CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO E TUTELA DELLA CONCORRENZA
Dipartimento di Diritto Privato e Storia del Diritto
Corso di Dottorato in diritto comparato, privato, processuale civile e dell’impresa
Curriculum di diritto privato (XXXII ciclo) – Settore scientifico IUS/01
CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO E TUTELA DELLA CONCORRENZA
Tesi di dottorato di Xxxxxx Xxxxxxxx Xxxxx XXXXXXX
Matricola n. R11793
Tutor:
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxxxx XXXXXXX Coordinatrice del corso di dottorato:
Xxxxx.xx Prof.ssa Xxxxx Xxxxxx XXXXXXX
Anno Accademico 2018/2019
INDICE
INTRODUZIONE 1
CAPITOLO I
IL CONTROLLO SULLE CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO 9
1 Il modello formale di controllo sulle condizioni generali di contratto previsto dal codice civile 9
1.1 Ratio e presupposti di applicazione degli artt. 1341 e 1342 c.c 10
1.2 La disciplina: conoscibilità (art. 1341 co. 1 c.c.) 15
1.3 (segue): specifica approvazione per iscritto (art. 1341 co. 2 c.c.) 18
2 Le opinioni dottrinali circa l’ammissibilità di un controllo sostanziale sulle condizioni generali di contratto 23
2.1 Valorizzazione del requisito della conoscibilità nel senso di intellegibilità
................................................................................................................. 27
2.2 Ipotesi di parametri per il controllo sostanziale delle condizioni generali di contratto 28
3 Il confronto con i modelli stranieri: in particolare, la dottrina dell’unconscionability nel diritto statunitense 33
4 L’avvento della disciplina delle clausole vessatorie nei contratti tra professionisti e consumatori 36
DIRITTO DELLA CONCORRENZA E RIMEDI CIVILISTICI 42
1 Le giustificazioni economiche di una disciplina giuridica della concorrenza 42
1.1 L’ideale della concorrenza perfetta come miglior sistema possibile per il raggiungimento dell’efficienza allocativa, produttiva e dinamica 44
1.2 Le critiche al modello del mercato perfettamente concorrenziale 48
2 Le diverse correnti di pensiero alternatesi nell’interpretazione del diritto antitrust americano 53
2.1 La concezione strutturalista (la scuola di Harvard) 53
2.2 L’approccio puramente economico al diritto antitrust (la scuola di Chicago) 56
3 L’evoluzione del diritto della concorrenza dell’Unione europea 61
3.1 La Scuola di Friburgo: Costituzione economica, Ordnungspolitik e concorrenza sui meriti 61
3.2 La nascita del diritto europeo della concorrenza e l’influsso dell’ordoliberalismo 65
3.3 La “modernizzazione” del diritto antitrust europeo: «a more economic approach» 68
4 Le posizioni della dottrina sulla sorte del contratto a valle di intesa anticoncorrenziale o posto in essere mediante abuso di posizione dominante. 71
4.1 Nullità (derivata o diretta) del contratto a valle 76
4.2 Altri rimedi contrattuali demolitori o manutentivi 78
4.3 Le tesi a favore dell’ammissibilità della sola tutela risarcitoria 80
4.4 L’avvento della Direttiva danni antitrust (rinvio) 83
LA PREDISPOSIZIONE DI CONTRATTI STANDARD COME ILLECITO ANTITRUST 85
1 La differenza (apparente?) di disciplina tra condizioni generali di contratto imposte tramite intesa e tramite abuso di posizione dominante 85
2 La fissazione di condizioni generali di contratto mediante intesa restrittiva della concorrenza: il problema della standardizzazione dell’offerta normativa 89
2.1 Standardizzazione produttiva e standardizzazione contrattuale 90
2.2 La standardizzazione dell’offerta normativa nel contesto del diritto della concorrenza eurounitario 94
2.3 Il caso delle fideiussioni rilasciate sulla base di moduli standard ABI. 100
3 La predisposizione di condizioni generali di contratto come abuso di posizione dominante: il problema dell’abuso da sfruttamento 102
3.1 Abusi di sfruttamento e abusi di esclusione 102
3.2 Il caso Facebook e la sfida dei “Big Data” al diritto antitrust 107
4 I labili confini tra abuso di posizione dominante e abuso di dipendenza economica 113
5 I rimedi concessi avverso i contratti standard anticoncorrenziali 118
5.1 La nullità virtuale per violazione del divieto soggettivo, imposto alle imprese dotate di potere di mercato, di stipulare contratti leciti singolarmente, ma anticoncorrenziali se riprodotti su larga scala 118
5.2 Il rimedio alternativo disponibile: la necessità di distinguere, in punto di disciplina applicabile, tra prezzi e “altre condizioni contrattuali” 124
5.3 Nullità parziale e riduzione teleologica 128
5.4 Alcune precisazioni conclusive: (i) condizioni generali di contratto “illegali” e “illecite” 132
5.5 (ii) Intese “esentate” e conseguenze sui contratti standard a valle 134
CONCLUSIONI 137
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 141
INTRODUZIONE
Il presente studio si propone di indagare la possibilità di configurare un con- trollo sostanziale sulle condizioni generali di contratto attraverso le norme della disci- plina della concorrenza: in particolare, si intende delineare i casi in cui la predisposi- zione da parte dell’impresa di contratti standard e la loro applicazione nei suoi rapporti negoziali configuri un illecito anticoncorrenziale, nonché quali rimedi siano esperibili dalle sue controparti contrattuali.
Nel contesto sociale e normativo attuale, l’indagine assume rilevanza, innanzi- tutto, a motivo della recente emersione di nuovi poteri di mercato in grado di destabi- lizzare i paradigmi tradizionali del diritto antitrust. Ci si riferisce alle c.d. “Big Tech companies”, la cui egemonia culturale ed economica sulla società contemporanea non ha bisogno di essere rimarcata. Solo di recente, però, le autorità garanti della concor- renza hanno iniziato ad intraprendere indagini sulla possibilità di abusi dell'immenso potere oligopolistico posseduto dalle multinazionali collettivamente indicate con la sigla “GAFAM”1, probabilmente perché molti dei servizi offerti da queste società sono gratuiti per l’utente; sicché si riteneva ingenuamente che quest’ultimo non fosse espo- sto alle conseguenze negative normalmente associate ai sistemi monopolistici od oli- gopolistici, senza avvedersi della necessità di tutelare i consumatori contro l’incauta autorizzazione allo sfruttamento di enormi quantità di dati personali, vera fonte di pro- fitti nel mercato della pubblicità online2.
1 L’acronimo (riferito alle più grandi società operanti nell’economia digitale: Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft) è usato nell’ambito di uno studio sull’impatto sulla concorrenza di queste imprese da X. XXXXXXXXX, L’effet GAFAM: stratégies et logiques de l’oligopole de l’internet, in Com- munications & Languages, 2016, 61 ss.
2 V. ad es. X. XXXXXXXXXXX – X. XXXXXX – X. XXXX, Justice Department Opens Antitrust Review of Big Tech Companies, in The New York Times (xxx.xxxxxxx.xxx), 23 luglio 2019, ove, nel dare notizia della decisione del Ministero della Giustizia statunitense di aprire un indagine su asserite pratiche anticoncorrenziali delle grandi imprese digitali, si commenta che l’iniziativa è anche frutto di un mutamento di paradigma nell’antica concezione dello scrutinio antitrust, che era ritenuto non oppor- tuno nei confronti di imprese votate al “consumer welfare”: «since companies like Google and Fa- cebook largely provide free services, the thinking went, they were not subject to federal antitrust
La particolarità del modello di business di queste imprese (ossia la gratuità, almeno in termini pecuniari, del servizio offerto) ha fatto sì che alcune recenti inchieste delle Autorità garanti non si siano concentrate, come spesso accade, sul prezzo impo- sto, ma piuttosto sulla vessatorietà delle condizioni generali sottoscritte dall’utente (com’è noto infatti, tanto gli artt. 101 e 102 TFUE che gli artt. 2 e 3 l. 10 ottobre 1990,
n. 287 non vietano solo le intese o gli abusi di posizione dominante che abbiano l’ef- fetto di fissare i prezzi d’acquisto o di vendita, ma anche di «altre condizioni contrat- tuali»)3.
Nella prospettiva del diritto dei contratti, ciò è interessante sotto almeno due profili. Da un lato, induce a indagare un aspetto spesso trascurato dalla dottrina che si è occupata dei rapporti tra diritto della concorrenza e diritto dei contratti, che si è con- centrata sui rimedi esperibili in caso di fissazione di prezzi anticoncorrenziali, ma non ha analizzato in modo particolarmente approfondito il caso dell’imposizione di clau- sole vessatorie “accessorie”4. Dall’altro, spinge a esaminare sotto una nuova prospet- tiva (quella del diritto della concorrenza) un problema che ha molto impegnato la dot- trina del secolo scorso, ossia la configurabilità di un controllo giudiziale sul contenuto delle condizioni generali di contratto che vada oltre la mera verifica di regolarità
examination. But that approach has evolved, pushed by scholars and others, as concerns about the clout and reach of Google, Facebook, Amazon and Apple have grown».
3 Cfr. la decisione della Bundeskartellamt tedesca del 6 febbraio 2019 (un case summary è reperibile all’indirizzo xxxxx://xxxxxxx.xxx/xxxxxxxx), che ha proibito a Facebook di condizionare l’uti- lizzo del social network alla raccolta dei dati personali dell’utente senza il suo consenso (sull’indagine dell’Authority tedesca e sulle sue ripercussioni in una prospettiva civilistica, cfr. X. XXXXXXXX – R. PAR- DOLESI, Abuso di posizione dominante e condizioni generali di contratto: un “revival innovativo”, in Foro it., 2018, V, 144 ss.; ID. – ID., Clausole “unfair” e abuso da sfruttamento, in Mercato, concor- renza, regole, 2018, 9 ss.).
Cfr. anche l’indagine recentemente aperta dall’AGCM (delibera del 10 aprile 2019, reperibile all’indirizzo xxxxx://xxxxxxx.xxx/x000x0x0) per verificare la sussistenza di un possibile abuso di posi- zione dominante di Amazon, la quale offrirebbe più visibilità sul proprio marketplace ai venditori terzi che, al momento della sottoscrizione del contratto con la piattaforma, accettino di fare uso del suo ser- vizio di logistica.
4 Sulle parziali divergenze dei problemi posti dalle due fattispecie e sulle conseguenze di queste differenze in termini di disciplina applicabile, v. l’analisi svolta infra, Cap. III (spec. § 5.2).
frire una tutela effettiva l’aderente5.
Se nel frattempo sono intervenute alcune novità normative volte proprio a ga- rantire protezione, nei confronti di contratti standard vessatori, alle categorie di con- traenti più vulnerabili, come i consumatori6, la questione rimane di grande attualità con riferimento ai rapporti B2B, rispetto ai quali è crescente la consapevolezza della necessità di porre rimedio a situazioni in cui un’impresa è fornita di un potere contrat- tuale tale da essere in grado di imporre condizioni gravemente squilibrata a un altro (fenomeno noto in dottrina come “terzo contratto”7).
Anche alcune recenti vicende giurisprudenziali dimostrano che, a fronte di rap- porti squilibrati tra professionisti, la Corte di Cassazione sia incline a ricercare stru- menti di tutela per la parte “debole” nella parte generale del contratto, forzando forse l’ambito applicativo di istituti quali il controllo di meritevolezza o di sussistenza della causa in concreto e, comunque, aprendo la strada a un loro utilizzo dai confini non chiaramente definiti e di difficile prevedibilità ex ante8.
5 Sul punto si x. xxxxx, Xxx. X, § 0.
6 In particolare, la Direttiva 13/1993/CE, su cui x. xxxxx, Xxx. X, § 0.
7 L’espressione è stata creata da X. XXXXXXXXX, Prefazione, in X. XXXXXXXXX, L’abuso di dipendenza economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei contratti: un’analisi economica e comparata, Torino, 2004, XIII s. Essa è poi stata definitivamente “istituzionalizzata” nel volume col- lettaneo X. XXXXX – X. XXXXX (a cura di), Il terzo contratto: l’abuso di potere contrattuale nei rapporti tra imprese, Bologna, 2008.
8 Ci si riferisce alla nota vicenda delle polizze assicurative c.d. claims made, ossia “a richiesta fatta”: si tratta, com’è noto, di contratti di assicurazione della responsabilità civile in cui l’indennizzo è pagato dall’assicuratore solo se avviene durante il periodo di vigenza della polizza non il fatto che ha generato il danno e la conseguente responsabilità civile dell’assicurato (come previsto invece dal mo- dello codicistico di cui all’art. 1917 c.c.), ma la richiesta di risarcimento del danneggiato. Dopo che un’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite (Cass., 19 gennaio 2018, ord. n. 1465) aveva prospettato la non meritevolezza di tutela (ex art. 1322, co. 2., c.c.) di ogni polizza claims made, queste si sono invece pronunciate nel senso della tipicità del contratto di assicurazione “a richiesta fatta” (che rappre- senta pertanto una legittima deroga alla disciplina dispositiva codicistica) e quindi la sua sottrazione al giudizio di meritevolezza dell’art. 1322 c.c. (Cass., S.U., 24 settembre 2018, n. 22437). Tuttavia, la stessa sentenza afferma che le polizze sono comunque soggette a un controllo dai contorni altrettanto indeterminati, volto alla verifica dell’«adeguatezza del contratto agli interessi in concreto avuti di mira dai paciscenti»; verifica che passa attraverso l’indagine sulla «”causa concreta” del contratto, ossia
diritto della concorrenza un fondamento più certo, razionale e coerente del controllo giudiziale sulle condizioni generali di contratto, idoneo a far fronte alle particolari pro- blematiche che esse sollevano.
Il fenomeno dei c.d. contratti standard – con ciò intendendosi i contratti le cui clausole sono interamente predisposte da una delle parti per una serie indeterminata di futuri rapporti negoziali9 – pone infatti questioni del tutto peculiari rispetto ad altre forme di contrattazione. L’intera disciplina codicistica del contratto è infatti ispirata al principio per cui il contratto è “giusto in quanto voluto”: l’ordinamento si occupa di determinare gli elementi essenziali per rendere vincolante l’accordo delle parti
quella che ne rappresenta lo scopo pratico, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso negozio è con- cretamente diretto a realizzare» (§ 19.2).
Tra i commenti alla sentenza, v.: F. XXXXXXX, Le Sezioni Unite e le claims made: l’ultima sen- tenza e la “Big Picture”, in Giur. it., 2019, 30 ss.; A. M. XXXXXXXX, L’immeritevolezza nell’assicura- zione claims made, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 70 ss.; X. XXXXXXXXX, L’assicurazione claims made “tipizzata” dalle sezioni unite: limiti e prospettive, ivi, 142 ss.; X. XXXXXXX, Xxxxxxxx claims made. Dalle sezioni unite del 2016 a quelle del 2018: più conferme che smentite, ivi, 147 ss.; S. MON- TICELLI, Nullità delle claims made e conformazione della clausole nel teorema delle Sezioni Unite, ivi, 155 ss.; X. XX XXXX, Clausole “claims made”: sono tipiche e lecite, ma di tutto si può abusare, in Foro it., 2018, I, 3033 ss.; X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX, “Claims made” nel post-diritto, ivi, 3512 ss.; X. XXXXXXX, Ultima tappa (per ora) nella saga delle “claims made”, ivi, 3519 ss.; X. XXXXXXXX, L’affer- marsi della responsabilità precontrattuale da contratto assicurativo inadeguato (e altri rimedi meno adeguati), in corso di pubblicazione.
9 Tecnicamente le locuzioni “condizioni generali di contratto” e “contratti standard” si riferi- scono a fattispecie differenti, come messo in luce da X. XXXXXXX, Condizioni generali di contratto, in Dig. sez. civ., III, Torino, 1988, 334 ss., 337-338, il quale si riferisce, con la prima espressione, ai con- tratti regolati dalle condizioni generali di uno dei contraenti (disciplinati dall’art. 1341 c.c.) e, con la seconda, ai contratti conclusi attraverso moduli e formulari (disciplinati dall’art. 1342 c.c.). Nondimeno, esse saranno usate in modo tendenzialmente interscambiabile nella presente trattazione, in quanto il problema del controllo del contenuto e della prevenzione degli abusi del predisponente (sia questi il redattore delle clausole abusive o un semplice utilizzatore di moduli predisposti da terzi) si pone in termini analoghi per entrambe le fattispecie.
La trattazione unitaria delle ipotesi disciplinate agli artt. 1341 e 1342 c.c. sotto il comune ap- pellativo di “contratti standard” è peraltro ricorrente in dottrina: v. ad es. X. XXXXX, Contratti standard: autonomia e controlli nella disciplina delle attività negoziali di impresa, Milano, 1975; X. XXXXXXX, Contratti standard, in Noviss. Dig. it., App., s.d. ma Torino, 1980, 617 ss.; X. XXXXX, La contrattazione standardizzata, in Il contratto in generale, II, a cura di X. Xxxx, X. Xxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxx,
X. Xxxxxxx, in Trattato di diritto privato diretto da X. Xxxxxxx, Torino, 2000, 493 ss.
causa, un oggetto e una forma quando prevista a pena di nullità) e fissare i limiti esterni dell’autonomia privata nei valori da essa non derogabili (norme imperative, ordine pubblico e buon costume). Il diritto non sindaca invece, salvo casi particolari, l’ade- guatezza del corrispettivo o delle altre condizioni contrattuali, per l’ovvia considera- zione che la parte non avrebbe volontariamente concluso un contratto per sé svantag- gioso11.
Nel caso dei contratti predisposti, tuttavia, non sussiste la garanzia di equilibrio (normativo ed economico) del contratto costituita dall’avvenuto svolgimento di tratta- tive tra le parti. La parte aderente non ha la possibilità di proporre modifiche alle con- dizioni contrattuali offerte dal predisponente: l’esercizio della sua autonomia privata si riduce alla scelta tra accettare interamente il regolamento confezionato dall’altra parte o rinunciare alla stipulazione del contratto. Solamente in senso molto lato si può allora parlare di accordo tra le parti, tanto che in passato era talvolta avanzata in dot- trina l’opinione che le condizioni generali di contratto avessero natura normativa12.
10 Così X. XXXXX, Il consenso, in X. XXXXX – G. DE NOVA, Il contratto4, in Trattato di diritto privato diretto da X. Xxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 174 ss., per il quale le «singole figure, discontinue, casi- stiche, disarmonizzate» di vizi del consenso previste dal legislatore andrebbero unificate in una regola d’insieme: il consenso deve essere, appunto, ponderato (v. norme sull’incapacità, sulla propaganda su- bliminale e sulla negoziazione porta a porta), informato (v. norme sull’errore, sul dolo e sugli obblighi di informazione) e libero (v. norme sulla violenza, sullo stato di pericolo e di bisogno e sul contrasto alle restrizioni della concorrenza). In base a tale impostazione, l’A. ritiene che sia possibile tutelare il contraente anche a fronte di vizi del consenso atipici, che integrerebbero un’ipotesi di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.; inoltre, sarebbe anche possibile ottenere il risarcimento del danno in forma specifica (ai sensi dell’art. 2058 c.c.), con la rimozione del contratto viziato o la sua riconduzione ad equità.
11 V. per tutti X. XXXXX, Il contratto2, in Trattato di diritto privato, a cura di X. Xxxxxx e X. Xxxxx, Milano, 2011, 364-365, ove si osserva che il «principio dell’insindacabilità del corrispettivo» è confermato da diversi dati sistematici, dai quali emerge che lo squilibrio tra le prestazioni delle parti rileva (almeno nel sistema originario del c.c.) solo in concomitanza circostanze particolari, che rendono il contraente pregiudicato particolarmente meritevole di tutela (primariamente l’incapacità naturale, che giustifica l’annullamento ex art. 428 c.c., e lo stato di pericolo o di bisogno, che giustificano la rescis- sione ex artt. 1447 e 1448 c.c.).
12 La teoria normativa era sostenuta, tra gli altri, da X. XXXXXXXXXX, Programmazione e auto- nomia negoziale nel diritto pubblico italiano, in Dir. econ., 1966, 650; X. XXXXXXX, Le condizioni ge- nerali di contratto, in Nuova riv. dir. comm., 1951, 124.
fenomeno in esame, è innegabile che, nei fatti, l’aderente non è in grado di esercitare alcuna influenza sul contenuto del contratto che sottoscrive, sicché appare appropriata la descrizione del fenomeno in termini di «potere normativo d’impresa»13. La plausi- bile circostanza che questo potere sia abusato dal predisponente per imporre un
Cfr. O. T. XXXXXXXXXX, La “natura” dei contratti standard: un problema di metodo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1979, 960 ss., il quale rileva come la teoria normativa sia «così errata da sembrare per tanti versi addirittura banale» (p. 969), in quanto, anche aderendo alla nota teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici di Xxxxx Xxxxxx e ipotizzando che esista un ordinamento giuridico dei pri- vati (X. XXXXXX, L’ordinamento giuridico, Firenze, 1967, 70), risulta difficile spiegare come le norme di un ordinamento possano spiegare efficacia nei confronti di chi non appartiene a quell’ordinamento: l’aderente, infatti, quando accetta le condizioni generali del predisponente intende solo concludere un contratto, non certo entrare a far parte di unna collettività organizzata. Ad avviso dell’A., il motivo per cui la teoria normativa ha nondimeno trovato sostegno tra una parte dei giuristi è dato dalla concezione per la quale «gli istituti giuridici non siano il portato dei processi storico-economici, ma piuttosto vivano una vita propria avulsa dalla storia» (p. 969): solo una visione del contratto rigidamente ancorata ai modelli dogmatici tradizionali e non contestualizzata nell’attuale sistema economico di mercato e di transazioni di massa porta a ritenere le condizioni generali così lontane dal principio volontaristico da negare loro natura contrattuale.
In argomento, v. anche X. XXXXXXXX, Natura normativa delle condizioni generali di con- tratto, in AA. VV., Le condizioni generali di contratto a cura di C.M. Xxxxxx, Milano, 1979, 155 ss.; X. XXXXX, Sulla natura giuridica delle condizioni generali di contratto, in Studi Parmensi, XXVII, 1980, 139 ss.
13 Così A. DI MAJO, Il controllo giudiziale delle condizioni generali di contratto, in Riv. dir. comm., 1970, I, 192 ss., 194-196, il quale osserva che le condizioni generali predisposte da una delle parti non possono considerarsi normali clausole contrattuali, ma «regole-norme»; la loro rilevanza giu- ridica dipende non tanto dall’essere oggetto di un accordo in senso formale tra le parti, ma da un «par- ticolare significato sociale derivante dal più ampio contesto od ambiente entro il quale sono inserite» (corsivo nell’originale). Poiché tale contesto è conformato dall’organizzazione imprenditoriale del pre- disponente secondo le sue esigenze produttive, è opportuno secondo l’A. parlare appunto di «potere normativo d’impresa».
L’espressione è usata anche da X. XXXXXXX, Potere “normativo” d’impresa e contratti stan- dard tra intervento del giudice e riforma legislativa, in Giur. it., 1983, IV, 101 ss., ove si sottolinea che un controllo giudiziale del contenuto delle condizioni generali non poteva, nel quadro normativo allora vigente, essere ricostruito in via interpretativa sulla base di principi come l’ordine pubblico e la buona fede (come pure suggerito da larga parte della dottrina: v. infra, § 2.2), ma doveva essere introdotto in via legislativa nell’ambito di una riforma complessiva della tutela del consumatore. V. anche ID., Con- dizioni generali di contratto, “potere normativo d’impresa” e problemi di democratic control, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, 2028 ss.
genza di un suo controllo in termini sostanziali e non meramente formali14.
In un ordinamento giuridico quale quello eurounitario, volto a favorire lo svi- luppo di «un’economia sociale di mercato fortemente competitiva» (art. 3, para. 3, TUE), tale controllo non può che essere sospeso tra i due poli della giustizia distribu- tiva, da un lato (ossia la tutela del contraente che, non operando nell’esercizio della sua attività professionale, si trovi in posizione di strutturale asimmetria informativa e di potere negoziale nei confronti del predisponente), e dell’efficienza allocativa, dall’altro (la quale è perseguita al meglio quando le imprese sono costrette a competere sui meriti dell’offerta da esse proposta, senza ottenere vantaggi competitivi ingiustifi- cati sfruttando la propria posizione di predominio sul mercato rilevante)15.
Proprio questo secondo profilo potrebbe giustificare l’ammissibilità di un con- trollo giudiziale sulle condizioni generali di contratto dell’impresa dominante o parte- cipe dell’intesa di cartello, nella prospettiva di un private enforcement del diritto anti- trust che contribuisce alla realizzazione capillare degli stessi obiettivi perseguiti in sede di public enforcement.
Al fine di tentare di verificare questa ipotesi, il lavoro sarà così strutturato. Nel Capitolo I, si analizzerà la disciplina codicistica delle condizioni generali di contratto;
14 Anche tra chi riconosce la natura contrattuale delle condizioni generali è diffusa la convin- zione che l’imprenditore, nella predisposizione dei contratti standard, eserciti un potere di fatto norma- tivo o para-normativo, vista l’attitudine delle condizioni generali a creare una disciplina dotata dei ca- ratteri della generalità e dell’astrattezza per la massa dei clienti: v. X. XXXXX – X. XXXXX, Responsabilità precontrattuale e contratti standard. Artt. 1337-1342, in Il Codice civile – Commentario diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Milano, 1993, 328-329; X. XXXXXX, Condizioni generali di contratto e principio di effetti- vità, in AA. VV., Condizioni generali di contratto e tutela del contraente debole, Milano, 1970, 38; C.
M. XXXXXX, Condizioni generali di contratto. I) Diritto civile, in Enc. giur., VII, Roma, 1988, 2, per il quale l’esistenza di un potere sostanzialmente normativo deve essere riconosciuto come «dato metagiu- ridico».
15 Cfr. X. XXXXXXX, Abuso di autonomia negoziale e disciplina dei contratti fra imprese: verso una nuova clausola generale?, in Riv. dir. civ., 2005, I, 663 ss., 678: «sarebbe un grave errore ritenere […] che efficienza allocativa (che guiderebbe, in una piuttosto comunemente accettata prospettazione, la disciplina della concorrenza) e giustizia distributiva (quale obiettivo del diritto dei rapporti economici fra privati) operino su piani normativi non comunicanti».
si esamineranno poi le diverse tesi dottrinali che, a fronte della diffusa consapevolezza dell’inadeguatezza delle norme vigenti a tutelare l’aderente, avevano proposto di rin- venire nell’ordinamento parametri atti a fondare un controllo sostanziale sui contratti standard. Si prenderanno in considerazione anche le soluzioni adottate in altri ordina- menti per far fronte al problema dello squilibrio delle condizioni generali di contratto: in particolare, si esaminerà la dottrina dell’unconscionability nel diritto dei contratti statunitense.
Nel Capitolo II, si analizzeranno le diverse teorie che si sono avvicendate nell’interpretazione del diritto della concorrenza americano ed europeo, nella consa- pevolezza del fatto che non sarebbe possibile identificare i caratteri della “clausola anticoncorrenziale” senza contezza degli orientamenti culturali sottesi all’enforcement antitrust. Si esamineranno poi le varie ricostruzioni, proposte in dottrina, circa la sorte del “contratto a valle” di intesa anticoncorrenziale o posto in essere tramite abuso di posizione dominante; se esso, cioè, debba considerarsi nullo, annullabile, rescindibile o se al contrario il contratto sia perfettamente valido, residuando in capo al soggetto pregiudicato dall’illecito antitrust la sola tutela risarcitoria.
Nel Capitolo III, si muoverà dai risultati raggiunti per delineare i caratteri che devono essere riscontrati nelle condizioni generali di contratto affinché la loro predi- sposizione integri una violazione dei divieti prescritti dal diritto della concorrenza. Si tenterà poi di ricostruire quale sia il rimedio esperibile dai contraenti pregiudicati, an- che nel confronto critico con le tesi esaminate nel Capitolo II, e quali particolarità nell’operatività del rimedio stesso derivino dalle peculiari caratteristiche del diritto della concorrenza.
CAPITOLO I
IL CONTROLLO SULLE CONDIZIONI GENE- RALI DI CONTRATTO
SOMMARIO: 1. Il modello formale di controllo previsto dal codice civile – 1.1. Ratio e presup- posti di applicazione degli artt. 1341 e 1342 c.c. – 1.2. La disciplina: conoscibilità (art. 1341 co. 1 c.c.) – 1.3. (segue): specifica approvazione per iscritto (art. 1341 co. 2 c.c.)
– 2. Le opinioni dottrinali circa l’ammissibilità di un controllo sostanziale sulle con- dizioni generali di contratto – 2.1. Valorizzazione del requisito della conoscibilità nel senso di intellegibilità – 2.2. Ipotesi di parametri per il controllo sostanziale delle con- dizioni generali di contratto – 3. Il confronto con i modelli stranieri: in particolare, la dottrina dell’unconscionability nel diritto statunitense – 4. L’avvento della disciplina delle clausole vessatorie nei contratti tra professionisti e consumatori
1 Il modello formale di controllo sulle condizioni generali di contratto pre- visto dal codice civile
Per verificare in quali termini il diritto della concorrenza possa giustificare un controllo di contenuto sui contratti standard, è opportuno prendere le mosse dall’ana- lisi della disciplina delle condizioni generali di contratto prevista nel codice civile e delle ipotesi ricostruttive che la dottrina ha proposto per estenderne la limitata attitu- dine alla tutela dell’aderente.
1.1 Ratio e presupposti di applicazione degli artt. 1341 e 1342 c.c.
Il codice civile del 1942 è uno dei primi codici moderni1 a dedicare una disci- plina apposita (artt. 1341, 1342 e 1370 c.c.2) al fenomeno della contrattazione seriale e alla predisposizione, da parte di uno dei contraenti, di condizioni generali di contratto per regolare uniformemente una serie indefinita di rapporti3.
1 In dottrina è frequente l’affermazione secondo cui il codice italiano del 1942 sia stato il primo tra le codificazioni moderne ad aver disciplinato i contratti di massa: v. ad es. G. DE NOVA, Le condi- zioni generali di contratto, in X. XXXXX – G. DE NOVA, Il contratto. Tomo I3, in Trattato di diritto civile diretto da X. Xxxxx, Milano, 2004, 361; X. XXXXXXXXX, I contratti dei consumatori, in Volume IV. Rimedi
– 1, a cura di Xxxxxxx, in Trattato del contratto diretto da X. Xxxxx, Xxxxxx, 0000, 483. Tuttavia (come osservato da X. XXXXX – X. XXXXX, Responsabilità precontrattuale e contratti standard…, cit., 299), già il “Kodeks zobowiazań” – il codice delle obbligazioni polacco del 1933 – dedicava una norma (l’art. 71) al fenomeno in esame.
2 X. XXXXXXXX, Condizioni generali di contratto, in Enc. dir., VII, Milano, 1961, 802, osserva che disciplinano il fenomeno delle condizioni generali anche gli artt. 1474 c.c. (in tema di mancanza di determinazione espressa del prezzo nella compravendita) e 2211 c.c. (in tema di potere di deroga alle condizioni generali di contratto dell’imprenditore da parte del commesso).
A tali norme sostanziali si aggiunge poi quella processuale contenuta nell’art. 113, co. 2, se- conda parte, c.p.c., in base al quale il giudice di pace decide sempre secondo diritto le cause relative a rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 c.c., anche se il valore della causa è inferiore a € 1.100 (e dovrebbe perciò, secondo la regola espressa nella prima parte dello stesso comma, essere decisa secondo equità).
3 La letteratura sulla disciplina delle condizioni generali di contratto è molto vasta. Tra le trat- tazioni di carattere generale, v.: X. XXXXXXXX, Condizioni generali di contratto, in Noviss. Dig. it., III, Torino, 1959, 1109 ss.; X. XXXXXXXX, Condizioni generali…, cit., 802 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Dei con- tratti in generale, in Commentario cod. civ., a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Bologna-Roma, 1970, 242 ss.; X. XXXXXXX, Contratti standard…, cit., 617 ss.; C. M. XXXXXX, Condizioni generali di con- tratto. I) Diritto civile…, cit., 1 ss.; ID., Condizioni generali di contratto. II) Diritto comparato e stra- niero, ivi, 1 ss.; ID., Condizioni generali di contratto (tutela dell’aderente), in Dig. sez. civ., III, Torino, 1988, 397 ss.; X. XXXXXXX, Condizioni generali…, cit., 334 ss.; X. XXXXX – X. XXXXX, Responsabilità precontrattuale e contratti standard…, cit., 297 ss.; X. XXXX, Contratti di massa (profili generali), in Enc. dir., I, Milano, 1997, 408 ss.; X. XXXXX, Contratti di massa (diritto vigente), in Enc. dir., Agg., I, 1997, 411 ss.; X. XXXXX, Le condizioni generali di contratto e i contratti del consumatore, in I contratti in generale, I, a cura di X. Xxxxxxxxx, in Trattato dei contratti diretto da X. Xxxxxxxx ed X. Xxxxxxxxx, Torino, 1999, 295 ss.; X. XXXXX, La contrattazione standardizzata…, cit.; C. M. BIANCA, Diritto civile. 3, Il contratto, Milano, 2000, 342 ss.; G. DE NOVA, Le condizioni generali…, cit., 361 ss.; X. XXXXXXXXX, I contratti dei consumatori…, cit., 483 ss.; X. XXXXX, Il contratto…, cit., 849 ss.
Tra le opere di carattere monografico, v.: X. XXXXXXXX, Le condizioni generali di contratto ed i contratti conclusi mediante moduli o formulari, Padova, 1951; X. XXXXXXXX, Le condizioni gene- rali di contratto, Padova, 1954; X. XXXXX, Contratti standard…, cit.; C. M. XXXXXXX, Contratti di massa e controlli nel diritto privato, Napoli, 1975; M. J. BONELL, Le regole oggettive del commercio internazionale: clausole tipiche e condizioni generali, Milano, 1975; X. XXXXXXX, Contratti bancari su moduli e problemi di tutela del contraente debole, Torino, 1976; X. XXXXX, Condizioni generali di
per xxxxxxxx0 sia motivata dalle esigenze dell’economia di produzione di massa5. Le imprese hanno necessità di poter predeterminare con accuratezza i rischi connessi a una pluralità indefinita di rapporti contrattuali, in modo da poter organizzare la propria attività produttiva sulla base di un piano aziendale affidabile6. Ciò induce gli
contratto e predisposizione normativa, Napoli, 1983; X. XXXX – X. XXXXXXX, Tecnica e controllo dei contratti standard, Rimini, 1984; X. XXXXXXXX, Il contratto predisposto, Padova, 1996; X. XXXXXX, I contratti non negoziati, Xxxxxx, 0000.
