LA RESPONSABILITA’ DELL’APPALTATORE E DEL COMMITTENTE
LA RESPONSABILITA’ DELL’APPALTATORE E DEL COMMITTENTE
Le fattispecie
• Responsabilità contrattuale dell’appaltatore verso il committente.
• Responsabilità concorrente di altri soggetti nella responsabilità contrattuale verso il committente.
• Responsabilità extracontrattuale dell’appaltatore.
• Responsabilità del committente.
I SOGGETTI
• Committente. Colui che affida l’esecuzione dell’opera o del servizio (obbligandosi a pagarne il corrispettivo in danaro).
• Appaltatore. Colui che assume l’obbligazione di eseguire l’opera od un servizio.
• Direttore dei lavori. In genere è nominato dal committente ed è un suo rappresentante, sebbene limitatamente alle funzioni svolte. Esercita mansioni direttive dei lavori, certifica il loro stato di avanzamento, invia istruzioni all’appaltatore.
• Progettista. E’ il professionista incaricato di elaborare il progetto. Di regola è un ausiliario dell’appaltatore, ma non è escluso che il progetto sia responsabilità del committente.
Norme di riferimento
• Art. 1665 cc Momento dell’accettazione e della consegna in funzione degli effetti;
• Art. 1667 cc Garanzia per vizi e difformità;
• Art. 1668 cc Rimedi esperibili dal committente;
• Art. 1669 cc Garanzia di lunga durata relativamente agli immobili.
Verifica, collaudo, accettazione e consegna. Art. 1665 cc.
Dalla prassi, oltre alle previsioni di legge, sono stati elaborati questi quattro passaggi in funzione della terminazione del contratto di appalto:
• Verifica. Consiste nella constatazione tecnica della consistenza dell’opera funzionale alla rilevazione di eventuali vizi o difformità1.
• Collaudo. Concetto non previsto dalla norma (sebbene preso in considerazione dalla Relazione al Codice) che individua l’atto con il quale il committente esprime all’appaltatore le risultanze della verifica2. La sua esistenza si ricava dall’espresso
1 La verifica (così come il collaudo) è una prerogativa tipica del committente che può delegarvi terzi. La giurisprudenza tende ad escludere la delegabilità al Direttore dei Lavori in funzione del fatto che lo stesso è responsabile a sua volta della corretta esecuzione dell’opera.
2 Il collaudo è inteso in senso generale come risultato della verifica ed in senso stretto come esito positivo della medesima. Inoltre il collaudo in genere attiene sia all’aspetto tecnico (ed in questo costituisce l’esito della verifica) sia a quello contabile. E’ infine discussa la sua natura giuridica. La dottrina prevalente e la giurisprudenza lo qualificano come “negozio giuridico bilaterale ad effetto solutorio”, vale a dire ricollegando ad esso l’effetto liberatorio, mentre la dottrina minoritaria, sebbene autorevole, lo qualifica come una “dichiarazione di
distacco temporale tra la verifica e la comunicazione dell’esito della stessa previsto dall’art. 1665/III comma cc. Il collaudo è talvolta, pur trattandosi di fattispecie privata, imposto dalla legge, come per gli elementi strutturali ed alcuni impianti (ascensori).
• Accettazione. E’ il vero atto negoziale, unilaterale recettizio, con il quale il committente dichiara all’appaltatore di voler ricevere la prestazione.
• Consegna. E’ l’atto materiale di trasferimento del possesso dell’opera. Essa non va confusa con l’accettazione né necessariamente la implica. Non ha formalità particolari e può concretarsi anche in atto simbolico (apprensione delle chiavi), sebbene sia senz’altro opportuno una verbalizzazione dell’atto. Essa può essere anche anteriore all’accettazione, quando, ad esempio, sia necessaria per compiere la verifica3.
Le difficoltà descrittive nascono dalla circostanza che le previsioni normative e la prassi usano promiscuamente i termini indicati, sovrapponendone i momenti ed i risultati.
In termini generali può però dirsi che, essendo quanto sopra essenziale a verificare la consistenza e la decorrenza di certi effetti di garanzia ed essendo l’elemento di discrimine dato dall’accettazione, appare corretto soffermarsi su quest’ultima e vedere come gli altri concetti si atteggino in funzione di essa.
L’accettazione quindi può essere:
Espressa. Essa non ha particolari vincoli di forma purché sia inequivocabile nel suo significato.
Tacita. Ciò si verifica quando il committente tenga una condotta che presupponga la volontà di accettare e sia incompatibile con la volontà contraria o di avanzare riserve.
Casi di accettazione tacita sono:
• L’ipotesi dell’art. 1665/IV comma cc. Sebbene la giurisprudenza abbia però chiarito che la presa in consegna, specie in presenza di contestazioni precedenti e successive e del mancato pagamento (come anche di altri elementi), non presupponga indefettibilmente l’insussistenza di riserve.
• Un verbale positivo di collaudo.
• La richiesta di consegna in esito alla verifica.
• Il pagamento integrale. Mentre si ritiene che non lo sia quello parziale.
