CONFERENZA PERMANENTE
CONFERENZA PERMANENTE
PER I RAPPORTI TRA LO STATO, LE REGIONI
E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E DI BOLZANO
INTESA 26 ottobre 2017.
Intesa, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le regioni e le Province au- tonome di Trento e di Bolzano sul documento recante «Piano per l’innovazione del sistema sanitario basata sulle scienze omiche». (Rep. Atti n. 176/CSR).
LA CONFERENZA PERMANENTE
PER I RAPPORTI TRA LO STATO, LE REGIONI
E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E DI BOLZANO
Nella odierna seduta del 26 ottobre 2017:
Visto l’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, il quale prevede che il Governo può promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-regioni, dirette a favorire l’armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni;
Vista l’Intesa sancita in questa Conferenza il 29 aprile 2010 (Rep. Atti n. 63/CSR) concernente l’approvazio- ne del Piano nazionale della prevenzione per gli anni 2010-2012, il quale nell’allegato 2 identifica, tra le azioni da realizzare, la predisposizione di un Protocollo di utilizzo della Public health genomics col significato strategico di
«garantire la realizzazione delle politiche fornendo strumenti per realizzare la programmazione»;
Vista l’Intesa sancita in questa Conferenza il 10 febbraio 2011 (Rep. Atti n. 21/CSR) sul «Documento tecnico di indirizzo per ridurre il carico di malattia del cancro per gli anni 2011-2013» e l’Intesa del 30 ottobre 2014 (Rep. Atti
n. 144/CSR) che ne proroga la validità al triennio 2014-16;
Vista l’Intesa sancita in questa Conferenza il 13 marzo 2013 (Rep. Atti n. 62/CSR) recante «Linee di indirizzo sulla genomica in sanità pubblica», avente lo scopo di rendere concretamente utilizzabile la conoscenza della genomi- ca in modo utile ai destinatari e compatibile con il sistema sanitario;
Vista la nota del 13 luglio 2017, con la quale il Ministero della salute ha trasmesso il documento in argomento, diramato tempestivamente alle regioni dall’ufficio di segreteria di questa Conferenza;
Visti gli esiti della riunione tecnica tenutasi il 13 ottobre 2017, nel corso della quale i rappresentanti regionali hanno consegnato un documento di osservazioni condiviso dai rappresentanti del Ministero della salute;
Vista la nota del 20 ottobre 2017, con la quale l’ufficio di segreteria di questa Conferenza ha diramato il testo definitivo del documento in argomento, trasmesso dal Ministero della salute con nota del 19 ottobre 2017, alle regioni ed alle Province autonome di Trento e Bolzano con richiesta di assenso tecnico, pervenuto con nota del 24 ottobre 2017;
Acquisito l’assenso del Governo, delle regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano;
Sancisce intesa tra il Governo, le regioni e Province autonome di Trento e Bolzano sul documento recante «Pia- no per l’innovazione del sistema sanitario basata sulle scienze omiche» che, allegato al presente atto, all. sub A), ne costituisce parte integrante;
Premesso che:
la Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’ap- plicazioni della biologia e della medicina: «Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina Oviedo, 4 aprile 1997» al cap. 4, art. 11 sancisce che ogni forma di discriminazione nei confronti di una persona in ragione del suo patrimonio genetico è vietata e all’art. 12 che non si potrà procedere ai test predittivi di malattie genetiche che per- mettano sia di identificare il soggetto come portatore di un gene responsabile di una malattia sia di rivelare una predi- sposizione o una suscettibilità genetica a una malattia se non a fini medici o di ricerca medica, e sotto riserva di una consulenza genetica appropriata;
l’accordo tra il Ministero della salute, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano del 15 luglio 2004, Repertorio Atti n. 2045, recante: «Linee guida per le attività di genetica medica» ha la funzione di razionalizzare le attività di genetica medica;
l’Accordo sancito in questa Conferenza il 26 novembre 2009 «Attuazione delle linee guida per le attività di genetica medica» stabilisce di promuovere ed adottare percorsi diagnostico-assistenziali aderenti a linee guida scien- tificamente validate che prevedano un’adeguata consulenza genetica pre e post test ed una comprensiva ed esaustiva
informazione ai pazienti e ai familiari e di avviare una programmazione delle attività di genetica che definisca la di- stribuzione territoriale ottimale, le caratteristiche delle strutture accreditate ed il loro adeguato assetto organizzativo, al fine di concentrare la casistica presso strutture e operatori che garantiscano un adeguato volume di attività associato ad un costante aggiornamento delle conoscenze e delle tecnologie;
Considerato che:
il Piano nazionale della prevenzione 2010-2012 ha identificato al punto 2.4 la medicina predittiva come una delle quattro macroaree rispetto alle quali il Ministero della salute e le regioni si sono impegnate ad intervenire, for- nendo in tal senso indicazioni cogenti per realizzare un nuovo approccio alla prevenzione ponendo la persona al centro del progetto di salute attraverso l’utilizzo appropriato, etico ed efficace dei test genetici in prevenzione;
il decreto del Ministro della salute 4 agosto 2011 recante «Adozione del documento esecutivo per l’attuazione delle linee di supporto centrali al Piano nazionale della prevenzione 2010-2012» definisce le azioni centrali prioritarie attuative del Piano nazionale della prevenzione per gli anni 2010-2012 e, nel considerare la genomica tra le azioni prioritarie, ha previsto nell’ambito delle azioni centrali di prevenzione un «Protocollo di Public health genomics»;
il «Documento tecnico di indirizzo per ridurre il carico di malattia del cancro», di cui alle predette Intese, nel rilevare l’importanza della genomica nell’ambito della prevenzione oncologica, nell’identificare una serie di problemi ancora aperti (tra i quali: comunicazione, trasparenza, etica, leggi; assicurazione di qualità dei servizi ai pazienti; azio- ni regolatorie di implementazione), pone l’esigenza di un Piano nazionale di Public health genomics;
le conclusioni del Consiglio della Comunità europea «Council conclusions on personalised medicine for pa- tients, adopted by the Council at its 34th meeting held on 7 December 2015» invitano gli Stati membri a:
sostenere, come opportuno e in base alle disposizioni nazionali, l’accesso a una medicina personalizzata efficace dal punto di vista clinico e finanziariamente sostenibile sviluppando politiche orientate sui pazienti che con- templino anche, se del caso, la responsabilizzazione dei pazienti e l’integrazione dei loro punti di vista nello sviluppo dei processi di regolamentazione, in cooperazione con le organizzazioni di pazienti ed altri soggetti interessati;
far uso dell’informazione genomica per integrare i progressi della genomica umana nella ricerca, nelle po- litiche e nei programmi relativi alla sanità pubblica, nel rispetto delle vigenti disposizioni nazionali sui dati personali e la genomica;
elaborare o potenziare, ove necessario, strategie di comunicazione sulla sanità pubblica basate su dati di- sponibili, obiettivi, equilibrati e non promozionali per sensibilizzare maggiormente il pubblico riguardo ai vantaggi e ai rischi della medicina personalizzata, così come il ruolo e i diritti dei cittadini, sostenendo in tal modo un corretto accesso ai metodi diagnostici innovativi e a terapie più mirate;
mettere in atto strategie di informazione e di sensibilizzazione per i pazienti basate su dati disponibili, obiet- tivi, equilibrati e non promozionali al fine di migliorare l’alfabetizzazione sanitaria e l’accesso a informazioni affida- bili, pertinenti e comprensibili sulle opzioni terapeutiche esistenti, compresi i benefici attesi ed i rischi, permettendo in tal modo ai pazienti di cooperare attivamente con gli operatori sanitari nella scelta delle strategie terapeutiche più adeguate;
offrire opportunità di istruzione, formazione e sviluppo professionale continuo agli operatori sanitari al fine di dotarli delle conoscenze, abilità e competenze necessarie per sfruttare al meglio i benefici che la medicina persona- lizzata arreca ai pazienti ed ai sistemi di assistenza sanitaria;
incoraggiare la cooperazione nella raccolta, condivisione, gestione e adeguata standardizzazione dei dati necessari per una ricerca efficace sulla medicina personalizzata e per lo sviluppo e l’applicazione di tale medicina, in conformità con le norme relative alla protezione dei dati;
promuovere l’interazione interdisciplinare, in particolare tra gli esperti di genetica, nell’uso delle metodo- logie statistiche, della bioinformatica, dell’informatica sanitaria e dell’epidemiologia, e tra gli operatori sanitari, onde garantire una migliore comprensione dei dati disponibili, una più efficiente integrazione e interpretazione delle infor- mazioni provenienti da fonti multiple e decisioni appropriate sulle opzioni terapeutiche;
sviluppare le procedure volte a valutare l’impatto della medicina personalizzata, in particolare le procedu- re di valutazione delle tecnologie sanitarie (HTA), o adeguarle, ove necessario, alla natura specifica della medicina personalizzata, tenendo conto, tra l’altro, del valore aggiunto costituito dal punto di vista dei pazienti, nonché di una più ampia cooperazione e dello scambio di migliori pratiche, nel pieno rispetto delle competenze degli Stati membri;
riconoscere il potenziale delle biobanche basate su dati clinici e di popolazione per accelerare la scoperta e lo sviluppo di nuovi prodotti medicinali; sostenere la standardizzazione e la messa in rete delle biobanche per combi- nare e condividere le risorse, nel rispetto delle norme sulla protezione dei dati;
valutare l’eventuale scambio di informazioni e migliori pratiche all’interno delle sedi esistenti, cosa che potrebbe contribuire sia ad un accesso adeguato dei pazienti a farmaci personalizzati, sia alla sostenibilità dei sistemi sanitari;
prendere in considerazione lo sviluppo di approcci strategici a lungo termine e orientati sul paziente per far fronte, in un’ottica incentrata sulla sanità pubblica, alle sfide connesse con l’accesso alla medicina personalizzata, garantendo al tempo stesso la sostenibilità dei sistemi sanitari nazionali e nel pieno rispetto delle competenze degli Stati membri;
scambiare le migliori pratiche nel campo della medicina personalizzata e facilitarne l’impiego appropriato nella pratica sanitaria;
il decreto del Ministro della salute del 25 gennaio 2016 recante «Adozione del documento di indirizzo per l’attuazione delle linee di supporto centrali al Piano nazionale della prevenzione 2014-2018», nel considerare la ge- nomica tra le azioni prioritarie, ha previsto un’azione di «Pianificazione nel campo della genomica» (Azione A.1.7) e che tale azione:
tiene in conto quanto definito dalla citata Intesa del 13 marzo 2013 al fine di incorporare la Public health genomics nel sistema sanitario costruendo una capacità di sistema e impostando una governance adeguata;
identifica la necessità di ulteriori necessari interventi di «potenziamento della capacità di governo» e se- gnatamente: rendere normativamente agevole il data-sharing, comprensivamente della normazione per la privacy e regolamentare l’acquisto on-line dei test genetici (in collaborazione con gli altri Paesi europei);
definisce di dovere affiancare alla linea strategica di cui alla citata Intesa del 13 marzo 2013, una linea strategica per l’innovazione del sistema stesso, mediante un atto di pianificazione che integri: la genesi della nuova conoscenza (in particolare mediante l’interrogazione del Big Data); la fruibilità della conoscenza (nei suoi aspetti teorici e pratici); la definizione del processo sanitario» (sequenza degli atti tecnico-professionali evidence-based per raggiungere l’obiettivo di salute) per l’adeguamento dell’organizzazione; l’erogazione del servizio; la valutazione; la ricerca e l’utilizzo di tecnologie innovative (anche mediante accordi pubblico-privato ed iniziative di start-up;
porti alla definizione di un «documento di pianificazione»;
Si conviene:
Art. 1.
