GIUSTA RETRIBUZIONE E CONTRATTO COLLETTIVO TRA COSTITUZIONE E DIRITTO EUROPEO
GIUSTA RETRIBUZIONE E CONTRATTO COLLETTIVO TRA COSTITUZIONE E DIRITTO EUROPEO
Xxxxxxx Xxxxxxx
Professore ordinario di diritto del lavoro nell’Università Sapienza di Roma
Abstract [It]: La frammentazione della rappresentanza imprenditoriale e dei lavoratori ha comportato la proliferazione di contratti collettivi orientati al ribasso salariale. La Corte di Cassazione è, quindi, intervenuta chiarendo come il giudice sia tenuto a verificare la conformità del trattamento retributivo ai principi costituzionali anche se il contratto collettivo è sottoscritto da sindacati comparativamente più rappresentativi, utilizzando altresì indici alternativi per valutare la sufficienza e la proporzionalità del salario. Tutto questo ha portato ad un acceso dibattito scientifico, nonché al susseguirsi di numerose proposte legislative in materia di salario minimo legale, tra cui da ultimo il disegno di legge approvato alla Camera e contenente «Deleghe al Governo in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva nonché di procedure di controllo e informazione».
Abstract [En]: The fragmentation of both employer and worker representation has led to a proliferation of collective agreements geared towards lowering wages. Therefore, the Court of Cassation intervened, clarifying that the judge is required to verify the conformity of the remuneration to the Constitution even if the collective agreement is signed by comparatively more representative unions, also using alternative indices to assess the sufficiency and proportionality of the salary. All of this has led to a lively scientific debate, as well as the emergence of numerous legislative proposals regarding the legal minimum wage, including the latest bill approved by the Chamber of Deputies containing «Delegations to the Government on the remuneration of workers and collective bargaining as well as control and information procedures».
SOMMARIO: 1. Gli ultimi discussi passaggi parlamentari in tema di rafforzamento delle tutele retributive. – 2. La crisi della funzione parametrica del contratto collettivo nell’applicazione giudiziale dell’art. 36 Cost. – 3. Segue. I più recenti approdi della giurisprudenza di legittimità. – 4. Dibattito scientifico e progettualità legislativa in materia di salario minimo legale. – 5. Le soluzioni prefigurate dall’emendamento di maggioranza al testo del disegno di legge unificato. – 6. L’ineludibile coessenzialità di un intervento regolativo in tema di delimitazione dei perimetri contrattuali e di efficacia dei contratti collettivi. Il nodo insuperabile del raccordo con l’art. 39 Cost.
1. Gli ultimi discussi passaggi parlamentari in tema di rafforzamento delle tutele retributive
Lo scorso 6 dicembre si è consumato l’ennesimo episodio della complessa trama sviluppatasi negli ultimi anni attorno alla questione dei minimi salariali, con l’approvazione alla Camera della proposta di legge contenente «Deleghe al Governo in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva nonché di procedure di controllo e informazione» (ossia il testo unificato delle proposte di legge in tema di salario minimo discusse in Commissione nel corso dell’ultima legislatura, come integralmente riscritto dal c.d. xxxx emendamento governativo).
Si tratta di un’iniziativa legislativa che, come noto, si colloca nell’ambito di un più vasto scenario che coinvolge, oltre agli interlocutori politici che si fronteggiano nelle assemblee legislative, le istituzioni dell’Unione Europea (intervenute in materia con la Direttiva 2041/20221) e, come avviene costantemente da più di settanta anni, la magistratura: quest’ultima, in difetto di soluzioni legislative orientate alla quantificazione per via eteronoma della giusta retribuzione, ha storicamente e notoriamente operato come la più elevata autorità preposta non solo a garantire l’effettiva osservanza ma anche a provvedere al concreto riempimento di significato del precetto sancito dal primo capoverso dell’art. 36 Cost2
Ma l’attore apparentemente più discreto (almeno nel periodo più recente) ed al contempo più camaleontico e rivelatosi capace di repentini mutamenti di ruolo va identificato nel sindacato. Espressione riassuntiva che, declinata al singolare, certamente non è idonea a ritrarre le varie componenti e “anime” di una galassia organizzativa i cui attori continuano in molti casi ad assolvere diligentemente il ruolo di elevatissima responsabilità sociale attribuitagli dall’ordinamento, ma per converso ed in un numero crescente di contesti si rivelano più inclini ad assecondare dinamiche di carattere concorrenziale (tanto con riferimento alla competizione associativa, quanto con riguardo agli intenti di ribasso economico) destinate a sfociare in preoccupanti e spiazzanti esercizi di dumping sociale3. Una commistione funzionale che non viene più rispecchiata dalla divisione tra attori negoziali virtuosi e soggetti di dubbia genuinità, dal momento che non è più purtroppo insolito che nelle diverse sedi ad interpretare l’uno o l’altro ruolo siano gli stessi agenti contrattuali.
Alle radici del fenomeno del “lavoro povero”4 si situa infatti, accanto alla pervasività invadente delle dinamiche concorrenziali, quel corrispondente moto involutivo di frantumazione della rappresentanza, imprenditoriale5 e dei lavoratori, che ha a sua volta alimentato la proliferazione dei contratti collettivi sino all’abnorme numero di quelli istituzionalmente censiti; contratti in moltissimi casi destinati a trovare applicazione in ambiti pienamente o parzialmente sovrapponibili (come in determinate aree del comparto multiservizi) ed incanalati in una apparentemente irrefrenabile corsa al ribasso, i cui risultati eclatanti sono stati fatti oggetto di analisi e di censura, alla luce del raffronto con indicatori esterni inequivocabilmente attestanti la loro inadeguatezza (prima fra tutti la soglia di povertà assoluta periodicamente calcolata dall’Istat), dai sempre più isolati “garanti” giudiziari.