Il tema è stato oggetto anche di opere collettanee: AA. VV., Condizioni generali di contratto e tutela…, cit.; AA. VV., Le condizioni generali di contratto (2 voll.), a cura di C. M. Bianca, Milano, 1979-1981.
Molti sono anche i contributi puntuali; tra i più rilevanti, v.: X. XXXXX, Condizioni generali di contratto e contratti conclusi mediante formulari nel diritto italiano, in Riv. dir. comm., 1963, I, 608 ss.; A. DI MAJO, Il controllo giudiziale…, cit., 92 ss.; X. XXXXXXXXXX, Regole di gioco e tutela del più debole nell’approvazione del programma contrattuale, in Riv. dir. civ., 1972, I, 68 ss.; X. XXXXXXXXX, Le condizioni generali riprodotte o richiamate nel contratto, in Jus, 1976, 90 ss.; G. DE NOVA, Nullità relativa, nullità parziale e clausole vessatorie non specificamente approvate per iscritto, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, 000 xx.; G. B. XXXXX, Nullità parziale e clausole vessatorie, in Riv. dir. comm., 1977, I, 11 ss.; X. XXXXXXX, Considerazioni in tema di condizioni generali di contratto, in Riv. dir. civ., 1986, I, 68 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Condizioni generali di contratto nei rapporti tra imprenditori e la tutela del “contraente debole”, in Riv. dir. comm., 1987, II, 418 ss.; X. XXXX, Condizioni generali di contratto, in Nuova giur. civ. comm., 1988, II, 27 ss.; ID. – X. XXXXXXXXX, Il controllo dei contratti per adesione, in Riv. dir. comm., 1989, I, 537 ss.
4 Si specifica che, nel presente lavoro, ogniqualvolta si utilizza l’espressione “contratto per adesione” ci si intende riferire, salvo diversamente indicato, ai contratti predisposti mediante condizioni generali di contratto (l’espressione è comunemente usata in questo senso in dottrina: v. ad es. X. XXXXX, Il contratto…, cit., 43 e 849).; non invece alla fattispecie di cui all’art. 1332 c.c.
5 Cfr. X. XXXXX – X. XXXXX, Responsabilità precontrattuale e contratti standard…, cit., 312: «La standardizzazione dei contratti ha affiancato un sistema di transazioni “di massa” ad un sistema di pro- duzione “di massa”». In senso analogo, X. XXXXXXXXXXXX, Dei contratti in generale…, cit., 244: «il fenomeno assume una importanza ben maggiore […] con la produzione in serie di beni e servizi, che ha come conseguenza la stipula di una quantità di contratti dello stesso contenuto».
6 La Relazione del Guardasigilli al Codice Civile, § 612, nell’illustrare la disciplina degli artt. 1341 e 1342 c.c. fa riferimento al «bisogno di assicurare l’uniformità del contenuto di tutti i rapporti di natura identica, per una più precisa determinazione dell’alea che vi è connessa». Cfr. C. M. XXXXXX, Condizioni generali di contratto. I) Diritto civile…, cit., 9; ID., Condizioni generali di contratto (tutela dell’aderente), cit., 398; ID., Diritto civile…, cit., 368; X. XXXXX, La contrattazione standardizzata…, cit., 499; X. XXXXXXXXXX, Condizioni generali e procedimento di formazione del contratto, in AA. VV., Condizioni generali di contratto e tutela…, cit., 11; X. XXXXX – X. XXXXX, Responsabilità precontrattuale e contratti standard…, cit., 317, per i quali il fenomeno dei contratti standard è collegato ad un’esigenza di «razionalizzazione» delle contrattazioni seriali; X. XXXXXXXX, Condizioni generali…, cit., 802, per il quale le condizioni generali di contratto sono espressione della «naturale tendenza dell’economia a razionalizzare i suoi strumenti di azione»; G. B. XXXXX, Condizioni generali di contratto, diritto dispo- sitivo e ordine pubblico, in AA. VV., Condizioni generali di contratto e tutela…, cit., 52-53, il quale
ai clienti di beni o servizi sia regolata allo stesso modo e possa essere preventivata, sulla base di modelli statistici, la misura complessiva di responsabilità a cui sarà espo- sta l’impresa7. Inoltre, la negoziazione individuale di ciascun contratto con ogni sin- golo cliente richiederebbe tempistiche e modalità incompatibili con le esigenze di spe- ditezza e celerità tipiche del commercio, tanto all’ingrosso quanto al dettaglio: la con- trattazione standardizzata comporta perciò una notevole riduzione dei costi transat- tivi8.
In base a tale ratio, si ritiene perciò che la disciplina relativa alle condizioni generali di contratto sia applicabile solo qualora sussistano almeno due presupposti:
i. La generalità, ossia la destinazione delle condizioni generali alla rego- lazione di una serie indeterminata di identici rapporti contrattuali9;
parla di un’«esigenza fondamentale di unitarietà, di omogeneità e quindi di efficienza, che domina l’at- tività imprenditoriale».
7 X. XXXXXXXXX, I contratti dei consumatori…, cit., 485, il quale evidenzia che il modello di contrattazione standardizzata offre un vantaggio, seppur modesto, anche ai clienti: ossia la garanzia dell’osservanza, da parte del predisponente, della parità di trattamento nei rapporti con tutti i consuma- tori. Come osservato dall’A., tale uguaglianza non esclude la posizione di strutturale subalternità nella quale si trova il cliente rispetto al predisponente: i clienti sono «eguali nella soggezione al potere dell’imprenditore predisponente» (ibidem).
8 C. M. XXXXXX, Diritto civile…, cit., 368.
9 Ivi, 343; X. XXXXX – X. XXXXX, Responsabilità precontrattuale e contratti standard…, cit., 301- 303, i quali sottolineano che il carattere della generalità trova riscontro nella definizione di condizioni generali di contratto rinvenibile in altri ordinamenti, in particolare al § 1, co. 1 della legge tedesca (la Gesetz zur Regelung des Rechts der Allgemeinen Geschäftsbedingungen o AGB-Gesetz, 9 dicembre 1976): «condizioni generali di contratto sono tutte le condizioni di contratto predisposte per una plura- lità di contratti, che una parte (utilizzatore) sottopone all’altra parte al momento della conclusione di un contratto» (le norme contenute in tale legge sono state trasposte ai §§ 305-310 del Bürgerliches Gese- tzbuch nell’ambito della Schuldrechtsmodernisierung del 2002). Gli A., tuttavia, puntualizzano (a p. 305) che le indicazioni provenienti da altri sistemi giuridici non sono univoche: ad es. la legge austriaca (Konsumentenschutzgesetz, 8 marzo 1979) richiede unicamente la predisposizione unilaterale e non in- vece la generalità.
Poiché gli artt. 1341-1342 c.c. richiedono che le condizioni siano predisposte per una genera- lità di operazioni contrattuali, il loro ambito di applicazione non è perfettamente coincidente con quello della disciplina delle clausole vessatorie nei contratti con i consumatori (artt. 33 ss. c. cons.). Infatti, quest’ultima è applicabile anche qualora il contratto sia stato predisposto dal professionista per un’unica operazione (così E. XXXXXXXXX, I contratti dei consumatori…, cit., 592).
ii. La predisposizione unilaterale, ossia la redazione dell’intero testo con- trattuale ad opera di uno solo dei contraenti10. Tale requisito deve, se- condo l’opinione prevalente, ritenersi escluso qualora il regolamento negoziale sia stato oggetto di trattativa tra le parti11. D’altra parte, in
Secondo altri (X. XXXXXXXXXX, Profili della disciplina nuova delle clausole c.d. vessatorie cioè abusive, in Eur. e dir. priv., 1998, I, 5 ss., 22), la disciplina dei contratti dei consumatori non richiede neppure la predisposizione unilaterale, per cui vi sarebbe specialità reciproca tra le due norma- tive: la disciplina consumeristica è speciale rispetto a quella codicistica per quanto riguarda il requisito della diversità di status dei contraenti; quella codicistica è speciale rispetto a quella consumeristica per quanto riguarda il requisito della predisposizione unilaterale.
X. XXXXX, La contrattazione standardizzata…, cit., 499, nt. 20, sottolinea che il carattere della generalità, che è in questa sede ritenuto sinonimo di uniformità, è positivamente esplicitato all’art. 1342, co. 1, c.c., che fa riferimento ai contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari «pre- disposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali».
In giurisprudenza, v. da ultimo Cass., 19 marzo 2018, n. 6753.
10 Per A. GENOVESE, Condizioni generali…, cit., 803, il requisito della predisposizione unila- terale non è propriamente distinto da quello dell’uniformità; piuttosto, unico elemento fondamentale delle condizioni generali è la «volontà generale del predisponente», da cui discende lo scopo cui sono dirette (uniformità), il modo in cui sono formate (predisposizione unilaterale) e il modo in cui agiscono (rigidità).
11 V. ad es. X. XXXXXXXXX, I contratti dei consumatori…, cit., 487; X. XXXXX, La contrattazione standardizzata…, cit., 500. Si ritiene che il testo contrattuale non possa essere ritenuto unilateralmente predisposto non solo quando è concordato dalle singole parti, ma anche quando è stato negoziato dalle contrapposte associazioni di categoria (così C.M. XXXXXX, Condizioni generali di contratto. I) Diritto civile…, cit., 3).
Cfr. però X. XXXXX – X. XXXXX, Responsabilità precontrattuale e contratti standard…, cit., 308, i quali ritengono che lo svolgimento di trattative, pur rendendo superfluo il requisito di conoscibilità di cui all’art. 1341 co. 1 c.c., non dovrebbe opporsi alla necessità della specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie, di cui all’art. 1341 co. 2 c.c. Le trattative non rimuovono infatti l’eventuale situazione di squilibrio tra le parti e potrebbero quindi concludersi comunque con l’imposizione della clausola abusiva.
Non è esclusa la predisposizione unilaterale dalla circostanza che il modulo contrattuale che l’aderente sottoscrive sia qualificato come “proposta” e che formalmente il predisponente figuri come “accettante” (così X. XXXXX – X. XXXXX, Responsabilità precontrattuale e contratti standard…, cit., 303;
X. XXXXXXXXX, I contratti dei consumatori…, cit., 487). Tale conclusione troverebbe conforto anche nel dato testuale della norma: «condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti» (contra
X. XXXXXXXXXX, Condizioni generali e procedimento di formazione del contratto…, cit., 16, secondo il quale solo le condizioni generali di contratto del proponente possono entrare nel contratto: se infatti l’oblato, nel dichiarare di accettare una proposta, fa riferimento alle proprie condizioni generali, si ha accettazione non conforme alla proposta, che ai sensi dell’art. 1326 co. 5 c.c. costituisce una nuova proposta).
La prassi di far figurare l’aderente come formale “proponente” del contratto è anzi molto dif- fusa in alcuni settori economici, come quello dell’intermediazione finanziaria e della contrattazione bancaria: cfr. X. XXXXXXXX, Servizi e attività d’investimento, in Trattato di diritto civile e commer- ciale, già diretto da X. Xxxx, X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxx, continuato da X. Xxxxxxxxxxx, Milano, 2012,
zione unilaterale, non sia necessario che il predisponente sia un impren- ditore, o che vi sia asimmetria di potere contrattuale tra le parti, come nel caso in cui il predisponente sia in posizione di supremazia econo- mica rispetto all’aderente12. Più controverso è se la predisposizione uni- laterale consista nella mera produzione del testo contrattuale o nella sua successiva utilizzazione per la regolamentazione dei rapporti contrat- tuali del predisponente13.
Talvolta sono annoverati tra i presupposti di applicabilità della disciplina delle condizioni generali di contratto anche altri fattori, come il fatto che si tratti effettiva- mente di condizioni di contratto14 o che sussista nel caso concreto la ratio protettiva
466-472, secondo il quale questa particolarità non esclude che il testo contrattuale sia imputabile al predisponente, anche in assenza di una sua sottoscrizione, dovendosi dunque ritenere rispettato il requi- sito di forma scritta dell’art. 23 t.u.f. anche se il contratto è sottoscritto dal solo cliente.
12 V. ad es. X. XXXXXXXX, Condizioni generali…, cit., 804; X. XXXXX, La contrattazione stan- dardizzata…, cit., 501; X. XXXXXXXXX, I contratti dei consumatori…, cit., 487; G. DE NOVA, Le condi- zioni generali…, cit., 366.
13 X. XXXXX, La contrattazione standardizzata…, cit., 500, osserva che l’accoglimento dell’una o dell’altra tesi ricostruttiva ha rilevanti conseguenze pratiche, in quanto implica un significativo am- pliamento o restrizione dell’ambito applicativo della normativa in esame. Tra le due impostazioni è prevalsa infatti quella più favorevole all’aderente, ossia quella per la quale la disciplina sia applicabile anche quando lo schema contrattuale non sia stato elaborato dall’utilizzatore, che si è limitato ad adot- tarlo e a impiegarlo nella regolazione dei propri rapporti contrattuali (v. ad es., in questo senso, F. MES- SINEO, Il contratto in genere. I, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da X. Xxxx e X. Mes- sineo, Milano, 1968, 429; X. XXXXX, Condizioni generali…, cit., 111 s., nt. 8; C. M. XXXXXX, Condi- zioni generali di contratto. I) Diritto civile…, cit., 3; X. XXXXXXXXX, I contratti dei consumatori…, cit. 487). Ciò ha consentito il controllo giudiziale delle condizioni generali di contratto anche nei frequenti casi in cui i modelli standard siano elaborati da associazioni di categoria, come ad es. l’ABI nel settore bancario.
00 X. XX XXXX, Xx condizioni generali…, cit., 364: tale requisito non sussisterebbe qualora la clausola contenga una proposta (e non sia dunque parte di un contratto) o se la clausola trovi la sua fonte non in un contratto, ma in disposizioni di natura normativa. È stata così anticipata in via interpretativa una regola poi codificata, con riferimento ai contratti tra professionisti e consumatori, all’art. 1 co. 2 Direttiva 93/13/CEE (recepita dal legislatore nazionale dapprima all’art. 1469 ter, co. 3, c.c. e poi tra- sposta all’art. 34 co. 3 c. cons.), secondo cui non sono vessatorie le clausole che riproducono disposi- zioni di legge.
Inoltre, non sono considerate clausole contrattuali e non devono quindi essere specificamente approvate per iscritto quelle contenute in statuti associativi o in regolamenti condominiali (C. M. XXXXXX, Condizioni generali di contratto. I) Diritto civile…, cit., 8).
trovare applicazione in caso di condizioni generali di contratto “bilaterali” o “recipro- che”; ossia, quando siano invocabili tanto a favore o contro il predisponente quanto a favore o contro l’aderente16.
1.2 La disciplina: conoscibilità (art. 1341 co. 1 c.c.)17
In presenza di questi requisiti, è giustificata l’applicazione delle norme del c.c. sulle condizioni generali di contratto, le quali mirano, nell’intenzione del legislatore,
00 X. XX XXXX, Xx condizioni generali…, cit., 366. In particolare, non si ritiene sussistente la ratio dell’art. 1341 c.c. se la conclusione del contratto per adesione non rappresenta un pericolo per l’aderente: ad es., se l’accordo è concluso per atto pubblico alla presenza di un notaio. In senso critico,
x. X. XXXXX, La contrattazione standardizzata…, cit., 533, secondo il quale andrebbe sempre valutato in riferimento alle particolarità del caso concreto se la stipulazione del contratto per atto pubblico sia o meno incompatibile con l’applicazione dell’art. 1341 c.c., in quanto spesso il notaio si limita alla lettura integrale del testo contrattuale, senza porre in essere alcuna indagine sull’effettiva volontà dell’aderente. Simili considerazioni sono svolte anche da X. XXXXX – X. XXXXX, Responsabilità precontrattuale e con- tratti standard…, cit., 310-311.
Sotto altro profilo, la giurisprudenza ha ritenuto, fino alla metà degli anni Ottanta, che la di- sciplina delle condizioni generali di contratto non fosse applicabile qualora il predisponente fosse la pubblica amministrazione, in quanto la qualifica pubblicistica del contraente, cui la legge attribuisce istituzionalmente il fine di perseguire l’interesse pubblico, avrebbe escluso in radice la possibilità di qualsiasi iniquità sostanziale delle condizioni generali. A partire dalla decisione resa in Cass. 29 set- tembre 1984, n. 4832, in Foro it., 1984, I, 2442, si è però affermato l’orientamento opposto, per il quale gli artt. 1341 e 1342 c.c. sono applicabili anche in caso di predisposizione delle condizioni generali da parte della pubblica amministrazione.
16 X. XXXXXXXX, Il contratto in genere… cit., 468. A sostegno di questa tesi, l’A. adduce il dato testuale dell’art. 1341 co. 2 c.c. («condizioni che stabiliscono, a favore di chi le ha predisposte, […] ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente […]»). In senso critico si osserva che le clausole sono comunque predisposte da un solo contraente, tendenzialmente nel suo esclusivo vantaggio (così R. SCO- GNAMIGLIO, Dei contratti in generale…, cit., 279).
17 L’analisi si soffermerà quasi esclusivamente sul disposto dell’art. 1341 c.c., in quanto og- getto di interesse ai fini del presente lavoro è il sistema di tutela dell’aderente predisposto dal codice civile, disciplinato appunto all’art. 1341 c.c. Infatti, l’art. 1342 x.x. xxxxxxxx, xx xx. 0, xxx xxxxxx xx xxxxxxxxxxxxxxx della volontà delle parti (X. XXXXX – X. XXXXX, Responsabilità precontrattuale e contratti standard…., cit., 466, i quali chiosano che, pertanto, la norma avrebbe trovato più appropriata colloca- zione nel capo dedicato all’interpretazione del contratto) e, al co. 2, un rinvio all’art. 1341 co. 2 c.c.
L’unica questione peculiare riguardante l’art. 1342 c.c. cui è opportuno fare cenno è l’applica- bilità della regola di efficacia dell’art. 1341 co. 1 c.c. ai contratti conclusi mediante moduli o formulari. Il dubbio nasce dal fatto che l’art. 1342 co. 2 c.c. richiama, come accennato, solo il co. 2 e non il co. 1 dell’art. 1341 c.c.; sicché si è sostenuto sia che l’estensione analogica della regola della conoscibilità andrebbe contro la volontà del legislatore, in base al principio ubi lex voluit, dixit, ubi noluit, tacuit (v.
a contrastare gli abusi che potrebbero originare da questo particolare modello di con- trattazione18. Il fatto che il testo contrattuale non sia concordato tra le parti all’esito di una trattativa, ma piuttosto interamente predisposto da una di esse, comporta il rischio che esso sia gravemente sbilanciato a favore del predisponente. È nell’interesse di quest’ultimo infatti assicurare che il contratto preveda, entro i limiti previsti dalla legge, i minimi doveri e i massimi diritti per il predisponente e, viceversa, i massimi doveri e i minimi diritti per l’aderente: in particolare, è incentivato a trasferire sull’ade- rente i rischi connessi all’operazione economica19.
Per rimediare a tali conseguenze non desiderabili, viene innanzitutto previsto, all’art. 1341 co. 1 c.c., che le condizioni generali di contratto non siano efficaci nei confronti dell’aderente qualora non siano state da questi conosciute o fossero altri- menti conoscibili usando l’ordinaria diligenza. Si ritiene che lo sforzo richiesto all’aderente non oltrepassi un canone di normalità, commisurabile all’impegno che ci si può attendere dall’aderente medio con riferimento alla specifica operazione econo- mica conclusa20. È stato autorevolmente osservato che la disposizione in esame, am- mettendo che l’aderente sia vincolato a condizioni non effettivamente da questi
ad es. G. DE NOVA, Le condizioni generali…, cit., 374, che giustifica l’aderenza al dato letterale sulla base dell’inescusabilità dell’ignoranza dell’aderente di clausole riportate sul modulo che sta sottoscri- vendo), sia che tale estensione sia giustificata dall’eadem ratio delle due fattispecie (X. XXXXX Con- tratti standard…, cit., 187-188).
18 Cfr. Relazione del Guardasigilli al Codice Civile, § 612: «La pratica dei contratti per ade- sione ha dato luogo ad abusi nei casi in cui gli schemi prestabiliti contengono clausole che mettono i clienti alla mercé dell’imprenditore […] Gli articoli 1341 e 1342 vogliono ovviare ad ogni abuso».
19 In questi termini X. XXXXX – X. XXXXX, Responsabilità precontrattuale e contratti standard…,
cit., 313.
20 X. XXXXX, La contrattazione standardizzata…, cit., 503; C.M. XXXXXX, Diritto civile…, 347,
il quale sottolinea che si debba escludere che sia richiesto all’aderente «un particolare sforzo o una particolare competenza per conoscere le condizioni generali usate dal predisponente». Cfr. però A. GE- NOVESE, Condizioni generali…, cit., 804, per il quale la norma dell’art. 1341 co. 1 c.c. impone in capo all’aderente uno sforzo di diligenza «molto più gravoso dell’ordinario».
della volontà con il principio dell’autoresponsabilità21.
Specularmente, è richiesto al predisponente un onere di rendere conoscibili le proprie condizioni generali: si può ritenere che, nell’attuale società digitalizzata, tale onere possa assolversi anche pubblicando le condizioni generali sul sito web dell’im- presa (si può però ragionevolmente pretendere che il predisponente dimostri di aver fornito all’aderente l’indirizzo url ove rinvenire le condizioni).
Le condizioni generali non conoscibili con l’ordinaria diligenza non sono nulle, ma – come si evince dal chiaro dato testuale – inefficaci22. Secondo l’opinione prevalente, si tratta di inefficacia assoluta (ossia rilevabile d’ufficio dal giudice)23.
Un problema particolare si pone quando entrambi i contraenti abbiano predi- sposto condizioni generali di contratto. In questa circostanza (spesso definita, nella letteratura internazionale, come battle of the forms), la regola codicistica non chiarisce se una delle due regolamentazioni standard prevalga e sia integralmente efficace nei confronti dell’altro contraente o se siano entrambe applicabili al contratto concluso e
21 V. per tutti X. XXXXXXX-FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1945, 198.
22 Non si è in presenza infatti di clausole contrattuali affette da vizio invalidante; piuttosto, le clausole non conosciute né conoscibili non vengono proprio recepite nel testo negoziale. La legge pre- vede in questa ipotesi una particolare modalità di formazione del contratto, mediante la quale le condi- zioni generali vengono incorporate nell’accordo delle parti se sussiste il requisito della conoscibilità, mentre ne rimangono estranee in caso contrario (in questo senso, X. XXXXX – X. XXXXX, Responsabilità contrattuale e contratti standard…, cit., 345).
23 In tal senso, v. X. XXXXX, La contrattazione standardizzata…, cit., 505; C. M. XXXXXX, Con- dizioni generai di contratto. I) Diritto civile…, cit., 3; X. XXXXX, Le condizioni generali…, cit., 345. Contra, v. X. XXXXXXXXXXXX, Dei contratti in generale…, cit., 270, per il quale l’inefficacia può essere fatta valere solo dall’aderente, in quanto essa dipende dal «mancato verificarsi del presupposto di con- trattualità» (ossia, la conoscibilità mediante l’uso dell’ordinaria diligenza) sul lato di quest’ultimo: la volontà negoziale del predisponente è correttamente formata e perciò non può accordare a quest’ultimo il potere di farne valere l’efficacia, né sarebbe opportuno che il vizio fosse rilevabile d’ufficio dal giu- dice.
xxxxx divergente della stessa materia nei due set di condizioni generali24.
1.3 (segue): specifica approvazione per iscritto (art. 1341 co. 2 c.c.)
L’art. 1341 co. 2 c.c. prevede poi una forma di controllo più intensa per alcuni tipi di clausole, ritenute particolarmente pregiudizievoli per l’aderente e quindi “ves- satorie”25 (si fa riferimento ad es. alle clausole di limitazione di responsabilità o di deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria). Queste clausole non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto dall’aderente.
24 X. XXXXX – X. XXXXX, Responsabilità precontrattuale e contratti standard…, 346 ss. osser- vano che in questa circostanza, applicando rigorosamente l’art. 1326 co. 5 c.c., il contratto non dovrebbe dirsi concluso: se la parte accetta rinviando alle proprie condizioni generali sta in realtà facendo una controproposta in termini divergenti da quelli presentati dal proponente. Gli A. rilevano però che tale regola però mal si conforma con la prassi del commercio internazionale, in base alla quale si tende a ritenere concluso il contratto qualora si sia raggiunto l’accordo sugli essentialia negotii, come eviden- ziato anche dalla regola dell’art. 19 co. 2 della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili del 1980, in base alla quale l’accettazione che contenga clausole difformi dalla proposta le quali non alterino sostanzialmente il contenuto della proposta costituisce accettazione vera e propria (e il contratto è concluso secondo i termini difformi indicati nell’accettazione) se il proponente non si oppone tempestivamente (sulla disciplina applicabile ai casi di battle of the forms in contratti governati dalla Convenzione di Vienna, v. X. XXXXX – X. XXXXXX, The CISG. A new textbook for students and practictioners, Monaco, 2007, 91-94).
La questione è affrontata anche da X. XX XXXX, Le condizioni generali…, cit., 405-407, il quale dà conto delle due principali soluzioni prese in considerazione nella letteratura internazionale: la last shot rule, in base alla quale prevalgono le condizioni generali della parte che, all’esito dello scambio di proposte, controproposte e accettazioni, ha formulato l’ultima dichiarazione negoziale; e la knock- out rule, in base alla quale si applicano le condizioni generali di entrambi i contraenti, ma le clausole confliggenti si elidono a vicenda. L’A. ritiene la knock-out rule la più appropriata a contemperare gli interessi contrapposti: essa è peraltro anche quella recepita nelle fonti persuasive internazionali (v. art.
2.1.22 Unidroit Principles of International Commercial Contracts e art. 2:209 Principles of European Contract Law).
25 È questo il termine comunemente usato in dottrina per riferirsi alle clausole contenute nell’elenco di cui all’art. 1341 co. 2 c.c.: v., ad es., C. M. XXXXXX, Condizioni generali di contratto. I) Diritto civile…, cit., 4; X. XXXXX – X. XXXXX, Responsabilità precontrattuale e contratti standard…, cit., 369; G. CHINÉ, Contrattazione standardizzata…, cit., 508.
X. XXXXXXXX, Condizioni generali…, cit., 805, ritiene invece che l’aggettivo “vessatorie” sembri accompagnarsi ad un «sospetto di illiceità» non sempre giustificato; preferisce perciò i termini “onerose” o “pericolose”.
tela dell’aderente: si intende salvaguardarlo dal pericolo della “sorpresa”, ossia dal rischio di essere vincolato a clausole di cui non aveva pienamente colto il significato o di cui, addirittura, non si era neppure accorto (magari a motivo della voluminosità del contratto o del carattere minuto in cui esso è redatto). Richiamando l’attenzione dell’aderente sulla singola clausola, la specifica approvazione per iscritto dovrebbe ridurre il rischio che questi accetti senza piena consapevolezza le sue conseguenze pregiudizievoli26.
Per quanto riguarda le modalità con le quali deve essere espletato l’adempi- mento della specifica approvazione per iscritto, secondo l’opinione prevalente non è necessario che ogni singola clausola vessatoria sia corredata da una sottoscrizione ad hoc; piuttosto, si ritiene sufficiente che sia apposta una sottoscrizione separata ad una clausola finale di richiamo di tutte le clausole vessatorie contenute nel contratto, a patto che, però, la clausola di richiamo “globale” permetta di identificare chiaramente le singole clausole abusive e non si limiti a un rinvio generico e indeterminato (c.d. sistema della “doppia sottoscrizione”)27.
Circa le conseguenze dell’inosservanza dell’obbligo imposto dall’art. 1341 co. 2 c.c., si riscontrano opinioni divergenti tra gli interpreti. Secondo l’impostazione pre- valente in giurisprudenza, le clausole vessatorie non specificamente approvate per iscritto sarebbero affette da nullità28; tuttavia, non è pacifico se si tratti di nullità
26 C. M. XXXXXX, Condizioni generali di contratto. I) Diritto civile…, cit., 7; ID., Diritto ci- vile…, cit., 360; E. XXXXXXXXX, I contratti dei consumatori…, cit., 490.
27 C. M. XXXXXX, Condizioni generali di contratto. I) Diritto civile…, cit., 8 (il quale sottolinea che il richiamo globale non dovrebbe limitarsi a riportare il riferimento alfanumerico delle clausole vessatorie, ma almeno indicare in termini generali l’oggetto di ciascuna clausola). In senso analogo, cfr.
X. XXXXX – X. XXXXX, Responsabilità precontrattuale e contratti standard…, cit., 353; G. CHINÉ, Con- trattazione standardizzata…, cit., 514-515; E. XXXXXXXXX, I contratti dei consumatori…, cit., 490; G. DE NOVA, Le condizioni generali…, cit., 375;
28 Il principio è stato affermato definitivamente in Cass., S.U., 11 novembre 1974, n. 3508, in Temi, 1976, 413 ss., con nota di X. X’XXXXX, Ancora sull’art. 1341, comma 2 cod. civ. con riferimento, in particolare, al pactum de foro prorogando. La giurisprudenza successiva si è allineata a questo orien- tamento: x. Xxxx., 00 dicembre 1975, n. 4189; Cass., 10 maggio 1976, n. 1647; Cass., 22 maggio 1986,
assoluta o relativa (ossia invocabile solamente dall’aderente)29. Ciò in quanto la spe- cifica approvazione per iscritto rappresenterebbe un requisito di forma ad substantiam, la cui violazione comporterebbe, appunto, nullità, in forza del combinato disposto de- gli artt. 1325 n. 4) e 1418 co. 2 c.c.30
In dottrina si tende invece a ritenere che la mancanza della specifica approva- zione per iscritto delle clausole vessatorie non ne provochi la nullità, ma semplice- mente l’inefficacia31. Questa opinione valorizza il dato letterale della norma, la quale sancisce che le clausole onerose non appositamente sottoscritte «non hanno effetto».
Oltre che per la maggiore aderenza al dettato positivo, la tesi è preferita anche per le sue conseguenze applicative più coerenti con la ratio di protezione dell’aderente che informa la disciplina codicistica dei contratti standard. Se infatti la clausola ves- satorie non specificamente approvata fosse nulla, si sarebbe in presenza di un
n. 3407; Cass., 26 gennaio 1987, n. 713; Cass., 15 febbraio 1992, n. 1873; Cass., 15 febbraio 1995, n.
1606; Cass., 19 gennaio 2000, n. 569; Cass., 18 gennaio 2002, n. 547; Cass., 17 luglio 2003, n. 11196;
Cass., 23 settembre 2003, n. 14102; Cass., 9 febbraio 2004, n. 2429; Cass., 14 luglio 0000, x. 00000.
Si osservi che la Relazione del Guardasigilli al Codice Civile, § 12 afferma che, mentre la mancata conoscibilità di cui all’art. 1341 co. 1 c.c. ha conseguenze in tema di «efficienza giuridica», la mancata specifica approvazione per iscritto comporta la nullità delle clausole interessate.
29 Le pronunce riportate alla nota 28 affermavano che la nullità è eccepibile anche dal predi- sponente, nonché rilevabile d’ufficio.
Alcune sentenze più recenti, invece, hanno ritenuto che, essendo la specifica approvazione un requisito per l’opponibilità al contraente aderente, solo quest’ultimo sarebbe legittimato a invocare la nullità: così Xxxx., 20 agosto 2012, n. 14570; Cass., 21 agosto 2017, n. 20205.
In dottrina, ritiene sussistente nell’ipotesi in esame un caso di nullità relativa X. XXXXXXX,
Contratti standard…, cit., 630.
30 In questi termini X. XXXXXXXX, Condizioni generali…, cit., 805; X. XXXXXXXX, Condizioni generali…, cit., 1112.
31 C. M. XXXXXX, Condizioni generali di contratto. I) Diritto civile…, cit., 9, il quale sottolinea che l’inefficacia non impedisce all’aderente di scegliere di ritenere vincolante la clausola, se lo ritenga opportuno.
Ritengono preferibile la tesi dell’inefficacia anche X. XXXXX – X. XXXXX, Responsabilità pre- contrattuale e contratti standard…, cit., 359-360; e X. XXXXX, La contrattazione standardizzata…, cit., 510-511. Questi A. ritengono che l’onere della specifica approvazione per iscritto sia stato imposto dal legislatore al fine di assicurare che la volontà contrattuale dell’aderente sia stata sufficientemente pon- derata in relazione al contenuto delle clausole vessatorie. Se questo onere non è adempiuto, l’intesa negoziale su tali clausole non può dirsi raggiunta, con il risultato che esse non entrano a far parte del testo contrattuale convenuto tra le parti e sono pertanto inefficaci.
fenomeno di nullità parziale32 che, in base a quanto disposto dall’art. 1419 co. 1 c.c., comporterebbe nella maggior parte dei casi la nullità totale del contratto predisposto (sarebbe infatti agevole per il predisponente dimostrare che egli non avrebbe concluso il contratto senza le clausole colpite dalla nullità). Ciò contrasterebbe con l’interesse della parte debole del rapporto, che nella maggior parte dei casi preferisce la conser- vazione del contratto epurato dalle clausole vessatorie, piuttosto che la sua integrale caducazione (si pensi alla dichiarazione di nullità di un contratto di mutuo, che obbli- gherebbe il mutuatario all’immediata restituzione dell’intera somma accordata)33.
Un’autorevole opinione ha tuttavia ritenuto che la qualificazione in termini di nullità della clausola vessatoria non specificamente approvata non comporterebbe ne- cessariamente l’estensione dell’invalidità all’intero contratto34. L’argomento letterale (valorizzato dalla dottrina per sostenere la tesi dell’inefficacia) non sarebbe decisivo: infatti spesso il legislatore usa l’espressione «non hanno effetto» per riferirsi a fatti- specie negoziali nulle35. D’altra parte, la sostituzione della clausola nulla con norme imperative (art. 1419 co. 2 c.c.) non rappresenterebbe l’unica eccezione positiva all’art. 1419 co. 1 c.c. A volte infatti è lo stesso legislatore a prevedere che la clausola nulla sia sostituita dalla norma dispositiva che regola l’aspetto disciplinato dal patto
32 In tema di nullità parziale si v. almeno A. D’ADDA, Nullità parziale e tecniche di adatta- mento del contratto, Padova, 2008, passim; P. M. PUTTI, La nullità parziale. Diritto interno e comuni- tario, Napoli, 2002, passim.
