ziali in tema di contratto autonomo di garanzia, in Banca borsa. tit. cred., 2009, 431 ss.
(24) Cfr. Cass., 1° giugno 2004, n. 10486 (in Banca borsa tit. cred., 2005, II, 481; in Gius, 2004, 3732; in Guida al dir., 2004, 36, 42; nonché in Impresa, 2004, 2002), secondo cui «Al contratto di assicurazione fideiussoria, caratterizzato dall’assun- zione di un impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazioni, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadem- pimento della prestazione a lui dovuta da un terzo, sono applicabili le disposizioni della fideiussione, salvo che sia stato diversamente disposto dalle parti. Riveste, infatti, carattere derogatorio rispetto alla disciplina della fideiussione, la clausola con la quale venga espressamente prevista la possibilità, per il creditore garantito, di esigere dal garante il pagamento immediato del credito a semplice richiesta o senza eccezioni. Siffatta clausola, risultando incompatibile con detta disciplina, comporta l’inapplicabilità delle tipiche eccezioni fideiussorie, quali quelle fondate sugli artt. 1945, 1956 e 1957 c.c., consentendo l’applicabilità delle sole eccezioni relative al rapporto garante-beneficiario»; v. inoltre Cass., 31 gennaio 2008, n. 2377, cit., ove si rinviene la distinzione tra garanzie di tipo satisfattorio (in cui il garante ha l’obbligo di compiere la prestazione non effettuata dal debitore originario), e di tipo indennitario (in cui il garante è tenuto al mero indennizzo del creditore).
potuto ricavare dalla prestazione medesima (25): ciò, indipendentemente dalle vicende riguardanti il rapporto di valuta.
Il riferimento all’interesse economico sotteso all’obbligazione principale
– ovvero al ristoro delle conseguenze negative dell’inadempimento –, pur consentendo alla S.C. di risolvere concettualmente i problemi relativi al- l’ossimoro insito alla locuzione «garanzia autonoma», non consente tuttavia d’individuare, automaticamente, anche la causa del contratto autonomo di garanzia (26).
Come accennato, infatti, da tempo la giurisprudenza è contraria alle teorie improntate all’assunto della astrattezza delle garanzie autonome a giustificazione giuridica delle medesime (27), come del resto anche larga parte della dottrina (28) la quale, in talune ipotesi, ha fatto ricorso anche al concetto di «causa esterna» (29) come, in altre, all’affermazione secondo cui la causa
(25) Sul punto, XXXXXXXXXXX, I contratti autonomi di garanzia, 2ª ed., Torino, 1995, 327 ss.
(26) Cfr. sul punto le osservazioni di MEO, Funzione professionale e meritevolezza degli interessi nelle garanzie atipiche, Milano, 1991, 131, il quale rileva come la questione riguardi la possibilità di far assurgere «le condizioni di giustificazione economica dell’impegno puro del garante a vere ragioni giuridiche di giustificazione dell’impegno astratto, cioè reso indipendente dal rapporto sottostante», ritenendo- si in tal modo superato (179 ss.) il pensiero volto alla inammissibilità dei negozi astratti.
(27) V. DE BONIS, Il contratto autonomo di garanzia, cit., 279, secondo cui ammet- tere il contratto autonomo di garanzia in termini di «negozio atipico e meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c. non può essere valutata solo come il riconoscimento di una delle tante manifestazioni del principio di autonomia privata», costituendo
«espressione di principi transnazionali che, recepiti e modellati secondo i principi dell’ordinamento interno, finiscono per diffondersi ed acquisire legittimazione sul piano nazionale».
(28) XXXXXXX, Il negozio giuridico, in Tratt. Cicu-Messineo-Xxxxxxx, III, 1, Mi- lano, 1988, 101, rileva in proposito come, nel sottolineare il contratto autonomo di garanzia in termini di negozio astratto, si confonde la mancanza di accessorietà fra rapporto di garanzia e rapporto garantito, da una parte, con una pretesa astrattez- za del contratto di garanzia dall’altra; v. anche XXXXXXXXXXX, I contratti autonomi di garanzia, cit., 328, secondo il quale «considerando davvero astratto il negozio, da cui la garanzia autonoma trae vita, ben difficilmente si potrebbe riconoscere l’ammissibilità del contratto autonomo di garanzia nel diritto italiano. Ciò spiega perché la dottrina si sia impegnata nel respingere il sospetto che nella fattispecie considerata ricorra un’astrattezza in senso tecnico».
(29) Si veda in proposito XXXXX, Garantievertrag e polizza fideiussoria: il grand
arrêt delle Sezioni Unite tra massime ed obiter dicta, in Corr. giur., 2010, 1022 ss., il quale sottolinea «la necessità che la ricostruzione del profilo causale dei contratti autonomi di garanzia (e salvo quanto ci si accinge ad aggiungere per lo specifico profilo della polizza fideiussoria) non può prescindere dalla individuazione del- l’interesse di cui il garante è portatore e che solo può giustificare il trasferimento patrimoniale cui il garante medesimo si espone. Il che si traduce nella necessaria valorizzazione di tutti i rapporti che sono alla base dell’operazione di garanzia, e cioè
dell’obbligazione autonoma di garanzia sarebbe rinvenibile – pur non essen- done funzionalmente vincolato – nell’esistenza del rapporto garantito.
La S.C. conferma, con la sentenza n. 3947/2010, la sussistenza di uno specifico elemento causale in capo al contratto autonomo di garanzia inten- dendo, per causa, quanto espresso da altra decisione di legittimità (30), cioè a dire la summa degli interessi reali in concreto perseguiti a mezzo della operazione economica sottesa alla stipula (31).
In sostanza, la finalità del contratto autonomo di garanzia sarebbe in- dividuabile nell’assicurazione di un pronto soddisfacimento dell’interesse del beneficiario ovvero, in alternativa, nel sottrarre quest’ultimo al rischio d’inadempimento trasferendo, il rischio medesimo, al garante (32). Si tratta di alternativa da cui promanano conseguenze rilevanti, in quanto: ove si miri al pronto soddisfacimento dell’interesse del beneficiario, solo un adem- pimento già effettuato renderà ingiustificato il pagamento della garanzia, mentre nella seconda prospettiva appare ineliminabile il presupposto dell’inadempimento del debitore principale il quale può intendersi, a sua volta, sotto un profilo soggettivo ovvero oggettivo (33). Xxx, tuttavia, si ritenga
sia il rapporto di provvista sia il rapporto di valuta. È l’insieme di tali rapporti che viene a costituire la causa esterna della garanzia, senza che, peraltro, ciò possa trasformarsi in un vulnus all’autonomia della garanzia medesima nel caso del Garantievertrag». Cfr. anche DE BONIS, Il contratto autonomo di garanzia, cit., 284 ss., il quale, nel definire il contratto autonomo di garanzia in termini di «negozio causale esterno» accosta l’obbligazione autonoma di garanzia al credito documentario irrevocabile di cui al 2° comma dell’art. 1530 c.c.
(30) Cfr. Cass., 8 maggio 2006, n. 10490 (in Giur. it., 2007, 2203, con nota di
XXXXXXXXX, nonché in Corr. giur., 2006, 1718, con nota di XXXXX, La causa come
«funzione economico sociale»:tramonto di un idolum tribus?), secondo la quale «La causa quale elemento essenziale del contratto non deve essere intesa come mera ed astratta funzione economico sociale del negozio bensì come sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare, e cioè come funzione individuale del sin- golo, specifico contratto, a prescindere dal singolo stereotipo contrattuale astratto, fermo restando che detta sintesi deve riguardare la dinamica contrattuale e non la mera volontà delle parti».
(31) In tal senso, x. XXXXXX, La polizza fideiussoria nel genus delle garanzie ati-
piche, cit., 106.
(32) Cfr. DE BONIS, Il contratto autonomo di garanzia, cit., 288, il quale parla di trasferimento del rischio legato all’inadempimento del contratto principale; v. sul punto anche SESTA, Pagamento a prima richiesta, in Contr. e impr., 1985, 940, il quale rinviene la funzione del contratto autonomo di garanzia nel garantire «il pagamento di una somma predeterminata (direttamente o per relationem) nel caso si verifichi un rischio per il beneficiario in conseguenza di un evento indicato nella garanzia bancaria», non necessariamente consistente, quindi, nell’inadempimento del debitore principale; contra, XXXXXXXXXXX, I contratti autonomi di garanzia, cit., 350 ss.
(33) Per la seconda impostazione x. Xxxx., 00 novembre 2007, n. 23786 (in Nota-
xxxxx, 2008, 10; in Giur. it., 2008, 1671 ss., con nota di XXXXX, Pagamento «a prima richiesta» e arbitrarietà della domanda del creditore garantito; nonché in Nuova
imprescindibile individuare l’interesse del garante, la predetta ricostruzione dell’elemento causale non rende agevole tale individuazione, in particolare nell’ipotesi in cui il contratto autonomo di garanzia risulti carente della pattuizione di un corrispettivo in favore del garante34 e non sia rinvenibile, altrimenti, uno scopo patrimoniale relativo ai rapporti sottostanti (35).
giur. civ. comm., 2008, 745, con nota di BERTOLINI, Natura causale e rilevanza del pre- supposto esterno nel contratto autonomo di garanzia), secondo la quale «Nel contratto autonomo di garanzia a prima richiesta il garante deve ritenersi sempre e comunque obbligato al pagamento a semplice richiesta del garantito, ma solo quando ne sussista il relativo presupposto causale e cioè l’obiettiva esistenza dell’inadempimento del debitore principale, con la conseguenza che, nonostante la clausola di pagamento a prima richiesta, ben può il fideiussore rifiutare il pagamento arbitrariamente inti- matogli in presenza di una pregressa evidente estinzione dell’obbligazione principale per avvenuto adempimento o altre ragioni».
(34) Come autorevolmente osservato da SASSI, Contratti di garanzia, in PALAZZO,
MAZZARESE (a cura di), I contratti gratuiti, Torino, 2009, infatti, «dalla corrispettività è caratterizzato il contratto autonomo di garanzia, anche in virtù delle caratteristi- che del garante, quasi sempre rappresentato da un’impresa bancaria o assicurativa. Esso – denominato nella prassi anche polizza fideiussoria o fideiussione a prima richiesta – è un contratto ad effetti obbligatori, teso a garantire il beneficiario, as- sicurandogli, a semplice richiesta o dietro presentazione di determinati documenti, il ricevimento della prestazione o della somma di danaro prevista nel contratto stesso, sia nell’ipotesi di inadempimento dell’obbligazione principale (garantita), sia nel caso in cui questa non sia venuta ad esistenza o sia divenuta impossibile. / La figura viene utilizzata essenzialmente nei rapporti internazionali fra imprese, in cui le parti appartengono ad ordinamenti giuridici diversi, ed assume di norma una struttura complessa per la presenza di due garanti (c.d. garanzia indiretta): i soggetti coinvolti risultano così essere il beneficiario della garanzia, il garante (una banca o un’assicurazione appartenente al medesimo ordinamento del beneficiario), l’ordinante (debitore principale) e il controgarante (una banca o un’assicurazione appartenente al medesimo ordinamento dell’ordinante). Se il rapporto principale sorge fra soggetti appartenenti al medesimo ordinamento, la presenza del controga- rante è superflua e l’operazione coinvolge soltanto tre soggetti (c.d. garanzia diretta): beneficiario, garante e ordinante. / Xxxxxxxx è lo stesso legislatore che in determinate fattispecie impone la costituzione di una garanzia a prima richiesta, in vista della tutela di determinati interessi fondamentali: oltre che in ambito fiscale, emblematica è l’ipotesi da ultimo disciplinata, a tutela degli acquirenti di immobile futuro (d.lg. 20 giugno 2005, n. 122 - Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire). / Il contratto autonomo di garanzia, come affermato dalla dottrina più autorevole ed avveduta, possiede carattere corrispettivo in senso tecnico, essendosi, nella sostanza, in presenza di un’unica operazione negoziale, formata da più negozi funzionalmente collegati: il pagamento per la prestazione della garanzia, non viene effettuato dal beneficiario della stessa, ma dal debitore principale, soggetto che, sebbene non assume la qualità di parte del contratto di garanzia, è pur sempre parte del contratto fonte dell’obbligazione garantita».
(35) XXXXXXXXXXX, I contratti autonomi di garanzia, cit., 350 ss., sottolinea come,
in tal caso, il contratto debba considerarsi astratto ovvero giustificabile in capo a un intento liberale. Certamente, nonché alla stregua delle vicende relative a de-
La S.C., in ogni caso, rinviene la meritevolezza degli interessi perseguiti con la stipula definendo il Garantievertrag in termini di atipicità: il contratto atipico di garanzia, a detta della Corte di legittimità, va infatti ad «assicu- rare l’integrale soddisfacimento dell’interesse economico del beneficiario vulnerato dall’inadempimento del debitore originario e, di conseguenza», a «conferire maggiore certezza allo scorrere dei rapporti economici (specie transnazionali)», in tal modo perseguendo un interesse certamente meri- tevole di tutela (36).
5. Se la caratteristica fondamentale del contratto autonomo di garanzia è rinvenibile nell’obbligo, del garante, di pagare il beneficiario a semplice richiesta di quest’ultimo (e senza possibilità di opporre eccezioni concer- nenti il rapporto di valuta (37)), l’eliminazione dell’elemento di accessorietà
legazione ed espromissione, dovrà tenersi in considerazione l’habitus «trilaterale» dell’operazione negoziale; nella espromissione, tuttavia, l’espromittente assume in via principale un debito altrui, mentre quella del garante è obbligazione – per quanto autonoma – di tipo sussidiario: sul punto, CICALA, Espromissione, in Enc. giur., XIII, Roma, 1989, 1 ss. Quanto alla trilateralità della struttura contrattuale della polizza fideiussoria cfr., fra gli altri, PUPPO, La polizza fideiussoria al vaglio delle Sezioni Unite. Tra autonomia e accessorietà della garanzia, in Nuova giur. civ. comm., 2010, 922, la quale afferma come la sentenza di legittimità in commento muova «dall’idea di un “sottosistema civilistico delle garanzie personali”, nel quale la polizza fideiussoria si discosta dalla fideiussione anzitutto per le modalità con cui nascono i rapporti obbligatori tra le parti, nel senso che la struttura contrattuale geneticamente trilaterale (che avvicina la figura allo schema del contratto a favore di terzo) non consente l’assimilazione con il vincolo (al contrario bilaterale) che sorge tra fideiussore e creditore nel momento in cui il primo assume la veste di garante, ai sensi dell’art. 1936 c.c.».
(36) La dottrina ha tuttavia notato, in proposito, come il giudizio di meritevolezza
dell’interesse debba estendersi al modo in cui la funzione astrattamente adempiuta dal contratto viene realizzata, e non sia limitabile alla mera valutazione della stessa: ciò in quanto vi sarebbe, in caso contrario, una sostanziale incoerenza rispetto alla stessa nozione – peraltro confermata dalla sentenza di legittimità in commento
– di causa in concreto: cfr. in tal senso GALASSO, Mutuo e deposito irregolare, I, La costituzione del rapporto, Milano, 1968, 212.
(37) Il parametro che consente all’interprete di distinguere il Garantievertrag dalla fideiussione deve rinvenirsi, secondo giurisprudenza maggioritaria, nella concreta relazione in cui le parti mirano a porre – riguardo al regime di proponibilità delle eccezioni da parte del garante – le obbligazioni principale e di garanzia: cfr. Cass., 7 gennaio 2004, n. 52 (in Xxxxxxxxx, 2004, 915, con nota di XXXXXXXX, Performance bond e fideiussione; in Arch. civ., 2004, 1324; in Gius, 2004, 2375; in Impresa, 2004, 859), secondo la quale «Ai fini della configurabilità di un contratto autonomo di garanzia oppure di un contratto di fideiussione, non è decisivo l’impiego o meno delle espressioni “a semplice richiesta” o “a prima richiesta” del creditore, ma la relazione in cui le parti hanno inteso porre l’obbligazione principale e l’obbliga- zione di garanzia. Ne consegue che la carenza dell’elemento dell’accessorietà, che caratterizza il contratto autonomo di garanzia (“performance bond”) e lo differenzia
tuttavia non deve confondersi – come già accennato – con la sospensione ottenibile a mezzo della clausola solve et repete, la quale non reca pregiudizio al potere, in capo al fideiussore che abbia pagato, di far valere le eccezioni concernenti il rapporto principale a mezzo dell’esercizio, verso il creditore, dell’azione di ripetizione (38).
In base alla clausola solve et repete, infatti, il garante è tenuto all’im- mediato pagamento, e tuttavia conserva la facoltà di sollevare eccezioni nonché ripetere quanto pagato al beneficiario. La differenza è rilevante, in quanto: a) nel contratto autonomo il garante può esperire l’azione di regresso ex art. 1950 c.c. esclusivamente nei confronti del debitore, e solo quest’ultimo può sollevare le eccezioni relative al rapporto di valuta; b) in presenza di clausola solve et repete il garante agisce direttamente, nei ri- guardi del creditore beneficiario, a mezzo di actio indebiti di cui all’art. 2033 c.c., potendosi parlare di repetitio solo in tale ipotesi. Peraltro, mentre nel primo caso lo scopo è quello di precludere la facoltà, di una parte, di opporre eccezioni, nel secondo la clausola è volta al mero differimento temporale della facoltà medesima (39).
dalla fideiussione, deve necessariamente essere esplicitata nel contratto con l’impiego di specifica clausola idonea ad indicare l’esclusione della facoltà del garante di oppor- re al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, ivi compresa l’estinzione del rapporto»; v. anche Cass., 29 marzo 1996, n. 2909 (in Foro it., 1996, I, 1921; in Contratti, 1996, 388; nonché in Foro pad., 1996, I, 281, con nota di XXXXXXXX, Del contratto di fideiussione con clausola solve et repete), la quale sostiene che «La c.d. xxxxxxxx “solve et repete” inserita in un contratto di fideiussione è pienamente valida, in quanto costituisce una manifestazione di autonomia contrattuale e non altera i connotati tipici del contratto, né urta contro il divieto di patto commissorio, che opera per le garanzie reali e non per quelle personali. Il fideiussore, in applicazione dell’art. 1945 c.c., può opporre al creditore tutte le eccezioni, anche riconvenzionali, che spettano al debitore principale, salvo quelle derivanti da incapacità, ma non domandare la condanna del creditore in favore del debitore. In presenza della c.d. clausola “solve et repete” il garante può far vivere le eccezioni inerenti direttamente al contratto di fideiussione, quelle relative all’invalidità dello stesso, quelle concernenti la contrarietà del comportamento del beneficiario ai principi di correttezza e buona- fede e, in fine, quelle relative alla nullità del contratto da cui deriva l’obbligazione principale». Ampia parte della dottrina, al contrario – in linea con la sentenza di legittimità in commento – sostiene come, a fronte dell’incompatibilità con il nesso di accessorietà tra prestazione di garanzia e obbligazione principale, anche la mera apposizione delle predette clausole non consente di parlare di fideiussione: in tal senso PORTALE, Fideiussione e Garantievertrag nella prassi bancaria, in Le operazioni bancarie a cura di Portale, II, Milano, 1978, 1043 ss.; ma v. anche SESTA, Pagamento a prima richiesta, cit., 939; nonché XXXXXXX, Le garanzie bancarie a prima domanda nel commercio internazionale, Milano, 1991, 27 ss.
(38) V. ancora NASTRI, La polizza fideiussoria nel genus delle garanzie atipiche,
cit., 107.
(39) Cfr. in tal senso MONTANARI, Fideiussione e contratto autonomo di garanzia:
tertium non datur, in Obbl. e contr., 2011, 90.
