UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI “M. FANNO”
CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E MANAGEMENT
PROVA FINALE CONTRAFFAZIONE ONLINE
La Tutela Giuridica del Marchio nel Web
RELATORE:
XX.XX XXXX.XXX: XXXXXX XXXXXXXX
LAUREANDA: DE XXXXXXXXXX XXXXXX XXXXXXXXX X. 1043623
ANNO ACCADEMICO 2014 – 2015
Indice
Introduzione 3
Capitolo I – Il marchio in Internet 7
1. Xxxxxxx, Nome a Dominio e Contraffazione 7
Capitolo II - Tecniche di contraffazione e casi giurisprudenziali 13
1. Le Violazioni del Marchio nel Web 13
a. La registrazione in malafede del marchio: il cybersquatting 13
b. L’utilizzo di Keywords advertising corrispondenti al marchio altrui 14
c. Le etichette nascoste: I meta-tag 20
d. Altri Comportamenti atti a ingenerare un rischio di confusione tra i consumatori 22
Capitolo III - La Tutela del Marchio 24
1. L’Azione di rivendicazione 24
b. Il Trasferimento Provvisorio 26
3. Pubblicazione Provvedimento e Risarcimento del Danno 26
4. Competenza per materia e territorio 27
Capitolo IV – La Tutela del Consumatore 29
1. I mezzi giuridici a tutela del consumatore 29
2. I mezzi tecnici degli ISP 30
3. Linee Guida per Acquisti Sicuri 32
Introduzione
La realtà di oggi è caratterizzata da sempre più intensi scambi commerciali, da una crescente innovazione, sviluppo, e competizione tra le imprese.
All’interno di questo quadro generale, le imprese per essere competitive richiedono un continuo rinnovamento, il quale può avvenire attraverso l’aumento della creatività o con la ricerca di metodi di produzione più avanzati che consentano la riduzione dei costi e la massimizzazione del profitto. Tali operazioni non sono così immediate, poiché hanno bisogno di ingenti investimenti e nuove scoperte, che non tutti possono adottare. In questa situazione emergono allora altre vie per garantire lo sviluppo, e non tutte sono legali, si pensi ad esempio a quella della contraffazione.
Com’è affermato dal rapporto di Indicam, il più importante istituto per la lotta alla contraffazione, questo fenomeno è un insieme complesso di violazioni di leggi, regolamenti dei diritti di proprietà intellettuale, come la violazione del marchio altrui, e di sfruttamento commerciale di prodotti di ogni genere. 1
A oggi con una sempre più crescente globalizzazione, una tecnologia più avanzata, si prenda l’esempio della diffusione di Internet, i canali per vendere merce contraffatta sono sempre più numerosi ed è sempre più difficile riconoscere un prodotto originale da uno falsificato. All’interno della rete è più complicato anche individuare un responsabile e capire quali sono le norme che si possono applicare, sia per fermare questo business illegale e dannoso, sia per tutelare aziende e consumatori finali.
I dati che emergono sulla diffusione e sulla velocità di crescita di tale fenomeno sono abbastanza preoccupanti, basti pensare alle stime del rapporto IPERICO, il quale afferma:
“ entro il 2015 il valore totale della contraffazione a livello mondiale raggiungerà i 1.700 miliardi di dollari, comprensivo del commercio internazionale, del valore della produzione, dei consumi interni e del valore della pirateria digitale. ” 2
Tutti i settori sono coinvolti; i dati CENSIS sono molto chiari su questo punto: “ il settore dell’abbigliamento produce un fatturato di 2 miliardi e 243 milioni di euro, il comparto tecnologico di dvd, cd e software ha un fatturato di 1.786 miliardi di euro ed infine il settore alimentare con circa 1 miliardo di euro. Un business che sottrae all’economia italiana circa
1 Indicam, 2014. La Minaccia della contraffazione.
Disponibile su: xxxx://xxx.xxxxxxx.xx/xxxxx.xxx?xxxxxxxxxx_xxxxxxx&xxxxxxxxxxxx&xxx00&Xxxxxxx00 [Data di accesso: 06/06/2015]
2 Rapporto IPERICO 2013. La contraffazione in cifre dal 2008 al 2012.
Disponibile su: xxxx://xxx.xxxx.xxx.xx/xxxxxxxxxxx/Xxxxxxx/XXXXXXX_0000_xxx00000000.xxx [Data di accesso: 17/06/2015]
lo 0,45% del PIL e allo stato sottrae 5 miliardi e 280 milioni di euro, pari al 2% del totale delle entrate”. 3
La contraffazione non produce danni sono per l’economia, ma è anche un danno per i singoli Stati, per le imprese e per i consumatori finali.
Per lo Stato la contraffazione rappresenta un furto: questo fenomeno comporta un’evasione totale, come è emerso dal rapporto CENSIS, con il risultato che il mancato introito ricade sui cittadini ai quali vengono aggiunte ulteriori imposte per coprire il disavanzo che si è creato.
Per la società è un crimine che si compie con lo sfruttamento di lavoro, con riciclaggio di denaro, con la creazione di un’importante area d’investimento per la criminalità organizzata e con un aumento dei casi di corruzione.
Per le imprese è una perdita di qualità, d’immagine, di innovazione, di profitti e di investimenti. Come emerge dall’articolo di Xxxxxx Xxxxxxxx, scrittrice per il Sole 24 Ore “ (…) le aziende spendono sempre di più per combattere chi produce e vende prodotti falsi (…): si stima ad esempio che Lvmh in un anno investa dai 10 ai 20 milioni di dollari in azioni legali legate alla contraffazione.” 4
Tutto questo ha notevoli effetti negativi, tra cui:
⮚ Un indebolimento dell’innovazione, elemento fondamentale della crescita economica;
⮚ Una perdita di posti di lavoro e un incremento dello sfruttamento del lavoro sommerso;
⮚ Un rischio per la salute dei consumatori a causa della scarsa qualità dei materiali;
⮚ Un’incisione negativa sul commercio e sugli investimenti;
Sono proprio questi motivi che hanno suscitato la mia curiosità su questo tema e che mi hanno spinto a un maggior approfondimento.
Con il mio elaborato mi sono concentrata in particolar modo sulla contraffazione del marchio nel Web; la nascita di Internet, infatti, ha reso molto più facile la diffusione di tale fenomeno in quanto la rete offre ad esempio la possibilità di creare profili falsi, di conseguenza individuare l’autore degli illeciti è molto difficile, e inoltre il suo utilizzo come canale di
3 Censis, 2014. La Contraffazione: dimensione, caratteristiche ed approfondimenti. Rapporto 2014: la parola ai giovani e al territorio.
Disponibile su: xxxx://xxx.xxxx.xxx.xx/xxxxxxxxxxx/xxxxxxx/0000000/Xxxxxxxx%00xxxxxxxxxxxxxx%000000_Xxxxxxx%00.xxx [Data di accesso: 06/06/201]
4 Xxxxxx Xxxxxxxx, 2008. Falsi, Internet aggira le norme.
Disponibile su: xxxx://xxx.xxxxxx00xxx.xxx/xxx/XxxxXxXxxx0/Xxxxxxxx%00x%00Xxxxxx/0000/00/xxxxx-xxxxxxxx- norme.shtml?uuid=d0f9483c-683c-11dd-969e-63dadc2b0c77&DocRulesView=Libero
[Data di accesso: 30/04/2015]
vendita è molto più conveniente. A tutto questo si aggiunge la diffusione degli acquisti online, diventati oramai all’ordine del giorno, i quali hanno portato all’incremento di fenomeni che abbiano come obiettivo l’inganno dei consumatori poco esperti, guidandoli ad acquistare prodotti che nella rete sembrano originali, ma che invece non sono, danneggiando così non solo il loro diritto alla salute alla sicurezza, ma anche i diritti delle aziende titolari del marchio violato.
Tutto questo mi ha dunque condotto a indagare su quali sono le tecniche di violazione del marchio nel web e quali sono le azioni di tutela che possono intraprendere aziende e consumatori. In particolare, mi sono concentrata sulla tutela che è stata offerta dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria su tale tema. Il mio obiettivo era di dimostrare che nonostante la staticità e la certezza del diritto, che si scontrano con la dinamicità della contraffazione e della rete, nel corso degli anni i legislatori sono stati in grado di creare una normativa univoca e uniforme per contrastare tale fenomeno, permettendo così ai soggetti danneggiati di tutelarsi in modo efficace.
Il diritto, tuttavia, rappresenta uno dei mezzi di tutela. Il fenomeno della contraffazione, infatti, è vastissimo e in continua espansione, di conseguenza per creare validi strumenti di contrasto è fondamentale che tutti gli attori dell’economia, Consumatori, Imprese e Stati, compiano delle azioni di prevenzione il cui obiettivo sia quello di controllare, sviluppare e affermare la qualità dei prodotti originali.