Si recepisce il documento recante «Piano per l’innovazione del sistema sanitario basata sulle scienze omiche», che, allegato al presente atto, ne costituisce parte integrante. Le regioni si impegnano a recepire obiettivi, azioni e indicatori sintetizzati nel capitolo 9 per delineare le modalità con cui l’innovazione della genomica si debba innestare nel Servizio sanitario nazionale negli ambiti della prevenzione, diagnosi e cura, conseguentemente ai risultati degli interventi di responsabilità centrale.
Le azioni previste nel capitolo 9, con particolare riferimento alla definizione di PDTA, piani di implementazione, registri e regolamenti, andranno adottate mediante intesa da sancire in questa Conferenza.
Art. 2.
Il Centro nazionale per la prevenzione ed il controllo delle malattie contribuisce alla realizzazione del Piano per l’innovazione del sistema sanitario basata sulle scienze omiche prevedendo specifiche aree di intervento all’interno dei programmi annuali di attività, a sostegno delle attività di sviluppo previste nel documento in allegato.
Art. 3.
L’Istituto superiore di sanità concorre nell’ambito dei suoi finanziamenti ordinari alle attività previste riconduci- bili al suo ruolo istituzionale.
Art. 4.
Alle attività previste dalla presente Intesa si provvede nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Roma, 26 ottobre 2017
Il Presidente: BRESSA
Il segretario: XXXXXX
All. sub A)
TITOLO
PIANO PER L’INNOVAZIONE DE L SISTEMA SANITARIO BASAT A SULLE SCIENZE OMICHE
INDICE |
PARTE PRIMA |
1. Introduzione: perché questo Piano? |
a. Il contesto programmatorio |
b. Vision, principi, struttura e obiettivi generali |
2. Basi scientifiche e concettuali delle tecniche omiche |
PARTE SECONDA |
3. La genomica nella diagnosi |
a. Malattie Mendeliane |
b. Malattie Complesse e multifattoriali |
c. Tumori i. Mutazioni germinali ii. Mutazioni somatiche |
4. La prevenzione personalizzata |
a. Test Pre-concezionali |
b. Test Prenatali 1. NIPT 2. La diagnosi prenatale genomica (NGPD) |
c. Screening Neonatale ed Approcci genomici |
d. Test postnatali per: |
1. Malattie Mendeliane |
2. Malattie Complesse |
i. Concetti generali ii. Malattie cardiovascolari multifattoriali |
3. Tumori i. Mutazioni germinali per tumori ereditari 1. Tumore della mammella 2. Sindrome di Xxxxx ii. Mutazioni germinali per suscettibilità a tumori 1. Cancro alla Prostata iii. Mutazioni somatiche |
5. La genomica nella terapia |
a. Risposta ai farmaci e farmaco genomica |
b. Terapia personalizzata dei tumori |
6. Funzione di governo centrale e azioni di supporto alla implementazione del piano |
7. Indicazioni per la ricerca e l’innovazione |
8. Approfondimenti |
a. Aspetti etici degli approcci genomici |
b. Test genetici diretti al consumatore |
c. L’omica batterica |
d. Test post-natali per le malattie cardiache mendeliane |
e. Valutazioni economiche |
9. Obiettivi e Raccomandazioni |
10. Glossario ed acronimi |
PARTE PRIMA
CAPITOLO 1
Introduzione: perché questo Piano?
• La finalità. I progressi nell’ambito della genomica hanno implicazioni evidenti e cruciali per la salute pubblica; tali conoscenze permettono infatti di riconoscere più facilmente le basi genetiche delle malattie ereditarie ed offrono l’opportunità di differenziare, all’interno delle popolazioni, individui e gruppi maggiormente suscettibili di sviluppare determinate condizioni, e questo con modalità nuove rispetto a quelle tradizionalmente usate dai professionisti di sanità pubblica. Nonostante la genomica abbia visto uno sviluppo notevole nell’ultimo decennio, ed un progresso ancora più rapido sia atteso nel prossimo futuro, fino ad oggi il suo impatto sulle politiche sanitarie è stato limitato. Questo atto di pianificazione nasce quindi dalla esigenza di integrare la sempre maggiore disponibilità di strumenti sofisticati nel settore delle scienze genomiche con le pratiche correnti di sanità pubblica. Nello specifico, la finalità del piano è delineare le modalità con cui l’innovazione nel settore della genomica si debba innestare nel SSN negli ambiti della prevenzione, diagnosi e cura, in un’ottica di efficacia (evidence-based) e di sostenibilità (cost-effectiveness) del SSN ai fini del miglioramento della salute dell’individuo e della popolazione.
Il Piano si inserisce in una strutturazione di ‘governance’ e ‘capacità di sistema’ che da un lato si basa su e valorizza iniziative già in corso (es. progetti supportati dal Ministero della Salute ed altri Enti Finanziatori), e dall’altro necessita di una pianificazione adeguata a livello nazionale (interventi legislativi).
• Lo scenario. I sistemi sanitari di tutto il mondo stanno affrontando una fase cruciale e delicata, caratterizzata da un’elevata pressione finanziaria che rischia di minare la sostenibilità di tali sistemi. Per affrontare la sfida di questo scenario in evoluzione, i sistemi sanitari dovranno gestire tre nodi cruciali: ridare centralità al cittadino nel contesto del sistema; dare maggiore enfasi alle attività di prevenzione; riorganizzare radicalmente il servizio spostando le cure dall’ospedale al territorio. Tuttavia, nei report più recenti né la genomica né le scienze della vita sono state considerate e discusse come settori importanti per lo scioglimento di questi nodi. Si suggerisce quindi, in linea con recenti report di esperti, che questi punti critici vengano affrontati anche con l’ausilio delle conoscenze e dei principi della genomica, in virtù di una consapevolezza che negli ultimi anni sta maturando sempre di più su queste tematiche tra i professionisti di sanità pubblica. Nello specifico, la genomica ed altre innovazioni scientifiche possono inserirsi in un trend sociale già in atto, cioè la sempre maggiore centralità dell’individuo, per rendere la salute pubblica e l’assistenza sanitaria più efficaci ed efficienti. La presente proposta quindi si focalizza su un nuovo paradigma che guarda oltre la genomica di sanità pubblica, e che sia indirizzato ai mutevoli bisogni sanitari delle popolazioni. Questo nuovo paradigma dovrebbe fondarsi sui seguenti pilastri: la personalizzazione dell’assistenza sanitaria; l’adozione di nuove tecnologie, accanto a quelle genomiche, al fine di incrementare la conoscenza degli individui, del loro stato di salute e di malattia - includendo in particolare nuove tecnologie biomediche e digitali come l’imaging ed i sensori wireless -; lo sviluppo e l’integrazione di
una prevenzione personalizzata, come approccio complementare alle classiche pratiche esistenti in sanità pubblica; l’uso della connettività mobile e delle crescenti capacità computazionali al fine di generare grandi quantità di dati (big data) da utilizzare per il progresso della sanità e di altri settori. Questo nuovo approccio supera esplicitamente quello della genomica classica, e unisce quelli che possono apparire campi totalmente distanti tra loro al fine di fornire un approccio più olistico all’assistenza sanitaria.
• La sfida. Sarà essenziale affrontare alcune sfide, man mano che i progressi nel campo della genomica aprono nuove opportunità per il miglioramento della salute attraverso l’uso di applicazioni genomiche e strumenti per la valutazione della storia di salute delle famiglie. È infatti sempre più difficile per i comitati di esperti valutare in tempo reale e meticolosamente i benefici ed i possibili danni derivanti delle applicazioni genomiche e degli strumenti di valutazione del rischio, visto il loro rapido aumento. Sono quindi necessari dati nazionali validi ed affidabili per stabilire le misure di riferimento e per monitorare i progressi. Le classiche fonti di dati amministrativi dei sistemi sanitari probabilmente non sono ancora adeguate a questo scopo. Lo sviluppo di un programma sulla stregua di Healthy People potrebbe pertanto essere ostacolato dalla limitata disponibilità sia di raccomandazioni basate sull’evidenza sia di dati nazionali per monitorare i progressi.
• Lo sviluppo della genomica (e delle scienze ‘omiche’ in generale) non comporta solo conseguenze sul piano della salute e della medicina. Per sua stessa natura la genomica contribuisce alla (e si alimenta della) innovazione della IT, tanto che è considerata componente e “funzione” dei Big Data. Questo comporta delle conseguenze almeno nelle seguenti tre dimensioni, che quindi entrano per tale motivo in questo Piano come garanzia di governabilità per il sistema Paese dell’innovazione basata sulle scienze omiche:
o Norme e regole: l’innovatività degli scenari generati dalla ricerca omica, il carattere dei problemi posti, le esigenze nuove che scaturiscono dall’impetuoso sviluppo in questo campo, impongono un adeguamento del quadro di riferimento normativo. Ciò è evidente per la valutazione della conoscenza fruibile (con un ruolo per l’Health Technology Assessment) oppure per il governo della vendita direct to consumer, oppure per il data sharing (per rendere fattibile e governare tale cruciale fenomeno sia in Italia che nel contesto internazionale).
o Logistica: le esigenze poste dalla “interrogazione dei Big Data” definiscono la necessità di costruire una capacità di sistema che riesca a integrare le capacità super-computazionali disponibili in Italia ma anche a farle interagire con risorse di questo tipo in altri Paesi. Il networking in questo campo assume quindi la caratteristica di una soluzione logistica automa ma non autarchica che, a sua volta, è conditio sine qua non per produrre nuova conoscenza rispetto alle esigenze “di scala” peculiari delle scienze omiche.
o Innovazione: da un lato questo Piano intende acquisire all’interno del SSN le innovazioni culturali, scientifiche, tecnologiche ed erogative già in qualche modo acquisite dalla ricerca nelle scienze omiche. Intende anche promuovere le necessarie innovazioni congeniali alle caratteristiche di questo campo (per esempio tecnologie per rendere fruibili ai ‘medici di prossimità’ il corpus delle evidenze scientifiche effettivamente utilizzabili nel rapporto col
singolo paziente). Ma bisogna anche riconoscere una fondamentale questione che riguarda la necessità di assicurare al nostro Paese una dimensione di “innovazione continua”; in questo senso si deve riconoscere il legame specifico che lo sviluppo delle scienze omiche ha con la crescita economica. Pertanto, si tratta di attivare una capacità sistemica di “Ricerca e sviluppo” che garantisca tale prospettiva di crescita mediante un uso sistematico di concorsi di idee e bandi di start-up.
