Primo Piano
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DUMPING CONTRATTUALE Ispettorato nazionale del lavoro, nota 20 giugno 2018
Gli effetti della mancata applicazione dei contratti leader maggiormente rappresentativi
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Avvocato e Consulente del lavoro
C
on nota 20 giugno 2018 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), ha reso noto
che sta portando avanti la sua azione volta a contrastare il fenomeno del “dumping contrattuale”, tornando dunque su un tema ampiamente dibattuto e controverso, quale quello della applicazione o mancata applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente rappresentativi, ovvero dei c.d. “contratti leader”.
Va ricordato che su tale argomento era già intervenuto lo stesso INL con la circolare n.
3/2018 a seguito di numerose segnalazioni che erano pervenute dato l’insorgere di varie problematiche legate alla materia in oggetto.
Nello specifico, con la suddetta circolare n. 3/2018, l’INL aveva affrontato il tema della mancata applicazione dei contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. All’interno della stessa circolare venivano elencate tutta una serie di fattispecie per le quali
l’ordinamento riserva l’applicazione di determinate discipline subordinatamente alla sottoscrizione o all’applicazione di contratti collettivi dotati del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi. Con essa l’ INL dichiarava l’esigenza di voler dare un maggiore impulso ad una attività di vigilanza atta ad impedire le problematiche dovute al c.d. “dumping contrattuale”, cui la legge ha voluto ovviare richiedendo la sussistenza di specifici requisiti in capo ai rappresentanti sindacali ammessi ai tavoli contrattuali, specie con riguardo alla possibile fruizione di determinate agevolazioni o all’accesso a regolamentazioni derogatorie delle norme generali di disciplina dei contratti di lavoro; il requisito voluto dal legislatore è quello della
rappresentatività comparata.
Orbene, come si legge anche nella nota del 20 giugno 2018, l’INL ribadisce che l’azione di contrasto al fenomeno del “dumping contrattuale” è in corso con particolare riguardo del settore terziario, con il quale dunque, si fa riferimento di conseguenza, a numerose categorie contrattuali come al contratto del commercio, del turismo, dei servizi bancari ed assicurativi, alla distribuzione e servizi etc.
Infatti, è proprio in tal settore che si riscontrano numerose violazioni in materia contributiva o comunque legate alla fruizione di istituti di flessibilità in assenza delle condizioni di legge.
Continuando nella lettura del comunicato dell’INL, si evince che l’azione di contrasto si concentra nei confronti delle imprese che
non applicano i contratti leader sottoscritti da CGIL, CISL e UIL, ma i contratti stipulati da Organizzazioni Sindacali che, nel settore, risultano essere comparativamente meno rappresentative, come CISAL, CONFSAL ed altre sigle minoritarie.
Solamente l’applicazione di contratti leader pertanto, a dire dell’INL, consentirebbe determinati benefici come la fruizione di incentivi o il ricorso a
firmati da soggetti muniti di maggiore rappresentatività comparativa, ovvero dai cd. “contratti leader” appunto, va annoverata la possibilità di godere dei benefici normativi e contributivi, così come previsto dall’art. 1, comma 1175, legge n.
296/2006.
Inoltre, il contratto collettivo sottoscritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale rappresenta il parametro ai fini
ricordare, la circolare n. 3/2018, che ciò può avvenire, a titolo meramente esemplificativo, in relazione al contratto di lavoro intermittente, al contratto a tempo determinato o a quello di apprendistato, va evidenziato però il fatto che tal cosa non va ad incidere su quella che è la natura e la validità stessa della tipologia contrattuale che, a prescindere dalla applicazione o meno di un contratto “leader” , continua comunque a trovare applicazione.
forme contrattuali flessibili, e tutto ciò, malgrado l’esistenza del
E’ interessante, nonché fondamentale citare una sentenza
principio di libertà sindacale.
