LAVORO E TURISMO N. 4/2015
FEDERTURISMO CONFINDUSTRIA
LAVORO E TURISMO N. 4/2015
Il Contratto a Tempo Determinato tra Riforme e Correttivi
A cura di Xxxxxx Xxxx
(Relazioni industriali ed Affari Sociali di Federturismo Confindustria)
Edizione digitale
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Anno 2015 – Il Contratto a Tempo Determinato tra Riforme e Correttivi
Sommario
Il Contratto a Tempo Determinato tra Riforme e Correttivi 4
L’acausalità dalla Fornero al Decreto Poletti 6
Apposizione del Termine e Durata massima 14
La reiterazione di più contratti 19
Le novità nel computo dei lavoratori a tempo determinato 29
La disciplina sanzionatoria 30
Esclusioni e discipline specifiche 32
Il Contratto a Tempo Determinato tra Riforme e Correttivi
Le modifiche intervenute al Decreto Legislativo n. 368/2001
A distanza di qualche anno dall’entrata in vigore della riforma Fornero, riforma attesa ma che non ha raggiunto i significativi cambiamenti auspicati dalle imprese e dai lavoratori, il Governo è più volte intervenuto in materia di lavoro apportando, tramite il Decreto legge n. 76 del 2013 e il decreto legge n. 34 del 2014, successivamente convertiti con modifiche dalla Leggi n. 99 del 2013 e numero 78 del 2014, delle integrazioni e dei chiarimenti ad alcuni istituti già precedentemente emendati dalla legge n. 92/2012. Il decreto legge n. 34/2014, anche detto decreto Xxxxxxx, segna inevitabilmente una linea di rottura con i precedenti interventi normativi, riscrivendo di fatto il contratto a tempo determinato in alcune delle sue parti più fondamentali.
Il processo di riscrittura e snellimento della precedente disciplina termina con l’entrata in vigore del D.lgs. n. 81/2015 che riorganizza l’intero articolato del contratto a tempo determinato segnando definitivamente quella linea di rottura iniziata con il
D.L. n. 34 del 2014.
Il Contratto a tempo determinato è stato sin dall’inizio del 2012 al centro di tutte le riforme sul lavoro che si sono susseguite divenendo di fatto lo strumento principale per stimolare l’ingresso nel mondo del lavoro, ma anche il successivo reinserimento dei lavoratori come ad esempio nel caso dei lavoratori in mobilità.
Il sistema che mise in piedi la riforma Fornero invece di spingere le aziende verso il ricorso alla buona flessibilità pose molti vincoli all’utilizzo di questa forma contrattuale lasciando molto spesso alle parti sociali un ruolo suppletivo nei confronti del legislatore che non sempre è stato sfruttato al massimo.
Ciò che però di buono fece la riforma Fornero fu di riuscire a superare il concetto di eccezionalità riferito all’apposizione del termine ad un contratto di lavoro1 e creare un terzo genus di contratto a tempo determinato per il quale non era richiesta l’elencazione delle ragioni che ne sostanziavano la legittimità.
Già nel testo del 2001 (d.lgs. 368/2001) il legislatore aveva voluto superare il concetto che il tempo determinato venisse utilizzato esclusivamente per coprire necessità temporanee di manodopera in situazioni straordinarie ed eccezionali, legittimando infatti l’apposizione del termine anche per ragioni tecniche, produttive, organizzative e sostitutive e ammettendo cosi il ricorso a questo istituto anche in relazione allo svolgimento dell’ordinaria attività d’impresa2.
Per avere una radicale riforma dell’impianto generale del contratto a tempo determinato, soprattutto con riferimento alle ragioni giustificatrici dell’apposizione del termine, dobbiamo aspettare l’intervento del Governo Xxxxx che rende meno “eccezionale” il ricorso al contratto a tempo determinato.
1 Ricordiamo che il nostro ordinamento giuridico riconosce il contratto a tempo indeterminato come forma comune di rapporto di lavoro. Articolo 1 comma 01 d.lgs. n. 368/2001.
2 Quest’ultimo passaggio introdotto nel 2008 dal D.L. n. 112/2008 articolo 21.
Nel ripercorrere l’evoluzione storica della normativa relativa al tempo determinato non possiamo non menzionare l’approvazione dello scorso 3 dicembre 2014 del testo del Jobs Act che prevede specifiche deleghe al Governo in alcune materie.
Le deleghe sulle quali il Governo è stato chiamato ad intervenire riguardano le seguenti materie:
Ammortizzatori sociali
Servizi per il lavoro e politiche attive
Semplificazione delle procedure e degli adempimenti
Rapporti di lavoro e attività ispettiva
Delega al Governo per la tutela e la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.
Questo è il quadro normativo dei provvedimenti emanati in attuazione del jobs act
Le norme in vigore:
La Legge delega – Legge n. 183/2014
Le modifiche al TD – Apprendistato – Somministrazione – Legge n.
78/2014 (di conversione del D.L. n. 34/2014)
La NASpI – Decreto Legislativo n. 22/2015
Il contratto a tempo indeterminato a Tutele Crescenti – Decreto Legislativo n.
La maternità e la conciliazione vita/lavoro – Decreto Legislativo n. 80/2015
Il TU di Riordino dei Contratti di Lavoro – Decreto Legislativo n. 81/2015
Il Consiglio dei ministri, nella seduta del 4 settembre 2015, ha approvato altri 4 decreti legislativi sul Jobs Act (legge delega n. 183/2014).
Riguardano:
la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro;
il riordino dei servizi per il lavoro e le politiche attive;
la semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese;
il riordino degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro.
L’acausalità dalla Fornero al Decreto Poletti
La vera novità, che introdusse la riforma Fornero al testo del D.lgs. n. 368/2001 fu la creazione di un terzo genus di contratto a termine che veniva disciplinato al comma 1 bis dell’articolo 1 del D.lgs. n. 368/2001 e che prevedeva l’omissione delle ragioni giustificatrici per l’apposizione del termine in determinate fattispecie che il legislatore del 2012 aveva puntualmente elencato, ovvero:
1) nell’ipotesi del primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nel caso di prima missione di un lavoratore nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell'articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
2) in alternativa, nell'ipotesi definite dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale che possono prevedere, in via diretta a livello interconfederale o di categoria ovvero in via delegata ai livelli decentrati, che in luogo dell'ipotesi di cui al precedente periodo il requisito di cui al comma 1 non sia richiesto nei casi in cui l'assunzione a tempo determinato o la missione nell'ambito del contratto di somministrazione a tempo determinato avvenga nell'ambito di un processo organizzativo determinato dalle ragioni di cui all'articolo 5, comma 3, nel limite complessivo del 6 per cento del totale dei lavoratori occupati nell'ambito dell'unità produttiva3.
Oltre alle forti limitazioni che poi analizzeremo, anche con riferimento alle successive modifiche, la riforma del 2012 prevedeva anche la non prorogabilità del contratto acausale nemmeno all’interno del periodo dei dodici mesi. Il Ministero del Lavoro era infatti intervenuto successivamente precisando che il termine dei dodici mesi non era in nessun modo e in nessun caso frazionabile.
I troppi vincoli imposti dalla Riforma hanno spinto sin da subito molti giuristi a manifestare perplessità e preoccupazione nei confronti delle novità normative in materia di tempo determinato.
Il legislatore del 2013, attraverso il decreto Xxxxxxxxxx, intervenne rivisitando radicalmente e semplificando la struttura di questo nuovo genus di contratto a termine.
Il primo correttivo apportato riguardava proprio la possibilità di prorogare il contratto acausale all’interno del limite dei dodici mesi. Rimaneva ancora però da chiarire se la proroga doveva essere una sola, come era previsto dall’articolo 4, o se sempre
3 Articolo 5 comma 3 (come modificato dalla legge Fornero) l'assunzione a termine avvenga nell'ambito di un processo organizzativo determinato: dall'avvio di una nuova attività; dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; dall'implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente.
all’interno dei dodici mesi erano possibili più proroghe. La proroga disciplinata dall’articolo 4 prevedeva anche che fossero specificate le ragioni oggettive, requisito questo non richiesto nel caso di contratto acausale.
Il Ministero del lavoro con la circolare n. 35/2013, interveniva chiarendo che la proroga poteva riguardare anche i contratti acausali sottoscritti, ma non ancora scaduti, prima dell’entrata in vigore del D.L n.76, ovvero il 28 di giugno 2013.
Altro aspetto di grande importanza riguardava la possibilità che veniva concessa ai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, di individuare ulteriori ipotesi di ricorso al contratto acausale.
Nel disposto normativo della Fornero invece l’intervento delle parti sociali poteva avvenire solamente in maniera diretta a livello Interconfederale o di Categoria e solo in via delegata ai livelli decentrati con gli ulteriori limiti delle predeterminate casistiche e del vincolo numerico del 6%. Risultava singolare la chiusura all’intervento della contrattazione aziendale, se non per via delegata, nonostante che l’articolo 8 del D.L. 138/2011 consentisse alla contrattazione di prossimità di derogare alle norme di legge anche con riferimento ai contratti a termine.
Il Ministero del lavoro con una sua circolare specificò che l’eventuale disciplina introdotta dalla contrattazione collettiva in materia di contratto acausale andava ad integrare quanto già previsto direttamente dal legislatore. In questo modo i contratti collettivi, anche aziendali, avrebbero potuto prevedere a titolo esemplificativo, che:
1) il contratto a termine acausale poteva avere una durata maggiore di dodici mesi;
2) il contratto acausale poteva essere sottoscritto anche da soggetti che abbiano precedentemente avuto un rapporto di lavoro subordinato.