2. La crisi della funzione parametrica del contratto collettivo nell’applicazione giudiziale dell’art. 36 Cost.
Questi ultimi, si diceva, hanno storicamente assunto, quali primi e normalmente più attendibili parametri orientativi per la quantificazione della giusta retribuzione, il contratto
1 Con riferimento alla quale va richiamato il documento CNEL su Elementi di riflessione sul Salario Minimo in Italia, approvato (a maggioranza) dall’Assemblea del Comitato lo scorso 12 ottobre.
2 X. XXXXXXX, Autonomia collettiva e clausole generali, in Clausole generali e diritto del lavoro. Atti delle Giornate di Studio di Diritto del Lavoro (Roma, 29-30 maggio 2014), Xxxxxxx, Milano, 2015, p. 99.
3 X. XXXX, Xxxxxx retribuzione e lavoro povero, in Var. temi dir. lav., numero speciale su Il lavoro povero in Italia: problemi e prospettive, 2022, p. 7 ss.; X. XXXXXXXXX, Contrattazione collettiva e pluralità di categorie, BUP, Bologna, 2020, spec. p. 200 ss.
4 A. XXXXXXX, Povertà e lavoro atipico, in Xxxxxx e dir., 2019, pp. 113-114.
5 X. XXXX, La questione salariale: legislazione sui minimi e contrattazione collettiva, in Biblioteca 20 Maggio, 2019, p. 142; X. XXXX, Salario minimo: Estensione selettiva dei minimi contrattuali, in Biblioteca 20 Maggio, 2022, pp. 211-212
collettivo6 che, anche se non concretamente applicato dall’imprenditore per mancata affiliazione all’associazione stipulante, per difetto di volontà ovvero in conseguenza della decisione di applicare un contratto collettivo destinato ad un diverso ambito di applicazione fosse univocamente individuabile come quello (ossia l’unico) corrispondente all’attività effettivamente esercitata7. Raffronto che quindi presupponeva l’agevole individuabilità del contratto parametro all’interno di un sistema contrattuale ordinato ed organico, sebbene autoregolato dagli attori del sistema di relazioni industriali.
Tale organicità è ormai gradualmente venuta meno8, con la conseguenza che la ricerca del più attendibile riferimento all’interno di quella che ben può meritare il romanzesco e metaforico richiamo alla definizione di giungla o palude contrattuale o di un teatro delle ombre in cui è sempre più difficile distinguere la sostanza – ossia l’autentica attendibilità sociale degli attori contrattuali e dei relativi prodotti negoziali – dall’evanescente apparenza del possesso di tale qualità, è divenuta un’operazione sempre più incerta e dagli esiti spesso opinabili.
Né può dirsi che i precedenti tentativi legislativi di arginare tali derive attraverso l’imposizione di criteri selettivi destinati ad orientare la scelta del contratto collettivo da applicare (cfr., tra i molti riferimenti, l’art. 51 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81) ovvero volti all’utilizzo di tali criteri ai fini dell’individuazione di adeguati parametri retributivi (come stabilito per i soci lavoratori di cooperative dall’art. 7, comma 4, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 febbraio 2008, n. 31) abbiano sortito effetti risolutivi o abbiano quanto meno apportato correttivi alle più gravi distorsioni alimentate da tale involuzione del quadro di relazioni industriali nel nostro Paese.
Ciò in primo luogo perché la nozione di rappresentatività comparata, nonostante tale formulazione si appresti di qui a poco a celebrare il suo trentennio dall’introduzione nel lessico legislativo9, non ha mai ricevuto una chiara e “maneggevole” traduzione applicativa attraverso l’enucleazione di indicatori oggettivi e verificabili e di conseguenza non possiede una reale valenza selettiva.
In secondo luogo perché, in ragione di scelte di politica sindacale non pienamente lineari e condivisibili, le stesse organizzazioni sindacali storicamente considerate come grandemente e/o storicamente rappresentative, anziché contrastare la deriva pulviscolare della rappresentanza datoriale astenendosi dal riconoscimento dei nuovi e talvolta spregiudicati protagonisti di questa diaspora come controparti negoziali, ne hanno indirettamente legittimato le ripercussioni maggiormente regressive, accettando di sottoscrivere contratti collettivi “concorrenziali” rispetto a quelli applicati negli stessi settori di attività (e stipulati dalle medesime organizzazioni sindacali) e fornendo quindi il loro sostanziale avallo all’insostenibile discesa dei trattamenti salariali ben al di sotto dei livelli di dignità economica e sociale prefigurati dalla previsione costituzionale.
6 X. XXXXXXX, Retribuzione e struttura della contrattazione collettiva, in La retribuzione. Atti del XIX Congresso Nazionale di Diritto del Lavoro Palermo, 17-19 maggio 2018, Xxxxxxx, Milano, 2019, p. 12 ss.; X. XXXXXXXX, La giusta retribuzione nei contratti di lavoro, oggi, in La retribuzione. Atti del XIX Congresso Nazionale di Diritto del Lavoro, cit., p. 98.
7 In questi termini, emblematicamente, Cass. 20 marzo 1997, n. 2665
8 Cfr. sul punto X. XXXX, La questione salariale: legislazione sui minimi e contrattazione collettiva, in Dir. rel. ind., 2019, pp. 773-774.
9 Che risale, per quanto consta, all’art. 2, comma 25 della legge 28 dicembre 1995, n. 549 in materia di c.d. minimale contributivo ed a mente del quale «l'articolo 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, si interpreta nel senso che, in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria».