Nonostante tutto, importanti sono stati gli interventi della Corte di Giustizia Europea, la quale si è espressa su alcuni casi di contraffazione che le sono stati sottoposti. Attraverso tali sentenze sono stati individuati i fenomeni illeciti che possono essere compiuti online, permettendo così al titolare del diritto violato di identificarli e intraprendere così le azioni di tutela regolate dalle normative in materia.
Al fine di rendere più agevole la comprensione di tale fatto, ho suddiviso il mio elaborato in quattro parti.
Nel primo capitolo ho dato alcune definizioni necessarie per comprendere il fenomeno. In particolare grazie alla consultazione di alcuni manuali, come il Codice di Proprietà Industriale e l’Enciclopedia Treccani, ho definito i termini di contraffazione, nomi a dominio e marchi d’impresa i quali sono strettamente collegati tra loro.
Inoltre ho fatto una rassegna delle fonti normative più importanti in materia, le quali sono state poi riprese nei casi giurisprudenziali che sono stati sottoposti alla Corte di Giustizia.
Nel terzo capitolo mi sono concentrata sulle azioni di tutela previste dal Codice di Proprietà industriale, in particolare sull’azione di rivendicazione, stabilita dall’art. 118, e sulle misure cautelari, regolate dall’art. 133.
In questo contesto ho inoltre cercato di chiarire il tema della competenza, visto che Internet è caratterizzato dall’immaterialità e affinché le azioni citate siano dei validi strumenti di contrasto, era opportuno chiarire a chi i titolari del diritto del marchio si debbano rivolgere per intraprendere tali azioni di contrasto.
Nel quarto capitolo mi sono dedicata alla tutela del consumatore. In particolare ho fatto una rassegna delle novità introdotte dalla Direttiva Europea 83/2011 sugli acquisti online, sugli strumenti messi a disposizione dagli ISP, e in particolare da eBay, società leader del commercio elettronico, per poi concludere identificando alcune linee guida utili da seguire qualora si compiano acquisti online per non cadere vittima di contraffazione.
Capitolo I – Il marchio in Internet
1. Marchio, Nome a Dominio e Contraffazione
La globalizzazione, le evoluzioni tecnologiche, l’apertura dei mercati, le crisi economiche, il crescente ruolo d’internet, sono tutti fattori che hanno portato le imprese a dover affrontare una crescente competizione e concorrenza.
E’ in questo scenario, rappresentato da cambiamenti continui e da un’estrema volatilità, che emerge il fenomeno della contraffazione, che con il tempo ha coinvolto tutti i settori merceologici: dall’abbigliamento ai profumi, dalle borse alle scarpe, dai dvd ai ricambi di auto, dai giocattoli ai prodotti alimentari, portando così a una sua continua evoluzione.
Non si tratta di un fenomeno nuovo, quello che a oggi è cambiato è la scala mondiale su cui si svolge; con la nascita di nuovi canali di vendita i contraffattori hanno colto l’opportunità di ampliare il loro giro d’affari. In passato, infatti, si acquistava soprattutto alle bancarelle, ed era più facile rendersi conto di acquistare merce illegale, ma a oggi con l’affermazione della rete internet, grazie alle aste online e l’e – commerce, è sempre più difficile controllare tale fenomeno. La particolarità della rete, sotto tale aspetto, deriva dal fatto che online la distinzione dei prodotti contraffatti da quelli originali è quasi impossibile, poiché accade spesso che le immagini degli annunci, i siti web in cui si acquista, sembrino quelli dei prodotti ufficiali, anche se in realtà si tratta di prodotti illeciti.
Per spiegare come avviene la violazione del marchio nel web, è importante dare alcune definizioni dei termini di ‘contraffazione’, ‘marchio d’impresa’ e ‘nomi a dominio’, i quali sono strettamente collegati tra di loro e costituiscono i punti fondamentali di questo elaborato.
Secondo i termini dell’accordo TRIPs – Trade Related aspects of Intellectual Property rights – negoziato in seno alla World Trade Organization, il termine contraffazione è esclusivamente riferibile ai casi di violazione del marchio di fabbrica e di commercio, includendo qualunque azione tesa a realizzare prodotti che imitano le caratteristiche di un altro prodotto con lo scopo di trarre in inganno l’acquirente e di ricavare un illecito guadagno dalla vendita di beni non autentici.
Di conseguenza, l’espressione ‘beni con marchio contraffatto’ indica qualunque tipo di bene, incluso l’imballaggio, che rechi senza autorizzazione, un marchio di fabbrica identico a
quello registrato per lo stesso genere di prodotto (…) e che di conseguenza violi i diritti del legittimo titolare del marchio medesimo.”5
Il marchio com’è affermato dall’art 7 del Codice della Proprietà Industriale, D.lgs 30/2005, “ può essere costituito da “ (…) tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purche' siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese”.6
Il marchio è dunque il più importante segno distintivo dell’impresa, di cui contraddistingue i prodotti e i servizi. Sul piano economico, oggi è tutelato non solo come strumento per informare il pubblico della provenienza dei prodotti, ma anche come simbolo che il pubblico ricollega a quei prodotti per i quali esso è utilizzato e su cui si concentra il valore di mercato. E’ inoltre indicatore dell’origine, e dunque fornisce una garanzia sulle caratteristiche e sulla qualità dei prodotti.
Come ho accennato all’inizio, oggi le imprese sono inserite in un mercato caratterizzato da una forte concorrenza e una continua innovazione, di conseguenza per essere competitive hanno la necessità espandersi e far conoscere i propri prodotti e servizi oltre i confini nazionali.
La rete internet e la possibilità di creare propri siti web, sotto tale aspetto, costituiscono un valido strumento per raggiungere un vasto numero di consumatori e soddisfarne le diverse esigenze. Possiamo facilmente comprendere come il marchio nel web assuma un'altra importante funzione: attrarre il pubblico consentendogli di compiere ricerche sui prodotti o i servizi su cui è apposto quel determinato simbolo.
Affinché ciò sia possibile, è necessario introdurre nella nostra analisi un altro importante elemento, il c.d. domain name o nome a dominio, ovvero l’indirizzo che gli utenti della rete digitano nella barra di navigazione del browser per collegarsi ad un sito web.
Esso si presenta così: xxxx://xxx.xxxx.xx ed è costituito da 3 parti:
⮚ La parte iniziale (xxxx://xxx.) è comune a quasi tutti i nomi a domino.
5 Xxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Enciclopedia Italiana – VII Appendice. Contraffazione dei Prodotti, 2006. Disponibile su: xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxxxxxx-xxx-xxxxxxxx_%00Xxxxxxxxxxxx-Xxxxxxxx%00/ [Data di accesso: 15/06/2015]
6 Codice della proprietà industriale. D.lgs 10 febbraio 2005, n°30 Disponibile su: xxxx://xxx.xxxx.xxx/xxxxxxx/xx/xxxx.xxx?xxxx_xxx000000 [Data di accesso: 14/06/2015]
⮚ La parte centrale (nome), che identifica i diversi siti web e può indicare il marchio d’impresa.
⮚ La parte finale (it, com, org), che indica la cosiddetta estensione.
Marchio e nome a dominio sono strettamente collegati tra loro; le aziende, infatti, per essere visibili in rete, dovrebbero registrare il proprio marchio come nome a dominio, poiché solo con la registrazione possono avere le tutele previste contro la violazione dei diritti di proprietà industriale, all’interno dei quali è stato ricondotto anche il domain name. Non assicurarsi la proprietà del nome a dominio corrispondente al proprio marchio nei luoghi in cui l’azienda intende operare, la espone al pericolo che il proprio marchio sia utilizzato in modo abusivo da terzi in Internet e non poter godere delle tutele che la giurisprudenza e la dottrina hanno elaborato.
Per comprendere quali siano gli strumenti di difesa previsti, è necessario indagare su quali siano le normative più importanti per la trattazione di tale fenomeno e a cui fare riferimento in caso di violazione del marchio.
2. Le Normative in materia
Una prima fonte normativa per la tutela del nome a dominio è il Codice della Proprietà Industriale, il quale lo considera come un segno distintivo che è collegato all’attività dell’impresa in quanto ne identifica il sito web. Per tale motivo esso è soggetto alla medesima disciplina e tutela prevista per gli altri segni distintivi dell’impresa. Un primo importante principio è sancito dall’art 22 del CPI, il quale si occupa di stabilire “l’unitarietà dei segni distintivi”. L’articolo in esame, infatti, afferma: “E’ vietato adottare come nome a dominio di un sito usato nell’attività economica un segno uguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività d’impresa dei titolari di quei due segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni.”
Oltre al divieto di utilizzare come nome a dominio il marchio altrui per prodotti appartenenti allo stesso settore merceologico, al secondo comma l’articolo fa divieto di utilizzare un marchio rinomato come nome a dominio, anche se i prodotti contraddistinti da tale marchio, non appartengono alla stessa categoria di quelli della società concorrente. L’articolo in esame infatti afferma: “ Il divieto si estende all’adozione come nome a dominio di un sito usato nell’attività economica di un segno uguale o simile ad un marchio registrato per prodotti o
servizi anche non affini, che goda dello stato di rinomanza se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio del carattere distintivo o della rinomanza del marchio e reca pregiudizio agli stessi.”7
L’art. 22 ha dunque un importante obiettivo da perseguire: evitare che l’utilizzo nel nome a dominio di un marchio altrui possa generare negli utenti del web un rischio di confusione o di associazione tra due aziende concorrenti, conducendo così allo sviamento della clientela e danneggiando l’azienda titolare del marchio violato.