Il DL n. 76/2013 quindi rilanciò di fatto la contrattazione di prossimità riconoscendogli un ruolo non secondario rispetto a quella nazionale e interconfederale. Il Decreto nel suo testo originario prevedeva che le intese modificative che operavano in deroga alle norme di legge erano valide solo a condizione che fossero depositate presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente, passaggio questo poi venuto meno in sede di conversione, liberando cosi la contrattazione di prossimità.
Tra gli aspetti di problematicità che introdusse la Fornero un’ attenzione particolare fu rivestita dal concetto di “primo” contratto acausale chiarito in parte solamente da un duplice intervento esplicativo da parte del Ministero del Lavoro.
Il Ministero del Lavoro nella circolare n. 18/2012 per definire il concetto di “primo rapporto” faceva riferimento all’elemento della subordinazione, ovvero al fatto che il contratto acausale non potesse essere stipulato con un lavoratore con il quale il datore di lavoro aveva già intrattenuto un primo rapporto lavorativo di natura subordinata.
Il Ministero specificava poi che la finalità del contratto a tempo determinato acausale era quella di verificare le attitudini e le capacità del lavoratore in relazione all’inserimento nello specifico contesto lavorativo, quindi non appariva coerente con la ratio normativa estendere il regime semplificato in relazione a rapporti in qualche modo già sperimentati.
In questo modo il Ministero prevedeva anche una finalizzazione del contratto acausale e, a detta dello scrivente, escludeva la possibilità di assunzione acausale successiva a rapporti precedentemente intercorsi anche di natura non subordinata.
Il Ministero, su questo specifico punto, non sciolse nessun dubbio interpretativo, perché prima prendeva in considerazione solo il concetto di subordinazione, mentre poi introdusse il concetto di non estensione dell’acausalità a lavoratori già “sperimentati”, escludendo quindi, ad esempio, anche i contratti di collaborazione.
Solamente con la Circolare n. 37 del 22 aprile 2013 il Ministero pose fine al dubbio interpretativo, sposando definitivamente la tesi della subordinazione e non della finalizzazione, chiarendo cosi che il contratto acausale poteva essere stipulato esclusivamente nelle ipotesi in cui non siano intercorsi tra il medesimo datore di lavoro e lavoratore precedenti rapporti di lavoro di natura subordinata (ad esempio, tempo determinato, indeterminato o intermittente). Nel caso di pregressi rapporti di lavoro di natura autonoma tra i medesimi soggetti, il Ministero ritenne possibile la stipulazione di un primo contratto a termine acausale.
Un’altra novità rilevante, che andava a ridurre i forti vincoli della Fornero, riguardava la “prosecuzione” del rapporto di lavoro oltre al termine inizialmente previsto, il legislatore infatti recepì nel disposto normativo dell’articolo 5 comma 2 quanto espresso dal Ministero con la Circolare n.18/2012, ovvero che al contratto acausale si applicavano le regole generali in materia di prosecuzione.
Questo significava comunque che la disciplina dal comma 1 dell’articolo 5 del d.lgs. n.368/2001 rimaneva invariata, ovvero che in caso il rapporto di lavoro continuasse oltre la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato ai sensi dell'articolo 4, il datore di lavoro era tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al venti per cento fino al decimo giorno successivo, al quaranta per cento per ciascun giorno ulteriore, ossia dall’11°al 30° per i contratti di durata inferiore a sei mesi e dall’11°al 50° per quelli di durata pari o superiore a sei mesi.
La riforma Xxxxxxx aveva invece previsto che, in caso di prosecuzione, il datore di lavoro doveva comunicare al Centro per l’Impiego, entro il termine inizialmente fissato, che il rapporto continuava, indicando altresì la durata della prosecuzione.
In questo modo si trattava di una prosecuzione “programmata” e non più accidentale.
Il Decreto Legge Xxxxxxxxxx invece intervenne abrogando la comunicazione anticipata riportando cosi l’istituto della prosecuzione alla sua originaria caratteristica accidentale.
Occorre precisare che la soppressione della comunicazione preventiva in caso di prosecuzione riguardava l’intero istituto del tempo determinato e non solo quello acausale.
Restava invece invariato l’obbligo di cui all’articolo 4 bis, comma 5, del D.lgs. n. 181/2000, relativo alla comunicazione, entro 5 giorni, della proroga del termine inizialmente fissato o della trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato.
Il legislatore nel 2014 intervenne nuovamente modificando in maniera sensibile la struttura del contratto a tempo determinato, ed eliminando in alcuni casi molte “toppe” e lacciuoli che le due precedenti riforme avevano creato.
Il 21 marzo entrò in vigore, a seguito della sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale
n. 66 del 20 marzo 2014, il Decreto Legge n. 34 contenente delle disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese.
Il Decreto venne poi convertito in legge con delle modificazioni, dalla legge n. 78 del 2014, ma l’impianto fu fatto salvo, confermando cosi di fatto l’indirizzo del Governo nei confronti degli strumenti di “buona” flessibilità.
Il decreto era composto da 6 articoli finalizzati a rivedere la disciplina del contratto a tempo determinato, dell’apprendistato, dell’iscrizione dei lavoratori nelle liste di disponibilità, del DURC e dei contratti di solidarietà dell’articolo 1 della legge n. 863/1984.
La struttura del contratto a tempo determinato, relativa anche al “terzo genus” introdotto dalla Fornero subi un radicale cambiamento, il legislatore attraverso la riformulazione del comma 1 dell’articolo 1 del D.lgs. n. 368/2001 abrogò definitivamente il sistema delle causali, modificando in questo modo il modello definito sino ad oggi dal decreto legislativo 368.
Il legislatore eliminò uno degli elementi fino ad oggi ritenuto essenziale per l’apposizione del termine al contratto, ovvero il cosiddetto causalone all’interno del quale dovevano essere indicate le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustificavano l’apposizione del termine al contratto.
E’ opportuno ricordare che le ragioni che il datore di lavoro doveva elencare e “specificare nel “causalone” per legittimare l’apposizione del termine, erano ragioni proprie del datore e in caso di contestazione da parte del lavoratore, ricadeva sul datore l’onere della prova per dimostrare la loro effettività e consistenza.
Il legislatore quindi andò oltre rispetto a quanto fatto dalla riforma Fornero, che aveva introdotto il contratto acausale ma lo aveva considerato con un genus a parte rispetto all’ordinario contratto di lavoro a tempo determinato. Essendo un genus differente, la legge n. 92 del 2012 aveva costruito una disciplina con delle limitazioni ad hoc per questo istituto, attenuate in alcuni casi dal successivo intervento del D.L. n. 76/2013
che aveva in particolar modo riconosciuto un ruolo fondamentale nella “gestione” dell’acausalità alla contrattazione collettiva.
Il legislatore del 2014 stabili che “è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato di durata non superiore a trentasei mesi, comprensiva di eventuali proroghe, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre n. 276. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 10 comma 7, il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo non può eccedere il limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato”.
In rosso sono evidenziate le modifiche normative che intervennero durante la conversione.
Sempre in tema di acausalità è necessario puntualizzare, anche alla luce del Messaggio INPS n.4152 del 20144, l’apposizione della causale è necessaria al fine di escludere dal limite del contingentamento contrattuale o dal limite legale del 20% le fattispecie previste dal comma 7 dell’articolo 10 del D.lgs n. 368/2001.
Ciò significa che ad esempio per le attività stagionali, come definite precedentemente dall’articolo 5 comma 4 ter del D.lgs.n. 368/2001, e per i contratti di sostituzione di personale assente con diritto alla conservazione del posto è necessario continuare ad apporre la causale. Senza la definizione della causale, questi contratti, rientrerebbero nell’ordinario contratto di lavoro a tempo determinato acausale per il quale valgono le limitazioni stabilite per legge.
L’apposizione della causale è utile anche al fine di escludere i contratti stagionali e quelli per sostituzione dalla contribuzione aggiuntiva dell’1,40% prevista per tutti i contratti non a tempo indeterminato.
A tal proposito, per quanto riguarda gli aspetti contributivi del contratto a tempo determinato, ricordo che a partire dal 1° gennaio 2013, ai rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato (compresi i contratti a termine stipulati nella start-up innovative - art.28, D.L. 179/2012) si applica (in aggiunta alla contribuzione ordinaria prevista per la generalità dei lavoratori) un contributo addizionale, a carico del solo datore di lavoro, pari all'1,4 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Tale contributo addizionale non si applica:
4 Con riferimento al contributo addizionale pari all’1,40% della retribuzione imponibile, dovuto dai datori di lavoro con riferimento ai rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato, l’Inps specifica che ai fini dell’operatività dell’esenzione da questo regime contributivo, i datori di lavoro dovranno continuare a dare notizia della particolare tipologia assuntiva. Ne consegue che, per quanto sia venuta meno la causale ai fine della legittimità del contratto a tempo determinato, ove quest’ultimo venga stipulato in relazione a una sostituzione, i datori di lavoro dovranno continuare a compilare il flusso UniEmens secondo le indicazioni contenute nell’allegato tecnico, valorizzando l’elemento <Qualifica3> con il previsto codice A.
1) in relazione ai lavoratori assunti a temine in sostituzione di lavoratori assenti;
2) ai lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali di cui al D.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525 e successive modificazioni;
3) agli apprendisti;
4) ai dipendenti della P.A.;
5) nonché, per i periodi contributivi maturati dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2015, delle assunzioni stagionali definite dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati entro il 31 dicembre 2011 dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative5. Se il rapporto di lavoro a termine viene trasformato a tempo indeterminato al datore di lavoro potranno essere restituite le ultime sei mensilità del contributo addizionale.