Considerazioni riguardo l’implementazione
• L’applicazione della genomica nell’assistenza sanitaria ha il potenziale di ridurre l’impatto delle malattie sulla salute della popolazione. Il successo sarà tanto maggiore quanto questa applicazione avverrà come naturale ampliamento e complemento dei tradizionali approcci di sanità pubblica.
• I professionisti che lavorano nel campo della salute pubblica e coloro che hanno ruoli di responsabilità nell’organizzazione del sistema sanitario hanno il compito di iniziare e facilitare il processo di implementazione al fine di assicurare un giusto equilibrio e di favorire la consapevolezza nei decisori politici.
• Per una corretta implementazione della medicina genomica è di importanza centrale l’educazione di professionisti, cittadini, decisori politici ed altri portatori di interesse.
1.a Il contesto programmatorio
I contenuti del presente Piano tengono conto in primo luogo e in senso generale degli assetti specifici del SSN ed in secondo luogo dei seguenti atti di pianificazione strategica internazionale e nazionale:
✓ WHO Global action plan for the prevention and control of non-communicable diseases 2013- 2020.
L’Italia ha sottoscritto l’obiettivo di ridurre, per il 2010, del 25% il rischio di mortalità prematura per malattie cardiovascolari, cancro, diabete e malattie respiratorie croniche. Come è evidente, questo obiettivo solleva potenzialmente il nostro sistema paese da un carico prevenibile di eventi morbosi e mortali, rafforzando il contributo da parte del servizio sanitario al sistema di welfare e rendendo questo più sostenibile, anche in relazione agli andamenti demografici tipici del nostro Paese. Questa caratteristica è, in modo particolare, attribuibile all’obiettivo sulla riduzione della mortalità prematura da malattie croniche non trasmissibili, pur essendo valorizzabili in tal senso anche gli obiettivi sulla riduzione degli effetti dell’inquinamento, delle alterazioni epigenetiche e delle malattie infettive.
✓ WHO The Human Genetic Programme.
La WHO ha definito una propria policy di indirizzo in questo campo. Essa è basata sulla necessità di utilizzare le potenzialità della genomica (e delle biotecnologie correlate) identificando interventi innovativi per raggiungere gli obiettivi di salute e mezzi costo-efficaci per la prevenzione, diagnosi e
cura delle malattie. Nello stesso tempo, è identificato come fondamentale considerare le implicazioni etiche, legali e sociali nonché potenziare la ricerca.
✓ European Union Council conclusions on personalized medicine for patients.
Riguarda la medicina personalizzata come “modello che utilizza la caratterizzazione del fenotipo e del genotipo degli individui per personalizzare la strategia terapeutica per la persona giusta al momento giusto, e/o per determinare la predisposizione alla malattia e/o per erogare tempestivamente interventi di prevenzione mirati”.
Invita gli Stati membri a sviluppare politiche centrate sul paziente e basate sull’uso delle informazioni genomiche, integrandole nei programmi di sanità pubblica e di ricerca e, nel contempo, assicurando l’adeguata valutazione delle nuove conoscenze e la sostenibilità del sistema sanitario nazionale. Le conclusioni, tra l’altro (v.), forniscono indicazioni sull’equità di accesso ai servizi, sull’approccio multidisciplinare, sul coinvolgimento degli stakeholders, sulla comunicazione, sulla formazione dei professionisti, sull’importanza dell’acquisizione di nuove conoscenze (biobanche ecc.) per lo sviluppo di nuove tecnologie.
✓ Intesa Stato Regioni e PPAA del 13/3/13 recante “ Linee di indirizzo sulla genomica in sanità pubblica” .
L’Intesa ha lo scopo di fornire, in modo sistematico e organico, indirizzi generali che consentano il governo di questa tematica - fortemente innovativa e strategica per il futuro del SSN - nell’ambito della sanità pubblica. A tale scopo vengono identificate le azioni finalizzate a definire una ‘capacità di sistema’ adeguata all’entità delle sfide che i progressi nelle scienze genomiche offrono e pongono al sistema sanitario.
✓ Intesa Stato Regioni e PPAA del 30/10/14 recante “ Documento Tecnico di indirizzo per ridurre il carico di malattia del cancro”
L’intesa, nel quadro delle azioni necessarie alla lotta contro il cancro, sottolinea l’importanza di sviluppare pienamente le potenzialità della genomica e della proteomica come definizione della suscettibilità individuale; ribadisce inoltre che, in relazione alla grande crescita di conoscenze genetiche nella ricerca di base e nell'applicazione agli individui, è emergente la necessità di governare lo sviluppo di tale ricerca, la valutazione della sua applicabilità nell'ambito del sistema sanitario, in particolare della prevenzione, e la costruzione di una rete per promuovere gli obiettivi della genomica a livello di popolazione.
✓ Piano Nazionale della Prevenzione 2014-18 (di cui all’intesa Stato regioni e PPAA del 13/11/14). Il PNP, nell’ambito della lotta alle malattie croniche non trasmissibili, identifica uno specifico obiettivo riguardante la prevenzione secondaria del tumore della mammella dovuto a rischio genetico (Definizione di percorsi diagnostico-terapeutici integrati con i programmi di screening).
✓ DM 13/2/16 Documento di indirizzo per l’attuazione delle linee di supporto centrali al Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018.
Il DM definisce due linee strategiche:
o una pianificazione finalizzata all’innovazione dell’erogazione dei servizi: si tratta di promuovere sistematicamente l’adeguamento dell’erogazione dei servizi con le acquisizioni della genomica soprattutto rispetto agli obiettivi già identificati dal PNP 2014-18 come maggiormente sfidanti per il sistema paese (innanzitutto, le malattie croniche non trasmissibili- macro-obiettivo 1). Tale linea strategica è sostanzialmente imperniata sul Consiglio Superiore della Sanità e in particolare sull’obiettivo assegnato al “Tavolo per la genomica” di proporre uno specifico atto di pianificazione;
o la promozione di una capacità di sistema, secondo le seguenti priorità: promuovere una autonoma ma non autarchica capacità di analisi dei Big data; rendere normativamente agevole il data-sharing, comprensivamente della normazione per la privacy; regolamentare l’acquisto on-line dei test genetici (in collaborazione con gli altri Paesi europei); definire un assetto di sistema delle valutazioni HTA applicate a questo campo; promuovere la literacy e il capacity building del mondo professionale e degli utilizzatori finali.
In definitiva, oltre allo scopo di valorizzare le acquisizioni della genomica innanzitutto a sostegno degli e in coerenza con gli obiettivi del PNP, si definisce quello di promuovere un complessivo innalzamento delle capacità di sistema di promuovere, governare e gestire il previsto impetuoso sviluppo delle conoscenze genomiche.
✓ “ Linee guida per le attività di Genetica Medica” approvate dalla Conferenza Permanente per i Rapporti fra Stato e Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano (G.U. n. 224 del 23.09.2004), che forniscono le indicazione per la corretta organizzazione e sviluppo delle attività di genetica medica. Successivamente, con proprio Decreto il Ministero della Salute (D.M. 8 Maggio 2007) ha costituito un’apposita Commissione Nazionale con il compito di dare attuazione alle suddette linee guida definendo i servizi di Genetica Medica e il loro ruolo nell’ambito del Servizio Sanitario Regionale, fissare i criteri per la certificazione e l’accreditamento istituzionale delle strutture di Genetica Medica, pianificarne le attività per l’utilizzo ottimale delle risorse del SSN e SSR da destinarvi, fornire indicazioni sul corretto utilizzo dei test genetici, determinare le forme di collegamento con la rete delle malattie rare, definire indicatori di valutazione economica, fissare regole sulla pubblicizzazione e sulla promozione dei test genetici e sulla consulenza genetica, procedere alla divulgazione di raccomandazioni basate sull’evidenza scientifica in tema di Genetica medica.
Nel successivo Accordo sull’ ”Attuazione delle linee guida per le attività di genetica medica” n.
241 del 26-11-2009, si sottolinea come i test genetici costituiscano un importante strumento diagnostico che prevede una valutazione clinica preliminare delle indicazioni ed una successiva interpretazione con il coinvolgimento non solo dell'individuo ma anche dei familiari, e si invitano le Regioni ad impegnarsi a promuovere ed adottare percorsi diagnostico-assistenziali aderenti alle linee guida nazionali.
1.b Vision, principi, struttura e obiettivi generali
Vision
Il presente Piano postula, all’interno dell’assetto istituzionale attuale e relativamente alle materie trattate, un SSN che vuole:
• essere pienamente consapevole della profonda, copernicana innovatività delle scienze ‘omiche’ per gli effetti possibili sulla salute degli individui e delle popolazioni, sull’innovazione tecnologica, sulla spinta propulsiva allo sviluppo dell’intero sistema Paese;
• esprimere una strategia di ‘governo dell’innovazione’ della genomica ma anche inserirla nell’attuale contesto pianificatorio / programmatorio;
• cogliere con prudenza e saggezza le opportunità attualmente già offerte dalla genomica come contributo alle sfide già in atto e al raggiungimento degli obiettivi di salute già definiti.
Principi
• Il Piano recepisce gli obiettivi sottoscritti a livello internazionale e incorpora gli obiettivi già decisi all’interno di Piani nazionali di settore. Nel fare ciò intende promuovere l’armonizzazione degli obiettivi formalizzati in tali atti garantendo un approccio complessivo di sanità pubblica.