Altre importanti norme derivano dalle Direttive e dai Regolamenti Europei, in particolare dobbiamo fare riferimento alla Direttiva 2008/95/CE, al Regolamento 40/94/CE (oggi sostituito con il 207/2009) e alla Direttiva 2000/31/CE.
La Direttiva 2008/95 è stata introdotta per sostituire la precedente Direttiva 89/104, la quale aveva come obiettivo il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa.
Come affermato dal Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea nel testo della direttiva, “ Le legislazioni che si applicavano ai marchi d’impresa negli Stati membri prima che la direttiva 89/104/CEE entrasse in vigore presentavano disparità in grado di ostacolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi, nonché di falsare le condizioni di concorrenza nel mercato comune. Era pertanto necessario ravvicinare le legislazioni degli Stati membri per garantire il buon funzionamento del mercato interno.
(…) È fondamentale, per agevolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi, procurare che i marchi d’impresa registrati abbiano negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri la medesima tutela (…)”8
Per garantire dunque questa uniformità nella difesa del marchio, il legislatore europeo ha ritenuto necessario creare una legislazione comunitaria di armonizzazione, e poiché questo tema è in continua evoluzione, anche il diritto per continuare a garantire la sua funzione di protezione deve adattarsi ai nuovi cambiamenti; tali motivi hanno spinto la Comunità Europea a sostituire nel 2008 la Direttiva precedente e a modificare alcune disposizioni diventate obsolete.
Un successivo passo in avanti nella tutela dei diritti di proprietà industriale è stato fatto con l’emanazione del Regolamento 40/94, il quale fu rivisto e sostituito con il Regolamento
7 Codice della proprietà industriale. D.lgs 10 febbraio 2005, n°30 Disponibile su: xxxx://xxx.xxxx.xxx/xxxxxxx/xx/xxxx.xxx?xxxx_xxx000000 [Data di accesso: 06/06/2015]
8 Direttiva 2008/95/CE: (2), (10)
Disponibile su: xxxx://xxx-xxx.xxxxxx.xx/XxxXxxXxxx/XxxXxxXxxx.xx?xxxxXX:X:0000:000:0000:0000:xx:XXX [Data di accesso: 27/07/2015]
207/2009. Tale regolamento introduceva il c.d. Marchio Comunitario, il cui obiettivo era di permettere alle imprese di acquisire tramite la registrazione, marchi che avessero una protezione uniforme e gli stessi effetti in tutto il territorio comunitario.
Tale obiettivo è descritto in modo chiaro nel testo del Regolamento, il quale all’art. 2 afferma: “È opportuno promuovere un armonioso sviluppo delle attività economiche nell’intera Comunità e un’ espansione continua ed equilibrata mediante il completamento e il buon funzionamento di un mercato interno che offra condizioni analoghe a quelle di un mercato nazionale (…)”. Tra gli strumenti giuridici di cui le imprese dovrebbero disporre a tal fine, sono particolarmente appropriati marchi che consentano loro di contraddistinguere i rispettivi prodotti o servizi in modo identico in tutta la Comunità (…).” 9
Infine un altro importante intervento in materia di tutela è avvenuto con la Direttiva 2000/31/CE, recepita in Italia con il D.lgs 70/2003, la quale stabilisce una forma di responsabilità degli Internet Service Provider per gli illeciti che vengono compiuti tramite il web.
L’Internet Service Provider (abbreviato ISP) è l’operatore commerciale che (…) fornisce ai suoi utenti numerosi servizi, tra i quali la possibilità di accedere a Internet, di gestire un proprio sito web o le proprie caselle di posta elettronica10.
Per avere un’idea di chi possa essere considerato un ISP, si pensi ad esempio alle aziende come Telecom, Tiscali, Fastweb, o ancora Google, Ebay, le quali tramite il pagamento di un abbonamento permettono ai loro utenti di utilizzare i servizi offerti dalla Rete.
L’obiettivo principale di tale norma era di riconoscere un soggetto che potesse essere ritenuto responsabile delle violazioni commesse nella rete, laddove non fosse possibile identificare il vero autore dell’illecito, cercando di proteggere in ogni caso la libera prestazione dei servizi online all’interno della Comunità e creando regole omogenee per il commercio elettronico. 11
9 Regolamento 207/2009/CE: (2)
Disponibile su: xxxx://xxx-xxx.xxxxxx.xx/XxxXxxXxxx/XxxXxxXxxx.xx?xxxxXX:X:0000:000:0000:0000:xx:XXX [Data di accesso: 27/07/2015]
10 Enciclopedia Treccani, Internet Service Provider Disponibile su: xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxx/xxx/ [Data di accesso: 25/05/2015]
11 Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, 2007. D.lgs. 70/2003: Quale responsabilità per l’Internet Provider?
Disponibile su: xxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxxxxxx-xxxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxxxxxx/00-x-xxx-000000-xxxxx-xxxxxxxxxxxxxx-xxx-xxxxxxxxx- provider.html
[Data di accesso: 30/04/2015]
Capitolo II - Tecniche di contraffazione e casi giurisprudenziali
1. Le Violazioni del marchio nel Web
La violazione del diritto del marchio può avvenire attraverso diversi strumenti che comprendono: il cybersquatting, l’utilizzo di meta-tag, di keywords advertising, e altri atti idonei a generare confusione, come ad esempio il deep linking, e il framing.
Ciò che accomuna questi mezzi sono i danni e le conseguenze che ne derivano; in particolare attraverso tali tecniche si produce il c.d. traffic diversion, meglio conosciuto come sviamento della clientela, in quanto inducono gli utenti a ritenere che siti web o prodotti di appartenenza ad aziende diverse, siano in realtà collegate tra di loro o offrano i medesimi prodotti o servizi. Come ho accennato prima, al fine di comprendere come si sia evoluta la normativa in materia, è interessante analizzare alcuni casi giurisprudenziali cercando così di capire quale sia la posizione della giurisprudenza in materia.
a. La registrazione in malafede del marchio: il cybersquatting
Come abbiamo potuto osservare nel primo capitolo, presupposto essenziale per ottenere la tutela del nome a dominio corrispondente al proprio marchio è la sua registrazione presso l’Autorità competente. La regola di registrazione è “first come, first served”, ovvero seguendo l’ordine cronologico delle richieste, in base al quale chiunque chieda per primo l’assegnazione di un nome di dominio non ancora registrato da altri, ne ottiene la registrazione ed il diritto di utilizzo in esclusiva, indipendentemente dal fatto che tale nome di dominio sia un diritto altrui.12
Può dunque accadere che un utente decida di registrare domini web riconducibili a marchi altrui (qualora questo non sia già stato registrato dal titolare stesso) con lo scopo di avere dei notevoli vantaggi economici 13. Si origina così il fenomeno definito cybersquatting, il quale porta un notevole beneficio al titolare del domain name imitante, in quanto gli utenti sono indotti a visitare il sito web recante il marchio famoso o rinomato, portando così ad un aumento del valore del sito stesso, il quale dipende dal numero di visitatori che leggono e visionano la pubblicità in esso contenuta.
12 Xxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxx. 2013 – Il Domain Name
Disponibile su: xxxx://xxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxxx/xxxxxxxxxx/xxxxxx0.xxxx#_xxx0 [Data di accesso: 28/07/2015]
13 Società Italiana Brevetti. Nome a dominio
Disponibile su: xxxx://xxx.xxx.xx/Xxxx-xxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx-xxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx [Data di accesso: 17/06/2015]
Un altro vantaggio che deriva dalla registrazione del marchio altrui è quello di impedire la registrazione da parte del vero titolare per poi trarre un corrispettivo dalla vendita del dominio al titolare stesso.
Sull’illiceità di tale fatto si è espresso il Tribunale di Milano, il quale con ordinanza del 16 maggio 2003 n. 28691 ha dichiarato: “ I nomi di dominio, corrispondenti ai siti della rete Internet sono indubbiamente segni distintivi d’impresa, avendo la funzione di attrarre l’attenzione di clienti e fornitori a visitare il sito e a mettersi in contatto con l’imprenditore.” In tale sentenza viene inoltre riaffermato il divieto di adottare come segno distintivo, un segno uguale o simile all’ altrui marchio.14
Un’altra importante norma a sostegno di tale tesi è presente nel Codice della Proprietà Industriale, in particolare all’art 19, il quale al secondo comma afferma “ Può ottenere una registrazione del marchio d’impresa chi lo utilizzi o si proponga di utilizzarlo, nella fabbricazione o commercio di prodotti (…) della propria impresa o di imprese di cui abbia il controllo o che ne facciano uso con il suo consenso.(…). Non può inoltre ottenere la registrazione del marchio d’impresa chi ne abbia fatto la domanda in mala fede (…)15. Da questa analisi possiamo dunque affermare che l’utilizzo abusivo di domini internet corrispondenti a marchi noti deve ritenersi un fenomeno illecito, di conseguenza in tale fattispecie il titolare potrà adottare le azioni di tutela previste per la protezione dei segni distintivi.
b. L’utilizzo di Keywords advertising corrispondenti al marchio altrui
Le keywords, sono parole chiavi, inserite nelle pagine web il cui scopo è di attirare il maggior numero di visitatori e pubblicizzare determinati prodotti o servizi.