3. Segue. I più recenti approdi della giurisprudenza di legittimità. – 4. Dibattito scientifico e progettualità legislativa in materia di salario minimo legale.
Una presa d’atto, lucida ed assieme estremamente problematica, delle accresciute incognite che condizionano l’intervento giudiziale di applicazione dell’art. 36 Cost. nel momento odierno, è contenuta nelle motivazioni delle sentenze dello scorso xxxxxxx00 con le quali la Corte di Cassazione, esprimendosi su questioni già emerse in alcune assai commentate sentenze di merito12, ha formulato alcuni principi di diritto al fine di adattare le modalità applicative dell’art. 36 Cost. alle complessità dei nuovi scenari.
In particolare, il Giudice di legittimità ha innanzitutto puntualizzato (esplicitando alcuni corollari già desumibili dai tradizionali insegnamenti del Supremo Collegio ma mai espressi così puntualmente prima d’ora), che anche nell’ipotesi in cui i soggetti firmatari del contratto collettivo siano in possesso di riconosciute credenziali di rappresentatività ed anche nel caso in cui il possesso di tale requisito sia imposto da speciali previsioni di legge (come accade per i soci lavoratori di cooperative), il giudice è comunque chiamato a verificare, su domanda del lavoratore, la rispondenza del trattamento retributivo ai criteri di proporzionalità e sufficienza fissati dalla previsione costituzionale. Così statuendo, la Cassazione ha in una certa misura circostanziato un precedente pronunciamento della Corte Costituzionale (sentenza n. 51 del 2015) la cui motivazione, la cui formulazione avrebbe potuto, letta al di fuori di un più ampio contesto sistematico, avallare l’idea di una sorta di presunzione assoluta della conformità all’art. 36 Cost. della retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative.
In secondo luogo, la Corte ha chiarito che indicatori alternativi come quello della soglia di povertà assoluta, certamente significativo ai fini della declaratoria di illegittimità delle
10 Va peraltro segnalato che il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 10530 dello scorso 5 dicembre, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale della compatibilità dell’art. 95, comma 3, lettera a) del Codice degli Appalti Pubblici emanato con il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (a mente del quale «sono aggiudicati esclusivamente sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo…i contratti relativi… servizi ad alta intensità di manodopera », escludendo il ricorso al criterio del minor prezzo), con i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Un principio analogo a quello, ora richiamato, dettato dal precedente Codice e la cui conformità al diritto europeo è stata revocata in dubbio dal Consiglio di Stato si rinviene nell’art. 108 del riformato Codice dei contratti ed appalti pubblici introdotto dal d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36
11 Cfr. Cass. 2 ottobre 2023, n. 27711; Cass. 2 ottobre 2023, n. 27713; Cass. 2 ottobre 0000, x. 00000, nonché
Cass. 10 ottobre 2023, n. 28320; Cass. 10 ottobre 2023, n. 28321; Cass. 10 ottobre 2023, n. 28323.
12 Cfr. App. Milano 13 giugno 2022, n. 579; App. Milano 13 giugno 2022, n. 580, con nota di F. DE GIULI, Xxxxxx retribuzione e funzione parametrica del contratto collettivo. L’eccezione conferma la regola? , in Lavoro e prev. oggi, 2023, p. 89 ss.; App. Milano 19 settembre 2022, n. 626; Trib. Torino 9 agosto 2019, n. 1128; e Trib. Milano 29 ottobre 2019, n. 2457, in Riv. it. dir. lav., 2020, p. 3 ss. con nota di X. XXXXXXX, Determinazione giudiziale della retribuzione e individuazione del contratto collettivo-parametro tra art. 36 Cost. e normativa speciale applicabile ai soci lavoratori di cooperative; Trib. Milano 22 marzo 2022, n. 673.
clausole retributive che implichino una discesa al di sotto di tale limite (c.d. pars destruens), non esauriscono né si sostituiscono alla valutazione (pars construens) che il giudice è chiamato a svolgere tenendo conto non delle sole esigenze di pura sussistenza del prestatore di lavoro, posto che il «salario minimo costituzionale…deve essere proiettato ad una vita libera e dignitosa e non solo non povera, dovendo altresì rispettare l'altro profilo della proporzionalità».
Analogo giudizio, precisano le sentenze, può essere espresso con riguardo a parametri alternativi come «l'importo della Naspi o della CIG, la soglia di reddito per l'accesso alla pensione di inabilità e l'importo del reddito di cittadinanza; tutte forme di sostegno al reddito che fanno però riferimento a disponibilità di somme minime utili a garantire al percettore una mera sopravvivenza ma non idonei a sostenere il giudizio di sufficienza e proporzionalità della retribuzione».
Al fine di pervenire a questa quantificazione e – come sottolineato espressamente nelle sentenze – «di fronte alla situazione di crisi in parte nuova che si è venuta determinando» il Giudice è quindi tenuto a procedere alla ricerca del parametro più adeguato anche in esercizio dei poteri istruttori esercitabili d’ufficio e potendo far ricorso ad un diverso contratto collettivo corrispondente all’attività lavorativa svolta, se rinvenibile, da utilizzare come parametro. Inoltre, il giudice può motivatamente utilizzare parametri anche differenti da quelli contrattuali e motivare la pronuncia «sulla natura e sulle caratteristiche della concreta attività svolta, su nozioni di comune esperienza e, in difetto di utili elementi, anche su criteri equitativi».
Con riferimento a tali possibili indicatori e criteri alternativi, le sentenze si soffermano in particolare sui contenuti della direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022 relativa a salari minimi adeguati nella Unione europea.