33 Esprimono tale preoccupazione, tra gli altri, G PATTI – X. XXXXX, Responsabilità precontrat- tuale e contratti standard…, cit., 360; X. XXXXX, La contrattazione standardizzata…, cit., 512.
Più articolata la posizione di X. XXXXXXXXXXX, Appunti sull’inquadramento della disciplina delle c.d. condizioni generali di contratto, in AA. VV., Condizioni generali di contratto e tutela…, cit., 23-24, per il quale il problema dell’estensione dell’invalidità della clausola vessatoria all’intero con- tratto non dovrebbe essere affrontato aprioristicamente a partire dalla qualificazione del vizio in termini di nullità, annullabilità o inefficacia, ma andrebbe rapportato alla natura della singola clausola non spe- cificamente approvata. Ad es. una clausola di limitazione di responsabilità potrà più facilmente com- portare l’invalidità dell’intero negozio, coinvolgendo la stessa serietà dell’impegno assunto, mentre le clausole di deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria potrebbero più agevolmente essere espunte dal contratto senza che questo venga caducato integralmente.
00 X. XX XXXX, Xxxxxxx relativa…, cit., 487-488.
35 Ivi, 485.
invalido36. Inoltre, anche in assenza di tale espressa previsione, la sostituzione con il diritto dispositivo sarebbe possibile e doverosa ove ciò sia richiesto dalla finalità pro- tettiva della norma che commina la nullità, come appunto nel caso dell’art. 1341 co. 2 c.c.37
La tesi è stata criticata dalla dottrina successiva, che ha innanzitutto sollevato dubbi sulle sue stesse premesse (ossia che l’espressione «non hanno effetto» non avrebbe alcun peso nel qualificare la fattispecie in termini di inefficacia piuttosto che di nullità, in quanto nel linguaggio del legislatore le due qualifiche sarebbero usate indiscriminatamente38). Questa dottrina, ricostruendo la fattispecie della clausola ves- satoria in termini di inefficacia e non di nullità, ne ha agevolmente tratto l’operatività
36 Xxx, 488, ove si adduce l’esempio della clausola di interessi ultralegali non pattuita per iscritto, che comporta (ai sensi dell’art. 1284, co. 3 c.c.) l’applicazione del tasso legale di interessi.
37 Ivi, 489. In uno scritto successivo (G. DE NOVA, Le condizioni generali…, cit., 376 ss.), l’A. non esprime preferenza tra la qualificazione del vizio in termini di inefficacia o di nullità, in quanto
«entrambe le costruzioni sono, a nostro avviso, logicamente corrette e compatibili con il dato norma- tivo» (p. 376).
Lo stesso X. mette in guardia però dal trarre dall’una o dall’altra tesi corollari applicativi ina- deguati alla fattispecie: a prescindere che la clausola vessatoria non specificamente approvata sia nulla o inefficace, il vizio sarebbe nondimeno eccepibile dal predisponente e rilevabile d’ufficio (p. 377). Inoltre, l’eliminazione della clausola vessatoria non dovrebbe portare alla caducazione dell’intero con- tratto, in quanto essa verrebbe sostituita dalla corrispondente norma di diritto dispositivo; rectius, la norma dispositiva ritornerebbe automaticamente a trovare applicazione nella fattispecie per effetto della rimozione della clausola che vi aveva derogato (p. 378).
38 G. B. XXXXX, Nullità parziale…, cit., 14-16. L’A. osserva che vi sono sicuramente casi in cui il legislatore prevede che un atto «non ha effetto» per indicarne indirettamente la nullità. In particolare, viene addotto l’esempio del contratto simulato, che secondo la lettera dell’art. 1414 co. 1 c.c. «non ha effetto tra le parti», ma, secondo la dottrina allora prevalente (ad es. X. XXXXXX, Simulazione e fisco, in Riv. dir. comm., 1966, I, 2 ss.), è indubitabilmente affetto da nullità assoluta.
Tuttavia, vi sono anche casi in cui la qualificazione legale in termini di inefficacia non discende invariabilmente dalla nullità dell’atto: si fa riferimento alla revoca della proposta irrevocabile (che, ai sensi dell’art. 1329 co. 1 c.c., «è senza effetto») e alla revoca della promessa al pubblico (la quale non può avere effetto, in forza dell’art. 1990 co. 2 c.c., se l’azione prevista nella promessa si è già verificata o se l’azione è già stata compiuta). In questi casi, secondo l’A., i negozi non sono nulli in quanto non mancano di elementi essenziali; piuttosto, sono meramente inefficaci in quanto l’autore dell’atto è, in virtù di una condizione soggettiva esterna al regolamento negoziale, privo del potere di porre in essere la revoca.
Alla luce della dimostrata assenza di corrispondenza biunivoca tra nullità e inefficacia nel les- sico del legislatore, l’A. ritiene che la supposta irrilevanza del dato letterale dell’art. 1341 co. 2 c.c. avrebbe dovuto essere argomentata in modo più approfondito.
del diritto dispositivo in luogo della clausola inefficace, senza bisogno di ipotizzare la possibilità di un’integrazione dispositiva del contratto affetto da nullità parziale39, con- cetto che appare alquanto contraddittorio40.
2 Le opinioni dottrinali circa l’ammissibilità di un controllo sostanziale sulle condizioni generali di contratto
Come si è visto, la disciplina del codice civile offre all’aderente un modello di tutela meramente formale: da un lato, si assicura che non siano efficaci nei suoi con- fronti le condizioni che non ha potuto conoscere anche osservando la dovuta diligenza (art. 1341 co. 1 c.c.); dall’altro, si richiede che egli sottoscriva separatamente le clau- sole per lui particolarmente onerose (art. 1341 co. 2 c.c.).
Questo tipo di tutela è coerente con lo schema ideale che era ancora dominante nella cultura giuridica degli anni ’40: ossia, la contrattazione tra pari di ispirazione liberale. Il fenomeno – ancora relativamente nuovo – della contrattazione seriale era visto come latore di potenziali distorsioni nella formazione di un consenso integrale e ponderato da parte dell’aderente. Si riteneva perciò che il compito del diritto fosse di assicurare la regolare formazione del consenso, tenuto conto delle particolarità della fattispecie, evitando che l’aderente fosse vincolato a condizioni che non poteva cono- scere e, nel caso delle clausole vessatorie, richiedendo il più pervasivo requisito della specifica approvazione scritta.
Non si riteneva invece necessario impedire all’aderente di vincolarsi a un con- tratto sostanzialmente iniquo, a patto che egli fosse pienamente consapevole di ciò che
39 G. B. XXXXX, Nullità parziale…, cit., 17: l’A. sottolinea che non si è in presenza di un’ipotesi di «ortopedia», come nel caso di sostituzione della clausola nulla con le norme imperative; piuttosto, i principi generali espressi dalle norme dispositive, cui i contraenti avevano derogato senza però ottem- perare alle dovute formalità, «entrano [nel regolamento contrattuale] in conseguenza del mancato eser- cizio, da parte dei contraenti, del potere di derogare ad essi».
40 Ivi, 19: «in questo senso nullità e derogabilità sono chiaramente categorie concettuali tra loro incompatibili».
di un paternalismo antilibertario, poiché sono le parti a essere i migliori giudici dei propri interessi41. Ciò che gli artt. 1341 e 1342 x.x. xxxxxx a risolvere è, in ultima analisi, un problema di corretta formazione del contratto, come testimoniato anche dalla collocazione topografica delle norme nella sezione del c.c. dedicata all’accordo delle parti42.
La dottrina ha tuttavia presto denunciato l’inadeguatezza della disciplina codi- cistica ad assicurare una tutela effettiva all’aderente43. Da un lato, si è evidenziato che la subordinazione dell’efficacia delle condizioni generali di contratto al solo requisito della conoscibilità di esse, lungi dal rappresentare una garanzia ulteriore per l’aderente, costituisce in realtà per quest’ultimo una deroga in peius rispetto alla disciplina gene- rale; ciò in quanto l’aderente può ritrovarsi vincolato a clausole contrattuali di cui in concreto non era venuto a conoscenza – essendo stato negligente nell’indagine
41 V. A. DI MAJO, Condizioni generali di contratto e diritto dispositivo, in AA. VV., Condizioni generali di contratto e tutela…, cit., 74. L’A. osserva che il legislatore ha inteso permettere solo un
«controllo c.d. indiretto» sul contenuto delle condizioni generali, che passa attraverso la garanzia del consenso; ossia, le norme sono ispirate alla logica per la quale, se la parte debole consente (tacitamente o espressamente) alle clausole, significa che esse non sono inique. L’attitudine culturale a considerare le condizioni generali di contratto eque per il fatto stesso che la parte non predisponente ha deciso di aderirvi è segnalata dallo stesso A. anche in ID., Il controllo giudiziale…, cit., 197.
42 Cfr. X. XXXXXX LA ROSA, Introduzione, in AA. VV., Condizioni generali di contratto e tu- tela…, cit., 3:, il quale, osservando che la dottrina che si era fino a quel momento occupata della disci- plina delle condizioni generali di contratto aveva principalmente ragionato sulla compatibilità di questo particolare modello di formazione con il tradizionale paradigma dell’accordo come risultato della col- laborazione di entrambe le parti, ritiene che ciò sia coerente con la ratio della norme in esame: «la vigente disciplina legislativa (artt. 1341 e 1342) […] attraverso particolari congegni inerenti alla for- mazione del singolo contratto intende garantire la “consapevole” adesione della controparte al predi- sposto assetto negoziale, trascurando o forse anche ritenendo in tale struttura assorbito il problema “so- stanziale” della tutela dell’interesse dell’aderente all’applicazione di un “giusto” regolamento».
Similmente A. DI MAJO, Condizioni generali di contratto e diritto dispositivo…, cit., 66-67, rileva che la dottrina aveva dedicato attenzione esclusivamente al profilo della sistemazione dogmatica della contrattazione per adesione nelle categorie generali del contratto, in quanto, una volta risolto tale problema, «è potuto apparire che qualsiasi problema attinente alla “giustizia sostanziale” (del conte- nuto) dell’atto venisse per così dire coperto e assorbito dall’adesione, apprezzata in forma “tipica”, della parte economicamente più debole».
43 C. M. XXXXXX, Condizioni generali di contratto. I) Diritto civile…, cit., 9; X. XXXXX – X. XXXXX, Responsabilità precontrattuale e contratti standard…, cit., 329.
il contraente è tenuto solamente a ciò su cui è caduto effettivamente il suo consenso44.
La specifica approvazione per iscritto, poi, è ritenuta un adempimento del tutto inidoneo ad assicurare un’effettiva tutela del contraente debole. Nella prassi infatti la seconda sottoscrizione viene apposta contestualmente alla prima, senza particolari ri- flessioni ulteriori (l’aderente infatti normalmente non è incline a dedicarsi alla lettura di lunghi e complessi testi contrattuali, di cui peraltro ben difficilmente comprende- rebbe pienamente il significato e le implicazioni se non dotato di una specifica prepa- razione tecnico-giuridica)45.
Se anche poi l’aderente avesse tempo, modo e attitudine a leggere e compren- dere compiutamente le clausole vessatorie, l’attenzione richiamata su di esse dalla ne- cessità della specifica sottoscrizione non gli arrecherebbe un significativo vantaggio. In assenza di un’effettiva possibilità di influenzare il contenuto del contratto,
44 V. in questo senso ad es. X. XXXXXXXX, Condizioni generali…, cit., 804; C.M. XXXXXX, Condizioni generali di contratto. I) Diritto civile…, 2. Cfr. X. XXXXX, Condizioni generali di contratto, buona fede e poteri del giudice, in AA. VV., Condizioni generali di contratto e tutela…, cit., 104, il quale osserva che l’art. 1341 co. 1 c.c. non deroga solamente alla regola di formazione del consenso contrattuale di cui all’art. 1326 c.c., ma anche alla disciplina dell’errore. Infatti, poiché non sussiste un onere di diligenza a carico del predisponente nell’interpretare l’ordine dell’aderente, non si applicherà lo standard previsto, in tema di riconoscibilità dell’errore, dall’art. 1431 c.c. Per queste ragioni l’A. conclude che l’art. 1341 co. 1 c.c. «non tutela affatto il contraente debole».
Vi è però anche chi non vede in questa ipotesi una deroga alle ordinarie regole di formazione del consenso. X. XXXXXXXXXX, Condizioni generali e procedimento di formazione del contratto…, cit., 17, nt. 9, osserva che il caso dell’art. 1341 co. 1 c.c. non è l’unico in cui il c.c. richiede la sola conosci- bilità per ritenere formatosi il consenso contrattuale, in quanto un meccanismo simile è previsto me- diante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c.
Più articolata la posizione di X. XXXXXXXXXX Regole di gioco…, cit., 89, il quale ritiene che l’art. 1341 co. 1 c.c. non sia un’ipotesi speciale rispetto alla disciplina generale della formazione, in quanto ogni dichiarazione contrattuale è resa «in un contesto di circostanze concrete che sono prese in considerazione soltanto come termine oggettivo di riferimento delle regole di formazione del contratto». La regola dell’art. 1341 co. 1 c.c. non rappresenta allora altro che l’adattamento delle regole generali al particolare contesto della contrattazione seriale di massa e delle quick-hand transactions.
45 X. XXXXXXX, Contratti bancari su modulo…, cit., 22, descrive efficacemente il rito della seconda sottoscrizione come una «vuota cerimonia».
clausole che sottoscrive: egli è posto infatti di fronte all’alternativa tra il “prendere o lasciare”46.
La contrattazione standardizzata, cui deve senz’altro riconoscersi imprescindi- bile valore nell’economia post-industriale (in quanto contribuisce a consentire un’ade- guata prevedibilità della programmazione aziendale), porta però con sé il rischio di abusi da parte dell’imprenditore/predisponente: egli, pur non essendo dotato di un vero e proprio potere normativo, è innegabilmente munito di un potere di fatto, in forza del quale è in grado di conformare nel senso a sé più favorevole la generalità dei rapporti negoziali di cui viene a far parte, senza che la controparte, a causa delle ragioni che si sono ricordate, abbia reali possibilità di apportare una perequazione del testo contrat- tuale47. Si è pertanto ritenuto che fosse necessario rinvenire nell’ordinamento norme o
46 C.M. XXXXXX, Condizioni generali di contratto. I) Diritto civile…, cit., 10, il quale osserva che non residua neppure questa (pur minima) possibilità di scelta qualora sussista una situazione di monopolio o di spontanea uniformazione delle condizioni generali di contratto tra le imprese che ope- rano nello stesso settore economico. V. anche P. BARCELLONA, Condizioni generali di contratto e tutela del contraente debole, in AA. VV., Condizioni generali di contratto e tutela…, cit., 111: «una cosa è, infatti, la garanzia della partecipazione consapevole alla formazione e conclusione del contratto; altra cosa è, in concreto, la garanzia di un equo assetto degli interessi reciproci e della proporzionalità dei sacrifici».
In senso analogo, v. anche G. DE NOVA, Le condizioni generali…, cit., 381; A. LISERRE, Tutele costituzionali dell’autonomia contrattuale. Profili preliminari, Milano, 1971, 131 ss.
47 In questi termini C.M. XXXXXX, Condizioni generali di contratto (tutela dell’aderente)…, cit., 398. In tale sede, l’A. prende anche posizione rispetto alle critiche che erano state mosse alle ipotesi di controllo sostanziale sui contratti standard prospettate dalla dottrina; in particolare, si era manifestato scetticismo rispetto alla possibilità che la giurisprudenza, allora molto fedele al principio dell’intangi- bilità della volontà contrattuale, iniziasse a sindacare senza troppe remore le condizioni generali sulla base di clausole generali come equità e buona fede – come era invece auspicato dalla dottrina. Rispetto a tale obiezione l’A. ritiene che proprio un intervento normativo che dia esplicitamente al giudice il potere di operare un controllo sostanziale sui contratti per adesione sia lo strumento adatto a superare le resistenze culturali della giurisprudenza.
Un’altra opinione critica ricorrente era quella secondo cui gli operatori giuridici non sarebbero stati in grado di «farsi portatori di una politica del diritto omogenea ed efficiente», in quanto un modello di controllo giudiziale diffuso avrebbe finito per comportare la disparità di trattamento tra imprese che avevano adottato condizioni generali di contenuto analogo. Ad avviso dell’A., che pure riconosce la fondatezza di tali timori, simili considerazioni di analisi economica di costi e benefici non possono essere ritenute talmente rilevanti da far ignorare le contrapposte esigenze di giustizia contrattuale: «se una parte predispone il contenuto del contratto traendone un ingiustificato vantaggio a danno degli
nerali di contratto.
Gli sforzi ricostruttivi della dottrina che si è occupata di questo problema hanno preso direzioni eterogenee.
2.1 Valorizzazione del requisito della conoscibilità nel senso di intellegibilità
Nell’ottica di interpretare il requisito di efficacia delle condizioni generali di contratto previsto dall’art. 1341 co. 1 c.c. (ossia, la loro conoscibilità usando l’ordina- ria diligenza) in un senso più effettivamente tutelante dell’aderente, si è suggerito di intenderlo non già nel senso di una mera possibilità di cognizione sensoriale del testo, ma piuttosto come reale comprensibilità del testo anche per una controparte non pro- fessionale48.
Interpretata in questo senso, la norma in esame realizza una tutela indiretta dell’aderente, «delimitando la rilevanza del potere di predisposizione sul piano delle modalità di esercizio»49.
aderenti, l’abuso va represso a prescindere dall’impatto economico che possa avere in generale tale repressione» (p. 400).
48 In dottrina è frequente l’affermazione secondo cui sul predisponente non grava semplice- mente l’onere di rendere materialmente conoscibili le condizioni generali di contratto, ma anche di re- digerle in un linguaggio intellegibile da un consumatore o utente di media cultura. V. ad es. R. SCO- GNAMIGLIO, Dei contratti in generale…, cit., 260-261; X. XXXXX, La contrattazione standardizzata…, cit., 503; E. XXXXXXXXX, I contratti dei consumatori…, cit., 488.
C. M. XXXXXX, Diritto civile…, cit., 000 x X. XX XXXX, Xx condizioni generali…, cit., 374, pur condividendo la tesi per la quale le condizioni generali debbano essere intellegibili per poter essere considerate conoscibili, precisano che non deve però esagerarsi e ritenere non conoscibili clausole non assolutamente incomprensibili, ma meramente ambigue. In tal caso infatti opererà la regola dell’inter- pretatio contra stipulatorem di cui all’art. 1370 c.c.
49 X. XXXXXXXX, Il contratto predisposto…, cit., 150. L’A. osserva anche che l’interpretazione della conoscibilità nel senso di intellegibilità ha anche il pregio di unificare il significato della norma dell’art. 1341 co. 1 c.c., che andrebbe altrimenti interpretata differentemente a seconda che si sia di fronte a condizioni generali di contratto riprodotte, richiamate o del tutto esterne alla proposta contrat- tuale (p. 140). Inoltre, l’A. critica, sulla base di questa conclusione, l’indirizzo giurisprudenziale per il quale non sarebbe sottoposto all’art. 1341 c.c. il contratto redatto per atto pubblico: il fatto che le leggi notarili impongano al notaio di leggere il contenuto dell’atto alle parti e di chiedere loro se esso
2.2 Ipotesi di parametri per il controllo sostanziale delle condizioni generali di contratto
Per quanto riguarda invece la possibilità di una tutela diretta dell’aderente, gli studiosi hanno proposto diverse ricostruzioni in base alle quali il nostro ordinamento permetterebbe un controllo di contenuto sui contratti standard.
Così, si è fatto riferimento al criterio della meritevolezza di tutela per negare efficacia alle condizioni generali di contratto che non rispondano ad alcun interesse apprezzabile del predisponente e siano unicamente mirate ad aggravare ingiustificata- mente la posizione dell’aderente50.
In una diversa prospettiva, si è sostenuto che i contratti standard possono en- trare in tensione con principi discendenti dall’ordine pubblico, inteso quale espres- sione dei principi ordinanti del nostro sistema giuridico. Secondo questa impostazione, poiché l’art. 41 co. 2 Cost. identifica l’utilità sociale quale limite della libertà di ini- ziativa economica privata (fondamento costituzionale della libertà contrattuale espli- cata in rapporti commerciali51), sarebbe sindacabile il contratto che violi i principi di
corrisponda alle loro volontà non implica infatti che ci sia stata una trattativa effettiva, né che l’aderente abbia compreso il significato delle clausole che sottoscrive (pp. 148-149).
Si osservi che l’indirizzo dottrinale in esame ha di fatto prefigurato il requisito della traspa- renza nella redazione dei contratti con i consumatori, di cui sono ora espressione l’obbligo di redigere il contratto «in modo chiaro e comprensibile» (art. 35 co. 1 c. cons.) e la possibilità di sottoporre al giudizio di vessatorietà ex art. 33 c. cons. le clausole attinenti alla determinazione dell’oggetto del con- tratto o all’adeguatezza del corrispettivo, che normalmente vi sono sottratte, qualora queste siano oscure (art. 34 co. 2 c. cons.). In tema di trasparenza nei contratti con i consumatori si v. X. XXXXXXX, La vessatorietà delle clausole “principali” nei contratti del consumatore, Padova, 2009, 265 ss.; A. BA- RENGHI, Diritto dei consumatori, Padova, 2017, 270-273.
50 In questo senso X. XXXXXXXXXXX, Appunti sull’inquadramento…, cit., 25: sarebbe immerite- vole in quanto «espressione di un capriccio o mezzo per raggiungere risultati meramente ostruzionistici e vessatori senza effettivo e legittimo beneficio per la parte che l’ha predisposta», ad es., la clausola di deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria in forza della quale non si attribuisca competenza al Foro della sede dell’impresa o a lei facilmente accessibile, ma uno che si sa essere particolarmente gravoso da adire per la controparte.
51 V. A DI MAJO, Il controllo giudiziale…, 200, il quale evidenzia che, se è vero che non sempre la libertà contrattuale è funzionale all’esercizio della liberta di iniziativa economica, viceversa risulta
cato52. Non vi è però unanimità di vedute circa la possibilità di riscontrare una viola- zione dell’ordine pubblico nella deroga sistematica al diritto dispositivo mediante la predisposizione di condizioni generali di contratto53.
Ancora, si è suggerito di identificare il parametro di valutazione per un con- trollo sostanziale dei contratti per adesione nel principio di buona fede oggettiva (artt. 1175 e 1375 c.c.); specificamente, la deviazione generalizzata dalla normativa
difficile immaginare un’iniziativa economica che non si svolga (anche) attraverso la stipulazione di contratti.
52 G. B. FERRI, Condizioni generali di contratto, diritto dispositivo…, cit. L’A. premette che l’ordine pubblico opera come limite non già delle situazioni giuridiche soggettive, ma piuttosto come limite all’attività privata: esso impone cioè che essa si svolga nel rispetto dei valori fondamentali dell’ordinamento (p. 50).
Il fenomeno delle condizioni generali di contratto si inserisce all’interno dell’attività di im- presa: rilevano pertanto i limiti imposti dall’ordine pubblico all’attività d’impresa e alla libera concor- renza. Tali limiti possono essere soggettivi (a tutela della libertà dell’individuo) od oggettivi (a tutela dell’equilibrio del mercato). Mentre il c.c., secondo l’opinione prevalente, recepisce solamente quelli soggettivi, l’art. 41 co. 2 Cost. impone il rispetto anche del limite oggettivo: esso non proibisce infatti solo l’esercizio dell’iniziativa economica privata che rechi «danno alla sicurezza, alla libertà, alla di- gnità umana», ma anche il suo svolgimento «in contrasto con l’utilità sociale» (p. 57). Perciò l’iniziativa economica dovrà svolgersi in modo da non ledere l’equilibrio del mercato. Il limite oggettivo, peraltro, contribuisce mediatamente anche al rispetto del limite soggettivo: infatti un mercato equilibrato è un mercato nel quale sono rispettate le libertà individuali degli imprenditori concorrenti e dei consumatori (p. 60).
L’A. tratta più diffusamente il tema dell’ordine pubblico come limite all’autonomia contrat- tuale in G. B. XXXXX, Ordine pubblico, buon costume e la teoria del contratto, Milano, 1970, passim.
53 G. B. XXXXX, Condizioni generali di contratto, diritto dispositivo…, 63-64, pur ritenendo che l’ordine pubblico, secondo una lettura costituzionalmente orientata, imponga limiti sia soggettivi che oggettivi all’iniziativa economica privata (v. supra, nt. 52), non ravvede nella deroga generalizzata al diritto dispositivo (operata mediante l’adozione di condizioni generali di contratto) una violazione di tali limiti. Ciò in quanto le norme dispositive sarebbero espressione di una tecnica di organizzazione di interessi secondo un criterio di normalità che, proprio perché recepito nelle norme dispositive, non po- trebbe cozzare con l’ordine pubblico.
Secondo X. BARCELLONA, Condizioni generali di contratto e tutela del contraente debole…, cit., 126, la deroga sistematica al diritto dispositivo potrebbe invece rappresentare una violazione dell’ordine pubblico economico, in quanto esso è «indirizzato alla protezione di interessi collettivi, ma non generali»; ciò però solo nel caso in cui le condizioni generali siano adottati da un’impresa in posi- zione di monopolio, di diritto o di fatto, o da più imprenditori partecipi di un’intesa anticoncorrenziale.
bile in quanto contraria a correttezza54.
Poiché però la dottrina tradizionale era restia a riconoscere valore integrativo al precetto di buona fede, che si riteneva avere unicamente funzione valutativa55, si dubitava che attraverso il principio di correttezza potesse negarsi efficacia ad un’ob- bligazione regolarmente sorta (essendo tutt’al più consentito sindacarne le modalità di
54 Diversi autori sostengono questa tesi, seppure con diversità di accenti. Per A. DI MAJO,
Condizioni generali di contratto e diritto dispositivo…, cit., 74, la norma di diritto dispositivo è la
«regola giusta del caso medio»; si può presumere che la deroga a essa sia equa qualora si sia svolto l’ordinario procedimento bilaterale di formazione del consenso, ma sorgono maggiori dubbi se il con- tratto si è formato con l’adesione di un contraente alle condizioni generali dell’altro: in questo caso infatti non si ha più una deroga occasionale, ma una deroga generalizzata e uniforme. Il giudizio di buona fede può allora intervenire per determinare se la modifica del diritto dispositivo sia esigibile o no dall’aderente, anche sulla base dell’«intensità equitativa» della norma derogata; le regole di diritto di- spositivo possono anzi rappresentare «un terreno di “concretizzazione” proficuo e prezioso per la clau- sola generale di buona fede o correttezza» (p. 78).
Secondo X. XXXXXX, Condizioni generali di contratto, buona fede e poteri del giudice, in AA. VV., Condizioni generali di contratto e tutela…, cit., 81, il fenomeno dei contratti standard non può essere analizzato solo dal punto di vista della tutela del contraente debole, ma anche considerando il loro impatto sulla complessiva organizzazione aziendale, in modo da cogliere meglio la funzione svolta dalle singole clausole contenute nelle condizioni generali. Questa «disaggregazione» dell’istituto della complessa realtà delle condizioni generali di contratto, secondo l’A. troppo spesso trattata impropria- mente come una fattispecie unitaria, permetterebbe di chiarificare maggiormente i termini del giudizio di buona fede, attraverso il quale la clausola può essere valutata rispetto alla natura dell’operazione economica e ai suoi costi sociali, contemperando l’interesse individuale dell’imprenditore a quelli col- lettivi della massa di consumatori o utenti che compongono il mercato cui l’imprenditore si rivolge (pp. 88-89).
Di contrario avviso è invece X. XXXXX, Condizioni generali di contratto, buona fede…, cit., 108, per il quale la disciplina codicistica delle condizioni generali di contratto ha caratteri di tale spe- cialità rispetto alle regole comuni sulla formazione del contratto che è precluso all’interprete di frustrare la scelta del legislatore di sottoporle a un controllo solo formale, ipotizzando un potere del giudice di sindacarne il contenuto sulla base del principio di buona fede: «sia la ratio, sia la specialità della disci- plina delle condizioni generali sono incompatibili con l’idea che la buona fede costituisca un limite in questa materia».
55 V. per tutti X. XXXXXX, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, Milano, 1966, 27-28, il quale osserva che il c.c. con- trappone nettamente in due norme successive (artt. 1374 e 1375 c.c.) i profili dell’integrazione e dell’esecuzione del contratto; soltanto rispetto al secondo è menzionata la buona fede, mentre le sole fonti di integrazione previste sono la legge, gli usi e l’equità.
Celebre è la tesi contraria di X. XXXXXX, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969 (rist. integr. 2004), secondo il quale la buona fede costituisce una fonte di integrazione del contratto in quanto principio generale previsto dalla legge.
(cui l’art. 1374 c.c. attribuisce testualmente funzione integrativa del contratto) per ipo- tizzare, sulla scorta della giurisprudenza tedesca, un potere di sostituzione del giudice delle clausole inique contenute in condizioni generali di contratto con le norme dispo- sitive, ritenute espressione di un equo contemperamento degli interessi in gioco56.
Il fermento culturale tra gli studiosi ha portato anche alla redazione di un pro- getto di riforma della disciplina codicistica delle condizioni generali di contratto, pre- sentato ad un convegno del 198157. Tra le più rilevanti innovazioni proposte, merita menzione la nullità delle clausole sostanzialmente inique, anche se specificamente ap- provate per iscritto58 e la previsione di un’azione inibitoria volta a proibire al
56 A. DI MAJO, Il controllo giudiziale…, cit., 236-239. L’A. risponde all’obiezione per cui l’equità non opera mai in direzione antitetica all’autonomia delle parti affermando che in questo caso essa si pone piuttosto in contrasto col «potere normativo di impresa» (p. 237, corsivo nell’originale), che non è tutelato dall’art. 1322 c.c.
Quanto al fondamento normativo di tale potere sostitutivo del giudice, l’A. riscontra l’assenza nel nostro ordinamento di una norma analoga al § 315 del BGB che, in casi in cui una parte conferisca all’altra il potere di determinare unilateralmente il contenuto del contratto, permette al giudice di inter- venire per sostituire l’eventuale determinazione iniqua e che è stata ritenuta dalla giurisprudenza tedesca applicabile, per identità di ratio, anche al fenomeno della predisposizione unilaterale del contenuto del contratto. L’A. ritiene tuttavia che il fondamento normativo del potere sostitutivo potrebbe essere de- sunto dall’art. 1349 c.c.: se il giudice può sostituire la determinazione iniqua dell’arbitratore, potrà a maggior ragione sindacare l’iniquo esercizio del potere normativo dell’imprenditore. Un ulteriore ad- dentellato normativo viene poi individuato nell’art. 1183 co. 2 c.c., che permette al giudice di sostituirsi alla parte che ha omesso di fissare un termine equo rispetto agli interessi dell’altra.
A fronte di clausole inique in contratti standard, il giudice potrà allora sostituirle con disposi- zioni “eque”: secondo l’A. il giudice potrà, in prima approssimazione, fare riferimento al diritto dispo- sitivo (in quanto ispirato, appunto, a un criterio equitativo), con la precisazione che potrà discostarsene quando esso non risulti adeguato ad apportare una perequazione sostanziale nel caso di specie e fare riferimento invece a principi e valori costituzionali e a standard sociali.
57 Il testo della riforma proposta è riportato nel contributo di X. XXXXXXXX, Riforma della disciplina legislativa delle condizioni generali di contratto, in Giust. civ., 1981, II, 538 ss.. In argo- mento, vedi anche M. J. XXXXXX, A proposito di una recente proposta di riforma del diritto delle con- dizioni generali di contratto, in Riv. dir. civ., 1981, II, 461ss.; S. TONDO, Su un progetto di riforma della disciplina delle condizioni generali di contratto (in margine al Convegno di Fiuggi 5-6 giugno 1981, in Foro it., 1981, V, 282 ss.
58 «Art. 1341/2. Nullità delle clausole abusive. – Sono nulle, anche se approvate specificamente per iscritto, le clausole che alterano l’equilibrio del contratto senza giustificarsi obiettivamente nell’eco- nomia dell’affare e, in generale, le clausole non conformi alla correttezza anche professionale o all’equità» (così riportato in X. XXXXXXXX, Riforma della disciplina…, cit., 538). X. XXXXX, Su un progetto di riforma…, cit., 285, osserva che questa norma introdurrebbe, in aggiunta ai due stadi di
tratto, simile a quella ora disciplinata all’art. 37 c. cons.59 Un altro elemento di inte- resse è una prima differenziazione di disciplina a seconda dello status soggettivo dell’aderente (di consumatore o professionista): per quanto l’ambito di applicazione della normativa sia generale, una clausola in particolare (quella di deroga alla compe- tenza dell’autorità giudiziaria) è dichiarata nulla a prescindere dalla sua giustificazione nell’economia dell’affare, a meno che «il contratto sia stipulato dall’aderente nell’eser- cizio della sua attività professionale»60. L’iniziativa non si è però tradotta in alcuna modifica legislativa.
controllo già previsti all’art. 1341 c.c., «un terzo livello di trattamento giuridico», caratterizzato da ele- vata aleatorietà vista la vaghezza dei parametri richiamati (economia dell’affare, correttezza, professio- nalità, equità).
Il co. 2 elencava (a titolo esplicitamente esemplificativo) una serie di clausole «reputate nulle, salvo che risultino giustificate obiettivamente nell’economia dell’affare»: oltre al richiamo di quelle previste all’art. 1341 co. 2 c.c., erano previste all’articolo ipotesi poi ricomprese nell’elenco delle clau- sole che si presumono vessatorie ai sensi dell’art. 33 co. 2 c. cons.: ad es. la clausola che esclude o limita rimedi contro l’inadempimento del predisponente (art. 1341/2, co. 2, n. 2) del Progetto e art. 33, co. 2, lett. b) c. cons.) o la clausola che conferisce al predisponente uno ius variandi del contenuto del contratto (art. 1341/2, co. 2., n. 3) del Progetto e art. 33, co. 2, lett. m) c. cons.).
59 «Art. 1341/4. Azione di inibitoria. – Il giudice può inibire al predisponente di includere nelle condizioni generali di contratto le clausole di cui sia accertata la nullità in applicazione degli art. 1341/2 e 1341/3 o per contrarietà ad altre norme imperative o all’ordine pubblico.