Per compiere una ricerca in Internet viene digitata una determinata parola corrispondente all’oggetto che si sta cercando. La pagina che appare contiene molta pubblicità formata da annunci, post con offerte di nuovi prodotti, e da link sponsorizzati. Questa pubblicità può essere classificata in due tipologie: quella spontanea che compare quando si osserva più volte uno stesso oggetto o quella creata dagli inserzionisti. Alcuni motori di ricerca mettono a disposizione un c.d. servizio a pagamento di posizionamento, tramite il quale l’inserzionista,
14 Tribunale di Milano, 16 maggio 2003 – Ordinanza 28691.
Disponibile su: xxxx://xxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxxx/xxxxxxxxxx/xxxxxx0.xxxx#_xxx0 [Data di accesso: 28/07/2015]
15 D.lgs 10 febbraio 2005, n°30 - Codice della proprietà industriale Disponibile su: xxxx://xxx.xxxx.xxx/xxxxxxx/xx/xxxx.xxx?xxxx_xxx000000 [Data di accesso: 06/06/2015]
acquista delle parole chiave per pubblicizzare i propri prodotti creando, link sponsorizzati che se aperti conducono al sito web dell’inserzionista.
L’utilizzo di keywords di per sé è un’attività lecita, tuttavia occorre prestare attenzione a quali parole chiave sono utilizzate dall’inserzionista; qualora un’azienda utilizzasse nei propri annunci pubblicitari il marchio di un’azienda concorrente, operante nello stesso settore merceologico, potrebbe ricondurre la clientela ad associare il marchio altrui all’azienda inserzionista, provocando così sviamento della clientela e dunque ricadendo nell’ipotesi di contraffazione del marchio.
Su questo tipo di violazione, la Corte di Giustizia è stata chiamata più volte per chiarire le azioni di contrasto che può compiere il titolare del marchio e quali sono i soggetti su cui ricade la responsabilità per il compimento dell’illecito.
Un primo importante intervento si è avuto il 23 marzo 2010, in cui nella causa C-237/08, la Corte si è pronunciata sull’utilizzo da parte di concorrenti della società titolare del marchio Xxxxx Xxxxxxx, di Keywords Advertising corrispondenti al marchio di tale azienda nel servizio di posizionamento Google Adwords, al fine di far apparire il proprio link pubblicitario, qualora l’utente utilizzasse quel marchio per effettuare una ricerca online.
La società coinvolta aveva fatto notare che utilizzando il motore di ricerca della Google, l’inserimento da parte degli utenti di Internet delle parole chiave corrispondenti al suo marchio faceva apparire alcuni link che si ricollegavano a siti contenenti imitazioni di prodotti della corrispondente società.
Le questioni sottoposte alla Corte di Giustizia erano volte a chiarire se, ai sensi delle norme comunitarie, in particolare con riferimento alle Direttiva 89/104 (oggi 2008/95) e il Regolamento 40/94 (oggi 207/2009):
1. il titolare di un marchio possa impedire agli inserzionisti di utilizzare parole chiave che corrispondano al suo marchio;
2. l’inserzionista possa essere ritenuto responsabile della violazione di un marchio, qualora selezioni sul motore di ricerca una parola chiave corrispondente a quel marchio;
3. il prestatore del servizio di posizionamento sia escluso dalla responsabilità di violazione del marchio in quanto svolge attività di hosting come stabilito dall’art. 14 della direttiva sul commercio elettronico.16
Sul primo punto la Corte di Giustizia, interpretando quanto disposto dall’art. 5.1 lett. a) della Direttiva 89/104, e dal Regolamento 40/94, all’art 9, comma 1 lett. a): “ Il marchio di impresa e il marchio comunitario registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui è stato registrato”. Di conseguenza la Corte stabilisce che:“ Il titolare di un marchio può vietare ad un inserzionista di fare pubblicità – a partire da una parola chiave identica a detto marchio, (…) qualora la pubblicità di cui trattasi non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o invece da un terzo; Inoltre afferma: “ Il prestatore di un servizio di posizionamento su Internet che memorizza come parola chiave un segno identico a un marchio e organizza, a partire da quest’ultima, la visualizzazione di annunci non fa un uso di tale segno ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 o dell’art. 9, n. 1, lett. a) e b), del regolamento n. 40/94”17 di conseguenza non può ritenersi responsabile.
Sul secondo quesito la Corte ha ritenuto che l’uso del marchio come parola chiave fa ‘uso del commercio ’, ovvero l’uso fa parte di un contesto di un’attività commerciale il cui fine è quello di percepire un vantaggio economico. Di conseguenza, dal punto di vista dell’inserzionista la selezione della parola chiave identica al marchio ha per oggetto e per effetto la visualizzazione di un link pubblicitario verso il sito sul quale egli mette in vendita i propri prodotti o i propri servizi”.
“(…) L’inserzionista, che abbia selezionato come parola chiave il segno identico a un marchio altrui, mira a far sì che gli utenti di Internet, inserendo tale parola quale termine di
16 Società Italiana Brevetti, 22 aprile 2010. ‘La Sentenza di Adwords’ Disponibile su: xxxx://xxx.xxx.xx/xx/xxxx-xx-xxxxxx/xxxx/000.xxxx [Data di accesso: 28/07/2015]
17 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 marzo 2010, Google Adwords, punto 99 Disponibile su:
xxxx://xxxxx.xxxxxx.xx/xxxxx/xxxxxxxx/xxxxxxxx.xxx;xxxxxxxxxxx0xx0x0x000x000x0x000xx0000000x0xxx0x0x0000xx.x00Xxxx Lc3eQc40LaxqMbN4ObN8
[Data di accesso: 28/07/2015]
ricerca, selezionino non solo i link visualizzati che provengono dal titolare di detto marchio, ma anche il link pubblicitario di detto inserzionista.”18
Pertanto come emerge dalla sentenza, egli è responsabile per tale violazione.
Infine nel terzo punto, con riferimento alla responsabilità dell’ISP, la Corte interpretando quanto disposto dall’art 14 della Direttiva 2000/31, sezione 4, afferma che la limitazione della responsabilità prevista si applica: “in caso di prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio”, la Corte ha ritenuto che “ il prestatore di un tale servizio non può essere ritenuto responsabile per i dati che ha memorizzato su richiesta di un destinatario del servizio in parola, salvo che tale prestatore, dopo aver preso conoscenza, mediante un’informazione fornita dalla persona lesa o in altro modo, della natura illecita di tali dati o di attività di detto destinatario, abbia omesso di rimuovere prontamente tali dati o disabilitare l’accesso agli stessi”19
Riassumendo possiamo dunque stabilire che, qualora un terzo utilizzi come parola chiave un marchio altrui, allo scopo di attirare verso il proprio sito il maggior numero di utenti:
⮚ Il prestatore di un servizio di posizionamento non viola i diritti di marchio;
⮚ Gli inserzionisti violano i diritti di marchio ai sensi della normativa europea quando utilizzano una parola chiave identica a un marchio per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio è registrato se l’annuncio pubblicitario non rende chiaro all’utente di internet normalmente informato che i prodotti non provengono dal titolare del marchio
⮚ Ai sensi dell’art. 14 della Direttiva sul commercio elettronico, il prestatore del servizio di posizionamento non può essere ritenuto responsabile per una parola chiave che ha memorizzato su richiesta di un inserzionista, salvo che, essendo venuto a conoscenza della natura illecita di tali dati o di attività di tale inserzionista, egli abbia omesso di prontamente rimuovere o disabilitare l’accesso alla parola chiave in questione.
18 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 marzo 2010, Google Adwords, punti 51,52,67 Disponibile su:
xxxx://xxxxx.xxxxxx.xx/xxxxx/xxxxxxxx/xxxxxxxx.xxx;xxxxxxxxxxx0xx0x0x000x000x0x000xx0000000x0xxx0x0x0000xx.x00Xxxx Lc3eQc40LaxqMbN4ObN8
Un secondo caso molto interessante, ha visto la Corte di Giustizia intervenire sul medesimo tema con la sentenza nota come L’Oreal/Ebay, C-324/2009, nella quale inizialmente la Corte ribadisce il concetto che aveva stabilito nella sentenza Google Adwords: “ il titolare di un marchio può vietare al gestore di un mercato online di fare pubblicità partendo da una parola chiave identica a tale marchio selezionata da tale gestore nell’ambito di un servizio di posizionamento su internet, ai prodotti recanti detto marchio messi in vendita nel suddetto mercato qualora siffatta pubblicità non consenta o consenta difficilmente, all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se tali prodotti o servizi provengono dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata o da un terzo”20.