Con riserva. Essa è in realtà una non accettazione4. In sostanza determina gli effetti propri dell’accettazione tranne per ciò che è oggetto della riserva. Per questo motivo la riserva non può essere generica ma deve specificamente individuare dei vizi e delle difformità a cui si riferisce né può estendersi a quelli non espressamente indicati.
scienza”. Poiché, in effetti, l’effetto solutorio sembra più correttamente doversi ricollegare all’accettazione dell’opera la distinzione appare rilevare più che altro in funzione della possibilità di far valere i vizi della volontà e di ammettere quindi la revoca del collaudo. Ove, se la natura fosse negoziale, sarebbero esperibili i rimedi classici nel caso di collaudo compiuto sotto l’effetto di dolo, errore o violenza, mentre, se non fosse negoziale, emergerebbero le problematiche classiche di applicabilità di tali categorie agli atti giuridici in senso stretto.
3 Il momento della consegna è essenziale al fine della decorrenza del termine di prescrizione di cui all’art. 1667 cc. In tal senso deve sottolinearsi che, in caso di inerzia colpevole del committente nella presa in consegna, potranno applicarsi le previsioni di legge in materia di mora del creditore.
4 La riserva concerne l’attivazione o meno dei rimedi tipici di cui all’art. 1668 cc.
Senza riserva. Essa è in sostanza l’accettazione pura e semplice, vale a dire senza espressione di riserve5.
Presunta. Essa si concreta nella ipotesi dell’art. 1665/III comma cc6.
L’accettazione è irrevocabile (tranne, come abbiamo già ricordato, il caso in cui la mancata rilevazione dei vizi derivi da dolo, violenza od errore o comunque il negozio di accettazione possa considerarsi annullabile) ed ha come effetto quello previsto dall’art. 1667 cc.
In funzione di tale aspetto deve però tenersi conto del caso del distacco temporale tra la verifica e l’accettazione. In tal caso gli eventuali vizi palesi, che emergano nell’intervallo, non saranno trattati alla stregua dei vizi palesi che risultavano rilevabili nel corso della verifica.
Ulteriori effetti sono:
• il diritto al pagamento;
• il diritto alla consegna dell’opera;
• il passaggio del rischio per il caso di perimento dell’opera (a parte gli oneri di custodia7);
• il passaggio della proprietà del bene realizzato (tranne il caso di acquisto a titolo originario per accessione).
La garanzia per vizi e difformita’. Art. 1667 cc.
La natura della garanzia
E’ discusso se la previsione dell’art. 1667 cc individui una garanzia in senso tecnico oppure una sanzione all’inadempimento dell’obbligazione di consegnare un’opera immune da vizi o difformità.
La prima tesi condurrebbe a ricostruire la responsabilità dell’appaltatore in termini oggettivi, mentre la seconda la configurerebbe alla stregua dei canori ordinari imponendo la sussistenza della colpa, per quanto presunta ex art. 1218 cc.
In giurisprudenza, dopo orientamenti più risalenti tendenti alla oggettivizzazione della responsabilità, si è affermata la tendenza contraria, ormai prevalente anche in dottrina.
Vedremo più avanti quali sono le circostanze in virtù delle quali si ritiene di poter superare la presunzione di colpa8.
Rapporti con la responsabilità ordinaria
5 Si veda più avanti nel testo il caso dei vizi e difformità palesi denunciati dopo l’accettazione senza riserve ma riconosciuti dall’appaltatore, e degli effetti che tale riconoscimento comporta in funzione della garanzia.
6 Vi rientra anche l’ipotesi dell’appalto da eseguirsi per partire (art. 1666/II comma cc).
7 In funzione dei quali rileverà l’eventuale mora del creditore.
8 Gli argomenti della tesi c.d. “oggettivistica” sono principalmente di carattere letterale. L’art. 1669 cc parlerebbe, significativamente, di responsabilità e non garanzia, sottolineando quindi il carattere autonomo dell’obbligazione sorgente dall’art. 1667 cc (e non quindi derivante come semplice effetto dell’obbligazione principale), l’art. 1668/I comma, sottolineando il requisito della colpa in funzione del rimedio ulteriore del risarcimento del danno, confermerebbe che la previsione dell’art. 1667 cc individua invece una responsabilità oggettiva. In verità l’opinione contraria tende a rilevare che l’inciso dell’art. 1668 cc sarebbe diretto a “rovesciare” l’onere probatorio di cui all’art. 1218 cc. Curiosa appare la circostanza che anche attualmente i repertori di giurisprudenza continuano a riportare gli artt. 1667 e 1668 cc sotto la dicitura “garanzia” e l’art. 1669 cc sotto la dicitura “responsabilità”.
Gli artt. 1667-1669 cc vengono considerati espressione di una regimentazione speciale della responsabilità contrattuale, in un rapporto di species a genus tra di esse.
Ne consegue l’applicabilità comunque degli artt. 1453 e 1455 cc quando non si tratti di far valere vizi e difformità dell’opera, bensì:
• la mancata esecuzione dell’opera;
• la parziale esecuzione dell’opera;
• la mancata o tardiva consegna dell’opera.
In tali casi saranno quindi applicabili ex art. 1453 cc i rimedi dell’azione di adempimento ex art. 1453 cc (con connessa azione esecutiva in forma specifica o connesso risarcimento del danno in caso di impossibilità in tal senso) oppure della risoluzione ove ricorra il caso dell’art. 1455 cc, oltre al risarcimento del danno (se sussistente).
Le due discipline potrebbero peraltro concorrere ove, ad esempio, il committente non provveda al pagamento, per vizi e difformità dell’opera, avvalendosi della previsione dell’art. 1460 cc.
Altro e diverso problema è quello non del concorso tra i due regimi, bensì quello del loro cumulo.