• Il Piano fissa obiettivi supportati da strategie ed azioni evidence based, in grado nel medio-lungo termine di produrre un impatto sia di salute sia di sistema e quindi di essere realizzati attraverso interventi sostenibili e “ordinari”.
• Il Piano nel definire i propri obiettivi riconosce che è in corso (e che esso stesso contribuirà a) un rapido evolversi delle conoscenze basate sulla genomica (e su scienze affini) e quindi incorpora elementi di sviluppo e prevede un processo continuo e per quanto possibile tempestivo di aggiornamento.
• Il Piano riconosce l’importanza fondamentale della genesi e fruizione della conoscenza e pertanto riconosce la genesi di informazioni e la loro valutazione come elementi infrastrutturali indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi di salute.
• Le azioni previste come attuative degli obiettivi di questo Piano tengono in conto:
o il carattere universalistico del nostro sistema sanitario e la garanzia dell’equità
o le implicazioni etiche, legali e sociali
o un approccio Life-course
o l’empowerment degli individui e delle comunità
o l’importanza della responsabilità nella produzione, condivisone e uso dei dati.
Struttura del piano
La struttura del piano è finalizzata a identificare obiettivi specifici per le strutture del sistema sanitario, in riferimento quindi alla attuale tripartizione dei macrolivelli di assistenza di cui al DPCM 29/11/2001 (assistenza sanitaria collettiva, assistenza distrettuale, assistenza ospedaliera).
In particolare, i contenuti saranno articolati tenendo conto dell’apporto della genomica rispetto a: prevenzione, diagnosi e terapia.
Nell’affrontare i contenuti, sarà applicata la seguente struttura logica (che diventa il ‘quadro logico centrale’ del presente Piano):
a) Genesi della conoscenza: quale è la conoscenza disponibile?
Questo primo ‘aspetto’ nella scrittura riguarda il fatto che la produzione e la sintesi della nuova conoscenza alla base del presente atto di pianificazione assume alcuni caratteri innovativi. Quindi, oltre al ‘razionale’ scientifico di merito sembra opportuno evidenziare le ‘innovazioni’ possibili e sostenibili nel SSN. Tra questi emerge, sia sul piano epistemologico che organizzativo, il problema di “Interrogare i Big Data”.
b) Fruibilità della conoscenza: quali conoscenze sono utilizzabili e mediante quali strumenti?
Questo aspetto definisce innanzitutto il campo delle nuove conoscenze basate sulla genomica che hanno, secondo i criteri HTA, sufficiente forza di evidenza da potere essere implementati (nonché in generale di ‘utilizzabilità’ secondo i principi ELSI), e le relative modalità di erogazione degli stessi (v. anche dopo).
c) Definizione del processo sanitario: quale sequenza di atti tecnico-professionali è evidence-based per raggiungere l’obiettivo di salute?
Questo aspetto ambisce a identificare quali siano sul piano delle evidenze scientifiche le ‘conseguenze’ operative (finalizzate ad un radicale riorganizzazione dei servizi) per la gestione dei cittadini e dei pazienti (mediante produzione di linee-guida ecc).
d) Erogazione dei servizi: sulla base degli aspetti trattati nei paragrafi precedenti, quali strumenti sono necessari per innovare l’erogazione dei servizi?
Questo aspetto riguarda gli strumenti (protocolli, percorsi diagnostico-terapeutici, sistemi d accreditamento) che dovranno essere messi a disposizione delle Regioni per l’organizzazione innovativa dei propri sistemi sanitari.
e) Valutazione: quali sistemi sono utilizzabili/devono essere progettati per valutare l’innovazione pianificata?
Questo aspetto riguarda il disegno e l’implementazione di sistemi di valutazione di processo e di impatto (a carattere ricorsivo) e la definizione di indicatori.
Gli obiettivi generali del Piano
Questo Piano identifica i seguenti obiettivi generali:
1) Traferire le conoscenze genomiche nella pratica dei servizi sanitari, in un approccio che metta al centro l’individuo.
2) Aumentare l’efficacia degli interventi di prevenzione, diagnosi e cura delle malattie a più alto burden tenendo in conto le differenze individuali relativamente a patrimonio genetico, stili di vita e ambiente e fornendo ai professionisti le risorse necessarie alla personalizzazione degli interventi.
3) Promuovere l’innovazione culturale, scientifica e tecnologica del sistema sanitario.
Bibliografia
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7. Xxxxxxx L The 4th Revolution Oxford University Press 2014
CAPITOLO 2
Basi scientifiche e concettuali delle tecniche omiche.
• Origine del suffisso -oma. Il suffisso “-oma/omica” assume significati diversi a seconda del campo di applicazione. In biologia cellulare e molecolare viene in genere utilizzato per caratterizzare e quantificare insiemi di molecole biologiche rappresentative della struttura, funzione e dinamica di uno o più organismi. Le prime utilizzazioni di questo suffisso risalgono all’800 quando vennero coniati i termini “rizoma” (1832; modificazione del fusto di una pianta, di solito a decorso orizzontale, con funzioni di riserva) e “scleroma/rinoscleroma” (1870; una malattia batterica, cronica, granulomatosa), seguite, a distanza di diversi anni, dai termini “mitoma” (1913; la parte più densa del protoplasma di una cellula), “bioma” (1916; complesso delle comunità climax mantenuto dalle condizioni ambientali di una regione e distinto dalle altre comunità) e “genoma”, un sostantivo coniato da Xxxx Xxxxxxx nel 1920, correntemente utilizzato per indicare la totalità aploide del DNA contenuto nella cellula di un organismo.
I bioinformatici ed i biologi molecolari sono stati tra i primi ad utilizzare su larga scala il suffisso “-oma”, che oggi annovera oltre 1000 neologismi.
• Dalla Citogenetica alla citogenomica. L’analisi citogenetica ha rappresentato, dal punto di vista storico, il primo esempio traslazionale di analisi del genoma, sia pure a bassissima risoluzione. Infatti, le tecniche citogenetiche standard, ad una risoluzione media di 320 bande, consentono di identificare riarrangiamenti (patologie cromosomiche) di dimensioni di poco inferiori alle 10 megabasi (Mb), ovvero 10 milioni di basi, mentre le tecniche molecolari hanno livelli risolutivi significativamente più elevati, da svariate chilobasi (una kb = 1000 coppie di basi), alle singole basi.
Negli anni ’80 la citogenetica ha sviluppato alcuni protocolli in grado di analizzare le piastre cromosomiche decondensate, allo stadio prometafasico o profasico, permettendo di ottenere risoluzioni crescenti del genoma e di standardizzare ideogrammi contenenti fino a 850 bande per assetto cromosomico aploide, riuscendo cioè a raddoppiare il livello di definizione, rispetto ai preparati metafasici standard (cosiddette tecniche ad alta risoluzione).
Una parte del significativo divario esistente tra l’analisi del cromosoma visibile al microscopio ottico ed il gene è stato colmato dalle tecniche di citogenetica molecolare. La prima applicazione di questo tipo sui vetrini dei preparati cromosomici, l’ibridazione in situ, permetteva di riconoscere sulle cellule o sui cromosomi specifiche sequenze di acidi nucleici. Questa tecnica si basava sulla ibridizzazione, sui cromosomi acrocentrici, dell’RNA ribosomiale marcato con isotopi radioattivi e forniva una nuova dimensione allo studio dei cromosomi, in quando facilitava la visualizzazione, sui preparati, di sequenze complementari di DNA o di RNA. L’uso di molecole fluorescenti degli anni ‘80 ha consentito di sviluppare e standardizzare l’ibridazione in situ fluorescente (FISH), basata sul legame diretto (combinato con un fluorocromo) o indiretto (attraverso una molecola intermedia incorporata nella sonda) con le basi del DNA. In questo modo è stato possibile elevare significativamente la risoluzione dell’analisi ed identificare riarrangiamenti cromosomici submicroscopici, creando una vera e propria rivoluzione citogenetica (la seconda dopo l’introduzione delle tecniche di bandeggiamento). Negli anni sono state messe a punto varie tecniche di crescente sensibilità, basate sulla FISH, e sono stati sviluppati strumenti sempre più sofisticati per l’acquisizione digitale, il pre-processamento e l’analisi
digitale delle immagini. Queste tecniche hanno consentito di utilizzare simultaneamente una o più sonde di DNA.
L’ibridizzazione genomica comparativa (CGH) è una tecnica che, con un singolo esperimento, analizza sui cromosomi le variazioni del numero delle copie (CNV), in termini di guadagno/duplicazione o perdita/delezione. Sviluppata all’inizio degli anni ’90, si basa su una FISH quantitativa a due colori, che analizza direttamente il DNA. Sebbene questa tecnica abbia segnato un sostanziale progresso nella risoluzione degli sbilanciamenti genomici, il guadagno di informazione risultava ancora relativamente limitato (<3Mb) rispetto a quella dei preparati cromosomici bandeggiati. In questo contesto ha rappresentato un significativo progresso, alla fine degli anni ’90, lo sviluppo di strumenti di CGH basati sugli array (array-CGH), nei quali i cromosomi metafasici sono stati sostituiti da sequenze di DNA adese ad un vetrino di supporto. L’array-CGH ha perciò sostituito in larga misura l’analisi citogenetica nella pratica clinica. Il suo principio è sostanzialmente quello della CGH e si basa su un’ibridizzazione genomica comparativa che utilizza come substrato un array anziché le metafasi.
Con gli SNP-array, basati sui polimorfismi dei singoli nucleotidi, è stata ottenuta una risoluzione fino a 5-10 kb. In questi casi non è necessaria la co-ibridizzazione del DNA di riferimento e del campione in esame, in quanto quest’ultimo può essere ibridizzato direttamente sull’array. Oltre a fornire informazioni sulle variazioni nel numero delle copie (CNV), queste piattaforme consentono di identificare le regioni di omozigosi e perciò i geni potenzialmente correlati alle malattie recessive, le aneuploidie in mosaico e le disomie uniparentali. La capacità diagnostica di queste tecniche può essere ulteriormente ottimizzata dalla associazione, sulla stessa piattaforma, dell’array-CGH e dello SNP-array.
La risoluzione degli array viene definita dal numero, dalle dimensioni e dalla distribuzione dei frammenti di DNA sul vetrino e correla con il numero dei frammenti fissati. Il loro limite resta l’impossibilità di identificare i riarrangiamenti cromosomici bilanciati.