La questione sottoposta alla Corte era la seguente. Nel 2007, la società di cosmesi, l’Oreal, aveva notato la presenza di prodotti venduti illegalmente nel Regno Unito sul sito inglese xxxx.xx.xx. L’Oreal aveva così agito in giudizio contro Ebay per impedirle di continuare con la vendita di questi prodotti, i quali erano ritenuti dalla società contraffatti e privi delle confezioni o comunque disimballati.
L’Oreal affermava altresì che eBay aveva violato i suoi diritti di proprietà intellettuale utilizzando marchi L’Oreal come collegamenti ipertestuali nonché acquistando termini identici a tali marchi come parole chiave per collegamenti sponsorizzati su motori di ricerca quali Google, e Yahoo al fine di attrarre clientela verso il sito eBay. Inoltre L’Oreal, la quale aveva notificato ad eBay le attività che considerava lesive dei propri diritti di marchio, lamentava l’inadeguatezza delle misure predisposte da eBay per impedire la vendita di prodotti contraffatti sul proprio mercato online.
Per quanto riguarda l’uso di parole chiave corrispondenti ai marchi altrui, abbiamo già potuto chiarire che il titolare del marchio registrato può vietare ai terzi l’utilizzo di tale parola qualora questo crei confusione tra gli utenti.
Sulla questione riguardante la mancanza dell’imballaggio dei prodotti, la CGE si è espressa affermando: “ il titolare di un marchio può, in forza del diritto esclusivo conferitogli da quest’ultimo, opporsi alla rivendita di tali prodotti, per il fatto che il rivenditore ha eliminato l’imballaggio, qualora in conseguenza della rimozione di tale imballaggi, vengano a mancare delle informazioni essenziali, come quelle relative all’identificazione del produttore o del
20 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 luglio 2011, C 324/09, L’Oreal vs Ebay.
responsabile dell’immissione in commercio del prodotto cosmetico. Nel caso in cui la rimozione dell’imballaggio non abbia condotto a siffatta mancanza di informazioni, il titolare del marchio può nondimeno opporsi a che un profumo o un prodotto cosmetico contrassegnato dal marchio di cui è titolare sia rivenduto privato dell’imballaggio, laddove dimostri che la rimozione dell’imballaggio ha arrecato pregiudizio all’immagine del prodotto in questione e quindi alla reputazione del marchio.”21
Per quel che riguarda la responsabilità dell’ISP e l’accusa rivolta da L’Oreal contro Ebay per non aver agito nonostante le notifiche della presenza di merci illegali effettuate dalla società, la Corte di Giustizia ribadisce che l’esonero della responsabilità del provider previsto dall’art
14. della Direttiva 2000/31 opera solo se: “ Non sia effettivamente al corrente del fatto che l’informazione o l’attività è illecita (..) o non appena al corrente di tali fatti agisca immediatamente per rimuoverne le informazioni o disabilitarne l’accesso”22. Tuttavia chiarisce che qualora il gestore di un mercato online abbia prestato un’assistenza consistente nell’ottimizzare la presentazione delle offerte di vendita, esso ha svolto un ruolo atto a conferirgli una conoscenza dei dati relativi alle offerte, pertanto non può avvalersi della deroga in materia di responsabilità.
Su tale punto la Corte chiarisce che spetterà ai tribunali nazionali di imporre al gestore di un mercato online di adottare provvedimenti che mirino alla cessazione della violazione dei diritti industriali e a prevenire violazioni della stessa natura. “(…) spetta agli Stati membri di far sì che gli organi giurisdizionali nazionali competenti in materia di tutela dei diritti di proprietà intellettuale possano ingiungere al gestore di un mercato online di adottare provvedimenti che contribuiscano non solo a far cessare le violazioni di tali diritti ad opera degli utenti di detto mercato, ma anche a prevenire nuove violazioni della stessa natura. Tali ingiunzioni devono essere efficaci, proporzionate, dissuasive e non devono creare ostacoli al commercio legittimo.”
Da tale sentenza, emerge dunque che:
⮚ Il titolare di un marchio può opporsi alla rivendita di prodotti senza le confezioni originali se ciò comporta che i prodotti vengono venduti privi di informazioni
21 Corte di Giustizia, 12 luglio 2011, C-324/09, L’Oreal/Ebay, punto 3 sezione IV.
Disponibile su: xxxx://xxxxx.xxxxxx.xx/xxxxx/xxxxxxxx/xxxxxxxx.xxx?xxxxxx000000&xxxxxxxxXX [Data di accesso: 28/07/2015]
22 Direttiva 2000/31/CE, art. 14
Disponibile su: xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxxx/00_00xx.xxx [Data di accesso: 30/05/2015]
essenziali come l’identità del produttore o se l’eliminazione delle confezioni provoca danni all’immagine del prodotto e conseguentemente alla reputazione del marchio.
⮚ L’ISP non è esonerato da responsabilità:
• Se svolge un ruolo attivo, qualora ad esempio presti un’assistenza consistente nell’ottimizzare la presentazione delle offerte in vendita;
• Se nonostante si sia limitato alla fornitura neutra di un servizio, sia comunque stato al corrente di fatti o di circostanze che lo informavano sull’illegalità dell’attività o dell’informazione; tuttavia le notifiche su presunte attività illecite non possono automaticamente comportare la responsabilità dell’ISP per il fatto illecito, dato che notifiche relative ad attività o informazioni illecite possono rivelarsi poco precise. Spetterà ai giudici nazionali chiarire se l’ISP possa godere o no dell’esenzione.
⮚ Se il gestore del mercato online non agisce di propria iniziativa per sospendere l’utente che viola i diritti di proprietà intellettuale in modo da impedire violazioni ulteriori, i tribunali nazionali possono imporre al gestore di un mercato online di adottare provvedimenti che contribuiscano a far cessare le violazioni e a prevenire nuove violazioni della stessa natura.
c. Le etichette nascoste: I meta-tag
Una terza tecnica, molto simile a quella analizzata precedentemente, consiste nell’utilizzare all’interno del proprio sito web dei meta –tag, ovvero parole chiavi, che numerosi motori di ricerca (Google, Yahoo, Altervista) utilizzano per individuare i vari siti presenti nella rete”.23 La loro funzione principale consiste nel descrivere il contenuto del sito web contenente quella parola chiave con lo scopo di renderlo maggiormente visibile ai visitatori.
Qualora un concorrente utilizzasse come meta-tag il nome di un marchio noto, quando tale marchio è digitato per fare una ricerca, compariranno tutti i siti che contengono quella determinata parola, anche se non sono collegati all’azienda titolare del marchio utilizzato.
Ad esempio un rivenditore di macchine usate potrebbe inserire nel proprio sito il meta-tag ‘Ferrari’, nel momento in cui verrà digitata tale parola chiave il motore di ricerca farà
23 Xxxxx Xxxxxxxxx, 2014. I Meta tag.
Disponibile su: xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xxxxxxxxxx.xxx/xxxx-xxx.xxxx [Data di accesso: 30/05/2015].
comparire anche il sito del rivenditore, anche se non ha nulla a che vedere con la famosa azienda italiana.24
L’uso confusorio di meta-tag costituiti da un marchio noto, può costituire fenomeno di contraffazione, poiché potrebbero influenzare e sviare le scelte del consumatore, ricorrendo così in un'ipotesi di violazione del diritto esclusivo di marchio.
Anche su tale questione è intervenuta la Corte di Giustizia, la quale ha dichiarato l’illiceità di tale pratica. La controversia che le era stata sottoposta risale al 2007 e vede contrapposte due società belghe: la Best e la Visys. Quest’ultima aveva utilizzato come meta-tag al fine di far apparire il proprio sito web, il marchio della società concorrente “BEST”; la società titolare del marchio citò in giudizio la concorrente ritenendo che l’utilizzo di tale parola chiave come meta-tag ledesse il suo diritto esclusivo di marchio.