L’azione di inibitoria può essere esercitata dalla Camera di commercio o dalle associazioni di lavoratori o di imprenditori maggiormente rappresentative, nonché da altre associazioni che per le fina- lità statutarie e per il numero di iscritti siano reputate dal giudice sufficientemente rappresentative.
Le questioni di legittimazione attiva devono essere sollevate non oltre la prima udienza di trattazione a pena di decadenza.
Giudice competente per materia è il tribunale.
La sentenza che, a seguito dell’azione di inibitoria, accerta la nullità della clausola contestata, inibisce al predisponente l’uso della clausola stessa o di altra clausola sostanzialmente identica in tutto il territorio nazionale. La clausola ulteriormente inserita nelle condizioni generali di contratto in viola- zione della inibitoria si considera come non apposta.
La domanda di inibitoria accolta con sentenza passata in giudicato non può essere riproposta da altri legittimati dinanzi allo stesso o ad altri tribunali.
Il rigetto della domanda non ne preclude la proponibilità da parte di altri legittimati né preclude l’accertamento della nullità della clausola da parte del giudice adito dal singolo aderente» (così riportato in X. XXXXXXXX, Riforma della disciplina…, cit., 539).
60 Cosi l’art. 1341/3 («Deroghe alla competenza territoriale dell’autorità giudiziaria»), ripor- tato in X. XXXXXXXX, Riforma alla disciplina…, cit., 539.
Muove critiche a questa disposizione M. J. XXXXXX, A proposito di una recente…, cit., 463 s., che osserva che il testo proposto mutua la formulazione dall’art. 1341 co. 2 c.c., senza cogliere
3 Il confronto con i modelli stranieri: in particolare, la dottrina dell’uncon- scionability nel diritto statunitense
La riflessione sulla possibilità di introdurre un controllo di contenuto sui con- tratti standard ha spesso tratto spunti da esperienze giuridiche straniere, le quali, a dif- ferenza della legislazione italiana, si sono spesso concentrate sul profilo della repres- sione degli abusi del predisponente, piuttosto che su quello dei presupposti di efficacia delle condizioni generali nei confronti dell’aderente61.
Di particolare interesse è il confronto con il diritto nordamericano, ove la giu- risprudenza ha elaborato, al fine di sottoporre al vaglio del giudice le clausole abusive contenute in contratti standard, la dottrina dell’unconscionability62.
l’occasione per sciogliere il perdurante dubbio interpretativo sul testo codicistico, rispetto al quale è controverso se si riferisca alle sole deroghe alla competenza territoriale o anche a quelle alla giurisdi- zione.
Inoltre, l’A. solleva anche obiezioni nel merito, rilevando che una proibizione assoluta alla facoltà di derogare alla competenza giurisdizionale del giudice si pone in contrasto con l’art. 17 della Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle sentenze in materia civile e commerciale (ora art. 25 Reg. UE n. 1215/2012, c.d. Regolamento “Bruxelles I bis”), ai sensi del quale una simile deroga è perfettamente valida, se stipulata per iscritto. Una soluzione più coerente sarebbe stata circoscrivere l’ambito di applicazione del divieto ai soli rapporti interni, sul mo- dello del § 38 della Zivilprozessordnung tedesca.
61 V. ad es. C. M. XXXXXX, Condizioni generali di contratto. II) Diritto comparato…, cit., 1 ss., ove si evidenzia che gli ordinamenti stranieri hanno tentato di contrastare gli abusi della contrattazione standardizzata con una varietà di approcci: non sempre si è scelta la via del controllo giudiziale, optando talvolta per un controllo amministrativo affidato a un’autorità pubblica incaricata di sottoporre a revi- sione le condizioni generali adottate dalle imprese e, nel caso si riscontri la vessatorietà delle clausole in esse contenute, anche dichiararne l’invalidità (si adducono in particolare gli esempi del Director General of Fair Trading Office nel Regno Unito e del Consumer Ombudsman in Svezia).
Per un’analisi più dettagliata delle soluzioni adottate in diversi Paesi esteri, v. i saggi raccolti in AA. VV., Le condizioni generali…, cit.
62 In argomento, v., ex multis: T. D. XXXXXX, Contracts of Adhesion: An Essay in Reconstruc- tion, in Harvard Law Review, 1963, 1173 ss.; A. A. LEFF, Unconscionability and the Code: The Em- peror’s New Clause, in University of Pennsylvania. Law Review, 1967, 485 ss.; W. D. XXXXXXX, Stand- ard Form Contracts and Democratic Control of Lawmaking Power, in Harvard Law Review, 1971, 529 ss.; R. A. XXXXXXX, Unconscionability: a Critical Reappraisal, in Journal of Law & Economics, 1975, 293 ss.; M. A. XXXXXXXXX, The Bargain Principle and its Limits, in Harvard Law Review, 1982, 741 ss.; E. L. XXXXX, The Uncertainty of U.C.C. Section 2-302: Why Unconscionability Has Become a
Commercial Code ad essa dedicata63, che si limita a disporre che, se la Corte ritiene che un contratto o una sua clausola siano «unconscionable», può rigettare la domanda di adempimento del contratto64. Secondo una tra le prime e più influenti decisioni in materia65, il concetto si comporrebbe di due elementi: «an absence of meaningful
Relic, in Commercial Law Journal, 2000, 287 ss.; M. N. XXXXXX – X. XXXXXXXX, Unconscionability and the Contingent Assumptions of Contract Theory, in Michigan State Law Review, 2013, 211 ss.
Per un’analisi della applicazione della dottrina dell’unconscionability nell’ordinamento cana- dese, cfr. F. XXXXXXX, The control of contract power and standard terms in civil and common law juris- dictions: an Italian scholar’s perspective on Canada, in xxxxx xx xxxxxxxxxxxxx.
00 § 0- 000 XXX: «Unconscionable contract or Clause
(1) If the court as a matter of law finds the contract or any clause of the contract to have been unconscionable at the time it was made the court may refuse to enforce the contract, or it may enforce the remainder of the contract without the unconscionable clause, or it may so limit the application of any unconscionable clause as to avoid any unconscionable result.
(2) When it is claimed or appears to the court that the contract or any clause thereof may be unconscionable the parties shall be afforded a reasonable opportunity to present evidence as to its commercial setting, purpose and effect to aid the court in making the determina- tion.
La norma in esame è contenuta nella sezione dell’UCC che governa i contratti di com- pravendita di beni, ma la nozione di «unconscionability» è stata applicata dalle Corti americane anche ad altri tipi di contratti (come riportato da E. A. XXXXXXXXXX, Contracts4, New York, 2004, 298) ed è recepita anche dalla § 208 del Restatement (Second) of Contracts: «If a contract or term thereof is unconscionable at the time the contract is made a court may refuse to enforce the contract, or may enforce the remainder of the contract without the unconscionable term, or may so limit the application of any unconscionable term as to avoid any unconscionable result».
64 Secondo il commento ufficiale all’UCC, per verificare se una clausola sia “unconscionable” occorre accertare se essa sia così «one-sided» da essere irragionevole nelle circostanze esistenti al mo- mento del contratto. Come notato dalla dottrina, però, tale illustrazione non contribuisce considerevol- mente a rendere meno vago il concetto: l’impossibilità di dare una definizione precisa di «unconscion- nability» è, secondo E. A. XXXXXXXXXX, Contracts…, cit., 299-300, «a source of both strength and weakness».
65 Xxxxxxxx x. Xxxxxx-Xxxxxx Furniture Co., 350 F.2d 445 (D.C. Cir. 1965). Il caso riguardava la vendita di alcuni beni di utilizzo domestico a una donna (Xxxxxxxx) beneficiaria di un sussidio di disoccupazione; poiché i beni erano di valore molto superiore al sussidio mensile ricevuto dalla donna, le vendite erano finanziate dalla stessa Xxxxxx-Xxxxxx Furniture Company con contratti di credito al consumo. I contratti prevedevano una clausola (c.d. dragnet clause) in base alla quale la società, in caso di inadempimento di una delle rate dei diversi mutui contratti, avrebbe potuto riprendere possesso non solo del bene acquistato grazie al finanziamento non tempestivamente rimborsato, ma anche di tutti gli altri beni precedentemente venduti a credito a Xxxxxxxx.
favorable to the other party»66.
Nella elaborazione dottrinale e giurisprudenziale successiva, si è generalmente tenuta ferma questa “bipartizione”, definendo come «procedural unconscionability» l’assenza di una scelta significativa per l’aderente e come «substantive unconsciona- bility» l’eccessivo squilibrio delle clausole in favore del predisponente67. Mentre la substantive unconscionability postula un giudizio sull’effettivo contenuto squilibrato del contratto, la procedural unconscionability discende dal modo in cui è stato con- cluso il contratto, abusando di un’asimmetria di potere contrattuale per imporre all’al- tra parte clausole vessatorie di cui quest’ultima non era pienamente cosciente o di cui non aveva compreso la xxxxxxx00.
In ogni caso, solo di rado le Corti hanno accertato l’unconscionability di una clausola senza una qualche combinazione di entrambe le componenti (procedural e substantive): in particolare, il mero fatto che un contratto sia interamente predisposto da una parte non è stato ritenuto sufficiente a far riscontrare l’unconscionability69.
Lo sviluppo della unconscionability doctrine nel diritto americano è significa- tivo, perché testimonia che, malgrado le riserve di una parte della dottrina70, l’esigenza
66 Ivi, 449.
67 L’origine di questi termini viene fatta risalire a A. A. LEFF, Unconscionability and the Code…, cit., 487.
68 M. N. XXXXXX – X. XXXXXXXX, Unconscionability…, cit., 222. La procedural unconscion- ability è stata anche efficacemente descritta come «bargaining naughtiness» (E. L. XXXXX, The Uncer- tainty…, cit., 297).
69 Cfr. Xxxxxxxxx v. Xxxxxxx Xxxxxxxx Sav. Bank, 346 N.E.2d 892, 900 (Mass. 1976): «No doubt the contracts between the [mortgagors] and the bank were ”adhesion” contracts, but we are not pre- pared to hold that they were unconscionable in the aspects here in issue… Customers who adhere to standardized contractual terms ordinarily understand that they are assenting to the terms not read or not understood, subject to such limitation as the law may impose».
70 Cfr. M. A. CHIRELSTEIN, Concepts and Case Analysis in the Law of Contracts7, St. Xxxx, 2013, 97-99, il quale osserva, con riferimento al caso Xxxxxx-Xxxxxx (v. supra, nt. 65), che la dragnet clause, pur avendo, se considerata in astratto, un contenuto gravemente squilibrato a favore del vendi- tore, aveva certamente avuto l’effetto di abbassare il costo del finanziamento per la sig. Xxxxxxxx (mag- giore è il valore della garanzia reale su cui può rifarsi il creditore, minore è il tasso d’interesse da questi richiesto per il finanziamento). La dottrina dell’unconscionability ha allora l’effetto (rispetto a casi
common law: tradizione giuridica che, com’è noto, è particolarmente fedele al princi- pio della sanctity of contract e dell’intangibilità del contenuto del contratto da parte del giudice.
4 L’avvento della disciplina delle clausole vessatorie nei contratti tra pro- fessionisti e consumatori
La direttiva 13/1993/CEE, recepita dapprima dal x.x. xx xxxxx Xxxx XXX-xxx xxx Xxxxxx XX xxx Xxxxx IV e poi trasposta nella Parte III, Titolo I del Codice del Con- sumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206), ha conferito al giudice il potere di esercitare quel controllo sostanziale sulle condizioni generali di contratto che la dottrina aveva tanto auspicato71.
analoghi futuri) di garantire che i finanziamenti non conterranno dragnet clauses, ma vi compenseranno con più alti tassi di interesse. Il giudice finisce allora per sostituirsi alla libertà di scelta del cliente tra clausola vessatoria e più alto costo del credito.
Lo stesso A. osserva però che, considerando l’impossibilità pratica per il consumatore medio di esercitare tale scelta (specialmente in un contratto predisposto che non lascia spazio alla trattativa individuale), la valutazione del giudice si sostituisce in realtà non a quella del cliente, ma a quella fatta per quest’ultimo dal venditore (il quale aveva evidentemente ritenuto che i finanziamenti sarebbero stati ritenuti più attraenti dai clienti se il tasso fosse stato minore, pur in presenza di dragnet clauses). Per- tanto la dottrina dell’unconscionability non rappresenta tanto un’ingerenza indebita nell’autonomia pri- vata dei consumatori, ma piuttosto «a device by which the choice function is allocated to a court, rather than to the other contracting party, where the circumstances show that the consumer cannnot choose for herself» (p. 99),
71 Sul recepimento della direttiva in Italia, v.: X. XXXXXXXXX, Clausole abusive, pardon vessa- torie: verso l’attuazione di una direttiva abusata, in Riv. crit. dir. priv., 1995, 542 ss.; X. XXXX, Sul recepimento della direttiva comunitaria in tema di clausole abusive, in Nuova giur. civ. comm., 1996, II, 46; G. DE NOVA, Le clausole vessatorie, art. 25, legge 6 febbraio 1996, n. 52, Milano, 1996; X. XXXXX, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, in Foro it., 1996, V, 156; X. XXXXX, Clausole vessatorie (nuova normativa), in Enc. giur., XX, Xxxx, 0000, 1 ss.; X. XXXXXXXX, L’inefficacia delle clausole vessatorie: “contratti del consumatore” e condizioni generali, in Riv. crit. dir. priv., 1996, 515 ss.; X. XXXXXXX, L’inefficacia delle clausole abusive, in Riv. dir. civ., 1997, I, 403 ss.; X. XXXXXXXXXX, Dalla inefficacia della clausola vessatoria alla nullità del contratto (Note a margine dell’art. 1469-quinquies, commi 1 e 3, c.c., in Rass. dir. civ., 1997, I, 565 ss.; C. CA- STRONOVO, Profili della disciplina nuova…, cit., 37 ss.; X. XXXXXXXXX, L’inefficacia delle clausole abusive, in Eur. e dir. priv., 1998, 45 ss.; X. XXXXXX, Luci e ombre del nascente diritto europeo dei contratti, in Diritto europeo e autonomia contrattuale a cura di X. Xxxxxx, Palermo, 1999, 30 ss.; F. D.
dirompenti da essa prodotti sul sistema del nostro diritto dei contratti esula dall’ambito di indagine del presente studio. Ciò che qui interessa è che, almeno per quanto riguarda i rapporti tra professionisti e consumatori, la normativa codifica uno dei limiti che, secondo una parte della dottrina72, dovrebbero opporsi all’esercizio incontrollato dell’autonomia privata nella predisposizione delle condizioni generali: ossia, il princi- pio di buona fede.
L’art. 33 c. cons. dispone infatti che «si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squi- librio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto». Com’è noto, l’uso della pa- rola “malgrado”, che potrebbe far pensare a un riferimento alla buona fede soggettiva del professionista (ignoranza del significativo squilibrio del contratto), è dovuto a una maldestra traduzione del legislatore italiano: un confronto con le versioni nelle princi- pali altre lingue73 dimostra che la trasposizione corretta sarebbe “in contrasto con il requisito della buona fede”74, chiarificando che il limite identificato dalla norma con- siste nella buona fede oggettiva.
XXXXXXXX, in Commentario al capo XIV-bis del codice civile: dei contratti del consumatore. Art. 1469- bis-1469-sexies, a cura di C. X. Xxxxxx x X. X. Xxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 41 ss.; X. XXXXX, Il diritto comunitario dei contratti, in Il diritto privato dell’Unione Europea, a cura di X. Xxxxxxx, Torino, I, 2006, 662 ss.
72 V. xxxxx, § 0.0 x xxxx. xx. 00.
73 V. versione inglese («contrary to the requirement of good faith»), tedesca («entgegen dem Gebot von Xxxx und Glauben») e francese («en dépt de l’exigence de bonne foi»).
74 Questo è il linguaggio che è stato utilizzato quando, nel 2015, si è proceduto alla correzione della traduzione italiana della direttiva (Rettifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, in G.U.U.E., 4 giugno 2015, L 137, 13), senza peraltro modificare la corrispettiva normativa interna. In argomento, si v. X. XXXXXXXX, Xxxxxx considerazioni «malgrado» o «contro» la buona fede dopo la rettifica della dir. Ce 13/93, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 541 ss.
La scelta lessicale del legislatore italiano è stata spesso oggetto di critiche in dottrina, a volte particolarmente caustiche (v. ad es. X. XXXXXXXXXX, Profili della disciplina nuova…, cit., 29, ove il testo viene definito «ridicolo nella sua insensatezza come forse nessuno mai nella storia dei testi legi- slativi generati dal nostro Parlamento, quasi frutto mal concepito di nobile famiglia decaduta»). Non manca però chi ritiene che la contrarietà a buona fede oggettiva sia già insita nel significativo squilibrio di diritti e obblighi, e che il nostro legislatore abbia voluto ulteriormente specificare l’irrilevanza della
La novella ha reso, sotto il profilo della tutela dell’aderente, sostanzialmente obsoleti gli artt. 1341 e 1342 c.c., anche perché la vessatorietà è presidiata dall’efficace rimedio della nullità di protezione, caratterizzata dalla legittimazione relativa esclusiva in capo al consumatore e dalla parzialità necessaria (art. 36 c. cons.)75. Ciò spiega per- ché il dibattito sulla configurabilità di un controllo sostanziale dei contratti standard abbia perso negli ultimi anni molto del suo abbrivio.
Si potrebbe pensare che, alla luce della scelta normativa di limitare il controllo di contenuto ai contratti tra consumatori e professionisti, debba escludersi la possibilità di esercitarlo quando i contraenti sono di pari status (entrambi professionisti o en- trambi consumatori). A ben vedere, tuttavia, la Direttiva 13/1993/CEE ha trasfuso in legge solo il controllo sulla base dei principi di buona fede e di equità; ma non bisogna dimenticare che un filone interpretativo autorevole fondava la possibilità dello scruti- nio sui contratti standard richiamandosi ai valori facenti parte dell’ordine pubblico economico76: si metteva in luce cioè il rischio che una standardizzazione dell’offerta “normativa” (ossia l’uniformazione delle condizioni generali adottate dalle imprese operanti nello stesso settore) si riverberasse negativamente sull’assetto concorrenziale del mercato.
Ora, la volontà del legislatore di limitare il controllo equitativo o ex fide bona
ai soli contratti dei consumatori (che tendono a indirizzare le loro scelte di consumo
buona fede soggettiva del professionista (X. XXXXXXXX, Diritto dei consumatori…, cit., 250-255). Cfr. però X. XXXXXXX, La buona fede in senso oggettivo, Torino, 2015, 550 ss., ove si sottolinea che il giudizio di buona fede e di significativo squilibrio non possono coincidere, attenendo il primo alle modalità di azione del professionista e il secondo al rapporto di proporzione nella distribuzione di diritti e obblighi divisata dal contratto.
75 Tali caratteristiche, essenziali ad assicurare che la nullità non operi nella pratica in senso contrario alla ratio legis, ritorcendosi in un pregiudizio per il consumatore, erano state solo ipotizzate dalla dottrina per quanto riguarda la disciplina codicistica delle condizioni generali: cfr. supra, § 1.3 e spec. nt. 37.
76 Cfr. supra, nt. 52 e 53.
in base al prezzo e alle qualità esteriori del bene77, ma non sono generalmente in grado di avvedersi della vantaggiosità delle condizioni generali di un’impresa rispetto a quella di un’altra78) appare giustificata: in un mercato concorrenziale, gli operatori economici professionali (i quali, a differenza dei consumatori hanno gli strumenti, le competenze e gli incentivi economici a informarsi adeguatamente sulle diverse clau- sole contrattuali adottate dalle imprese da cui acquistano beni o servizi) tenderanno spontaneamente a punire le imprese che predispongono condizioni generali eccessiva- mente squilibrate, scegliendo di contrattare con quelle che propongono un’offerta nor- mativa più vantaggiosa.
Tale meccanismo di “selezione naturale”, tuttavia, non può operare quando il gioco della concorrenza è alterato da posizioni di monopolio o di oligopolio: in tali situazioni anche l’aderente professionale, pur essendo perfettamente cosciente dello squilibrio del modulo, non ha altra scelta che sottoscriverlo, se ha necessità di accedere al bene o al servizio. Un controllo sulle condizioni generali dell’impresa in posizione dominante potrebbe allora giustificarsi non solo in base ai principi di ordine pubblico economico, ma anche per il tramite delle espresse disposizioni della legislazione anti- monopolistica79. La verifica di tale ipotesi costituirà l’oggetto del prosieguo della trat- tazione.
77 Non a caso infatti l’art. 34 co. 2 c. cons. esclude dal giudizio di vessatorietà la «determina- zione dell’oggetto del contratto» e l’«adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi», a patto che il professionista abbia rispettato il principio di trasparenza.
78 Cfr. R. A. XXXXXX, Economic analysis of law9, Aspen, 2014, 125, ove si osserva che la concorrenza non è in grado di garantire che i consumatori scelgano di rivolgersi all’impresa che adotta condizioni generali equilibrate a discapito di quella i cui contratti standard sono costellati di clausole vessatorie, in quanto «the benefits of the “good” form to the consumer are too slight to overcome the information cost of making those benefits an effective selling point»).
79 Cfr.:
- art. 101, para. 1, lett. a) TFUE («Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche con- cordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel: a) fissare direttamente o indiretta- mente […] altre condizioni di transazione»);
ossia buona fede ed equità da un lato e ordine pubblico dall’altro (che possono essere rispettivamente associati, se pur con qualche forzatura, ai due valori richiamati in aper- tura della giustizia distributiva e dell’efficienza allocativa), non devono essere consi- derati tra sé autonomi e non comunicanti, ma interdipendenti e funzionali l’uno all’al- tro80.
È noto infatti che la tutela dei consumatori si giustifica, nell’ordinamento eu- rounitario, in funzione della tutela della concorrenza81 (approccio bottom-up); così come, di converso, l’enforcement della legislazione antitrust porta a benefici non solo
- art. 102, para. 1 e 2, lett. a) TFUE («È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo. Tali pratiche abusive possono consistere, in particolare:
a) nell’imporre direttamente o indirettamente […] altre condizioni di transazione non eque»);
- art. 2, co. 2, lett. a) l. 287/1990 («Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della con- correnza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente […] altre condizioni con- trattuali»);
- art. 3, co. 1, lett. a) l. 287/1990 («È vietato l'abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, ed inol- tre è vietato: a) imporre direttamente o indirettamente […] altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose») (corsivi aggiunti).
80 Cfr. G.B. XXXXX, Condizioni generali di contratto, diritto dispositivo…, cit., 59: «La distin- zione tra limiti soggettivi e limiti oggettivi alla libertà di concorrenza è infatti soltanto relativa. In un sistema fondato sulla iniziativa economica privata gli stessi interventi a tutela del mercato si risolvono pur sempre in interventi a tutela di coloro che operano nel mercato, produttori o consumatori che siano. In questo senso il principio dell’utilità sociale rappresenta un limite all’iniziativa economica privata, posto a tutela della libertà di iniziativa economica stessa; ciò al fine di impedire che l’uso di tale libertà finisca per tradursi in una negazione della libertà altrui e per contraddire a quei valori fondamentali su cui poggia il sistema economico prescelto».
81 V. Xxxxxxxxxxxx x. 0, Direttiva 13/1993/CEE: «considerando che in questo modo i venditori di beni e i prestatori di servizi saranno facilitati nelle loro attività commerciali sia nel proprio Stato che in tutto il mercato unico e che sarà stimolata la concorrenza, contribuendo così a maggiori possibilità di scelta per i cittadini comunitari in quanto consumatori».
top-down)82.
82 È noto infatti che, pur nella diversità di prospettive, il consumer welfare ha sempre giocato un ruolo decisivo nel sistema del diritto e della politica antitrust; in proposito, si rinvia all’analisi svxxxx xxxxx, xxx. XX (xxxx. §§ 0 x 3).
CAPITOLO II
DIRITTO DELLA CONCORRENZA E RIMEDI CIVILISTICI
SOMMARIO: 1. Le giustificazioni economiche di una disciplina giuridica della concorrenza –
1.1. L’ideale della concorrenza perfetta come miglior sistema possibile per il raggiun- gimento dell’efficienza allocativa, produttiva e dinamica – 1.2. Le critiche al modello di mercato perfettamente concorrenziale – 2. Le diverse correnti di pensiero alternatesi nell’interpretazione del diritto antitrust americano – 2.1. La concezione strutturalista (la scuola di Harvard) – 2.2. L’approccio puramente economico al diritto antitrust (la scuola di Chicago) – 3. L’evoluzione del diritto della concorrenza dell’Unione euro- pea – 3.1. La Scuola di Friburgo: Costituzione economica, Ordnungspolitik e concor- renza sui meriti – 3.2. La nascita del diritto europeo della concorrenza e l’influsso dell’ordoliberalismo – 3.3. La “modernizzazione” del diritto antitrust europeo: «a more economic approach» – 4. Le posizioni della dottrina sulla sorte del contratto a valle di intesa anticoncorrenziale o posto in essere mediante abuso di posizione domi- nante – 4.1. Nullità (derivata o diretta) del contratto a valle – 4.2. Altri rimedi contrat- tuali demolitori o manutentivi – 4.3. Le tesi a favore dell’ammissibilità della sola tu- tela risarcitoria – 4.4. L’avvento della Direttiva danni antitrust (rinvio)
1 Le giustificazioni economiche di una disciplina giuridica della concor- renza
Al fine di verificare la fondatezza dell’ipotesi formulata – ossia che un con- trollo delle condizioni generali di contratto sia ammissibile, nei rapporti B2B, attra- verso il prisma del diritto antitrust – è necessario dare conto, sia pure in termini essen- ziali, dei diversi approcci che l’ordinamento può adottare al fine di tutelare l’assetto
mative accolte nei principali sistemi giuridici1.
Occorre prendere le mosse da una considerazione, ricorrente ma non scontata: tra libertà di concorrenza e autonomia privata intercorre un rapporto, per certi versi, paradossale. È spesso osservato, infatti, che la tutela della concorrenza è finalizzata a consentire il libero esercizio dell’autonomia negoziale, senza che questa sia ostacolata da comportamenti anticoncorrenziali degli altri partecipanti del mercato; ma, proprio per permettere tale libertà, il diritto impone limiti alle possibilità di esplicazione
1 Sul diritto della concorrenza nell’ordinamento italiano e comunitario (e poi eurounitario), v., in generale: X. XXXXXXX, Concorrenza, in Noviss. Dig. it., III, Torino, 1959, 993 ss.; X. XXXXXXXXX, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali. Istituzioni di diritto industriale3, Milano, 1960; X. XXXXXXX, Antitrust: leggi antimonopolistiche e tutela dei consumatori nella CEE e negli USA, Bolo- gna, 1988; X. XXXXXX – X. XXXXXXXX, La disciplina della concorrenza e del mercato: commento alla l. 10 ottobre 1990, n. 287 ed al Regolamento CEE n. 4064/89 del 21 dicembre 1989, Torino, 1991; AA. VV., Diritto antitrust italiano. Commento alla legge 10 ottobre 1990, n. 287. Vol. 1 (Artt. 1-7), a cura di X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxx Xxxxxx, L. C. Xxxxxxxxx, Bologna, 1993; X. XXXXXX, Concorrenza.
I) Libertà di concorrenza, in Enc. giur., VII, 1994, 1 ss.; X. XXXXXXXXXX, Diritto della concorrenza, Roma, 1996; X. XXXXX, Il potere e l’antitrust, Bologna, 1998; X. XXXXXXXX – P. L. PARCU, L’antitrust italiano: le sfide della tutela della concorrenza, Torino, 2003; X. XXXXXXXX – V. G. XXXXXXX, Diritto antitrust: le intese restrittive della concorrenza e gli abusi di posizione dominante, Assago, 2003; X. XXXXXXX (a cura di), Concorrenza e mercato. Le tutele civili delle imprese e dei consumatori, Padova, 2005; E. A. RAFFAELLI – J. F. BELLIS, Diritto comunitario della concorrenza2, Milano, 2006; C. OSTI, Contratto e concorrenza, in Volume VI. Interferenze a cura di X. Xxxxx, in Trattato del contratto diretto da X. Xxxxx, Xxxxxx, 0000, 635 ss.; ID., Diritto della concorrenza, Bologna, 2007; X. XXXXX, EC Competition Law, New York, 2007; X. XXXXXXXX – X. XXXXXXX (a cura di), Contratto e antitrust, Roxx, 0000; X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Diritto antitrust, Torino, 2009; P. FATTORI – X. XXXXXX, La disci- plina della concorrenza in Italia, Bologna, 2010; X. XXXXXXXXX, Concorrenza, in Enc. dir. – Xxxxxx, III, Milano, 2010, 191 ss.; X. XXXXXXXXX, Diritto antitrust dell’Unione Europea, Milano, 2011; A. FRI- GNANI – X. XXXXXXXX (a cura di), Disciplina della concorrenza nella UE, in Trattato di diritto commer- ciale e di diritto pubblico dell’economia diretto da X. Xxxxxxx, LXIV, Padova, 2012; X. XXX XXXXXX, Economic efficiency: the sole concern of modern antitrust policy? Non-efficiency considerations under Article 101 TFEU, Xxxxxx aan den Rijn, 2012; X. XXXXXX – X. XXXXXXXX, Diritto antitrust, Torino, 2013;
X. XXXXXXXXX, Diritto della concorrenza dell’Unione Europea, Milano, 2014; R. WHISH – X. XXXXXX, Competition Law8, Oxford – New York, 2015; X. XXXXXX, Il mercato concorrenziale: problemi e con- flitti. Saggi di diritto antitrust2, Milano, 2018; A. XXXXXXXXXX, Il diritto della concorrenza dell’Unione Europea. Profili sostanziali, Torino, 2018; X. XXXXXXX – A. CATRICALÀ – X. XXXXXXXX (diretto da), Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, Torino, 2018.
Sul diritto antitrust americano si v., per tutti: R. A. XXXXXX, Antitrust Law2, Chicago – Londra, 2001; X. XXXXXXXXX, Federal antitrust policy: the law of competition and its practice5, St. Xxxx, 2016; ID., Antitrust6, St. Xxxx, 2016.
xxxxx e accordi collusivi per massimizzare i margini di profitto dell’impresa2).
Poiché l’autonomia privata è uno dei principi fondamentali dell’ordinamento civile, la regolamentazione giuridica della concorrenza può essere ammessa solo assu- mendo che essa apporti al sistema un beneficio tale da giustificare la compressione di quella libertà.
1.1 L’ideale della concorrenza perfetta come miglior sistema possibile per il rag- giungimento dell’efficienza allocativa, produttiva e dinamica
Il principale argomento a sostegno della necessità del diritto antitrust trova fon- damento in elementari nozioni di economia politica. Com’è noto, secondo i modelli
2 Il concetto è efficacemente espresso da X. XXXXXXXXX. Contratti a valle, rimedi civilistici e disciplina della concorrenza, Napoli, 2008, 13: «La necessità che si limiti l’esercizio della libertà (di concorrenza) del singolo, a garanzia della libertà altrui, si amplifica infatti proporzionalmente al for- marsi di situazioni di vera e propria dominanza, al formarsi cioè di forme di potere privato di tipo mo- nopolistico, in grado non più solo di comprimere la libertà di questo o quel concorrente, bensì di atten- tare all’assetto libero-concorrenziale dell’intero mercato». Sul tema, si v. in generale X. XXXX, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998, passim.
Cfr. anche X. XXXXXXXXX, Concorrenza…, cit., 206, ove si sottolinea che gli ordinamenti otto- centeschi erano riluttanti a reprimere le associazioni tra imprenditori (talvolta chiamate “consorzi” o “sindacati”) nei quali venivano concordati prezzi e ripartite aree di approvvigionamento, in quanto la cultura liberista allora dominante riteneva che l’economia di mercato fosse fondata sulla libertà dell’in- dividuo; sicché si era restii a credere che il buon funzionamento di tale economia richiedesse proprio una compressione della libertà contrattuale.
Per questo motivo, si diffuse in molti Paesi europei (tra cui l’Italia) un orientamento giurispru- denziale che riconosceva la validità degli accordi di cartello quale legittima esplicazione della libertà contrattuale dei privati, senza ravvisarvi alcuna violazione dei principi di ordine pubblico: è spesso riportata, in particolare, una risalente sentenza del Reichsgericht (sent. 4 febbraio 1800, Xxxxxxxxxxx Xolzstoff-Fabrikanten-Verband, in Entscheidungen des Reichsgerichts in Zivilsachen, Band 38, 1897,
155) che, riconoscendo la validità di un accordo anticoncorrenziale tra produttori di legname, diede
«l’avvio a un processo di massiccia cartellizzazione dell’economia tedesca» (così X. XXXX, Diritto «an- titrust» e libertà contrattuale: l’obbligo di contrarre e il problema dell’eterodeterminazione del prezzo, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXX (a cura di), Contratto e antitrust…, cit., 49).
Tutt’al più si istituirono modelli di controllo amministrativo sui cartelli per vigilare contro eventuali abusi (si v. per il nostro ordinamento gli artt. 2618-2620 c.c., che costituiscono la Sezione intitolata «Dei controlli dell’autorità governativa» sulle associazioni e sulle società consortili per il coordinamento della produzione e degli scambi; tali norme, come rileva X. XXXXXXXXX, Concorrenza…, cit., 208, rimasero peraltro inapplicate a causa dell’abolizione del regime corporativo fascista).
tra le curve di domanda e offerta al punto di massima efficienza allocativa, ossia l’ot- timo paretiano4.
3 Le caratteristiche fondamentali del mercato perfettamente concorrenziale sono riassunte in
X. XXXXXXXXX, Antitrust…, cit., 59, e consistono in:
a) perfetta omogeneità dell’offerta di prodotto da parte di tutti i venditori, sicché per i consumatori è indifferente, a parità di prezzo, acquistare dall’uno o dall’altro;
b) indeterminato numero di piccoli venditori, ciascuno di dimensioni così ridotte che le sue decisioni di incrementare o ridurre la produzione, o persino di ritirarsi dal mer- cato, non hanno effetti rilevanti sulle decisioni degli altri venditori;
c) perfetta conoscenza dei partecipanti del mercato del prezzo, della produzione e di ogni altra informazione rilevante.