La giurisprudenza è orientata in senso negativo e richiede il necessario completamento dell’opera per l’applicazione delle regole particolari, mentre la dottrina minoritaria appare possibilista.
Le nozioni di vizio e difformità
Per difformità si intende la risultante di una comparazione tra quanto contenuto nella previsione contrattuale e quanto realizzato.
Per vizio si intende invece la violazione delle regole dell’arte nella realizzazione che compromettano la funzionalità di quanto realizzato, pur nella sua astratta conformità al promesso.
Problematici sono due aspetti:
• la sussistenza di vizi e difformità così gravi da compromettere l’identità, complessivamente intesa, dell’opera;
• la riconducibilità all’art. 1667 cc dei c.d. “vizi di diritto”9.
Riguardo alla prima ipotesi, che nel caso degli immobili appare un po’ teorica, la concezione più rigorosa ritiene che l’applicazione dei criteri dell’”aliud pro alio” non potrebbero trovare applicazione nella fattispecie, in quanto si tratterebbe sempre e comunque di una non corretta esecuzione dell’obbligo di fare10.
Una tesi meno formalistica ritiene invece che la consistenza dei vizi e delle difformità, tali da minare l’identità complessiva del bene realizzato, integrino gli estremi dell’aliud pro alio e giustifichino l’applicazione della risoluzione per grave inadempimento.
D’altra parte è proprio con riferimento ai vizi del diritto che sembra possibile immaginare una applicazione pratica dell’aliud pro alio.
9 Si fanno tipicamente gli esempi della mancanza della concessione edilizia o della mancanza del certificato di abitabilità.
10 Tale concezione parte dalla considerazione, astrattamente corretta ma un po’ formalistica, secondo la quale la comparazione aliud pro alio sarebbe possibile solo tra beni esistenti e che, nell’appalto, il vero aliud pro alio si rinverrebbe solo nel caso, invero un po’ scolastico, della realizzazione dell’opera secondo il convenuto ma della successiva consegna di bene diverso.
Questo non tanto in relazione al caso della mancanza della concessione edilizia (che la giurisprudenza tende a ricondurre semmai alla validità del negozio) quanto semmai in relazione alla mancanza del certificato di abitabilità.
I vizi palesi
Per vizio palese si intende quello riconoscibile dall’uomo medio secondo la diligenza abituale o meglio secondo il grado di diligenza attribuibile al singolo committente (ex art. 1176 cc). Dopo alcune pronunce confliggenti, che sembravano imporre sempre al profano una verifica tecnicamente avveduta (e quindi tramite apposito professionista), la giurisprudenza è ormai orientata nel senso sopradescritto che quindi rende meno scusabile il mancato riconoscimento solo quando il committente, pur non essendo esperto del settore, si avvalga di tecnico avente le competenze necessarie.
Al vizio palese è equiparato il vizio occulto comunque conosciuto.
In funzione dei vizi palesi o dei vizi occulti comunque conosciuti, come già accennato, assume particolare rilievo l’accettazione dell’opera.
Se questa avviene senza riserve infatti il committente (ex art. 1667/I comma cc) decade dalla garanzia.
Ciò sempre che il vizio palese non sia taciuto in mala fede dall’appaltatore11, il che lo rende sostanzialmente equivalente al vizio occulto.
La denunzia dei vizi e la decadenza dalla garanzia
Anche qui, dopo alcune oscillazioni, la giurisprudenza è sostanzialmente orientata a ritenere che, stante proprio il particolare meccanismo decadenziale per i vizi palesi od occulti ma comunque conosciuti, per questi ultimi non valga l’onere di denuncia nei sessanta giorni dalla scoperta.
Ancor più precisamente la stessa mancata accettazione dell’opera (o la sua accettazione con riserva) integra sostanzialmente la denuncia12.
Per quanto concerne i vizi occulti il termine decorre dall’effettiva scoperta (da intendersi però anche come necessariamente accompagnata dalla consapevolezza della riconducibilità causale del vizio o della difformità alla condotta dell’appaltatore).
Il termine è senz’altro di decadenza, il che comporta che non sia interrompibile né sospendibile, ma nemmeno rilevabile d’ufficio dal Giudice.
11 La nozione è estremamente ampia e coincide in sostanza con il mero silenzio, non essendo necessarie attività devianti o raggiri. Dal punto di vista dell’onere probatorio si è orientati a dire che, dimostrata l’effettiva conoscenza del vizio da parte dell’appaltatore, la mala fede si presuma. In verità però, sebbene sul piano degli strumenti probatori, deve ritenersi ammissibile la dimostrazione, in via presuntiva iuris tantum stante la abituale qualificazione tecnica dell’appaltatore, anche della stessa conoscenza.
12 Ciò dovrebbe anche confortare l’opinione che vuole che l’accettazione con riserva non possa essere accompagnata da una denuncia solo generica di vizi. Deve però essere richiamato il precedente esempio (riportato in materia di accettazione) del vizio palese che si manifesti nell’intervallo tra la verifica e l’accettazione e che, proprio in virtù di ciò, non rientri nel meccanismo decadenziale di cui all’art. 1667/I comma cc. Analogo dovrebbe essere considerato il caso del vizio palese che si determini dopo l’accettazione ma prima della consegna. Verrebbe da dire che in questi casi si applica il termine dei sessanta giorni e che esso decorra da quando il committente, prendendo in consegna l’opera, abbia modo di verificare nuovamente lo stato della stessa.