La CGUE, nella sentenza C-657/2011, da ragione alla Best, affermando: “l’utilizzo di tali metatags corrispondenti alle denominazioni dei prodotti di un concorrente e al nome commerciale del medesimo avrà come effetto, per regola generale, che, quando un utente di Internet alla ricerca dei prodotti di tale concorrente inserisce una delle denominazioni o il nome di cui sopra in un motore di ricerca, il risultato naturale mostrato da tale motore risulterà modificato a vantaggio dell’utilizzatore di detti metatags e il link verso il sito Internet di quest’ultimo verrà incluso nell’elenco dei risultati, eventualmente in diretta prossimità del link che rinvia al sito Internet del citato concorrente.(…) Nella maggior parte dei casi, inserendo la denominazione del prodotto di una società o il nome di quest’ultima quale parola di ricerca, l’utente di Internet si prefigge di trovare informazioni od offerte su questo specifico prodotto o su questa società e la sua gamma di prodotti. Pertanto, quando nell’elenco dei risultati naturali vengono visualizzati dei link verso siti che propongono prodotti di un concorrente di detta società, l’utente di Internet può percepire tali link come offerta di un’alternativa, o pensare che essi rinviino a dei siti che offrono i prodotti di quest’ultima (…).” 25
Secondo la Corte l’utilizzo di tale tecnica comporta lo sviamento della clientela nonché crea confusione tra gli utenti, i quali possono essere indotti a pensare che i prodotti dell’azienda
24 Xxxxxx Xxxx, Università di Milano Bicocca, 2001. ‘L’utilizzo illecito di meta-tag’
Disponibile su: xxxx://xxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxx.xxx?Xx000&XXXxxxx000 [Data di accesso: 13/06/2015]
25 Xxxxx xx Xxxxxxxxx Xxxxxxx, 00 luglio 2013, C-657/11. Disponibile su:
xxxx://xxxxx.xxxxxx.xx/xxxxx/xxxxxxxx/xxxxxxxx.xxx;xxxxxxxxxxx0xx0x0x000x0x0xxxx0x0x000x00x0x0xx0x0000x b71.e34KaxiLc3eQc40LaxqMbN4ObNeLe0?text=&docid=139411&pageIndex=0&doclang=it&mode=lst&dir= &occ=first&part=1&cid=415601
[Data di accesso: 28/07/2015]
concorrente, il cui sito compare con la digitazione del marchio rinomato, siano in qualche modo collegati all’azienda titolare del marchio utilizzato. Tale conclusione permette quindi di chiedere tutela, nei confronti di tali forme di utilizzo, dei propri segni distintivi.
d. Altri Comportamenti atti a ingenerare un rischio di confusione tra i consumatori
Tra le altre pratiche idonee a creare confusione tra gli utenti sono ricomprese:
⮚ Linking: collegamento ipertestuale che consente di passare da un sito web ad un altro.
⮚ Surface linking: collegamento alla pagina principale (home page) di un sito. Di per sé è un fenomeno lecito in quanto non crea rischio di confusione.
⮚ Deep linking: collegamento a una pagina intera del sito altrui. Quest’ultimo è:
• Lecito - se il cambio è riconoscibile come nel caso in cui porti all’apertura di un'altra pagina web.
• Illecito - nel caso in cui tale passaggio non sia riconoscibile attraverso l’applicazione di un’altra tecnica definita Framing.
⮚ Framing: strumento attraverso il quale l’utente che si collega ad un dato sito e su di esso utilizza un link, verrà collegato ad una pagina di un altro sito, ma detta pagina viene visualizzata all’interno della cornice (frame) del primo sito; gli avvisi pubblicitari dunque posti su questo continueranno a circondare la pagina agganciata ed ad ogni pagina successiva che gli utenti andranno a visualizzare. Il sito che funge da cornice, detto "framer", non offre alcun contenuto proprio, bensì si limita a sfruttare il contenuto dei siti altrui cui si aggancia, traendo la propria fonte di guadagno dalla vendita dello spazio pubblicitario posto sui lati della cornice all'interno della quale si materializzano i contenuti informativi altrui. Tale pratica è illecita in quanto induce gli utenti a ritenere che ci sia un’associazione tra due aziende ed eventualmente a sviarli da quella titolare del marchio, portando così anche ad uno sfruttamento dell’attività altrui. 26
26 Xxxxx Xxxxxxxxx, 2014. Il Framing.
Disponibile su: xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xxxxxxxxxx.xxx/xxxx-xxx.xxxx [Data di accesso: 30/05/2015].
Dall’analisi di questi casi e le relative sentenze, possiamo concludere che la giurisprudenza nazionale e europea ha un orientamento univoco, il quale afferma l’illiceità dell’utilizzo di tali pratiche, e pertanto permettono al titolare di avviare le azioni di tutela previste per la protezione dei segni distintivi, sulle quali è opportuno soffermarci al fine di avere un quadro generale su come viene tutelato il marchio online.
Capitolo III - La Tutela del Marchio
Le azioni a tutela del marchio sono molteplici e vanno dall’azione di rivendicazione, alle misure cautelari tipiche (descrizione, inibitoria e trasferimento), dalla pubblicazione del provvedimento al risarcimento del danno.
1. L’Azione di Rivendicazione
Una prima forma di tutela è regolata dall’art 118, co. 6 del Codice di Proprietà Industriale, il quale afferma: “ la registrazione di nome a dominio aziendale concessa in violazione dell'articolo 22 o richiesta in mala fede, può essere, su domanda dell'avente diritto, revocata oppure a lui trasferita da parte dell'autorità di registrazione”27.
Tale norma permette al titolare del marchio registrato e violato di chiedere all’autorità giudiziaria la c.d. revoca della registrazione abusiva di un nome a dominio aziendale o la riassegnazione del nome a dominio, tramite la c.d. procedura di riassegnazione.
La procedura di riassegnazione ha lo scopo di verificare la disponibilità a registrare il nome a dominio e di indagare sulla malafede del registrante; si tratta di un procedimento speciale con il quale si può ottenere la riassegnazione del domain name e intraprendere così un’azione di contrasto contro il fenomeno del cybersquatting. 28
Per dare inizio alla procedura, i titolari del marchio devono provare tre condizioni:
1. Il nome a dominio del ricorrente deve essere identico o simile al marchio proprio;
2. Il titolare del dominio non deve avere alcun diritto a utilizzare il nome a dominio contestato;
3. La registrazione è avvenuta in malafede, cioè è avvenuta con lo scopo di:
⮚ Vendere il dominio al titolare del marchio a una cifra maggiore rispetto a quella richiesta per la registrazione;
⮚ Impedire al titolare di registrare il dominio del proprio marchio;
27 Codice Proprietà Industriale, art. 118 co. 5
Disponibile su: xxxx://xxx.xxxxxxx.xxx/xxxxxxxxx/xxxxx/0000/00/00/xxxxxx-xxxxxxxxxxxxxxx-xxx-xxxxxxx-xx-xxxxxxxxx- industriale#capo3
[Data di accesso: 28/07/2015]
28 Xxxx Xxxxxxxxxx, 2002. La procedura di riassegnazione dei nomi a dominio Disponibile su: xxxx://xxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxxx/xxxxxxxxxx/xxxxxxxxxx0.xxxx [Data di accesso: 25/05/2015]
⮚ Danneggiare gli affari del concorrente;
⮚ Attrarre gli utenti del web creando confusione tra i marchi 29;
Qualora tali condizioni siano state provate e il soggetto che ha compiuto la violazione non sia riuscito a fornire una prova della buonafede della registrazione, il nome a dominio contestato sarà riassegnato al legittimo titolare e il contraffattore dovrà cessare l’uso del dominio e sarà condannato a risarcire il danno.
2. Le Misure Cautelari
Tali tecniche sono previste dall’art. 133 del CPI il quale afferma: “ L'Autorità giudiziaria può disporre, in via cautelare, oltre all'inibitoria dell'uso nell’attività economica del nome a dominio illegittimamente registrato, anche il suo trasferimento provvisorio, subordinandolo, se ritenuto opportuno, alla prestazione di idonea cauzione da parte del beneficiario del provvedimento.” 30
Tra le misure cautelari possiamo dunque ricomprendere l’inibitoria, il trasferimento provvisorio e anche la descrizione, anche se non è espressamente prevista da tale articolo.
L’inibitoria è definita dall’art. 131 del CPI, e consiste nel vietare al contraffattore qualsiasi attività: divieto di produrre, vendere e commercializzare. Tale azione di contrasto è rivolta sia contro l’autore dell’illecito che ha registrato come proprio domain name il marchio altrui, ma può anche comprendere il contenuto del sito, come nel caso di deep linking, keywords advertising e l’uso di meta-tag. In tal caso, il titolare del diritto violato si rivolgerà all’autorità giudiziaria competente per chiedere a quest’ultima di emettere un provvedimento che obblighi il contraffattore a cessare il comportamento illecito. Lo scopo principale, infatti, dell’inibitoria è sia quello di far cessare l’utilizzo illegale del marchio altrui, sia quello di prevenire una tale utilizzazione.31
29Marco Lissandrini, 2009. “ La contraffazione del marchio su internet”.
Disponibile su: xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxx-xxxx storage/aire/13401/attachment/slide-bugnion.pdf [Data di accesso: 26/05/2015]
30 Codice Proprietà Industriale, art. 133
Disponibile su: xxxx://xxx.xxxxxxx.xxx/xxxxxxxxx/xxxxx/0000/00/00/xxxxxx-xxxxxxxxxxxxxxx-xxx-xxxxxxx-xx-xxxxxxxxx- industriale#capo3
[Data di accesso: 28/07/2015]
31 Xxxxxx Xxxxx, Aprile 2015. Domain Names: Dal Cybersquatting alla contraffazione online. 1° ed. Milano: Key srl
b. Il Trasferimento Provvisorio
In via cautelare può essere ordinato anche il trasferimento del domain name, una misura che anticipa la riassegnazione stabilita dall’art. 118 del CPI. In tale contesto l’Autorità competente emetterà un provvedimento che trasferisca il domain name dall’utilizzatore al titolare del marchio. Non può essere richiesta la revoca del nome a dominio, in quanto a seguito il domain name potrebbe riessere registrato da terzi e dunque non potrebbe eventualmente essere restituito al legittimo titolare. 32
Tra le misure cautelari non è escluso che il titolare del marchio possa richiedere l’applicazione della descrizione. Tale pratica, regolata dall’art. 129 del CPI, è una misura idonea per verificare e conseguire la prova della contraffazione avvenuta nel sito.