Quest’ultima, sebbene non imponga una specifica metodologia di quantificazione dei salari minimi, non enunci una ipotesi di quantificazione (anche perché la materia delle retribuzioni rimane esclusa dalle competenze delle Unione in applicazione dell’art. 153.5 del TFUE) e non vincoli l’Italia all’adozione di uno specifico piano d’azione in ragione dell’elevato tasso di applicazione dei contratti collettivi eccedente la soglia dell’80% fissata dall’art. 4.2 della stessa direttiva, fornisce alcune indicazioni utilizzabili, ad avviso della Cassazione, anche in sede giurisprudenziale; ciò con particolare riferimento all’eventuale raffronto con il valore di un paniere di beni e servizi stabilito a livello nazionale che tenga conto «oltre alle necessità materiali quali cibo, vestiario e alloggio, …..della necessità di partecipare ad attività culturali, educative e sociali».
Infine, e con tutta la relatività di un’indicazione che non può assumere una rilevanza stringente per la già segnalata limitazione di competenza normativa dell’ordinamento europeo, le sentenze riprendono il già citatissimo “considerando” n. 28 della direttiva 2041/2022 che richiama come possibili valori di riferimento «il rapporto tra il salario minimo lordo e il 60% del salario lordo mediano e il rapporto tra il salario minimo lordo e il 50 % del salario lordo medio, valori che attualmente non sono soddisfatti da tutti gli Stati membri, o il rapporto tra il salario minimo netto e il 50 % o il 60 % del salario netto medio».
13 Estremamente chiara in tal senso suona la motivazione di Xxxx. 10 ottobre 2023, n. 28320 che sottolinea come «fatte salve contrarie disposizioni normative (per esempio ai fini del c.d. minimale contributivo), il giudice è libero di selezionare il contratto collettivo parametro a prescindere dal requisito di rappresentatività riferito
4. Dibattito scientifico e progettualità legislativa in materia di salario minimo legale
Anche alla luce delle crescenti incertezze che si addensano sulla tradizionale metodologia applicativa del principio costituzionale e soprattutto dell’incrinatura che sempre più vistosamente si va dilatando sul punto di giunzione tra determinazione giudiziale e contrattazione collettiva, dischiudendo spazi sempre più estesi alle forme più deteriori di dumping salariale14, gli ultimi anni hanno visto l’intensificazione degli studi e dibattiti dedicate alle soluzioni alternative finalizzate all’irrobustimento della garanzia costituzionale del diritto alla giusta retribuzione mediante un apposito intervento legislativo.
Da parte di diversi studiosi ed esponenti politici nonché nel recente passato lo stesso legislatore (sia pure con le molte incertezze e titubanze che hanno accompagnato l’emanazione della legge delega 10 dicembre 2014, n. 2013 c.d. Jobs Act nella parte in cui aveva previsto – art. 1, comma 7, lett. g – l’«introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo» e che ne hanno alla fine determinato il mancato esercizio15) sono state elaborate diverse analisi e formulate numerose ipotesi progettuali, enunciate in diversi contributi scientifici16, declinate in diverse proposte di legge17 e dibattute sia negli ambiti accademici18 che nelle discussioni svoltesi in sede istituzionale, con particolare riferimento alle numerose audizioni svoltesi di fronte all’XI Commissione (Lavoro) della Camera dei deputati nel secondo semestre del 2023.
Le audizioni sono state svolte al fine di supportare la Commissione nell’esame delle diverse proposte presentate e ripresentate nel corso dell’attuale legislatura che, da un lato, si sono in prevalenza orientate nella direzione del più stretto raccordo tra la nozione legale di giusta retribuzione espressa dall’art. 36 Cost. e i trattamenti previsti dai contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, tentando (in termini, purtroppo, non pienamente soddisfacenti) di offrire soluzioni adeguate ai problemi connessi alla coesistenza di diversi contratti alle sovrapposizioni e sfasature tra differenti perimetri contrattuali.
Per altro verso, la maggior parte delle proposte di legge ha previsto in simultanea la fissazione di una soglia retributiva oraria minima (tra i nove e i dieci euro) destinata a rappresentare il primo gradino delle scale retributive. Quantificazioni, va sottolineato, che sono frutto di mere valutazioni politiche e sulla cui plausibilità e sostenibilità economiche diversi commentatori hanno espresso riserve, di merito e di metodo. Sotto il secondo versante è stato peraltro evidenziato che negli ordinamenti europei nei quali il salario minimo legale si è rivelato come una garanzia sociale di significativa efficacia (ad es.
14 Cfr. X. XXXXXXX, Retribuzione e struttura, cit., 2019, p. 46 ss. e recentemente X. XXXXXXX, Crisi della contrattazione e retribuzione sufficiente, in Dir. rel. ind., 2021, n. 4, p. 1092 ss.
15 Ci si permette di rinviare in argomento a X. XXXXXXX, Il compenso orario minimo: incertezze ed ostacoli attuativi dell’ipotizzata alternativa “leggera” al salario minimo legale, in X. XXXXX GRANDI, X. XXXXX (a cura di), Commentario breve alla riforma “Jobs Act”, Xxxxxxx Kluwer, Milano, 2016, p. 805 ss.
16 Si richiama in questa sede la proposta del gruppo di giuristi che fa riferimento alla rivista Diritto Lavoro e Mercati, Disciplina delle relazioni sindacali, della contrattazione collettiva e della partecipazione dei lavoratori in Dir. lav. mer., 2014, n. 1, p. 155 ss., ivi art. 5. In senso ricostruttivo cfr. X. XXXXXXXX, La giusta retribuzione, cit., p. 146 ss.