Spesso si aggiunge poi che, per la realizzazione di tali condizioni, sia necessario che non vi sia nel mercato alcuna barriera all’entrata (ossia ostacoli di fatto o di diritto che impediscano a nuove im- prese di entrare liberamente nel mercato), né, corrispettivamente, alcuna barriera all’uscita (così X. XXXXX – X. XXXXXX, Competition Law…, cit., 8). Per un’esemplificazione di possibili barriere all’en- trata in un mercato si può consultare Commissione europea, Orientamenti sulle priorità della Commis- sione nell’applicazione dell’articolo 82 del trattato CE [ora art. 102 TFUE, n.d.r.] al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti, in G.U.U.E., 24 febbraio 2009, C 45, § 17: «Può trattarsi di barriere giuridiche, come le tariffe o le quote, o di vantaggi specificamente goduti dall’impresa dominante, come le economie di scala e di diversificazione, l’accesso privilegiato a fattori di produzione o risorse naturali essenziali, tecnologie importanti o una rete di distribuzione e di vendita ben consolidata. Si può trattare anche di costi e altri impedimenti, derivanti ad esempio da effetti di rete, cui devono far fronte i clienti nel passaggio a un nuovo fornitore. Anche lo stesso com- portamento dell’impresa dominante può creare barriere all’ingresso sul mercato, ad esempio qualora essa abbia effettuato investimenti significativi che i nuovi operatori o i concorrenti dovrebbero egua- gliare o abbia stipulato con i propri clienti contratti a lungo termine che hanno effetti di preclusione».
4 Si ha una situazione di ottimo paretiano quando non è possibile rendere migliore la situazione di qualcuno senza contemporaneamente rendere peggiore quella di qualcun altro. Ciò rappresenta l’ef- ficienza allocativa in quanto ogni risorsa presente sul mercato è attribuita al soggetto che le riconosce il maggiore valore, massimizzando così il valore complessivo del sistema.
Poiché diversi consumatori hanno diverse preferenze, ciascuno di essi avrà un diverso prezzo che sarà disposto a pagare per acquistare il prodotto (c.d. prezzo di riserva). A bassi livelli di produzione, solo i consumatori con alti prezzi di riserva acquisteranno e i produttori otterranno alti profitti; ciò, in un mercato perfettamente concorrenziale, spingerà le imprese a produrre di più (nonché indurrà altre imprese ad entrare nel mercato) e il prezzo dovrà essere abbassato per vendere tutto l’output (assumendo che sia impossibile la “discriminazione perfetta”, ossia la vendita a ciascun consumatore al prezzo che egli sarebbe disposto a pagare). Per i consumatori con i più alti prezzi di riserva si crea così il “surplus del consumatore”, consistente nella differenza tra quanto sarebbero stati disposti a pagare e il prezzo di mercato.
La produzione continuerà ad aumentare e il prezzo a calare fin quando il prezzo sarà uguale al costo marginale (ossia il costo necessario a produrre l’ultima unità di prodotto) dell’impresa con i più alti costi di produzione: la produzione non aumenterà ulteriormente perché nessuna impresa potrebbe vendere un’unità di prodotto a un prezzo più basso senza subire una perdita (si precisa che, in termini economici, il termine “costo” comprende non solo i costi di produzione in senso stretto, ma anche un
feriore (e il prezzo a un livello superiore) rispetto a quello di un mercato concorren- ziale5. Ciò ha due conseguenze: in primo luogo, i consumatori disposti ad acquistare al prezzo più alto avranno un minore “surplus del consumatore”6 (tale esito è in realtà indifferente dal punto di vista dell’efficienza allocativa, in quanto comporta semplice- mente un trasferimento di ricchezza dai consumatori al monopolista, ma la ricchezza complessiva del sistema non muta); in secondo luogo, i consumatori che avrebbero acquistato a un prezzo inferiore del prezzo monopolistico, ma superiore o pari al prezzo competitivo, non acquisteranno affatto. Ciò comporta una perdita netta per il sistema, in quanto i consumatori perdono il surplus di cui avrebbero goduto nel mer- cato concorrenziale, ma il monopolista non ne ha alcun guadagno corrispettivo, non potendo egli ottenere profitti su vendite che non ha fatto7.
margine di profitto sufficiente a mantenere investimenti nell’industria; così X. XXXXXXXXX, Anti- trust…, cit., 60). A tale livello di produzione e di prezzo le curve di domanda e di offerta si intersecano ed è massimizzato il surplus complessivo dei consumatori: ogni unità è allocata a chi le attribuisce il maggior valore. Infatti, se la produzione fosse inferiore, non acquisterebbero il bene alcuni consumatori che valutano il bene più dei costi necessari all’impresa per produrlo (più, come si è detto, un margine di profitto sufficiente a continuare ad investire e operare nel mercato); se fosse superiore, le nuove unità verrebbero acquistate da consumatori che le valutano meno dei costi necessari a produrle.
Di tali nozioni è dato conto, in termini meno tecnicistici di quelli che caratterizzano i manuali di economia politica, anche nella sezione introduttiva di alcuni volumi dedicati al diritto antitrust: v. ad es. X. XXXXX – X. XXXXXX, Competition Law…, cit., 4 ss.
5 Specificamente, il monopolista che miri a massimizzare il proprio profitto continuerà a pro- durre fino a quando i suoi ricavi marginali (ossia i ricavi ottenuti con l’ultima unità di prodotto) siano pari ai costi marginali. Se producesse ulteriormente oltre tale ammontare, i costi addizionali crescereb- bero più rapidamente dei ricavi addizionali e il livello complessivo di profitto del monopolista sarebbe inferiore (così X. XXXXXXXXX, Antitrust…, cit., 65-66; X. XXXXX – X. XXXXXX, Competition Law…, cit., 6 ss.).
6 V. supra, nt. 4.
7 X. XXXXXXXXX, Antitrust…, cit., 67, ove tale perdita netta viene definita la «deadweight loss» o più generalmente il «social cost» del monopolio. Espone il concetto anche C. OSTI, Diritto della concorrenza…, cit., 20 ss., il quale evidenzia che non è pacifico che il diritto antitrust debba prevenire solamente la perdita netta di ricchezza complessiva e non anche il trasferimento di ricchezza dai consu- matori all’impresa che esercita il potere di mercato; da tale diversità di vedute discendono anche diver- genze nell’applicazione delle regole a fronte di situazioni in cui il surplus del consumatore è aumentato a discapito di una perdita complessiva di ricchezza del sistema, o viceversa.
che effetti benefici rispetto ad altre declinazioni del concetto di efficienza: in partico- lare, l’efficienza produttiva (ossia la realizzazione della massima quantità di output con la minima quantità di input)8 e l’efficienza dinamica (ossia la tendenza delle im- prese in competizione a sviluppare prodotti e servizi innovativi per conquistare nuove quote di mercato)9.
Potrebbe allora sembrare che lo scopo del diritto della concorrenza sia di ga- rantire la realizzazione e il mantenimento del mercato di concorrenza perfetta, contra- stando ogni pratica anticoncorrenziale che potrebbe assicurare a un’impresa non solo una posizione di monopolio vera e propria, ma anche il mero conseguimento di un potere di mercato sufficiente a influenzare le decisioni dei suoi concorrenti. Stando ai modelli sopra ricordati, la concorrenza perfetta persegue infatti nel miglior modo pos- sibile il “benessere del consumatore”, che costituisce, secondo una definizione al- quanto comune, la finalità cui tende il diritto antitrust10.
8 X. XXXXX – X. XXXXXX, Competition Law…, cit., 5-6, ove si osserva che la concorrenza per- fetta condurrebbe al raggiungimento dell’efficienza produttiva a causa dell’impossibilità per la singola impresa di vendere ad un prezzo superiore al costo marginale (cfr. supra, nt. 4); pertanto, l’operatore che intenda ottenere un maggior profitto non può alzare il prezzo, ma solo ridurre i costi. Nel lungo periodo il mercato perfettamente concorrenziale spingerà allora le imprese a sviluppare le tecniche pro- duttive più efficienti che permettano di produrre lo stesso output al minor costo possibile.
9 Sui concetti di efficienza allocativa, produttiva e dinamica, v. P. BUCCIROSSI – X. XXXXXXXX, Nozioni introduttive economiche e giuridiche, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Disciplina della concor- renza…, cit., 10-11.
10 V. ad es. X. XXXXX – X. XXXXXX, Competition Law…, cit., 1: «As a general proposition competition law consists of rules that are intended to protect the process of competition in order to maximise consumer welfare». In senso analogo, C. OSTI, Diritto della concorrenza…, cit., 21. Cfr. an- che X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX, Clausole “unfair”…, cit., 22: «[…] quello che si assume essere l’obiettivo comunemente riconosciuto, almeno a livello declamatorio, per l’antitrust sotto ogni cielo, ovvero la promozione del benessere dei consumatori».
Per un’approfondita analisi del concetto di consumer welfare nell’ottica del diritto antitrust si
x. X. XXX XXXXXX, Economic efficiency…, cit., 48 ss.
1.2 Le critiche al modello del mercato perfettamente concorrenziale
A tale conclusione si oppongono diverse obiezioni. La prima e più ovvia è che la concorrenza perfetta è un modello ideale che è di improbabile – se non addirittura utopistica – attuazione nel mondo reale11.
Vi sono però anche autori che, a prescindere dalla sua concreta realizzabilità, non ritengono socialmente desiderabile che il mercato si conformi a un modello di concorrenza perfetta; ciò in quanto l’innovazione è perseguibile efficientemente solo da imprese che abbiano raggiunto considerevoli dimensioni conquistando ampie quote di mercato, mentre le piccole imprese omogenee che formano il mercato di concor- renza perfetta non avrebbero i mezzi per investire nella ricerca necessaria al consegui- mento del progresso tecnologico12.
Si è poi sostenuto che, contrariamente alla tesi dei neoclassici, l’efficienza pro- duttiva non è affatto massimizzata nell’ambito della concorrenza perfetta: lo sviluppo delle tecniche produttive che garantiscono il minor costo per unità prodotta presuppone spesso economie di scala fuori dalla portata di piccole imprese disseminate13.
11 X. XXXXX – X. XXXXXX, Competition Law…, cit., 8, ove si osserva che molti dei connotati del modello di mercato perfettamente concorrenziale (cfr. supra, nt. 3) sono di ben difficile realizza- zione pratica. È improbabile che in un mercato ci sia perfetta omogeneità dell’offerta da parte di tutti i produttori: le imprese tenderanno a differenziare leggermente i loro prodotti e a porre in essere qualche forma di fidelizzazione dei clienti, sicché un lieve incremento nel prezzo non comporterà necessaria- mente un crollo verticale della domanda. Inoltre, raramente i consumatori hanno perfetta informazione sulle condizioni del mercato e non reagiranno immediatamente alle variazioni di offerta. Infine, come ricordato in precedenza (supra, nt. 3), molti mercati hanno barriere all’entrata o all’uscita che rendono difficoltoso l’istantaneo ricambio delle imprese che vi operano.
12 È questa la nota tesi di X. XXXXXXXXXX, Capitalismo, socialismo e democrazia (1942), trad. it., Milano, 2001. L’economista austriaco riteneva che la prospettiva dei profitti monopolistici fosse il principale fattore di motivazione a innovare per le imprese; qualora poi tale posizione di monopolio fosse stata raggiunta, essa sarebbe stata in breve tempo scalzata da nuovi partecipanti del mercato, sic- ché il potere pubblico non avrebbe dovuto adottare misure di contrasto al conseguimento di tali mono- poli a breve termine. L’interesse pubblico alla costante innovazione dell’offerta di beni e servizi sul mercato sarebbe pertanto servito al meglio da questo continuo avvicendarsi di posizioni dominanti, definito dall’economista una “perenne burrasca di distruzione creativa”.
13 X. XXXXXXX, Antitrust…, cit., 27 ss., il quale osserva che, poiché il mercato di concorrenza perfetta richiede che le imprese abbiano certe caratteristiche (dimensioni ridotte) e si astengano da de- terminati comportamenti (collusione), qualora l’efficienza produttiva richieda quelle caratteristiche o
concorrenza più funzionale al perseguimento dell’utilità sociale (che il diritto della concorrenza debba quindi tendere a realizzare), come la tesi della “concorrenza mo- nopolistica” o “concorrenza imperfetta”14, la teoria della “workable competition”15 o quella dei “mercati contendibili”16.
quei comportamenti si materializza «la possibilità che l’obiettivo dell’efficienza allocativa entri in col- lisione con l’obiettivo dell’efficienza produttiva» (p. 28).
L’A. poi dà conto delle teorie per cui il mancato raggiungimento dell’efficienza produttiva nei mercati perfettamente concorrenziali non dipende solo dal fenomeno delle economie di scala, ma anche e soprattutto dall’esistenza di costi di transazione, ossia tutti i costi che le parti devono sostenere per poter raggiungere un accordo e che possono essere classificati in costi di ricerca, costi di negoziazione e costi di esecuzione (così X. XXXXXX – X. XXXXXX – P. G. MONATERI – X. XXXXXXXXX – X. XXXX, Il mercato delle regole. Analisi economica del diritto civile. I. Fondamenti2, Bologna, 2011, 98 ss.). I costi di transazione sono originati dai due fenomeni della “razionalità limitata” (con ciò intendendosi la dif- ficoltà per gli operatori di risolvere problemi e gestire informazioni) e dell’”opportunismo” (ossia la tendenza del singolo a perseguire il suo esclusivo interesse, senza curarsi dell’eventuale detrimento arrecato al sistema nel suo complesso). A fronte di tali fenomeni, la contrattazione decentrata non è in grado di condurre spontaneamente al raggiungimento dell’efficienza produttiva, che potrebbe invece essere conseguita (secondo i fautori di questa impostazione) con forme di cooperazione tra gli operatori economici che permettano di neutralizzare l’effetto di tali costi transattivi.
Evidenziano la possibilità dell’esistenza di un trade-off tra efficienza allocativa ed efficienza produttiva, facendo anche riferimento al caso del monopolio naturale, anche P. BUCCIROSSI – A. FRI- GNANI, Nozioni introduttive…, cit., 11.
00 X. X. XXXXXXXXXX, Xxx Xxxxxx xx Xxxxxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx, 0000; X. XXXXX- SON, The Economics of Imperfect Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000. Come riportato da X. XXXXXXXXX, Con- correnza…, cit., 223-224, la rilevanza di queste opere sta soprattutto nel simbolico «superamento della dicotomia “concorrenza/monopolio”» e nella presa d’atto della tendenza degli operatori economici a differenziare, anche solo leggermente, la propria offerta rispetto ai concorrenti.
15 La teoria si deve a J. M. XXXXX, Toward a Concept of Workable Competition, in American Economic Review, 1940, 241 ss. Essa appare essere «una versione attenuata ed elastica del concetto di concorrenza perfetta» (X. XXXXXXXXX, Concorrenza…, cit., 224), in quanto, preso atto dell’irrealizzabi- lità pratica della concorrenza perfetta, ritiene comunque auspicabile che il diritto miri a favorire l’in- staurazione del sistema più concorrenziale che sia concretamente praticabile. Come sintetizzato da X. XXXXXXX, Teorie economiche della concorrenza, in X. XXXXXXX – A. CATRICALÀ – R. CLARIZIA (di- retto da), Concorrenza, mercato…, cit., 66 ss., Xxxxx ritiene che anche mercati ove operano un numero limitato di produttori potrebbero assicurare risultati soddisfacenti dal punto di vista del benessere com- plessivo, a patto che i concorrenti non colludano tra loro e che nuovi operatori abbiano la possibilità di competere distribuendo prodotti analoghi a quelli sul mercato.
In argomento v. anche S. H. XXXXXXX, A Critique of Concepts of Workable Competition, in
The Quarterly Journal of Economics, 1958, 380 ss.
16 V. ad es. X. XXXXXX – J. C. PANZAR – R. D. WILLIG, Contestable Markets and the Theory of Industry Structure, Xxx Xxxxx, 0000; E. E. XXXXXX, Contestability and the Design of Regulatory and Antitrust Policy, in The American Economic Review, 1981, 178 ss. Secondo i sostenitori di questa teoria, perché il mercato conduca ad esiti efficienti non è necessario che esso sia perfettamente concorrenziale,
teorie, sembra opportuno dare conto, sia pure in termini essenziali, dei principali orien- tamenti culturali che hanno influenzato lo sviluppo e l’applicazione del diritto della concorrenza nell’ordinamento statunitense (che, con l’emanazione dello Sherman Act del 1890, è stata la prima tra le nazioni industrializzate a dotarsi di una legislazione antitrust17) e nell’ordinamento europeo (la cui disciplina della concorrenza è stata per lungo tempo l’unica applicabile in Italia e di cui la stessa l. 287/1990 è largamente tributaria18).
ma piuttosto che sia perfettamente contendibile: ossia che l’entrata e l’uscita dal mercato siano il più possibile prive di costi per le imprese. La presenza di oligopoli o addirittura di monopoli non deve allora essere vista per forza con sfavore dalle Autorità antitrust, che devono limitarsi ad assicurare l’assenza di barriere economiche all’entrata e all’uscita: se sussistono queste condizioni, eventuali scelte produt- tive inefficienti prese dagli operatori già sul mercato spingeranno nuove imprese ad entrarvi per conse- guire l’occasione di profitto generatasi. La teoria mirava soprattutto a dimostrare l’opportunità della deregulation delle industrie americane, la quale, rimuovendo le barriere amministrative all’entrata nei mercati, li avrebbe resi appunto contendibili.
17 X. XXXXXXXXX, Concorrenza…, cit., 209, pur riconoscendo l’importanza decisiva dello Sher- man Act nello sviluppo delle moderne legislazioni antitrust, stigmatizza la tendenza ad attribuire a que- sta legge la creazione di un istituto giuridico completamente nuovo (tendenza che l’A. riconduce alla
«perdita di memoria storica»). Infatti i divieti di abusi monopolistici erano già stati elaborati nella com- mon law ed erano presenti in numerose legislazioni dell’Europa medievale e moderna. In senso analogo,
v. X. XXXXXX – X. XXXXXXXX, Diritto antitrust…, cit., 3, ove si fa riferimento a precetti antimonopolistici risalenti addirittura al diritto romano (come la lex Iulia de annona del 18 a.C., che proibiva l’accumu- lazione di scorte alimentari allo scopo di incrementare artificialmente i prezzi, e un Editto di Xxxxxxxxxxx del 301 d.C., che puniva con la pena di morte chi approfittasse delle carestie per elevare i prezzi dei beni di consumo).
18 Cfr. X. XXXXXX, Concorrenza. I) Libertà…, cit., 2 ss., ove si osserva che la l. 287/1990 ha
«chiaramente una matrice comunitaria»: anche la sua rapida approvazione dopo il fallimento di molti progetti simili nei decenni precedenti dipende probabilmente dall’esigenza di rispettare la scadenza fis- sata dall’Atto Unico Europeo del 1986, il quale prevedeva che il mercato interno dovesse essere realiz- zato entro il 1992. Ciò spiega anche perché, nell’intenzione del legislatore, la legge si applichi solamente alle fattispecie che non ricadono nell’ambito di applicazione dei Trattati europei (criterio della c.d. «bar- xxxxx unica» o «one-stop principle»). L’aspirazione della l. 287/1990 a inserirsi nell’ambito di un sistema europeo di repressione delle pratiche restrittive della concorrenza emerge poi dal disposto dell’art. 1 co.
l. 287/1990, ai sensi del quale «l’interpretazione delle norme contenute nel presente titolo è effettuata in base ai principi dell’ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza». Anche X. XXXXXX – X. XXXXXXXX, Diritto antitrust…, cit., 24, sottolineano che «salve alcune variazioni di stile ed alcuni interventi minori, le norme sostanziali italiane sono state fondamentalmente trasposte da quelle comunitarie».
ziali sono raramente vietate di per sé, dovendosi sempre accertare in concreto se sus- sistano i presupposti per l’applicazione delle sanzioni antitrust. È noto che, sebbene lo Sherman Act sembri proibire in termini perentori il restraint of trade e la monopoliza- tion19, la giurisprudenza americana ha presto elaborato la c.d. rule of reason, ossia la necessità di usare un criterio di ragionevolezza nella valutazione delle fattispecie so- spette, così da verificare se esse non siano in realtà fonte di guadagni di efficienza per il sistema20. Parimenti, il diritto antitrust europeo, pur vietando le intese restrittive della
19 The Sherman Antitrust Act (1890)
Section 1. Trusts, etc., in restraint of trade illegal; penalty – «Every contract, combination in the form of trust or otherwise, or conspiracy, in restraint of trade or commerce among the several States, or with foreign nations, is declared to be illegal. Every person who shall make any contract or engage in any combination or conspiracy hereby declared to be illegal shall be deemed guilty of a felony […]».
Section 2. Monopolizing trade a felony; penalty – «Every person who shall monopolize, or attempt to monopolize, or combine or conspire with any other person or persons, to monopolize any part of the trade or commerce among the several States, or with foreign nations, shall be deemed guilty of a felony […]».
20 Dopo alcune incertezze della giurisprudenza immediatamente successiva all’entrata in vi- gore dello Sherman Act, la rule of reason fu affermata come il generale standard of review dei casi antitrust nella celebre decisione Standard Oil Co. of New Jersey v. United States, 221 U.S. 1 (1911), nella quale la Corte Suprema stabilì che lo Sherman Act non proibisce ogni restrizione al commercio, ma solo quelle che portano a un’irragionevole contrazione degli scambi commerciali tra Stati o con Paesi stranieri. La rule of reason è stata poi confermata all’unanimità dalla Corte Suprema nel caso Chicago Board of Trade v. United States, 246 U.S. 231(1918), ove la Corte ha affermato: «The true test of legality is whether the restraint imposed is such as merely regulates and perhaps thereby promotes competition or whether it is such as may suppress or even destroy competition».
Resta inteso che alcune pratiche, considerate particolarmente pericolose per l’assetto concor- renziale del mercato (come ad es. accordi orizzontali di fissazione dei prezzi), possono essere consider- ate proibite a prescindere, senza che sia necessario che il giudice ponga in essere il test di ragionevo- lezza: è questa la c.d. per se rule, di cui una nota definizione fu data in Northern Pacific R. Co. v. United States, 356 U.S. 1, 5 (1958): «agreements or practices which, because of their pernicious effect on competition and lack of any redeeming virtue are conclusively presumed to be unreasonable and there- fore illegal without elaborate inquiry as to the precise harm they have caused or the business excuse for their use».
La rule of reason è stata spesso criticata per l’incertezza applicativa e l’eccessiva discreziona- lità rimessa all’autorità giurisdizionale che essa comporta: v. ad es. R. A. XXXXXX, The Rule of Reason and the Economic Approach: Reflections on the Sylvania Decision, in University of Chicago Law Re- view, 1977, 1 ss.; P. C. XXXXXXXXXX, The Content of the Hollow Core of Antitrust: The Chicago Board of Trade Case and the Meaning of the “Rule of Reason” in Restraint of Trade Analysis, in Research in Law and Economics, 1992, 1 ss.; R. H. BORK, The Antitrust Paradox: A Policy at War With Itself 2, New York, 1993, 44; T. C. XXXXXX, A Workable Rule of Reason: A Less Ambitious Antitrust Role for
tribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico» (art. 101, para. 3 TFUE)21; si ritiene inoltre che la prova di effetti positivi per il mercato nel complesso impedisca di qualificare come “abuso” ai sensi dell’art. 102 TFUE una pratica posta in essere da un’impresa in posi- zione dominate22.
Come si vede, i parametri in base ai quali i comportamenti anticoncorrenziali non possono ritenersi vietati sono connotati da una certa indeterminatezza23: ciò spiega perché la loro applicazione è stata storicamente condizionata dalla temperie culturale in cui si trovavano a operare gli interpreti. L’esame dei diversi orientamenti di pensiero che hanno animato il dibattito dottrinale sulla corretta esegesi delle regole antitrust è perciò particolarmente rilevante anche per l’impostazione della problematica oggetto del presente lavoro, ossia la delimitazione del divieto di imposizione di condizioni contrattuali sfruttando il proprio potere di mercato.
the Federal Courts, in Antitrust Law Journal, 2000, 337 ss.; J. J. XXXXX, The Role of Rules in Antitrust Analysis, in Utah Law. Review, 2006, 605 ss.; M. E. XXXXXX, Does the Rule of Reason Violate the Rule of Law?, in U.C. Xxxxx Law Review, 2009, 1375 ss.; E. D. XXXXXXXX, The Rule of Reason Re-Exam- ined, in The Business Lawyer, 2012, 435 ss.
21 Evidenzia la simmetria funzionale tra la rule of reason nel diritto antitrust statunitense e il regime delle esenzioni e delle autorizzazioni in deroga nel diritto della concorrenza italiano ed europeo
X. XXXXXX, Concorrenza. I) Libertà…, cit., 7.
22 V. ad es. X. XXXXXXXXX, Diritto della concorrenza…, cit., 272: «l’applicazione della norma di divieto non dipende dall’accertamento di caratteristiche formali del comportamento dell’impresa do- minante, ma da una valutazione di riprovevolezza del comportamento stesso, da svolgere con gli stessi criteri che presiedono all’applicazione del divieto delle intese anticoncorrenziali».
23 X. XXXXXXXXX, Concorrenza…, cit., 220, descrive le norme sulla concorrenza come «testi “a maglie larghe”», osservando che tale tecnica redazionale è dovuta al fatto che, se i divieti fossero for- mulati in modo eccessivamente circoscritto, sarebbe agevole per le imprese eluderne l’ambito applica- tivo.
2 Le diverse correnti di pensiero alternatesi nell’interpretazione del diritto antitrust americano
Come accennato, la disciplina antitrust introdotta negli Stati Uniti con l’ema- nazione dello Sherman Act (cui si sono poi aggiunti il Xxxxxxx Act e il Federal Trade Commission Act, entrambi del 1914) ha avuto una grande influenza sullo sviluppo delle legislazioni antimonopolistiche successive, ivi comprese anche quella europea e italiana. È opportuno perciò dare conto delle principali scuole di pensiero che hanno trovato maggiore consenso tra la dottrina e la giurisprudenza nordamericana in mate- ria.
2.1 La concezione strutturalista (la scuola di Harvard)
La teoria strutturalista, elaborata negli anni ’30 da due economisti dell’Univer- sità di Harvard (E. S. Xxxxx e J. S. Bain24), propone un modello standard di analisi dei mercati al fine di orientare l’enforcement delle norme antitrust.
Essa trae origine dalla composizione di un contrasto tra gli economisti circa i criteri di valutazione della sostenibilità concorrenziale di un mercato: secondo alcuni occorreva esaminare la struttura del mercato; secondo altri, la sua performance, ossia il suo rendimento economico25. La scuola strutturalista afferma invece che l’analisi
24 Cfr. E. S. XXXXX, The Current Status of the Monopoly Problem in the United States, in Harvard Law Review, 1949, 1265 ss.; J. S. XXXX, Xxxxxxxx to New Competition: Their Characteristics and Consequences in Manufacturing Industries, Cambridge (Massachusets), 1956.
25 Come riportato da X. XXXXXXX, Teorie economiche della concorrenza…, cit., 68-69, negli anni successivi all’elaborazione della teoria della “workable competition” di Xxxxx (v. supra, nt. 15) alcuni studiosi sostennero il c.d. approccio “strutturale”, secondo il quale la concorrenzialità del mercato sarebbe inestricabilmente legata alle sue caratteristiche appunto strutturali, come l’elevata differenzia- zione del prodotto o la presenza di rilevanti barriere all’entrata. Corollario di questa teoria è il favore verso un intervento pubblico nel sistema economico, in quanto unico strumento in grado di alterare la fisionomia del mercato.
A questa visione si sono contrapposti coloro che ritenevano troppo statico il modello struttu- rale, preferendo valutare il rendimento (performance) del mercato, ossia il divario tra gli obiettivi per- seguiti dagli operatori economici e quelli effettivamente conseguiti nel mercato.
delle condotte degli operatori economici (il modello viene infatti spesso indicato con la sigla SCP: Structure, Conduct, Performance). In particolare, ogni mercato ha deter- minate condizioni di base, che ne determinano la struttura; essa, insieme ai comporta- menti dei partecipanti del mercato, contribuisce a influenzare i risultati di efficienza raggiunti dal mercato26.
Pertanto, un intervento esterno su condizioni di base, struttura, o comporta- menti può tradursi di riflesso in diversi rendimenti di performance del mercato. Ciò spiega perché i sostenitori di questa teoria ritengono che il metodo più efficace per migliorare la performance del mercato consista in una politica interventista, volta a rettificare gli elementi di ostacolo alla concorrenzialità riscontrati nella struttura del
26 X. XXXXXXXXX, Concorrenza…, cit., 225, nt. 130, elenca i dati rilevanti di ciascuno dei quattro “momenti” del mercato:
1. Condizioni di base:
a. Caratteri della domanda (elasticità, tasso di crescita)
b. Caratteri del prodotto (sostituibilità, durata)
c. Tecnologia
d. Fattori storici ed ambientali
e. Grado di sindacalizzazione
2. Struttura:
x. Xxxxxx di venditori e compratori
b. Dimensione dei venditori
c. Differenziazione dei prodotti
d. Diversificazione delle imprese
e. Integrazione verticale
f. Barriere all’entrata
g. Struttura dei costi di produzione
3. Condotta:
a. Politica dei prezzi
b. Politica di promozione delle vendite
c. Strategie produttive
d. Politica dell’innovazione
e. Politica degli investimenti
4. Performance:
a. Efficienza allocativa
b. Piena occupazione
c. Progresso tecnico
d. Qualità del prodotto
e. Equa distribuzione del reddito
criticità strutturali del mercato si riverbererà spontaneamente su una minore collusione tra le imprese e quindi in migliori rendimenti di mercato27.
Il modello pragmatico ed empiristico della concezione strutturalista ebbe note- vole influenza sull’applicazione del diritto antitrust in America tra la metà degli anni ’30 e la metà degli anni ’70 del ‘900, che fu caratterizzata da un’aggressiva repressione delle concentrazioni tra imprese, anche quando queste avrebbero potuto condurre a guadagni di efficienza (sotto forma ad es. di riduzione dei costi). Per questo motivo, questo periodo è talvolta definito come «the trust-busting era»28.
70-71.
27 Questo aspetto è evidenziato da X. XXXXXXX, Teorie economiche della concorrenza…, cit.,
28 Così X. XXX XXXXXX, Economic efficiency…, cit., 81. L’A. osserva (pp. 85-92) che la teoria
strutturalista ebbe principalmente tre effetti sugli orientamenti applicativi delle Autorità e delle Corti statunitensi.
In primo luogo, gli accertamenti antitrust furono caratterizzati da un forte formalismo e da un metodo presuntivo nell’esame empirico dei comportamenti delle imprese: coerentemente con la conce- zione deterministica propria della scuola strutturalista (per la quale una certa struttura del mercato por- terà tendenzialmente a certe condotte delle imprese), le pratiche che comportavano una conformazione della struttura del mercato in una direzione diversa da quella ritenuta ottimale venivano censurate senza curarsi dei loro reali o potenziali effetti sulla concorrenza.
In secondo luogo, si tese a semplificare l’onere della prova gravante sugli attori che asserivano la violazione dei divieti antimonopolistici da parte delle imprese, ad es. istituendo divieti “per se” di certe pratiche (come gli accordi di “tying”, mediante i quali certi prodotti sono messi in commercio in abbinamento con altri, sicché il consumatore che è interessato ad acquistarne uno è obbligato ad acqui- starli entrambi) e presumendo l’illiceità di fusioni che portassero al controllo di una quota di mercato superiore a una certa soglia.
In terzo luogo, l’applicazione del diritto della concorrenza fu influenzata da considerazioni di carattere non solo economico, ma anche politico e sociale: in particolare, la convinzione che fosse in ogni caso necessario proteggere le piccole e medie imprese dal rischio di essere sopraffatte dalle aziende di grandi dimensioni.
Cfr. però X. XXXXXXXXX, Concorrenza…, cit., 226-227, che mette in guardia contro la tentazione di contrapporre semplicisticamente una concezione “politica” del metodo “harvardiano” a una conce- zione “economica”, in quanto anche la teoria strutturalista applica un metodo di analisi economica: semplicemente, si tratta di un metodo “tipologico” che descrive in termini non definiti in eccessivo dettaglio un modello di mercato ideale, a cui paragona poi le fattispecie concrete; il modello economico “ortodosso” invece sottopone le fattispecie a un’analisi più “scientifica”, confrontandoli con modelli matematici ed econometrici, ma sconta così il rischio di un’eccessiva astrazione dal reale. Per questo motivo l’A. conclude che «non è detto dunque che il primo metodo sia da considerare empirico e supe- rato».
2.2 L’approccio puramente economico al diritto antitrust (la scuola di Chicago)
A partire dalla metà degli anni ’70, l’impostazione strutturalista della scuola di Harvard ha ceduto il passo alla scuola neoliberista di Chicago, la quale ha riscosso grande successo tra gli interpreti fino agli anni 200029.
Questo orientamento si è posto in netta contrapposizione con la teoria struttu- ralista, criticata per l’eccessivo eclettismo nei fini perseguiti, da cui è derivata una politica antitrust incoerente e non adeguata ad assicurare la massimizzazione del be- nessere collettivo. Secondo gli esponenti della scuola di Chicago, il diritto antitrust deve mirare alla realizzazione di un unico scopo, ossia il conseguimento dell’effi- cienza allocativa30. Ciò risulterebbe peraltro dall’analisi dei lavori preparatori dello Sherman Act e di altre normative antimonopolistiche, dai quali emergerebbe che l’in- tento del Congresso nell’emanare queste leggi era solamente di perseguire un accre- scimento dell’efficienza del sistema economico, senza considerazione per altri valori sociali o politici31.
29 Fra le opere più significative riconducibili a questa corrente si possono menzionare: R. A. XXXXXX, Antitrust Law: An Economic Perspective, Chicago – Xxxxxx, 0000; ID., The Chicago School of Antitrust Analysis, in University of Pennsylvania Law Review, 1979, 925 ss.; R. H. BORK, The Anti- trust Paradox: A Policy at War With Xxxxxx, Xxx Xxxx, 0000; F. H. XXXXXXXXXXX, The Limits of Anti- trust, in Texas Law Review, 1984, 1 ss.
Tra le prime analisi critiche della Scuola di Chicago nella dottrina italiana, si v. X. XXXXXXX,
Chicago, l’efficienza e il diritto antitrust, in Giur. comm., 1988, I, 5 ss.
30 X. XXXXXXX, Antitrust…, cit., 23; B. V. ROMPUY, Economic efficiency…, cit., 93; M. LIBER- TINI, Concorrenza…, cit., 227; X. XXXXXXX, Teorie economiche della concorrenza…, cit., 72.
31 La tesi del consumer welfare (nel senso di massima ricchezza complessiva del sistema: v.
infra, nt. 33) come unico obiettivo di policy della legislazione antitrust è riconducibile soprattutto a R.