Pertanto, fermo restando il principio di libertà sindacale, le imprese che non applicano i contratti leader, potranno rispondere di sanzioni amministrative, di omissioni contributive e di trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro flessibili. Inoltre, secondo l’INL, gli eventuali soggetti committenti risponderanno in solido con le imprese ispezionate degli effetti delle violazioni accertate.
Xxxxxxxx derivanti dall'applicazione di contratti leader Constatate tutte le incertezze, ci si interroga pertanto, su come debba procedere una impresa o un professionista, quale il consulente del lavoro, nel momento in cui si trova a dover comprendere se e quali benefici o agevolazioni possono essere applicati in un determinato contesto, e in riferimento a quali normative e/o contratti.
Di sicuro, come già indicato
nella circolare dell’INL n. 3/2018, in merito ai vantaggi derivanti dalla applicazione di contratti
L'applicazione
dei cd. contratti leader consente di accedere ai benefici normativi
e contributivi
del calcolo della contribuzione dovuta, indipendentemente dal CCNL applicato ai fini retributivi, secondo quanto prevede l’art. 1, comma 1, del D. L. n. 338/1989 unitamente all’art. 2, comma 25 della legge n. 549/1995.
In merito alla facoltà rimessa esclusivamente alla contrattazione collettiva in questione, di “integrare” la disciplina
normativa di numerosi istituti, con riferimento all’art. 51 D. Lgs 81/2015 secondo il quale tutti i rinvii operati in favore della contrattazione collettiva, per modificare e adattare le regole sul lavoro flessibile, sono riferiti ad accordi collettivi stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dalle rispettive rappresentanze aziendali, e nel
della Corte di Cassazione, n. 6428/2018, secondo la quale le imprese artigiane, commerciali e del turismo che non rispettano gli accordi collettivi firmati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, perdono il diritto di ricevere i benefici derivanti da eventuali sgravi contributivi e fiscali percepiti, ma non sono comunque tenute a restituire la minore contribuzione previdenziale pagata in caso di assunzione di apprendisti.
Infatti, secondo la Corte, le aliquote agevolate per l’apprendistato si differenziano dagli ulteriori benefici di natura contributiva, economica, normativa e fiscale che, a prescindere dalla qualifica di apprendista, sono stati di volta in volta introdotti dal legislatore per attuare specifiche finalità di politica economica, al fine di incrementare l’occupazione.
La Corte commenta che solo a questi ultimi incentivi si rivolge l’art. 10 della legge Biagi, nella parte in cui subordina l’applicazione degli incentivi al pagamento dei trattamenti retributivi non inferiori a quelli
Primo Piano / Contrattazione collettiva
LE INCERTEZZE
Numerose perplessità sorgono in merito all’applicazione dei contratti leader e soprattutto in merito alle previsioni dell’INL. In primis, tra le tante opinioni contrastanti, è d’obbligo citare un approfondimento del 12 febbraio 2018, pubblicato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, la quale si è dimostrata alquanto scettica verso la posizione assunta dall’INL.
Secondo la Fondazione infatti, il sopracitato concetto di “comparativamente più rappresentativo” sul piano nazionale, non trova alcuna concretizzazione in un dato certo. Pertanto, la Fondazione si domanda in quale modo materialmente le istituzioni ed i vari enti anche previdenziali possano attivarsi per seguire l’invito dell’ INL, e secondo quali parametri ben precisi possano svolgere una loro attività di indagine e di controllo.
Malgrado si parli da tanto del criterio di rappresentatività maggioritaria comparativa infatti, mancano di fatto le modalità attraverso cui individuare l’obiettività di tale requisito.
Come si evince continuando con la lettura di approfondimento della Fondazione, lo stesso articolo n. 51 del
D. Lgs. n. 81/2015, il quale così recita “salvo diversa previsione, ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria” rinviando al criterio della rappresentatività comparata, nulla dice però nello specifico in merito al criterio di individuazione della stessa, pertanto rimane il fatto, da non sottovalutare, che nel sistema attuale non è possibile individuare con certezza i parametri attraverso i quali determinare tale comparazione e di conseguenza individuare l’organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa.