17 Cfr. recentemente i d.d.l. S. 310, S. 658, S. 2107 e i p.d.l. C. 947 e C. 3439 depositati nel corso della XVIII° legislatura. Nella legislatura attuale (XIX°) sono state presentate otto proposte di legge alla Camera (p.d.l. C. 1275- 141-210-216-306-432-1053-1328) e un disegno di legge al Senato (d.d.l. S. 126) in materia di salario minimo.
18 Per una aggiornata ed accurata ricostruzione dei termini di tale dibattito cfr. A. XXXXX, Abolire il lavoro povero, Laterza, Bari, 2024, spec. p. 92 ss.
Germania19, Francia, Regno Unito) la fissazione dei relativi valori non viene compiuta direttamente dal legislatore ma è compito rimesso ad organismi o commissioni indipendenti (che in alcuni casi vedono anche la partecipazione dei rappresentanti delle parti sociali).
Molte opinioni sono concordi nel riconoscimento dell’ipotetica coessenzialità, quale necessaria appendice di un intervento legislativo di fissazione del salario minimo legale, di adeguate procedure di aggiornamento che tengano in considerazione le evoluzioni del quadro economico generale. Ma se ciò è vero, analoghe ragioni potrebbero essere dedotte a supporto dell’imprescindibilità, a monte della stessa introduzione di tale istituto, di un’adeguata valutazione «delle condizioni socioeconomiche nazionali», per riprendere il lessico della direttiva europea21 che includa, come è certamente necessario, la verifica della sostenibilità economica del salario minimo legale e del suo possibile impatto sui livelli occupazionali e sul sistema delle imprese.
In ogni caso e a dispetto del tendenziale orientamento favorevole alla fissazione di più esatte coordinate per l’individuazione del contratto-parametro, non pare che le diverse formulazioni sinora proposte prefigurino soluzioni efficaci rispetto all’attuale scenario di estrema frammentazione, con particolare riferimento alla costante incertezza e mutevolezza dei perimetri applicativi dei diversi contratti collettivi ed alla conseguente impraticabilità logica prima che giuridica di ogni omogenea valutazione di rappresentatività comparata.
Né va trascurato, anche a prescindere da tali problematicità applicative, il profilo dei dubbi di costituzionalità che potrebbero essere avanzati nei confronti di una disposizione legislativa che pervenisse al riconoscimento della vincolatività anche della sola parte retributiva del contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative in rapporto all’art. 39, seconda parte Cost.
19 In senso critico sull’esperienza tedesca cfr. X. XXXXXX, Sul salario adeguato, in Lav. dir. eur., 2022, n. 2, p. 12 ss.
20 Con riguardo alle audizioni già svolte sul tema nel corso della passata legislatura, si veda il Dossier di Documentazione per l’XI Commissione (Lavoro) della Camera sulla Proposta di Direttiva relativa a salari minimi adeguati nell'UE. Cfr. altresì il riepilogo pubblicato in XxxxxxxxxxXxxxx.xx, 31 agosto 2023, n. 5, Le posizioni delle parti sociali sul salario minimo legale.
21 Così il “considerando” n. 28 e si vedano anche precedenti nn. 26 e 27.
22 Così Cass. 2 ottobre 2023, n. 27711, par. 35, per cui «si parla notoriamente di "lavoro povero", ovvero di "povertà nonostante il lavoro", principalmente dovuto, come si è detto, alla concorrenza salariale "al ribasso" innescata [...] in particolare dalla molteplicità dei contratti all' interno della stessa contrattazione collettiva».
A riprova della prevedibilità della rimessione alla Corte costituzionale di tale questione è utile il richiamo al precedente della legge 14 luglio 1959, n. 741 ed alla sentenza23 che, pur riconoscendone la costituzionalità nella veste di provvedimento temporaneo, ha dichiarato all’epoca l’incostituzionalità della proroga di quel provvedimento, che autorizzava il recepimento in appositi decreti delegati (allora d.P.R.) dei contratti collettivi «al fine di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo nei confronti di tutti gli appartenenti ad una medesima categoria», come esplicitamente statuito dall’art. 1 della legge n. 741.
Osservava in quell’occasione la Corte come «l'art. 39…garantisce alle associazioni sindacali di regolare i conflitti di interessi che sorgono tra le contrapposte categorie mediante il contratto, al quale poi si riconosce efficacia obbligatoria erga omnes, una volta che sia stipulato in conformità di una determinata procedura e da soggetti forniti di determinati requisiti» e proseguiva sottolineando come «una legge, la quale cercasse di conseguire questo medesimo risultato…in maniera diversa da quella stabilita dal precetto costituzionale, sarebbe palesemente illegittima…Né si può dire che la questione di costituzionalità, posta in questi termini, possa essere superata col richiamo alla norma contenuta nel primo comma dell'art. 36 della Costituzione» in ogni situazione nella quale «la legge abbia inteso di conferire e abbia in effetti conferito efficacia generale a contratti collettivi e ad accordi economici con forme e procedimento diversi da quelli previsti dall'art. 39 della Costituzione».
Non può certamente dirsi, a dispetto dell’ampio lasso di tempo trascorso, che tali statuizioni suonino anacronistiche o superate da mutamenti ordinamentali che, stante la consolidata riluttanza del legislatore ad intervenire in materia sindacale (con l’importantissima e fortunata eccezione della legge n. 146 del 1990 in materia di sciopero nei servizi pubblici essenziali) non si sono realizzati.
