COLLEGIO DI PALERMO
COLLEGIO DI PALERMO
composto dai signori:
(PA) XXXXXXX Presidente
(PA) XXXXXX Membro designato dalla Banca d'Italia
(PA) CIRAOLO Membro designato dalla Banca d'Italia
(PA) SERIO Membro di designazione rappresentativa degli intermediari
(PA) CAMBOA Membro di designazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXXXXXX XXXXXXX
Seduta del 03/11/2017
FATTO
La ricorrente, titolare di un contratto di conto corrente presso l’intermediario resistente, afferma:
- che in data 12/08/2016 la resistente comunicava una proposta di modifica unilaterale del rapporto contrattuale, riguardante l’imposizione di un canone annuale per l’uso della carta di debito accessoria al conto, sino ad allora concessa gratuitamente;
- che le giustificazioni sottese all’anzidetta modifica unilaterale (l’introduzione, con Regolamento UE 2015/751, di un limite alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento effettuate con carta e l’aumento dei costi di emissione e gestione delle carte, dovuti ad investimenti tecnologici) sono inaccettabili, sotto il profilo sia logico che giuridico;
- che, infatti, attraverso l’aumento del canone l’odierna resistente eluderebbe i limiti ai costi dei pagamenti con carta, imposti dalla normativa europea a tutela dei consumatori;
- che, pertanto, la modifica unilaterale del contratto proposta dalla resistente non è sorretta dal “giustificato motivo” richiesto a tal fine dall’art. 118 TUB.
Per quanto sopra esposto, la ricorrente chiede che l’Arbitro “annulli la modifica abusiva apportata unilateralmente” al contratto in esame, specificando i limiti operativi dell’art. 118 TUB.
In sede di controdeduzioni, l’intermediario eccepisce:
- che la comunicazione ricevuta dalla cliente indica in modo analitico e puntuale il contenuto delle variazioni delle condizioni economiche del contratto, prevedendo espressamente il diritto di recesso senza penalità e senza spese di chiusura, così come richiesto dalla normativa sulla trasparenza bancaria;
- che l’introduzione del canone annuo per la carta di debito è dovuta all’emanazione del Regolamento UE 2015/751, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di
pagamento basate su carta, avente l’obiettivo di accrescere il livello di concorrenza e di integrazione del mercato europeo delle carte di pagamento;
- che la cliente è stata informata circa il giustificato motivo alla base della modifica unilaterale in maniera sufficientemente precisa e tale da consentire una valutazione circa la congruità della variazione rispetto alla motivazione che ne è alla base (potendo conseguentemente optare per la prosecuzione del rapporto sulla base delle nuove condizioni contrattuali o per il recesso dal contratto).
Conclude, pertanto, chiedendo il rigetto del ricorso, stante la correttezza del proprio operato.
DIRITTO
La presente controversia verte sulla legittimità della modifica delle disposizioni contrattuali relative al costo annuo di una carta di debito, unilateralmente disposta dalla resistente.
La questione va decisa, pertanto, sulla base dell’art. 118 TUB, secondo il quale nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà della banca di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste qualora sussista un giustificato motivo, salvo il diritto del cliente di recedere senza spese dal contratto, ove non intenda accettare la modifica che, con anticipo di almeno due mesi, gli sia stata preventivamente sottoposta. La norma prevede, inoltre, che le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le suddette prescrizioni sono inefficaci, se sfavorevoli per il cliente.
Nel caso di specie, è incontestato fra le parti che il contratto attribuisse all’intermediario la facoltà di modifica unilaterale delle condizioni ex art. 118, comma 1, TUB (cd. jus variandi), e che la ricorrente abbia ricevuto la comunicazione relativa alle variazioni contrattuali (indubbiamente peggiorative, considerata l’introduzione ex novo di un canone annuo per l’uso di una carta fino ad allora gratuita) nel rispetto del termine di preavviso minimo.
Nel contesto della predetta comunicazione, inoltre, la modifica delle condizioni di contratto viene giustificata richiamando l’introduzione del limite alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento con carta stabilito dal Regolamento UE 2015/751, nonché l’aumento dei costi di emissione e gestione delle carte, conseguente agli investimenti effettuati dall’intermediario per migliorare i sistemi di sicurezza e adeguarli alle più evolute modalità di utilizzo di tali strumenti (ad es., per operazioni via internet o in modalità contactless).