L’onere di provare la tempestività ed effettività della denuncia ricade sul committente.
La forma della denuncia è sostanzialmente libera, a meno che non sia convenzionalmente fissata, e non deve consistere in una descrizione analitica dei vizi, essendo sufficiente indicare sinteticamente gli stessi, in modo da delimitare successivamente l’entità effettiva degli oneri a carico dell’appaltatore.
Prudenza suggerisce di inserire sempre una dicitura generica che estenda la denuncia anche a quella estensione del vizio non immediatamente rilevabile13.
La denuncia non è necessaria quando l’appaltatore abbia riconosciuto il vizio o la difformità o li abbia occultati.
Nel primo caso, ove l’appaltatore si impegni anche all’eliminazione del vizio, all’obbligazione di garanzia originaria si sostituisce una nuova ed autonoma obbligazione di garanzia convenzionale, soggetta ai normali termini di decadenza e prescrizione.
Deve però rilevarsi che la norma parla di denuncia non più necessaria ma non di un effetto sanante del riconoscimento.
Ciò potrebbe far concludere che il riconoscimento del vizio (non implicando necessariamente un riconoscimento del diritto alla garanzia) abbia rilievo solo ove sia anch’esso tempestivo e valga solo a rendere inutile la denuncia ma non a sanare la sua eventuale tardività.
La giurisprudenza è però orientata in senso favorevole al committente, ammettendo la sanatoria14.
In ogni caso il riconoscimento del vizio rimane diverso dal riconoscimento del diritto alla garanzia e solo quest’ultimo, ad esempio, consentirebbe l’interruzione della prescrizione.
Applicazione particolare di questi concetti è l’eventualità, frequente nella pratica, dell’appaltatore che interviene (o promette di intervenire) per l’eliminazione del vizio oltre il termine di decadenza.
In questo caso l’implicito riconoscimento del vizio deve far ritenere che, anche in caso di intervento tardivo, quantomeno si abbia la rinuncia stragiudiziale alla decadenza, ma non necessariamente la novazione dell’obbligazione di garanzia né il riconoscimento del diritto alla garanzia.
Prescrizione della garanzia
Il diritto alla garanzia si prescrive in due anni dalla consegna. Concerne solo i vizi e le difformità e non anche altri diritti insorgenti da inadempimento dell’appaltatore.
Mentre è indiscusso che, per i vizi occulti, la decorrenza sia dalla consegna (stante la considerazione che solo con l’apprensione materiale il committente sia in grado di rilevarli), qualche perplessità si ha con riferimento ai vizi palesi, che invero dovrebbero essere constatati
13 Sembra logico che la denuncia del vizio occulto sia giustificatamente meno precisa di quella del vizio palese, soprattutto in funzione di quella che ne sia la sua effettiva entità. L’equilibrio quindi sembra rinvenirsi in una denuncia che, da una parte, consenta all’appaltatore di avere la percezione dell’area di intervento delle riparazioni e, dall’altra, non sia eccessivamente gravosa per il committente (ad es. sembra sufficiente la denuncia del vizio di funzionamento di una fognatura, senza specificare a cosa detto cattivo funzionamento debba attribuirsi).
14 Parte della dottrina giunge a conclusioni diverse osservando che lo stesso riconoscimento del diritto, secondo le norme comuni (art. 2966 cc), ha un effetto di mero impedimento della decadenza ma solo ove intervenga prima del suo spirare. La giurisprudenza osserva però che, come il riconoscimento del diritto vale come rinuncia alla prescrizione, così il riconoscimento del vizio implica una rinuncia stragiudiziale a far valere la decadenza.
per presupposto in sede di verifica ed anzi ostacolare proprio la consegna in caso di accettazione con riserva.
Stabilito quindi che la consegna, proprio in virtù di ciò, può essere differita rispetto all’accettazione con riserva, se ne ricava la conclusione che in tali casi la decorrenza del termine si differenzierebbe per vizi palesi ed occulti.
Decorrerebbe dalla accettazione con riserva per i primi e dalla consegna materiale per i secondi.
Il termine di prescrizione non è derogabile convenzionalmente (ex art. 2936 cc) ma deve distinguersi tale termine da quello relativo al rapporto sostanziale di garanzia.
E’ cioè possibile ridurre il periodo di garanzia al di sotto dei due anni.
Ove convenuto in giudizio per il pagamento, il committente potrà comunque opporre l’inadempimento derivante dal vizio o dalla difformità, purché tempestivamente denunciati (ex art. 1667/III comma cc) ed ancorché il diritto alla garanzia sia prescritto.
La tempestività si riferisce però al doppio termine ed il secondo potrebbe essere stato ridotto, nel qual caso si dovrà tener conto della sua diversa durata15.
Discusso è se il committente possa opporre la garanzia solo in via di eccezione oppure possa svolgere azione riconvenzionale, ancorché prescritta.
Casi di esclusione della responsabilità dell'appaltatore: a) l'errore di progetto
La prassi e la giurisprudenza hanno individuato una serie di eventualità in concorrenza delle quali la colpa dell’appaltatore è esclusa.
Anzitutto vi è l’errore di progetto, ove predisposto da soggetto incaricato dal committente e non dall’appaltatore, che abbia causato il vizio o la difformità.