Di conseguenza e stanti le forti incognite che si addenserebbero su qualunque ipotetica disposizione legislativa diretta all’estensione ultra partes di discipline salariali di fonte collettiva (che non potrebbe del resto considerarsi limitata alla sola parte retributiva ma verrebbe a coinvolgere pur indirettamente una serie di istituti in quanto correlata ad una determinata classificazione mansionistica, ad una specifica quantificazione dell’orario di lavoro ecc.) appare in realtà xxxxx immaginare che un’organica definizione legislativa dei profili problematici connessi alla materia salariale possa essere realizzata prescindendo dal collegamento (in realtà inscindibile) tra l’art. 36 e l’art. 39 Cost. e della conseguente imprescindibilità di un intervento legislativo, da molti ritenuto ormai indifferibile24, in materia di rappresentanza sindacale e contrattazione collettiva25.
23 Corte cost. 19 dicembre 1962, n. 106.
24 Come evidenziato da X. XXXXXXX, Il socio lavoratore di cooperativa, Xxxxxxx, Milano, 2012, p. 196 e ribadito da X. XXXXXXX, A che prezzo - l’emergenza retributiva tra riforma della contrattazione collettiva e salario minimo legale, Luiss University Press, Roma, 2019, p. 89 ss.
25 È la stessa direttiva europea n. 2041/2022, del resto, a sottolineare nel “considerando” n. 22 che «il buon funzionamento della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari è uno strumento importante attraverso il quale garantire che i lavoratori siano tutelati da salari minimi adeguati che garantiscano quindi un tenore di vita dignitoso. Negli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali, la contrattazione collettiva sostiene l’andamento generale dei salari e contribuisce quindi a migliorare l’adeguatezza dei salari minimi, così come le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori. Negli Stati membri in cui la tutela garantita dal salario minimo è prevista esclusivamente mediante la contrattazione collettiva, il livello dei salari minimi e la percentuale dei lavoratori tutelati sono determinati direttamente dal funzionamento del sistema di contrattazione collettiva e dalla copertura della contrattazione collettiva. Una contrattazione collettiva solida e ben funzionante, unita a un’elevata copertura dei contratti collettivi settoriali o intersettoriali, rafforza l’adeguatezza e la copertura dei salari minimi».
5. Le soluzioni prefigurate dall’emendamento di maggioranza al testo del disegno di legge unificato
A fronte di tali connotazioni (e limiti sistematici) della progettualità legislativa al cui esercizio è stato dato di assistere nel corso delle ultime due legislature, il testo di legge delega approvato dalla Camera dei Deputati nella veste del maxi emendamento26 alla proposta unificata licenziata dalla Commissione Lavoro27 viene a porsi sotto diversi aspetti in forte discontinuità e ciò non solo dal punto di vista della tecnica normativa e dello strumento legislativo prescelto (il decreto legislativo), ma anche e soprattutto perché traspone sul piano delle regole legali quella posizione di contrarietà alla fissazione per legge di una soglia salariale minima che era stata del resto anticipata dall’esecutivo nell’ordine del giorno approvato alla Camera il 30 novembre 2022.
Prendendo le mosse dalla premessa secondo cui il tasso di applicazione dei contratti collettivi in Italia, stimato all’85%, supera la soglia al di sotto della quale la direttiva impone agli stati membri l’adozione di uno specifico piano d’azione per il rafforzamento del livello di copertura, il Governo aveva già manifestato in quella sede il proprio orientamento nel senso delle promozione dell’estensione dei contratti collettivi stipulati, ad ogni livello anche decentrato, dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, a concentrare l’attenzione sui criteri di aggiudicazione degli appalti correlati ai trattamenti retributivi nonché a favorire l’incremento dei redditi da lavoro attraverso interventi di riduzione del cuneo fiscale28. Tutte linee di intervento che sono state reputate prioritarie ed alternative rispetto alla prospettiva un intervento di mera quantificazione della soglia salariale minima, ritenuta dall’Esecutivo come foriera di gravi effetti collaterali potenzialmente idonei ad inficiarne l’efficacia29.
In linea di continuità con tale orientamento, l’emendamento che ha sostituito il testo della proposta di legge unificata (determinando la conseguenza politica di forte dissenso che si è concretizzata nel ritiro delle sottoscrizioni da parte dei proponenti originari) prefigura il conferimento al Governo di due deleghe: la prima è rivolta al “rafforzamento” della contrattazione collettiva perseguendo tra gli altri obiettivi quello (descritto in termini certamente pleonastici) di «assicurare ai lavoratori trattamenti retributivi giusti ed equi»30, contrastare la concorrenza al ribasso tra più contratti collettivi e favorire il puntuale aggiornamento dei trattamenti retributivi mediante l’incentivazione degli accordi di rinnovo dei contratti collettivi. La seconda delega è invece dedicata alla tematica dei controlli e dell’informazione sui regimi retributivi, sia attraverso un potenziamento dei sistemi e degli obblighi informativi a carico delle imprese in materia di retribuzioni e di contratti collettivi applicati, sia mediante una rilevazione ed un monitoraggio degli interventi e dei controlli ispettivi disposti a fini di contrasto delle condotte illegittime finalizzate allo sfruttamento economico dei lavoratori (non solamente nella forma della corresponsione di salari non
26 Il riferimento è alla proposta emendativa 1.6. alla proposta di legge C. 1275 del Deputato Xx. Xxxxxxxx (FdI), approvata il 28 novembre 2023, in Commissione XI.