H. BORK, The Antitrust Paradox: A Policy at War With Itself 2…, cit., 50-71; ID., The Role of Courts in Applying Economics, in Antitrust Law Journal, 1985, 24.
Molte successive analisi della storia legislativa dello Sherman Act confutano la tesi per la quale considerazioni diverse da quelle efficientistiche non ebbero peso nell’approvazione dell’atto da parte del Congresso: per una sintesi delle principali critiche, v. B. VAN ROMPUY, Economic efficiency…, cit., 97-98.
In base agli assiomi dell’analisi economica del diritto, si sostiene che in molti casi l’enforcement antitrust, lungi dall’essere necessario, produce al contrario effetti distorsivi che conducono a risultati inefficienti. Come enunciato nel c.d. teorema di Coase32, la negoziazione privata (in presenza di costi transattivi nulli o trascurabili) garantisce in ogni caso l’allocazione efficiente delle risorse. Ciò su cui influisce la conformazione legale di diritti e obblighi non è quindi l’efficienza allocativa, ma la giustizia distributiva (ossia, come è distribuito tra le parti il surplus di ricchezza gene- rato dall’allocazione efficiente): essa però non deve essere assicurata dalle norme an- titrust (che si devono appunto occupare solamente di massimizzare il total welfare33), ma tutt’al più da altri rami del diritto (come ad es. il diritto tributario)34.
32 R. H. XXXXX, The Problem of Social Cost, in Journal of Law and Economics, 1960, 1 ss. Il “teorema” può essere formulato in questi termini: «quando i costi transattivi sono zero, la negoziazione privata conduce ad un efficiente uso delle risorse, indipendentemente dalla conformazione dei diritti posta in essere dall’ordinamento giuridico» (X. XXXXXX – X. XXXXXX – P. G. MONATERI – X. XXXXXXXXX
– X. XXXX, Il mercato…, cit., 95). Si intende cioè che, se per due soggetti l’adempimento di un obbligo ha un costo differente (ad es., 50 e 75), l’efficienza richiede che esso sia sopportato dal soggetto per cui l’obbligo è meno costoso, in modo da minimizzare la perdita complessiva del sistema. Tuttavia, l’even- tuale allocazione legale dell’obbligo a carico del soggetto che sopporta il costo di 75 non genererà un risultato inefficiente se la cooperazione privata è possibile (non è cioè ostruita da costi transattivi troppo alti; x. xxxxx, xx. 00). I due soggetti si accorderanno perché il dovere venga adempiuto da colui per il quale il costo è 50; l’altro gli pagherà una somma compresa tra 50 e 75. La perdita complessiva del sistema sarà allora uguale a quella che si sarebbe avuta qualora il diritto avesse previsto da subito un’al- locazione efficiente (anche se muterà la distribuzione della perdita tra i due soggetti).
33 È comunemente osservato (v. ad es. X. XXXXXXX, Teorie economiche della concorrenza…, cit., 73) che la concezione di “benessere dei consumatori” (“consumer welfare”) fatta propria dagli esponenti della scuola di Chicago coincida (in modo alquanto controintuitivo) con il “benessere com- plessivo” (“total” o “social welfare”).
Per un’analisi del concetto di “total welfare standard” come obiettivo delle politiche antitrust si v. B. VAN ROMPUY, Economic efficiency…, cit., 45 ss., ove si osserva che esso corrisponde al criterio di efficienza di Xxxxxx-Xxxxx. Com’è noto, esso è ritenuto un adattamento in chiave più realistica del concetto di ottimo paretiano (v. supra, nt. 4), in quanto non considera incrementi di efficienza solo i casi in cui la posizione di qualcuno è migliorata senza che quella di qualcun altro sia peggiorata (essendo che il funzionamento dei meccanismi concorrenziali presuppone che vi siano “vincitori e vinti”), ma anche i casi in cui la posizione di qualcuno è migliorata più di quanto quella di qualcun altro sia peg- giorata.
34 La convinzione che il diritto della concorrenza non si debba occupare di questioni concer- nenti l’equa distribuzione delle risorse tra i consociati è efficacemente espressa da R. H. BORK, The Antitrust Paradox: A Policy at War With Itself 2…, cit., 90-91: «Antitrust thus has a built-in preference for material prosperity, but it has nothing to say about the ways prosperity is distributed or used […] Antitrust litigation is not a process for deciding who should be rich or poor, nor can it decide how much
Applicando questi principi all’analisi dei comportamenti delle imprese sul mercato, si afferma che molte delle pratiche tradizionalmente represse dall’antitrust (ad es. i prezzi predatori) dovrebbero essere lasciate all’autoregolazione del mercato: esse infatti non portano alla massimizzazione dei profitti e di conseguenza comporte- ranno la perdita di quote di mercato per l’impresa che le pone in essere. Più in generale, si ritiene che il potere di mercato del monopolista sia destinato a durare a breve, in quanto gli alti profitti del monopolista indurranno nuovi concorrenti a entrare nel mer- cato35.
In coerenza con il teorema di Xxxxx, si evidenzia che, in assenza di costi tran- sattivi, la contrattazione decentrata porterà spontaneamente all’efficienza allocativa; ma anche quando questi costi transattivi sono presenti, è opportuno permettere alle imprese di organizzarsi spontaneamente nelle forme di cooperazione e collaborazione che ritengono più opportune. La selezione tra le intese che, portando al superamento dei costi transattivi, conducono a risultati di accrescimento del total welfare e quelle che invece conducono a risultati inefficienti sarà operata autonomamente dal mercato,
«con decisione molto più rapida e sicura di quella che potrebbe prendere un organo amministrativo o giurisdizionale»36.
Ne consegue che, ad avviso dei sostenitori di questo orientamento, l’ambito di applicazione dei divieti antitrust dovrebbe essere circoscritto ai casi delle pratiche più clamorosamente anticoncorrenziali (come gli accordi orizzontali di fissazione dei prezzi), ma non dovrebbe estendersi a numerose altre fattispecie che pure erano state
wealth should be expected to reduce pollution or undertake to mitigate the anguish of the cross-country skier at the desecration wrought by snowmobiles. It can only increase collective wealth by requiring that any lawful product, whether skis or snowmobiles, be produced and sold under conditions most favorable to consumers».
35 X. XXXXXXX, Antitrust…, cit., 33-34; B. V. ROMPUY, Economic efficiency…, cit., 94-95.
36 X. XXXXXXX, Antitrust…, cit., 32. In senso analogo, v. X. XXX XXXXXX, Economic effi- ciency…, cit., 99: «When in doubt, one should let the market take care of itself, because errors are self- correcting while erroneous condemnations are not».
in passato considerate illecite37. Ad avviso di uno degli esponenti di spicco della scuola, il public enforcement dovrebbe consistere in «little other than prosecuting plain vanilla cartels and mergers to monopoly»38.
Grazie alla concomitanza di una serie di fattori favorevoli39, le idee riconduci- bili alla scuola di Chicago influenzarono profondamente l’applicazione del diritto an- titrust da parte degli interpreti. A partire da un famoso caso, in cui venne stabilito che (contrariamente a quanto fino ad allora affermato) le restrizioni verticali della concor- renza non legate al prezzo non erano soggette a una “per se condemnation”, ma dove- vano essere valutate caso per caso in base alla rule of reason40, la Corte Suprema diede molta più enfasi a considerazioni di efficienza nell’esame di casi antitrust. Parimenti, le autorità amministrative abbandonarono l’approccio formalistico del periodo strut- turalista e iniziarono ad affermare la necessità di compiere sempre un’analisi degli effetti sulla concorrenza prodotti dalla fattispecie nel caso concreto41.
37 Come ricordato da X. XXXXXXXXX, Concorrenza…, cit., 229, la scuola di Chicago guardava tendenzialmente con favore non solo agli accordi e alle concentrazioni verticali (tra imprese poste a stadi diversi della catena di approvvigionamento), ma anche a quelle conglomerali (tra imprese operanti in mercati differenti) e, sia pure con maggiore cautela, anche orizzontali.
X. XXX XXXXXX, Economic efficiency…, cit., 94, osserva che per la corrente di pensiero in esame dovevano considerarsi tendenzialmente irrilevanti dal punto di vista del diritto antitrust anche i tying agreements e i prezzi predatori, in quanto pratiche non redditizie e quindi inefficienti (e come tali destinate a essere punite dai mercati). L’inclusione dei tying agreements tra le condotte non illecite è particolarmemte rilevante, in quanto la giurisprudenza americana del periodo precedente, influenzata dal pensiero strutturalista, aveva addirittura previsto per essi un divieto per se (v. supra, nt. 28).
38 F. H. XXXXXXXXXXX, Workable Antitrust Policy, in Michigan Law Review, 1986, 1696 ss.,
1701.
39 X. XXX XXXXXX, Economic efficiency…, cit., 100-102, menziona: la nomina alla Corte Su-
prema e alle altre Corti federali, da parte dell’amministrazione di Xxxxxx Xxxxxx, di giudici di estra- zione culturale neoliberale, tra cui esponenti di spicco della scuola di Chicago come Xxxxxx Xxxx, Xxxxx Xxxxxxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxx; l’istituzione in seno alle Autorità pubbliche incaricate del public enfor- cement del diritto antitrust (la Federal Trade Commission e l’Antitrust Division del Department of Justice) di uffici espressamente dedicati all’analisi economica delle fattispecie sospette, che condusse a una maggiore influenza degli economisti nelle scelte delle agencies; il rallentamento dell’economia americana, per il rilancio della quale si ritenne essere necessario (tra le altre cose) un cambio di mentalità nell’applicazione del diritto della concorrenza.
40 Continental T.V., Inc. v. GTE Sylvania, Inc., 433 U.S. 36 (1977)
41 Ad es. (come riportato da X. XXX XXXXXX, Economic efficiency…, cit., 103), le linee guida del Department of Justice, che in precedenza fissavano soglie di quote di mercato al di sopra delle quali
Dagli inizi degli anni ’90, una parte della dottrina ha iniziato a contestare le conclusioni elaborate dalla scuola di Chicago, di cui si critica l’eccessivo affidamento su modelli matematici astratti che presuppongono la sempre perfetta razionalità delle scelte degli operatori economici. Secondo questi critici, l’analisi economica, nella mi- sura in cui cerca di prevedere comportamenti umani, rimane pur sempre una scienza sociale, la quale non può pretendere di applicare lo stesso rigido schema “causa-ef- fetto” proprio delle “scienze dure”. Gli enforcers antitrust dovrebbero perciò avvalersi di strumenti come l’analisi economica comportamentale e la teoria dei giochi, che cer- chino di rappresentare in modo più realistico la reazione a determinate condotte dei mercati. tenendo conto del loro carattere intrinsecamente dinamico (in contrapposi- zione con i modelli “statici” basati sull’equilibrio di mercato utilizzati dai “Chica- goans”)42.
Anche se queste evoluzioni sono certamente degne di nota, va osservato che l’approccio puramente economico sostenuto dalla scuola di Chicago è ancora larga- mente dominante nella giurisprudenza americana43; inoltre, come si vedrà in seguito, esso ha avuto una grande influenza sui recenti mutamenti negli indirizzi applicativi della Commissione europea.
si presumeva che le fusioni fossero illegali, furono modificate per tenere conto delle effettive circo- stanze nelle quali l’operazione era avvenuta
42 Tra gli esponenti di questa corrente di pensiero, v. ad es. M. S. XXXXXX, An Essay on the Normative Foundations of Antitrust Economics, in North Carolina Law Journal, 1995, 219 ss.; X. XX- XXXXXX – J. M. XXXXXX, Perfect Competition and the Creativity of the Market, in Journal of Economics Literature, 2011, 479 ss.; e i saggi raccolti in X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXX XXX XXXXX (a cura di), Post-Chicago Developments in Antitrust Law, Cheltenham, 2002.
43 X. XXX XXXXXX, Economic efficiency…, cit., 117.
3 L’evoluzione del diritto della concorrenza dell’Unione europea
Avendo esaminato, pur per sommi capi, gli orientamenti culturali che si sono avvicendati nell’interpretazione del diritto antitrust americano, è ora opportuno vol- xxxx lo sguardo allo sviluppo del diritto europeo della concorrenza.
3.1 La Scuola di Friburgo: Costituzione economica, Ordnungspolitik e concor- renza sui meriti
Come accennato, la cultura giuridica europea non ha inizialmente adottato un atteggiamento di repressione punitiva dei comportamenti anticoncorrenziali: tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo si tendeva infatti a riconoscere la liceità degli accordi di cartello come legittima manifestazione dell’autonomia privata, riservando tutt’al più all’autorità pubblica la possibilità di porre in essere un controllo amministrativo in via successiva44.
In seguito alla fine della seconda guerra mondiale, una cresciuta consapevo- lezza del pericolo che la collusione tra imprese comportava per il corretto funziona- mento del mercato portò diverse nazioni europee a dotarsi di una legislazione di tutela della concorrenza45. In particolare, un influsso decisivo allo sviluppo del diritto anti- trust europeo fu dato dal c.d. ordoliberalismo, una corrente di pensiero originata in seno alla Scuola di Friburgo, che contribuì in modo rilevante all’elaborazione ed
44 V. supra, nt. 2.
45 X. XXXXXXXXX, Concorrenza…, cit., 214, annovera, tra i fattori che contribuirono al supera- mento della diffidenza degli ordinamenti giuridici continentali verso una regolamentazione normativa della concorrenza, l’egemonia culturale ed economica degli Stati Uniti d’America sull’Europa post- bellica e il convincimento che la struttura “cartellizzata” dell’economia tedesca contribuì significativa- mente a sostenere la politica di guerra della Germania nazista. D. J. XXXXXX, Constitutionalizing the Economy: German Neo-Liberalism, Competition Law and the “New” Europe, in American Journal of Comparative Law, 1994, 25 ss., 31, fa riferimento anche a specifiche pressioni politiche degli Stati Uniti sulla Germania per liberalizzare la sua economia. In senso analogo, X. XXX XXXXXX, Economic effi- ciency…, cit., 129.
emanazione della legge tedesca sulla concorrenza del 1957 (Gesetz gegen Wettbewer- bsbeschränkungen o GWB).
La Scuola di Friburgo condivide l’idea liberale per la quale la concorrenza co- stituisce lo strumento necessario per favorire il perseguimento dell’efficienza e la cre- scita del sistema economico. Tuttavia, a differenza dei teorici della “mano invisibile”, ritiene che il mercato, lasciato a se stesso, tenda a consolidare le posizioni preesistenti di potere economico privato. Se gli economisti liberali sostenevano che la libertà eco- nomica individuale doveva essere protetta dal potere governativo, gli ordoliberali erano convinti che essa dovesse essere salvaguardata anche dalle istituzioni economi- che dotate di maggiore potere di mercato46.
In particolare, secondo la dottrina ordoliberale le caratteristiche strutturali di un sistema economico non sono frutto del caso o di fattori meramente socio-culturali, ma sono il diretto risultato delle scelte di fondo compiute dalla Costituzione economica (Wirtschaftsverfsassung) di uno Stato47.
Il corretto funzionamento del mercato non è però garantito dalla mera presenza di un’adeguata Costituzione economica: un ruolo fondamentale è svolto dalle regole giuridiche con cui viene regolata l’attività economica, attraverso quella che gli ordoli- berali definiscono “Ordnungspolitik” (termine che può essere tradotto, con qualche
46 D. J. XXXXXX, Constitutionalizing the Economy…., cit., 36-37, il quale mette in luce l’in- fluenza sul pensiero ordoliberale della disastrosa esperienza della Repubblica di Weimar, nell’ambito della quale i poteri economici privati furono in grado di destabilizzare le più importanti istituzioni po- litiche e sociali.
47 Gli autori del “Manifesto Ordoliberale” definiscono la “Costituzione economica” come la decisione politica generale riguardo i modi in cui deve essere strutturata la vita economica della nazione (X. XXXX – X.XXXXXX – X. XXXxXXXX-XXXXXX, The Ordo Manifesto of 1936, in X. XXXXXXX – H.
WILLGERODT (a cura di), Germany’s Social Market Economy: Origins and Evolution, New York, 1989, 24).
D. J. GERBER, Constitutionalizing the Economy…, cit., 44-45, osserva che il concetto di “Co- stituzione economica” ha rappresentato il mezzo con cui gli ordoliberali hanno integrato dottrine eco- nomiche e giuridiche nel loro pensiero, prendendo nettamente le distanze dalla concezione, propria del liberalismo classico, per la quale l’economia dovrebbe essere analizzata indipendentemente dal contesto giuridico e politico.
forzatura, come “politica ordinamentale”, nel senso di adozione di un modello di or- dinamento giuridico dell’economia)48. L’Ordnungspolitik è una forma di “regolamen- tazione indiretta” attraverso cui lo Stato non dirige l’economia, ma disciplina norma- tivamente le condizioni strutturali del suo svolgimento. L’eventuale intervento statale non deve essere diretto a partecipare attivamente agli scambi economici, ma a far ri- spettare le regole che non vincolano solo l’operato dei privati, ma anche quello dell’ente pubblico stesso49.
Il compito dell’autorità pubblica non è allora quello di intervenire direttamente nell’economia, ma di assicurare che le condizioni nelle quali si compete siano le stesse per tutti i partecipanti, in primis contrastando le condotte distorsive della concorrenza. La concorrenza non è infatti un fenomeno che sorge spontaneamente dalle interazioni degli operatori economici, richiedendo un’azione statale di regolamento dei confini entro i quali l’autonomia privata può liberamente esplicarsi50.
La politica ordoliberale della concorrenza si caratterizza per alcuni aspetti sa- lienti. In primo luogo, viene affermata la necessità di introdurre una proibizione dei monopoli, sulla base della convinzione che ogni concentrazione eccessiva di potere
48 D. J. GERBER, Constitutionalizing the Economy…, cit., 45, definisce il termine “Ord- nungspolitik” come «the untranslatable soul of Ordoliberalism», in quanto l’inglese “order” (così come l’italiano “ordine”) sembra richiamare una regolamentazione fine a se stessa, mentre il tedesco “Ord- nung” indica piuttosto una disciplina giuridica volta a strutturare le condizioni di base in cui agiscono gli operatori economici, in contrapposizione a un modello di intervento diretto dello Stato nell’econo- mia. La dottrina ordoliberale si proponeva infatti di individuare la “terza via” economico-giuridica tra l’Occidente capitalista e il mondo sovietico socialista (ivi, 35-36).
49 Ivi, 48, ove si evidenzia che la scuola ordoliberale era caratterizzata da una profonda diffi- denza nei confronti dell’intervento discrezionale dell’esecutivo nell’economia e, correlativamente, una fiducia nella capacità del potere legislativo di emanare norme eque e in quella del potere giudiziario di applicarle imparzialmente. L’insistenza sulla necessità di una regolamentazione giuridica dell’attività economica era proprio motivata dalla intenzione di ridurre al minimo i margini di discrezionalità con- cessi all’esecutivo.
50 X. XXXXXXXXX, Concorrenza…, cit., 216; X. XXX XXXXXX, Economic efficiency…, cit., 130;
X. XXXXXXXX, I contratti di impresa e il diritto comunitario, in Riv. dir. civ., 2005, I, 489 ss., 491, ove si evidenzia che l’impostazione ordoliberale rappresenta anche la matrice ideologica del diritto europeo dei contratti.
economico privato fosse intrinsecamente pericolosa per il corretto svolgimento del gioco della concorrenza51.
In secondo luogo, si promuove l’applicazione dello standard “come-se” (Als- Ob) nella valutazione dei comportamenti delle imprese dotate di potere di mercato: le condotte possono essere considerate lecite solo se si può ragionevolmente presumere che esse non sarebbero state diverse qualora l’impresa fosse stata sottoposta alla pres- sione di un mercato realmente concorrenziale52.
In terzo luogo, si identifica, come obiettivo cui la disciplina antitrust deve ten- dere, il perseguimento della “concorrenza sui meriti” (Leistungswettbewerb) e il con- trasto della “concorrenza degli impedimenti” (Behinderungswettbewerb)53. Si ritiene cioè che gli effetti benefici della competizione tra imprese si realizzano quando esse sono costrette a confrontarsi sulla qualità della loro offerta produttiva, in modo che prevalga quella più innovativa, dinamica ed efficiente. A questa modalità “benigna” di acquisizione di nuove quote di mercato si contrappone la conquista di una posizione dominante tramite pratiche scorrette volte a escludere gli altri concorrenti dal mercato (come boicottaggi, prezzi predatori, etc…). Queste condotte possono permettere che la gara concorrenziale sia vinta da un’impresa la cui offerta è qualitativamente infe- riore e devono pertanto essere represse.
Infine, si auspica l’istituzione di un’autorità amministrativa indipendente inca- ricata di applicare le norme di diritto della concorrenza, indagare su asserite violazioni
51 D. J. XXXXXX, Constitutionalizing the Economy…, cit., 51 s., ove si evidenzia che l’impor- tanza dello smantellamento dei monopoli era particolarmente sentita dagli autori ordoliberali in quanto essi avevano assistito all’enorme influenza assunta dai cartelli sull’economia e sulla politica tedesca durante il periodo di Weimar.
52 Xxx, 52 s.; l’A. sottolinea che il carattere apparentemente oggettivo dello standard “come-se” portava gli esponenti della scuola di Friburgo a ritenere che esso non avrebbe comportato un pericolo di interventismo statale arbitrario, in quanto non avrebbe dovuto lasciare spazio per scelte discrezionali dell’autorità pubblica.
53 La distinzione tra Leistungswettbewerb e Behinderungswettbewerb è comunemente fatta ri- salire a H. C. NIPPERDEY, Wettbewerb und Existenzvernichtung, in Kartell-Rundschau, 1930, 128 ss. ed è stata ripresa e approfondita dalla scuola ordoliberale.
un’indispensabile garanzia dell’imparzialità della sua azione, in quanto l’esperienza della Repubblica di Weimar aveva mostrato la vulnerabilità del potere politico nei confronti dell’influenza dei grandi gruppi industriali55.
3.2 La nascita del diritto europeo della concorrenza e l’influsso dell’ordoliberali- smo
L’influenza del pensiero ordoliberale sullo sviluppo del diritto comunitario della concorrenza è generalmente riconosciuta. La dottrina più recente contesta infatti la tralatizia opinione, secondo la quale i redattori dei Trattati di Roma si sarebbero limitati a importare il diritto antitrust dall’esperienza giuridica statunitense56; si mette in luce infatti che, pur avendo certamente tratto da essa ispirazione, i legislatori europei hanno istituito un modello originale di tutela giuridica della concorrenza, sia rispetto agli obiettivi (in quanto il contrasto alle pratiche restrittive della concorrenza era visto anche come mezzo per la realizzazione del mercato unico europeo)57, sia rispetto al
54 Ad avviso di Xxxxxx, uno dei pensatori più influenti della scuola ordoliberale, l’istituendo “ufficio monopoli” sarebbe stato altrettanto indispensabile quanto la Corte suprema (X. XXXXXX, Grundsätze der Wirtschaftspolitik, 1952, 307).
55 D. J. XXXXXX, Constitutionalizing the Economy…, cit., 55. Al fine di costituire un’autorità dotata della forza necessaria a opporsi ai grandi poteri economici privati, si raccomandava che le venis- sero conferiti ampi poteri investigativi e sanzionatori e che le venissero garantite le risorse finanziarie necessarie per un’azione celere ed incisiva e per attrarre personale altamente qualificato, dotato di ac- clarate competenze specialistiche.
56 La radicale differenza tra i due modelli di disciplina della concorrenza è efficacemente es- pressa da X. XXXXXXX, Competition Versus Property Rights: American Antitrust Law, the Freiburg School, and the Early Years of European Competition Policy, in Journal of Competition Law & Eco- nomics, 2009, 747 ss., 769: «The gap between the European system and U.S. antitrust law could hardly have been wider […] Post-1914 competition law in the U.S. had somehow overcome the ambiguity of the Sherman Act by clearly embracing an ex-ante, judicially-enforced, conduct-based, prohibition ap- proach. No European country followed the U.S. approach […] They all embraced some form of an ex- post, administratively enforced, performance-based, abuse approach».
57 V. D. J. XXXXXX, The Transformation of European Community Competition Law?, in Har- vard International Law Journal, 1994, 97 ss., 101-103 e 111, ove si evidenzia che il diritto europeo della concorrenza, al contrario di quello americano, ha da subito contrastato con decisione le c.d. intese verticali (ossia quelle stipulate tra imprese poste a diversi livelli della catena produttiva), in quanto la
rali58.
Il Trattato di Roma del 1957 (istitutivo della Comunità economica europea o CEE), infatti, non proibisce solo le intese restrittive della concorrenza (art. 85), ma anche l’abuso di posizione dominante (art. 86). Mentre il primo divieto trova un cor- rispettivo nella legislazione antitrust americana59, il secondo costituisce un proprium del diritto europeo nella concorrenza60. Come spesso osservato, la proibizione dell’abuso di posizione dominante dimostra chiaramente la matrice ordoliberale delle
ripartizione dei mercati nazionali tra le imprese rappresenta uno degli ostacoli più immediati alla inte- grazione del mercato comunitario.
Sull’integrazione dei mercati come obiettivo delle regole europee di concorrenza, v. anche P. BUCCIROSSI – X. XXXXXXXX, Nozioni introduttive…., cit., 28-29.
58 V. N. GIOCOLI, Competition Versus Property Rights…, cit., 775, ove si osserva che la disci- plina della concorrenza mediante la previsione di principi generali, in grado di conformare indiretta- mente l’ordinamento giuridico degli Stati membri, è coerente con l’enfasi data dai pensatori ordoliberali all’importanza della “Costituzione economica” nella regolazione giuridica del mercato.
In senso difforme, v. X. XXXXXX, Debunking the Myth of the Ordoliberal Influence on Post- war European Integration, in X. XXXX – X. XXXXXXX, Ordoliberalism, Law and the Rule of Economics, Oxford, 2017, 161 ss., ove si sostiene che il ruolo dell’ordoliberalismo nella formazione e nella succes- siva applicazione del diritto antitrust europeo è stato molto più marginale di quanto comunemente af- fermato.
59 Ci si riferisce alla Section 1 dello Sherman Act del 1890 (v. supra, nt. 19).
Va peraltro osservato che, sebbene la previsione per cui un’intesa restrittiva della concorrenza possa essere esentata, a certe condizioni dall’applicazione del divieto sia talvolta accostata alla rule of reason del diritto antitrust americano (v. ad es. supra, nt. 21), quest’ultimo non presenta una regola che imponga standard restrittivi della discrezionalità dell’autorità di vigilanza di concedere esenzioni, la quale deve invece essere considerata un elemento peculiare del diritto europeo della concorrenza (così
X. XXXXXXX, Competition Versus Property Rights…, cit., 777).
Sotto un altro profilo, X. XXXXX, EC Competition Law…, cit., 28-29, sottolinea che l’influenza ordoliberale sull’art. 85 TCEE (odierno art. 101 TFUE) emerge anche dal fatto stesso che si ammettano intese restrittive della concorrenza, a patto che apportino apprezzabili benefici al mercato nel com- plesso; in una prospettiva neoclassica, invece, ogni intesa restrittiva della libertà economica individuale dovrebbe essere senz’altro bandita.
60 D. J. XXXXXX, Constitutionalizing the Economy…, cit., 73; si evidenzia che l’influenza or- doliberale sul diritto europeo della concorrenza emerge anche dal fatto che il primo Commissario per la concorrenza della Commissione europea fu un tedesco (Xxxx xxx xxx Xxxxxxx) e dalla tradizione di affidare la guida della Direzione generale della Concorrenza a un tedesco.
In un’altra opera, l’A. mostra come, ai tempi dei negoziati che portarono alla stipulazione del Trattato di Parigi del 1951 (istitutivo della Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio), la posizione tedesca sul diritto della concorrenza fosse già profondamente influenzata dalle idee ordoliberali: D. J. GERBER, Law and Competition in Twentieth Century Europe: Protecting Prometheus, Oxford, 1998, 271-273.
rilevante potere di mercato vincendo il gioco della concorrenza, ma, una volta che tale potere è stato conseguito, le si impone di continuare a competere con gli altri operatori sulla base dei meriti della propria offerta, come se stesse ancora operando in un mer- cato pienamente concorrenziale (coerentemente con il canone Als-Ob propugnato da- gli ordoliberali)61. La giurisprudenza della Corte di Giustizia appoggiò a sua volta que- sta interpretazione, affermando il noto principio per cui l’impresa in posizione di do- minanza sarebbe sottoposta a una “speciale responsabilità” di evitare distorsioni della concorrenza nel mercato in cui opera62.
Anche nella prassi applicativa sviluppatasi nei decenni successivi prevalse l’impostazione della scuola di Friburgo: fu riconosciuto pieno valore vincolante (e non meramente programmatico come auspicato da alcuni Paesi) alle regole di concorrenza dei Trattati; si ammise la loro importanza centrale nel processo di integrazione euro- pea; e, con l’emanazione del Regolamento 17/1962/CEE, si accentrò il potere di en- forcement delle norme antitrust nella Commissione e in particolare nella Direzione generale della concorrenza, cui fu garantita ampia autonomia decisionale e operativa63.
61 V. ad es. X. XXXX, Changing Views of Competition, Economic Analysis and EC Antitrust Law, in European Competition Journal, 2008, 127 ss., 146-148; N. GIOCOLI, Competition Versus Prop- erty Rights…, cit., 776-777; L. L. XXXXXXX, Article 82 EC: Where Are We Coming From and Where Are We Going To?, in The Competition Law Review, 2005, 5 ss., 10; X. XXXXXXXXX, Diritto della con- correnza…, cit., 269.
62 V. per tutti CGCE, 9 novembre 1983, NV Nederlandsche Banden Industrie Michelin c. Com- missione delle Comunità europee, C-322/81, EU:C:1983:313, § 57: «La constatazione dell’esistenza della posizione dominante non comporta di per sé alcun addebito nei confronti dell’impresa interessata, ma significa solo che questa, indipendentemente dalle cause di tale posizione, è tenuta in modo parti- colare a non compromettere col suo comportamento lo svolgimento di una concorrenza effettiva e non falsata nel mercato comune».
Cfr. anche Commissione europea, Orientamenti sulle priorità della Commissione nell’appli- cazione dell’articolo 82…, cit., § 1: «non è di per sé illegale che un’impresa sia in posizione dominante e tale impresa dominante ha il diritto di competere sulla base dei propri meriti. L’impresa in questione ha tuttavia la responsabilità speciale di non permettere che il suo comportamento ostacoli una concor- renza realmente priva di distorsioni nel mercato comune».
63 N. GIOCOLI, Competition Versus Property Rights…, cit., 785-787.
3.3 La “modernizzazione” del diritto antitrust europeo: «a more economic ap- proach»
Il sistema centralizzato di autorizzazione delle intese “sospette” previsto nel Regolamento 17/1962/CEE (in base al quale ogni intesa potenzialmente restrittiva della concorrenza doveva essere notificata alla Commissione, che concedeva le esen- zioni caso per caso o, tutt’al più, emanava regolamenti di esenzione in blocco) si rivelò, con il passare degli anni, inadeguato a garantire l’applicazione del diritto della concor- renza su tutto il territorio europeo. A cavallo del nuovo millennio la Commissione promosse una serie di consultazioni in merito all’opportunità e ai contenuti di una ri- forma del settore, che culminarono nell’emanazione del Regolamento 1/2003/CE, spesso definito addirittura “rivoluzionario”64.
Le due principali novità introdotte dal Regolamento sono, da una parte, l’ab- bandono del sistema delle notificazioni in favore di un regime di esenzioni ex lege, tale per cui gli accordi e le pratiche che rispettano i requisiti di cui all’art. 101 para. 3 TFUE sono di per sé leciti, senza bisogno di un apposito provvedimento della Com- missione (art. 1, para. 2); dall’altra, il decentramento dell’enforcement del diritto anti- trust europeo, con il conferimento alle autorità nazionali di concorrenza (coordinate attraverso il c.d. European Competition Network) del potere di applicare direttamente le norme eurounitarie nel territorio di loro competenza (art. 3, para. 1). La Commis- sione conserva un potere di controllo successivo sul loro operato ma, non essendo più onerata dal compito di processare un elevatissimo numero di notifiche, può concen- trarsi sull’istruzione dei casi di maggiore impatto sul mercato europeo nel complesso65.
64 Così ad es. C. D. XXXXXXXXX, The Modernization of EC Antitrust Policy: A Legal and Cultural Revolution, in Common Market Law Review, 2000, 537 ss.; X. XXXXXXX – J. GSTALTER, The Silent Revolution Beyond Regulation 1/2003, in Global Competition Policy, ottobre 2008, 2, 2 ss. (ove si parla di «Copernican revolution»).
65 Così X. XXXXXXXXX, Diritto della concorrenza…, cit., 145.
In concomitanza con queste modifiche sostanziali e procedurali, la Commis- sione iniziò ad adottare un approccio più economico all’applicazione delle regole di concorrenza. A seguito di tre sentenze del Tribunale di primo grado del 2002, che nell’arco di cinque mesi annullarono tre decisioni della Commissione di blocco di una fusione66, l’allora Commissario per la concorrenza Xxxxx Xxxxx annunciò che da quel momento la Commissione avrebbe fatto maggiore uso dell’analisi economica nei casi di concorrenza per migliorare la qualità delle decisioni e adempiere all’alto onere della prova che il Tribunale aveva dimostrato di applicare67.
Negli anni successivi, fu riformato il sistema di controllo delle concentrazioni con l’emanazione del Regolamento 139/2004/CE e i nuovi Regolamenti di esenzioni in blocco adottarono un approccio meno formalistico che in passato, sottolineando l’importanza dell’esame degli effettivi benefici apportati dalle intese e del confronto con i costi sociali che esse comportano68. Anche le linee guida emanate in questo pe- riodo affermano che lo scopo del diritto antitrust è esclusivamente la promozione dell’efficienza economica e del benessere del consumatore, mentre in passato l’azione antimonopolistica era stata diretta anche a obiettivi quali l’integrazione del mercato,
66 Trib. di primo grado, 6 giugno 2002, Airtours plc c. Commissione delle Comunità europee, T-342/99, EU:T:2002:146; Trib. di primo grado, 22 ottobre 2002, Schneider Electric SA c. Commis- sione delle Comunità europee, T-310/01, EU:T:2002:254; Trib. di primo grado, 25 ottobre 2002, Tetra Laval BV c. Commissione delle Comunità europee, T-5/02, EU:T:2002:264.