Al fine di incentivare la stabilizzazione dei rapporti di lavoro verso forme a tempo indeterminato, il legislatore ha previsto la restituzione - con un tetto massimo pari a 6 mesi - del contributo addizionale con le seguenti modalità e al ricorrere delle fattispecie sotto riportate:
1) trasformazione del contratto a tempo indeterminato: il diritto al rimborso scatta dopo che sia stato compiuto, con esito positivo il periodo di prova.
2) assunzione del lavoratore a tempo indeterminato entro 6 mesi dalla cessazione del contratto di lavoro a tempo determinato precedentemente scaduto. In tal caso la restituzione avviene detraendo dalle mensilità spettanti un numero di mensilità ragguagliato al periodo trascorso dalla cessazione del precedente rapporto di lavoro a termine. In pratica, se l'assunzione avviene dopo un mese dalla scadenza del contratto, il beneficio sarà pari a un massimo di 5 mensilità, che scenderanno a 4 dopo due mesi e così via. Nulla sarà quindi restituito decorsi i 6 mesi6.
Il legislatore con il comma 135 dell’articolo 1 della legge di stabilità per il 2014 interviene modificando l’articolo 2, comma 30, della legge n. 92/2012, togliendo nel primo periodo il limite delle sei mensilità7.
Ciò significa che a decorrere dal 1/1/2014 i datori di lavoro che trasformano il contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato potranno recuperare tutta la contribuzione aggiuntiva dell’1,4% (non più limitatamente alle ultime sei mensilità) versata all’Inps durante lo svolgimento del contratto a termine.
L’intervento del legislatore però si è limitato a modificare solamente il primo periodo del comma 30 dell’articolo 2 della legge n. 92/2012 , non è intervenuto sul restante
5 (art. 2, co. 28-30, L. 28.6.2012, n. 92); Min. Lav., Interpello 21.12.2012, n. 42).
6 (art. 2, co. 28-30, L. 28.6.2012, n. 92).
7 Art. 2 comma 30, L.n.92/2012 - Nei limiti delle ultime sei mensilità il contributo addizionale di cui al comma 28 è restituito, successivamente al decorso del periodo di prova, al datore di lavoro in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato. La restituzione avviene anche qualora il datore di lavoro assuma il lavoratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato entro il termine di sei mesi dalla cessazione del precedente contratto a termine. In tale ultimo caso, la restituzione avviene detraendo dalle mensilità spettanti un numero di mensilità ragguagliato al periodo trascorso dalla cessazione del precedente rapporto di lavoro a termine.
comma lasciando invariato il sistema di recupero della contribuzione aggiuntiva previsto per la seconda fattispecie sopra descritta8. In questo modo il limite dei sei mesi sembra essere confermato nel caso di interruzione tra il precedente contratto a termine e il successivo contratto a tempo indeterminato.
Sarebbe stato molto più utile e in linea con la finalità della norma, togliere il limite dei sei mesi anche nel secondo periodo dell’articolo 2 comma 30 della L.n. 92/2012 permettendo cosi un recupero maggiore della contribuzione aggiuntiva non limitata ai soli 6 mesi.
In questo modo alla contribuzione aggiuntiva versata in esecuzione di un contratto a termine, devo sottrarre il contributo aggiuntivo corrispondente alle mensilità intercorrenti tra la cessazione del citato contratto e la successiva riassunzione a tempo indeterminato.
Riporto qui di seguito un esempio per evidenziare il beneficio che il legislatore non ha voluto cogliere togliendo il limite temporale dall’intero comma 30 dell’articolo 2.
Ipotizziamo ad esempio di avere un contratto a tempo determinato per una durata di 10 mesi e di riassumere lo stesso lavoratore a tempo indeterminato dopo 7 mesi dalla cessazione del primo rapporto. In questo caso il datore di lavoro ha pagato il contributo aggiuntivo per le 10 mensilità. Avendo successivamente assunto il lavoratore a tempo indeterminato dopo 7 mesi, si detrae dalle 10 mensilità l’intervallo di 7 mesi, in questo modo si trovano le mensilità che devono essere restituite, ovvero il datore deve riprendere la contribuzione aggiuntiva versata per 3 mensilità.
Mantenendo il limite dei sei mesi invece il datore di lavoro non avrà diritto a riprendere la contribuzione aggiuntiva versata perché ha riassunto il lavoratore in un intervallo di tempo superiore ai sei mesi.
Purtroppo ancora una volta, come successo per lo stop and go, il legislatore ha confuso il fine della norma, favorendo non tanto la stabilizzazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato ma solamente la riduzione dell’intervallo temporale tra un assunzione e la stabilizzazione successiva.
L’Inps con il messaggio n. 4152 del 2014, chiari anche un altro aspetto molto importante, in merito alla restituzione del contributo addizionale Aspi dell’1.40%, ai sensi dell’articolo 2. comma 30 della legge n. 92/2012.
L’Inps, considerato l’impianto normativo di riferimento avuto riguardo alla previsione contenuta nell’articolo 19 comma 1 del D.lgs. 167/2011 (testo unico dell’apprendistato) ritiene possibile applicare il disposto normativo relativo alla
8 . La restituzione avviene anche qualora il datore di lavoro assuma il lavoratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato entro il termine di sei mesi dalla cessazione del precedente contratto a termine. In tale ultimo caso, la restituzione avviene detraendo dalle mensilità spettanti un numero di mensilità ragguagliato al periodo trascorso dalla cessazione del precedente rapporto di lavoro a termine.
9 cit. L’apprendistato è un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani
restituzione del contributo addizionale Xxxx anche nell’ipotesi in cui l’assunzione successiva avvenga con contratto di apprendistato.
L’Inps in questo modo riaprì un problema già da tempo oggetto di chiarimenti e interpelli da parte del Ministero del Lavoro relativo alla possibilità di stipulare legittimamente contratti di apprendistato con soggetti che abbiano precedentemente prestato la loro attività lavorativa presso il medesimo datore di lavoro con rapporti di natura temporanea.
Il Ministero su questo punto già nel 2007 aveva risposto all’istanza di interpello avanzata da Confindustria analizzando soprattutto il caso di eventuale coincidenza della qualifica professionale già in possesso del lavoro con la qualifica cui tende il rapporto di natura formativa. Il Ministero, in assenza di precisi riferimenti normativi e di indicazioni di natura contrattuale, prende come riferimento la giurisprudenza in materia di contratto di formazione lavoro, che, pur essendo una fattispecie contrattuale diversa, per quanto attiene ai profili formativi presenta elementi di congruità con il contratto di apprendistato professionalizzante. La giurisprudenza e quindi il Ministero sembrano riconoscere la possibilità di stipulare legittimamente un contratto di apprendistato con soggetti che hanno già prestato attività lavorativa presso lo stesso datore di lavoro, in quanto il contratto di apprendistato è volto all’acquisizione non di una qualifica professionale ma ad una qualificazione, ovvero il lavoratore dispone di un bagaglio formativo di nozioni di carattere teorico-pratico non legato solamente allo svolgimento della mansione assegnata, ma ad una più complessa ed articolata conoscenza sia del contesto lavorativo che delle attività che in esso sono svolte. Occorre che tale percorso di natura addestrativa di carattere tecnico e pratico sia ravvisabile nel piano formativo individuale che, come già precedentemente suggerito, invito a continuare a redigere.
Altro aspetto rilevante che il Ministero aveva ritenuto opportuno chiarire è che non sembra ammissibile la stipula di un contratto di apprendistato professionalizzante da parte di un lavoratore che abbia già svolto un periodo di lavoro, continuativo o frazionato, in mansioni corrispondenti alla stessa qualifica oggetto del contratto formativo, per una durata superiore alla metà di quella prevista dalla contrattazione collettiva. Tale conclusione è dettata dalla necessità che il precedente rapporto di lavoro sotto il profilo dell’acquisizione delle esperienze e delle competenze professionali, non abbia a prevalere sull’istaurando rapporto di apprendistato.
Il Dlsg. N. 81 del 2015
Lo scorso 16 giugno entra in vigore il decreto legislativo n. 81 del 2015 che prevede la disciplina organica dei contratti di lavoro e la revisione della normativa in tema di mansioni, ai sensi dell’articolo 1, comma 7, della legge n. 183 del 10 dicembre 2014.
In questo volume analizzeremo la nuova disciplina del contratto a tempo determinato che viene riscritto abbandonando sotto alcuni aspetti il modello precedentemente previsto nel decreto legislativo n. 368 del 2001.
Il legislatore per quanto riguarda il tempo determinato ha ritenuto opportuno intervenire attraverso questa importante riscrittura, soprattutto nell’ottica della semplificazione e della chiarezza nell’applicazione delle norme.
Ad esempio nel testo troviamo dei chiarimenti in merito alla modalità di calcolo del 20% con il relativo arrotondamento, alle sanzioni da applicare nel caso di violazione di tale limite e alla definizione di stagionalità che oltre che dai contratti collettivi, sia essi nazionali o aziendali, sarà definita anche da apposito decreto del Ministero del Lavoro superando l’ormai “anziano” DPR.
Nel nuovo testo cambia anche la cronologia con cui vengono disciplinati gli istituti del tempo determinato, per questo occorre durante la trattazione del nuovo decreto legislativo affiancare la precedente normativa che per anni ha rappresentato un chiaro punto di riferimento.
Apposizione del Termine e Durata massima
Il legislatore nella riformulazione organica delle forme contrattuali prevede all’articolo 1 del d.lgs. n. 81 che la forma contrattuale comune sia il contratto subordinato a tempo indeterminato dando in questo modo un chiaro indirizzo a tutto il decreto legislativo in relazione anche all’altro provvedimento di recente emanazione relativo al contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.