In conclusione, le analisi citogenetiche e le tecniche di citogenetica molecolare offrono la possibilità di indagare il genoma umano a diversi livelli di risoluzione, per finalità diagnostiche e di ricerca. Sebbene le tecniche di citogenetica standard e molecolare, basate sulla FISH, siano state progressivamente sostituite dagli array, l’analisi dei cromosomi bandeggiati resta ancora la tecnica maggiormente utilizzata a livello mondiale per l’analisi genomica.
In parallelo con il progressivo aumento del numero delle malattie genomiche e cromosomiche diagnosticate con le analisi citogenetiche e citogenomiche, è diventato sempre più difficile riconoscere, in base al solo fenotipo clinico, la specifica condizione presente in un paziente. Anche se l’array-CGH è diventato uno strumento consolidato di diagnosi e da tempo sono disponibili algoritmi in grado di definire il numero delle copie, la risoluzione delle piattaforme è in continuo sviluppo. I dati clinici e citogenetici raccolti nei database a libero accesso contribuiscono a conoscere le combinazioni delle varianti ad effetto patogenetico, ma al momento resta ancora spesso problematico differenziare le perdite e le acquisizioni di significato patogenetico. Per questo, nella pratica corrente, le CNV vengono ancora classificate come “benigne” o varianti genomiche normali, “patogenetiche” o di potenziale rilevanza clinica, e di “incerto” significato clinico (o VUS - Variant of Unknown Significance). Il numero delle tecnologie applicate allo studio del genoma umano è in continua trasformazione. L’uso
di piattaforme per il sequenziamento di seconda generazione si è progressivamente trasferito dalla ricerca nella pratica clinica. Si tratta di tecniche per molti aspetti alternative ai microarray, anche se, analogamente ad essi, al momento non risolvono tutti i problemi di tipo interpretativo.
• Dal sequenziamento di un gene a quello dell’intero genoma. Le prime metodologie di sequenziamento del DNA risalgono agli anni ‘70. Tra queste, la strategia sviluppata da Xxxxxx, basata sul metodo enzimatico dei terminatori di catena e sulla migrazione elettroforetica dei prodotti della reazione di sequenziamento, è ancora oggi ampiamente utilizzata per il sequenziamento di singoli frammenti di DNA, Questo metodo, che consente di ottenere prodotti di sequenziamento lunghi fino a 800-1000 basi, è stato automatizzato per aumentarne la processività. Tuttavia, le limitazioni intrinseche alla metodologia (alto costo di esecuzione e bassa efficienza) non permettono la sua applicazione nel sequenziamento su larga scala.
Più recentemente, sono state sviluppate nuove metodologie, riunite sotto il nome di sequenziamento ad elevato parallelismo o sequenziamento di seconda generazione (cosiddetto Next Generation Sequencing - NGS), che hanno la capacità di sequenziare molti frammenti di DNA contemporaneamente, anche se con efficienza minore in termini di numero di basi sequenziate per frammento. Queste nuove tecnologie possono fornire, a prezzo contenuto, milioni di sequenze di DNA per singolo esperimento e, grazie alla loro alta processività, consentono di acquisire un’enorme quantità di informazioni sul patrimonio genetico individuale. Il loro uso rende possibile, ad esempio, il sequenziamento di un intero genoma in pochi giorni, un’analisi che richiederebbe anni per essere completata con le tecniche tradizionali di sequenziamento. Queste tecnologie, anche grazie allo sviluppo degli strumenti bioinformatici richiesti per la gestione e l’analisi dei dati di sequenziamento, consentono di raggiungere obiettivi impensabili fino a pochi anni fa, sia sul piano della ricerca, rendendo più facile l’individuazione di nuovi geni implicati nelle malattie rare e ultra-rare, sia sul piano clinico, favorendo lo sviluppo di test diagnostici più rapidi ed efficienti.
La maggior parte delle malattie geniche sono eterogenee, cioè possono essere causate dalle mutazioni di geni diversi. La loro diagnosi molecolare ha utilizzato in prevalenza, per alcuni lustri, il sequenziamento secondo un approccio gene per gene. Tuttavia, nelle malattie causate dalla mutazione di molti geni, potenzialmente diversi nei singoli pazienti, questo approccio è costoso e richiede molto tempo, addirittura mesi o anni. Le tecniche di sequenziamento di seconda generazione consentono di superare tali limiti e molti laboratori le utilizzano oggi correntemente per caratterizzare il difetto molecolare delle malattie rare. Queste tecniche consentono di arricchire specifiche regioni genomiche (geni-malattia), sequenziare massivamente e in parallelo ampi tratti di DNA delle regioni selezionate ed analizzare diversi pazienti contemporaneamente.
Utilizzando le tecniche NGS è possibile analizzare fino a 96 campioni contemporaneamente, ciascuno per il pannello dei geni-malattia responsabili della condizione sospettata a livello clinico, ed ottenere dati analizzabili in circa 10-15 giorni. Le NGS hanno perciò rivoluzionato i protocolli dei test genetici, in quanto consentono di ottenere diagnosi molecolari in tempi brevi, ad un costo ridotto, mantenendo elevata la qualità dei risultati. Inoltre, hanno portato notevoli vantaggi a livello clinico, sia nel caso delle malattie ad elevata eterogeneità, sia in quelle associate ad un fenotipo sfumato, in cui può risultare maggiormente problematico ipotizzare il gene causativo coinvolto. Infatti, l’analisi simultanea di tutti i geni potenzialmente associati alla malattia in esame, riduce i tempi necessari ad identificare il difetto molecolare, migliorando la presa in carico e la consulenza genetica.
L’elevata potenzialità delle tecniche NGS ne ha determinato l’uso routinario nella diagnostica molecolare, in particolare nello studio delle malattie che condividono segni clinici, come ad esempio le Rasopatie (malattie collegate alle mutazioni dei geni della cascata di RAS). E’ stato dimostrato che, in questi pazienti, l’uso di un pannello NGS contenente i geni-malattia noti riduce di circa otto volte i tempi necessari ad identificare il difetto molecolare e di circa sei volte i costi dell’analisi, rispetto al tradizionale sequenziamento Xxxxxx. Inoltre permette, nei casi dubbi, di identificare il difetto molecolare prima dell’inquadramento clinico.
L’applicazione delle tecniche NGS, oltre ad essere utile nello studio delle malattie ad elevata eterogeneità, è importante anche nella diagnosi molecolare delle patologie causate dalla mutazione di geni di grosse dimensioni e delle malattie spesso causate da mutazioni in mosaico, ad esempio la sclerosi tuberosa, una malattia rara caratterizzata dallo sviluppo di tumori benigni, in particolare sulla pelle, nel cervello e nei reni.
L’analisi basata sulle tecniche NGS ha prodotto una significativa accelerazione nello studio delle malattie genetiche e spesso è risolutiva nell’inquadramento dei pazienti. Tuttavia, considerato l’elevato numero di regioni genomiche analizzate nel singolo paziente, identifica varianti di incerto significato, che possono creare problemi interpretativi, con ricadute negative sulla gestione clinica del paziente e sulla strutturazione della consulenza genetica. E’ perciò indispensabile che i pazienti analizzati mediante NGS siano correttamente informati attraverso una consulenza genetica pre-test delle potenzialità e dei limiti della tecnica e che i risultati del test siano spiegati e commentati attraverso una consulenza successiva all’analisi.
• Analisi esomica. Sebbene il sequenziamento dell’intero genoma sia la strategia d’eccellenza per lo studio della variabilità genetica interindividuale, esso presenta ancora alcune problematiche che ne limitano l’applicazione su larga scala, in particolare le capacità computazionali richieste per l’analisi e l’archiviazione dell’enorme massa di dati prodotta. Per queste ragioni, le tecniche di sequenziamento di seconda generazione vengono oggi spesso utilizzate per sequenziare l’esoma, cioè la porzione codificante del genoma. Con questo approccio, basato sull’arricchimento dei frammenti genomici che si riferiscono alle sequenze geniche codificanti per proteine e per sottoclassi selezionate di RNA che hanno una funzione regolatoria (cioè microRNA), è possibile esaminare solo una piccola porzione del genoma (1-2%). Questa analisi non prende in considerazione le regioni non codificanti del genoma, che peraltro possono avere un impatto sull'espressione genica. Tuttavia, in base alle attuali conoscenze sulle cause genetiche delle malattie mendeliane, è largamente accettato che la maggior parte delle mutazioni responsabili delle malattie mendeliane causi cambiamenti nella sequenza codificante di un gene o determini un processamento aberrante del trascritto. Per questo motivo, l’esoma rappresenta un sottoinsieme particolarmente arricchito del genoma nel quale è utile cercare eventuali mutazioni di potenziale impatto funzionale. In accordo con questa nozione, il sequenziamento mirato della porzione codificante del genoma si è dimostrato un approccio particolarmente efficiente per comprendere le basi molecolari delle malattie mendeliane, al punto che negli ultimi anni ha consentito di identificare oltre 500 geni-malattia.