Tuttavia, dal momento che nel contratto autonomo di garanzia per- mane, in ogni caso, un legame tra sorte del debito principale e causa del debito di garanzia (40), da sempre vi è il tentativo – a fronte di una radicale eliminazione del vincolo di strutturale accessorietà – di limitare la naturale insensibilità, del rapporto di garanzia de quo, alle vicende del credito ga- rantito. La sentenza di legittimità in commento ha delineato in proposito, sulla scorta di una giurisprudenza costante, eccezioni e limiti all’autonomia del Garantievertrag, che ricomprendono ipotesi in cui: a) il rapporto ga- rantito risulti nullo per contrarietà a norme imperative ovvero per illiceità della causa, quando, a mezzo del contratto di garanzia medesimo, vi sia la finalità di assicurare il risultato vietato (41); b) l’escussione della garanzia
(40) Cfr. Cass., 16 novembre 2007, n. 23786, cit.; ma v. anche Cass., 4 luglio 2003,
n. 10574 (in Riv. dir. civ., 2005, 379, con nota di XXXXXXXXXX, Pagamento «a prima richiesta» e decadenza del creditore tra autonomia e accessorietà della garanzia; in Guida al dir., 2003, 35, 89; in Xxxxxxxxx, 2004, 271, con nota di XXXXXXXXXX, La tutela ex art. 1957 c.c. tra fideiussione, clausola solve et repete e garanzia atipica; nonché in Gius, 2004, 42), la quale sostiene che «La deroga all’art. 1957 c.c. non può ritenersi implicita nell’inserimento nella fideiussione, di una clausola di “pagamento a prima richiesta” o di altra equivalente, sia perché detta norma è espressione di un’esigenza di protezione del fideiussore, che prescinde dall’esistenza di un vincolo di accessorietà tra l’obbligazione di garanzia e quella del debitore principale e può essere considerata meritevole di tutela anche nelle ipotesi in cui tale collegamento sia assente, sia perché, comunque, la presenza di una clausola siffatta non assume rilievo decisivo ai fini della qualificazione di un negozio come “contratto autonomo di garanzia” o come “fideiussione”, potendo tali espressioni riferirsi sia a forme di garanzia svincolate dal rapporto garantito (e quindi autonome) sia a garanzie, come quelle fideiussorie, caratterizzate da un vincolo di accessorietà, più o meno accentuato, nei riguardi dell’obbligazione garantita, sia infine a clausole, il cui inserimento nel contratto di garanzia è finalizzato, nella comune intenzione dei contraenti (non all’esclusione, ma) a una deroga parziale della disciplina dettata dal citato art. 1957 c.c., ad esempio limitata alla previsione che una semplice ri- chiesta scritta sia sufficiente ad escludere l’estinzione della garanzia, esonerando il creditore dall’onere di proporre azione giudiziaria; ne consegue che, non essendo la clausola di pagamento a prima richiesta di per sé incompatibile con l’applicazio- ne della citata norma codicistica, spetta al giudice di merito accertare, di volta in volta, la volontà in concreto manifestata dalle parti con la stipulazione della detta clausola». In dottrina x. XXXXXXX, La clausola solve et repete, Milano, 1998, 40 ss., la quale, sostenendo che si tratta di autonomia «relativa», sottolinea come sia la causa consentire «al rapporto di base di mantenere inalterata la sua funzione di necessario referente della garanzia autonoma».
(41) Si è escluso in giurisprudenza che ciò si verifichi riguardo alla pattuizione
di interessi ultralegali. Ciò in quanto – ad eccezione di quanto non accada per la previsione di interessi usurari – tale pattuizione non risulta contraria all’ordina- mento (il quale ne impone, infatti, la mera forma scritta): cfr. Cass., 7 marzo 2002,
n. 3326, cit., secondo cui «Nel contratto autonomo di garanzia, che si discosta dalla fideiussione perché deroga al principio dell’accessorietà e al regime delle eccezioni consentite al garante, è escluso che il garante possa opporre al creditore eccezioni
xxxxx ritenersi manifestamente dolosa o abusiva: caso nel quale il garante potrà opporre eccezioni (anche ove convenzionalmente rese inopponibili) riguardanti il rapporto principale (42).
Le impostazioni giurisprudenziali sono, tuttavia, varie e disomogenee tra loro, con particolare riguardo a fondamento e presupposti delle eccezioni opponibili in deroga all’autonomia della garanzia convenzionalmente pat- tuita: mentre da una parte, infatti, le decisioni più recenti rilevano, nelle predette eccezioni, un’applicazione del generale principio di buona fede e correttezza nei rapporti obbligatori ex artt. 1175 e 1375 c.c. (43), delineando-
attinenti alla validità del contratto da cui deriva l’obbligazione principale, ma non anche le eccezioni attinenti alla validità dello stesso contratto di garanzia. Il feno- meno per cui la stessa situazione viziante determina insieme la nullità del contratto di base e di quello di garanzia può prodursi solo nel caso in cui il primo è nullo per contrarietà a norme imperative od illiceità della causa ed attraverso il secondo si tende ad assicurare il risultato che l’ordinamento vieta». Cfr. anche Cass., 14 di- cembre 2007, n. 26262 (in Mass. Foro it., 2007, 2000) la quale, con riferimento alla clausola nulla per usurarietà degli interessi, sostiene come l’illiceità del rapporto principale si trasmetta al contratto autonomo in ogni caso (indipendentemente dalla sussistenza, nel singolo caso di specie, di un collegamento funzionale tra i due rapporti), trovando pur sempre, il contratto autonomo, la propria giustificazione nel rapporto garantito: «anche il contratto autonomo di garanzia “viene meno quando il contratto principale è illecito” [...] e, nella specie, non sussisterebbero dubbi “sulla illiceità della clausola impositiva di interessi anatocistici in violazione dell’art. 1283 c.c.”, comportando, inoltre, il ricorso illecito all’anatocismo la violazione del tasso soglia stabilito per individuare il carattere usurario degli interessi».
(42) Così XXXXXX, La polizza fideiussoria nel genus delle garanzie atipiche, cit.,
108.
(43) V. in tal senso Cass., 17 marzo 2006, n. 5997 (in Foro it., 2007, I, 1582, non- ché in Contratti, 2006, 1115), secondo cui «Nelle garanzie autonome, l’assunzione da parte del garante dell’impegno di effettuare il pagamento a semplice richiesta del beneficiario della garanzia e la sua rinunzia ad opporre le eccezioni inerenti al rapporto principale, ivi comprese quelle relative all’invalidità del contratto da cui tale rapporto deriva, a meno che non siano fondate sulla nullità per contrarietà a norme imperative o per illiceità della causa, non escludono l’operatività del principio della buona fede, quale fonte integrativa degli effetti degli atti di autonomia privata, in virtù del quale deve ritenersi giustificato il rifiuto del pagamento, qualora esistano prove evidenti del carattere fraudolento (o anche solo abusivo) della richiesta del beneficiario. Tale rifiuto non rappresenta una mera facoltà, ma un dovere del garante, il quale è legato al debitore principale da un rapporto di mandato, che è tenuto ad adempiere con diligenza e secondo buona fede, con la conseguenza che l’accoglimento della richiesta di pagamento avanzata dal beneficiario in presenza di prove evidenti della sua pretestuosità preclude al garante la possibilità di agire in rivalsa nei con- fronti del debitore principale»; conf. Cass., 1° ottobre 1999, n. 10864, cit.
In dottrina, v. le osservazioni di DE BONIS, Il contratto autonomo di garanzia, cit.,
300 ss., nonché di LAMANUZZI, Fideiussione e contratto autonomo di garanzia, cit., , secondo la quale, mentre la giurisprudenza parla a volte di «“potere-dovere” per il garante di sollevare l’exceptio doli, altre volte» si esprime in termini di «“facoltà”.
le in termini di species dell’exceptio doli generalis, dall’altra vi sono state decisioni per le quali il fondamento giuridico delle eccezioni risiederebbe in capo al nesso causale sussistente fra obbligazione principale e obbligazione di garanzia (44), e ciò anche a fronte della loro relativa, reciproca autonomia funzionale (45).
Si tratta di questione che, tuttavia, non ha ancora trovato adeguata soluzione: la sentenza di legittimità in commento, infatti, pur conside- rando opponibile l’exceptio doli generalis ove risulti «evidente, certo ed incontestabile il venir meno del debito garantito per pregressa estinzione dell’obbligazione principale per adempimento o per altra causa», menziona tuttavia, tra i limiti all’operatività dell’autonomia del contratto autonomo di garanzia – nonché diversamente dai presupposti della exceptio doli ge- neralis – l’inesistenza originaria del rapporto garantito, in seguito facendo menzione ora di «pagamento arbitrario», ora di «escussione illegittima della garanzia» (v. punto 9.4 della sentenza).
Nella disamina dell’ipotesi d’inesistenza del rapporto garantito, nonché nella prospettazione della stessa in termini di presupposto per la relativa eccezione, la S.C. inoltre rinviene la relativa ratio d’opponibilità rilevando come si tratti, pur sempre, di «contratto di garanzia la cui essenziale fun- zione è quella di garantire un determinato adempimento» (46): come da altri
Dinanzi a questa mancanza di chiarezza pare preferibile seguire la strada dell’onere. Sembra infatti conforme ai principi di buona fede di cui all’art. 1375 sostenere che il garante debba tenere un comportamento diretto alla protezione dell’interesse del debitore, per cui se egli esegue il pagamento richiestogli dal garante nonostante si tratti di una escussione prima facie indebita, perde il regresso verso il debitore. Tuttavia, al fine di non gravare il garante di un onere di eccessiva diligenza, occorre insistere sul concetto che deve trattarsi di una escussione da parte del beneficiario palesemente indebita».
(44) Sul punto ancora NASTRI, La polizza fideiussoria nel genus delle garanzie
atipiche, cit., 108.
(45) Si tratta di una prospettiva avanzata, in particolare, con riferimento sia all’ipotesi in cui il debito principale non risulti essere sorto (ovvero sia derivante da titolo nullo), sia al caso di avvenuto soddisfacimento del debitore: cfr. Cass., 10 febbraio 2004, n. 2464, cit., secondo la quale l’indipendenza del rapporto principale
«rende qualitativamente diversa la prestazione del debitore e quella del garante, il quale deve assicurare in ogni caso al creditore una prestazione uguale o equivalente a quella che avrebbe dovuto conseguire in forza di tale rapporto, così da evitare o rimuovere il pregiudizio connesso al mancato o inesatto adempimento; con il solo limite, che deriva dalla funzione della garanzia, di coprire il rischio dell’inadempi- mento del rapporto di base, e che connota il negozio dall’aspetto causale, nel senso che resta pur sempre collegato al rapporto base, in questo trovando fondamento e misura l’interesse economico alla cui tutela è ordinata la garanzia; sicché il negozio e privo di causa se non si configura ab origine il rischio di inadempimento, perché l’obbligazione non è sorta o è nulla, mentre se nella fase di esecuzione è eliminato il rischio garantito, perché il creditore ha già conseguito la res debita, viene meno la sua funzione, tanto da rendere ingiustificata l’attribuzione patrimoniale».
(46) Cfr. anche, in tal senso, Cass., 24 aprile 2008, n. 10652, cit.
5# RASSEGNA GIURIDICA UMBRA
osservato, è all’evidenza come il Giudice di legittimità incorra, in tal modo, in una contraddizione rispetto alla definizione di causa del Garantievertrag poco prima affermata (47).
Non è dato comprendere, peraltro, se la causa del contratto autonomo di garanzia debba rinvenirsi nella certezza del soddisfacimento dell’inte- resse creditorio, a prescindere dalle vicende relative al rapporto principale: l’estinzione di quest’ultimo (per adempimento o altra causa) renderebbe infatti abusiva l’escussione del garante da parte del beneficiario; pare più corretto, quindi, qualificare il caso di avvenuto adempimento del debito originario in termini di ragione d’illegittimità dell’escussione (sub specie di mancanza sopravvenuta di causa, essendo già stato soddisfatto l’interesse creditorio) (48). L’estinzione del rapporto di valuta per altro motivo (ad es. l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile a creditore o debitore), costituendo il naturale risultato di quella traslazione del rischio che ne costituisce causa meritevole di tutela, non dovrebbe invece comportare contrarietà, della pretesa del beneficiario, a buona fede(49): non può pertanto sostenersi che il Garantievertrag copra il solo rischio d’ina- dempimento imputabile al debitore originario, in quanto si negherebbe, al contrario, la stessa autonomia dell’obbligazione di garanzia (50).
(47) Si x. XXXXXX, La polizza fideiussoria nel genus delle garanzie atipiche, cit., 109.
(48) In questi termini X. XXXXXX, La polizza fideiussoria nel genus delle garanzie atipiche, loc. cit.
(49) Larga parte della dottrina sostiene infatti come funzione specifica del contrat- to autonomo di garanzia sia rinvenibile nella garanzia del beneficiario riguardo ai c.dd. «rischi atipici», concernenti fattispecie diverse dall’inadempimento del debitore principale: cfr. G.B. PORTALE, Fideiussione e Garantievertrag nella prassi bancaria, cit., 1045 ss., ma v. anche CICALA, Sul contratto autonomo di garanzia, cit., 143 ss.
(50) XXXXXX, La polizza fideiussoria nel genus delle garanzie atipiche, cit., 109 s., il quale rileva in proposito come giurisprudenza e dottrina rinvengano, tuttavia, la principale difficoltà nella necessaria conciliazione dell’interesse a fornire, al creditore beneficiario della garanzia autonoma, una tutela forte, con l’interesse alla tutela del contraente debole. Si tratta peraltro – continua l’autore – di una preoccupazione pro- manante dalla disciplina dettata dalla stessa giurisprudenza [nonché confermata dalla sentenza di legittimità n. 3947/2010 in commento] relativamente al regime delle azioni di rivalsa a seguito dell’avvenuto pagamento da parte del garante, ove il pagamento medesimo risulti (sulla base di ragioni riguardanti il rapporto di base) non dovuto: il garante può agire in rivalsa ex art. 1950 c.c. nei confronti del debitore garantito il quale – non potendo eccepire circostanze riguardanti il rapporto di valuta nella mede- sima sede – si rivale sul beneficiario, agendo a mezzo di una condictio indebiti ovvero, secondo altra impostazione, attraverso l’arricchimento senza causa di cui all’art. 2041
c.c. Ciò, in quanto il garante non può agire (salve le ipotesi di escussione fraudolenta) in ripetizione nei confronti del beneficiario, ed ha implicitamente rinunciato alla facoltà di chiedere la ripetizione nei confronti di quest’ultimo: in sostanza, l’autonomia della garanzia prestata si rivela – alla stregua di quanto avvenga nell’ipotesi di fideiussione con clausola solve et repete – solo temporanea e relativa.
6. Altra fondamentale questione affrontata dalle Sezioni Unite, in linea con quanto richiesto dalla ordinanza di rimessione, concerne la natura delle polizze assicurative fideiussorie stipulate, in particolare, dall’appaltatore di opere pubbliche.
Come sottolineato dalla S.C., la polizza fideiussoria si configura quale contratto a favore di terzo (51), nel quale le figure di stipulante, promittente e terzo beneficiario sono rinvenibili, rispettivamente, in capo al debitore, al garante nonché al creditore principale (52). La validità di tale contratto prescinde, quindi, sia dalla conoscenza che dalla partecipazione da parte del beneficiario: il quale ultimo, dichiarando di volerne profittare, rende ex art. 1411 c.c. irrevocabile e immodificabile la stipula (53).
È stato sottolineato, peraltro, come l’aspetto fondamentale e caratteriz- zante della polizza fideiussoria sia rinvenibile nel mero assetto strutturale, non costituendo elementi specifici di un determinato tipo di garanzia né l’oggetto, né la funzione (54); la giurisprudenza pone in evidenza, inoltre, come ulteriori elementi caratterizzanti la polizza fideiussoria debbano rin- venirsi sia nella qualità dell’assuntore della garanzia (55) che nel carattere
(51) XXXXXX, La polizza fideiussoria nel genus delle garanzie atipiche, loc. cit.
(52) Tale impostazione è in linea con quanto sostenuto da larga parte della dottri- na: cfr., tra gli altri, FRAGALI, Fideiussione ed assicurazione, in Banca borsa tit. cred., 1955, I, 140 ss.; ma v. anche le osservazioni di RUSSO, Le assicurazioni fideiussorie, Milano, 1997, 19 ss.
(53) Si vedano, in proposito, le osservazioni di XXXXXXX, Garanzia (contratto autono- mo di), in Noviss. dig. it., App., III, Torino, 1982, 919; nonché CALDERALE, Fideiussione e contratto autonomo di garanzia, Bari, 1989, 265: è stato infatti posto in evidenza come, in realtà, all’effetto favorevole promanante dalla stipulazione della polizza in capo al beneficiario corrisponda, nella quasi totalità dei casi, un costo riversato, dal debitore, sull’altra parte stipulante del contratto principale.
In ordine alla compatibilità tra schema del contratto a favore di terzo e polizza fideiussoria con clausola di pagamento «a semplice richiesta», cfr. XXXXXXXX, L’assi- curazione fideiussoria non è una fideiussione, in Giust. civ., 1995, 2418 ss.
(54) Ma v. le osservazioni di DE BONIS, Il contratto autonomo di garanzia, cit., 326 ss., da cui si evince come debba rinvenirsi, nella polizza fideiussoria, uno schema negoziale adattabile ad un’ampia varietà d’ipotesi, ove la garanzia può qualificarsi in termini di autonomia, accessorietà, indennitarietà ovvero satisfattorietà.
(55) Cfr. Cass., 18 maggio 2001, n. 6823 (in Foro it., 2001, 3174 ss., con nota di PARDOLESI, Polizza fideiussoria in cerca d’identità: assicurazione, fideiussione o con- tratto autonomo di garanzia?; in Dir. e form., 2003, 1021 ss., con nota di FARSACI, La controversa natura giuridica della polizza assicurativa fideiussoria e l’applicazione a tale figura dell’art. 1957 c.c.; nonché, infine, in Corr. merito, 2010, 516), la quale, in linea con l’impostazione dominante, sostiene come debba trattarsi necessaria- mente di un’impresa assicurativa ovvero di un istituto di credito, trovandosi, in caso contrario, al di fuori dello schema socialmente tipico della polizza fideiussoria: «La cosiddetta assicurazione fideiussoria costituisce una figura contrattuale intermedia tra il versamento cauzionale e la fideiussione ed è contraddistinta dall’assunzione dell’impegno, da parte (di una banca o) di una compagnia di assicurazione, di pagare
necessariamente oneroso della relativa prestazione (il corrispettivo versato dal debitore consiste, infatti, in un premio).
Corrispettivo e nomenclatura nella prassi sovente utilizzata (ad es.
«assicurazione fideiussoria», nonché «fideiussione assicurativa») hanno visto parte della dottrina (56) ricondurre la polizza fideiussoria al modello tipico dell’assicurazione del credito; d’altra parte, la giurisprudenza più risalente
(57) identificava – partendo da una presunta identità di causa tra le due fattispecie – la polizza fideiussoria con la mera fideiussione (58).
Sotto il primo profilo (asserita natura assicurativa della polizza), è opi- nione condivisa da tempo che, ai fini qualificativi del contratto, non possa tenersi conto né del fatto che, nell’accordo tra debitore e garante, siano rinvenibili i caratteri tecnici del contratto assicurativo, né che la nomencla- tura risulti «di tipo meramente assicurativo» (59): i profili di vicinanza con il
un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta dal contraente. È, poi, caratterizzata, dalla stessa funzione di garanzia del contratto di fideiussione, per cui è ad essa applicabile la disciplina legale tipica di questo contratto, ove non derogata dalle parti».
(56) Tale impostazione è ormai poco diffusa: fondamentali in ogni caso, sul punto, le osservazioni di MESSINEO, Manuale del diritto civile e commerciale, Milano, 1958, 169, nonché di XXXXXX, Natura giuridica dell’assicurazione cauzionale, in Assicura- zioni, 1958, I, 67.