28 In tal senso cfr. gli esoneri contributivi di cui all’art. 1, co. 281, l. 29 dicembre 2022, n. 197 e all’art. 39, d.l. 4 maggio 2023, n. 48 per l’anno 2023, poi confermati per il 2024 con l’art. 1, co. 15, l. 30 dicembre 2023, n. 213. 29 In particolare, nel testo della mozione governativa si legge che «con la definizione per legge di un salario minimo si metterebbe a rischio il sistema della contrattazione collettiva, con il serio pericolo di favorire la tendenza alla diminuzione delle ore lavorate, l’aumento del lavoro nero, l’incremento della disoccupazione e l’aumento dei contratti di lavoro irregolare e dei contratti « pirata »; occorre sottolineare come l’introduzione di una retribuzione minima potrebbe avere un effetto inflazionistico sul mercato dal momento che le imprese potrebbero riversare i maggiori costi del lavoro sui consumatori finali, determinando così un ulteriore aumento dei prezzi dei prodotti dalle stesse commercializzati».
30 Art. 1, co. 1, lett. a), d.d.l. S. 957.
rispondenti ai criteri costituzionali di proporzionalità e sufficienza, ma anche con riguardo alle spesso connesse vicende di lavoro irregolare e di commissione del reato di cui all’art. 603-bis relativo alla c.d. fattispecie del “caporalato”).
Tra i contenuti prefigurati dalle norme di delega figurano anche alcuni tratti collaterali, come l’importante appendice dedicata alla contrattazione di secondo livello e alle ipotesi “adattive”31 (di crisi o di adeguamento alle specifiche situazioni locali) nelle quali potrebbe riconosciuta la meritevolezza di un intervento di rideterminazione dei trattamenti salariali, con possibile apporto chiarificatore rispetto alla sinora controversa rilevanza dei contratti collettivi aziendali o territoriali quali utili parametri per la quantificazione della giusta retribuzione32. Né manca il riferimento ai regimi di aggiudicazione dei contratti pubblici, con la prevista individuazione di uno standard contrattuale univoco quale evoluzione della clausola sociale già a suo tempo introdotta dall’art. 36 St. Lav.33, sebbene manchino riferimenti espressi ai criteri di valutazione delle offerte ed all’opportunità dell’adozione anche su tale piano dei correttivi funzionali allo scardinamento dell’antisociale nesso di conseguenzialità tra ribassi dell’offerta e dumping salariale.
L’elencazione dei principi e criteri direttivi della proposta di legge unificata in tema di retribuzioni e contrattazione collettiva si chiude con il richiamo ad una particolare area tematica che si connette ad uno specifico segmento della struttura retributiva, quello che si rapporta ai risultati dell’impresa, che ha gradualmente acquisito una crescente rilevanza in ragione degli impulsi incentivanti ricevuti sia dalle organizzazioni sindacali che dal legislatore. Prospettando una linea evolutiva di tale modello, il testo approvato dalla Camera conferisce la delega al Governo affinché provveda a «disciplinare modelli di partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili dell’impresa, fondati sulla valorizzazione dell’interesse comune dei lavoratori e dell’imprenditore alla prosperità dell’impresa stessa».
31 Art. 1, co. 2, lett. d), d.d.l. S. 957.
32 In senso favorevole all’utilizzo del contratto aziendale o territoriale come parametro per la determinazione della giusta retribuzione, anche se contenente condizioni peggiorative rispetto a quello nazionale, cfr. Cass. 31 gennaio 2021, n. 1415; Cass. 20 settembre 2007, n. 19467; Cass. 26 marzo 1998, n. 3218; Cass. 3 aprile 1996, n.
3092; Cass. 3 dicembre, 1994, n. 10366; Cass. 27 gennaio 1989, n. 513.
33 Sul «modello normativo» introdotto dall’art. 36 St. Lav. a «garanzia dell’equo trattamento soprattutto retributivo», che si distingue dalle cd. clausole sociali di «seconda generazione», finalizzate al «controllo degli effetti sociali della liberalizzazione nei servizi pubblici», v. E. XXXXX, Xx x.x. xxxxxxxx sociali: evoluzione di un modello di politica legislativa, in Dir. rel. ind., 2001, n. 2, p. 135 ss.; X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxx sociali [dir. lav. interno], in Diritto online. Treccani, 2015; X. XXXXXXX, Salario legale, contrattazione collettiva e concorrenza, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019, p. 71. Sul tema cfr. recentemente I. XXXXXX, Clausole sociali, appalti e disgregazione della contrattazione collettiva nel 50° anniversario dello Statuto dei lavoratori, in Lav. dir. eur., 2020, n. 2, p. 2 ss.; X. XXXXX, Il sistema dei contratti pubblici e le tutele (non solo) salariali dei lavoratori, in Riv. giur. lav., 2023, n. 4, p. 613-614, per un collegamento teleologico con l’art. 11, d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36.
34 Cfr. Trib. Firenze 26 dicembre 2023; Trib. Foggia 30 maggio 2023; Trib. Trieste 23 settembre 2022; Trib.
Ancona 22 febbraio 2022; Trib. Monza 29 gennaio 2022; Trib. Napoli 3 novembre 2021; Trib. Firenze 20
6. L’ineludibile coessenzialità di un intervento regolativo in tema di delimitazione dei perimetri contrattuali e di efficacia dei contratti collettivi. Il nodo insuperabile del raccordo con l’art. 39 Cost.
Per ciò che concerne il nucleo centrale del testo licenziato dalla Camera, può dirsi che esso si articoli su tre assi, che sono quello dell’individuazione per ciascuna categoria dei contratti “maggiormente applicati”, destinati ad assumere la qualificazione di parametri legali della giusta retribuzione; quello dell’adozione di tali parametri quali condizioni di trattamento insuscettibili di riduzione «negli appalti di servizi di qualunque tipo e settore»; quello, infine, della definizione dei criteri di individuazione del contratto collettivo «della categoria più affine» ai fini dell’estensione di tali parametri legali ai lavoratori «non coperti da contrattazione collettiva», espressione anche questa vistosamente atecnica per indicare i prestatori di lavoro non collocabili in alcuna delle “categorie” o perimetri contrattuali rientranti nella suddivisione generale prefigurata dalla proposta di legge.