3. Pubblicazione Provvedimento e Risarcimento del Danno
Il titolare del marchio oltre a tali azioni di tutela può chiedere all’Autorità giudiziaria di ordinare la pubblicazione dei provvedimenti precedenti. La pubblicazione, regolata dall’art. 126, può essere disposta su tutti i siti del contraffattore oppure su siti internet in modo da far conoscere agli utenti la presenza di tali illeciti nella rete.
Inoltre dopo aver accertato la violazione del diritto di proprietà industriale, il titolare potrà richiedere anche il risarcimento del danno ai sensi del nuovo art. 125 del CPI, modificato dal D.lgs 140/2006.
La norma in esame stabilisce i criteri per la quantificazione del risarcimento del danno, tra i quali sono ricompresi:
⮚ il mancato guadagno del titolare;
⮚ I benefici economici realizzati dal contraffattore
Il titolare potrà anche richiedere la restituzione dei profitti conseguiti dal contraffattore.
00 X. x X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxx, 0000. “Marchi e Xxxxxxxx – guida teorico pratica alla proprietà industriale”. 1°ed. Napoli: Xxxxxxxxx-Xxxxxx
4. Competenza per materia e territorio
Per quel che riguarda la competenza è necessario fare una distinzione tra chi ha la competenza per materia, ciò di risolvere le cause che hanno per oggetto diritti di proprietà industriale, e la competenza territoriale, ovvero presso cui il titolare del marchio può rivendicare il diritto oggetto di violazione.
Per quel che riguarda il primo punto, competenza per materia, il D.lgs. 168/2003 all’art. 1 afferma: “ Sono istituite presso i tribunali e le corti d'appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia sezioni specializzate in materia di proprieta' industriale ed intellettuale (..) ”33
Da tale disposizione emerge che tutte le cause in materia di proprietà industriale e intellettuale sono devolute a queste Sezioni Specializzate. L’obiettivo del legislatore di indirizzare in solo 12 sedi nazionali le cause in materia di diritto industriale e intellettuale consiste nel fare in modo che queste siano discusse da giudici specializzati, con il vantaggio di una maggiore competenza in materia.
Per quel che riguarda la competenza per territorio, all’art. 120, al c. 6, nel caso di contraffazione, si prevede come territorio di competenza, il luogo in cui è avvenuto l’illecito. L’articolo, infatti, afferma: “ Le azioni fondate su fatti che si assumono lesivi del diritto dell'attore possono essere proposte anche dinanzi all'autorità giudiziaria dotata di sezione specializzata nella cui circoscrizione i fatti sono stati commessi ”.
Come abbiamo visto, costituiscono atti di contraffazione la fabbricazione, la vendita, l’importazione del prodotto contraffatto o con marchio contraffatto; di conseguenza in ognuno di questi luoghi potrà essere proposta la causa di contraffazione.
Tale situazione, tuttavia, non risponde ad alcun criterio preciso, e ha generato numerose perplessità. Un’apparente soluzione a tale problema sembrerebbe essere stata data dal Tribunale di Torino nell’ordinanza del 19.1.2014, il quale ha concluso che il luogo in cui indicare la causa di contraffazione fosse il luogo in cui nasceva l’illecito. Nel caso di Internet, il luogo identificato è quello in cui sono stati immessi i dati in rete, dunque presso la sede dell’impresa o il domicilio della persona titolare del sito lesivo 34.
33 Decreto legislativo 168/2003. 27 Giugno 2003. Art. 1
Disponibile su: xxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxxxxx/xxxxx/xxxxxxx/00000xx.xxx [Data di accesso: 28/07/2015]
34 Xxxxxx Xxxxx, Aprile 2015. Domain Names: Dal Cybersquatting alla contraffazione online. 1° ed. Milano: Key srl
Finora ho discusso su come e quali sono i diritti delle imprese che sono violati, tuttavia non bisogna dimenticare che questi fenomeni illeciti non hanno risvolti negativi per le sole imprese, ma anche per i consumatori finali, i quali sono truffati e condotti ad acquistare prodotti contraffatti, provocando e lesionando così il loro diritto alla salute e alla sicurezza.
Per tali motivi, nel successivo capitolo, cercherò di individuare quali sono i mezzi a disposizione dei consumatori per tutelarsi nel caso di acquisto di prodotti illegali, concludendo il mio elaborato fornendo delle linee guida per aiutare gli utenti meno esperti a compiere acquisti online facili e sicuri.
Capitolo IV – La Tutela del Consumatore
1. I mezzi giuridici a tutela del consumatore
Anche dal punto di vista del consumatore l’Europa ha fatto notevoli passi in avanti al fine di offrire una più vasta tutela a tutti gli utenti che effettuano acquisti online.
Con la Direttiva 83/2011, recepita in Italia dal D.lgs 21/2014, l’Europa si pone l’obiettivo di creare un mercato caratterizzato da fiducia, trasparenza e sicurezza, per permettere lo sviluppo del commercio elettronico.
Il consumatore che acquista online, secondo la legge ha il diritto di: 35
1. Ricevere informazioni sul prodotto e sul venditore: l’utente prima di effettuare l’acquisto deve ottenere informazioni riguardanti nome e indirizzo del venditore, indirizzo e-mail o numero di telefono, prezzo totale comprensivo di tutte le spese, informazioni sulla modalità di pagamento e di consegna, sulle caratteristiche e le funzioni del prodotto.
Il consumatore ha inoltre diritto a ricevere maggiori informazioni precontrattuali, infatti, eventuali clausole che limitino i diritti previsti da tale direttiva, non saranno vincolanti per il consumatore. L’onere di provare di aver adempiuto agli obblighi di informazione spetta al professionista, come affermato dall’art. 6, c. 9 dalla direttiva in esame: “l’onere della prova relativo all’adempimento degli obblighi di informazione di cui al presente capo incombe sul professionista” 36
2. Esercitare il diritto di recesso: come affermato dall’art. 9 c. 1: “ il consumatore dispone di un periodo di quattordici giorni per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali senza dover fornire alcuna motivazione(..)”
I tempi per il recesso, come affermato, sono di 14 giorni, e va fatto seguendo un modello standard valido per tutti i paesi europei. Il consumatore dovrà inoltre ricevere entro 14 giorni dal pagamento il rimborso di quanto speso, con lo stesso strumento di pagamento utilizzato per acquistare il bene o il servizio.
35 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. 2014. “La Nuova tutela dei Consumatori” Disponibile su:
xxxx://xxx.xxxx.xx/xxxxx-xxxxxxxxxxx/xxx_xxxxxxxx/0000 consumerrightscosacambia.html [Data di Accesso: 29/07/2015]
36 Direttiva Europea 83/2011, art. 6 c.9
Disponibile su: xxxx://xxx-xxx.xxxxxx.xx/XxxXxxXxxx/XxxXxxXxxx.xx?xxxxXX:X:0000:000:0000:0000:xx:XXX [Data di accesso: 31/07/2015]
Tali disposizioni sono stabilite dagli articoli: 11 c.1,12 e 13, i quali si occupano rispettivamente di stabilire: le modalità d’esercizio del diritto di recesso, gli effetti del recesso e gli obblighi del professionista.
Il consumatore ha inoltre il diritto di:
3. Ottenere la merce in tempi abbastanza contenuti: i beni devono essere consegnati al consumatore senza ritardo ingiustificato e al più tardi entro trenta giorni dalla data di conclusione del contratto. Se la consegna non avviene entro il termine stabilito il consumatore può fissare un tempo ‘supplementare’ trascorso il quale ha diritto di risolvere il contratto. Se il venditore si rifiuta di consegnare i beni o i 30 giorni sono un termine essenziale, vista la tipologia di acquisto, il consumatore può recedere senza dare termini aggiuntivi.
4. E’ fatto divieto di inserire costi nascosti o ‘trappole su internet’: Oroscopi, ricette, suonerie e giochi elettronici non potranno più essere pubblicizzati come ‘gratis’ per poi nascondere costosi abbonamenti mensili o settimanali. I consumatori dovranno infatti confermare esplicitamente di avere compreso che l’offerta è a pagamento. Il decreto stabilisce che se l’ordine deve essere effettuato azionando un pulsante o un link questi devono indicare in modo inequivocabile che con tale click il consumatore si obbliga a pagare una somma di denaro. In caso contrario, il consumatore non è vincolato al contratto o all’ordine e, dunque, non è obbligato a pagare.