(57) Cfr. Cass., 2 agosto 1990, n. 7766 (in Notariato, 1992, 50, nonché in Arch. civ., 1991, 35), secondo cui «La polizza, con la quale una compagnia di assicurazioni garantisca l’adempimento del debito di un terzo, o ne assuma l’obbligazione per il caso della sua insolvenza (cosiddetta assicurazione fideiussoria o cauzionale), assolve, in via esclusiva o prevalente, alla stessa funzione del contratto di fideiussione, e resta conseguentemente soggetta alla relativa disciplina anche per quanto riguarda la decadenza ex art. 1957 c.c., atteso che il contratto di assicurazione, ancorché sotto forma di assicurazione di credito, presuppone la copertura di un rischio e l’assunzione di una obbligazione di tipo indennitario, e non è quindi configurabile in presenza di un’obbligazione obiettivamente e quantitativamente coincidente con quella del terzo; senza che rilevi in contrario che il contratto sia stato stipulato anche con la partecipazione del creditore così garantito, derivandone l’esclusivo effetto di obbligare direttamente la compagnia assicuratrice nei confronti del creditore ed impedire che quest’ultimo, quale beneficiario della prestazione negoziata a suo favore dal debitore, possa dichiarare di non aderire alla stipulazione secondo la disciplina del contratto a favore del terzo (art. 1411, ult. comma c.c.)»; v. inoltre Cass., 2 aprile 1987, n. 3181, in Arch. civ., 1987, 715, in base a cui «La garanzia assunta da un’impresa assicuratrice nei confronti dell’amministrazione finanziaria per il versamento di diritti doganali mediante la cosiddetta polizza fideiussoria o cauzionale, assolve in via esclusiva o prevalente alla stessa funzione del contratto di fideiussione e quindi è soggetta alla relativa disciplina». In dottrina, cfr., tra gli altri, MOLLE, Fideiussioni bancarie e assicurazioni fideiussorie, in Banca borsa tit. cred., 1953, I, 449, secondo il quale la polizza sarebbe assimilabile alla fideiussione.
(58) X. XXXXXX, La polizza fideiussoria nel genus delle garanzie atipiche, cit., 110.
(59) Cfr., in proposito, quanto statuito da Xxxx., 13 ottobre 1986, n. 5981 (in Giur. it., 1988, I, 1, 879), secondo cui «La polizza cosiddetta fideiussoria o cauzionale, la
contratto assicurativo, sotto il profilo sia tecnico-economico (60) che formale vengono, infatti, superati dal vero perno funzionale ai fini qualificativi del contratto, cioè a dire l’elemento causale, che definisce la natura giuridica delle polizze fideiussorie. In queste ultime, a differenza che nel contratto di assicurazione (volto a indennizzare l’assicurato, a fronte del pagamento di un premio, dalle conseguenze negative di un evento accidentale), il garante è tenuto – indipendentemente dal carattere volontario o meno dell’inadem- pimento – al pagamento del premio.
Quanto alla seconda impostazione (polizza fideiussoria quale sottotipo di fideiussione) (61), deve tenersi presente, oltre alle descritte caratteristiche strutturali e contenutistiche che ne diversificano la nozione da quella, fonda- mentale, di cui all’art. 1936 c.c., l’oggetto della polizza: quest’ultimo infatti non è costituito, necessariamente, da un’obbligazione identica a quella del rapporto di base, dal momento che la stessa può anche assurgere a indennizzo (62).
quale sia diretta a garantire, in favore del beneficiario, l’adempimento di un’obbli- gazione del contraente, resta soggetta alla disciplina della fideiussione, mentre le norme dell’assicurazione possono trovare ingresso solo quando le parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, le abbiano richiamate».
(60) Sul punto v. anche le osservazioni di DE BONIS, Il contratto autonomo di garanzia, cit., 328, il quale sostiene come il corrispettivo della polizza non possa assurgere alla qualifica di «premio, atteso che nel ramo cauzioni, a differenza di ciò che avviene in altri settori assicurativi, tale prestazione non può essere determinata in base a severi criteri probabilistici e attuariali».
(61) Così Cass., Sez. un., 15 gennaio 1993, n. 500 (in Corr. giur., 1993, 716 ss., con nota di DI MAJO, La fideiussione soggettivamente neutra; in Foro it., 1993, I, 760 ss., con nota di XXXXXX, Diritti doganali, polizza fideiussoria e azione di regresso; in Resp. civ. e prev., 1993, II, 944 ss., con nota di XXXXXXX XXXXXX, Questioni sulla interpretazio- ne della polizza fideiussoria doganale; nonché in Riv. dir. comm., 1994, II, 35 ss., con nota di XXXXXXXXXXX, Garanzie personali e pagamento dei diritti doganali), la quale, con specifico riferimento a diritti doganali, sostiene che «Quando lo spedizioniere doganale, nell’eseguire le operazioni in dogana per conto del proprietario della merce, ancorché in forza di subdelega ricevuta dal mandatario di quest’ultimo, si avvalga della facoltà di differire il pagamento dei tributi doganali, ai sensi degli artt. 78 e 79 del d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, stipulando all’uopo con società di assicurazioni una polizza fideiussoria sostitutiva della cauzione ed identificante l’obbligazione garantita nel debito inerente a detti tributi, a tale società, che per il suddetto titolo sia stata escussa dall’amministrazione finanziaria, deve essere riconosciuto diritto di surrogazione e regresso (artt. 1949-1951 c.c.) nei confronti del proprieta- rio-importatore, il quale, nonostante il ricorso all’attività dello spedizioniere (che assume la veste di condebitore in solido), è soggetto passivo del rapporto tributario, e quindi dell’obbligazione garantita, mentre non rileva che i diritti doganali siano rimasti insoddisfatti a causa di comportamento illecito dello spedizioniere, il quale non abbia provveduto a versare alla dogana le somme ricevute dall’importatore, giacché la circostanza interferisce non sul debito d’imposta o sulla fideiussione, ma nel rapporto interno fra spedizioniere ed importatore medesimo».
(62) XXXXXX, La polizza fideiussoria nel genus delle garanzie atipiche, cit., 110.
A fronte di tale dibattito la S.C. rileva, in linea con la prospettiva do- minante – la quale supera inoltre l’idea di «contratto misto», costituito da elementi tipici sia di fideiussione che di assicurazione (63) –, l’atipicità della polizza fideiussoria (64), della quale è possibile rinvenire, nella pratica degli affari, tre fondamentali tipologie: quella in cui l’obbligo del garante dipende dall’esistenza dell’obbligo del debitore principale (cui debbono applicarsi, ove compatibili, le norme sulla fideiussione), quella in cui l’obbligo del garante è indipendente da quello del debitore (disciplinata in linea con quanto disposto in materia di contratto autonomo di garanzia) nonché, infine, quella in cui il beneficiario, al fine di ottenere il pagamento della garanzia, deve provare fatti riguardanti il rapporto principale (disciplinata, anch’essa, alla stregua di contratto autonomo di garanzia).
Ulteriore elemento distintivo è costituito, infine, dal carattere – sa- tisfattorio, ovvero indennitario – che una garanzia può assumere. Tra le polizze fideiussorie, vi è particolare diffusione della stipula volta a coprire gli oneri relativi alla mancata stipula di un contratto di appalto, ovvero (come nel caso affrontato nelle due sentenze oggetto del presente commento)
(63) Cfr. Cass., 26 gennaio 1985, n. 385 (in Nuova giur. civ. comm., 1985, I, 490, con nota di richiami di X. XXXX), la quale sostiene che «Con riguardo ad una polizza cau- zionale stipulata con impresa di assicurazioni, la quale presenti sostanziale natura fideiussoria, in quanto rivolta non a trasferire un rischio a carico dell’assicuratrice, ma a garantire nei confronti del beneficiario l’adempimento di obblighi assunti dal contraente, la disciplina applicabile, salvo diversa previsione convenzionale, è quella del contratto di fideiussione, non quella del contratto di assicurazione, della quale, in particolare, deve escludersi l’invocabilità dell’art. 1892 c.c., in tema di annullamento per dichiarazioni inesatte o reticenti (ferma restando l’esperibilità dell’azione di annullamento per dolo ai sensi dell’art. 1439 c.c.)»; in base a Cass., 25 ottobre 1984,
n. 5450 (in Banca borsa tit. cred., 1985, II, 15), inoltre, «L’assicurazione fideiussoria
o cauzionale costituisce un contratto misto la cui disciplina, ove non derogata dalle parti nei limiti della loro autonomia contrattuale, si identifica con la fideiussione che ne è il rapporto tipico prevalente; è pertanto applicabile all’anzidetto rapporto la disposizione dell’art. 1941 c.c., secondo cui la fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore, né può essere prestata a condizioni più onerose»; cfr., infine, Cass., 14 marzo 1978, n. 1292 (in Banca borsa tit. cred., 1979, II, 411), secondo cui
«Nell’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro espressa in valuta non avente corso legale nello Stato (nella specie valuta estera), il debitore si libera pa- gando l’equivalente in valuta nazionale, ma sopporta il peso della svalutazione di quest’ultima, verificatasi durante il ritardo nell’adempimento. La maggior somma corrispondente alla svalutazione non può qualificarsi come danno, ma costituisce solo la individuazione dell’entità obiettiva della prestazione ed essa è dovuta in via solidale dal fideiussore del debitore, giacché non costituisce un quid pluris rispetto alla obbligazione principale, di cui il fideiussore non deve rispondere a termini dell’art. 1941 c.c.».
(64) V. in proposito XXXXXX, In tema di assicurazioni fideiussorie, in Giur. it., 1985, I, 1, 97; nonché LIPARI, La natura giuridica dell’assicurazione fideiussoria, in. Giust. civ., 1986, II, 133 ss.
al mancato (o inesatto) adempimento di opere o servizi: si tratta d’ipotesi esplicitamente contemplate ex artt. 75 e 113 del d.lgs. n. 163/2006, per l’ipotesi in cui una Pubblica Amministrazione rivesta il ruolo di commit- tente. In questo caso, la polizza fideiussoria assicura la mera soddisfazione dell’interesse economico, del beneficiario, compromesso dall’inadempimento dell’appaltatore, in quanto non può garantire (consideratane la relativa infungibilità) l’adempimento della citata obbligazione; conseguentemente, polizza fideiussoria e fideiussione, pur accomunate dallo scopo di offrire, al creditore-beneficiario, la garanzia dell’esito positivo dell’operazione economica sottesa alla stipula, debbono tenersi distinte in quanto: a) le prime, ove prestate a garanzia di obbligazioni infungibili, appartengono alla categoria delle c.dd. garanzie di tipo indennitario, rimanendo in capo al creditore – rispetto all’inadempimento del debitore – la mera tutela del risarcimento del danno; b) la fideiussione appartiene alle c.dd. garanzie di tipo satisfattorio, caratterizzate cioè dal rafforzamento del potere, in capo al creditore, di conseguire il medesimo bene dovuto, cioè a dire di realizzare, specificamente, il soddisfacimento del proprio credito (65).
7. Con riferimento all’ultima questione prospettata dall’ordinanza di rimessione, riguardante la causa contrattuale, la Corte di legittimità
– sempre in linea con l’impostazione dominante – sostiene come la polizza fideiussoria, ove contenente la clausola «a prima richiesta», persegua una funzione di tipo «cauzionale», in quanto utilizzata in alternativa alla cau- zione, nonché volta a realizzarne il medesimo risultato (66).
Tali contratti assolvono certamente una funzione assimilabile a quel- la della cauzione, in quanto creano una disponibilità finanziaria in capo al creditore: quest’ultimo può fare proprio il denaro offerto in garanzia chiedendone, al garante, l’immediato pagamento. D’altra parte, i contratti
(65) In tal senso CARBONE, Fideiussione e garantievertrag, in Corr. giur., 2010, 445.
(66) V. in proposito DE XXXXX, Il contratto autonomo di garanzia, cit., 337, il quale sostiene che la polizza realizza «una funzione analoga a quella della cauzione reale, in quanto attribuisce al creditore una pretesa di pagamento delle somme garantite agevolata dalla presentazione della prima domanda al garante, e come la cauzione offre al creditore la possibilità di soddisfarsi immediatamente sui beni offerti in consegna (c.d. incameramento della cauzione), così la clausola “a prima richiesta” consente di ottenere quasi immediatamente la realizzazione del credito per il divieto da parte del garante di opporre eccezioni fondate sul rapporto principale; secondo Xxxx., 17.5.2001, la polizza avrebbe funzione cauzionale tutte le volte che la relativa convenzione attribuisca al creditore la facoltà di procedere ad immediata riscossione delle somme, a prescindere dal rapporto garantito, realizzando così una funzione del tutto simile a quella dell’incameramento di una somma di denaro a titolo cau- zionale». Sul rapporto fra contratto autonomo di garanzia e deposito cauzionale v. inoltre BENATTI, Il contratto autonomo di garanzia, cit., 173; v. anche XXXXXXXXXXX, I contratti autonomi di garanzia, 2ª ed., Torino, 1995, 121 ss.
autonomi evitano, all’impresa ordinante, di sottrarre all’esercizio della propria attività una porzione del proprio capitale che, in caso contrario, verrebbe immobilizzata nella garanzia (67): emerge in tal modo un’altra fi- nalità perseguita, a mezzo di tale schema negoziale, dal debitore-ordinante, cioè a dire il conseguimento di un finanziamento attraverso l’intervento del garante. Come giustamente rilevato (68), dunque, l’interesse all’allestimento della garanzia autonoma coesiste con altri scopi perseguiti mediante la complessiva operazione negoziale.
È d’obbligo ricordare, tuttavia, come la principale finalità del contratto autonomo di garanzia rimanga quella di tenere estranee, rispetto all’esecu- zione della garanzia, le vicende relative ad altri rapporti: solo un’accurata disamina della natura e dell’effettiva portata delle clausole consentirà di stabilire, nella fattispecie concreta, se ed in quali limiti sia possibile far valere, in sede di esecuzione della garanzia, situazioni giuridiche ad essa estranee. Si conferma quindi l’esigenza di analizzare, di volta in volta, le concrete modalità con cui l’autonomia privata abbia inteso regolare la spe- cifica figura di garanzia.
Xxxxxx Xxxxxx Xxxxx
(67) Sul punto XXXXXXX, La natura giuridica della polizza fideiussoria: l’intervento delle Sezioni Unite, in Contratti, 2010, 441: «In sostanza, le garanzie autonome, al pari di quanto accade per le cauzioni reali, creano una disponibilità di denaro in capo al creditore, il quale può chiederne l’immediato pagamento in presenza dei relativi presupposti; d’altro canto, consentono all’impresa ordinante di non sottrarre all’esercizio dell’attività economica una porzione del suo capitale».
(68) Cfr. XXXXXXX, La natura giuridica della polizza fideiussoria: l’intervento del- le Sezioni Unite, cit., 443, il quale inoltre sottolinea, in proposito, che «In tema di polizze fideiussorie tale considerazione induce a guardare, anche nella prospettiva funzionale, al modo di operare delle clausole di pagamento nell’ambito delle pattui- zioni intercorse fra le parti del contratto di garanzia e, più in generale, nell’ambito della complessiva operazione negoziale».
TRIBUNALE DI PERUGIA, Sez. I – 14 gennaio 2010 – Est. GIARDINO
– Fi.Fe. c. To. As. s.p.a.
Assicurazione (contratto di) – Polizza sanitaria – Spese mediche – Ac- cesso alle tecniche della PMA – Rimborso – Obbligo – Sussistenza.
Le spese mediche sostenute dall’assicurato di polizza sanitaria per l’accesso alle tecniche di p.m.a. sono soggette a rimborso da parte dell’as- sicurazione, in quanto l’infertilità è classificata come malattia (1).
(Omissis). Con atto di citazione notificato in data 11/4/2005, Fi.Fe. esponeva quanto segue: - di avere stipulato in data 10/3/2003 una polizza assicurativa sanitaria, la n. (omissis), denominata “Do.”, con la società To. S.p.A.; - che detta polizza prevedeva la copertura assicurativa per spese sanitarie, interventi chirurgici, diagnostica e ricovero senza intervento anche a favore dei prossimi congiunti ed, in particolare, del coniuge dell’assicurato contraente e della figlia; - che i premi convenuti erano stati ritualmente pagati per gli anni 2003, 2004 e 2005; - che i coniugi Fi., dopo la prima figlia, Ve., nata nel 2001, avevano deciso di concepire un secondo figlio; - che purtroppo, preso atto della difficoltà di una pro- creazione naturale, previa certificazione del medico specialista curante attestante la sussistenza di una situazione di infertilità secondaria, si erano trovati costretti a ricorrere a cure sanitarie che consentissero il concepimento con tecniche di procreazione medico assistita (c.d. PMA);
- che in tale contesto nel novembre del 2003 avevano sostenuto spese mediche per un primo ciclo di PMA per complessivi Euro 3.601,29, provvedendo in data 1/12/2003 alla successiva richiesta di rimborso alla compagnia assicuratrice, previa trasmissione della relativa fattura n. 2780 del 9/11/2003; - che su richiesta della compagnia assicuratrice esso istante, in data 15/1/2004, aveva inoltrato la certificazione medica dello specialista di fiducia attestante la patologia in relazione alla quale si erano rese necessarie le cure mediche per le quali era stato chiesto il rimborso; - che in data 11/3/2004 la Compagnia aveva negato il rimborso delle spese sostenute, giustificato sulla base dell’asserzione che nel caso di specie ricorreva “sterilità di coppia e non malattia”; - che esso istante aveva contestato il contenuto della missiva, richiamando la letteratura scientifica sul tema, ed in particolare le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che da lungo tempo considerava l’infertilità come patologia; - che erano intercorse ulteriori comunicazioni tra le parti, che avevano portato all’invio alla Compagnia dei referti medici e degli esami eseguiti nonché di una relazione medica che descrivesse in modo dettagliato in che cosa era consistito il ciclo completo di PMA con lesi,
di cui alla fattura; - che nel frattempo esso istante e la coniuge si erano sottoposti nel luglio del 2004 ad un altro intervento di PMA, stante l’insuccesso del precedente, richiedendo nuovamente la liquidazione dell’indennizzo contrattualmente convenuto per la fattura n. 2039 del 22/7/2004 di Euro 4.101,29; - che anche tale richiesta era stata disat- tesa dalla Compagnia, che riteneva trattarsi di “spese non coperte da garanzia assicurativa”, non riavvisando una specifica patologia nella documentazione medica allegata.
Tutto ciò premesso, conveniva in giudizio avanti l’intestato Tribunale la Compagnia assicurativa To., per sentirla condannare al pagamento dell’importo complessivo di 7.772,58, oltre interessi e rivalutazione monetaria; con rifusione delle spese di lite.
Si costituiva ritualmente in giudizio la To. S.p.A. che ribadiva la non rimborsabilità delle spese ai sensi di polizza, non potendo gli in- terventi di procreazione medico assistita essere ritenuti assimilabili ad interventi terapeutici, nel senso di riparatori di “alterazione dello stato di salute non dipendente da infortunio”, quale la situazione tipica dedotta in garanzia.
Adduceva la convenuta che le tecniche di PMA, specie nella prospetti- va normativa delineata dall’intervento normativo del 2004, adottato con la legge n. 40/2004, servivano ad ovviare ad una particolare conseguenza di una condizione di infertilità non necessariamente riferibile ad una malattia, ma non a curare la eventuale malattia causa della infertilità, delineando un ruolo estraneo alla sfera ed alla nozione dell’assistenza sanitaria. (Omissis).