Così inquadrati i termini della questione, è innanzitutto opportuno precisare che, in mancanza di più precise indicazioni normative, il “giustificato motivo” richiesto dalla legge per l’esercizio dello jus variandi viene usualmente identificato con un evento a carattere specifico, in grado di produrre comprovabili effetti sul rapporto bancario. Tale evento, inoltre, non deve essere imputabile a “scelte di politica commerciale o comunque gestionale che non pongano tanto l’esigenza di mantenere l’equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni contrattuali delle parti contraenti, quanto piuttosto siano rivolte a salvaguardare il margine di profitto della stessa banca” (su tale profilo v. ABF Torino, dec. n. 4845/17; ABF Roma, dec. n. 1722/15). Si ritiene, infine, che anche la comunicazione della modifica unilaterale debba avere contenuto sufficientemente preciso, tale da consentire al cliente di valutare la congruità della variazione contrattuale rispetto alla motivazione posta a base della stessa (Coll. coord., dec. n. 1889/16).
In quest’ottica, dunque, l’Autorità di vigilanza ha stigmatizzato il ricorso a motivazioni (delle variazioni contrattuali) esposte alla clientela in termini del tutto generici o scarsamente intellegibili, o l’incoerenza fra le modifiche contrattuali proposte e le relative giustificazioni, richiedendo che la preventiva informativa ai clienti sia chiara, sintetica e completa, verificabile e coerente con la programmata variazione contrattuale, nonché attenta al
livello di alfabetizzazione finanziaria che è ragionevole attendersi dai destinatari (comunicazione Banca d’Italia del 5 settembre 2014).
Ebbene, nel caso in esame, può assumersi che l’intermediario abbia indicato, quale giustificato motivo della modifica contrattuale, una serie di circostanze sufficientemente specifiche (limite alle commissioni interbancarie introdotto con Regolamento UE 2015/751 del 29 aprile 2015, nonché aumento dei costi operativi derivante da investimenti in campo tecnologico) e intellegibili (anche perché accompagnate da idonee esemplificazioni o spiegazioni), tali quindi da permettere al cliente una valutazione di congruità della modifica rispetto alle motivazioni addotte e di optare, se del caso, per l’eventuale recesso dal contratto.
Più in particolare, la resistente afferma che l’imposizione ex lege di un tetto alle commissioni interbancarie (cioè le commissioni riconosciute, per ogni operazione di pagamento, dalla banca che ha convenzionato l’esercente a quella che ha emesso la carta) abbia determinato la necessità di adeguare i costi di rilascio della carta di debito, in conseguenza di un’inevitabile contrazione dei propri ricavi (ricostruzione peraltro non contestata dalla ricorrente, la quale si limita ad obiettare che, per non frustrare lo spirito della legge, la diminuzione dei profitti degli operatori non possa tradursi in uno svantaggio economico per gli utenti).
Orbene, è stato chiarito dalle autorità di settore che gli eventi idonei a configurare il giustificato motivo ex art. 118 TUB “possono essere sia quelli che afferiscono alla sfera del cliente (ad esempio, il mutamento del grado di affidabilità dello stesso in termini di rischio di credito) sia quelli che consistono in variazioni di condizioni economiche generali che possono riflettersi in un aumento dei costi operativi degli intermediari (ad esempio, tassi di interesse, inflazione ecc.)” (v. circolare del Ministero dello Sviluppo Economico n. 5574/17); ed ancora, che le modifiche unilaterali possono essere giustificate, fra l’altro, da “costi sopravvenuti alla stipula dei contratti interessati” (delibera del Direttorio della Banca d’Italia n. 197/2017 del 28 marzo 2017). Posto dunque che, nella specie, l’aumento dei costi a carico della ricorrente trova origine in un provvedimento normativo sopravvenuto (ossia in un fattore esterno ed oggettivo, indipendente dalla volontà dell’intermediario e non riconducibile ad inefficienze gestionali del medesimo), in grado di incidere in modo continuativo sugli aspetti economici del rapporto bancario, si può ravvisare la presenza di quel giustificato motivo che legittima la variazione delle originarie condizioni contrattuali.
Né può assumere rilevanza, in senso contrario, l’assunto – richiamato anche da recenti decisioni di quest’Arbitro - secondo cui “un intervento normativo (…) non può, di per sé, rappresentare un evento idoneo a costituire un giustificato motivo oggettivo”, difettando, per un verso, del carattere dell’imprevedibilità (ravvisabile, al più, nei soli provvedimenti necessari e urgenti, come ad es. i decreti legge), e dovendosi considerare, per altro verso, che le nuove norme si limitano talvolta a fissare dei meri obiettivi, per il cui raggiungimento l’intermediario resta libero di organizzarsi nel modo più opportuno (così, ABF Torino, dec. 4845/17).