67 Come riportato da X. XXX XXXXXX, Economic efficiency…, cit., 187, Xxxxx aveva già reso chiaro al momento della sua nomina (nel 1999) che, in quanto economista, avrebbe mirato a innalzare il livello dell’analisi economica impiegata dalla Commissione nelle sue decisioni; le tre decisioni del Tribunale di primo grado del 2002 rappresentarono però il «turning point».
68 V. ad es. Regolamento 772/2004/CE della Commissione relativo all’applicazione dell’arti- colo 81, paragrafo 3, del trattato CE a categorie di accordi di trasferimento di tecnologia, Considerando
n. 4: «è opportuno abbandonare l’impostazione basata sull’elenco delle clausole esentate e definire in- vece le categorie di accordi che sono esentati fino ad un determinato livello di potere di mercato […] Questa scelta è coerente con un’impostazione di tipo economico, intesa a valutare le ripercussioni degli accordi sul mercato rilevante».
prese69.
Tuttavia, sarebbe errato ritenere che siano state interamente abbandonate le idee ordoliberali di protezione della struttura del mercato concorrenziale, anche quando essa entri in tensione con l’obiettivo di assicurare il massimo benessere imme- diato ai consumatori. In primo luogo, va tenuto presente che, ai sensi dell’art. 101 para. 3, lett. b), TFUE, un accordo restrittivo della concorrenza non può essere ritenuto lecito se elimina la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti interessati: nelle sue linee guida, la Commissione evidenzia che, se anche un tale accordo apportasse ai consumatori benefici a breve termine, questi sarebbero superati dagli svantaggi a lungo termine causati dall’eliminazione della concorrenza70.
In secondo luogo, nonostante il Tribunale di primo grado avesse recepito, in una pronuncia del 2006, il principio per cui il consumer welfare è l’obiettivo ultimo delle norme europee sulla concorrenza, la Corte di Giustizia, in sede di impugnazione, ha rigettato tale principio, affermando (in continuità con il suo indirizzo precedente) che accordi che hanno per oggetto la restrizione della concorrenza devono essere con- siderati di per sé illeciti. Non è necessario indagare se essi abbiano effettivamente
69 V. ad es. Commissione europea, Linee direttrici sull’applicabilità dell’articolo 101 del trat- tato sul funzionamento dell’Unione europea agli accordi di cooperazione orizzontale, in G.U.U.E., 14 gennaio 2011, C 11, § 269: «Le norme sulla proprietà intellettuale e le norme sulla concorrenza hanno gli stessi obiettivi, cioè promuovere l’innovazione e migliorare il benessere dei consumatori».
Per un’analisi del mutamento di paradigma nel diritto antitrust europeo del periodo in esame,
v. A. C. WITT, The More Economic Approach to EU Antitrust Law, Xxxxxx, 0000.
70 Commissione europea, Linee direttrici sull’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, del TCE [ora art. 101 TFUE, para. 3], in G.U.C.E., 27 aprile 2004, C 101, § 105: «In definitiva, la protezione della rivalità e del processo concorrenziale viene considerata prioritaria rispetto agli incrementi di effi- cienza favorevoli alla concorrenza che potrebbero derivare da accordi restrittivi. L’ultima condizione di cui all’articolo 81, paragrafo 3 riconosce il fatto che la rivalità tra imprese è un elemento motore fondamentale dell’efficienza economica, inclusi gli incrementi di efficienza dinamica sotto forma di innovazione. In altre parole, l’obiettivo ultimo dell’articolo 81 è proteggere il processo concorrenziale. Quando la concorrenza viene eliminata, il processo concorrenziale viene meno e gli incrementi di effi- cienza a breve termine sono superati dalle perdite a lungo termine che derivano fra l’altro dalle spese sostenute dall’operatore che domina il mercato per mantenere la sua posizione (ricerca di una rendita), da una cattiva allocazione delle risorse, da una riduzione dell’innovazione e da prezzi più alti».
ultimi è indirettamente garantita dalla protezione del processo competitivo71.
In conclusione, si può affermare che, nell’attuale diritto europeo della concor- renza, l’analisi delle intese e dei comportamenti anticoncorrenziale deve essere certa- mente condotta sotto una prospettiva economica, esaminando nel caso concreto i reali effetti pregiudizievoli per i consumatori e confrontandoli con i benefici che scaturi- scono dall’intesa o dalla pratica; tale giudizio di contemperamento incontra però un limite, ossia l’esigenza di garantire comunque la sopravvivenza del processo competi- tivo, anche quando la sua eliminazione avrebbe effetti benefici per i consumatori nel breve periodo72.
4 Le posizioni della dottrina sulla sorte del contratto a valle di intesa anti- concorrenziale o posto in essere mediante abuso di posizione dominante
Così inquadrata la giustificazione della disciplina della concorrenza e i suoi fondamenti culturali, è opportuno esaminare più nel dettaglio l’aspetto di tale settore
71 CGCE, 6 ottobre 2009, GlaxoSmithKline Services Unlimited c. Commissione delle Comunità europee, cause riunite C-501/06 P, C-513/06 P, C-515/06 P e C-519/06 P, EU:C:2009:610. Il caso ri- guardava un accordo restrittivo del commercio parallelo di medicinali: questo tipo di accordi era sempre stato considerato avente ad “oggetto” la restrizione della concorrenza, ma il Tribunale ritenne che fosse ammessa la prova che esso avesse comportato benefici per i consumatori e fosse perciò lecito. La Corte di Giustizia affermò al contrario che l’art. 81 non è destinato a tutelare solamente gli interessi dei con- sumatori, ma anche la struttura concorrenziale del mercato e che pertanto «subordinando l’esistenza di un oggetto anticoncorrenziale alla prova che le condizioni generali di vendita implichino inconvenienti per i consumatori finali ed escludendo l’esistenza di tale oggetto nelle condizioni medesime, il Tribunale è incorso in un errore di diritto» (§ 64).
72 Una conclusione simile è raggiunta da X. XXXXXXX, Antitrust…, cit., 153-155: l’A. critica la tesi efficientistica sostenuta dalla scuola di Chicago, in quanto essa muove dall’irrealistico presupposto per cui le preferenze degli agenti siano a priori perfettamente conoscibili e misurabili. Ad avviso dell’A., invece la concorrenza è proprio «lo strumento con cui il sistema scopre l’orientamento e l’in- tensità di preferenze non altrimenti conoscibili e misurabili; scopre l’esistenza di potenzialità e risorse sconosciute e continuamente adegua le sue strutture alle variazioni delle prime e delle seconde». Il processo concorrenziale, adempiendo a questa essenziale funzione di scoperta delle preferenze degli agenti, deve pertanto comunque essere tutelato, anche quando un accentramento monopolistico, per- mettendo di far fronte a costi transattivi che rallentano la contrattazione decentrata, sembrerebbe con- durre a livelli più elevati di efficienza allocativa.
essere un accordo anticoncorrenziale o un abuso di posizione dominante, quale sia la sorte, sul piano civilistico, dei contratti conclusi a valle non solo con consumatori, ma anche con imprese su altri piani della catena distributiva o con professionisti che si rivolgono all’impresa per acquistare beni e servizi necessari all’esercizio della loro impresa.
Per “contratti a valle” si intendono i negozi, conclusi dalle imprese che hanno posto in essere atti vietate dal diritto antitrust, il cui contenuto è conformato da tale condotta illecita: ad esempio, a fronte di un’intesa avente ad oggetto la fissazione dei prezzi di un prodotto, sono contratti a valle tutte le compravendite di quel prodotto al prezzo deciso dal cartello73.
73 Sul tema dei contratti a valle di illeciti anticoncorrenziali, v., tra le opere di carattere mono- grafico: X. XXXXXXXXX, Concorrenza e norme bancarie uniformi, Milano, 1986; A. TOFFOLETTO, Il risarcimento del danno nel sistema delle sanzioni per la violazione della normativa antitrust, Milano, 1996; X. XXXX, Autonomia privata, sistema delle invalidità e disciplina delle intese anticoncorrenziali, Milano, 2001; X. XXXXXX, Standardizzazione dei contratti bancari e tutela della concorrenza, Torino, 2003; M. R. XXXXXXX, Violazione della disciplina antitrust e rimedi civilistici, Catania, 2006; E. CA- MILLERI, Contratti a valle…, cit.; X. XXXXXXXXXX, Violazione di norme antitrust e disciplina dei rimedi nella contrattazione “a valle”, Napoli, 2009; X. XXXXXXXX, Disciplina antitrust e illecito civile, Milano, 2012; X. XXXXXXX, Nullità dei contratti nell’intesa anticompetitiva, Milano, 2012.
Tra i contributi più puntuali, v.: X. XXXXXXXXX, Disciplina antitrust e contratti bancari, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, II, 420 ss.; X. XXXXXXXXXX, Antitrust e abuso di responsabilità civile, in Danno e resp., 2004, 469 ss.; ID., Responsabilità civile antitrust: balocchi e profumi, ivi, 2004, 1165 ss.; ID., Sezioni più unite che antitrust, in Europa e dir. priv., 2005, 444 ss.; X. XXXXXXXXX, Le azioni civili del consumatore contro gli illeciti antitrust, in Corr. giur., 2005, 1093 ss.; ID., Ancora sui rimedi civili conseguenti a violazioni di norme antitrust, in Danno e resp., 2004, 933 ss.; ID., Ancora sui rimedi civili conseguenti a violazioni di norme antitrust (II), ivi, 2005, 237 ss.); L. DELLI PRISCOLI, Consuma- tori e danno derivante da condotte anticoncorrenziali, in Xxxxx e resp., 2005, 949 ss.; X. XXXXXXXXXX, Ancora su norme antitrust e contratti «a valle», in Giur. it., 2000, 1876 ss.; I. XXXXX, La tutela civile antitrust dopo la sentenza n. 2207/05: la Cassazione alla ricerca di una difficile armonia nell’assetto dei rimedi del diritto della concorrenza, in Corr. giur., 2005, 337 ss.; X. XXXXXXXXX, Intese vietate e contratti individuali «a valle»: alcune considerazioni sulla c.d. invalidità derivata, in Giur. comm., 1999, II, 449 ss.; X. XXXXXXXX, La nullità delle intese anticoncorrenziali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 411 ss.; C. LO SURDO, Il diritto della concorrenza tra vecchie e nuove nullità, in Banca, borsa, tit. cred., 2004, I, 175 ss.; M. R. XXXXXXX, Xxxxx tutela di chi conclude un contratto con un’impresa che partecipa ad un’intesa vietata, in Riv. dir. comm., 2003, I, 347 ss.; EAD., Invalidità del contratto e disciplina imperativa del mercato, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXX (a cura di), Contratto e antitrust…, cit., 190 ss.; X. XXXXXX, Mercato concorrenziale e teoria del contratto, in Riv. dir. comm., 1999, I, 67 ss. e ora in ID., Il mercato concorrenziale: problemi…, cit., 221 ss;; X. XXXXXXXX, Responsabilità
Va preliminarmente precisato che, come osserva la dottrina più attenta, si de- vono dissociare dalla categoria dei contratti a valle quegli accordi, conclusi tra le im- prese partecipanti al cartello, ancillari all’intesa illecita, di cui specificano ad esempio le modalità di attuazione. La dottrina tedesca parla in proposito di Ausführungsver- träge, in contrapposizione con i Folgeverträge (ossia i contratti a valle nell’accezione poc’anzi indicata). Solo i primi e non i secondi parteciperebbero direttamente dell’in- validità comminata dalla legge alle intese anticoncorrenziali74.
Il problema dei contratti a valle si è posto all’attenzione della dottrina civili- stica italiana in seguito all’accertamento, da parte delle autorità competenti, di intese anticompetitive tra imprenditori, i cui effetti si riverberavano in contratti conclusi con i consumatori a prezzi o condizioni contrattuali deteriori rispetto a quelle che si sareb- bero avute in un mercato concorrenziale.
In particolare, nel 1994 la Banca d’Italia ha accertato, conformemente a un parere reso dall’AGCM, che le Norme Bancarie Uniformi adottate dall’ABI integra- vano un’intesa vietata ai sensi dell’art. 2 co. 2 l. 287/1990 (in quanto frutto di delibe- razione di un’associazione di imprese)75; nel 2000, l’AGCM ha dichiarato che esisteva un cartello tra le principali società di assicurazione, volto a influenzare le condizioni a
extracontrattuale per violazione di norme antitrust, in Danno e resp., 2005, 506 ss.; X. XXXXXXXX, Abuso da intesa anticoncorrenziale e legittimazione aquiliana del consumatore per lesione alla libertà nego- ziale, in Danno e resp., 2005, 498 ss.
74 X. XXXXXXXXX, Contratti a valle…, cit., 85, ove anche riferimenti alla dottrina tedesca sulla differenza tra Ausführungsverträge e Folgeverträge. La distinzione, peraltro, è talvolta contestata in dottrina: v. ad es. X. XXXXXXXXXX, Responsabilità civile antitrust…, cit., 1169, ove essa viene tacciata di arbitrarietà in quanto «ciascuno dei contratti della catena che si diparte dall’intesa anticoncorrenziale è attuativo della stessa».
75 Banca d’Italia, provvedimento 13 dicembre 1994, n. 12, consultabile all’indirizzo xxxxx://xx- xxxxx.xxx/xxxxxxxx. In argomento, si v.: L. C. UBERTAZZI, Concorrenza e norme bancarie…, cit.; X. XXXXXXXXX, Disciplina antitrust e contratti…, cit..; X. XXXXXX, Standardizzazione dei contratti ban- cari…, cit..
cui venivano offerte al pubblico le polizze per l’assicurazione della Responsabilità Ci- vile Autoveicoli (c.d. RCA)76.
Quest’ultimo provvedimento ha generato una notevole quantità di azioni giu- diziali da parte degli assicurati, volte a recuperare il surplus del monopolista conse- guito dalle imprese assicuratrici tramite l’intesa illecita, alternativamente a titolo di ripetizione dell’indebito (conseguente alla nullità del contratto) o di risarcimento del danno. Sul punto si sono pronunciate anche le Sezioni Unite della Cassazione, le quali però si sono soffermate sulla questione della spettanza della legittimazione ad agire ex art. 33 co. 2 l. 287/1990 (che fa riferimento alle azioni di nullità, di risarcimento del danno e cautelari) ai consumatori: la Corte ha stabilito che tale legittimazione sussiste
– in quanto «la legge antitrust non è legge degli imprenditori soltanto, ma è la legge dei soggetti del mercato» –, ma non ha specificato quale debba essere il rimedio espe- ribile contro il contratto a valle dell’intesa anticoncorrenziale77.
Da ultimo, il tema è tornato di attualità a seguito di una recente sentenza della Cassazione, riguardante la validità dei contratti di fideiussione stipulati sulla base di formulari di condizioni generali di contratto ABI, contenenti clausole considerate le- sive della concorrenza da un provvedimento di Banca d’Italia del 200578. La Corte ha stabilito che la nullità di tali fideiussioni non può essere esclusa per il solo fatto che esse siano anteriori al provvedimento della Banca d’Italia, purché siano successive
76 AGCM, provvedimento 28 luglio 2000, n. 8546, consultabile all’indirizzo xxxxx://xx- xxxxx.xxx/xx0xxxx0.
77 Cass., S.U., 4 febbraio 2005, n. 2207, in Danno e resp., 2005, 495 ss., con note di X. XXXX- XXXX, Abuso da intesa anticoncorrenziale…, cit., e di X. XXXXXXXX, Responsabilità extracontrattuale per violazione…, cit.; in Riv. dir. priv., 2005, 907 ss., con nota di X. XXXXXX, Intese anticoncorrenziali e tutela del consumatore.
Tra i commenti alla sentenza, v. anche: X. XXXXXXXXXX, Sezioni più unite che antitrust…, cit.; X. XXXXXXXXX, Le azioni civili del consumatore…, cit..; L. DELLI PRISCOLI, Consumatori e danno…, cit.
78 Banca d’Italia, provvedimento 2 maggio 2005, n. 55, consultabile all’indirizzo xxxxx://xx- xxxxx.xxx/x0xxxxxx. Il provvedimento è stato reso sulla base di un parere reso dall’AGCM (provvedi- mento AGCM n. 14521 del 20 aprile 2005, consultabile all’indirizzo xxxxx://xxxxxxx.xxx/x0x0xx0x.
provvedimento che la accerta, ma dalla stessa legge sulla concorrenza79.
Queste controversie hanno suscitato un acceso dibattito tra gli interpreti circa i rimedi applicabili, soprattutto in considerazione del fatto che tale questione non è af- fatto chiarita dalle norme antitrust. Gli artt. 101, para. 2 TFUE e 2, co. 3 l. 287/1990 sanciscono la nullità delle intese restrittive della concorrenza, ma non stabiliscono esplicitamente che la nullità affligga anche il contratto a valle; gli artt. 102 TFUE e 3
l. 287/1990, poi, si limitano a prevedere il divieto di abuso di posizione dominante, senza specificare la sorte dei negozi messi in atto tramite tale abuso. Anche la giuri- sprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea non dà indicazioni in merito, affermando che l’eventuale estensione dell’invalidità dell’intesa ai contratti successivi è regolata dagli ordinamenti nazionali80.
Nel silenzio della legge, le prospettazioni della dottrina sono allora state molto varie. Esse saranno esaminate nel prosieguo, ma ci si limiterà in questa sede all’espo- sizione delle diverse opinioni, per rendere conto sinteticamente dello stato dell’arte,
79 Cass., 12 dicembre 2017, n. 29810, in Giur. comm., 2019, II, 571 ss., con nota di S. D’ORSI,
Nullità dell’intesa e contratto “a valle” nel diritto antitrust; in Corr. giur., 2018, 1063 ss., con nota di
X. XXXXXXXX, Operazione economica e nullità dei contratti derivati da intesa anticoncorrenziale; in Nuova giur. civ. comm., 2019, 517 ss., con nota di X. XXXXXXXXX, Fideiussione omnnibus “a valle”: illecito antitrust e nullità (parziale?). Commenta la sentenza anche X. XXXXXXXX, La nullità della fi- deiussione omnibus per violazione della normativa antitrust, in Riv. dir. banc., 2018, 21 ss.
La Cassazione è tornata recentemente sulla questione per precisare che la nullità non può essere esclusa per il fatto che il provvedimento di Banca d’Italia, che ha accertato l’intesa illecita, non contiene diffide o sanzioni, né per il fatto che non sia provato che l’ABI, contravvenendo a quanto prescritto da Banca d’Italia, avesse ugualmente diffuso il testo delle condizioni generali di contratto di cui era stata affermata l’anticoncorrenzialità (Cass., 22 maggio 2019, n. 13846).
80 In tal senso, x. XXXX, 00 dicembre 1983, Société de Vente de Ciments et Bétons de l’Est SA
x. Xxxxxx & Kerpen GmbH und Co. KG., C-319/82, EU:C:1983:374, § 12: «la nullità assoluta di cui all’art. 85, n. 2 del Trattato riguarda solo le clausole contrattuali incompatibili con l’art. 85, n. 1. Le ripercussioni di detta nullità su tutti gli altri elementi dell’accordo, sugli eventuali ordini e consegne effettuati in forza dell’accordo stesso, e sulle obbligazioni di pagamento che ne derivano, non dipendono dal diritto comunitario. Dette ripercussioni vanno stabilite dal giudice nazionale, a norma del diritto del suo paese».
sarà svolta nel terzo capitolo.
4.1 Nullità (derivata o diretta) del contratto a valle
Una parte degli interpreti è orientata a ritenere che il contratto a valle di una condotta anticoncorrenziale debba essere considerato nullo. Vi è però divergenza di vedute circa la causa della nullità.
Secondo un primo indirizzo, il contratto a valle sarebbe affetto da nullità strut- turale ex art. 1418 co. 2 c.c., per illiceità dell’oggetto o della causa. Alcuni sostengono infatti che il contratto frutto di un’intesa lesiva della concorrenza avrebbe un oggetto contrario alle norme imperative contenute nella legislazione antitrust, o comunque al principio di ordine pubblico economico per il quale deve essere preservato l’assetto concorrenziale del mercato (sul presupposto che l’oggetto non sia illecito solamente quando le prestazioni sono esse stesse contrarie a norma imperativa, ordine pubblico o buon costume, ma anche quando siano strumentali al conseguimento di un risultato illecito)81.
81 V. ad es. X. XXXXXXXXXX, Antitrust e abuso…, cit., 469 ss., il quale muove da una critica alla tesi per cui i consumatori lesi dall’intesa anticoncorrenziale avrebbero diritto, a titolo di responsa- bilità extracontrattuale, al risarcimento del danno corrispondente al sovrapprezzo pagato: secondo l’A. infatti difetterebbe una posizione giuridica protetta in capo ai consumatori finali, la cui lesione possa integrare il requisito dell’ingiustizia del danno (l’antigiuridicità della condotta non comporta infatti di per sé l’ingiustizia del danno). Ad avviso dell’A., il rimedio per il consumatore consiste allora nella domanda di nullità del contratto a valle, che riproducendo il prezzo sovracompetitivo fissato a monte ha a sua volta un oggetto parzialmente illecito perché contrario a norma imperativa; in forza della di- chiarazione di nullità potrà poi essere chiesta la ripetizione del surplus di prezzo pagato rispetto a quello concorrenziale (p. 473).
La tesi è riproposta in ID., Responsabilità civile antitrust…, cit., 1165 ss. (ove l’A. risponde anche alle critiche mosse da X. XXXXXXXXX, Ancora sui rimedi civili (2004)…, cit..; quest’ultimo replica a sua volta in ID., Ancora sui rimedi civili (2005)…, cit.
Sostengono l’illiceità dell’oggetto dei contratti a valle, sia pure con diversità di impianto argo- mentativo, anche A. XXXXXXXXXX, Ancora su norme antitrust…, cit., 1877; I. XXXXX, La tutela civile antitrust…, cit., 340.
funzionalizzato allo scopo di realizzare gli indebiti profitti che i cartellisti miravano a ottenere quando hanno concluso l’accordo a monte: si tratterebbe perciò di una “nullità derivata”, locuzione che sembra evocare la figura del collegamento negoziale82.
Un diverso orientamento riscontra invece nella fattispecie in esame un’ipotesi di nullità virtuale, ex art. 1418 co. 1 c.c. Il contratto a valle stesso (e non il suo oggetto o la sua causa) si porrebbe cioè in diretto contrasto con le norme imperative della legge sulla concorrenza e dei Trattati europei, che proibiscono la stessa stipulazione di con- tratti “contaminati” da un’intesa anticoncorrenziale o da un abuso di posizione domi- nante83.
Tra gli autori favorevoli alla tesi della nullità, è degna di nota la posizione di chi, sulla scorta della considerazione per cui il divieto di abuso di posizione dominante porta con sé – nell’interpretazione datane dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea
– il criterio dell’Als Ob Wettbewerbspreis (in forza del quale è abusivo il prezzo
82 In questo senso v. X. XXXXXXXXX, Disciplina antitrust e contratti bancari…, cit., 420; L. C. UBERTAZZI, Ancora su norme bancarie uniformi e diritto antitrust, in Dir. banca merc. fin., 1997, I, 428 ss.; L. DI VIA, L’invalidità nei contratti tra imprenditori, in Trattato di diritto privato europeo. Vol 3: L’attività e il contratto2, a cura di X. Xxxxxx, Padova, 2003, 663-664; e, seppur in toni dubitativi, X. XXXXX, Il contratto…, cit., 707, In giurisprudenza, la tesi era stata sostenuta da Trib. Roma, 20 febbraio 1997, in Giur. comm., 1999, II, 449, con nota di X. XXXXXXXXX, Intese vietate e contratti…, cit..
83 La tesi della nullità virtuale è sostenuta, tra gli altri, da X. XXXXXXXX, La nullità delle in- tese…, cit., 439, la quale identifica nell’allora vigente art. 81 TCE una «norma volta a vietare il risultato anticoncorrenziale, piuttosto che l’atto isolatamente considerato», sicché il fondamento della nullità del negozio a valle sarebbe proprio in tale norma. In senso analogo, v. C. LO SURDO, Il diritto della con- correnza…, cit., 205.
Più articolata la posizione di X. XXXXXXX, Nullità dei contratti nell’intesa…, cit., 168 ss.: l’A., valorizzando il dettato normativo per cui sono nulle le intese che hanno “per oggetto o per effetto” la restrizione della concorrenza, identifica nei negozi attuativi a valle proprio un effetto del patto di cartello. Essi sono perciò affetti dalla stessa nullità virtuale che colpisce l’intesa, in quanto «antidove- roso non è soltanto il concordare un cartello, ma pure la conseguenza derivante da esso: la conseguenza sta nella effettiva restrizione della competizione e si compie attraverso la serie aperta dei negozi omo- genei conclusi dagli utenti» (p. 171). Inoltre, identificando nei contratti a valle non un momento nego- ziale autonomo, ma una porzione della fattispecie “intesa” vietata dalla legge, l’A. ritiene peraltro ap- plicabile ad essi anche la nullità testuale di cui agli artt. 101, para. 2 TFUE e 2, co. 3 l. 287/1990 (p. 188).
superiore a quello che sarebbe stato praticato in un mercato concorrenziale)84, ritiene ammissibile la sostituzione d’imperio di tale “giusto prezzo” (identificabile ad es. me- diante il confronto con mercati di riferimento comparabili) a quello stabilito nel con- tratto, applicando l’art. 1339 c.c.85
4.2 Altri rimedi contrattuali demolitori o manutentivi
Sebbene la maggior parte degli autori che non aderiscono alla tesi della nullità ritengano che il rimedio esperibile dalle parti danneggiate dalla condotta anticoncor- renziale sia il risarcimento del danno, vi sono alcune voci dottrinali minoritarie che sostengono l’applicabilità di altri rimedi previsti nella parte generale del diritto dei contratti.
Ad avviso di un’autrice, il contraente che acquista alle condizioni fissate nel cartello o tramite abuso di posizione dominante incorre in un vizio del consenso: egli infatti, per quanto volesse comunque il contratto, non lo avrebbe concluso in quei ter- mini ed è costretto a prestare il suo consenso dalla mancanza di alternative ragionevoli sul mercato. Sarebbe allora applicabile il rimedio dell’annullabilità del contratto, nella misura in cui sia desumibile dalle norme in materia di errore, violenza e dolo un prin- cipio generale passibile di estensione anche al di fuori dei casi tipicamente disciplinati dalla legge86.
84 Ma v. X. XXXXXXXXX, Diritto della concorrenza…, cit., 305, il quale sostiene l’inadeguatezza del criterio “come-se”, in quanto esso richiede di confrontare la situazione concreta con una situazione ideale (statica) di equilibrio di mercato, mentre – secondo l’impostazione cui aderisce l’A. – il diritto della concorrenza ha il compito di tutelare soprattutto l’efficienza dinamica dei mercati.
85 In questo senso, M. R. XXXXXXX, Xxxxx tutela di chi conclude…, cit.; EAD., Abuso di dipen- denza economica e autonomia privata, Milano, 2003, 181 ss.; EAD., Invalidità del contratto e disciplina imperativa…, cit., 190 ss.
86 X. XXXX, Autonomia privata, sistema delle invalidità…, cit., 187 ss. L’A. ritiene che nella fattispecie in esame sussista una situazione di disparità di potere contrattuale tra le parti, tale per cui il rimedio della nullità non sarebbe adeguato a tutelare adeguatamente la parte debole se non previ “ag- giustamenti” di disciplina operati in sede ermeneutica (parzialità necessaria, legittimazione relativa…). Tali inconvenienti non si presentano ricorrendo al rimedio dell’annullabilità, preferito per le situazioni
Un altro studioso ritiene invece che lo squilibrio apportato al contratto dalla condotta distorsiva della concorrenza sia idoneo a giustificare, con applicazione ana- logica dell’art. 1448 c.c., un’azione volta alla rimozione o alla riconduzione ad equità del contratto viziato. Dalle norme che disciplinano il rimedio rescissorio si evince- rebbe infatti – contrariamente all’opinione classica per cui la disciplina codicistica dei contratti è tendenzialmente insensibile alle istanze di equilibrio e giustizia dello scam- bio – un principio generale di impugnabilità del contratto connotato da grave squilibro economico da parte del contraente indotto a concluderlo da irresistibili pressioni psi- cologiche87.
di squilibrio tra le parti anche dalle fonti persuasive internazionali come i Principi Unidroit sui contratti commerciali internazionali e i Principi di diritto europeo dei contratti. L’abuso anticoncorrenziale, in- cidendo sulla libera determinazione del consenso, causerà pertanto l’annullabilità del contratto, non perché è integrata una delle ipotesi legali (l’A. riconosce infatti la non riconducibilità dell’ipotesi del contratto tra cliente e monopolista alla violenza o al dolo), ma applicando l’«annullabilità (per vizio del consenso) come sistema» (p. 194). Pur non arrivando a configurare l’istituto dell’”annullabilità vir- tuale”, l’A. ritiene infatti che «vi sia una materia, per così dire, riservata al rimedio dell’annullabilità» (p. 196), ossia appunto quella dei vizi del consenso.
87 X. XXXXXX, Xxxxxxx concorrenziale e teoria... (2018), cit., 288 ss. In particolare, secondo l’A. non si opporrebbe a tale conclusione l’obiezione per cui la norma che prevede la rescissione per lesione ha carattere eccezionale, sì da non poter generalizzare l’applicazione del rimedio. Infatti l’inter- pretazione estensiva della norma praticata dalla giurisprudenza (che identifica lo stato di bisogno non solo in uno stato di completa prostrazione economica, ma anche in una situazione difficoltà finanziaria temporanea) giustificherebbe la sua applicazione analogica in situazioni caratterizzate da oggettiva compressione della libertà di scelta del contraente, quale è appunto l’alterazione della struttura concor- renziale del mercato (p. 289). Inoltre, non osterebbe alla configurabilità dell’azione volta alla diretta riconduzione ad equità del contratto la circostanza che l’art. 1450 c.c. contempla la modificazione giu- diziale del contratto solo come eccezione concessa al convenuto in rescissione. Infatti la ratio della disposizione sarebbe non già la tutela del contraente che ha posto in essere l’approfittamento, ma della vittima dell’abuso, il cui interesse è meglio servito dalla conservazione del contratto “corretto” piuttosto che dalla sua integrale caducazione. Ne consegue che sarebbe perfettamente coerente con il sistema accordargli la legittimazione ad esperire direttamente l’azione manutentiva; in ogni caso, poi, la possi- bilità di proporre tale domanda potrebbe essere fatta discendere dall’azione generale di arricchimento ingiustificato di cui all’art. 2041 c.c. (p. 293).
L’A. ripropone la tesi in ID., Xxxxxxxxx e intesa nella disciplina a tutela della concorrenza, in ID., Il mercato concorrenziale: problemi…, cit., 57 ss., ove prende anche posizione sulle critiche mosse medio tempore alla ricostruzione da lui supportata (p. 107, nt. 72).
4.3 Le tesi a favore dell’ammissibilità della sola tutela risarcitoria
Diversi autori ritengono che l’illiceità della condotta anticoncorrenziale non possa comportare l’invalidità del contratto a valle: il contraente pregiudicato potrà al- lora rivalersi nei confronti dell’impresa soltanto attraverso il rimedio del risarcimento del danno subito per effetto dell’alterazione del mercato. Anche tra chi aderisce a tale ricostruzione non si riscontra però unanimità di vedute, poiché le opinioni degli inter- preti divergono soprattutto sul titolo della responsabilità imputabile all’impresa che ha posto in essere l’atto distorsivo della concorrenza.
Un primo orientamento è incline a rilevare nel caso in esame un’ipotesi di re- sponsabilità extracontrattuale da fatto illecito ex art. 2043 c.c. Muovendo da un’inter- pretazione del concetto di “danno ingiusto” come una clausola generale – in forza della quale il danno-evento cui fa riferimento l’art. 2043 c.c. è integrato da ogni atto lesivo di una posizione soggettiva giuridicamente protetta che sia fonte di pregiudizio patri- monialmente apprezzabile –, si condiziona la risarcibilità del danno a una valutazione comparativa degli interessi in gioco: il risarcimento non è dovuto qualora la posizione del danneggiante sia suscettibile di una valutazione poziore di quella del danneggiato.
Tale non sarebbe il caso dell’illecito anticoncorrenziale, ove il chiaro disvalore di cui è normativamente connotata la condotta dell’impresa (come testimoniato dalla previsione, in aggiunta alle tutele civili, di sanzioni amministrative) permetterebbe di ravvisare un danno ingiusto subito dal consumatore, rappresentato dal delta tra le con- dizioni contrattuali imposte dal monopolista e quelle che si sarebbero avute in un mer- cato concorrenziale88.
88 In tal senso soprattutto X. XXXXXXXXX, Ancora sui rimedi civili conseguenti a violazioni di norme antitrust (2004)…, cit., 937 ss.; ID., Ancora sui rimedi civili conseguenti a violazioni di norme antitrust (2005)…, cit., 237-241. L’A. precisa che le norme a tutela della concorrenza, nella misura in cui sono dirette a massimizzare il benessere del consumatore, sono idonee a fondare situazioni sogget- tive giuridicamente protette in capo ai consumatori e agli utenti finali, dei quali deve quindi riconoscersi la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno subito (con ciò ponendosi in contrapposizione con chi invece ritiene che la legislazione antitrust si rivolge esclusivamente alla protezione delle imprese
responsabilità extracontrattuale: in particolare, difetterebbe il requisito del nesso di causalità materiale tra l’azione del danneggiante e il fatto illecito89. La tutela risarcito- ria sarebbe comunque concessa al contraente finale, ma a titolo di responsabilità pre- contrattuale ex art. 1337 c.c., in adesione alla nota teoria dei c.d. vizi incompleti90.
concorrenti operanti sul mercato alterato dalla condotta distorsiva: in tal senso v. X. XXXXXXXXXX,
Responsabilità civile antitrust…, cit., 1165).
Per l’ammissibilità dell’azione di risarcimento del danno da parte dei contraenti a valle v. an- che X. XXXXXXXXXX, Violazione di norme antitrust…, cit., passim e spec. p. 179 ss., ove si evidenzia la
«carica plurioffensiva» della condotta anticoncorrenziale, idonea a ledere non solo l’interesse dei com- petitors, ma anche quello dei consumatori finali. Quanto allo statuto della tutela risarcitoria, l’A. pro- pone soluzioni originali in tema di criterio di imputazione soggettiva, suggerendo l’applicazione della presunzione di colpa prevista dall’art. 2600 co. 3 in tema di risarcimento del danno da atti di concorrenza sleale (p. 204), e di quantificazione del danno, per la quale l’A. invoca l’esperibilità della reversione degli utili prevista dall’art. 125, co. 3, d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (codice della proprietà industriale) per il caso di violazione di un diritto di proprietà industriale (p. 207).