La definizione che il legislatore pone a capo dell’intero articolato normativo era presente, nella stessa formulazione, nel comma 01 del decreto legislativo n. 368/2001, rappresentando quindi un principio seppur importante ma limitato all’interno di un decreto ben preciso. In questo modo viene riconosciuta una valenza più ampia e non più circoscritta all’interno di un solo provvedimento normativo.
Il comma 1 dell’articolo 19 del d.lgs. n. 81 ora prevede che al contratto di lavoro subordinato non può essere apposto un termine di durata superiore a 36 mesi.
Il comma 2 invece chiarisce che “fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi - da intendersi anche a livello aziendale - e con l’eccezione delle attività stagionali di cui all’articolo 21, comma 2, la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoriale legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, on può superare i trentasei mesi. Ai fini del computo di tale periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato, Qualora il limite dei trentasei mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento”.
Nell’ottica della riscrittura e della semplificazione il legislatore inserisce al comma 2 e seguenti quanto era in parte previsto, in maniera frammentata, nell’articolo 5 comma
4-bis e seguenti del precedente d.lgs. n. 368 offrendo in questo modo una completa ridefinizione organica di tutti gli aspetti afferenti al limite della durata massima.
La prima cosa che il lettore può notare nella riscrittura dell’articolato relativo alla durata massima è che il legislatore fa riferimento in questo caso a contratti intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale non richiamando più il principio delle mansioni equivalenti.
Viene superato in questo modo il concetto di mansione equivalente e ciò comporta che il tetto massimo dei 36 mesi può essere raggiunto più rapidamente in quanto si è ampliata la definizione di mansione.
Il secondo periodo del comma 2 dell’articolo 19 riprende quanto previsto dal precedente articolo 5 comma 4-bis del dlgs. n.368/2001 ovvero che ai fini del computo dei 36 mesi si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale. Questo aspetto di sommatoria tra contratti a tempo determinato e somministrazione fu inserito dalla legge n.92 del 2012 che ricordiamo entrò in vigore lo scorso 18 luglio 2012.
Sempre su questo punto intervenne anche il Ministero del Lavoro10 che precisò che i datori di lavoro dovranno tener conto, ai fini dei trentasei mesi, dei periodi di lavoro svolti in forza di contratti di somministrazione a tempo determinato stipulati a far data dal 18 luglio 2012.
Il Ministero ha quindi voluto escludere dalla conversione automatica per superamento del limite dei 36 mesi i periodi di missione in corso al 18 luglio 2012. Nel caso che, terminata la missione, il datore volesse stipulare con lo stesso soggetto un contratto a tempo determinato si dovrà tenere conto della durata dei pregressi rapporti a termine e della durata del periodo di missione intercorso a far data dal 18 luglio 2012.
Sempre nella stessa circolare11, il Ministero concludeva l’articolato riferito ai contratti a tempo determinato ricordando che il periodo massimo di 36 mesi, derogabile dalla contrattazione collettiva, rappresenta un limite alla stipulazione di contratti a tempo determinato e non al ricorso alla somministrazione di lavoro. Ne consegue che, raggiunto tale limite, il datore di lavoro potrà comunque ricorrere alla somministrazione a tempo determinato con lo stesso lavoratore anche successivamente al raggiungimento dei 36 mesi. Tema questo ribadito anche nel Vademecum della Direzione Ispettiva del Ministero del Lavoro sulla riforma Fornero, al punto 9, dove viene richiamata l’espressa esclusione prevista dall’articolo 22 comma 2 del D.lgs.n. 276/2003 secondo la quale “in caso di somministrazione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro è soggetto alla disciplina di cui al decreto legislativo n. 368/2001, per quanto compatibile, e in ogni caso con esclusione delle disposizioni di cui all’articolo 5, commi 3 e seguenti”.
10 Circolare n.18/2012
11 Circolare n. 18/2012
La circolare ricordava anche che tale limite non operava nei confronti delle attività stagionali definite dal D.P.R. n. 1525/1963 e successive modifiche e integrazioni, nonché di quelle che saranno individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative.
Per quanto riguarda le stagionalità nulla è cambiato, rimangono comunque escluse dal computo dei 36 mesi ma il legislatore in base alla dizione utlizzata al comma 2 dell’articolo 19 rafforza il concetto di stagionalità previsto sia dalla contrattazione collettiva che da apposito decreto ministeriale che di fatto supererà il DPR n. 1525 del 1963.
In attesa dell’emanazione del Decreto Ministeriale sulle attività stagionali, oltre che alle disposizioni previste dai contratti collettivi rimane in vigore il DPR di cui sopra.
Per quanto riguarda l’ulteriore contratto, ovvero la cosiddetta deroga assistita ai 36 mesi, il legislatore al comma 3 dell’articolo 19 prevede in linea di massima lo stesso impianto già descritto nel decreto legislativo 368 ma viene meno l’assistenza sindacale al dipendente nel momento della stipula dell’ulteriore contratto a termine presso la direzione territoriale del lavoro competente per territorio.
Sulla cosiddetta deroga assistita, ora potremmo chiamarla deroga legale, il legislatore toglie l'ingerenza della contrattazione collettiva prevista del precedente comma 4-bis dell'articolo 5 della 368, imponendo di fatto una durata massima di dodici mesi.
Alcuni interrogativi si pongono in merito alla frazionabilità di questa durata massima dei 12 mesi in più contratti o più semplicemente la possibilità di utilizzare l’istituto della proroga fino al raggiungimento massimo dei dodici mesi. A prescindere dalle possibilità che il dettato normativo sembra offrire, in questa fase di prima applicazione della norma è consigliato evitare il frazionamento dell’ulteriore contratto o l’applicazione di proroghe.
Divieti
L’articolo 20 del D.lgs. n.81/2015 elenca le fattispecie per le quali è fatto divieto apporre un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato.
Una delle novità più rilevanti di questo articolato il legislatore la inserisce alla lettera
b) del comma 1 dell’articolo 20, escludendo l’intervento derogatorio di accordi sindacali.
La lettera b) prevede ora che “presso unità produttive nelle quali si e' proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi a norma degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti, per
assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilita', o abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi”.
Rimangono da chiarire alcuni aspetti pratici relativi all’applicazione di questo divieto, soprattutto ad esempio nei confronti delle procedure di mobilità aperte e non ancora concluse o della mobilità volontaria. Nel caso della mobilità volontaria è chiaro che si applica il divieto mentre per quanto riguarda l’eventuale procedura di mobilità aperta sembra la lettera b) prevede il divieto solamente al termine della procedura
Proroghe e rinnovi
Il legislatore sempre nell’ottica di una semplificazione del precedente disposto normativo, all’articolo 21 disciplina sia la proroga del contratto a termine sia le successioni di più contratti.
La proroga ricordiamo era disciplinata in un articolo a parte all’interno del dlgs. n.368 e più precisamente all’articolo 4 mentre la disciplina delle successioni era disciplinata dall’articolo 5.
Il comma 1 dell’articolo 21 dispone che : Il termine del contratto a tempo determinato puo' essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a trentasei mesi, e, comunque, per un massimo di cinque volte nell'arco di trentasei mesi a prescindere dal numero dei contratti. Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della sesta proroga.
Rispetto alla precedente formulazione si nota subito che il legislatore nella definizione della disciplina delle proroghe ha tolto il riferimento “alla stessa attività lavorativa” evitando in questo modo di incorrere in qualche errore applicativo.
Partendo proprio da questo aspetto è opportuno ripercorrere alcuni passaggi fondamentali che ha subito il testo delle proroghe sino ad arrivare all’attuale formulazione.
La principale novità che il legislatore introdusse con il decreto n. 34 del 2014 e con la successiva conversione in legge riguardava proprio il sistema delle proroghe del contratto a tempo determinato come disciplinata dall’articolo 4 comma 1 del dlgs. n. 368 del 2001.
La conversione in legge del decreto n.34 aveva portato alcune modifiche al testo orinale infatti il novellato articolo disponeva che le proroghe del contratto a termine sono ammesse fino ad un massimo di cinque volte, nell’arco dei complessivi trentasei mesi, indipendentemente dal numero dei rinnovi e a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato inizialmente stipulato a tempo determinato. Nella nuova formulazione, prima del decreto n.34 e poi successivamente della legge di conversione, si superava la precedente disciplina
del decreto legislativo 368 che imponeva il limite di una sola proroga collegata a ragioni oggettive che dovevano essere esplicitate a sostegno della proroga stessa.
In base alle nuove formulazioni in primis del decreto n.34 e successivamente della legge di conversione l’unica condizione necessaria per poter prorogare il contratto a tempo determinato risultava essere quindi lo svolgimento della stessa attività lavorativa per la quale il contratto era stato inizialmente stipulato.
Con il venir meno delle ragioni giustificatrici della proroga, rivestiva sempre più importanza la limitazione legata al “riferimento alla stessa attività lavorativa”.
In questo caso il Ministero precisò, attraverso la circolare n. 18 del 2014, che con la formulazione “stessa attività lavorativa” si intendevano le stesse mansioni, le mansioni equivalenti o comunque quelle svolte in applicazione della disciplina di cui all’articolo 2103 del c.c.
Possiamo quindi sintetizzare gli elementi che erano necessari affinché si potesse applicare la proroga al contratto a termine:
serve il consenso del lavoratore;
la proroga può avvenire solo se la durata iniziale del contratto è inferiore ai 36 mesi;
sono ammesse un massimo di 5 proroghe;
le proroghe devono riferirsi alla stessa attività per la quale il contratto è stato stipulato
Rispetto al testo del D.L. n. 34/2014 entrato subito in vigore il 21 marzo 2014, la conversione in legge ridusse il numero massimo di proroghe che potevano essere effettuate, ovvero si passò da 8 a 5, sempre all’interno del tetto massimo dei 36 mesi.