Unico, il motivo di contestazione della pretesa attorea da parte della convenuta: l’inoperatività delle garanzie assicurative indicate nella polizza sanitaria stipulata inter partes, prevedente il rimborso delle spese mediche, per la non ravvisabilità di specifica patologia nella documentazione medica indicata dall’attore a sostegno delle proprie richieste, non essendosi ritenuta la “sterilità di coppia” una vera e propria malattia, e le spese sopportate per la procreazione medica assistita (PMA) quali spese conseguenti ad una terapia. Non vengono sollevate pertanto né problematiche di quantum, né vengono dedotte ulteriori contestazioni circa l’operatività della polizza, si che l’oggetto del giudizio, delineato dalle contrapposte deduzioni delle parti, deve intendersi limitato al vaglio della questione prospettata, per il resto operando pacificamente il principio di non contestazione (ad esempio, sia per quanto concerne la congruità e la pertinenza delle fatture; sia per le ulteriori problematiche concernenti l’esatto inquadramento delle prestazioni rappresentate dalle fatture nelle varie partizioni con- trattuali, ricavabili dalla lettura della polizza - intervento chirurgico, diagnostica, ricovero senza intervento -).
Così chiarito il thema decidendum, ritiene questo Giudice che la domanda attorea sia fondata.
In primo luogo, va negato che la infertilità (anche quella c.d. seconda- ria, cioè relativa a coppie che hanno già un figlio) non venga considerata, sia dalla letteratura scientifica, sia dagli organismi sanitari - nazionali ed internazionali -, sia dalla stessa normativa, una “malattia” in senso proprio: vero è che solo in alcuni casi la sterilità è immediata conseguenza di una - diversa - patologia diremmo “classica”, che costituisce anche causa dell’impossibilità della procreazione; ma anche nei casi in cui la sterilità non ha diretta matrice patologica è considerata come “malattia” in sé, in quanto alterazione dello stato di salute di un individuo, in riferi- mento all’apparato riproduttivo. La conclusione è pacifica, non solo se si verifica la letteratura scientifica in materia, ma anche tenendo presenti le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dello stesso Istituto Superiore di Sanità italiano, che espressamente considerano tutti i tipi di infertilità come una patologia. Questi stessi organismi hanno inoltre parimenti considerato le tecniche di procreazione assistita come vera e propria terapia medica, cioè cura dello stato patologico; e siffatte conclusioni, lungi dall’essere contraddette (come erroneamente reputato dalla convenuta) sono confermate anche dall’analisi del dato normativo italiano, poiché sia la L. n. 40/2004 che il relativo D.M. di attuazione (il n. 15165/2004), considerano l’infertilità come “malattia”, da curare e da fronteggiare anche attraverso il Servizio Sanitario Nazio- nale; e le tecniche di P.M.A. come indubbio rimedio terapeutico, pur se caratterizzato dal criterio della residuante (l’art. 1 L. 40/2004 legittima il ricorso alla procreazione assistita “qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità”, così espressamente ricomprendendo dette tecniche nei metodi terapeutici in senso proprio).
Né risponde al vero che la nozione di terapia possa essere limitata ai quei soli interventi “riparatori” dell’alterazione dello stato di salute, come sostenuto dalla convenuta in comparsa, posto che siffatta affer- mazione implicherebbe il disconoscimento della nozione di terapia, ad esempio, con riferimento a tutti i presidi sanitari utilizzati nelle malattie “inguaribili”, sia di quelle croniche (come ad es. il diabete) che di quelle più repentine, ad esito infausto (come ad es. le malattie tumorali), di- fettando sempre in questi casi l’intervento “riparatore” dell’organismo; così come alle cure agenti sulla sintomatologia, piuttosto che sulla causa della malattia: ciò che, all’evidenza, non può dirsi.
Alla luce di quanto premesso, dovendosi considerare erronee le con- testazioni di parte convenuta, ne dovrà conseguire (come si sottolineava, in assenza di ulteriori motivi di diniego dell’operatività della polizza) l’accoglimento della domanda attorea, e la conseguente condanna del-
6# RASSEGNA GIURIDICA UMBRA
la convenuta al pagamento in favore dell’attore della somma di Euro 7.772,58, a titolo di rimborso delle spese mediche sopportate in occasione dei due interventi di PMA, per cui è causa. (Omissis).
(1) Procreazione medicalmente assistita e oggetto della polizza sanitaria
Il provvedimento in esame affronta l’attuale tema, molto dibattuto sia in dottrina che in giurisprudenza, della procreazione medicalmente assi- stita. L’Italia è stata una degli ultimi paesi in Europa(1) a regolamentare questa problematica. Il 1 marzo 1985 ci fu la circolare dell’xx. Xxxxx inti- tolata “Limiti e condizioni di legittimità dei servizi per l’inseminazione artificiale nell’ambito del servizio sanitario nazionale” e solo il 10 febbraio 2004 è stata emanata una legge ad hoc (legge 2004 n. 40) (2); subito dopo fu sottoposta anche a referendum(3), ma non si raggiunse il quorum fissato dall’art. 75, comma 4, Cost. Dall’entrata in vigore della legge si sono sus-
(1) In Austria ad es. la legge sulla procreazione medicalmente assistita è stata emanata il 1 luglio 1992, n. 293: Fortplanzungsmedizingesets-FmedG, il testo tra- dotto si può rintracciare in GENTILOMO, PIGA, NIGROTTI, La procreazione medicalmente assistita nell’Europa dei quindici. Uno studio comparatistico, Milano, 2005, 231 ss.; sulla problematica della bioetica in Europa v. SEGNI, Le biotecnologie mediche nell’esperienza dell’Unione europea, in Familia, 2003, 311 ss.
(2) Per una prima analisi sulla legge 40/2004 v. X. XXXXXX, DI XXXXXX, X. XXXXXX,
La legge italiana sulla procreazione medicalmente assistita, in Dir. fam. pers., 2004, 489-533; DOGLIOTTI, La legge sulla procreazione assistita: problemi vecchi e nuovi, in Fam. dir., 2004, 113 ss.; XXXXXXXX, La nuova legge sulla procreazione medicalmente assistita, in Fam. dir., 2004, 628 ss., XXXXXXXX, La sperimentazione sugli embrioni: la nuova disciplina, in Familia, 2004, 979-992; XXXXXXXX, La legge sulla procrea- zione medicalmente assistita alla luce dell’esperienza francese,in Familia, ivi, pp. 1097-1107; XXXXXXXXX, XXXXXXXXXXXXX, Procreazione assistita, commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, Milano, passim .
(3) Xxxxx stati proposti cinque quesiti referendari che avevano come scopo, uno,
dichiarato inammissibile, la totale abrogazione della legge ( Corte cost., 28 gennaio 2005, n. 45, in Giur. cost., 2005, 348, con nota redazionale di PERTICI e con osser- vazione di MONACO, Il referendum per l’abrogazione della legge sulla procreazione medicalmente assistita di fronte al limite delle “leggi costituzionalmente necessarie” sottolineando che la disciplina in tema di Pma essendo una “normativa costitu- zionalmente necessaria”, dal momento che è la prima legislazione relativa ad un settore che comprende molti interessi costituzionali, non può essere abrogata.); gli altri, invece ammessi avevano come fine l’abrogazione di alcune norme come quelle riguardanti i divieti di fecondazione eterologa e di diagnosi preimpianto, e l’accesso alle tecniche solo in caso di infertilità o sterilità, Corte cost., 28 gennaio 2005, nn. 46,47, 48, 49, in Fam. dir., 2005, 195, con nota di XXXXXXXX, I referendum sulla legge sulla procreazione medicalmente assistita.
seguiti molti provvedimenti giurisprudenziali(4) tanto che Xxxxxxx X’Xxxxx ha scritto che in questi anni si è verificata una “riscrittura costituzionale e giurisprudenziale della normativa in merito alla PMA” (5). Il fil rouge di questa legge è la tutela del concepito(6) : art. 1 la legge “assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito” ed inoltre si dedica un inte- ro capo VI alle misure di tutela dell’embrione(7). In questa decisione il Tri- bunale di Perugia si trova ad affrontare il seguente caso: una coppia spo-
(4) Per un excursus sugli interventi giurisprudenziali riguardanti la procreazione medicalmente assistita si consulti ASTIGGIANO, La procreazione medicalmente assi- stita, in Fam. dir., 2012, 420 ss. Il primo intervento giurisprudenziale è stato quello del Trib. Catania, 3 maggio 2004,in Fam. dir., 2004, 372 ss. con nota di XXXXXXXX, Procreazione medicalmente assistita e malattie genetiche: i coniugi possono rifiutare l’impianto di embrioni ammalati?, i giudici avevano rigettato la richiesta dei ricor- renti di impiantare solo embrioni non affetti da talassemia, poiché ciò era contrario a norme imperative di legge, rilevanti penalmente. I giudici inoltre stabilivano che dovevano essere impiantati nell’utero della donna sia gli embrioni malati che quelli sani, dal momento che l’art. 14, comma 1, l. n. 40 del 2004 vieta la crioconservazione e la soppressione degli embrioni. Inoltre sempre questo provvedimento ha dichiarato manifestatamene infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 l.
n. 40 del 2004, nella parte in cui non consente, per quanto riguarda la procreazione
medicalmente assistita, la diagnosi preimpianto, funzionale all’impianto dei soli embrioni sani, in riferimento agli artt.2, 3, 32 Cost.
(5) D’AVACK, L’ordinanza di Salerno. Ambiguità giuridiche e divagazioni etiche, in Dir. fam. pers., 2010, 1737 ss.
(6) X. XXXXXXX, La filiazione, Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da X. Xxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, continuato da X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 3 ss.
(7) Per tentare di definire l’embrione si consulti il recente scritto di DURANTE, La “semantica dell’embrione” nei documenti normativi. Uno sguardo comparatistico, in Riv. crit. dir. priv., 2012, 63 ss. l’Autore incomincia a trattare il tema citando documenti europei che riguardano l’embrione come la Raccomandazione 934/182 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa relativa all’ingegneria genetica passando per le due leggi francesi sulla bioetica del 1994, revisionate nel 2004 e quella portoghese in cui non è presente nessuna qualificazione giuridica di embrio- ne; inoltre cita altri documenti normativi, ispirati al rapporto Xxxxxxx del 1984, che distingueva tra embrione e pre-embrione togliendo quindi dall’ambito degli embrioni gli zigoti non ancora giunti al quattordicesimo giorno di sviluppo, come per es. lo Human Fertilisation and Embryology Act inglese del 1990, modificato dallo Human Fertilisation and Embriology Act del 13 novembre 2008. Infine l’Autore enuclea le normative in cui si conferisce maggiore importanza alle specifiche misure di protezione dell’embrione e non tanto alle distinzioni biologiche come per es. in Spagna con la Ley Xxxxxxxx 0/0000, xx 0 xx xxxxx, xx salud sexual y reproductiva y de la interrupciòn voluntaria del embarazo, entrata in vigore il 5 luglio 2010, che ha stabilito la possibilità per la donna di abortire liberamente entro le prime quat- tordici settimane di gestazione ed inoltre viene fissata la prevalenza della salute della donna sulla vita dell’embrione. X. XXXXXXX, Lo statuto giuridico dell’embrione umano alla luce della legge n. 40 del 2004, in tema di procreazione medicalmente
xxxx, che aveva già una figlia, cerca di concepire un altro figlio, ma non ci riesce. Quindi i coniugi pensano di ricorrere alla tecnica della procreazione medicalmente assistita e chiedono alla propria compagnia assicuratrice il rimborso delle spese sostenute, avendo stipulato una polizza assicurativa sanitaria. La compagnia di assicurazione nega tutto ciò, sostenendo che queste spese non sono coperte da garanzia assicurativa in quanto ricorreva sterilità di coppia e non malattia. Il Tribunale di Perugia condanna la com- pagnia assicurativa a pagare le spese in quanto sia la letteratura scientifi- ca in materia, sia le indicazioni dell’organizzazione mondiale della sanità e dello stesso istituto superiore di sanità italiano concordano nell’indicare tutti i tipi di infertilità come patologia e quindi le tecniche di procreazione medicalmente assistita rappresentano la terapia. Gli artt. 1 e 4(8) della legge n. 40 stabiliscono che possono ricorrere alle tecniche di PMA solo quei soggetti che sono affetti da sterilità o infertilità(9), certificata dal punto di vista medico, inoltre le tecniche di procreazione devono essere applicate con gradualità e non devono essere “invasive”. La sterilità ed infertilità dunque rappresentano la condicio sine qua non per accedere alla PMA. Dal punto di vista medico è necessario distinguere la patologia della sterilità da quel- la dell’infertilità. Per sterilità si intende la incapacità della donna e dell’uo- mo in età potenzialmente feconda, di fecondare e di concepire a causa di fattori genetici o biologici (ad es. anomalie delle vie genitali, mancata pro- duzione o insufficiente vitalità di gameti maschili e femminili), per motivi socio-ambientali (stress, inquinamento) o per cause patologiche. L’inferti- lità o sterilità relativa si verifica invece quando, anche se in astratto si può incominciare un processo fecondativo ed iniziare il concepimento, quest’ul- timo non può concludersi per motivi fisiologici. Inoltre queste patologie
assistita, in Fam. dir., 2005, 204 ss.; XXXXXXXX, Procreazione medicalmente assistita e situazioni soggettive coinvolte, in Studi in onore di X. XXXXXXX, Diritto privato, 2, Persona, famiglia, successioni, a cura di Xxxxxxxxx e Xxxxx, Torino, 2009, 55 ss.
(8) Art. 1, comma 1, l. 40/2004: “Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita… comma 2 il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è consentito qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità. ” art. 4, 1 comma, della leg- ge 40/2004: “il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico”.
(9) XXXXXXXX - XXXXXXXXXXX, La procreazione medicalmente assistita, Milano, 2004, 30 -31 in cui si evidenzia che le parole infertilità e sterilità riguardano due diversi ambiti: la prima “consiste nell’incapacità di uno dei coniugi (o di entrambi) alla riproduzione per una serie di numerosi fattori”; la seconda “è ravvisabile invece quando si riscontri una incompatibilità tra i due soggetti, che potrebbero di per sé non essere sterili”.
devono essere certificate da atto medico, attraverso accertamenti presso strutture pubbliche o autorizzate. Sia la sterilità che l’infertilità rientrano nell’ambito delle malattie(10) quando si considera il concetto “salute” in modo ampio, come già si evince nell’importante definizione dell’art.1 dell’atto costitutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) del 1948, la salute è “uno stato di completo benessere fisico, mentale, sociale e spiritua- le e non semplicemente assenza dello stato di malattia o di infermità” (11) . Si può evincere da queste parole l’importanza del benessere dell’individuo in quanto persona e non in quanto soggetto malato. La salute deve essere intesa non in senso oggettivo come assenza di malattia valutabile scienti- ficamente, ma in senso soggettivo come una condizione dell’uomo che si può valutare secondo l’esperienza individuale. La salute deve essere considera- ta anche in base ai valori culturali, familiari all’interno dei quali si realiz- za il benessere della persona. Anche la giurisprudenza è d’accordo nel ve- dere la salute dal punto di vista psichico(12) ed alla qualità della vita che ciascuno vuole per sé. Inoltre c’è da evidenziare che il diritto alla procrea- zione (13) è in coerenza con i principi presenti nella Convenzione di Xxxxxx del 4 aprile 1997 (14) e nella Carta di Nizza(15) e non deve essere inteso come il soddisfacimento di un proprio interesse prettamente egoistico e quindi generare sempre e con qualunque modalità, a conferma di ciò la legge del 2004 n. 40 all’art. 6, 1 comma fissa che il medico deve informare la coppia della possibilità di adottare un bambino. Secondo una parte della dottrina(16) dal tenore della legge non sembra che la sterilità venga considerata come una malattia e quindi che abbia bisogno comunque di essere curata, la sterilità e l’infertilità da patologia del singolo, tutelata dall’art. 32 Cost., in
(10) MARTINI, Profili giuridici della procreazione medicalmente assistita, Napoli, 2006, 81 ss.
(11) L’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S., o W.H.O. – World Health Organization), è un’agenzia delle nazioni Unite, fondata il 7 aprile 1948, il cui fine è rappresentato dal raggiungimento da parte di tutti del più alto livello possibile di salute.
(12) Cass. pen., 18 marzo 1987, in Cass. pen., 1987, 609 ss.
(13) X. XXXXXXX, La filiazione, cit., 52, in particolare il diritto di procreare si basa sugli artt. 2, 29, 30, 31 Cost., in ambito internazionale l’art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, l’art. 12 della Convenzione per la salvaguar- dia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata, il 4 novembre 1950, a Roma e successive modificazioni (Cedu), l’art. 23 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato il 16-19 dicembre 1966 a New York.
(14) Ratificata in Italia con legge 28 marzo 2001, n. 145, in particolare si consulti l’art. 14: non consente il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita per la scelta del sesso del nascituro.
(15) Art. 3 che stabilisce il divieto di “pratiche eugenetiche, in particolari quelli aventi come scopo la selezione delle persone”.
(16) RUSCELLO, La nuova legge sulla procreazione medicalmente assistita, in Fam. dir., 2004, 633.
questo contesto è momento patologico della coppia; ciò emerge anche nelle Linee guida della legge in cui si considera non la sterilità o infertilità del singolo ma della coppia. A proposito delle linee guida, che sono atti ammi- nistrativi regolamentari, sono rivolte e vincolanti per le strutture autoriz- zate, hanno contenuti tecnici ed in base all’art. 7 della legge n. 40/2004 devono essere aggiornate ogni tre anni a causa di nuovi studi e scoperte scientifiche. Le prime linee guida della legge furono emanate nel 2004(17) e per quanto riguarda l’infertilità e la sterilità erano viste come sinonimi; però, sia in seguito all’annullamento di alcune parti di quest’ultime da parte del TAR del Lazio (18) sia per il progresso della scienza, furono create nuove linee guida nel 2008 (19). Tra le novità (20) che ci possono interessare
(17) Linee guida del 21 luglio 2004 in “Gazzetta Ufficiale”, n. 191 del successivo 16 agosto, per un commento a caldo si consulti VERONESI, Le “linee guida” in materia di procreazione assistita. Nuovi dubbi di legittimità all’orizzonte, in Studium iuris, 2004, 1356; DOGLIOTTI, Le “Linee guida” del ministero della salute sulla procreazione assistita, in Fam. dir., 2004, 508 ss.
(18) T.A.R. Lazio, Roma, 21 gennaio 2008, n. 398, in Giur. merito, 2008, 1144, con nota di XXXXXX, Procreazione assistita e questione di legittimità costituzionale, in Fam. dir., 2008, 499, con nota di XXXXXX, Illegittimo il divieto di indagini preim- pianto sull’embrione?. Il TAR ha annullato, constatando il vizio di illegittimità per eccesso di potere “la disposizione delle Linee Guida in materia di procreazione me- dicalmente assistita approvate con D.M. 21 luglio 2004 nella parte riguardante le Misure di Tutela dell’embrione laddove si statuisce che ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi dell’art. 13, comma 5, dovrà essere di tipo osservazionale”.
(19) Ministero della Salute, Decreto 11 aprile 2008 pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale”, serie generale, n. 101 del 30 dello stesso mese e, in Dir. fam. pers., 2008, 2195 s.; XXXXXXXXX, Procreazione assistita: le Linee guida 2008, in Fam. dir., 2008, 749 ss. In particolare è da riportare l’introduzione ”secondo una prima definizione, la sterilità, almeno nella donna, andrebbe distinta dall’infertilità, intesa come inca- pacità di condurre la gravidanza fino all’epoca di vitalità fetale. Nell’uomo, invece, essendo il concetto di aborto ovviamente estraneo alla patologia della riproduzione, i due termini vengono largamente utilizzati come sinonimi. Secondo un’altra defi- nizione, una coppia è considerata infertile quando non è stata in grado di concepire e di procreare un bambino dopo un anno o più di rapporti sessuali non protetti, mentre è sterile la coppia nella quale uno o entrambi i coniugi sono affetti da una condizione fisica permanente che non rende possibile la procreazione. Secondo questa interpretazione, il termine “sterilità” si riferisce, quindi, ad una condizione più grave e comunque assoluta di “infertilità” riguardante la coppia e non il singolo membro di essa. Ai fini delle presenti linee guida, i due termini, infertilità e steri- lità, saranno utilizzati come sinonimi. Viene definita sterilità (infertilità) l’assenza di concepimento, oltre ai casi di patologia riconosciuta, dopo 12/24 mesi di regolari rapporti sessuali non protetti. Tutte le coppie che non ottengono gravidanza nei termini sopra definiti, costituiscono la popolazione delle coppie infertili.”