Nonostante che i dati prodotti dal sequenziamento di un esoma siano maggiormente maneggevoli rispetto a quelli ottenuti dal sequenziamento dell’intero genoma, la fase di analisi e di interpretazione delle varianti rappresenta una sfida piuttosto complessa. Negli ultimi anni, sono stati sviluppati numerosi strumenti bioinformatici per il processamento, l’analisi e l’annotazione dell’informazione
contenuta in un esoma. In generale, le piattaforme di sequenziamento generano un’enorme quantità di dati grezzi, che vengono convertiti in sequenze nucleotidiche mediante strumenti computazionali. I file così generati di solito si trovano in un formato che contiene, oltre alla lettura delle sequenze nucleotidiche, score di qualità associati ad ogni base letta. La risoluzione a singola base di un esoma richiede l’analisi di questi file mediante l’uso di un complesso flusso di lavoro bioinformatico che permette, in una prima fase, di allineare le sequenze prodotte al genoma di riferimento e, successivamente, di identificare e annotare funzionalmente le varianti che lo caratterizzano. La fase di allineamento viene eseguita con sistemi computazionali che confrontano ciascuna delle sequenze prodotte con il genoma di riferimento, permettendone il loro corretto posizionamento. Per garantire l’affidabilità di questi sistemi ed ottenere una valutazione globale dell’efficienza di sequenziamento, si applicano di solito diversi parametri di qualità. Tra essi, particolarmente rilevanti sono la copertura (coverage), cioè la percentuale di sequenze genomiche bersaglio coperte dal sequenziamento, e la profondità (depth), ossia il numero di letture riferite ad una specifica base della sequenza genomica d’interesse. La fase successiva dell’approccio bioinformatico è la “chiamata delle varianti”, che identifica i siti varianti in cui le sequenze allineate differiscono dalle sequenze note nella posizione di riferimento. Le varianti così ottenute, possono essere processate con metodi euristici di prioritizzazione e filtraggio, al fine di ridurre l’alto numero di varianti annotate e selezionare quelle con significato funzionale. Generalmente, nella prima fase di questo approccio vengono eliminate le varianti polimorfiche che si suppone non abbiano un impatto patologico su un fenotipo assunto come “raro”. A tale scopo, si utilizzano di solito banche-dati pubbliche come dbSNP (xxxx://xxx.xxxx.xxx.xxx.xxx/XXX/) e ExAC (xxxx://xxxx.xxxxxxxxxxxxxx.xxx/), che permettono di identificare le varianti di bassa frequenza nella popolazione o non annotate. In una seconda fase, si raccolgono e valutano le informazioni disponibili su ciascuna variante e sul relativo gene, in modo da ordinare, per priorità, le prime in base al loro effetto predetto, ed i geni in base alla loro rilevanza biologica (ad es. espressione, funzione), rispetto al fenotipo d’interesse. Per l’annotazione e la predizione funzionale delle varianti si utilizzano diversi strumenti, ognuno dei quali ha punti di forza e debolezza. Per questa ragione, in genere si consiglia di attuare una strategia di prioritizzazione in grado di sfruttare più strumenti di predizione. Ad esempio, in questo contesto, un metodo recente, dbNSFPv.2.0 (database for Nonsynonymous SNPs' Functional Predictions), facilita questo processo perché integra gli score di previsione e di conservazione derivati da alcuni dei più comuni algoritmi in uso. Data la sua potenzialità, questo strumento bioinformatico è facilmente applicabile al filtraggio ed alla prioritizzazione delle varianti ottenute per lo studio delle malattie mendeliane. Analogamente, sono stati sviluppati diversi strumenti per integrare l’informazione disponibile nelle banche-dati e facilitare approcci di prioritizzazione basati su criteri oggettivi.
Il sequenziamento dell’esoma si è dimostrato particolarmente efficiente in ambito diagnostico. Recenti studi concordano per una detection rate del 40% circa per le patologie senza nome o con diagnosi non accertata. Occorre tuttavia precisare che il successo nel raggiungere una diagnosi su base molecolare attraverso il sequenziamento dell’esoma può variare considerevolmente in base al tipo di patologia in esame ed alla strategia di sequenziamento utilizzata (analisi del solo probando vs analisi del nucleo familiare). L’uso del sequenziamento dell’esoma nella pratica clinica ha confermato le grandi potenzialità, ma anche la difficoltà di interpretazione dei dati ottenuti, particolarmente nel caso delle varianti in precedenza non annotate. Si deve anche considerare l’aspetto relativo all’identificazione delle variazioni di sequenza nei geni implicati in malattie non correlate con il quadro
clinico che ha motivato l’accertamento molecolare. Questo problema è particolarmente rilevante per il maggior potere risolutivo dell’analisi esomica e per l’attuale scarsa conoscenza sulla ricaduta fenotipica della maggior parte delle varianti genetiche.
Occorre infine sottolineare che i dati attualmente disponibili indicano che il tasso di errore del sequenziamento di seconda generazione è basso, ma non trascurabile, ed è strettamente dipendente dal tipo di variazione (singolo cambiamento nucleotidico vs inserzione/delezione di più basi) e dal suo contesto di sequenza. Di conseguenza, è sempre necessario validare la variante selezionata con il sequenziamento Xxxxxx che rappresenta, ancora oggi, il metodo di sequenziamento di riferimento.
• Sequenziamento dell’intero genoma. Le tecniche di sequenziamento di seconda generazione hanno reso possibile l’analisi dell’intero genoma a costi e tempi stimati oggi oltre 100mila volte più bassi rispetto a quelli necessari nel 2000, quando è stata prodotta la prima mappa del genoma umano. In pratica si è passati dagli oltre 100 milioni di dollari e dai tempi allora necessari, che venivano misurati in anni, ad un migliaio di dollari e a pochi giorni per il completamento di questi studi. Di conseguenza, oggi sono diventati in proporzione significativamente più elevati i costi dell’analisi bioinformatica, necessaria ad interpretare i milioni di dati prodotti, rispetto a quelli della genotipizzazione.
Le analisi genome wide hanno avuto un grande impatto nella comprensione delle differenze e perciò della variabilità interindividuale e hanno dato un senso ad una celebre affermazione di Xxx Xxxxxxx Xxxxx, risalente al 1892, che asseriva “se non esistesse la variabilità tra le persone la medicina sarebbe una scienza e non un’arte”, a sottolineare che “esistono i malati, non le malattie”. Per lungo tempo il senso di questa variabilità non è apparso chiaro, anche se, proprio in quel periodo, una scuola di pensiero, quella del determinismo, tendeva a ricondurla alle caratteristiche ereditate al momento del concepimento, in un momento in cui si era ancora ben lontani dal comprenderne le basi biologiche. Nel secolo scorso, di pari passo con la scoperta della struttura e della funzione del DNA, si è affermato il concetto che lo stato di salute e di malattia sono il risultato dell’interazione tra le caratteristiche genetiche e l’ambiente. E’ diventato contestualmente chiaro che, mentre alcune malattie sono prioritariamente riconducibili ai fattori genetici (patologie cromosomiche, genomiche, mendeliane, mitocondriali) ed altre all’ambiente (traumi, ustioni, ecc.), altre ancora, in particolare molte malattie comuni (cardiovascolari, diabete, ipertensione, osteoporosi, ecc.) e diversi difetti congeniti (cardiopatie congenite, difetti del tubo neurale, labio-platoschisi, ecc.), originano dall’effetto additivo tra la suscettibilità geneticamente determinata e l’ambiente. La componente genetica di questo sistema complesso è definita “ereditabilità” (h2) ed è perciò riconducibile alle caratteristiche del genoma, mentre la componente ambientale, intesa come alimentazione, farmaci, microbioma, stili di vita, è sintetizzabile nell’ “esposoma”, letteralmente tutto ciò a cui siamo esposti e con cui veniamo a contatto nel corso della nostra esistenza.
La rivoluzione genetica è stata trainata dalla rivoluzione tecnologica, che ha permesso di indagare per
la prima volta i meccanismi biologici della variabilità interindividuale, nonché dell’ereditabilità. E’ stato così scoperto che le persone differiscono tra loro di circa 4 milioni di basi, che circa una base ogni 200 basi è diversa e che ogni persona possiede oltre 1500 variazioni che la rendono diversa rispetto alle mappe di riferimento. L’unicità dell’individuo è ulteriormente definita dalle variazioni funzionali dei geni (il trascrittoma) e dei loro prodotti (proteoma e metaboloma), che variano nel tempo a livello tessutale e cellulare. Questo aspetto è bene illustrato dallo studio dei gemelli identici che, pur condividendo lo stesso patrimonio genetico, negli anni tendono a divergere sempre più a livello del loro fenotipo
clinico, in particolare per l’effetto modulante dell’esposoma sul genoma, nonché delle mutazioni somatiche.
A partire dal 2005, sono stati eseguiti oltre 2000 studi genome wide che hanno reclutato individualmente migliaia o diverse decine di migliaia di pazienti affetti da oltre 250 malattie complesse ed un numero analogo di soggetti non affetti, con lo scopo di identificare eventuali variazioni (mutazioni comuni o polimorfismi) differentemente rappresentati nei due gruppi. Le differenze osservate tra gli affetti ed i controlli sono riuscite a definire geni e regioni genomiche potenzialmente associate alla malattia in esame, che concorrono perciò alla sua ereditabilità. Complessivamente sono state identificate oltre 12.000 variazioni. Tuttavia, il potere predittivo dei singoli polimorfismi è basso, con un rischio aggiuntivo medio di 1,1-1,5; inoltre al momento, fatto salve alcune eccezioni, questi studi hanno definito solo il 15% o meno dell’ereditabilità delle singole malattie; infine, l’impatto traslazionale di queste ricerche rimane molto limitato, anche perché la frequenza di molti polimorfismi varia in maniera spesso molto significativa nelle diverse popolazioni e gli studi effettuati in una determinata area geografica necessitano di essere verificati e validati sulle altre popolazioni, prima di essere utilizzati a livello clinico. Pur con queste cautele, che rendono problematico il trasferimento delle ricerche nella consulenza genetica, non va ignorato che questo limitato potere predittivo non è in certi casi inferiore a quello in base al quale oggi viene calcolato il rischio mediante test non-genetici, utilizzati nella clinica, come ad esempio quelli relativi ai livelli del colesterolo LDL o agli antigeni prostata-specifici.
Non vi è dubbio che le analisi genomiche stiano comunque contribuendo alla comprensione delle basi biologiche delle malattie e dei caratteri poligenici. Così, ad esempio, alcuni studi hanno riscoperto una serie di geni indiziati da tempo per essere implicati in queste condizioni, oppure che erano già noti per essere mutati in alcune malattie mendeliane correlate; inoltre hanno evidenziato l’importanza di certi geni che codificano per i siti di azione di alcuni farmaci, come la sulfonilurea (negli studi del diabete tipo 2), le statine (negli studi che indagano i meccanismi di controllo dei livelli lipidici), gli estrogeni (negli studi sulla densitometria dell’osso), suggerendo potenziali strategie per la terapia delle malattie comuni. Infine, alcuni studi hanno messo in correlazione certe malattie complesse con nuove vie metaboliche. Ad esempio, le variazioni geniche associate alla degenerazione maculare senile hanno dimostrato la criticità di alcune componenti del sistema del complemento, mentre gli studi sulle malattie infiammatorie croniche dell’intestino, in particolare la malattia di Crohn, hanno evidenziato l’importanza dell’autofagia e dell’interleukina-23, e quelli sulla statura il ruolo dei geni che codificano proteine della cromatina e della via di hedgehog (una famiglia di geni che codificano segnali induttivi durante l’embriogenesi), in particolare una proteina secreta che stabilisce il destino delle cellule durante lo sviluppo.