L’intervento del comma 1 delle disposizioni transitorie dell’articolo 2-bis del D.L. n. 34/2014, introdotto dalla legge di conversione del provvedimento, stabilì che le novità normative previste dagli articoli 1 e 2 de D.L. n. 34 si applicavano ai rapporti di lavoro costituiti a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, ciò significò che il nuovo regime delle cinque proroghe trovò applicazione unicamente per i contratti a tempo determinato sottoscritti dal 21 marzo 2014.
Nello stesso comma 1 delle norme transitorie il legislatore inserì anche che erano fatti salvi gli effetti già prodotti dalle disposizioni introdotte dal decreto n.34 ovvero andava a sanare il periodo che va dall’entrata in vigore del D.L. n. 34 (21 marzo) all’entrata in vigore del testo emendato e convertito in legge (20 maggio 2014). In questo modo restarono comunque legittime eventuali proroghe di contratti sottoscritti prima del 20 maggio, mentre non era più possibile a far data dal 20 maggio prevedere nuove proroghe.
Dal momento che dall’ iniziale formulazione del D.L le proroghe erano ammesse sino ad 8 volte, apparve, ai sensi della norma transitoria sopracitata, corretto l’operato di quei datori di lavoro che, durante il periodo 21 marzo – 19 maggio 2014 avevano effettuato sino ad un massimo di 8 proroghe.
Altro aspetto sul quale si soffermò la circolare del Ministero del Lavoro n. 18 con particolare attenzione riguardava la cumulabilità delle proroghe in base ai rinnovi.
Il legislatore nella riformulazione dell’articolo 4 del Dlgs n. 368/2001 aveva previsto che le 5 proroghe dovevano avvenire nei 36 mesi indipendentemente dal numero dei rinnovi, questo significava che se prorogo per due anni il primo contratto a tempo determinato il secondo contratto potrò prorogarlo solamente per altre 3 volte, quindi le proroghe totali non potranno essere più di 5. Naturalmente la cumulabilità totale delle proroghe si ha solamente nel caso in cui i rinnovi avvengano per lo svolgimento di mansioni equivalenti, viceversa, qualora il nuovo contratto a termine non preveda lo svolgimento di mansioni equivalenti, le eventuali proroghe non dovranno essere contabilizzate.
Le proroghe rappresentavano e rappresentano tutt’ora un “bonus” da spendere all’interno dei 36 mesi. Su questo punto si continua a dibattere circa la possibilità per i contratti che derogano ai 36 mesi di applicare l’istituto delle 5 proroghe su un arco temporale mobile e non fisso. Sempre seguendo un approccio prudenziale è consigliabile al momento riferirsi ai 36 mesi come arco temporale fisso indipendentemente dalla possibilità di deroga da parte dei contratti collettivi.
Come abbiamo potuto analizzare nel corso della spiegazione relativa all’istituto della proroga il legislatore togliendo il riferimento alla medesima attività lavorativa ha semplificato di molto l’utilizzo di questo istituto facendo venir meno anche alcune interpretazioni del Ministero del lavoro come ad esempio la cumulabilità delle proroghe in base ai rinnovi esaminata nel paragrafo sopra. Quindi come unico limite rimane il fatto che le cinque proroghe sono di fatto un bonus da spendere all’interno del limite massimo dei 36 mesi.
Si può dunque sintetizzare in questo modo gli elementi che sono alla base della corretta applicazione dell’istituto della proroga:
consenso del lavoratore
Limite dei 36 mesi
Xxxxxxx 5 proroghe
La sanzione prevista per il superamento delle proroghe è la trasformazione del contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della sesta proroga.
La reiterazione di più contratti
Il comma 2 dell’articolo 21 disciplina la reiterazione di più contratti, ovvero il cosiddetto stop and go che rispetto alla precedente formulazione del d.lgs n.368 del 2001 non ha subito modifiche.
A tal proposito è comunque necessario ricordare che la disciplina sullo “stop&go”, ovvero il periodo di interruzione tra un contratto e il successivo, è stata più volte
modificata dagli interventi della riforma Fornero e successivamente dal Decreto Xxxxxxxxxx (D.L. n. 76/2013).
L’intento della riforma Fornero era quello di scoraggiare la successione dei contratti a tempo determinato e per far questo aveva modificato il comma 3 dell’articolo 5 elevando fino a 60 e 90 giorni i periodi di interruzione, tra un contratto a termine e il successivo, precedentemente individuati in 10 e 20 giorni.
Per i contratti fino a sei mesi quindi l’interruzione doveva essere di 60 giorni mentre per i contratti di durata superiore a sei mesi dovevano essere rispettati i 90 giorni di stacco. Era possibile ridurre queste tempistiche (fino a 20 giorni e 30 giorni) solamente attraverso un intervento diretto della contrattazione collettiva (livello Interconfederale o Nazionale) o in forma delegata al secondo livello ma con riferimento a determinate casistiche che erano elencate nel previgente articolo 5 comma 312.
Non era difficile capire che i vincoli imposti dalla riforma al contratto a termine andavano ben oltre l’originario obiettivo di ridurre l’uso improprio di questo istituto, basti pensare a settori come quello del Turismo che per loro natura risentono di una flessibilità maggiore rispetto agli altri settori industriali, non era quindi possibile applicare questo modello rigido a settori soggetti ad elevata variabilità.
La rigidità del modello Fornero creava problemi non solo alle aziende ma anche agli stessi lavoratori, si pensi ad esempio ai lavoratori stagionali che se impiegati ad esempio per il periodo natalizio non potevano essere riassunti per le festività pasquali.
L’incongruenza di una riforma, a detta dello scrivente “sbagliata”, sta nel fatto che ai contratti a tempo determinato in somministrazione non si applicava l’intervallo temporale, ciò comportava inevitabilmente che l’azienda dovendo organizzare il lavoro sia costretta a prediligere una forma contrattuale a tempo determinato piuttosto che un'altra.
Non è tardato ad arrivare subito il primo correttivo, infatti il decreto sviluppo (D.L. 83/2012) prevedeva all’articolo 46 bis lettera a) che l’applicazione dei termini ridotti di 20 giorni (contratti fino a sei mesi) e di 30 giorni (contratti superiori a sei mesi) si applicasse direttamente alle attività stagionali di cui all’articolo 5 comma 4-ter del D. Lgls. n. 368/2001 e anche in ogni “altro caso” previsto dai contratti collettivi stipulati
12 Art.5 comma 3 (come modificato dalla riforma Fornero)
Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell'articolo 1, entro un periodo di sessanta giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero novanta giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. I contratti collettivi di cui all'articolo 1, comma 1- bis, possono prevedere, stabilendone le condizioni, la riduzione dei predetti periodi, rispettivamente, fino a venti giorni e trenta giorni nei casi in cui l'assunzione a termine avvenga nell'ambito di un processo organizzativo determinato: dall'avvio di una nuova attività; dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; dall'implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente. In mancanza di un intervento della contrattazione collettiva, ai sensi del precedente periodo, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, provvede a individuare le specifiche condizioni in cui, ai sensi del periodo precedente, operano le riduzioni ivi previste (17).
ad ogni livello dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Proprio questo ultimo passaggio ha legittimato l’intervento delle parti sociali che hanno potuto ridurre l’intervallo anche per altre causali diverse da quelle che la riforma aveva identificato come tassative.
Federturismo Confindustria e l’Associazione Italiana Confindustria Alberghi intervennero insieme alle Organizzazioni Sindacali di Categoria con l’accordo del 22 novembre 2012, prevedendo che i termini ridotti (20 e 30 giorni) si applicassero anche a tutte le causali previste dal Contratto Nazionale per le quali era possibile ricorrere al tempo determinato.
Nonostante i correttivi messi in piedi sia dell’intervento del decreto sviluppo che dall’intervento delle parti sociali, la normativa relativa agli intervalli temporali tra un contratto e il successivo rimaneva ancora troppo rigida, per questo il decreto n.76/2013 ripristinò la normativa antecedente la riforma Fornero ma si spinse anche oltre, riconoscendo alla contrattazione collettiva un ruolo fondamentale nella gestione della flessibilità.
Il testo del D.L n. 76, prima della conversione, disponeva il ripristino dei vecchi intervalli, 10 giorni per i contratti fino a 6 mesi e 20 giorni per i contratti superiori a sei mesi, ed escludeva dal campo di applicazione degli intervalli i lavoratori impiegati nelle attività stagionali, sia quelle individuate dal D.P.R. n.1525/1963 che quelle previste dagli avvisi comuni e dai CCNL, nonché le ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle XX.XX maggiormente rappresentative.
In fase di conversione il decreto legge n. 76 estese ancora di più la sua portata superando il limite del comma 4 dell' articolo 5 della 368, infatti il novellato articolo recitava cosi: “Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell'articolo 1, entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. Le disposizioni di cui al presente comma, nonché di cui al comma 4, non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali di cui al comma 4-ter nonché in relazione alle ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano Nazionale”.
Il Legislatore nel momento della conversione aggiunse anche il riferimento al comma 4 escludendo di fatto da qualsiasi intervallo le attività stagionali, anche quelle definite dagli avvisi comuni e le altre ipotesi individuate dai contratti collettivi.
Il Ministero del Lavoro con la circolare n. 35/2013 chiarì che le disposizioni che richiedevano il rispetto degli intervalli tra due contratti a termine, nonché quelle sul divieto di effettuare due assunzioni successive senza soluzione di continuità, non trovavano applicazione:
nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali di cui al D.P.R. n.
1525/1963.
In relazione alle ipotesi, legate anche ad attività non stagionali, individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale13.