L’esimente sussiste solo ove però l’appaltatore abbia manifestato il proprio dissenso rispetto alla previsione progettuale, ove ritenuta erronea secondo la normale diligenza dell’appaltatore medio.
La sussistenza dell’errore progettuale non può integrare gli estremi del concorso colposo del creditore (ex art. 1227 cc) in quanto l’obbligazione consiste proprio nella realizzazione a regola d’arte e nella capacità quindi di valutare anche l’errore progettuale16.
Casi di esclusione della responsabilità dell'appaltatore: b) le erronee istruzioni
Sono quelle del committente o del direttore dei lavori.
L’esimente opera in funzione, anche qui, di una tempestiva e vana contestazione da parte dell’appaltatore, sempre che l’erroneità fosse rilevabile dall’appaltatore secondo la diligenza media.
L’estensione massima di questa esenzione si ha quando, convenzionalmente, è stabilito che l’appaltatore sia privato di qualsiasi autonomia nella realizzazione dell’opera e debba seguire pedissequamente le istruzioni del committente (caso del c.d. nudus minister).
E’ plausibile far rientrare in questa ipotesi quella della erronea scelta dei materiali ove, anche qui, riservata convenzionalmente al committente od al direttore dei lavori. In ogni caso
15 La riduzione può avvenire solo nei limiti di cui all’art. 2965 cc, vale a dire in modo tale da rendere eccessivamente gravoso l’esercizio del diritto.
16 Interessante appare però Xxxx. 4240/87 la quale ritiene sussistente l’esclusione di responsabilità ove l’imprenditore, dopo aver commissionato il progetto a proprio fiduciario dotato di particolari cognizioni tecniche, affidi l’appalto ad una impresa che sia palesemente priva di tecnici egualmente qualificati.
l’appaltatore deve comunque denunciare immediatamente l’inidoneità dei materiali rilevabile secondo la comune diligenza17.
Casi di esclusione della responsabilità dell'appaltatore: c) il caso fortuito ed altro
Si ammette l’esclusione di responsabilità anche quando:
• sia dovuto a caso fortuito;
• uso non corretto dell’opera da parte del committente successivamente alla consegna;
• il vizio o la difformità dipendano dai limiti della tecnica18.
Limitazioni convenzionali alla responsabilità
Esse sono possibili, con riferimento a vizi occulti e palesi ed anche successivamente alla consegna, con queste precisazioni:
• non hanno rilievo in caso di dolo o colpa grave dell’appaltatore (ex art. 1229/I comma cc);
• non hanno rilievo ove il vizio o la difformità dipendano dalla violazione di norme di ordine pubblico (ex art. 1229/II comma cc).
Come già ricordato non può essere derogato il termine prescrizionale e quello di garanzia lo è nei limiti di cui all’art. 2965 cc.
I rimedi esperibili. L’art. 1668 cc.
In dipendenza della sussistenza di vizi e difformità al committente sono riconosciute tre diverse prerogative:
• Se i vizi e le difformità non sono tali da pregiudicare l’idoneità dell’opera all’uso, può chiedere, alternativamente, l’eliminazione degli stessi a spese dell’appaltatore o la riduzione del prezzo. E’ sempre fatta salva la facoltà di chiedere comunque il risarcimento del danno.
• Se i vizi e le difformità sono tali da pregiudicare l’idoneità dell’opera all’uso, può chiedere la risoluzione.
L'eliminazione dei vizi
La giurisprudenza ha adottato criteri diversi nel caso che il committente scelga questa opzione19.
Alcune pronunce riconoscono all’appaltatore il diritto (e non solo il dovere) all’eliminazione dei vizi a proprie spese.
Ciò comporta che il committente, prima di poter far eliminare i vizi da un terzo ed addossarne le spese all’appaltatore, debba necessariamente esperire, senza successo, l’azione di esecuzione in forma specifica.
Altre pronunce invece consentono al committente di accedere subito alla eliminazione dei visi tramite l’intervento di un terzo e, di fatto, mutano l’obbligazione di fare in una obbligazione di dare.
17 Mi sembra di poter dire che anche qui si applicherà il criterio individuato da Xxxx. 4240/87 e che comunque non trattasi di fattispecie applicativa della previsione dell’art. 1227 cc.
18 Quest’ultima deve però intendersi in senso assoluto e non riferito agli usi costruttivi locali.
19 Merita ricordare, come già visto, che in tal caso il committente, ex art. 1460 cc, non è tenuto alla corresponsione del prezzo.
Altre pronunce ancora consentono il cumulo delle due domande, esecuzione in forma specifica ed alternativa condanna alla corresponsione delle spese necessarie, ammettendo l’appaltatore alla eliminazione dei vizi prima che intervenga la sentenza di condanna.
La riduzione del prezzo
La stessa ha rilievo diverso a seconda che si tratti di vizio o difformità. Nel secondo caso è infatti necessario dimostrare anche il deprezzamento dell’opera realizzata rispetto al convenuto.
La valutazione si opera comparando il rendimento obbiettivo ed il valore dell’opera realizzata rispetto a quella dedotta in contratto, senza alcun riferimento a valutazioni di carattere soggettivo.
E’ onere del committente provare il deprezzamento o la ridotta funzionalità. Il credito derivantene è di valore e non di valuta.