A parere di questo Collegio, invero, la stessa formulazione di tale principio (secondo cui un provvedimento normativo non rappresenta, “di per sé”, un giustificato motivo) implica che il medesimo debba essere interpretato ed applicato non in modo assolutistico, ma in base alle circostanze del singolo caso (valutando, ad es., se all’epoca della stipula di un determinato contratto fosse stato già avviato e pubblicizzato l’iter di produzione di un determinato atto normativo, del quale l’intermediario avrebbe potuto tenere conto). In caso contrario, d’altronde, si giungerebbe alla discutibile conclusione - contrastante, peraltro, con le indicazioni fornite dalle autorità cui sopra si è accennato - secondo cui gli intermediari, salvo casi del tutto eccezionali, non potrebbero validamente invocare un provvedimento normativo sopravvenuto ai fini di una modifica contrattuale, essendo
comunque tenuti a prevederne l’adozione (anche se intervenuta, in ipotesi, a distanza di numerosi anni dalla conclusione del contratto con il cliente).
Ciò premesso, va dato atto che, nel caso in esame: i) nessun elemento autorizza a ritenere che, all’epoca della stipula del contratto di conto corrente e di rilascio della carta, la resistente fosse in condizione di conoscere o di ipotizzare la futura adozione del regolamento sulle interchange fees; ii) detto regolamento non lascia liberi gli intermediari di conseguire determinati obiettivi secondo autonome strategie imprenditoriali, ma li obbliga ad un comportamento puntuale e specifico (contenere le commissioni interbancarie entro limiti quantitativi prefissati), che non consente alcun margine di autonomia. Anche sotto tali profili, dunque, la variazione contrattuale sembra sorretta da un’adeguata motivazione.
Né pare corretto affermare che l’aumento dei costi a carico del titolare della carta comporti, di fatto, un’elusione delle norme dettate dal Reg. UE 2015/751, neutralizzando i potenziali vantaggi previsti per i consumatori: nell’ottica del legislatore europeo, infatti, i benefici per questi ultimi paiono collegati, oltre che all’incremento dei livelli di concorrenza e di integrazione del mercato europeo delle carte di pagamento, all’auspicato effetto di una generale riduzione dei prezzi al consumo, derivante dal contenimento delle interchange fees. I prezzi di beni e servizi, invero, incorporano le commissioni pagate dagli esercenti agli intermediari convenzionatori per ogni transazione con carta, ma tali commissioni sono a loro volta determinate sulla base delle commissioni interbancarie versate dagli intermediari acquirer agli intermediari emittenti le carte (v. il preambolo al Reg. UE 2015/751, punti 10 e 11). La riduzione di queste ultime, dunque, dovrebbe volgere a favore dei consumatori, agevolando un calo del prezzo finale delle merci.
Più dubbia appare, invece, l’ulteriore argomentazione addotta dalla resistente al fine di giustificare l’introduzione del canone annuo per l’uso della carta di debito (il riferimento è ai maggiori costi per investimenti tecnologici, sostenuti per garantire la sicurezza d’uso dello strumento), potendosi in questo caso rilevare, da un lato, che l’adeguamento alle nuove tecnologie rappresenta una voce di costo normale e prevedibile, di cui l’intermediario deve anticipatamente tenere conto (essendo peraltro tenuto a garantire, nel tempo, la massima sicurezza dei servizi offerti, conformandosi agli standard tecnici più evoluti); dall’altro, che l’incremento degli oneri per il cliente dipenda sostanzialmente da decisioni dell’intermediario di natura commerciale, miranti a preservare i suoi margini di profitto (così, ABF Roma, dec. n. 1722/15, con riferimento, tra l’altro, alle spese per l’introduzione del microchip nelle carte di credito).
Considerati, nondimeno, il tenore complessivo delle motivazioni poste a base della modifica contrattuale in questa sede esaminata e le modalità della relativa comunicazione al cliente, questo Collegio ritiene che lo jus variandi sia stato esercitato, nella specie, in conformità con il disposto dell’art. 118 TUB.
Il ricorso, pertanto, non può essere accolto.
PER QUESTI MOTIVI
Il Collegio non accoglie il ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1