Oltre e a questi mezzi giudiziari, a tutela del consumatore, ci sono anche mezzi di natura tecnica messi a disposizione dagli ISP stessi, su cui mi soffermerò brevemente.
2. I mezzi tecnici degli ISP
Gli Internet Service Provider hanno fornito importanti strumenti di cui il consumatore può avvalersi qualora subisca un illecito. In particolare, notevole è stato il ruolo svolto da Ebay in tale campo, mettendo a disposizione il programma VeRo, l’Accordo tra Utenti e il c.d ‘Spazio Sicurezza’.
Il Programma VeRo permette ai consumatori di notificare ad eBay un elenco di prodotti che si presume siano contraffatti; qualora, a seguito di un controllo, il contraente del servizio si accorga che i prodotti sono realmente illeciti, comunica tale circostanza ad eBay, la quale prevede a eliminare e a sospendere il venditore. Il servizio ha durata illimitata ed è globale, ovvero l’attivazione in uno specifico paese consente la segnalazione di violazione presso tutti i siti eBay. Al fine di eseguire segnalazioni è necessario esaminare tutti gli annunci relativi a
un determinato marchio allo scopo di individuare quelli che probabilmente sono relativi a prodotti contraffatti.
Gli elementi che possono essere di aiuto all’individuazione d’inserzioni “dubbie” possono essere:
⮚ Il prezzo del prodotto è sensibilmente inferiore rispetto a quello applicato nel mercato reale;
oppure
⮚ La vendita di più articoli dello stesso tipo (ad esempio in differenti taglie, colori, ecc.) da parte di uno stesso venditore;
Una volta effettuata la selezione degli annunci contro i quali procedere, occorrerà inviare a VeRo tante notifiche di violazione quante sono le inserzioni sospette.
Le attività sopra indicate dovranno essere svolte periodicamente con una certa frequenza per ciascun marchio, poiché in ogni istante sono immessi su eBay nuovi annunci.37
Un secondo strumento, sempre messo a disposizione da Ebay, è l ‘Accordo tra gli Utenti’ il quale prevede che il provider possa sospendere il relativo account, qualora l’utente si renda colpevole di azioni che comportino problemi, responsabilità e azioni legali.
L’accordo è un documento in cui sono indicate tutte le condizioni generali che disciplinano il rapporto tra utenti e eBay; illustra i servizi, la politica relativa alle tariffe, la politica relativa alla privacy, e i rapporti fra acquirenti e venditori in relazione alle inserzioni e relative offerte su eBay.
Nell’accordo è presente una sezione denominata “ Oggetti in cui è vietata o limitata la vendita” in cui sono elencati gli oggetti che sono ritenuti contrari da eBay in violazione dei diritti di terzi o potenzialmente contrari alla regole dell’ISP. Qualora un utente inserisca un’inserzione contraria a tali regole, eBay potrà procedere con la cancellazione dell’annuncio e alla sospensione dell’account dell’utente stesso. 38
37 Ebay, 2015. Programma Vero Disponibile su: xxxx://xxxx.xxxx.xx/ [Data di accesso: 29/06/2015]
38 Ebay, 2015. Accordo tra gli utenti
Disponibile su: xxxx://xxxxx.xxxx.xx/xxxx/xxxxxxxxx/xxxxx_xxxx_xxxxxxxxx.xxxx [Data di accesso: 29/06/2015]
Infine, un terzo strumento utile in questo caso alla tutela dei consumatori, è il servizio ‘Spazio Soluzioni di eBay’, dove qualora il consumatore riceva un oggetto che non è conforme a quello da lui ordinato, potrà aprire una controversia contro il venditore stesso.
Lo Spazio soluzioni consente,infatti, di instaurare un dialogo tra venditore è compratore. Tuttavia è fondamentale prestare molta attenzione alle tempistiche sia di apertura che di chiusura della controversia. I tempi di apertura vanno dai 10 ai 45 giorni dal pagamento dell’oggetto, dopo tale fase Ebay contatterà il venditore, invitandolo a rispondere al consumatore entro 10 giorni, inoltre per 14 giorni il venditore riceverà, ogni volta che accede al suo account, una notifica in cui verrà invitato a contattarlo nel caso non lo avesse già fatto. La controversia dovrà esaurirsi entro 60 giorni dalla transazione. Se la controversia non è stata risolta, il venditore sarà segnalato nella sezione ‘Team Regolamento e Sicurezza’, ed eBay potrà intraprendere le seguenti azioni: restrizione o sospensione del suo account, chiusura delle inserzioni, addebito delle tariffe, modifica dello schema tariffe o ricorso alle forze dell'ordine.
Per quanto riguarda il rimborso del consumatore, qualora abbia pagato tramite ‘Paypal’ verrà rimborsato per l’intero valore dell’acquisto con l’aggiunta delle spese di spedizione; se il pagamento è avvenuto con carte di credito, il consumatore prima di acquistare online deve verificare la protezione offerta del gestore di tale metodo di pagamento.
Infine, per concludere il mio elaborato ho cercato di elencare in seguito alcune accortezze che è opportuno osservare qualora si decida di acquistare online. 39
3. Linee Guida per Acquisti Sicuri
I comportamenti e i dettagli da osservare per compiere acquisti online in sicurezza sono essenzialmente questi:
⮚ Se il prezzo è talmente conveniente rispetto a quello del prodotto originale, c’è qualcosa di sospetto e molto probabilmente il prodotto sarà contraffatto;
⮚ Nel sito del venditore non c’è nessun numero da poter contattare in caso di problemi con l’acquisto;
⮚ Spesso i contraffattori che creano questi siti falsi non parlano correttamente la lingua in cui è scritto il sito, di conseguenza ci saranno molti errori di scrittura;
39 Ebay, 2015. Xxxxxx Xxxxxxxxx
Disponibile su: xxxx://xxxxx.xxxx.xx/xxxx/xxx/xxxx-xxx-xxxxxxxx.xxxx [Data di accesso: 29/06/2015]
⮚ Le e-mail che inviano sono scritte in modo molto semplice e con errori grammaticali. Un’azienda rinomata controlla con attenzione i messaggi prima di inviarli ai clienti.
⮚ I criminali spesso inseriscono il nome della marca del prodotto che si sta cercando all’interno dell’URL, in modo tale da far apparire il sito come legittimo.
⮚ Cambiano spesso l’indirizzo del sito, rendendo molto più difficile il controllo da parte del provider.
⮚ Le aziende affidabili utilizzano sempre la crittografia per proteggere gli acquisti online. Questo si può osservare guardando l’URL del sito che deve iniziare per HTTPS con l’immagine di un lucchetto. Se nel sito che state per acquistare non c’è tale indicazione è meglio non utilizzarlo.
⮚ Come metodo di pagamento meglio utilizzare Paypal o sistemi analoghi che non rivelino informazioni sul credito al venditore.40
Purtroppo però non è sempre così facile riconoscere un sito illegittimo, potrà quindi accadere che si acquisti merce contraffatta senza saperlo. In tal caso si consiglia di:
⮚ Non utilizzare il prodotto per un problema di sicurezza, si pensi per esempio ai giochi per bambini o prodotti facilmente infiammabili;
⮚ Comunicare al gestore della carta di credito il blocco del pagamento;
⮚ Comunicare al venditore il recesso dal contratto e il rimborso, e utilizzare gli strumenti di reclamo messi a disposizione dall’ISP;
⮚ Denunciare all’autorità la frode che si è subita;
⮚ Informare i titolari dei diritti di proprietà intellettuale interessati. 41
40 Xxxxxx Xxxxxxx, 2012. Siti Web Contraffatti
Disponibile su: xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xxx/xxxxxxxxxxx/xxxx/xxxxxx/XXXX-000000_xx.xxx [Data di Accesso: 30/07/2015]
41 Xxxxxx Xxxxxxxx,2013. Responsabilità e rischi nella compravendita online di merce contraffatta.
Disponibile su: xxxx://xxx.xxxxxxxxxxx.xxx/xxxxxxxxxxxxxxx-x-xxxxxxxxxxx-xxxx/xxxxxxxxxxxxx-x-xxxxxx-xxxxx-xxxxxxxxxxxxx- online-di-merce-contraffatta
[Data di accesso: 06/05/2015]
Conclusioni
Con il mio elaborato ho cercato di definire come il diritto si sia evoluto in tale campo e come sia stato in grado di offrire validi strumenti di contrasto e di tutela alle aziende e ai consumatori.
Le opportunità offerte dalla rete tuttavia sono infinite, pertanto i fenomeni illeciti oggetto di questo lavoro non possono concludere il tema della contraffazione online.
Nonostante tutto, la giurisprudenza, in particolare quella comunitaria, nei casi che le sono stati sottoposti, ha cercato di mantenere un orientamento univoco e uniforme, in base ad un’interpretazione rigorosa delle Direttive Europee.
In effetti, la contraffazione è un fenomeno che richiede un forte impegno e collaborazione tra tutti gli attori del sistema economico, perché solo così le norme possono agire da deterrente, tanto più in periodi di crisi.i
i Lunghezza Elaborato: 10'450 parole
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