(20) XXXXXXX, Le nuove linee guida 2008 in materia di procreazione assistita, ovvero
quando il rimedio è (in parte e forse) peggiore del male (seconda parte), in Studium iuris, 2009, 941 s.
maggiormente troviamo la figura dello specialista in genetica medica. Si è voluto quindi individuare ancora con più cura di prima le persone che pos- sono certificare lo stato di sterilità. Nelle vecchie linee guida era competen- te il ginecologo, per quanto concerne le patologie femminili, e l’andrologo o l’urologo con competenze andrologiche, per quelle maschili. Analizzando le patologie femminili, la situazione è rimasta la stessa, mentre per quello che riguarda le patologie maschili è stato sostituito nelle nuove linee guida un “endocrinologo con competenze andrologiche”; inoltre è stata inserita la figura dello specialista in genetica medica per i casi in cui si debba certifi- care la presenza di tale patologia. Quindi l’accesso alla procreazione medi- calmente assistita è circoscritto solo alle coppie sposate o conviventi more uxorio affette da sterilità ed infertilità ma c’è stato un interessante prov- vedimento di Salerno(21) che scardina anche questo paletto della l. 40/2004. Il caso in questione riguarda una donna portatrice, come il marito, di una mutazione di gene causativo dell’atrofia muscolare spinale di tipo 1. La donna aveva avuto quattro gravidanze, di cui una era terminata con la morte della bambina a causa della malattia dei genitori e altre due con l’interruzione della gravidanza dopo aver accertato che quei feti erano af- fetti dalla stessa patologia. I coniugi, alla luce di ciò, decisero di rivolgersi ad un centro medico specializzato nel trattamento di procreazione ed avere una diagnosi genetica preimpianto. Questi ultimi ebbero una risposta ne- gativa per difetto di sterilità o infertilità. Il tribunale di Salerno, in acco- glimento del ricorso, ha ordinato al direttore sanitario del centro medico “l’adempimento contrattuale delle prestazioni professionali consistenti nelle tecniche procreative medicalmente assistite, imposte dalle migliori pratiche scientifiche, di diagnosi preimpianto degli embrioni da produrre e di trasferimento nell’utero della signora di embrioni che non evidenzino la mutazione del gene Sma 1, causativo dell’atrofia muscolare spinale di tipo 1.” Il giudice campano permette quindi a questa coppia di poter accedere alla PMA “pur non infertili o sterili, che però rischiano concretamente di procreare figli affetti da gravi malattie, a causa di patologie geneticamente trasmissibili”. Il Tribunale ha anche evidenziato che nelle nuove linee gui- da del 2008 può far ricorso alla PMA anche la coppia in cui l’uomo è porta- tore di malattie virali sessualmente trasmissibili per infezioni da virus dell’immunodeficienza umana (Hiv), dell’epatite “B” (Hbv) o di quella “C” (Hcv) (22); tutto ciò aveva implicato un’assimilazione di questa condizione a quella dell’infertilità ma anche un allargamento della concezione normati-
(21) Trib. Salerno, sez. I, (ord.) 9 gennaio 2010, in Guida dir., 27 febbraio 2010, 62 ss. con il commento di PORRACCIOLO, Superato il vincolo disposto dalla legge della necessaria sterilità dei richiedenti.
(22) XXXXXXX, Le nuove linee guida 2008 in materia di procreazione assistita, ovvero quando il rimedio è (in parte e forse) peggiore del male (Prima parte), in Studium iuris, 2009, 749 ss.
va di questo stato. Le linee guida del 2008 fissano nei casi sopra esposti “l’elevato rischio di infezione per la madre o per il feto costituisce di fatto, in termini obiettivi, una causa ostativa della procreazione, imponendo l’adozione di precauzioni che si traducono, necessariamente, in una condi- zione di infecondità, da farsi rientrare tra i casi di infertilità maschile se- vera da causa accertata e certificata da atto medico”. La decisione del Tri- bunale di Salerno è anche il frutto dell’importante sentenza della Corte costituzionale del 2009 n. 151(23). La Consulta ha dichiarato costituzional- mente illegittimi, perchè contrasta con gli artt. 3 e 32 Cost., sia l’art. 14, 2 comma della legge n. 40, nella parte in cui, fermo restando che le tecniche di produzione non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario, limita tale numero a quello necessario “ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”; sia l’art. 14, 3 comma della medesima legge, perché contrasta con gli artt. 3 e 32 Cost., nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, deve essere fatto senza recare danno alla salute della donna. In questa sentenza quindi si restituisce più potere al medico ed alla sua autonomia decisionale, infatti quest’ultimo analizzerà le esigenze di ogni donna, considerando tutti gli aspetti specifici come l’età ecc. e si rimarca l’importanza della salute della donna Esaminando a fondo il provvedimento del Tribunale di Perugia notiamo che una coppia coniu- gata ha richiesto l’accesso alla PMA infatti la stessa legge stabilisce all’art. 5 tra i requisiti soggettivi: “le coppie maggiorenni di sesso diverso, coniu- gate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”. Se ana- lizziamo il primo requisito: coppie maggiorenni di sesso diverso c’è subito da evidenziare che parte della dottrina sottolinea comunque che il minore d’età può comunque compiere molti atti importanti che riguardano la sua sfera personale (24). Inoltre solo le coppie sposate e conviventi possono acce-
(23) Corte cost., 8 maggio 2009, n. 151, in Corr. giur., 2009, 1213, con nota di XXXXXXXX, Diritto alla salute della donna e tutela degli embrioni: la consulta fissa nuovi equilibri; in Fam. dir., 2009, 761 con nota di XXXXXXXXX, La Corte costituzionale interviene sulla produzione e sul trasferimento degli embrioni a tutela della salute della donna; in Giust. civ., 2009, 1177 con nota di XXXXXXXX, La festa della mamma. osservazioni “a caldo” a Corte cost., 8 maggio 2009, n. 151; in Foro it., 2009, 9, 2301; in Dir. fam. pers., 2009, 991, con nota di X. X’XXXXX, La Consulta orienta la legge sulla
P.M.A. verso la tutela dei diritti della madre e X. XXXXXX, La sentenza costituzionale 151/2009: un ingiusto intervento demolitorio della legge 40/2004.
(24) XXXXXXXXX, La legge sulla procreazione assistita: problemi vecchi e nuovi, in Fam. dir., 2004, 118, non è d’accordo sulla discriminazione tra minorenni e maggiorenni. Si veda da ultimo DOSI, Figli naturali: con l’unificazione dello stato giuridico una nuova rivoluzione bussa alle porte della famiglia, in Guida al dir., 2012, 9 giugno 2012, 24, 10, nel disegno di legge S2805 “Disposizioni in materiali riconoscimento dei figli naturali”, testo licenziato in Senato il 16 maggio 2012 è fissato che a 14 anni si può riconoscere il figlio nato fuori del matrimonio, ed anche
dere alla PMA, per quest’ultime non viene specificato da quanto tempo devono convivere, mentre ad es. nella legge francese è stabilito da almeno due anni. Nella Costituzione italiana si può ritrovare la convivenza nell’art. 2 Cost. tra le formazioni sociali; non c’è comunque ancora una legge ad hoc su questo tema, ma solo proposte di leggi (25), anche se viene trattata in vari istituti (26). Inoltre possono accedere alla procreazione medicalmen- te assistita solo le persone in età potenzialmente fertile (27) perché si vuo- le riprodurre quello che accade in natura ed entrambi viventi: quindi è vietata la fecondazione post mortem, prima della legge invece ciò si è veri-
prima se il giudice lo autorizza; il minore che ha compiuto i 14 anni deve dare il proprio consenso al riconoscimento. Da tutto ciò si può evincere l’importanza che il minore sta assumendo all’interno della società.
(25) In alcuni disegni di legge era stabilito da quanto tempo dovevano convivere per accedere alla PMA, ad es. Disegno di legge – Atto Senato, n. 1837, del 19 novem- bre 2002, art. 3, 1 comma, secondo cui: “La fecondazione medicalmente assistita è consentita a coppie di adulti maggiorenni di sesso diverso, coniugate o stabilmente legate da convivenza comprovata da almeno un anno entrambi viventi e in età potenzialmente fertile”.
(26) XXXXXXXXX, FIGONE, Famiglia di fatto e DICO: un’analisi del progetto gover- nativo, in Fam. dir., 2007, 416 ss. tra i possibili beneficiari si individuano “due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale”, inoltre nell’art. 5 è stabilito che il convivente può designare l’altro come rappresentante per il compimento di importanti atti di contenuto non patrimoniale sia in vita, che dopo la morte. Le disposizioni della legge sull’affido condiviso artt. 155-155 sexies si applicano anche ai figli di genitori non coniugati, l’art. 317 bis, 2 comma, c.c.”Se il riconoscimento è fatto da entrambi i genitori, l’esercizio della po- testà spetta congiuntamente ad entrambi qualora siano conviventi”, art. 408 c.c. il giudice tutelare può scegliere come amministratore di sostegno del soggetto debole anche la persona stabilmente convivente, inoltre la l. 1983 n. 184 (legge sull’ado- zione) fissa all’art. 6 che “il requisito della stabilità del rapporto … può ritenersi realizzato anche quando i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, nel caso in cui il tribunale per i minorenni accerti la continuità e stabilità della convivenza, avuto riguardo a tutte le circostanza del caso concreto; si può infine menzionare la legge sulle locazioni in particolare l’art. 6 che è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo “nella parte in cui non prevede la successione nel contratto di locazione al conduttore che abbia cessato la convivenza, a favore del già convivente quando vi sia prole naturale”(Corte cost., 7 aprile 1988, n. 404, in Dir. fam. pers., 1988, p. 1559 ss., con nota di XXXXXXX, Il “diritto” all’abitazione del convivente more uxorio nella successione del contratto locativo) inoltre il 1 comma dell’art. 6 è stato dichiarato costituzionalmente illegit- timo “nella parte in cui non prevede tra i successori nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio”.
(27) XXXXXXX, La procreazione assistita. La nuova legge 19 febbraio 2004, n. 40,
Torino, 2004, 72 ss. in cui l’Autore avrebbe preferito il richiamo ad un’età precisa, perché è molto diverso, sia tra le donne sia tra gli uomini, lo stato potenziale di fertilità.
ficato (28). Inoltre è possibile solo la fecondazione omologa, cioè il seme della coppia e non la fecondazione eterologa (art. 4, 3 comma) (29); il divieto può essere visto contraddittorio rispetto al fine della legge che è quello di risol- vere la sterilità, dal momento che quando uno dei due coniugi o conviventi è senza rimedio sterile non sussistono altre soluzioni e quindi si apre la problematica del turismo procreativo che ha portato tante coppie ad emi- grare per riuscire ad ottenere una gravidanza (30). Sul divieto di fecondazio- ne eterologa è stata sollevata di recente questione di legittimità costituzio- nale ma la Corte costituzionale ha rimandato gli atti ai Tribunali (31); inoltre
(28) Trib. Palermo, 29 dicembre 1998, in Guida dir., 1999, fasc. 4, 90 con nota di XXXXXXX, Il rischio connesso allo scorrere del tempo giustifica l’accoglimento del ricorso d’urgenza; in Fam. dir., 1999, 52 con nota di XXXXXXXXX, Inseminazione artificiale post mortem e intervento del giudice di merito e di CASSANO, Diritto di procreare e diritto del figlio alla doppia figura genitoriale nell’inseminazione artificiale post mortem, ivi, 384-393.
(29) XXXXXXXX, Alcune riflessioni sulla disciplina della procreazione eterologa, in
Fam. dir., 2010, 947 ss., XXXXXXXX, Il divieto di fecondazione eterologa, in La fecon- dazione assistita, Milano, 2005, 107, l’ Autrice evidenzia che la legge n. 40 del 2004 tende a fissare il modello di famiglia basato sulla naturalità della procreazione.
(30) Da uno studio fatto dall’European Society of Human Reproduction and Em- bryology insieme alla Società italiana di studi di medicina della riproduzione sono circa 10.000 le coppie di cittadini italiani che si rivolgono a centri medici esteri di Spagna, Belgio, Svizzera per poter accedere alla procreazione eterologa. In base a dei questionari anonimi dati alle coppie straniere in 44 centri di Spagna, Svizzera, Belgio, Slovenia Repubblica Ceca e Danimarca è risultato che il 32% delle coppie erano italiane.
(31) Trib. di Firenze, (ord.) 13 settembre 2010, in Fam. dir., 2010, 1135 ss. e Trib. Catania, (ord.) 21 ottobre 2010, n. 1752, ibidem, 1138 ss. con nota di SALANITRO, Fe- condazione eterologa la parola alla Consulta. Il Tribunale di Firenze ha stabilito che non è manifestatamene infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, della l. 19 febbraio 2004 n. 40 per contrasto con l’art. 117, Cost. in re- lazione agli artt. 8 e 14 CEDU come interpretato dalla sentenza della Corte EDU e con l’art. 3 Cost., il Trib. di Catania in maniera più puntuale ha dichiarato che non è manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 4, comma 3, dell’art. 9, comma 1 e 3, e dell’art. 12, comma 1, della legge 2004 n. 40 per contrasto con gli artt. 117, 2, 3, 31 e 32 Cost.;v. anche Trib. di Milano, (ord.) 2 febbraio 2011. Di diverso parere v. Trib. Salerno, (ord.) 20 ottobre 2010, in Fam. dir., 2012, 297 ss. con nota di XXXXXXXX, Sulla questione di legittimità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa, il suddetto Tribunale ha fissato che è irrilevante e manife- statamene infondata la questione di legittimità costituzionale riguardante l’art. 4, comma 3, della l. 40/2004 per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione al combinato disposto degli artt. 8 e 14 CEDU come interpretata dalla Corte di Strasburgo, in merito x. (Xxxxx xxxxxxx xxx xxxxxxx xxxx’xxxx, xxx. X, 0 aprile 2010, n. 57813/00 – S.H e altri c. Austria, in Fam. dir., 2010, 977 ss. con nota di XXXXXXXXX, Il divieto di fecondazione eterologa alla luce della convenzione europea dei diritti dell’uomo: l’intervento della corte di Strasburgo), v. da ultimo anche Corte europea dei diritti dell’uomo, 3 novembre 2011, in Foro it., 2012, fasc. 5, IV, 209 ss. con nota
la legge del 2004 n. 40 precisa che in caso di violazione di questo divieto, il coniuge o il convivente che hanno prestato il consenso alla procreazione eterologa non possono in ordine: esercitare l’azione di disconoscimento di paternità per mancata coabitazione nel periodo del concepimento e per impotenza ed impugnare il riconoscimento del figlio contestandone la veri- dicità. Pur vietando la procreazione eterologa, la legge stabilisce che se accadesse il genitore non potrà avere rapporti con il figlio, facendo sorgere dei problemi sia sulla cura di malattie genetiche che sulla conoscenza del- le proprie origini(32). Inoltre in base all’art. 9, comma 2, è stabilito che la madre non può dichiarare la volontà di non essere nominata se il figlio è nato in seguito a procreazione medicalmente assistita (33). Quindi dal prov- vedimento in esame si può evincere che il Tribunale di Perugia ha esami- nato una materia così complessa dal punto di vista medico-sanitario, scientifico, legislativo ed etico arrivando ad una conclusione molto impor- tante perché ha stabilito che l’infertilità viene classificata proprio come una patologia. La materia come ho accennato all’inizio del mio scritto è sempre in evoluzione, a testimonianza di ciò sulla diagnosi preimpianto si è pro- nunciata ultimamente la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che ha stabilito “incoerente” la legge n. 40 del 2004 nella parte in cui fissa il divieto di diagnosi preimpianto sugli embrioni (34). Il provvedimento accoglie il ricorso di una coppia di italiani che hanno già un figlio malato, affetto dalla fibrosi cistica e vorrebbero evitare per il secondo figlio ciò attraverso la fecondazione assistita. Secondo i giudici di Strasburgo “il sistema legi- slativo italiano in materia di diagnosi preimpianto degli embrioni è incoe-
di NICOSIA, Il divieto di fecondazione eterologa tra Corte europea dei diritti dell’uo- mo e Corte costituzionale, in cui si stabilisce che il divieto di fecondazione assistita eterologa vigente nell’ordinamento austriaco- riguardante la fecondazione in vitro con donazione sia di ovuli che di spermatozoi, anche se costituisce un’interferenza con il diritto al rispetto della vita privata, è una materia molto dibattuta e quindi gli Stati hanno un ampio margine di apprezzamento, non si ledono quindi gli artt. 8 e 14 Cedu. In base a quest’ultimo provvedimento della Grande Camera la Corte cost., (ord.) 7 giugno 2012, n. 150, in Leggi d’Italia, ha stabilito che deve essere disposta la restituzione agli atti al Tribunale ordinario di Firenze, al Tribunale ordinario di Catania ed al Tribunale ordinario di Milano, affinché i rimettenti procedano ad un rinnovato esame dei termini delle questioni”. Sul tema v DE BAC, Dall’analisi preimpianto al numero di embrioni. La norma cambiata da diciassette sentenze, in Corriere della sera 29 agosto 2012, 11.
(32) X. XXXXXXX, La filiazione, cit., 203 ss.; D’AVACK, Il diritto alle proprie origini
tra segreto, anonimato e verità nella PMA con donatori/trici di gameti ,in Dir. fam. pers., 2012, 815 ss.
(33) X. XXXXXXX, La filiazione, cit., 205.
(34) Corte europea dei diritti dell’uomo,28 agosto 2012, n. 54270/10, Costa e Pavan c. Italia, consultabile in xxxx://xxxxx.xxxx.xxx.xxx. V. il commento di CALABRO, “Fecondazione, legge incoerente” La bocciatura della Corte europea, in Corriere della sera, 29 agosto 2012, 10.
7# RASSEGNA GIURIDICA UMBRA
rente”, perché un’altra legge dello Stato permette l’aborto terapeutico. “Il governo italiano ha giustificato l’interferenza al fine di tutelare la salute dei bambini e delle donne, la dignità e la libertà di coscienza degli operato- ri sanitari ed evitare il rischio di eugenetica” Secondo la Corte invece «i concetti di “embrione e “bambino” non devono essere confusi ». La Corte quindi non riesce a comprendere come “un aborto terapeutico possa conci- liarsi con le giustificazioni del governo italiano, tenendo conto tra l’altro delle conseguenze che questo ha sia sul feto sia, specialmente, sulla madre”. La Corte europea ha fissato che la legge n. 40 del 2004 ha violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare dei ricorrenti. La decisione dei giudici di Strasburgo diverrà definitiva solo entro tre mesi e solo nel caso in cui nessuna delle parti farà ricorso per ottenere una revisione davanti alla Grande Chambre.
Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxx
DIRITTO PENALE 75
DIRITTO PENALE
CORTE DI ASSISE DI APPELLO DI PERUGIA – 15 dicembre 2011
– Pres. PRATILLO – Est. XXXXXXX – K. e S. (*).
Prova penale – Prova indiziaria – Prova scientifica – Criteri di ammis- sibilità – Conoscenze scientifiche utilizzabili – (C.p.p., artt. 189, 190, 192, 220, 360).