Al di là degli intenti e della chiara opzione politica di tenore antitetico rispetto all’orientamento favorevole all’introduzione del salario minimo legale, il disegno tratteggiato dallo schema di legge delega condivide con quelli che lo hanno preceduto l’evidente alternanza di chiaroscuri, ossia di spunti innovativi e di possibili strappi sistematici.
È stato rilevato in alcuni primi commenti a caldo come il richiamo ai contratti collettivi nazionali «maggiormente applicati» costituisca una vistosa soluzione di continuità rispetto al consueto e comunque sibillino richiamo alla rappresentatività comparata degli attori negoziali35, sebbene di per sé non sembra rappresentare un elemento di portata autenticamente eversiva, se si ammette che uno degli indicatori principali della rappresentatività è senza dubbio integrato dalla densità numerica dell’ambito di applicazione dei contratti collettivi (più eloquente ancora, in tempi di incalzante disintermediazione, del dato offerto dal numero degli iscritti). Né possono ritenersi superate le pregiudiziali di costituzionalità già formulate a proposito dei più compromissori antefatti progettuali di cui l’odierno testo governativo rappresenta lo speculare corrispondente.
Occorre anche evidenziare che sebbene l’intervento legislativo prefigurato dalla proposta di legge si sostanzi in una formalizzazione della funzione parametrica del contratto collettivo accompagnata dalla definizione di un criterio selettivo apparentemente puntuale, tale normativizzazione non potrebbe prestarsi a costituire comunque un’indicazione vincolante ed insuscettibile di verifica e possibile censura giudiziale, stante da un lato la permanente precettività immediata dell’art. 36, dall’altro la permanente qualificazione di “semplici” atti negoziali dei contratti collettivi sia pur caratterizzati da un ampio consenso e dalla conseguente ragguardevole vastità della loro sfera applicativa.
Per altro verso, un tratto di possibile evoluzione si ravvisa nel sia pure sommesso, quasi sottinteso e si direbbe in parte inconsapevole richiamo ad un profilo, quello dell’imprescindibilità di una definizione eteronoma degli ambiti categoriali (quale necessario presupposto della misurazione del tasso di applicazione di ciascun contratto) che potrebbe favorire lo scioglimento del nodo più intricato che da sempre si frappone non solo sui percorsi di nitida individuazione dei più attendibili parametri retributivi, ma anche su quelli, ancor più ambiziosi, volti alla compiuta realizzazione di quel disegno ordinatore delle
35 Cfr. X. XXXXXX, X. XXXXXXXXX, Introduzione, in Xxx. xxxx. xxx., 0000, x. 0, x. 000; A. CASU, Un “message in a bottle” sul salario minimo (con uno sguardo alla proposta di legge delega). La Cassazione ribadisce la funzione di controllo del giudice in materia di giusta retribuzione, in Blog - Dir. comp., 2023; E. MASSAGLI, Emendamento di maggioranza per il salario equo: una soluzione originale, ma rischiosa, in Boll. Adapt, n. 40, 2023.
relazioni sindacali prefigurato nella seconda parte dell’art. 39 Cost. Un disegno che non rappresenta più, come è stata opinione diffusa per la maggior parte dei pregressi periodi di vigenza e consolidamento della Costituzione materiale, un retaggio postcorporativo estraneo alle logiche dell’ordinamento intersindacale ma che al contrario si presta ad essere recuperato ad avviso ormai di molti36 come necessario tratto di giunzione con l’ordinamento legale ed al contempo come fattore di correzione ortopedica delle evidenti distorsioni che attualmente affliggono il sistema di relazioni industriali.
Si riaffaccia in definitiva (e con implicazioni che trascendono la questione pur centrale e drammaticamente contingente del salario minimo), in forma ed in termini decisamente aggiornati, la problematica già illustrata in termini nitidissimi, da Xxxxxxx nel pieno dei “trenta gloriosi” e della lunga stagione di egemonia del sindacalismo di matrice confederale, del prezzo imposto al sindacato a fronte del riconoscimento, oramai non più etichettabile a priori come superfluo, dell’estensione ultra partes degli effetti del contratto collettivo; un prezzo che consiste essenzialmente «nella perdita da parte dei sindacato della facoltà di definire esso i limiti del ramo d’attività entro il quale e per il quale negoziare », dal momento che «in un sistema caratterizzato dall’efficacia erga omnes della norma sindacale, un simile potere non può che spettare allo Stato…o altrimenti è il caos, è la sovrapposizione e l’intersecamento di discipline diverse e tutte fornite della medesima forza vincolante»37. Un prezzo la cui elevatezza può prestarsi a nuove e meno scontate valutazioni, di fronte all’avvenuta concretizzazione di questo scenario di disordine che un tempo poteva apparire astrattamente distopico e di cui sono destinati a pagare le spese i primi destinatari dell’apparato di tutele in cui si sostanzia il nucleo centrale del diritto del lavoro, ossia i lavoratori più indifesi rispetto alle più aggressive dinamiche di mercato.
36 Cfr. autorevolmente M. D’ANTONA, Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione, oggi, in Giornale dir. lav. e relazioni ind., 1998, p. 665 ss.; R. DE XXXX XXXXXX, La criticità della rappresentatività sindacale
«misurata»: quale perimetro?, in Riv. it. dir. lav., 2020, n. 3, p. 377 ss.
37 G. F. XXXXXXX, Libertà sindacale e contratto collettivo erga omnes, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1963, p. 570 ss., ivi p. 577.