Il rispetto della tempistica di 10 e 20 giorni d’ intervallo riguardava tutti i contratti a termine stipulati a partire dal 28 giugno 2013 (data di entrata in vigore del D.L. n.76/2013) anche se il precedente rapporto a tempo determinato era sorto prima di tale data, quindi soggetto ad una normativa diversa in materia di intervalli.
Il principio che stava alla base del ragionamento del legislatore è che la durata dell’intervallo da rispettare doveva essere determinata con riguardo alla disciplina vigente al momento della stipulazione del contratto successivo al primo.
Occorre precisare che non si applicava e non si applica tutt’ora la disciplina del regime degli intervalli temporali nel caso di assunzione dei lavoratori in mobilità14, in considerazione della peculiarità del contratto e in quanto ipotesi non contemplata dal D.lgs.n. 368/2001 ma dall’articolo 8, comma 2, L.n. 223/1991.
Tutto questo processo di evoluzione storico normativa dell’istituto dello stop and go il legislatore la sintetizza nel comma 2 dell’articolo 21 precisando che i limiti temporali non si applicano ai lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nonche' nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi. Fino all'adozione del decreto di cui al secondo periodo continuano a trovare applicazione le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525. Con riferimento all’ultimo periodo del comma 2 si intende che se dal momento dell’entrata in vigore del dlgs n. 81 non fossero intervenuti accordi collettivi in materia di stagionalità e nelle more dell’entrata in vigore del decreto ministeriale, continuano ad applicarsi le disposizioni previste dal RDP n. 1525 del 1963.
Limiti di contingentamento
Dalla liberalizzazione del contratto acausale ai limiti legali e contrattuali
In materia di limiti quantitativi per il ricorso al contratto a tempo determinato si sono succedute alcune rilevanti modifiche all’originaria disciplina allora dettata dal D.lgs. n. 368/2001.
La riforma Fornero considerando il contratto a tempo determinato come un “terzo genus” rispetto all’ordinario contratto a tempo determinato –come definito dall’articolo 1 comma 1 del D.lgs. n. 368/200115- non prevedeva l’applicazione diretta dei limiti di contingentamento contrattuali già definiti nelle contrattualistiche di settore.
13 In questa categoria troviamo anche le attività definite da avvisi comuni ai sensi dell’articolo 5 comma 4 ter che viene espressamente richiamato nel secondo periodo del comma 3 dell’articolo 5.
14 Vademecum della Direzione per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro del 22/04/2013.
15 Art.1 comma 1 Dlgs. n.368/2001 come modificato dalla Legga n.92/2012
Il legislatore aveva riconosciuto infatti alle parti sociali la possibilità di prevedere, per il contratto acausale, differenti limiti di contingentamento rispetto a quelli già definiti per il contratto a tempo determinato ordinario. Nel caso in cui il contratto nazionale di categoria non prevedeva nessuna norma specifica per l’acausalità, questa fattispecie era esclusa da qualsiasi forma di contingentamento.
Erano in ogni caso esclusi da limitazioni quantitative i contratti a tempo determinato conclusi:
1) nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazioni di lavoro in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
2) per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell’elenco allagato al D.P.R n. 1525/1963 e successive modificazioni e integrazioni;
3) per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi;
4) con lavoratori di età superiore a 55 anni.
Anche a seguito dell’intervento correttivo del Ministro Xxxxxxxxxx con il decreto n. 76/2013, la disciplina legata ai limiti di contingentamento non subirà modifiche, occorre aspettare l’intervento del ministro Xxxxxxx e del relativo decreto 34/2014 per vedere completamente stravolta la disciplina del contingentamento dei contratti a tempo determinato.
Oltre ad aver considerato il contratto acausale come un ordinario contratto di lavoro e non più un terzo genere rispetto alla “normalità” dell’istituto, introduce anche un limite legale di contingentamento, dando vita di fatto ad un regime duale tra limite contrattuale e limite legale di contingentamento.
01. Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro.
1. E' consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro.
1-bis. Il requisito di cui al comma 1 non è richiesto nell'ipotesi del primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nel caso di prima missione di un lavoratore nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell'articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. I contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere, in via diretta a livello interconfederale o di categoria ovvero in via delegata ai livelli decentrati, che in luogo dell'ipotesi di cui al precedente periodo il requisito di cui al comma 1 non sia richiesto nei casi in cui l'assunzione a tempo determinato o la missione nell'ambito del contratto di somministrazione a tempo determinato avvenga nell'ambito di un processo organizzativo determinato dalle ragioni di cui all'articolo 5, comma 3, nel limite complessivo del 6 per cento del totale dei lavoratori occupati nell'ambito dell'unità produttiva.
2. L'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 1-bis relativamente alla non operatività del requisito della sussistenza di ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo.
3. Copia dell'atto scritto deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall'inizio della prestazione.
4. La scrittura non è tuttavia necessaria quando la durata del rapporto di lavoro, puramente occasionale, non sia superiore a dodici giorni.
Il nuovo decreto legislativo n. 81 non fa altro che riscrivere la normativa relativa al numero complessivo di contratti a tempo determinato, apportando anche ulteriori chiarimenti rispetto alla prime formulazioni.
Come avete potuto analizzare nel precedente volume della collana Lavoro e Turismo dedicato al tempo determinato particolare attenzione era stata posta sulla coesistenza di due limiti quello legale e quello contrattuale in materi di numero complessivo di contratti che potevano essere stipulati.
Anche nella nuova formulazione il legislatore fa salve le diverse disposizioni previste dai contratti collettivi in materia di limiti di contingentamento tema questo che in fase di prima applicazione del precedente testo ,articolo 1 comma 1 del D.lgs. n. 368/2001, aveva suscitato alcuni dubbi interpretativi.
Il problema riguardava quei contratti collettivi che prevedevano già delle percentuali di contingentamento prima dell’entrata in vigore del d.l n. 34/2014 (21 aprile 2014), ma le riferivano a causali specifiche e non in maniera generica.
Nel nostro caso, l’articolo 55 lettera a) del CCNL Industria Turistica prevede dei limiti di contingentamento per alcune causali specifiche, ma essendo venuto meno il sistema della causali, risulta difficile sostenere che possa essere fatta salva la volontà originaria delle parti sociali.
Il limite contrattuale dovrebbe rimane in vigore solamente nel caso che esso preveda una percentuale generica non riconducibile a nessun elenco specifico di causali, quindi in linea con le novità normative.
Possiamo quindi confermare quanto già precedentemente comunicato ovvero che per le aziende che applicano il CCNL Industria Turistica deve essere applicato il limite legale del 20% dell’intero organico aziendale e non la tabellina prevista dall’articolo 55 lettera a).
Il nuovo articolo 23 in materia di limite di contingentamento se non nella sua formulazione letterale non apporta significativi cambiamenti all’impianto già precedentemente chiarito con la conversione in legge del decreto legge n. 34.
La prima modifica che il lettore può notare è che il legislatore concede alla contrattazione aziendale la possibilità di intervenire della ridefinizione della disciplina del tempo determinato.
Procedendo nell’esame del comma 1 dell’articolo 23 è opportuno analizzare le varie modifiche e i chiarimenti che si sono succeduti nel tempo in base ai vari interventi normativi.
Limite Legale
Attraverso la legge n. 78/2014 il legislatore interviene sul comma 1 dell’articolo 1 del d.lgs n. 368/2001definendo in maniera chiara la base occupazionale sulla quale applicare il limite del 20%, individuando soprattutto l’elemento temporale da prendere
come riferimento. Il 20% deve dunque riferirsi ai contratti a tempo indeterminato in forza al 1 gennaio dell’anno di assunzione.
L’originale formulazione infatti prevedeva solamente che : fatto salvo quanto disposto dall'articolo 10, comma 7, il numero complessivo di rapporti di lavoro costituiti da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo, non può eccedere il limite del 20 per cento dell'organico complessivo. Per le imprese che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.
Questa formulazione aveva sollevato moltissimi dubbi interpretativi, proprio per questo motivo, in fase di conversione in legge, il legislatore interviene mettendo la specifica del limite temporale utile al calcolo del 20%.
Il Ministero del Lavoro a distanza di cinque mesi dall’entrata in vigore del D.L. n.34 , contenente disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese, ha emanato la circolare esplicativa n.18 del 2014 con l’intento di sanare alcuni dubbi interpretativi derivanti dalla lettura del testo normativo con particolare riferimento alla disciplina del contratto a tempo determinato.
Il Ministero chiarì che il datore di lavoro era tenuto a verificare quanti rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato erano vigenti alla data del 1° gennaio dell’anno di stipula del contratto o, per le attività iniziate durante l’anno, alla data di assunzione del primo lavoratore a termine.
L’impianto descritto nella circolare del Ministero del Lavoro rimane ad oggi valido infatti il legislatore nella sua opera di razionalizzazione delle disposizioni normative relative al tempo determinato inserisce nel nuovo testo anche alcuni chiarimenti ministeriali.
Particolare attenzione deve essere fatta dal datore di lavoro nel momento della verifica, sono infatti esclusi dal computo alcune tipologie contrattuali come ad esempio i rapporti di natura autonoma o di lavoro accessorio, i lavatori parasubordinati, gli associati in partecipazione e i lavoratori a chiamata a tempo indeterminato privi di indennità di disponibilità.
Rientrano invece nel computo i lavoratori part-time, i dirigenti a tempo indeterminato e gli apprendisti. Quest’ultimi ricompresi nella base di calcolo dall’interpretazione dello stesso Ministero del Lavoro che supera anche la disposizione dell’articolo 7 comma 3 del D.lgs. n. 167/2001 secondo la quale, fatte salve specifiche previsioni di legge o di contratto collettivo, i lavoratori assunti con contratto di apprendistato sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative ed istituti. La ratio di ciò, giustifica il Ministero, risiede nella previsione dell’articolo 1, comma1, del D.lgs. n. 167/2001 secondo la quale il contratto di apprendistato è definito come contratto di lavoro a tempo indeterminato.