Il rischio di conseguire un risultato non particolarmente affidabile, per non essere stata eseguita una metodica corretta, può essere accettato solo ai fini meramente orientativi, ma non se si tratti di basare sul ri- sultato della perizia genetica la prova di colpevolezza. Ne consegue che l’inattendibilità del risultato scientifico rende l’indizio, che dovrebbe es- sere rappresentato da quel risultato, insussistente nella sua materialità, prima ancora che equivoco nel suo significato, potendosi ammettere solo sistemi tecnici e conoscenze scientifiche consolidate e non all’avanguar- dia (1).
Sentenza penale – Sentenza di condanna – Onere della prova – Certez- za processuale – Ragionevole dubbio (Cost., art. 27, comma 2; C.p.p., artt. 125, 533).
È onere del p.m., che sostiene l’accusa in giudizio, provare la sussi- stenza di tutti gli elementi sulla quale essa si basa. Allorché uno degli elementi è integrato da un risultato scientifico, l’onere si estende alla prova della genuinità del reperto e della correttezza del procedimento dal momento della refertazione a quello dell’analisi. In mancanza di tale prova, il giudice non è tenuto a dar conto dell’origine specifica della contaminazione (2).
Per pervenire ad una pronuncia di condanna ai sensi dell’art. 533
(*) Il testo integrale della sentenza è pubblicato in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx- xxxxx.xx/xxxxxx/xxxx%000%00%0000%00XXX%00xxxx.XXX.
c.p.p. non è sufficiente che le probabilità dell’ipotesi accusatoria siano maggiori di quelle dell’ipotesi difensiva, neanche quando siano note- volmente più numerose, ma è necessario che ogni spiegazione diversa dall’ipotesi accusatoria sia, secondo un criterio di ragionevolezza, niente affatto plausibile. Infatti, la regola di giudizio compendiata nella formula
«al di là di ogni ragionevole dubbio» impone di pronunciare la condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (3).
(1-3) Fenomenologia della prova indiziaria scientifica.
«Per un attimo fu come se il tempo si fosse fermato in tutto il mondo. Ognuno di noi potrebbe dire dov’era quando fu annunciato il verdetto» (1) del caso Xxxxxxxx: tutti erano incollati al televisore nell’impellente attesa della lettura del dispositivo.
Un’atmosfera impalpabile, un silenzio ed un luogo irreale, quasi metafisico, in un tempo sospeso, interrotto bruscamente dal timbro deciso del Presidente della Corte nel pronunciare quella parola magica nella sua laconicità: «assol- ve». Dal metafisico tutto inizia a prendere le forme del reale: il pianto dirotto e improvviso dal banco degli imputati, gli sguardi di intesa e soddisfazione tra le difese, ma anche le grida cariche di rabbia e violenza, proprio accanto a quel dolore nascosto, profondo e composto dei parenti della vittima.
E con inaspettato anticipo rispetto al consueto termine di novanta giorni, sotto l’estenuante pressione dei media internazionali, che con i più disparati e disperati talk-show televisivi pretendevano di innalzarsi a spazio alternativo di accertamento dei fatti, in chiave quasi catartica (2), sono state
(1) XXXXXXXXXX, Xxxxx Xxxxxxxxxxx. Il sistema della giustizia penale ed il caso
X.X. Xxxxxxx, Milano, 2007, 2. Suggestiva l’introduzione al racconto del processo al celebre giocatore di football americano, imputato dell’omicidio di Xxxxxx Xxxxx e Xxxxxx Xxxxxxx, nel quale venne dichiarato non utilizzabile un accertamento biolo- gico per il supposto ragionevole dubbio circa la correttezza della fase di refertazione e conservazione del materiale; ciò fu determinante per il verdetto di assoluzione, seppur sarà seguito da una condanna di X.X. Xxxxxxx in sede civile.
(2) GARAPON, Del giudicare. Saggio sul rituale giudiziario, Milano, 2007, 219 ss. Mette in guardia sul rischio che «affrancate dal contesto simbolico di riferimento, […] le diverse modalità discorsive non avranno più nulla in comune con un confronto argomentativo basato su regole e precipiteranno verso un sistema di concorrenza selvaggia che avvantaggerà considerevolmente chi, gridando più forte, riuscirà a farsi sentire meglio degli altri».
depositate le motivazioni della sentenza che, a prescindere da contrapposi- zioni per così dire “manichee”, merita comunque alcune considerazioni.
Anzitutto, infatti, ripropone con tutta evidenza l’annosa querelle del rapporto scienza-processo, ormai inestricabilmente aggrovigliato nella matassa incolore delle vicende umane, per potersi sempre di più, attraverso lo sviluppo e l’utilizzo delle tecniche di natura scientifica idonee a spiegare lo svolgimento dei fatti, influire in modo sostanziale nell’accertamento processuale (3).
La Corte, dopo un incipit (4) impregnato di scetticismo e diffidenza che non lasciava presagire diversamente il prosieguo della sentenza, oscuran- done da subito quell’aurea di imparzialità che invece ci si attenderebbe, in primis, nel ribadire come un risultato scientifico non particolarmente affidabile e, quindi, inattendibile, renda l’indizio insussistente nella sua materialità prima che equivoco nel suo significato, si sofferma a precisare che solo sulle conoscenze scientifiche consolidate, e non all’avanguardia o in fase di sperimentazione (benché attendibili), possa fare ricorso e, soprat- tutto, affidamento il giudice.
Il baricentro della questione da affrontare in tema di scienza nel pro- cesso, infatti, appare ormai, non più la prova scientifica tout court sotto il profilo ontologico (5), ma tutto quello che ruota intorno al problema dell’affidabilità ed attendibilità degli strumenti tecnico-scientifici usati nel processo, proiettando nella fase del giudizio la verifica dell’idoneità dei metodi di accertamento quali strumenti di controllo e selezione del sapere specialistico (6). Dirimente risulterà quindi l’individuazione di quelle
(3) BRUSCO, Il vizio di motivazione nella valutazione delle prova scientifica, in Dir. pen. proc., 2004, 1412. Degno di menzione, il poco conosciuto Innocence Project, creato nel 1992 da due docenti universitari, Xxxxx X. Xxxxxx e Xxxxx X. Xxxxxxx, un progetto no profit destinato a studenti di giurisprudenza e finalizzato a rivedere casi giudiziari già passati in giudicato, rispetto ai quali, nell’arco di un ventennio, la prova del DNA ha dimostrato l’innocenza di duecento detenuti, cfr. XXXXX-XXXXX- DERÈ-FATTORINI-CORRADI, La prova del DNA per la ricerca della verità, Milano, 2006, 400 ss.
(4) Testualmente: «Poiché, come osservato nella relazione introduttiva, unico
elemento obiettivamente indiscutibile ed indiscusso è la morte di Xxxxxxxx, occor- re riesaminare, alla luce delle risultanze dibattimentali del primo grado e delle ulteriori acquisizioni del presente grado, tutti gli elementi indiziari sui quali la Corte di primo grado ha basato la propria decisione di colpevolezza». Per un’ana- lisi dettagliata della sentenza in commento, x. XXXXXXX, Investigazioni scientifiche senza metodi tradizionali portano fuori strada l’accertamento giurisdizionale, Guida dir., 2012, 35 ss.; nonché X. XXXXX-XXXXX, La sentenza d’appello nel processo di Perugia: la “scienza” del dubbio nella falsificazione delle ipotesi, in Dir. pen. proc., 2012, 575 ss.
(5) CURTOTTI XXXXX-SARAVO, L’approccio multidisciplinare della gestione della scena
del crimine, in Dir. pen. proc., 2011, 623 ss.
(6) XXXXXX, Prova scientifica, ragionamento probatorio e libero convincimento del
leggi scientifiche e massime di esperienza (id quod plerumque accidit) com- pendianti l’inferenza che dalla circostanza indiziante consenta di ricavare l’esistenza del fatto da provare, tanto da parte del giudice, quanto da parte di soggetti aventi conoscenze specialistiche, qualora la complessità delle competenze tecniche e scientifiche richieste impongano al giudice di fare loro affidamento: i periti appunto (art. 220 c.p.p.) (7).
E, prima che nella fase della valutazione, tale ragionamento, da un punto di vista logico, deve necessariamente sorreggere la fase dell’ammissione della “nuova” prova scientifica, dalla quale categoria le metodiche utilizzate per la refertazione, conservazione ed analisi del DNA, cuore della querelle scatenatasi in questo processo, non possono certo esulare.
Persuasiva, al riguardo, seppur non condivisa dai più, l’impostazione dottrinaria (8) che rigetta in modo draconiano l’interpretazione analogica dell’art. 189 c.p.p., proposta autorevolmente come vaglio di ammissibilità della nuova prova scientifica (9); così procedendo, infatti, con un’interpreta-
giudice, in Dir. pen. proc., 2003, 1194, «sembra che talune caratteristiche del processo penale italiano del 1988 siano tali da renderlo verosimilmente meglio attrezzato, rispetto alla tradizionale cultura processuale anglo-americana, per far fronte alla crescente complessità dei metodi della scienza e della tecnologia applicati nell’accertamento dei fatti». Si veda pure, di recente, BARGIS, Note in tema di prova scientifica nel processo penale, in Riv. dir. proc. pen., 2011, 47 ss.; XXXXXXX, Investigazioni scientifiche, verità processuale ed etica degli esperti, in Dir. pen. proc., 2010, 1345 ss.
(7) Per approfondimenti sul ragionamento indiziario, cfr. XXXXXX, Manuale di
procedura penale, Milano, 2009, 210 ss.; X. XXXXX, Voce Verità processuale in AA.VV., Procedura penale, a cura di SPANGHER, in Dizionari sistematici di Guida al diritto, Milano, Il Sole 24ore, 2008, 427; EAD., Accertamento del fatto e inutilizzabilità pe- nale, Padova, 2007, 2 ss.
(8) XXXXXXX, Il giudice, la scienza e la prova, in Cass. pen., 2011, 1411 ss.; ID., La prova scientifica e la nottola di Minerva, in ID., Argomenti di procedura penale, Mi- lano, 2006, 199 ss.; ID., Ricostruzione del sistema, giusto processo, elementi di prova, in Sisifo e Xxxxxxxx. Il nuovo codice di procedura penale dal progetto preliminare alla ricostruzione del sistema, Torino, 1993, 268 ss.; XXXXXX, Progresso tecnologico, prova scientifica e contraddittorio, in DE XXXXXXX XXXXXXXXX (a cura di), La prova scientifica nel processo penale, Torino, 75 ss.
(9) V., per tutti, DOMINIONI, In tema di nuova prova scientifica, in Dir. pen. proc., 2001, 1602 ss.; ID., La prova penale scientifica. Gli strumenti scientifico-tecnici nuovi o controversi e di elevata specializzazione, Milano, 2005, 102 ss.; ID., L’ammissione della nuova prova penale scientifica, in Dir. pen. proc., 2008, n. 6, Dossier: La prova scien- tifica nel processo penale, cit., 21 ss., ritiene espressamente di poter individuare due regimi di ammissione della prova: quello di carattere generale regolato dall’art. 190
c.p.p. e quello speciale, più restrittivo, contemplato dall’art. 189 c.p.p.; In particolare, CAPRIOLI, La scienza “cattiva maestra”: le insidie della prova scientifica nel processo penale, in Cass. pen., 2008, 3528, specifica che solo una siffatta interpretazione con- sentirebbe l’applicazione dell’art. 189 c.p.p. alla “nuova” prova scientifica.
zione surrettizia dell’art. 189 c.p.p., assunto ad eccezione all’art. 190 c.p.p., e perciò miope di una prospettiva sistematica, si finirebbe con l’affidare al giudice un compito di “prevalutazione” dell’attendibilità ed efficacia della prova (10). Corollari inevitabili sarebbero non solo un macroscopico vulnus alla terzietà, imparzialità e neutralità metodologica che, invece che asincroni, dovrebbero accompagnare, di pari passo, il ragionamento del giudicante, ma anche la presunzione che il giudice sia in grado di compiere un’opera scevratrice (epistemologicamente impossibile) delle conoscenze scientifiche. Peraltro, si aggiunge, a sostegno della possibilità di assunzione della “nuova” prova scientifica attraverso il rinvio alla regolamentazione tipica, non appare frutto del caso che di fronte ad uno strumento scientifico certamente nuovo ed altamente specializzato, quale il DNA-test, il nostro legislatore, seppur con mano frettolosa, abbia provveduto, nel disciplinare i relativi atti idonei ad incidere sulla libertà personale, ad inquadrarlo nella cornice dell’istituto, tipico, della perizia (art. 224 bis c.p.p., nel testo introdotto dall’art. 24, l. 30 giugno 2009, n. 85).
Acclarata dunque l’ammissibilità della nuova prova scientifica, (la cui risultanza costituirà la circostanza indiziante della prova indiziaria), facendo ricorso ai mezzi probatori tipici e secondo le consuete direttrici dell’art. 190 c.p.p., non resta che interrogarci su quali siano effettivamente i criteri che permettano l’ingresso del sapere scientifico nel teatro processuale.
Sembra ormai lapalissiano, tanto in dottrina quanto in giurispruden- za, che gli indici per mezzo dei quali vagliare l’effettiva scientificità di un determinato metodo, così da far assurgere il giudice a gatekeeper, siano da rinvenire nella celebre sentenza Xxxxxxx (11), ovvero:
1) Verificabilità del metodo. Una teoria è scientifica se può essere con- trollata mediante esperimenti.
2) Falsificabilità. La teoria scientifica deve essere sottoposta a ten- tativi di smentita, i quali se hanno esito negativo, confermano la sua affidabilità.
(10) DOMINIONI, La prova penale scientifica. Gli strumenti scientifico-tecnici nuovi o controversi e di elevata specializzazione, cit., 231.
(11) La sentenza cui si fa riferimento è Xxxxxxx v. Xxxxxx Xxx Pharmaceuticals,
U.S. Supreme Court, 28 giugno 1993, trad. in Riv. trim. dir. proc. civ., 1996, 278, con la quale la giurisprudenza statunitense nel tutelare la novel science nella fase di ammissione, proteggendola dalla junk science, supera l’antecedente Xxxx test che aveva sancito l’ipse dixit della scienza. In seguito, seppur non con analoga adesione da parte della giurisprudenza italiana, sono stati proposti i criteri enucleati da M.A. Xxxxxx, riportati in TAGLIARO-D’ALOJA-XXXXX-XXXXXXXXX, L’ammissibilità della prova scientifica in giudizio e il superamento del Xxxx standard: note sugli orientamenti negli Usa successivi al caso Xxxxxxx v. Xxxxxx Xxx Pharmaceuticals, in Riv. it. med. leg., 2000, 719. La successiva sentenza Kumho Tire e Co. del 1999 ha poi esteso i ricordati criteri alla ammissione degli esperti in materie che richiedono specifiche conoscenze di tipo non scientifico.
3) Sottoposizione al controllo della comunità scientifica, ovvero, si chie- de che il metodo sia stato reso noto in riviste specializzate, così da essere sottoposto al cd. peer review.
4) Conoscenza del tasso di errore.
5) Generale accettazione nella comunità degli esperti.
Per giunta, di recente (12), tali criteri risultano essere stati amplificati dall’ermeneutica giurisprudenziale che, accanto, ha aggiunto i nuovi requi- siti dell’affidabilità e dell’indipendenza dell’esperto, della considerazione delle finalità per le quali si muove, della possibilità di formulare criteri di scelta tra le contrapposte tesi scientifiche.
Ma ciò su cui va focalizzata l’attenzione, con riguardo alla sentenza in epigrafe, è l’ultimo dei criteri menzionati, la cosiddetta general acceptan- ce, il credito ed l’accettazione di quel determinato metodo all’interno della comunità scientifica di riferimento.
Effettuati, infatti, tutti gli accertamenti e le attività di analisi sui vari reperti, secondo le modalità previste dall’art. 360 c.p.p. e con la presenza, quindi, in ciascuna delle fasi, di un legale e consulente delle difese, senza però che nessuna eccezione venisse avanzata in riferimento alla modalità di effettuazione delle stesse e alle procedure attuate (13), (rilievo, tra gli altri, fatto proprio, in primo grado, anche dalla Corte d’Assise nelle sue valutazioni conclusive), la Corte d’Assise d’Appello, invece, sulla scorta dei risultati della perizia disposta d’ufficio ai sensi dell’art. 224 c.p.p., pone l’accento proprio su tale aspetto. Ritenendo l’espletamento di una perizia genetica d’ufficio indispensabile per accertare la sussistenza degli elementi indiziari costituiti dalle relative risultanze, la Corte, prima autovalutando insufficienti le conoscenze personali dei giudici togati e popolari, a consen- tire di risolvere una controversia nella sostanza scientifica, poi giudicando
(12) Cfr. Xxxx., sez. IV, 13 dicembre 2010, n. 43786 con nota di XXXXXX, La Cas- sazione accoglie i criteri Xxxxxxx sulla prova scientifica. Riflessi sulla verifica delle massime di esperienza, in Dir. pen. proc., 2011, 1341 ss.; contra, invece, Cass., sez. I, 29 luglio 2008, n. 31456, in Cass. pen., 2009, 1867 ss.
(13) L’acuta e condivisibile osservazione, per la sua intrinseca ragionevolezza, ma ritenuta evidentemente ultronea dalla Corte d’Assise d’Appello, è stata formulata dal
P.m. ed evidenziata in molteplici passi della sentenza di primo grado (Ass. Perugia, 4 marzo 2010, K. e S., in Giur. merito, 2010, 2556, con nota adesiva di XXXXXXXXX), laddove si evidenzia testualmente (130 ss.): «In primo luogo e secondo quanto evi- denziato dal P.m. nel corso del dibattimento senza incorrere in contestazione alcuna, l’attività di analisi sui vari reperti è stata espletata nel rispetto delle previsioni di cui all’art. 360 c.p.p. e nessuna eccezione è stata avanzata ovvero proposta con spe- cifico riferimento alla inosservanza di taluna delle previsioni contenute nella norma suddetta e finalizzate a garantire le varie difese ed a consentire la partecipazione alle relative attività proprio per verificare la correttezza e la congruità e l’affidabilità delle attività che venivano compiute. Nessuna censura, quindi, risulta essere stata avanzata dalle parti, messe in condizione di partecipare alle attività di analisi, in ordine alle modalità di effettuazione delle stesse».
invece «meritevoli di particolare attenzione per la profondità delle stesse» le argomentazioni poste alla base delle critiche dei consulenti e difensori sulle attività di refertazione ed in generale sugli accertamenti compiuti dalla polizia scientifica, finisce per far proprie le conclusioni formulate dal Collegio peritale, nel presupposto, tutto da dimostrare, che le ragioni di tale condivisione siano nella loro essenza di natura logico-giuridica (14).
E, proprio in riferimento alla verifica del parametro della general ac- ceptance di un metodo scientifico, nell’argomentare circa il reperto 36B (il coltello sulla cui lama è stato individuato il profilo genetico della vittima, mentre sul cui manico un profilo attribuibile a Kn.A.M.), ritenuto LCN, Low Copy Number, (ovvero un campione che necessita di particolare cautela per la sua esiguità), la Corte d’Assise d’Appello riporta testualmente dei brani della relazione peritale: «Budowle X. et al. (2009) richiamano alla prudenza e suggeriscono l’uso del LCN esclusivamente nei casi di identificazione di persone scomparse e a fini di ricerca. I predetti autori sconsigliano, invece, l’uso delle attuali metodiche LCN in procedimenti penali, poiché le meto- diche, le tecnologie e le raccomandazioni attuali non consentono ancora il superamento delle problematiche che caratterizzano la tipizzazione LCN(15)». O, quantomeno, proseguono i periti, mitigando tale rigore esegetico, un campione identificabile come Low Copy Number può essere utilizzato a fronte di particolari accorgimenti che risolverebbero le problematiche con- nesse ai campioni LCN, quale ad esempio, la suddivisione del campione in due aliquote. Accorgimenti, a loro dire, non ravvisabili nell’operato della
(14) La sentenza che si annota, per evitare di essere tacciata di assumere un at- teggiamento aporetico, si premura nel chiarire (73 s.): «Questa Corte di Assise, nello spiegare perché ritiene di fare proprie le conclusioni formulate dal Collegio Peritale, osserva preliminarmente che le ragioni poste alla base di questa condivisione non possono certo essere nella loro essenza di natura scientifica perché, se così fosse, ca- drebbe nella contraddizione che, dopo aver nominato un collegio peritale per ovviare alle comprensibili lacune di conoscenza in un campo particolarmente complesso sotto il profilo tecnico e scientifico, poi, invece, si ergerebbe – non si comprende su che basi
– a supervisore di una disputa scientifica e tecnica, magari individuando essa stessa un criterio di valutazione tecnico-scientifico per scegliere una tesi rispetto all’altra. No, ovviamente questo non è possibile, per una esigenza di non contraddizione e per un doveroso atteggiamento di non presunzione. Le ragioni della condivisione delle conclusioni formulate dal Collegio Peritale sono invece nella loro essenza di natura logico-giuridica».