Il risarcimento del danno
Esso è previsto in funzione della colpa dell’appaltatore20. Come già rilevato, essa in verità è però presunta ex art. 1218 cc e non ha avuto seguito l’opinione di chi, proprio in dipendenza di tale previsione, qualificava la responsabilità dell’appaltatore ex art. 1667 cc in termini oggettivi.
La giurisprudenza appare quindi orientata, anche recentemente, a svuotare di significato l’inciso “nel caso di colpa dell'appaltatore”.
Il tutto a meno di non ritenere che il rapporto sia addirittura rovesciato e che la legge intenda dire che, al fine del risarcimento del danno, la colpa non si presuma e sia necessario, da parte del committente, individuare con esattezza la mancanza dell’appaltatore.
La risoluzione
Essa è ammessa quando, come già ricordato, l’opera sia assolutamente inidonea all’uso.
Tale valutazione deve avvenire secondo parametri obbiettivi ed è ammessa una rilevanza di aspetti soggettivi, solo ove effettivamente dedotti contrattualmente nella prestazione.
La domanda di risoluzione è cumulabile con la riduzione del prezzo in quanto quest’ultima non costituisce domanda di esatto adempimento e non opera quindi il divieto di cui all’art. 1453/II comma cc.
Lo stesso dicasi per l’eliminazione dei vizi.
Le due domande debbono però essere sempre subordinate alla risoluzione (che potrebbe essere respinta o l’interesse per la quale potrebbe venir meno nel corso del giudizio).
Gli effetti della risoluzione sono retroattivi e comportano per il committente la liberazione dal pagamento del prezzo e la restituzione di quanto eventualmente pagato, mentre l’appaltatore ha diritto al compenso per le opere delle quali comunque l’imprenditore si sia giovato.
La garanzia per gli immobili di lunga durata. L’art. 1669 cc.
20 Il danno ulteriore può consistere, a titolo esemplificativo, nel maggior tempo trascorso rispetto al momento in cui si poteva godere appieno del bene, in pregiudizi diversi provocati dai difetti rilevati, nel ristoro che si sia dovuto riconoscere a terzi per danni provocati dal cattivo funzionamento dell’opera.
Tale previsione, limitata ai soli immobili, individua una responsabilità ulteriore dell’appaltatore in funzione di vizi della costruzione particolarmente gravi e qualificati, che giustificano una perduranza dell’obbligo molto più estesa (dieci anni).
Natura della responsabilità
La giurisprudenza è orientata ad enfatizzare il carattere pubblicistico della previsione ed a configurare la responsabilità in termini extracontrattuali, nell’evidente intento di tutelare la generalità dei cittadini di fronte ad eventi che, per la particolare natura delle opere che ne sono oggetto, possono costituire un pericolo obbiettivo.
Si ha quindi una responsabilità extracontrattuale per previsione di legge, per quanto originantesi da un rapporto contrattuale, che si pone in rapporto di specialità rispetto alla previsione dell’art. 2043 cc, sia per la presunzione di colpa sia per la durata del termine di prescrizione di un anno.
Conseguentemente, nella ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 1669 cc, legittimati attivi sono tutti coloro che siano stati danneggiati dalla rovina dell’edificio o dai suoi gravi difetti e non solo il committente ed i suoi aventi causa (vale a dire successori, a titolo universale o particolare, nella proprietà dell’opera)21.
Le eventuali esenzioni da responsabilità, quantomeno nei rapporti contrattuali, si configureranno analogamente a quanto visto in funzione dell’art. 1667 cc22.
Rapporti con gli artt. 1667 e 1668 cc
La giurisprudenza è sostanzialmente orientata a riconoscere la compatibilità tra l’art. 1668 e l’art. 1669 cc.
In altre parole, sul presupposto che i vizi previsti dall’art. 1669 cc non sono che una espressione massima di quelli indicati all’art. 1667 cc, il committente potrà richiedere la risoluzione del contratto (non prevista dall’art. 1669 cc) purché non siano decorsi i termini di decadenza e prescrizione previsti appositamente da tale norma.
Ciò nonostante la giurisprudenza tende a ribadire la differenza tra le due ipotesi (responsabilità contrattuale la prima, extracontrattuale la seconda) ed a trarne conclusioni.
In tal senso, ad esempio, non si ritiene applicabile al caso dell’art. 1669 cc la facoltà per il committente, convenuto per il pagamento, di far valere la responsabilità dell’appaltatore quando i relativi termini siano prescritti.
I presupposti
• Per immobile di lunga durata deve intendersi l’opera ancorata al suolo la cui permanenza sia valutabile oggettivamente. Non rilevano quindi le destinazioni soggettive di tale opera23.
21 L’affermazione, ricorrente in vari commenti, non sembra però così scontata. Ad esempio Xxxx. 1686/91 esclude che il terzo danneggiato dalla rovina di edificio abbia azione contro l’appaltatore.
22 Non mancano però, nella dottrina più recente, tendenze a configurare la responsabilità in termini oggettivi o comunque esclusa solo dal caso fortuito o da forza maggiore.
23 La giurisprudenza di merito, ad esempio, ha considerato l’installazione di alcune gru come di lunga durata, stante la loro possibilità di mantenimento in funzione per oltre quaranta anni, nonostante l’utilizzo più limitato che ne volesse fare il committente.
• L’appaltatore risponde delle mancate od erronee analisi del suolo, sebbene tale onere debba anche ricadere sul progettista con riferimento alla elaborazione delle fondazioni.
• I difetti della costruzione possono consistere solo in vizi e non in difformità.