In senso parzialmente difforme, v. X. XXXXXXXX, Abuso da intesa anticoncorrenziale…, cit., 504-503, il quale condivide la tesi della configurabilità di una tutela di tipo aquiliano, ma identifica il danno-evento nella lesione della libertà negoziale del consumatore. A favore della teoria della respon- sabilità extracontrattuale v. anche X. XXXXXXXXXX, Il risarcimento del danno nel sistema…, cit., 78 ss.;
X. XXXXXXXXXXX, Il private enforcement del diritto della concorrenza in Italia, ovvero può il diritto antitrust servirsi del codice civile?, in Riv. soc., 2006, 738 ss.; X. XXXXXXXX, Responsabilità extracon- trattuale per violazione…, cit., 506 ss.
89 Così X. XXXXXXXXX, Contratti a valle…, cit., 207-215, ove si osserva che la stipulazione del contratto a xxxxx non è affatto conseguenza immediata e diretta della conclusione dell’intesa di cartello, in quanto è frutto dell’intervento della libertà negoziale dei contraenti. Non sarebbe possibile pervenire con ragionevole certezza alla conclusione che, in assenza dell’intesa a monte, il contratto a valle sarebbe stato stipulato a condizioni differenti. La sussistenza del nesso di causalità potrebbe poi essere esclusa anche in forza della teoria dello scopo della norma violata (su cui v. per tutti M. BARCELLONA, Scopo della norma violata, interpretazione teleologica e tecniche di attribuzione della tutela aquiliana, in Riv. dir. civ., 1973, I, 311 ss.), in quanto le norme antitrust sarebbero finalizzate a proibire le condotte diret- tamente distorsive della concorrenza, non i negozi conclusi a valli in loro attuazione.
90 L’elaborazione della teoria si deve a X. XXXXXXXXX, Xxxx incompleti del contratto e rimedio risarcitorio, Torino, 1995. La tesi, inizialmente minoritaria, è ora recepita anche nella giurisprudenza di legittimità: x. Xxxx., 00 xxxxx 0000, x. 0000, xx Xxxx xx., 2106, I, 1703 ss. con nota di X. XXXXXXXXX, Responsabilità precontrattuale oltre la culpa in contrahendo: riflessioni comparative: «La violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, previsto dagli artt. 1337 e 1338 c.c., assume rilievo in caso non solo di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche di contratto validamente concluso quando, all’esito di un accertamento di fatto rimesso al giudice di merito, alla parte sia imputabile l’omissione, nel corso delle trattative, di informa- zioni rilevanti le quali avrebbero altrimenti, con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa con- formazione del contratto stesso».
non è circoscritto alla sola ipotesi del recesso ingiustificato dalle trattative, ma si estende al caso del contratto inquinato da condotta contraria a buona fede che, pur non assurgendo a uno dei vizi del consenso tipici previsti nel codice civile e quindi non potendo comportare l’invalidità del patto, abbia inciso sulla volontà dell’altra parte in modo tale da determinarla a concludere il negozio a condizioni per sé svantaggiose.
A sostegno di tale conclusione, si adduce la regola sul dolo incidente di cui all’art. 1440 c.c., che testimonierebbe come il sistema ammetta la compatibilità tra contratto valido e responsabilità precontrattuale. Nel caso dei contratti a valle, sarebbe possibile ravvisare il comportamento di mala fede nella stessa distorsione dell’assetto concorrenziale del mercato tramite la partecipazione alla conclusione dell’intesa ille- cita: la condotta anticompetitiva, alterando la fisiologica formazione della volontà della controparte, integrerebbe gli estremi del “raggiro” di cui all’art. 1440 c.c. e ob- bligherebbe perciò il cartellista al risarcimento del danno91.
91 Così X. XXXXXXXXX, Contratti a valle…, cit., 444 ss. L’A. ritiene che debbano essere distinti i casi dell’intesa restrittiva della concorrenza e dell’abuso di posizione dominante: in particolare, quest’ultimo assume, nell’ambito del diritto “secondo” antitrust, la stessa posizione eccezionale che il dolo incidente ha nel sistema del diritto “primo” privato generale: come il dolo genera in via ordinaria l’invalidità del contratto e in via eccezionale il risarcimento del danno, così la condotta anticoncorren- ziale “standard” (ossia l’intesa) è valutata dalla legge in termini di invalidità, mentre l’abuso di posi- zione dominante avrà rilevanza esclusivamente in termini risarcitori; in tal senso è letto anche il binomio azioni di nullità/azioni di risarcimento di cui all’art. 33 co. 2 l. 287/1990 (pp. 456-458).
Rispetto ai contratti a valle di intese sarà invece appunto configurabile unna responsabilità precontrattuale ex art. 1440 c.c. da contratto valido ma svantaggioso: il raggiro infatti non deve neces- sariamente essere direttamente messo in atto nei confronti del contraente pregiudicato, ma può consi- stere anche nella dolosa predisposizione (anche con la collaborazione di xxxxx complici o ignari) delle condizioni propedeutiche all’alterazione della volontà della vittima del raggiro (pp. 464-465). Un simile rimedio non sarebbe invece configurabile per il caso di abuso di posizione dominante, ove l’impresa, limitandosi ad avvalersi a suo vantaggio di una situazione preesistente di mercato alterato, non porrebbe in atto un “raggiro” vero e proprio (p. 462).
A differenza delle ordinarie ipotesi di responsabilità precontrattuale, il danno risarcibile non dovrebbe però essere limitato al c.d. interesse negativo: la natura eccezionale dell’ipotesi di cui all’art. 1440 c.c. (che presuppone la conclusione di un contratto valido) giustificherebbe infatti un diverso cri- terio di quantificazione del danno, volto a porre il contraente raggirato nella situazione in cui si sarebbe trovato se le condizioni di mercato non fossero state alterate (pp. 472-473).
4.4 L’avvento della Direttiva danni antitrust (rinvio)
Le riflessioni sulla sorte del contratto a valle sono fiorite in un quadro norma- tivo diverso da quello contemporaneo: in tempi recenti il diritto della concorrenza ita- liano ha subito infatti profonde modifiche per effetto dell’influsso del diritto eurouni- tario. Infatti, dopo che la Corte di Giustizia aveva riconosciuto – nelle note pronunce Courage92 e Manfredi93 – la risarcibilità del danno subito da concorrenti e consumatori per effetto di condotte distorsive della concorrenza, il legislatore europeo ha introdotto nel 2014 la Direttiva 104/2014/UE, la quale ha introdotto una disciplina organica delle azioni per il risarcimento del danno derivante da violazioni del diritto della
Sostiene una posizione parzialmente analoga X. XXXXXXXX, Disciplina antitrust e illecito…, cit., 60-63, la quale non sembra però propendere per l’applicazione diretta dell’art. 1440 c.c. alla fattispecie, ma piuttosto invocare tale norma per dimostrare la cittadinanza nel nostro ordinamento del «binomio risarcimento/validità del contratto»: se esso è ammissibile per la violazione di una clausola generale come quella di buona fede e correttezza, a fortiori dovrebbe esserlo se è una regola specifica a essere infranta nella fase precontrattuale, come avviene appunto nel caso dei contratti a valle di illeciti anti- concorrenziali.
92 CGCE, 20 settembre 2001, Courage Ltd c. Xxxxxxx Xxxxxx, C-453/99, EU:C:2001:465, in Foro it., 2002, IV, 71 ss., con note di X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX, Intesa illecita e risarcimento a favore di una parte: “chi è causa del suo mal… si lagni e xxxxxx i danni», X. XXXXXXXX, Xxxxx da intesa anticoncorrenziale per una delle parti dell’accordo: il punto di vista del giudice italiano, X. XXXXX, ”Take Courage”! La Corte di giustizia apre nuove frontiere per la risarcibilità del danno da illeciti antitrust; in Corr. giur., 2002, 456 ss., con nota di X. XXXXXXXXX, Intese obtorto collo e risarcibilità del danno: le improbabili acrobazie dell’antitrust comunitario; in Europa e dir. priv., 2002, 791 ss., con nota di A. DI MAJO, Il risarcimento da adempimento del contratto. In tale sentenza, la Corte ha stabilito che a un’impresa che ha partecipato a un’intesa anticoncorrenziale non è precluso il diritto di chiedere il risarcimento dei danni subiti per effetto di tale intesa (§ 36).
93 CGCE, 13 luglio 2006, Xxxxxxxx Xxxxxxxx x. Xxxxx Adriatico Assicurazioni SpA, cause riu- nite C-295/04 a C-298/04, EU:C:2006:461, in Nuova giur. civ. comm., 2007, 634 ss., con nota di X. XXXXXXXXXX, Dalla Corte di Giustizia nuovi spunti di riflessione per una tutela effettiva del consu- matore vittima di pratiche anticoncorrenziali; in Concorrenza e mercato, 2005, 291 ss., con nota di X. XXXXXXXXXXX, La Saga RC Auto rimane (per ora) una questione tutta italiana; in Il diritto dell’Unione Europea, 2007, 305 ss., con nota di X. XXXXXXXX, Consumatori e concorrenza: le questioni irrisolte nella causa Xxxxxxxx. In questo arresto la Corte ha stabilito che «chiunque ha il diritto di chiedere il risarcimento del danno subito quando esiste un nesso di causalità tra tale danno e un’intesa o pratica vietata dall’art. 81 CE» (§ 61), in quanto, in caso contrario, l’effetto utile del divieto stabilito da tale norma sarebbe pregiudicato.
concorrenza dell’Unione europea e degli Stati membri. La Direttiva è stata recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3.
Dell’impatto di tale novella sul diritto della concorrenza del nostro ordina- mento si terrà conto nell’analisi che costituirà oggetto del prossimo capitolo, ove si tenterà di verificare se i recenti sviluppi del diritto antitrust siano in grado di rendere di nuovo attuale l’antico dibattito sull’ammissibilità del controllo di contenuto sulle condizioni generali di contratto94.
94 Su cui v. supra, Cap. I, spec. § 2.
CAPITOLO III
LA PREDISPOSIZIONE DI CONTRATTI STAN- DARD COME ILLECITO ANTITRUST
SOMMARIO: 1. La differenza (apparente?) di disciplina tra condizioni generali di contratto imposte tramite intesa e tramite abuso di posizione dominante – 2. La fissazione di condizioni generali di contratto mediante intesa restrittiva della concorrenza: il pro- blema della standardizzazione dell’offerta normativa – 2.1. Standardizzazione produt- tiva e standardizzazione contrattuale – 2.2. La standardizzazione dell’offerta norma- tiva nel contesto del diritto della concorrenza eurounitario – 2.3. Il caso delle fideius- sioni rilasciate sulla base di moduli standard ABI – 3. La predisposizione di condizioni generali di contratto come abuso di posizione dominante: il problema dell’abuso di sfruttamento – 3.1. Abusi di sfruttamento e abusi di esclusione – 3.2. Il caso Facebook e la sfida dei “Big Data” al diritto antitrust – 4. I labili confini tra abuso di posizione dominante e abuso di dipendenza economica – 5. I rimedi concessi avverso i contratti standard anticoncorrenziali – 5.1. La nullità virtuale per violazione del divieto sogget- tivo, imposto alle imprese dotate di potere di mercato, di stipulare contratti leciti sin- golarmente, ma anticoncorrenziali se riprodotti su larga scala – 5.2. Il rimedio alter- nativo disponibile: la necessità di distinguere, in punto di disciplina applicabile, tra prezzi e “altre condizioni contrattuali” – 5.3. Nullità parziale e riduzione teleologica
– 5.4. Alcune precisazioni conclusive: (i) condizioni generali di contratto “illegali” e “illecite” – 5.5. (ii) Intese “esentate” e conseguenze sui contratti standard a valle
1 La differenza (apparente?) di disciplina tra condizioni generali di con- tratto imposte tramite intesa e tramite abuso di posizione dominante
Nei capitoli precedenti si è dato conto, da una parte, delle tesi favorevoli a un controllo di contenuto sulle condizioni generali di contratto e, dall’altra, delle opinioni
dottrinali riguardo i contratti a valle di illeciti anticoncorrenziali. Nelle pagine succes- sive si cercherà di ricondurre a sintesi queste due – apparentemente slegate – questioni, per appurare se e in quali termini sia ammissibile un controllo sostanziale sui contratti standard attraverso l’applicazione della legislazione antimonopolistica.
Il punto di partenza è costituito dalle disposizioni che identificano come com- portamento anticompetitivo tipizzato l’imposizione di clausole contrattuali che la con- troparte non avrebbe accettato in un mercato non distorto da condotte illecite (artt. 101, para. 1, lett. a), ult. parte e 102, para. 2, lett. a), ult. parte, TFUE; artt. 2, co. 2, lett. a), ult. parte e 3, co. 1, lett. a), ult. parte, l. 287/1990).
Deve però essere preliminarmente osservato che, ad una disamina prima facie di queste norme, sembra essere previsto un differente standard of review a seconda che l’imposizione di condizioni contrattuale derivi da un’intesa restrittiva della con- correnza o da un abuso di posizione dominante. Nel primo caso, la fissazione di clau- sole è vietata tout court; nel secondo, solo qualora si traduca nella determinazione di condizioni non eque (TFUE) o ingiustificatamente gravose (l. 287/1990).
Il tema si collega a una più generale differenza di fondo che sussisterebbe tra le due fattispecie dell’intesa e dell’abuso di posizione dominante: in particolare, men- tre l’intesa restrittiva della concorrenza è soggetta a esenzione dall’applicazione del divieto – ex lege, a seguito della “modernizzazione” del diritto antitrust eurounitario messa in atto con il Regolamento 1/2003/CE – nel caso in cui conduca a guadagni di efficienza per il sistema, il comportamento abusivo è di per sé connotato da una tale riprovevolezza da non essere mai esentabile.
La dottrina più attenta osserva però che le due figure sono in un rapporto di continuità tra loro: infatti, anche l’abuso di posizione dominante è soggetto a una va- lutazione sugli effetti pregiudizievoli della condotta per i consumatori e per il
canoni che permettono di distinguere tra intese vietate e intese esentate) non avverrà – come per le intese – ex post, ma ex ante: un giudizio positivo sugli effetti concorren- ziali di una condotta dell’impresa dominante precluderà la sua stessa qualificazione in termini di abuso2.
1 C. OSTI, Abuso di posizione dominante, in Enc. dir. – Xxxxxx, V, Milano, 2012, 1 ss., 5-22, evidenzia che non vi è unità di vedute, in dottrina e negli orientamenti applicativi di Commissione e Corte di Giustizia, riguardo i criteri per identificare uno sfruttamento abusivo di posizione dominante. In particolare, l’A. identifica tre principali scuole di pensiero in argomento:
i. quella per cui è abusivo il comportamento che, in base a considerazioni di analisi economica, impedisce di massimizzare il total welfare o il consumer welfare (tale corrente si divide a sua volta in sotto-orientamenti che, nel tentativo di superare la vaga nozione di “benessere del consumatore, propone diversi criteri di individuazione dell’abuso, come i comportamenti che escludono un concorrente altrettanto efficiente o quelli che non avrebbero senso economico se non per la loro tendenza a ridurre o eliminare la competizione);
ii. quella per cui è abusivo il comportamento che mette a repentaglio il mantenimento della struttura concorrenziale del mercato;
iii. quella che riconduce l’abuso di posizione dominante ai concetti di slealtà professio- nale e di abuso del diritto.
A fronte di tale difformità di opinioni, X. XXXXXXXXX, Diritto della concorrenza…, cit., 306- 307, ritiene allora che il criterio capace di offrire il maggior grado di certezza applicativa è quello per cui la liceità dei comportamenti dell’impresa in posizione dominante dovrebbe dipendere dagli stessi elementi che giustificano l’esenzione delle intese dall’applicazione del divieto di cui all’art. 101 TFUE, come peraltro affermato in un Discussion Paper della Commissione del 2005 (cfr. Direzione generale Concorrenza, DG Competition discussion paper on the application of Article 82 of the Treaty to exclu- sionary abuses, Bruxelles, dicembre 2005, reperibile all’indirizzo xxxxx://xxxxxxx.xxx/x0x00xxx, 5: «if the conduct of a dominant company generates efficiencies and provided that all the other conditions of Article 81(3) are satisfied […] such conduct should not be classified as an abuse under Article 82 of the EC Treaty»).
2 X. XXXXXXXXX, Diritto della concorrenza…, cit., 270-274, il quale evidenzia anche come altre differenze strutturali tra le due fattispecie siano più apparenti che reali: il fatto che l’intesa sia ricondu- cibile ad almeno due imprese e l’abuso a una sola è una circostanza solo tendenziale, in quanto l’art. 102 TFUE contempla anche la posizione dominante collettiva; la necessità della sussistenza di un potere di mercato in capo all’impresa non è poi un proprium dell’abuso di posizione dominante, in quanto trova applicazione alle intese la c.d. regola de minimis, per la quale sono sottratte all’ambito di applica- zione dell’art. 101 TFUE le intese aventi un effetto insignificante sula concorrenza, tenuto conto del potere di mercato dei partecipanti (cfr. CGCE, 9 luglio 1969, Xxxxx Xxxx c. S.P.R.L. Ets X. Xxxxxxxxx, C-5/69, EU:C:1969:35; Commissione europea, Comunicazione della Commissione relativa agli ac- cordi di importanza minore che non determinano restrizioni sensibili della concorrenza ai sensi dell’ar- ticolo 101, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (comunicazione «de mini- mis»), in G.U.U.E., 30 agosto 2014, C 291; in argomento v. altresì X. XXXXXXX, Intese (diritto antitrust), in Enc. dir. – Xxxxxx, IX, Milano, 2016, 476 ss., 484-485).
posizione di condizioni generali di contratto posta in essere mediante attuazione di un’intesa restrittiva della concorrenza e quella praticata mediante abuso di posizione dominante debbano essere assoggettate a uno scrutinio antitrust almeno parzialmente differente.
Infatti, se si pensa alla fattispecie contigua della fissazione dei prezzi (elemento centrale delle disposizioni che proibiscono anche, quasi ad abundantiam, l’imposi- zione di altre condizioni contrattuali), si può notare che il cartello di price fixing non può che essere quasi inesorabilmente censurato, a prescindere dall’”equità” del prezzo imposto: esso, tra le altre cose, si frappone al raggiungimento dell’efficienza alloca- tiva, impedendo alle imprese di reagire ai mutamenti di domanda con innalzamenti o abbassamenti di prezzi, e ostacola il perseguimento dell’efficienza produttiva e dina- mica, rimuovendo gli incentivi all’innovazione che permetta di produrre la stessa quantità di output a un minor costo (e poter perciò offrire il bene a un prezzo inferiore dei competitors) o che consenta di migliorare la qualità del prodotto in modo tale da poter pretendere un prezzo più alto3.
Vi è però una differenza di disciplina tra le due ipotesi: mentre l’intesa restrittiva fa presumere l’illiceità della condotta, spettando alle imprese interessate l’onere di provare la sussistenza delle con- dizioni di esenzione di cui all’art. 101 para. 3 TFUE (v. art. 2, para. 1, secondo periodo, Regolamento 1/2003/CE), non si riscontra un analogo meccanismo presuntivo nello statuto normativo dell’abuso, in quanto non è vietato di per sé ricoprire una posizione dominante, ma solo (appunto) il suo abuso, della cui relativa prova sarà onerata l’autorità procedente. Per questo motivo l’A. conclude che «il confronto fra le due disposizioni dell’art. 101 e dell’art. 102 porta a dire che il comportamento coordinato e con- sapevole di due o più imprese è trattato dall’ordinamento – almeno sul piano formale – in maniera più severa di quanto avvenga per il comportamento unilaterale di un’impresa, ancorché dotata di potere di mercato» (pp. 272-273).
3 Cfr. X. XXXXXXX, Intese…, cit., 485: «Tra le intese orizzontali normativamente disciplinate si annoverano, innanzitutto, gli accordi di fissazione dei prezzi, ovvero i cartelli. Sono queste le intese sanzionate con maggiore severità, in quanto conducono all’uniformazione dei prezzi praticati, laddove, invece, la rivalità sui prezzi costituisce lo strumento concorrenziale per eccellenza». Anche M. LIBER- TINI, Diritto della concorrenza…, cit., 165, si riferisce agli accordi orizzontali sui prezzi in termini di
«hard core restriction».
Anche la Commissione annovera gli accordi di fissazione dei prezzi tra i più pregiudizievoli per il commercio tra gli Stati membri: v ad es. Commissione europea, Comunicazione della Commis- sione relativa agli accordi di importanza minore…, cit., § 13, ove si escludono dalla “zona di sicurezza”
Se la fissazione di prezzi mediante intesa è allora uno dei casi meno problema- tici nel diritto antitrust, l’abuso di posizione dominante che si concretizzi nell’imposi- zione di prezzi eccessivi è – paradossalmente – una delle ipotesi più controverse, stante la delicatezza della valutazione circa l’”eccessività” del prezzo praticato dall’impresa dominante. Secondo le voci critiche, nell’applicare questa fattispecie l’autorità garante finirebbe per svolgere un’impropria funzione di regolazione amministrativa dei mer- cati, senza peraltro possedere la competenza specialistica di cui sono dotate le Autho- rities di settore.
Anche con specifico riferimento alle condizioni generali di contratto, i due il- leciti antitrust sembrano sollevare, come si vedrà nei prossimi paragrafi, questioni di- verse: l’intesa che abbia ad oggetto la fissazione di condizioni generali comuni tra le imprese partecipanti del mercato pone il problema della standardizzazione dell’offerta normativa; l’abusiva fissazione di condizioni generali eccessivamente gravose da parte dell’impresa in posizione dominante deve invece essere ricondotta alla più generale questione dei limiti di sindacabilità dell’abuso di sfruttamento.
2 La fissazione di condizioni generali di contratto mediante intesa restrittiva della concorrenza: il problema della standardizzazione dell’offerta nor- mativa
Quando un’intesa restrittiva della concorrenza ha ad oggetto l’adozione di con- dizioni generali uniformi tra le imprese partecipanti, viene eliminata la possibilità che esse competano offrendo ai loro clienti clausole più favorevoli di quelle dei rivali. Mutuando una dicotomia propria del diritto dei consumatori4, può dirsi che, se la
(safe harbour) prevista dalla Comunicazione le intese che hanno per oggetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza nel mercato interno, tra i quali vengono fatti rientrare innanzitutto proprio gli accordi che hanno per oggetto la «fissazione dei prezzi in caso di vendita dei prodotti a terzi».
4 È noto che, poiché ai sensi dell’art. 34 co. 2 c. cons. «la valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, né all’adeguatezza del
fissazione dei prezzi consiste nella standardizzazione dell’offerta economica, l’unifor- mazione delle condizioni generali di contratto costituisce la standardizzazione dell’of- ferta normativa.
La predisposizione unilaterale di condizioni generali rappresenta già di per sé un’armonizzazione della regolamentazione contrattuale tra tutti i clienti di un’impresa; quando più imprese si accordano per applicare nei propri rapporti gli stessi formulari, tale effetto uniformante viene esponenzialmente amplificato. Queste intese sono state perciò efficacemente definite come «standardizations of standards»5.
2.1 Standardizzazione produttiva e standardizzazione contrattuale
Il problema della standardizzazione dell’offerta normativa è stato di rado preso in considerazione dagli interpreti; nondimeno, il diritto antitrust si è spesso occupato dell’adozione, tra produttori operanti nello stesso settore, di standard comuni relativi a certe caratteristiche dei prodotti offerti. Dalle soluzioni proposte per questo tipo di casi possono pertanto ricavarsi utili indicazioni per la corretta impostazione della que- stione in esame.
Tradizionalmente, si distingue tra standard di qualità e standard di interopera- bilità. Con i primi, le imprese si accordano affinché vengano rispettati nella produzione determinati livelli minimi di qualità6. I secondi costituiscono invece regole condivise riguardanti certe caratteristiche tecniche dei prodotti, che permettono che essi possano
corrispettivo dei beni e dei servizi», si suole dire che rientrano tra le clausole vessatorie ai sensi dell’art. 33 co. 1 c. cons. solo quelle caratterizzate da squilibrio normativo, non economico: v. ad es. X. XXXXX- GHI, Diritto dei consumatori…, cit., 265.
5 M. R. XXXXXXXXX, Standardization of Standard-Form Contracts: Competition and Contract Implications, in Xxxxxxx & Xxxx Xxx Review, 2010, 327 ss., 339. Cfr. anche ivi, 332, ove si afferma che tali accordi di uniformazione delle condizioni generali di contratto tra imprese operanti nello stesso settore pongono in essere «a second layer of standardization».
6 X. XXXXXXXXX, Diritto della concorrenza…, cit., 177, ove si fa l’esempio degli standard diffusi nel settore agroalimentare (denominazione di origine protetta, marchi collettivi di qualità, etc…).
tipi di standardizzazione sono visti generalmente con favore dalla Commissione, che ne riconosce i possibili effetti pro-competitivi8. Tuttavia, si riconosce che essi possono anche produrre conseguenze negative per la concorrenza, riducendo o eliminando la concorrenza sui prezzi9, limitando lo sviluppo tecnico e l’innovazione10, o preclu- dendo di fatto a determinate imprese l’accesso ai risultati del processo di definizione dello standard11.
Allo stesso modo, la standardizzazione delle condizioni generali di contratto tra le imprese operanti nello stesso settore può produrre guadagni di efficienza, ma anche condurre a restrizioni della concorrenza e a un peggioramento della qualità dell’offerta complessiva del mercato.
7 Ivi, 178: è il caso ad es. delle porte dei PC per l’inserimento chiavi USB, o delle quantità standard di distribuzione delle bevande (come la lattina da 33 cl o la bottiglia di birra da 66 cl).
8 Cfr. Commissione europea, Linee direttrici sull’applicabilità dell’art. 101…, cit., § 263 ss. Si dà atto del fatto che questo tipo di intese (definite «accordi di normazione») hanno non di rado effetti economici positivi, in quanto «promuovono la compenetrazione economica sul mercato interno» e «fa- voriscono lo sviluppo di prodotti/mercati nuovi e migliorati e di migliori condizioni d’offerta» (§ 263). In particolare, gli standard di interoperabilità riducono i costi di transazione e abbassano le barriere all’entrata nei mercati, permettendo alle imprese di competere sulla base dei meriti senza che siano favorite le sole imprese il cui prodotto è compatibile con un altro prodotto complementare di uso pre- valente; gli standard di qualità favoriscono la scelta del consumatore e possono facilitare l’innovazione, permettendo alle imprese di basarsi sulle soluzioni condivise (§ 308).
Sui guadagni di efficienza prodotti dall’adozione di standard di qualità e di interoperabilità si veda anche M. R. XXXXXXXXX, Standardization of Standard-Form Contracts…, cit., 342 ss. il quale sottolinea che gli standard di interoperabilità generano il c.d. network effect, ossia l’incremento di valore di un bene per il fatto che molte persone lo usano (si pensi ai telefoni o a Internet). In argomento, v. anche M. A. XXXXXX – D. XXXXXXX, Legal Implications of Network Economic Effects, in California Law Review, 1998, 479 ss.
9 Commissione europea, Linee direttrici sull’applicabilità dell’art. 101…, cit., § 265, ove si sottolinea che gli incontri di definizione degli standard condivisi si prestano a diventare occasione per l’instaurazione di collaborazioni collusive.
10 Ivi, § 266. In particolare la scelta di una certa tecnologia come “standard”, le tecnologie alternative devono affrontare una barriera all’ingresso, rischiando l’esclusione dal mercato. Tale rischio di limitazione dell’innovazione è accentuato se determinate imprese sono escluse ingiustificatamente dal processo di definizione dello standard.
11 Ivi, § 268. È il caso in cui, al fine di adottare uno standard, sia necessario ottenere in licenza un diritto di proprietà industriale. I diritti di proprietà industriale potenzialmente rilevanti per l’applica- zione dello standard dovrebbero essere divulgati prima della definizione di quest’ultimo.
una significativa riduzione dei costi di transazione. Se le clausole accessorie del con- tratto sono uniformi tra le diverse imprese che offrono lo stesso bene o servizio, è più agevole per il consumatore confrontare gli elementi essenziali del prodotto (come il prodotto e le qualità fondamentali), senza dover faticosamente soppesare se, ad esem- pio, una limitazione di responsabilità particolarmente estesa giustifichi o meno il prezzo inferiore alla concorrenza12. Inoltre, l’adozione generalizzata di identiche
12 M. R. XXXXXXXXX, Standardization of Standard-Form Contracts…, cit., 342. V. anche X. XXXX – X. XXXXX, The Hidden Roles of Boilerplate and Standard-Form Contracts: Strategic Imposition of Transaction Costs, Segmentation of Consumers and Anticompetitive Effects, in Michigan Law Re- view, 2006, 983 ss., 987, ove si sottolinea che la standardizzazione rende più agevole per i consumatori cambiare venditore da cui acquistano, in quanto non devono incorrere nel costo di transazione di leggere e comprendere clausole contrattuali diverse. X. XXXXXXXXXXX, Cooperation and Competition Regar- ding Standard Contract Terms in Consumer Contracts, in European Business Law Review, 2006, 49 ss., 56-57, sottolinea che una parziale restrizione della concorrenza, operata mediante un accordo di standardizzazione di clausole di minore importanza, può paradossalmente beneficiare i consumatori, facilitando il paragone tra le clausole principali, specie in contratti complessi come le polizze assicura- tive.
La standardizzazione delle clausole contrattuali è considerata positivamente anche dai redattori di una proposta di Restatement del diritto dei contratti dei consumatori, promossa dall’American Law Institute: «The use of standardization in the production of contract terms is, like standardization in the production of goods and services, a source of potential benefits to consumers and business alike. Stand- ardization support efficient production and distribution, resulting in lower prices and lower transaction costs, and the introduction of new forms of products and services» (THE AMERICAN LAW INSTITUTE, Restatement of the Law – Consumer Contracts, Tentative Draft, 2019, § 2, 35). Per questo ed altri motivi (in particolare, il fatto che le ricerche empiriche dimostrano che i consumatori non leggono le condizioni generali e che comunque le corti dichiarano non azionabili le clausole eccessivamente squilibrate), il Restatement prevede che i consumatori siano vincolati alle condizioni generali anche se non hanno acconsentito alle specifiche clausole, ma solo all’operazione economica complessiva.
Su tale scelta normativa esprime le proprie riserve X. XXXXXXX, Business First. A Comment on the Adoption of Standard Terms under the American Restatement of the Law Consumer Contracts from a European Union Perspective, in European Review of Contract Law, 2019, 130 ss., 146, il quale critica la mancata previsione nel Restatement del requisito della comprensibilità delle clausole, che, se anche non giova al consumatore che non si curi di leggere le condizioni generali, facilita comunque la possi- bilità che questi si renda conto dell’iniquità della clausola in fase di esecuzione del contratto e si attivi per far valere giudizialmente i suoi diritti. Sul progetto di Restatement si vedano anche i commenti di:
X. XXX-XXXX – X. XXX-XXXXXX – X. XXXXXXX-XXXXXXX, The American Law Institute’s Restatement of Consumer Contracts: Reporters’ Introduction, ivi, 91 ss.; X. XXXXXX-XXXXX, Incorporation of Stand- ard Contract Terms on Websites, ivi, 103 ss.; X. XXXXXXXXX, A Modern Standard Contract Terms Law from Reasonable Assent to Enhanced Fairness Control – A View on Digital Environments and Post-Transaction Assent, ivi, 148 ss.; X. XXXXX XXXXX, Core Versus Non-Core Terms and Legal Con- trols over Consumer Contract Terms: (Bad) Lessons from Europe?, ivi, 177 ss.; A. L. SIBONY,
condizioni generali può incrementare il valore del contratto, in quanto aumenta la pos- sibilità che esso sia soggetto a interpretazione uniforme dagli uffici giudiziari e per- tanto ne aumenta la certezza e la prevedibilità nella fase esecutiva13.
Non deve però essere trascurato il rischio che la standardizzazione dei formu- lari possa avere ripercussioni negative sull’efficienza del sistema. Infatti, l’uniforma- zione comporta necessariamente una limitazione della facoltà di scelta dei consuma- tori14, ostacolando così il processo di scoperta delle preferenze di utenti e consumatori, che si può realizzare solo preservando la struttura concorrenziale del mercato15. Inol- tre, il network effect dell’incremento di valore delle condizioni generali a motivo della loro adozione standardizzata può tradursi in una barriera all’entrata per nuove imprese che si affaccino al mercato16.
Si ritiene perciò che un’intesa avente ad oggetto l’uniformazione delle condi- zioni generali di contratto possa superare indenne lo scrutinio antitrust solamente se ha ad oggetto clausole ancillari e di rilievo secondario nell’operazione economica complessiva: solo se l’accordo ha ad oggetto patti di minore importanza si potrà infatti ritenere che gli effetti anticoncorrenziali prodotti dall’intesa siano controbilanciati dalla riduzione dei costi di transazione nella valutazione comparativa dei prodotti of- ferti dalle imprese operanti sul xxxxxxx00.
European Unfairness and American Unconscionability: A Letter From a European Lawyer to American Friends, ivi, 195 ss.
13 M. E. XXXXXXXX, Contra proferentem: The Allure of Ambiguos Boilerplate, in Michigan Law Review, 2006, 1105 ss., 1112, ove l’incremento di valore connesso al consolidamento di un’inter- pretazione giurisprudenziale uniforme delle condizioni generali di contratto viene descritto in termini di «network effect».
14 M. R. XXXXXXXXX, Standardization of Standard-Form Contracts…, cit., 344.
15 X. XXXXXXX, Antitrust…, cit., 153.
16 M. R. XXXXXXXXX, Standardization of Standard-Form Contracts…, cit., 344, ove si eviden- zia che i consumatori sarebbero probabilmente riluttanti ad abbandonare le imprese che utilizzano il form standardizzato in favore di un nuovo competitor munito di condizioni generali magari migliori, ma dall’applicazione incerta a causa dell’assenza di una loro interpretazione consolidata.
17 Ivi, 364. L’A. osserva poi (pp. 367-368) che, sebbene l’inclusione di una clausola iniqua potrebbe in astratto costringere il venditore ad abbassare il prezzo per non perdere clienti, ciò presup- pone che il mercato sia fortemente competitivo e che le imprese si facciano una vigorosa concorrenza