L’eventuale uso clinico di queste analisi dovrebbe tuttavia tenere conto di una serie di cautele:
1. le persone non dovrebbero sottoporsi a questi test senza conoscere a priori come utilizzare i risultati;
2. almeno un test ogni 20, tra quelli con una dichiarata specificità del 95%, fornisce un risultato falso positivo e quindi il sequenziamento completo del genoma di una persona produce un risultato che contiene non meno di 6000 errori;
3. all’interno dei dati ottenuti, alcuni non hanno un chiaro significato clinico (i cosiddetti VUS – Variations of Unknown Significance), il che limita ulteriormente il potere predittivo di queste analisi;
4. il valore clinico di queste indagini dipende dalla possibilità di collegare specifiche varianti ad un miglioramento dell’esito clinico
Sebbene le indagini sulla suscettibilità appaiano al momento premature per quasi tutte le malattie complesse, questo scenario potrebbe cambiare nei prossimi anni. Ad oggi, comunque, le analisi sull’ereditabilità dei caratteri complessi restano essenzialmente oggetto di studio e di ricerca.
Quanto sopra raccomanda interventi di formazione e di informazione sulle potenzialità ed i limiti della cosiddetta medicina predittiva rivolta alle malattie complesse, basata sulle analisi genomiche, nonché di contrasto alla pubblicità ingannevole, al fine di limitare l’uso dei test rivolti direttamente ai consumatori che una commercializzazione spesso spregiudicata reclamizza con il miraggio di acquisire informazioni utili a cambiare il destino delle persone. Uno studio, che ha intervistato un campione rappresentativo di persone che si sono sottoposte alle analisi genome wide con finalità predittive, ha indicato che, dopo il test, il 34% ha cambiato la dieta, il 14% ha aumentato l’attività fisica, il 43% si è informato sulla patologia per la quale era stato ipotizzato un aumento della suscettibilità, il 28% ha condiviso i risultati con il medico di famiglia, il 9% ha effettuato ulteriori approfondimenti di laboratorio. Un risultato che complessivamente non giustifica i costi di un test così sofisticato!
Al momento stenta a decollare la promessa di Xxxxxxx Xxxxxxx formulta in occasione della conferenza di presentazione della prima bozza della mappa del genoma umano, il 26 giugno 2000: “La medicina personalizzata sarà disponibile dall’anno 2010: avremo test in grado di identificare il rischio individuale di sviluppare malattie comuni e subito dopo disporremo di protocolli individualizzati di prevenzione e terapia”. Tuttavia il divario, tra quanto anticipato e lo stato dell’arte, può costituire il volano per aiutare la ricerca a completare il processo di integrazione delle analisi –omiche nella pratica clinica.
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PARTE SECONDA
CAPITOLO 3
La genomica nella diagnosi.
3.a Malattie mendeliane: impatto clinico del sequenziamento di seconda generazione
Dal sequenziamento Xxxxxx al sequenziamento di seconda generazione.
Fino alla recente introduzione nella pratica clinica del sequenziamento di seconda generazione, l’analisi molecolare utilizzata per confermare la diagnosi clinica di una malattia potenzialmente genica, era il sequenziamento del gene o di un gruppo di geni d’interesse, utilizzando la tecnica sviluppata da Xxxxxx. Questa metodologia, basata sull’analisi di frammenti di DNA della lunghezza di 200-500 basi, ottenuti per amplificazione in vitro con la reazione a catena della polimerasi (PCR), costituisce ancora oggi la strategia analitica elettiva per le malattie caratterizzate da bassa eterogeneità genetica, cioè causate da mutazioni in un ristretto numero di geni, o dovute alla mutazione di geni di piccole dimensioni. Nonostante le recenti implementazioni che ne hanno aumentato la processività, un limite principale di questa tecnologia risiede nella necessità di analizzare singolarmente i frammenti genomici d’interesse. Ciò diventa particolarmente problematico per le malattie causate dalle mutazioni di geni di grosse dimensioni e/o contenenti numerosi esoni, oppure per le malattie geneticamente eterogenee, cioè causate dalle mutazioni di geni diversi. Inoltre, l’elevato costo di esecuzione non consente di applicare questa tecnologia al sequenziamento su larga scala. Questi limiti sono stati oggi superati dall’uso, sempre più esteso, anche in ambito clinico, delle tecnologie di sequenziamento di seconda generazione. Grazie al loro basso costo, queste tecnologie consentono di analizzare un elevato numero di frammenti di DNA in parallelo e di sequenziare contemporaneamente molti geni, l'intera porzione del genoma che codifica per proteine (esoma), o addirittura l’intero genoma di una persona in pochi giorni. Queste tecniche permettono anche, in linea di principio, di identificare le varianti strutturali, ad esempio, le duplicazioni e le delezioni delle regioni genomiche. Per queste caratteristiche, il sequenziamento di seconda generazione e i diversi approcci diagnostici basati su questa tecnologia, rappresentano uno strumento diagnostico innovativo, di elevato interesse clinico, in quanto consentendo di effettuare indagini in precedenza tecnicamente impraticabili oppure economicamente onerose, nonché di abbattere sensibilmente i tempi e i costi della diagnosi molecolare.
Attualmente l’applicazione del sequenziamento di seconda generazione in ambito clinico si basa su tre principali strategie diagnostiche: il sequenziamento mirato di pannelli di geni-malattia (targeted resequencing), il sequenziamento dell’esoma e il sequenziamento dell’insieme dei geni noti per essere implicati nelle malattie. Una quarta strategia consiste nel sequenziamento dell’intero genoma, che consente, tra l’altro, una più estesa e omogenea copertura rispetto all’esoma. Tuttavia le criticità relative all’analisi, compresa l’interpretazione di tutte le variazioni identificate, l’archiviazione della massa dei dati prodotti ed i costi ancora troppo elevati, ne limitano il suo impiego in campo clinico-diagnostico. L’uso appropriato di queste strategie di sequenziamento e l’ulteriore evoluzione tecnologica, consentirà di ridurre i costi e i tempi della diagnosi e di ottenere la conferma molecolare di un’ipotesi diagnostica formulata attraverso una valutazione puramente clinica.
• Targeted resequencing. Il sequenziamento selettivo di un pannello di geni-malattia scelti sulla base della loro associazione con la malattia in esame costituisce la strategia d’eccellenza per la diagnosi molecolare delle malattie causate dalle mutazioni in geni di grandi dimensioni o di malattie geneticamente eterogenee. In quest’ultimo caso, l’analisi è indicata quando le mutazioni nei geni- malattia inseriti nel pannello spiegano una percentuale significativa dei casi o quando si sospetti la presenza di un mosaicismo. Considerato l’elevato beneficio in termini di costi, sensibilità e velocità dell’analisi, questa strategia di sequenziamento è già ampiamente utilizzata nella pratica clinica, ed è destinata a diventare l’approccio di prima scelta nell’analisi delle malattie geneticamente eterogenee (ad esempio le cardiomiopatie, le distrofie muscolari, le malattie metaboliche, la retinite pigmentosa, ecc.); delle malattie dovute a mutazioni di famiglie di geni (condizioni nosologicamente distinte che condividono una serie di segni clinici, ad esempio le RASopatie, le ciliopatie, ecc.); dello screening di geni di grandi dimensioni (e.g., XXX, XXX, XXX0, XXX0, XX0, ecc.).
Il sequenziamento di pannelli di geni consente anche di analizzare contemporaneamente decine di campioni. Questa maggiore efficienza è essenzialmente legata alla elevata profondità di lettura dei geni sequenziati, nettamente superiore a quella mediamente ottenuta con il sequenziamento dell’esoma. Tuttavia questo test non rileva le varianti strutturali e, ovviamente, non può rilevare varianti che interessano le regioni non codificanti dei geni esaminati. Lo svantaggio del sequenziamento mirato di pannelli di geni-malattia è legato essenzialmente alla necessità di un loro continuo aggiornamento, man mano che nuovi geni vengono associati alla malattia d’interesse e alla necessità, nel caso di esito negativo dello screening, di analizzare i pazienti attraverso sequenziamento dell’esoma.
• Sequenziamento dell’esoma. Il sequenziamento dell’esoma rappresenta, in linea di principio, la migliore strategia per arrivare alla diagnosi molecolare nel caso di una condizione per la quale i dati disponibili suggeriscono una base genetica non associata ad anomalie strutturali del genoma (ipotesi verificabile attraverso l’uso di approcci complementari quali l’ibridazione genomica comparativa e la genotipizzazione ad alta risoluzione), e quando il quadro clinico non è riconducibile ad una malattia nota, oppure sono stati in precedenza esclusi i geni associati ad una malattia nota. L’analisi dell’esoma può essere utilizzata anche come valida alternativa al targeted resequencing nel caso in cui la malattia presenti elevata eterogeneità genetica.
Numerosi studi finalizzati a stimare l’efficienza diagnostica dell’analisi dell’esoma convergono nell’indicare un tasso di successo superiore al 25% per le condizioni prive di un inquadramento diagnostico. Tale percentuale varia tuttavia in rapporto al tipo di malattia, alla selezione clinica, alla strategia di sequenziamento utilizzata. In particolare, il sequenziamento del nucleo familiare, anche se maggiormente costoso, è di solito più informativo. Tuttavia, il sequenziamento dell’esoma non è sempre in grado di rilevare le varianti strutturali e, come anticipato, neppure le varianti presenti nelle regioni non codificanti del genoma (il 98-99% del genoma non viene analizzato).
L’uso del sequenziamento dell’esoma nella pratica clinica ha confermato le grandi potenzialità, ma anche la difficoltà di interpretazione dei dati ottenuti, particolarmente nel caso di varianti in precedenza non annotate. La variabilità genetica inter- e intra-popolazione può rendere maggiormente difficile l’analisi di filtraggio e priorizzazione delle varianti identificate e rende necessaria la creazione di banche-dati popolazione-specifiche per una più precisa valutazione della ricorrenza delle varianti rare. Nonostante il sostanziale miglioramento delle metodologie di cattura e/o arricchimento delle regioni
genomiche codificanti, e la sempre più dettagliata caratterizzazione della topologia funzionale del genoma, ancora oggi non sono disponibili kit in grado di coprire omogeneamente il 100% dell’esoma, incluse le regioni particolarmente ricche in GC, come il primo esone codificante di numerosi geni.
o Esoma clinico. Il cosidetto ’esoma clinico si pone tra l’analisi di pannelli di geni-malattia e l’analisi dell’intero esoma. Si basa sul sequenziamento dell’intera porzione codificante di tutti i geni noti per la loro rilevanza clinica, cioè in precedenza associati alle malattie. Questa strategia, a differenza del sequenziamento dell’esoma, per definizione non consente di identificare nuovi geni-malattia, ma è utile nel caso in cui la malattia presenti un’elevata eterogeneità genetica e i singoli geni-malattia siano mutati solo in una bassa percentuale dei casi; oppure, nel caso di malattie che, per la loro rarità, non sono state sufficientemente caratterizzate dal punto di vista clinico. Analogamente all’analisi dell’esoma, l’esoma clinico permette in linea di principio di identificare la coesistenza in un paziente di mutazioni responsabili di malattie genetiche distinte. Questa situazione non deve essere sottovalutata, in quanto questo tipo di associazione è stato documentato nel 5% dei casi in coorti non selezionate di pazienti analizzati utilizzando il sequenziamento dell’esoma per finalità diagnostiche.