I vizi
In linea generale il vizio rilevante è quello che, coerentemente al presupposto della lunga durata, mina la stabilità dell’immobile.
• Per rovina totale si intende il perimento integrale delle parti strutturali che compromettano la sua stabilità attuale od il perimento anche solo di quelle parti che ne compromettano la stabilità nel tempo.
• Per rovina parziale si intende, negli stessi termini, quella che attiene ad una parte rilevante dell’immobile.
• Per pericolo evidente di rovina si intende la sostanziale certezza della sua rovina, come rilevabile però da un tecnico esperto e non dall’uomo comune.
• I gravi difetti24 sono oggetto di valutazioni diverse:
- una prima tesi li riferiva alla stabilità dell’immobile;
- una tesi più attuale si concentra sul consistente deprezzamento o meglio su una consistente menomazione della sua funzione economica o del normale godimento;
- in ogni caso si ammette che possano riguardare solo una parte dell’opera, purché in grado di comprometterne la funzionalità globale.
Decadenza e prescrizione dell'azione
I vizi devono essere denunciati entro un anno dalla scoperta e l’azione si prescrive in un anno dalla contestazione.
La giurisprudenza è sostanzialmente concorde nell’affermare che la scoperta coincide con un apprezzabile grado di conoscenza del vizio e che, ove per la scoperta stessa sia necessario un accertamento tecnico, il termine decorra da quando tale accertamento sia portato a compimento.
La denuncia non è soggetta a forme particolari e deve ritenersi che anche qui sia resa superflua dal riconoscimento del vizio da parte dell’appaltatore.
La prescrizione può essere interrotta sia con atti giudiziali che non atti stragiudiziali.
I rimedi
In ordine ai rimedi il tenore della legge dovrebbe far supporre che sia ammissibile solo il risarcimento del danno.
La giurisprudenza, nonostante la riconosciuta rilevanza pubblicistica della norma, tende a riconoscere all’appaltatore la possibilità di ridurre in pristino l’immobile, fatta salva la facoltà del committente di chiedere comunque il risarcimento.
Altre pronunce ammettono la contestuale proposizione sia della domanda di esecuzione in forma specifica di esecuzione delle riparazioni sia del risarcimento del danno.
24 Si sono ritenuti gravi difetti: il distacco di una quantità rilevante di piastrelle, gravi infiltrazioni di acqua per rottura di tubature, insufficiente coibentazione termica, vizi dell’impianto centralizzato di riscaldamento, vizi del tetto che comportino infiltrazioni acqua, vizi nella canna fumaria.
Il venditore-costruttore
La giurisprudenza tende ad ammettere l’applicabilità dell’art. 1669 cc anche al venditore- costruttore, vale a dire di colui che costruisca abitualmente, vale a dire in serie, o con propria gestione diretta, sottraendo quindi l’acquirente (non committente in senso proprio) al più penalizzante regime della vendita.
La tendenza è stata poi canonizzata dalla legge in quanto il D. Lgs. 122/05 (relativo alla tutela degli acquirenti di immobili in costruzione) impone al costruttore di stipulare e consegnare all’acquirente una polizza di copertura decennale dei vizi di cui all’art. 1669 cc.
La responsabilità concorrente del progettista e del direttore dei lavori
Con riferimento ad entrambe le ipotesi di garanzia sopra descritte, nei confronti del committente è configurabile una responsabilità concorrente del progettista in particolare quando il progetto sia fornito dal committente.
Sembra infatti doversi ritenere che, nel caso di errore del progettista nominato dall’appaltatore, non possa che applicarsi la previsione dell’art. 1228 cc.
Quando invece il progetto è fornito dal committente si instaurano due diversi rapporti contrattuali tra lo stesso e all’appaltatore (contratto di appalto) e tra lo stesso ed il progettista (contratto di opera intellettuale).
Tale circostanza aveva indotto la giurisprudenza inizialmente ad escludere la responsabilità solidale, pur non negandosi la concorrenza, in virtù della diversità dei titoli di responsabilità. In tempi più recenti si è invece consolidata la tendenza opposta e ad oggi è riconosciuta la responsabilità solidale di appaltatore e progettista, con conseguente azione di regresso tra loro.
Le stesse identiche oscillazioni e gli stessi identici criteri finali si riscontrano in materia di responsabilità concorrente dell’appaltatore e del direttore dei lavori.
La responsabilità extracontrattuale dell’appaltatore
La responsabilità extracontrattuale verso terzi è implicita nell’autonomia riservata allo stesso nell’esecuzione della propria obbligazione.
La giurisprudenza è quindi assolutamente costante nell’escludere l’applicabilità dell’art. 2049 cc.
Ciò nonostante alcune pronunce sono orientate ad escludere la responsabilità anche verso terzi quando l’ingerenza del committente sia tale da degradare l’appaltatore a nudus minister.
In mancanza di tale presupposto qualsiasi altra previsione contrattuale determina soltanto una facoltà di regresso nei rapporti interni.
Nel caso del progettista, ferma la responsabilità solidale di quest’ultimo ex art. 2055 cc25, deve distinguersi, anche qui, a seconda che il progetto provenga dall’appaltatore o dal committente, dovendosi verificare in che misura possa essere coinvolta la responsabilità vicendevolmente dell’uno o dell’altro.
Nel primo caso il committente non sarà solidalmente responsabile a meno che, venuto a conoscenza dei rischi connessi al progetto, abbia egualmente approvato l’opera.