La verifica concernente il numero dei lavoratori a tempo indeterminato dovrà essere effettuata in relazione al totale dei lavoratori in forza (al 1° gennaio) a prescindere dall’unità produttiva dove gli stessi sono occupati.
Nel caso in cui il datore di lavoro alla data del 1° gennaio abbia in corso 10 rapporti di lavoro a tempo indeterminato, potrà assumere siano a 2 lavoratori a termine, a prescindere dalla durata dei contratti e ciò anche se, nel corso dell’anno, il numero dei lavoratori “stabili” sia diminuito.
Presumibilmente questo principio vale anche nel caso in cui nel corso dell’anno i lavoratori “stabili” aumentino e ciò risulta, a detta dello scrivente, in contrasto con il principio della “proporzione” tra lavoratori stabili e a termine enunciato nella circolare.
Il limite del 20% non vuole essere un limite fisso annuale dei contratti a tempo determinato stipulati, infatti tornando all’esempio sopracitato, il datore di lavoro una volta calcolato il 20% sul totale dei lavoratori, potrà stipulare tanti contratti a tempo determinato purché non superiori a tale limite.
Esempio:
Lavoratori a tempo indeterminato al 1° gennaio = 10 Lavoratori a tempo determinati assumibili = 10*20%= 2
Lavoratori | Gen | Feb | Mar | Apri | Mag | Giu | Lug | Ago | Sett | Ott | Nov | Dic |
Indeterminati | 10 | 10 | 10 | 10 | 10 | 10 | 10 | 10 | 8 | 8 | 8 | 8 |
Determinati stipulati | 2 | 1 | 0 | 0 | 1 | 1 | 0 | 0 | 0 | 2 | 0 | 0 |
Determinati cessati | 0 | 2 | 1 | 0 | 0 | 0 | 0 | 0 | 2 | 0 | 0 | 0 |
Determinati in forza | 2 | 1 | 0 | 0 | 1 | 2 | 2 | 2 | 0 | 2 | 2 | 2 |
Rapporto | 20% | 10% | 0% | 0% | 10% | 20% | 20% | 20% | 20% | 20% | 20% | 20% |
Nel caso descritto dalla tabella, il datore di lavoro ha di fatto “stipulato” più di due contratti a termine (7 nel corso dell’anno), ma mai contemporaneamente, rispettando in questo modo il limite legale del 20% tra contratti stabili e a tempo determinato. Avendo ridotto l’organico a tempo indeterminato, passando dai 10 agli attuali 8 dipendenti, a gennaio dell’anno successivo il calcolo del 20% dovrà avere come base gli 8 dipendenti ovvero, 8*20%= 1.6.
Questo esempio ci permette di introdurre anche un altro concetto quello relativo agli arrotondamenti da effettuare nel caso in cui il risultato della moltiplicazione sia un numero decimale. In questo caso qualora il decimale sia uguale o superiore a 0,5, l’arrotondamento andrà fatto per eccesso.
Nel caso sopracitato quindi, i contratti a tempo determinato stipulabili nell’anno sono sempre 2 perché il risultato della moltiplicazione è 1.6.
Questo sistema di arrotondamenti ora è stato inserito nel primo periodo del comma 1 dell’articolo 23.
Il Ministero del lavoro sempre con la circolare n. 18 del 2014 chiarì che qualora il datore di lavoro, prima della pubblicazione della presente circolare, abbia proceduto all’assunzione di un numero di lavoratori a termine sulla base di un arrotondamento in eccesso, con criteri difformi da quelli indicati dal Ministero, la sanzione per il superamento del limite dei contratti a termine non trova applicazione.
In fine è opportuno chiarire che non concorrono al superamento dei limiti quantitativi le assunzioni di disabili con contratto a tempo determinati ai sensi dell’articolo 11 della L.n. 68/1999 e le acquisizione di personale a termine nelle ipotesi di trasferimenti d’azienda o rami di azienda. In tale ultimo caso i relativi rapporti a tempo determinato potranno essere prorogati nel rispetto della attuale disciplina mentre un eventuale rinnovo degli stessi dovrà essere tenuto in contro ai fini della valutazione sul superamento dei limiti quantitativi.
Il comma 2 dell’articolo 23 riporta un elenco delle di fattispecie per le quali non opera il limite del contingentamento del 20%.
Risultano quindi esclusi :
Sono esenti dal limite di cui al comma 1, nonche' da eventuali limitazioni quantitative previste da contratti collettivi, i contratti a tempo determinato conclusi:
a) nella fase di avvio di nuove attivita', per i periodi definiti dai contratti collettivi, anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e comparti merceologici;
b) da imprese start-up innovative di cui all'articolo 25, commi 2 e 3, del decreto- legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, per il periodo di quattro anni dalla costituzione della societa' ovvero per il piu' limitato periodo previsto dal comma 3 del suddetto articolo 25 per le societa'
gia' costituite;
c) per lo svolgimento delle attivita' stagionali di cui all'articolo 21, comma 2;
d) per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi;
e) per sostituzione di lavoratori assenti;
f) con lavoratori di eta' superiore a 50 anni.
“Il limite percentuale di cui al comma 1 non si applica, inoltre, ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra universita' private, incluse le filiazioni di universita' straniere, istituti pubblici di ricerca ovvero enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere attivita' di insegnamento, di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa, tra istituti della cultura di appartenenza statale ovvero enti, pubblici e privati derivanti da trasformazione di precedenti enti pubblici, vigilati dal Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, ad esclusione delle fondazioni di produzione musicale
di cui al decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, e lavoratori impiegati per soddisfare esigenze temporanee legate alla realizzazione di mostre, eventi e manifestazioni di interesse culturale. I contratti di lavoro a tempo determinato che hanno ad oggetto in via esclusiva lo svolgimento di attivita' di ricerca scientifica possono avere durata pari a quella del progetto di ricerca al quale si riferiscono.”
Diritto di Precedenza
Il legislatore anche nei confronti della disciplina del diritto di precedenza opera una forma di semplificazione inserendo all’interno dell’articolo 24 le frammentate disposizioni già previste dall’articolo 5 comma 4-quater,4-quinquies, 4- sexies del D.lgs. n. 368/2001.
In materia di diritto di precedenza il legislatore era già intervenuto con il D.L. n. 34/2014 inserendo la specifica che il diritto di precedenza deve essere espressamente richiamato nell’atto scritto del contratto a tempo determinato.
L’impianto del diritto di precedenza rimane comunque invariato, il lavoratore che, nell’esecuzione di uno o più contratti a tempo determinato presso la stessa azienda, ha prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine.
Il comma 3 dell’articolo 24 prevede che il lavoratore assunto a tempo determinato per lo svolgimento di attività stagionali ha diritto di precedenza rispetto a nuove assunzioni a tempo determinato da parte dello stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali.
Come abbiamo detto in precedenza il legislatore fa salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, quindi occorre analizzare quanto previsto dagli articoli 53 e 56 del CCNL Industria Turistica.
L’articolo 53 del CCNL disciplina il diritto di precedenza per i lavoratori che abbiano prestato attività lavorativa con contratto a tempo determinato nelle aziende o nelle unità produttive di aziende a carattere stagionale.
In questo caso bisognerà prendere come riferimento le tempistiche e le modalità disciplinate nel seguente articolo.
Ai sensi della disposizione generale del comma dell’articolo 24 del D.lgs. n.81/2015, anche per i lavoratori stagionali il diritto di precedenza deve essere espressamente richiamato nell’atto scritto del contratto a tempo determinato.
L’articolo 56 del CCNL Industria Turistica disciplina invece il diritto di precedenza per i lavoratori che abbiano prestato attività lavorativa con contratto a tempo determinato per ragioni di intensificazioni dell’attività produttiva in particolari periodi dell’anno in aziende non a carattere stagionale.
Su questo punto è opportuno fornire qualche chiarimento anche a seguito dell’intervento del legislatore che ha tolto le causali di riferimento per la sottoscrizioni dei contratti a termine.
Come avrete avuto modo di leggere anche nei precedenti numeri della collana lavoro e turismo, in caso di contratti stagionali o riconducibili alla stagionalità è sempre opportuno continuare a specificare la “causale stagionale” in modo tale da escludere il contratto da alcune limitazioni legislative.
Nel caso dell’articolo 56, si fa riferimento all’intensificazione dell’attività produttiva in determinati periodi dell’anno che ai sensi di quanto previsto nell’allegato 2 del CCNL Industria Turistica questa dizione rientra nella cosiddetta “stagionalità in senso ampio”. Ciò significa che nell’articolo 56 si tratta di un diritto di precedenza per contratti stagionali in senso ampio in aziende che non hanno carattere stagionale, ovvero che sono ad apertura annuale o comunque fuori dalla definizione di azienda di stagione prevista per legge.
In questa fase di prima applicazione del D.lgs. n. 81/2015 possiamo ipotizzare che gli articoli 51 e 56 del CCNL Industria Turistica disciplinano il diritto di precedenza riferito alla stagionalità in senso stretto e in senso ampio in aziende di stagione o ad apertura annuale. Ciò significa che il comma 1 dell’articolo 24 si riferisce esclusivamente ai contratti a tempo determinato “puri” e non riconducibili alla stagionalità.
Le novità nel computo dei lavoratori a tempo determinato
Il legislatore all’articolo 27 del D.lgs. n. 81/2015 disciplina i criteri di computo, facendo comunque salve le diverse disposizioni previste dai contratti collettivi.