(15) Ancora la sentenza in epigrafe, (76 ss.), ricostruisce le asserite problematiche connesse a basse quantità di templato nella PCR, Polymerase Chain Reaction, ovvero la tecnica, che valse a Xxxx Xxxxx Xxxxxx il Nobel per la chimica, la quale consente dal campione di tipizzare il profilo di DNA attraverso la cosiddetta amplificazione. Al riguardo, XXXXXX, DNA. Il segreto della vita, Milano, 2004, passim; XXXXXX, The Polymerase Chain Reaction Birkhauser, Boston, 1994, passim; XXXXXXXXX-LUPÀRIA, Banca dati del DNA e accertamento penale, Milano, 2010, 48 ss.; XXXXXXXXX, Prelievo del DNA e Banca Dati Nazionale, Torino, 2009, 79 ss.
polizia scientifica allorché procedette ad analizzare e tipizzare il reperto 36B, un Low Copy Number, poiché decise, in considerazione dell’esiguità della traccia, appunto, di concentrare tutto su un campione per poter ot- tenere un risultato, (analogamente alla prassi adottata nel Regno Unito), nella convinzione che la suddivisione del campione in più aliquote non avrebbe consentito di raggiungerne alcuno. Questo argomento, che fungerà poi da grimaldello all’ipotesi della contaminazione (della quale si dirà nel prosieguo), oltre che propugnato dalle difese, è stato suffragato dai periti e condiviso tout court dai giudici d’appello, tanto per il reperto 36B, il col- tello, per smontare la presenza del profilo della vittima sulla lama (nessun dubbio infatti circa il profilo genetico appartenente a Kn.A.M. sul manico), quanto, di rimando, per il reperto 165B, ovvero il gancetto, sul quale era stato individuato il profilo genetico di S.R.
Se non fosse che, pur volendo scientemente trascurare le considerazioni formulate dal consulente del p.m. nel dimostrare che esistono, ad uno stato di avanguardia, sistemi per poter analizzare con sicurezza quantitativi così bassi, fu proprio uno dei consulenti della difesa a spiegare che non c’è affat- to univocità di vedute nella comunità scientifica, così che non possono per nulla ritenersi sorrette da una general acceptance le opinioni in letteratura scientifica sopra riportate e asserite dai periti come unanimi.
Tale consulente della difesa, spiegò, infatti, come la contrapposizione accesa tra i periti, i consulenti del p.m. e delle difese, «deriva da un approccio diverso, da due filosofie, due scuole nei confronti delle indagini di genetica, due filosofie diverse […] e non vi è questo problema soltanto in Italia, ma vi è un dibattito internazionale su queste problematiche […] che ancora non si è concluso. […] La società internazionale di genetica forense ha preso una posizione tutto sommato che è stata manifestata in uno degli ultimi articoli di questa rivista, quando ha affermato che potrebbe essere considerata anche una traccia al di sotto questi livelli di DNA purché essa venga ripetuta più volte».
Ora, richiamando anche le considerazioni espresse dalla consulente di parte civile, esperta di genetica dal ’76, la quale ricordò come nel campo delle malattie ereditarie si lavora con un DNA derivante da un’unica cellula, ergo con quantità davvero minime, ma l’impossibilità di ripetere le analisi non comporta affatto l’inattendibilità del risultato (16), avendo ribadito, tra l’altro, anche la Corte d’Assise in primo grado, come non solo i risultati di quelle analisi di campioni «low copy» avessero evidenziato, nel riscontro visivo, dei picchi tutti almeno pari al range minimo richiesto per l’attendibilità (50 rfu) ma anche che l’affidabilità del risultato fosse derivata dalla bontà della strumentazione, dalla sottoposizione della stessa alla manutenzione prescritta, dalla correttezza della metodica, requisiti riscontrabili dal certi- ficato di qualità ISO 9001 ottenuto nel 2009 (17), possiamo davvero asserire
(16) Ass. Perugia, 4 marzo 2010, cit., 119 ss.
(17) V., ancora, Ass. Perugia, 4 marzo 2010, cit., 152 ss. Con la dicitura ISO 9001
quanto sostenuto dalla Corte d’Assise d’Appello?
E cioè, che la decisione della polizia scientifica di non effettuare due amplificazioni pur in presenza di una scarsa quantità di DNA (Low Copy Number) nel reperto, viceversa concentrandolo, possa aver pregiudicato l’attendibilità del risultato scientifico, determinando l’insussistenza del- l’indizio dal medesimo rappresentato (18)?
Appare curioso come tali «imprudenze», addebitate alla metodica pre- scelta, siano state palesate solo in riferimento alla traccia appartenente alla vittima rinvenuta sulla lama del coltello (reperto 36B), stante l’assenza di censure sia da parte dei periti che della Corte, circa la presenza del profilo genetico di Kn.A.M. sul manico del coltello (19).
Essendo in tal modo confutato che quel coltello fosse stato davvero l’arma (rectius: una delle armi) del delitto, pur di fronte alla lapalissiana corrispon- denza e compatibilità della lunghezza e profondità delle ferite rinvenute sul corpo della vittima con le dimensioni della lama, sia la circostanza che non fosse ricompreso tra i coltelli in dotazione della casa dove è stato perpetrato l’omicidio, come pure la presenza indiscussa del profilo genetico proprio di Kn.A.M. sul manico, sono state ritenute dalla Corte d’Assise d’Appello del tutto inconferenti.
Stando alle motivazioni, la presenza del DNA di Kn.A.M. sul manico del coltello poteva essere spiegata con il fatto che ella frequentava ormai la casa di S.R., fermandosi da lui, talvolta anche per mangiare e ben potendo, quindi, presumibilmente, averlo afferrato per uso domestico (20).
Altrettanto singolare il lapsus della Corte nel dare conto delle inter- cettazioni telefoniche nelle quali la stessa esternava ai propri familiari la preoccupazione per «quel coltello; c’è un coltello a casa di S.R.».
Ad ogni modo, la Corte d’Assise d’Xxxxxxx vuole persuaderci dell’inatten- dibilità di un risultato scientifico, facendolo degradare ad indizio insussi- stente nella sua materialità, per non esser stata effettuata una duplicazione di quel reperto «low copy» ed essersi proceduto quindi con metodiche dalla medesima reputate all’avanguardia (seppur sostenute nel dibattito scien- tifico internazionale, utilizzate nella diagnostica genetica, nella prassi del Regno Unito e la cui attendibilità è stata corroborata dalla certificazione ISO rilasciata al laboratorio); per contro, chiosando sul punto, si rammenta
(International Organization for Standardization) si allude ad una certificazione di qualità riconosciuta ai laboratori che rispettano, tanto nelle strumentazioni e reagenti usati, quanto nelle tecniche e nei protocolli, scientificamente riconosciuti, adottati, determinati parametri internazionali che ne sanciscono l’affidabilità ed attendibilità. Cfr. XXXXXXXXX, Prelievo del DNA e banca dati nazionale, cit., 79 ss.
(18) Si legga la sentenza in epigrafe alla pagina 85. Al riguardo, XXXXXXX-XXXXXXXXX, Dal caso Xxxx ad Xxxxxx Xxxx; ovvero quando il DNA non è abbastanza…, in Dir. pen. proc., 2012, 359 ss.
(19) Così, ancora, la sentenza che si annota, 71.
(20) Ivi, 86.
una pronuncia delle Cassazione (21) che, in un caso altrettanto tristemente noto, nel rigettare il ricorso e rendendo perciò definitiva la condanna, ac- cettava persino la tecnica del BPA, Bloodstain Pattern Analysis, importata dalla sperimentazione tedesca e anglosassone ed utilizzata dall’accusa per dimostrare dalla posizione e morfologia delle macchie di sangue le modalità esecutive del crimine.
Nel delineare la posizione della Corte circa l’ammissibilità delle cono- scenze scientifiche nel processo penale che si riverberano sulla attendibilità dei risultati della prova scientifica, determinando, quindi, la sussistenza stessa dell’indizio, inevitabilmente si approda nel terreno della valutazione della prova indiziaria, la quale, prima che dei giudici, è stata oggetto, nella forma dei risultati della scientific evidence, di feroce dibattito nel contrad- dittorio tra i consulenti delle difese, del p.m. ed i periti.
Chiariti infatti i criteri per vagliare l’effettiva scientificità di una deter- minata tecnica o conoscenza per poter essere ammessa, immaginabile come prima direttrice per un corretto uso della scienza nel processo, la seconda può essere infatti rappresentata, nella fase dell’assunzione, dal contraddit- torio tra le parti, ritenuto l’ipotesi gnoseologica più adeguata per vagliarne l’attendibilità epistemologica (22).
Un contraddittorio, trattandosi per lo più di atti obiettivamente irri- petibili, non «per la prova», quanto piuttosto di mera critica «sulla prova», dislocando la prova scientifica «prima» e «fuori» del dibattimento (23) ed in-
(21) Il riferimento alla sentenza relativa al celebre delitto di Cogne, Cass., Sez. I, 21 maggio 2008, n. 31456; CAPRIOLI, Scientific evidence e logiche del probabile nel processo per il delitto di Cogne, in Cass. pen., 2009, 1867. In questo caso, la tecnica del BPA, Bloodstain Pattern Analysis, ricondotta al genus della perizia, consentì, dall’esame della morfologia e posizione delle chiazze di sangue ed anche dalle co- siddette void areas, ovvero zone immuni da macchie ematiche, di dimostrare che l’aggressore avesse certamente indossato il pigiama e gli zoccoli dell’imputata, ed avesse agito inginocchiato sul letto, brandendo un oggetto dotato di manico. Tale tecnica venne accettata dagli Ermellini in quanto oggetto di prassi applicativa in Germania e nei Paesi Anglosassoni e basata su principi e leggi appartenenti alle scienze matematiche, alla geometria, fisica, biologia e chimica, sulla cui certezza e precisione non vi era motivo di dubitare. La Corte di Cassazione dedusse così che la mancata sperimentazione della tecnica in Italia, tantomeno in sede processuale, non poteva inferire l’inattendibilità della stessa, stante la presenza di criteri di validazione internazionali, adottati, appunto, da alcuni paesi europei.
(22) D’AURIA, Accertamento oltre il ragionevole dubbio, rispetto del contraddittorio
e criteri di verifica dell’attendibilità delle ipotesi scientifico-tecniche come principi fondanti il “giusto processo”. Risvolti sulla prova penale scientifica e gli accertamenti tecnici, in Foro ambr., 2003, 409 ss.
(23) XXXXXX, Prova scientifica, ragionamento probatorio e libero convincimento del giudice nel processo penale, cit., 1193 ss. abbraccia la tesi di una prova scientifica sempre più «pre-costituita» postulandosi quasi il ritorno al processo inquisitorio- misto, laddove lo schema procedurale del sistema accusatorio è riservato esclusi- vamente alla formazione della prova scientifica «costituenda».
tersecandosi in quel ginepraio di principi costituito dalla presunzione di non colpevolezza (art. 27, comma 2, Cost.), dall’in dubio pro reo (art. 530, comma 2, c.p.p.) e dall’obbligo di motivazione del giudice (artt. 192, commi 1 e 2, e 546, comma 1, lett. e) c.p.p.; artt. 101, comma 2, e 111, commi 6 e
7, Cost.) (24).
Infatti, «di nessuna verità storica, come peraltro di nessuna verità scien- tifica, nella prospettiva del falsificazionismo popperiano (25), è formalmente impossibile predicare il contrario, dovendosi da ciò desumere che il concetto di verità processuale sia ricostruibile, indirettamente, con una sorta di de- terminazione quantitativa delle probabilità contrarie. […] Il ragionamento giudiziario, che ha la forma di una inferenza induttiva, passa da una verità di premesse ad una rilevante probabilità delle conclusioni senza che sia possibile affermare l’impossibilità, ma solo una rilevante improbabilità che la detta conclusione, definita come vera, sia falsa» (26).
Xx è stato naturalmente il contraddittorio a prestarsi nuovamente come teatro processuale per asserire, questa volta relativamente al reperto 165B (il gancetto del reggiseno sul quale era stato isolato un profilo genetico cor- rispondente a quello di S.R.), una presunta ipotesi di contaminazione.
Tanto che la Corte, di fronte all’osservazione del p.m. circa l’insufficienza di sostenere genericamente che il risultato fosse derivato da contaminazione senza dimostrarne però la concreta origine, si spinge sino a statuire come, poiché nell’ambito del processo penale incombe sul p.m., che sostiene l’ac- cusa in giudizio, provare la sussistenza di tutti gli elementi sulla quale essa si basa, allorché uno degli elementi è integrato da un risultato scientifico, l’onere sarà anche quello di provare che quel risultato è stato ottenuto da un procedimento che garantisca la genuinità del reperto dal momento della refertazione a quello dell’analisi. Ma, si badi, se ciò non è provato, conclude la Corte, non è affatto necessario che l’imputato o il giudice diano conto dell’origine specifica della contaminazione (27).
Posto che nel momento in cui venne repertato il gancetto (cioè in oc- casione del secondo sopralluogo) le tracce erano ormai asciutte per cui si poteva verificare al più una degradazione del materiale genetico, con conseguente perdita di informazioni, e non una contaminazione; che non è affatto facilmente trasferibile il DNA da una superficie all’altra, tanto più nel caso di superficie limitata come quella del pezzetto di stoffa del gan- cetto di un reggiseno; che su oltre 460 oggetti repertati venne individuato proprio sul pezzetto di reggiseno indossato dalla vittima al momento della
(24) XXXXXXXX, Dalla considerazione di non colpevolezza alla regola dell’oltre il ragionevole dubbio, in Dir. pen. proc., 2010, 1029 ss.
(25) POPPER, Logica della scoperta scientifica. Il carattere auto correttivo della scienza, Torino, 1970, passim; ID., Scienza e filosofia: cinque saggi, Torino, 2000, 51 ss.; GUALTIERI, Diritto di difesa e prova scientifica, in Dir. pen. proc., 2011, 493 ss.
(26) CAROFIGLIO, L’arte del dubbio, Palermo, 2007, 220 s.
(27) X. xx xxxxxxxx xx xxxxxxxx, 00.
xxxxxxxxxxxxx xxx xxxxxxx omicidio, ma non venne trovato su nessun altro oggetto il profilo genetico di S.R., tranne in un mozzicone di sigaretta che, analizzato, non ha evidenziato alcun passaggio di DNA; che S.R. non solo non ebbe più modo di accedere alla stanza in cui fu rinvenuto il corpo truci- dato, ma, anche quando gli fu concesso, si rifiutò, per cui non si comprende quale potesse essere l’agente contaminante; che l’analisi fu condotta su 17 loci genici, assolutamente sufficienti, avendo addirittura il Consulente della difesa ricordato come in passato si operasse solo su 6 loci genici; altresì che la polizia che operava era munita di guanti, xxxxxxx, tute e mascherine e che tale pezzettino di reggiseno fu, in occasione di quel sopralluogo, il pri- mo oggetto repertato (28), può davvero ipotizzarsi una contaminazione «alla cieca» senza necessità di dover dar conto dell’origine specifica?
Incidentalmente, tra l’altro, si rammenta come, nell’esaminare il reperto 165B in questione (come pure per il reperto 36B di cui sopra), la Polizia Scientifica operò con le stesse cautele, metodiche, criteri interpre- tativi adottati per le tracce di R.H.G, relativamente alle quali vi fu piena accettazione sia da parte delle difese, consentendo loro così di corroborare la tesi della responsabilità di R.H.G., ma anche e soprattutto dalla Corte d’Assise d’Xxxxxxx che giudicò il medesimo, confermando la condanna in primo grado (29).
Trovandoci all’interno di un processo indiziario (30), come potrebbe, ci si interroga, inferirsi l’insussistenza dell’indizio, rappresentato da un risul- tato scientifico, che le difese ed il Collegio Peritale hanno asserito essere contaminato, senza provare l’esatta fonte della contaminazione?
Forse che il giudice, pur aderendo in toto alla tesi dei periti, ma omettendo poi di dar conto della concreta origine della contaminazione di quel risultato scientifico costituente indizio, non provveda, implicitamente, ad esautorare quell’obbligo di motivazione, impostogli dagli artt. 192, commi 1 e 2, e 546, comma 1, lett. e) c.p.p., archetipo del ragionamento probatorio (31)?
(28) Ass. Perugia, 4 marzo 2010, cit., 139 ss.
(29) Ass. App. Perugia, 22 marzo 2010, G., inedita, 34 s.: dopo un incipit nel quale elogia espressamente lo scrupolo ed il rigore logico-giuridico del giudice di primo grado, condivide pienamente l’attendibilità ed il rispetto delle procedure adottate dalla Polizia Scientifica, escludendo categoricamente le addotte ipotesi di contaminazione.
(30) Xxxxxxx, XXXXXX, Manuale di procedura penale, cit., 212 ss.; ID., La Cassazione accoglie i criteri Xxxxxxx sulla prova scientifica. Riflessi sulla verifica delle massime di esperienza, cit., 1341 ss.; ID., Dalla perizia “prova neutra” al contraddittorio sulla scienza, 2011, 360 ss.; XXXXXXX, Il “ragionevole dubbio” diventa criterio, in Guida dir., 2006, 73 ss.; DOMINIONI, La prova penale scientifica, cit., 297 ss.; ID., In tema di nuova prova scientifica, cit., 1602 ss; VERRICO, La prova scientifica e il libero convincimento del giudice nell’applicazione del criterio della probabilità logica nell’accertamento causale, in Cass. pen., 2011, 3807 ss.
(31) Prima ancora, si rammenta, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, generaliter, è imposto dagli artt. 101, comma 2, e 111, commi 6 e
Appare inconfutabile uno scardinamento dei principi che sorreggono la valutazione della prova indiziaria, il cui contrappeso, oltre alla «gravità, precisione e concordanza», dovrebbe essere rappresentato appunto, in chiave tuzioristica, dalla motivazione da parte del giudice «dei risultati acquisiti e dei criteri adottati» (artt. 192, commi 1 e 2, 546, comma 1, lett. e) c.p.p.).
La prova indiziaria, infatti, «deve consentire la ricostruzione del fatto in termini di certezza tali da escludere la prospettabilità di ogni altra ragionevole soluzione, ma non anche di escludere anche la più astratta e remota delle possibilità che, in contrasto con qualsivoglia verosimiglianza ed in conseguenza di un ipotetico, inusitato, combinarsi di imprevisti e im- prevedibili fattori, la realtà delle cose sia stata diversa da quella ricostruita in base agli indizi disponibili» (32).
Se così fosse, infatti, di fronte a tali speculazioni congetturali, non si dovrebbe più parlare di prova indiziaria ma di dimostrazione per absurdum, secondo regole che sono proprie solo delle scienze esatte, la cui osservanza non può essere pretesa nell’esercizio dell’attività giurisdizionale.