Nel secondo caso l’appaltatore non sarà responsabile a meno che, in virtù delle sue conoscenze, non fosse in grado di rendersi conto del vizio di progettazione.
Il dipendente dell’appaltatore non sarà responsabile verso i terzi ove abbia pedissequamente seguito le istruzioni ricevute.
25 La stessa responsabilità concorrente e solidale riguarda il direttore dei lavori.
Sarà responsabile invece in concorrenza con l’appaltatore ove l’atto illecito dipenda da sua negligenza, ferma la responsabilità dell’appaltatore stesso nei confronti dei terzi ex art. 2049 cc.
Un caso particolare di responsabilità dell’appaltatore può aversi in funzione della custodia del cantiere.
La giurisprudenza è sostanzialmente orientata a riconoscere la responsabilità per fatto illecito da cose in custodia, ex art. 2051 cc, in capo all’appaltatore a meno che non sia escluso un integrale trasferimento del potere di fatto sulla cosa dal committente all’appaltatore.
In tale ultimo caso il committente rimane responsabile.
Sul piano dell’onere probatorio sarà sempre il terzo a dover dimostrare, secondo i criteri generali, nesso di causalità e colpa dell’appaltatore, a meno che non ricorrano ipotesi di responsabilità oggettiva, come il già ricordato caso del danno derivato da cose in custodia oppure provocato nell’esercizio di attività pericolose (ex art. 2050 cc).
Va ricordato che la responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cc può talvolta supplire alla decorrenza dei termini di cui all’art. 1669 cc dato che ovviamente la prescrizione quinquennale in quel caso decorre dall’evento dannoso.
La responsabilità del committente.
Criteri generali
La insussistenza di una responsabilità del committente per i danni verso terzi viene vista, dalla costante giurisprudenza, in funzione della ricorrenza di tre elementi:
1) compimento dell’opera da parte di un imprenditore che eserciti l’attività a proprio rischio;
2) effettiva autonomia dell’appaltatore (che non possa quindi ritenersi nudus minister del committente);
3) diligenza del committente nella scelta dell’impresa appaltatrice.
Ingerenza nell'esecuzione
Essa può consistere anche in semplici istruzioni impartite dal direttore dei lavori ed in genere provoca solo una responsabilità concorrente.
La responsabilità diviene esclusiva quando l’appaltatore sia ridotto a nudus minister. Errore nella scelta dell'impresa
Il committente è responsabile verso i terzi, sempre in concorrenza con l’appaltatore, per la scelta di impresa non avente le capacità tecniche necessarie.
Omissione colposa
Il committente è responsabile, direi in via esclusiva, dei danni derivanti da colpevole omissione.
L’ipotesi è più che altro riferita all’ipotesi di un difetto di informativa.
Tipico il caso del committente che, in relazione ad appalto che implichi attività di scavo, non avverta l’appaltatore della presenza di cavi (di cui conosce l’esistenza) non prevenendo il loro danneggiamento.
Opere di scavo
Il committente risponde, direttamente ma probabilmente in via solidale con l’appaltatore, dei danni derivanti, da opere di scavo effettuate sul proprio fondo, ai soggetti confinanti.
Rovina da edificio
In caso di rovina da edificio il committente deve essere considerato responsabile in via esclusiva, non potendo il terzo, non avente causa negoziale dal committente, avvalersi della previsione dell’art. 1669 cc (vd. Cass. 1686/91 già citata in precedenza).
Norme di rilevanza pubblicistica
Viene in rilievo soprattutto il D. Lgs. 81/08 che ha sostituito il D. Lgs. 494/96.
La normativa ha più che altro rilievo penalistico ma, pur nel contesto essenzialmente contrattuale del tema in oggetto, appaiono opportuni alcuni riferimenti.
Ai sensi del D. Lgs. 81/08 il committente è responsabile, insieme all’appaltatore, dell’osservanza delle norme di sicurezza del lavoro in cantiere.
Per tutti i lavori che comportino la costituzione di un cantiere edile il committente può indicare un responsabile dei lavori che deve essere un tecnico qualificato: tale figura coincide con il progettista per la fase di progettazione dell’opera e con il direttore dei lavori per la fase di esecuzione della stessa.
Se si tratta di lavori di lunga durate e di notevole impiego di mano d’opera , il committente o il responsabile dei lavori hanno l’obbligo di nominare un coordinatore per la progettazione ed un coordinatore per l’esecuzione dei lavori.
Le nomine del responsabile e degli eventuali coordinatori devono essere notificati dal committente alle imprese esecutrici dei lavori e i loro nominativi devono essere indicati nel cartello di cantiere.
Norme specifiche vengono poi dedicate ai cantieri temporanei e mobili.
In linea generale deve sottolinearsi la tendenza della giurisprudenza a riconoscere, specie con riferimento a questi ultimi, un autentico ruolo di “perno” della sicurezza nel committente.
Ne consegue che un esonero da responsabilità del committente si ha in concorrenza di:
• nomina di un responsabile dei lavori;
• tempestività di detta nomina in relazione agli adempimenti da osservarsi in materia di sicurezza del lavoro;
• l’estensione della delega conferita al responsabile dei lavori ai predetti adempimenti con attribuzione di poteri decisionali, cui sono connessi evidenti oneri di spesa o, più in generale, con la determinazione della sfera di competenza attribuitagli.