Su questo aspetto è opportuno ricordare che la Legge n. 97 del 2013, contenente disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea, intervenne modificando l’articolo 8 del decreto legislativo n.368, introducendo un nuovo sistema di computo dei lavoratori a tempo determinato ai fini dell’applicazione dell’articolo 3516 dello Statuto dei Lavoratori. I limiti numerici previsti da tale articolo sono necessari a loro volta per l’applicazione del Titolo III dello Statuto del Lavoratori rubricato “Dell’attività sindacale” che contiene al suo interno 9 articoli quali:
1) art. 19 – Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali;
2) art. 20 – Assemblea;
3) art. 21 – Referendum;
16 Art. 35.
(Campo di applicazione)
Per le imprese industriali e commerciali, le disposizioni del titolo III, ad eccezione del primo comma dell'articolo 27, della presente legge si applicano a ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa piu' di quindici dipendenti. Le stesse disposizioni si applicano alle imprese agricole che occupano piu' di cinque dipendenti.
Le norme suddette si applicano, altresi', alle imprese industriali e commerciali che nell'ambito dello stesso comune occupano piu' di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano piu' di cinque dipendenti anche se ciascuna unita' produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti.
4) art. 22 – Trasferimento dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali;
5) art. 23 – Permessi retribuiti;
6) art. 24 – Permessi non retribuiti;
7) art. 25 – Diritto di affissione;
8) art. 26 – Contributi sindacali;
9) art. 27 – Locali delle rappresentanze sindacali aziendali (il comma 1 di tale articolo, prevede dei limiti numeri superiori).
Secondo la nuova normativa “i limiti prescritti dal primo e secondo comma dell'articolo 35 della legge n.300 del 1970, per il computo dei dipendenti si basano sul numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell'effettiva durata dei loro rapporti di lavoro.”
La vecchia formulazione invece prevedeva che solo i contratti a tempo determinato di durata superiore a 9 mesi venissero conteggiati ai fini dell’applicazione dell’articolo 35.
Con il nuovo criterio introdotto dalla legge comunitaria tutti i lavoratori a tempo determinato concorrono alla formazione dell’organico aziendale anche se in misura proporzionale alla durata del proprio rapporto.
Il nuovo criterio di computo oltre che ai fini dell’articolo 35 viene esteso anche all’articolo 3 del D.lgs. n.25/2007 che prevede l’insorgenza degli obblighi di informazione e consultazione nelle imprese che impiegano almeno 50 dipendenti.
Il legislatore aveva previsto che “in fase di prima applicazione delle nuove disposizioni, il computo dei lavoratori a tempo determinato sarà effettuato alla data del 31 dicembre 2013, con riferimento al biennio antecedente a tale data”.
Fino a tale data l’organico venne computato secondo il vecchio criterio previsto dall’articolo 8 del D.lgs. n. 368/2001, ovvero dei 9 mesi.
La disciplina sanzionatoria
Il legislatore nel D.lgs. n. 81/2015 sintetizza e apporta significativi chiarimenti al regime sanzionatorio applicabile al contratto a tempo determinato.
Il legislatore in sede di conversione del D.L. n. 34/2014 ha introdotto una specifica sanzione amministrativa nel caso di non rispetto dei limiti quantitativi di assunzioni con contratto a tempo determinato, sanzione quindi che decorre a far data dal 20 maggio 2014.
Per quanto riguarda le norme transitorie, la legge di conversione, aggiungendo il comma 2-ter all’articolo 1 del D.L. n. 34/2014, aveva previsto che la “nuova” sanzione non si applicasse ai rapporti di lavoro istaurati precedentemente alla data di entrata in vigore del decreto che comportino il superamento del limite percentuale. Con l’introduzione del comma 3 dell’articolo 2 bis, delle disposizioni transitorie del
D.L. 34/2014, il legislatore aveva previsto che il datore di lavoro, che alla data di entrata in vigore del presente decreto, avesse in corso rapporti di lavoro a termine
che comportino il superamento del limite percentuale questo era tenuto a rientrare nel predetto limite entro il 31 dicembre 2014, salvo che un contratto collettivo applicabile nell’azienda avesse disposto un limite percentuale o un termine più favorevole.
In questo caso quindi la contrattazione collettiva poteva individuare una percentuale e/o un diverso termine, successivo al 31 dicembre 2014, per rientrare nei limiti.
Era altresì abilitata ad intervenire anche la contrattazione di livello territoriale e aziendale ma a quest’ultima veniva concessa esclusivamente la possibilità di disciplinare il regime transitorio.
Detto ciò a partire dal 2015 i datori di lavoro non potranno effettuare nuove assunzioni a tempo determinato nel caso in cui a far data dal 21 marzo 2014 avevano già superato i limiti quantitativi, senza rientrarvi successivamente entro il 31 dicembre 2014.
A seguito dell’entrata in vigore del nuovo regime sanzionatorio (20 maggio 2014), anche tali datori di lavoro potranno essere sanzionati qualora, anziché rientrare nei limiti quantitativi, effettuino ulteriori assunzioni a tempo determinato.
E’ comunque possibile prorogare tali contratti, anche se oltre i limiti, senza incorrere nella sanzione amministrativa prevista dal legislatore.
Occorre precisare che la sanzione amministrativa prevista precedentemente dall’articolo 5, comma 4 septies, del D.lgs. n. 368/2001 ed ora dal comma 4 dell’articolo 23 del D.lgs. n. 81/2015, si applica in caso di superamento del limite sia legale che contrattuale per la stipula dei contratti a tempo determinato.
Il legislatore al medesimo articolo 23 comma 4 apporta un’importante chiarimento ovvero che in caso di violazione dei limiti percentuali sia legali che contrattuali resta esclusa la trasformazione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato, prevedendo solamente una sanzione amministrativa per il datore di lavoro.
La sanzione prevede:
a) al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non e' superiore a uno;
b) al 50 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale e' superiore a uno.
La retribuzione da prendere in considerazione ai fini del calcolo è la retribuzione lorda mensile riportata nel singolo contratto di lavoro, desumibile anche attraverso una divisione della retribuzione annuale per il numero di mensilità spettanti. Nel caso in cui nel contratto individuale non sia esplicitamente riportata la retribuzione lorda
mensile o annuale, occorrerà invece rifarsi alla retribuzione tabellare prevista nel contratto collettivo applicato o applicabile.
Di particolare interesse è l’analisi che la circolare ministeriale n. 18 del 2014 fa in caso di applicazione della sanzione al contratto di lavoro a tempo determinato in somministrazione. Tornando sul tema precedentemente affrontato della validità del limite legale o del limite contrattuale, la circolare ci dice che si ritengono ancora efficaci le clausole contrattuali che impongono limiti complessivi (tempo determinato e somministrazione) alla stipula di contratti a termine e alla utilizzazione di lavoratori somministrati. In questo caso, ai fini dell’individuazione del regime sanzionatorio applicabile, bisognerà verificare se il superamento dei limiti sia avvenuto in ragione del ricorso a contratti a tempo determinato o alla somministrazione di lavoro. Nel primo caso sarà infatti applicabile la sanzione di cui all’articolo 5, comma 4 septies, del D.Lgs. n. 368/2001, nel secondo caso invece quella di cui all’articolo 18, comma 3, del D.lgs. n. 276/2003.
Nel caso in cui il limite venga superato di due unità, la prima assunta a tempo determinato e la seconda in somministrazione, troverà applicazione la sanzione di cui al D.lgs. 368/2001, dovendosi escludere la contestuale applicazione di due sanzioni.
Esclusioni e discipline specifiche
L’articolo 29 del D.lgs. n.81/2015 disciplina in maniera più organica e semplificata le esclusioni e le discipline specifiche rispetto a quanto disposto dalla normativa relativa al contratto a tempo determinato.
L’intero articolato viene di molto ridotto rispetto a quanto previsto nel precedente articolo 10 del D.lgs. n.368/2001 che oltre alle esclusioni conteneva anche l’individuazione non uniforme dei limiti quantitativi di utilizzazione del contratto a tempo determinato.
Vorrei ricordare che tra le discipline specifiche e le esclusioni dal campo di applicazione del D.lgs. n. 81/2015 c’è il contratto di extra e surroga che il legislatore inserisce al comma 2 lettera b) dell’articolo 29.
Rispetto al precedente disposto normativo alla lettera b) il legislatore ha tolto il riferimento ai sindacati locali o nazionali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, lasciando semplicemente la definizione “nei casi individuati dai contratti collettivi”.
Bibliografia
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Legge 6 agosto 2013, n. 97
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Legge Finanziaria per il 2014 L. n. 147 del 2013
Decreto Legge n. 34 del 2014
Legge di Conversione n. 78/2014
Legge 10 dicembre 2014 n. 183 (Jobs Act)
Decreto legislativo n. 81 del 2015
Circolari e Accordi
Circolare Ministero del lavoro n. 18 del 18 luglio 2012
Accordo 22 Novembre 2012 in materia di intervalli tra un contratto a tempo determinato e il successivo sottoscritto da Federturismo Confindustria e dell’Associazione Italiana Confindustria Alberghi con Filcams-Cgil, Fiscascat- Cisl e Uiltucs- Uil
Lettera Circolare Ministero del Lavoro prot. n. 37 del 22 aprile 2013
Circolare Ministero del Lavoro n. 35 del 29 agosto 2013
Nota Ministero del Lavoro prot. n. 31 del 04/10/2013
Messaggio Inps n. 4152 del 2014
Circolare MLPS n. 18 del 2014
Per maggiori informazioni: Xxxxxx Xxxx
Relazioni Industriali e Affari Sociali Federturismo Confindustria Tel. 06/0000000 - Fax 06/0000000
E-mail: x.xxxx@xxxxxxxxxxxx.xx