Una volta appurata l’inferenza indiziaria (ovvero l’applicazione della norma di copertura, legge scientifica o massima di esperienza, che ricolle- ghi il fatto provato, o circostanza indiziante, al fatto da provare, o fatto di reato) (33), la procedura aggravata stabilita dal codice per l’utilizzabilità probatoria degli indizi (previsione dei requisiti della gravità, precisione e concordanza (34), ex art. 192, comma 2, c.p.p.,) si articola in due distinti momenti, quello della valutazione della gravità e precisione dei risultati singolarmente considerati, prima, e quello della valutazione della loro effi- cacia probatoria nel complesso, poi, di modo che l’insieme dei risultati dia un quadro unitario di risultanze anche concordanti tra loro, che ne dissolva la relativa ambiguità (35).
7, Cost.; art. 125, comma 3, c.p.p.: si xxxx XXXXXX, Prova scientifica, ragionamento probatorio e libero convincimento del giudice nel processo penale, cit., 1197 s.; DE XXXX, Il sistema delle prove penali e il libero convincimento nel nuovo rito, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 1255 ss.
(32) Il brano è tratto da Xxxx., sez. I, 2 marzo 1992, n. 3424, in Riv. pen., 1992, 955.
(33) XXXXXXX, La prova per indizi nel vigente sistema del processo penale, Milano, 2001, 8.
(34) Laddove per “gravità” si è inteso indicare l’elevata persuasività, per “pre- cisione” l’insuscettibilità di altre diverse interpretazioni del dato probatorio e per “concordanza” la suscettibilità degli indizi, nella loro pluralità, di offrire una ricostruzione univoca del fatto oggetto dell’imputazione. Esemplarmente, ROSONI, Quae singula non prosunt collecta iuvant. La teoria della prova indiziaria nell’età medievale e moderna, Milano, 1995, passim; GIRONI, La prova indiziaria, in GAITO (a cura di), La prova penale, vol. III, Torino, 2010, 152; XXXXXX, Manuale di procedura penale, cit., 208 s.
(35) Così, ad. es., XXXXXXXXX, Ragionevole dubbio e motivazione sulla prova indi- ziaria, in Dir. pen. e proc., 2011, 203 ss.
Atteso ciò, il giudice, ai sensi dell’art 192, comma 1, e 546, comma 1, lett. e) c.p.p., non potrà comunque astenersi dal giustificare ogni passaggio argomentativo,«dando conto nella motivazione dei risultati (probatori) acquisiti e dei criteri (d’inferenza) adottati», ed esponendo nella sentenza
«l’indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l’enunciazione delle ragioni per le quali ritiene non attendibili le prove contrarie».
Come potrebbe non ritenersi già in sé aporetico il fatto stesso di confutare la gravità e precisione di un indizio (rappresentato da un risultato scienti- fico), assorbendole nell’asserita insussistenza del medesimo, prescindendo però dall’indicare il motivo concreto per cui quel risultato è stato ritenuto inattendibile (l’origine della contaminazione nel caso di specie)?
Non a caso, «in perfetta simmetria e complementarità con i limiti fissati dall’art. 606, comma 1, lett. e) circa lo specifico caso di ricorso per Cassazione per mancanza o manifesta illogicità delle motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato, la garanzia di controllo di legittimità sulla motivazione rinvia necessariamente ad uno schema epistemologico che pretende la trasparenza e la comunicabilità intersoggettiva della trama giu- stificativa delle ragioni e della logica della decisione in fatto […] precludendo il riconoscimento senza limiti del principio del libero, arbitrario, soggettivo e insindacabile convincimento, inteso come conviction intime» (36).
Ma, a ben vedere, i criteri di valutazione della prova indiziaria ed il relativo sillogismo inferenziale ad essi connesso, oltre che con gli obblighi di motivazione finora richiamati, si intersecano, compenetrandosi vicende- volmente, con la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio (37).
Il percorso logico di valutazione delle prove indiziarie, seguito dal giu- dice, dovrà infatti condurre ad una conclusione caratterizzata da un «alto grado di credibilità razionale», quindi alla «certezza processuale», quantum di prova indispensabile, che, ictu oculi, appare compendiato dalla formula dell’art. 533 c.p.p., la quale impone di pronunciare la condanna «se l’im- putato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio» (38).
(36) Testualmente CANZIO, Prova scientifica, ragionamento probatorio e libero convincimento del giudice nel processo penale, cit., 1198. Sebbene, alla formazione di un intimo convincimento del giudice fa tuttora riferimento l’arcaica formula del giuramento dei giudici popolari, chiamati a far parte dei collegi delle Corti di Assise e delle Corti di Assise di Appello (art. 30 l. 10 aprile 1951, n. 287, nel testo inserito dall’art. 37 d.p.r. 22 settembre 1988, n. 449).
(37) Cass., sez. I, 26 maggio 2010, n. 19933 con nota di XXXXXXXXX, Ragionevole dubbio e motivazione sulla prova indiziaria, in Dir. pen. proc., 2011, 203 ss.. Cfr. Cass., sez. un., 12 luglio 2005, n. 33748, in CED Cass. 231678; Id., 30 ottobre 0000, x. 00000, in CED Cass. 226094; Id., 10 luglio 0000, x. 00000, xx CED Cass. 22139.
(38) Si tratta del principio riassunto nell’acronimo B.A.R.D. (beyond any reasona- ble doubt), la cui origine è generalmente fatta risalire alla sentenza della Corte Su- prema degli Stati Uniti del 1970, In Re Winship. In realtà, come fa notare XXXXXX,
E la Corte, nelle pagine conclusive delle motivazione della sentenza, riporta proprio testuali parole: «la regola di giudizio compendiata nella formula al di là di ogni ragionevole dubbio impone di pronunciare una condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori solo eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze proces- suali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana» (39).
Non sarà pertanto sufficiente, prosegue la Corte, che le probabilità del- l’ipotesi accusatoria siano maggiori di quelle dell’ipotesi difensiva, neanche quando siano di gran lunga più numerose, ma sarà necessario che ogni spiegazione diversa dalla ipotesi accusatoria sia, secondo un criterio di ragionevolezza, niente affatto plausibile.
Dunque, per pervenire alla condanna, «il giudice non solo deve ritenere improbabile l’eventuale diversa ricostruzione del fatto che conduce all’as- soluzione dell’imputato, ma deve altresì ritenere che il dubbio su questa ipotesi alternativa non sia ragionevole» (40).
Giustizia e modernità. La protezione del’innocente e la tutela delle vittime, Milano, 2002, 63, 102, l’espressione era già contenuta in precedenti pronunce (su tutte Coffin
v. U.S.) ma solo dopo la sentenza del 1970 la massima è divenuta assolutamente costante. Ritenuto da taluni «il giusto completamento gnoseologico della non conside- razione di colpevolezza», cfr. XXXXXXXX, Dalla non considerazione di colpevolezza alla regola dell’oltre il ragionevole dubbio, in Dir. pen. proc., 2010, 1029 ss.; XXXXXXXX, Il concetto di ragionevolezza tra lessico e cultura del processo penale, ivi, 2011, 85.
(39) Alla pagina 140 della sentenza viene infatti riprodotta la massima di Cass., Sez. I, 3 marzo 2010, n. 17921 che rispecchia l’orientamento giurisprudenziale ormai costante ed indiscusso.
(40) Ancora, testualmente, la Corte cita la massima ormai indiscussa di Xxxx., Sez. IV, 12 novembre 2009, n. 48320, la quale evidenzia come la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio abbia messo in crisi quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in presenza di più ipotesi ricostruttive del fatto, era consentito al giudice di merito di adottarne una che conduceva alla condanna solo perché ritenuta più probabile rispetto alle altre, quasi analogamente al criterio della preponderanza dell’evidenza, proprio invece del processo civile. Il richiamo alle parole che il giudice Xxxxx Xxx, nel corso del processo Xxxxxxx, utilizzò nel dare istruzioni alla giuria, è d’obbligo:
«It is not a mere possible doubt, because everything relating to human affairs and depending on moral evidence is open to some possible doubt or imaginary doubt. It is that state of the case which, after the entire comparison and consideration of all evidence, leaves the minds of the jurors in that condition that they cannot say they feel an abding conviction, to a moral certainty, of the truth of the charge». Ovvero: non è un mero dubbio possibile o immaginario, perché qualsiasi cosa si riferisca agli affari umani è aperta a qualche dubbio possibile e immaginario. È quello stato di cose che, dopo aver considerato e ponderato tutte le prove, lascia la mente dei giurati nella condizione di non poter dire di provare una convinzione incrollabile sulla verità dell’accusa. (§ 1096 del Codice Penale della California). Al riguardo
Accertato, dunque, il quantum probatorio necessario a garantire la pro- nuncia di colpevolezza, tanto più se basata su prove indiziarie, la cosiddetta certezza processuale, che escluda qualsiasi altra ragionevole soluzione, ormai codificata all’art. 533 c.p.p. con la regola B.A.R.D., residua però il problema, per nulla pleonastico, della concretizzazione di tale formula.
Evitando di relegarlo nella sua “trascendenza” ad un perfetto νοούμενον, nell’accezione platonica del termine, non può comunque revocarsi in dubbio come il concetto di ragionevolezza non esprima affatto un concetto univoco e determinato.
Per riprendere una bella immagine di Xxxxxxxxxxxx, colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio sta a significare che si è giunti ad un punto, in- determinabile a priori, in cui la vanga del dubbio, che deve sempre armare il giudice, ha incontrato lo strato duro della roccia, rappresentata dalle prove, e si è piegata, risultando implausibile ogni spiegazione diversa dalla colpevolezza (41).
E la «distonia tra il contenuto metaforico della formula e il rigore che con essa si vorrebbe attribuire all’accertamento causale attraverso il paradigma della certezza scientifica» (42) risuona ancor più nettamente in riferimento alla prova indiziaria scientifica.
Il punto è che, al di fuori della logica deduttiva e delle scienze matema- tiche, la prova di qualunque proposizione è compatibile con il dubbio, non essendo possibile giustificare in termini indubitabili le nostre conoscenze; ma solo se quel dubbio non apparirà ragionevole si potrà ritenere provato quel fatto, assumendolo come certo.
Tornando alle pagine conclusive della sentenza in commento, la Corte, dopo aver insinuato, con una sequenza quasi parossistica, meri dubbi con- getturali circa la sussistenza di ciascun indizio (che corroborava un impianto accusatorio imperniato sulle evidenze scientifiche), residuando, a suo dire,
X. XXXXX, Al di là del ragionevole dubbio, in SCALFATI (a cura di), Novità in tema di impugnazioni penali e regole di giudizio, Milano, 2006, 87 ss., secondo la quale, pur non trattandosi di una rivoluzione copernicana, la cristallizzazione del principio non è priva di ripercussioni rilevanti; Cfr. IACOVIELLO, Lo standard probatorio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio e il suo controllo in Cassazione, in Cass. pen., 2006, 3870; XXXXXX, L’oltre il ragionevole dubbio come regola probatoria e di giudizio nel processo penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 304; XXXXXX, Giustizia e modernità, cit., 85, scriveva, prima della riforma dell’art. 533 c.p.p., di «una grande occasione perduta dal legislatore del 1988» e di «buco nero della riforma del 1988».
(41) XXXXXX, Epistemologia scientifica ed epistemologia giudiziaria: differenze,
analogie, interrelazioni, in DE XXXXXXX XXXXXXXXX (a cura di), La prova scientifica nel processo penale, Torino, 2007, 15; PISANI, Riflessioni sul tema del “ragionevole dubbio”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 1253; XXXXXXXXX, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Xxxx, 0000, passim.
(42) XXXXXX, Causalità e responsabilità penale. Xxx rischi d’impresa ai crimini internazionali, Torino, 2008, 238 s.
come elementi indiziari «fermi» unicamente la consumazione del reato di calunnia, la non totalmente comprovata veridicità dell’alibi e la dubbia attendibilità del teste Q. (43), ritiene di poter concludere che non possa dirsi provata la colpevolezza degli imputati secondo i menzionati criteri; preci- sando altresì che il venir meno degli elementi indiziari sui quali la Corte di Assise di primo grado aveva basato la propria decisione, esonera dal dover prospettare una ipotesi alternativa.
Ma è davvero ragionevole asserire che il movente non sia potuto coin- cidere con la «scelta del male per il male» da parte di soggetti «dediti allo studio»; che non si sia potuto ritenere attendibile il testimone C., clochard, per via del «decadimento delle sue facoltà intellettive derivante dal suo stile di vita»; che i comportamenti singolari nelle ore successive al delitto (esibizioni ginniche nell’immediatezza dell’interrogatorio, rifiuto di entrare nuovamente nella stanza del crimine e di guardare le foto del corpo mar- toriato in aula, shock emotivo al momento del riconoscimento dei coltelli presenti nella casa) siano potuti derivare dallo «stato di apprensione e stress» e alla volontà di «esorcizzare quel clima di ansia e paura»; che sia servita una «mente così xxxxxx e diabolica» tale da riporre il coltello tra le posate della casa di S.R.; che le tracce di sangue misto della vittima e dell’impu- tata, rinvenute nel bagno, siano potute essere state rilasciate «con facilità» per l’uso consueto e quotidiano che si fa del bagno; che alla simulazione del furto abbia potuto avere interesse solo R.H.G. «in quanto un ladro di pro- fessione, quale era, non simula un furto ma lo commette» e non invece chi aveva la concreta disponibilità delle chiavi; che la falsità dell’alibi non abbia potuto costituire grave elemento di prova della colpevolezza; che l’imputata abbia potuto dormire nella casa di S.R. e sentire poi l’esigenza, l’indomani mattina, di andare a casa sua giusto per farsi una doccia; che S.R. abbia potuto accendere il computer alle 5.32 per un risveglio notturno, seguito da un improvviso, quanto fugace, desiderio di ascoltare della musica; che, infine le intercettazioni telefoniche nelle quali Kn.A.M. esternava ai suoi genitori il timore per «quel coltello», «c’è un coltello a casa di S.R.», si siano potute considerare irrilevanti, sempre frutto di stress e di ansia dovuti al clima circostante?
Possiamo, a fronte di una lettura complessiva del quadro probatorio e di una totale assenza di motivazioni razionali sulla supposta inattendibilità
(43) Si badi, dell’attendibilità di questo teste la Corte ha ritenuto di dover dubi- tare per l’incongruenza delle dichiarazioni rese nell’aver riconosciuto in Kn.A.M. una ragazza che, all’alba della mattina seguente il delitto, si accingeva a visionare prodotti per la pulizia della casa nel suo negozio. La principale obiezione circa la genuinità del ricordo e quindi attendibilità, è costituita, secondo la Corte, nell’aver, il teste medesimo, descritto un cappotto grigio indosso all’imputata, che non sembra essere stato rinvenuto nella disponibilità delle stessa, seppur, ad onor del vero, le foto pubblicate dai giornali nei giorni immediatamente successivi all’omicidio la ritraessero proprio con un cappotto di siffatto colore indosso.
delle prove scientifiche, ricondurre tali dubbi ad un canone di ragionevo- lezza?
Astenendoci da ulteriori osservazioni nel merito e da esegesi imprecise su cosa sia davvero il concetto di ragionevolezza, e quindi, di dubbio ragio- nevole, tuttavia appare imprescindibile ribadire la necessità di una reale concretezza nell’obbligo di motivazione.
Non mera attività retorica volta a disseminare dubbi congetturali, giusto per il vezzo di insinuare ipotesi alternative estranee alla logica e al naturale ordine delle cose (44), ma un percorso razionale che dia conto, ana- liticamente e secondo i criteri della probabilità logica sempre più stringenti, del motivo per cui quella determinata teoria abbia prodotto dei risultati fallaci, muovendoci sempre all’interno della complessiva cornice indiziaria, anch’essa motivanda.
Appare questo l’unico modo possibile per evitare che la regola B.A.R.D. degradi a clausola di stile aperta, atta a dissimulare applicazioni in realtà elusive del dettato normativo, e che, affrancatici ormai dall’ipse dixit degli esperti, sconfessato appunto dal doveroso controllo razionale del giudice proprio del post-positivismo, si ritorni invece al sistema antecedente contras- segnato da quell’intuizionismo del giudice che, proprio la modifica dell’art. 533 c.p.p., auspicava di scongiurare.
Perché eliminato l’impossibile, qualsiasi cosa resti, per quanto impro- babile, deve necessariamente essere la verità.
«Ma non c’era più aggressività nel loro silenzio. Solo una specie di muto, indecifrabile sgomento. Un senso di sconfitta, insopportabile» (45).
Aspettando Godot.
Xxxxxxx Xxxxxxxx
(44) Nel suo Saggio filosofico sulle probabilità, del 1814, il Marchese di Xxxxxxx affermava: «Ci dovremmo astenere dal giudicare, se volessimo raggiungere l’evidenza matematica, ma il giudizio è imposto dalla società, dato il danno che le verrebbe dall’impunità del delitto».
(45) Testualmente, X. XXXXXXXXXX, Il passato è una terra straniera, Milano, 2004, 247.
TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI PERUGIA – 20 ottobre 2011
– Pres. Canevelli – Est. Xxxxxxxxxxx – M.
Carceri e sistema penitenziario – Permessi premio – Ergastolo – Divie- to di concessione di benefici penitenziari – Attività collaborativa
– Antinomia – Divieto di retroattività della norma penitenziaria
– Esclusione (Cost., artt. 3, 25 comma 2, 27 comma 3; l. 26 luglio 1975,
n. 354, artt. 4 bis, 30 ter, 58 ter; d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. con mod dalla l. 23 aprile 2009, n. 38, art. 3; l. 15 luglio 2009, n. 94, art. 2 comma 27; l. 23 luglio 2009, n. 99, art. 15 comma 6).
Il permesso premio non può riconoscersi all’ergastolano “ostativo” non collaborante, se non in seguito all’accertamento di un contributo valutato come inutile o inesigibile per la giustizia; le novelle del 2009, per l’effetto, non hanno determinato alcuna contraddizione fra l’art. 4 bis, comma 1 ord. penit., nella parte in cui nega il beneficio in difetto di cooperazione, e l’art. 30 ter, comma 4, lett. c) laddove si ancora, per i cosiddetti reati ostativi di “prima fascia”, l’ottenimento del permesso all’espiazione di almeno metà della pena e comunque di non oltre dieci anni di detenzione (1).
(Omissis). Per superare l’ostatività di cui all’art. 4 bis, comma 1 ord. penit. il legislatore ha previsto il meccanismo di accertamento della collaborazione attiva con la giustizia ex art. 00 xxx xxx. penit. nonché, a seguito della nota pronuncia della Corte Costituzionale n. 68/1995, l’ac- certamento della c.d. inesigibilità della collaborazione, diventata inutile o impossibile, oggi disciplinata, dopo la già citata novella normativa del 2009, nell’ art. 4 bis, comma 1 bis ord. penit.
Pertanto, ove un condannato proponga domanda di permesso avendo in espiazione un reato ostativo ai sensi dell’ art. 4 bis, comma 1 ord. penit. e formuli una istanza incidentale di declaratoria della collaborazione, anche impossibile o inutile, il magistrato di sorveglianza competente sospenderà il procedimento con trasmissione degli atti al Tribunale di sorveglianza perché proceda all’accertamento.
Nei successivi commi dell’art. 4 bis ord. penit. sono ora contenuti delitti particolarmente gravi, che tuttavia consentono, una volta che si raggiunga l’espiazione di una certa soglia di pena, partitamente indicata dalla normativa, l’ottenimento dei benefici penitenziari.
Nel comma l quater, in particolare, sono contenuti i delitti dei c.d. “sex offenders”, per cui l’ammissibilità di una istanza di beneficio (ad esclusione della liberazione anticipata) non è legata soltanto all’espia- zione di una certa soglia di pena ma anche all’osservazione scientifica