La Fondazione Studi, nell’enucleare gli elementi di criticità rispetto al disposto dell’ INL, non manca di ricordare inoltre, il fatto che la Corte Costituzionale, con sentenza 3 del 23 Luglio 2013, n. 231, al fine di garantire la massima tutela al principio di libertà sindacale, ha dichiarato la illegittimità
costituzionale dell’art. 19, comma 1, lett. b) della Legge n. 300/1970, nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda.
Inoltre, continuando, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro sostiene che il T.U. Rappresentanza del 10 gennaio 2014 (sottoscritto da Confindustria – Cgil, Cisl e Uil) da un lato prevedeva percentuali e procedure di calcolo al fine di determinare la soglia di rappresentanza minima per la sottoscrizione della contrattazione collettiva nazionale di categoria, dall’altro lato lasciava che i dati sulla rappresentanza fossero determinati dal Consiglio Nazionale dell’ Economia del Lavoro (CNEL) entro il mese di Maggio dell’anno successivo a quello della rilevazione.
Ad oggi però, risposta alcuna vi è stata da parte di quest’ultimo, con la conseguenza pertanto, che si continua a brancolare nelle incertezze.
Sulla maggiore rappresentatività comparativa
Vista l’enorme lacuna esistente in materia e, vista la difficoltà nell’individuazione del criterio di maggiore rappresentatività dei sindacati, alcuni indici sintomatici si possono cogliere all’interno di un interpello del Ministero del Lavoro, n.
27/2015 e dalla giurisprudenza di legittimità, i quali a loro modo hanno cercato di offrire una sorta di chiarezza ai fini della individuazione del suddetto criterio.
In particolare, per la verifica della maggiore rappresentatività in termini comparativi, occorre tener conto del: numero complessivo dei lavoratori occupati; numero complessivo delle imprese associate; diffusione territoriale (numero delle sedi presenti sul territorio e ambiti settoriali); numero dei contratti collettivi nazionali sottoscritti; partecipazione effettiva alle relazioni industriali; numero delle controversie trattate ai sensi dell’art. 411 c.p.c.
La maggiore rappresentatività delle organizzazioni stipulanti accordi collettivi è desunta da una valutazione comparativa degli indici sintomatici sopraindicati (sentenza n. 8865/2014 Trib. Lazio).
previsti dai CCNL comparativamente più rappresentativi. Non rientrano invece nell’ambito della norma le aliquote contributive applicabili agli apprendisti, in quanto sono misure di carattere generale che si
applicano a categorie omogenee (tutte le imprese che assumono apprendisti).
Con riferimento al welfare aziendale, argomento di fortissima attualità, è noto come lo stesso strumento possa essere
previsto sia all’interno di contrattazione collettiva nazionale che all’interno di contrattazione collettiva di secondo livello, ma ad ogni modo, con specifico riferimento al campo di applicazione, permangono
numerose incertezze e sussistono interpretazioni contrastanti data l’assenza di una normativa certa sulla maggiore rappresentatività dei contratti.
Riflessioni conclusive
Alla luce di quanto asserito sin qui, e dovendo effettuare le dovute considerazioni, così come sostenuto anche dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro nell’approfondimento del 12
febbraio 2018, in assenza di una definizione certa del criterio di maggiore rappresentatività comparata, non risulta sussistente il presupposto fondante l’azione ispettiva prefissa dalla circ. n.
3/2018.
Data la mancanza di criteri ben precisi ai fini della individuazione delle organizzazioni sindacali legittimate ad agire, ogni intervento teso a negare agevolazioni o incentivi o
discipline derogatorie, non farebbe altro che incrementare il contenzioso, causando altresì un notevole rallentamento allo sviluppo della contrattazione di secondo livello che è tipica del sistema di flessibilità e di adattabilità delle norme alla singola azienda, oltre che creare innumerevoli disagi con riferimento all’utilizzo dei benefici contributivi e normativi. •