La mole di dati acquisita con il sequenziamento dell’esoma può eventualmente essere analizzata considerando esclusivamente sottogruppi di geni di interesse. Questo approccio, noto come targeted data analysis, consente di focalizzare l’analisi sui dati genomici riguardanti pannelli selezionati “in silico” di geni-malattia precedentemente implicati nella patologia in esame. Questo approccio rende il sequenziamento dell’esoma particolarmente vantaggioso, in quanto consente di acquisire il più elevato livello di informazione in un singolo esame di laboratorio, e permette di analizzare successivamente i dati prodotti, tenendo conto delle conoscenze acquisite negli anni, o di formulare una diversa ipotesi diagnostica dopo la rivalutazione clinica del paziente.
Impatto clinico delle tecnologie di sequenziamento di seconda generazione
Le tecnologie di sequenziamento di seconda generazione trovano applicazione in diversi ambiti della medicina. Accanto alla diagnosi di malattie mendeliane, il loro uso trova impiego crescente in campo oncologico, nella caratterizzazione molecolare dei tumori, nell’identificazione di potenziali bersagli molecolari di terapia o di varianti di predisposizione all’insorgenza di tumori. Un’altra importante applicazione riguarda lo screening prenatale non invasivo sul sangue materno (Non Invasive Prenatal Testing – NIPT). Nonostante le difficoltà interpretative dovute all’alta densità dei dati prodotti, le informazioni generate dall’applicazione delle tecnologie di sequenziamento di seconda generazione, in particolare dall’analisi dell’esoma, offrono importanti opportunità per diagnosi più rapide e corrette, con enormi ricadute a livello clinico, consentendo una più rapida ed efficace presa in carico del paziente affetto da malattia genetica.
Anche se il tasso di errore del sequenziamento di seconda generazione è basso, esso non è trascurabile ed è strettamente dipendente dal tipo di variazione (singolo cambiamento nucleotidico vs inserzione/delezione di più basi) e dal suo contesto di sequenza. Di conseguenza, è sempre necessario validare le varianti identificate con il sequenziamento Xxxxxx, che rappresenta ancora oggi il metodo di sequenziamento di riferimento, e, con la stessa metodica, verificarne la co-segregazione con la malattia nel nucleo familiare.
Un aspetto non marginale riguarda la gestione dei cosiddetti “risultati inattesi” (incidental findings), cioè l’identificazione di varianti di potenziale significato patogenetico all’interno di geni-malattia, ma non correlati con il quadro clinico che ha determinato l’indicazione all’accertamento molecolare. Alcuni di questi risultati potrebbero essere clinicamente rilevanti, come ad esempio le varianti d’interesse farmacogenetico, di predisposizione alle neoplasie o relativi alle malattie per le quali sono disponibili approcci terapeutici o di prevenzione. Questo problema è particolarmente rilevante stante l’elevato potere risolutivo dell’analisi esomica, ma anche per l’attuale scarsa conoscenza del significato funzionale e della rilevanza clinica della maggior parte delle varianti genetiche. Le conseguenti implicazioni sanitarie ed etiche devono essere gestite nel corso della consulenza genetica.
Obiettivi e Raccomandazioni
Da quanto esposto emergono le seguenti priorità, rispetto alle quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 1):
• Programmazione dell’Implementazione delle tecniche di sequenziamento di seconda generazione. E’ necessaria un’accorta programmazione, che parta dal censimento delle piattaforme già implementate e delle competenze già disponibili. Tale indagine è di interesse nazionale e può essere condotta utilizzando il questionario prodotto, ai sensi dell’Intesa 13/3/13 con il relativo progetto CCM (Definizione e promozione di programmi per il sostegno all’attuazione del Piano d’Intesa del13/3/13 recante Linee di indirizzo su “La Genomica in Sanità Pubblica). Il successivo piano di potenziamento, anche in relazione ai costi connessi, dovrà essere oggetto di uno specifico accordo Stato - Regioni.
• Produrre, a partire dai documenti delle società scientifiche già disponibili e dalle indicazioni internazionali, linee-guida per l’utilizzo del sequenziamento. L’implementazione di una capacità di sequenziamento evidentemente postula anche un suo appropriato utilizzo. Il Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG) elabora raccomandazioni di comportamento clinico basate sugli studi scientifici più aggiornati, secondo il proprio metodo; è riconducibile a tale processo anche la collaborazione con società scientifiche ed esperti di settore. In tale framework di livello nazionale potrà essere prodotta una linea-guida per l’uso appropriato del sequenziamento; la successiva fase di implementazione è riconducibile alle responsabilità e metodi della programmazione e management dei servizi sanitari regionali e richiede un processo esplicito di recepimento e applicazione.
Raccomandazioni.
In accordo con le linee guida che la Società Italiana di Genetica Umana (SIGU) ha prodotto per dare elementi di indirizzo circa l’utilizzo dei test di sequenziamento di nuova generazione nell’ambito della Genetica Medica, si forniscono le seguenti raccomandazioni:
✓ La caratterizzazione fenotipica è fondamentale per la scelta della tecnica di diagnosi molecolare (sequenziamento Xxxxxx, Targeted resequencing, WES) e per la successiva analisi delle varianti identificate.
✓ Nel caso di fenotipi specifici, caratterizzati da bassa eterogeneità genetica e coinvolgenti geni di piccole dimensioni, può essere opportuno ricorrere ad analisi con metodiche molecolari
convenzionali (ad esempio: sequenziamento Xxxxxx, PCR mirata per mutazioni dinamiche). Anche la lunghezza del gene può influenzare la scelta della tecnica analitica da utilizzare. In generale, è auspicabile che l’analisi molecolare di geni molto grandi (numerosi esoni; per esempio XX0, XXXX, etc.) sia trasferita su piattaforme NGS per l’abbattimento dei costi e dei tempi di refertazione.
✓ Nel caso di condizioni con elevata eterogeneità genetica nelle quali mutazioni in un numero ridotto di geni sono responsabili della maggioranza dei casi è auspicabile l’uso di un targeted resequencing (pannelli di geni noti). Tale strategia è indicata anche in caso di sospetto mosaicismo.
✓ Nel caso di condizioni con eterogeneità genetica particolarmente marcata dove è coinvolto un numero sempre crescente di geni, ognuno dei quali è responsabile di una bassa percentuale di casi (per esempio paraparesi spastiche ereditarie, retiniti pigmentose, etc.) è indicata l’esecuzione di un WES con un filtro limitato all’analisi di un pannello di geni noti (pannello “in silico”). In caso di negatività dell’analisi di un pannello di geni, i dati esomici restano quindi a disposizione per le eventuali indagini successive indirizzate alla ricerca di nuovi geni candidati o per l’analisi di geni causativi identificati in un secondo tempo.
✓ Infine in tutti i casi in cui non può essere formulata un’ipotesi diagnostica su base clinica è preferibile l’analisi dell’intero esoma per l’individuazione del difetto genetico responsabile, che può riguardare mutazioni/geni già noti (ambito diagnostico) o nuovi geni candidati (ambito di ricerca) che necessitano di ulteriori conferme. E’ auspicabile che tali indagini siano eseguite in centri con comprovata esperienza nell’ambito dell’analisi di dati esomici per garantire la più alta probabilità di successo, che al momento, secondo la letteratura medica, si attesta attorno al 25%.
✓ E’ utile confermare sempre la mutazione identificata tramite metodica NGS con sequenziamento Xxxxxx e stabilirne la segregazione nella famiglia quando possibile.
Tabella 1. Interventi identificabili
Argomento: capacità di sequenziamento | ||
Responsabilità operativa | Indicatori per la valutazione di processo e di output | |
Intervento 1: implementazione ed eventuale potenziamento piattaforme di NGS | ||
Azioni . | ||
• Condurre survey | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità di risultati della survey: indicatore dicotomico S/N |
• Definire un piano di implementazione | intervento Centrale e ‘Regionale’ | Definizione del piano: indicatore dicotomico S/N |
Percentuale sul totale delle regioni dei piani regionali implementati in ambito strutture pubbliche/accreditate | ||
Intervento 2: rendere disponibili linee guida per l’utilizzo del sequenziamento | ||
Azioni | ||
• Definire linee-guida | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità di linee-guida: indicatore dicotomico S/N |
• Implementare linee-guida | intervento ‘Regionale’ | Recepimento regionale Linee-guida: indicatore dicotomico S/N |
3.b Genomica nella diagnosi delle Malattie Complesse e Multifattoriali
Lo studio della variabilità interindividuale è definito dall’analisi della distribuzione e della frequenza dei geni nelle popolazioni. Lo sviluppo di questi studi ha fornito risposte a numerosi quesiti circa l’origine della nostra specie, le grandi migrazioni che hanno caratterizzato l’evoluzione dell’uomo moderno, il ruolo della selezione naturale nel mantenere le frequenze geniche nelle popolazioni e, sul piano applicativo, la comprensione di parte delle basi biologiche di molte malattie complesse e multifattoriali.
La variabilità genica della nostra specie è talmente elevata da definire mappe geografiche basate sulla frequenza di particolari alleli, ed è misurata attraverso il polimorfismo, cioè la percentuale di loci per i quali è presente più di un allele, e l’eterozigosità, cioè la percentuale di individui in una popolazione che porta alleli diversi nello stesso gene. Il valore medio di polimorfismo nei mammiferi è circa 15%, mentre l’eterozigosità è circa 4% se riferita alle proteine, ma è molto più elevata (>90%), se l’analisi è basata sul DNA. L’esistenza di questa straordinaria variabilità ha permesso di dimostrare che nella popolazione umana non esistono le razze. I polimorfismi sono indicatori della variabilità e perciò sono dei marcatori genetici. Le categorie più importanti di questi marcatori sono i gruppi sanguigni, le proteine del siero o dei globuli rossi, gli antigeni linfocitari, i polimorfismi del DNA. La disponibilità di questi sistemi consente di ottenere informazioni sull’evoluzione delle frequenze geniche, che cambiano nel tempo in rapporto all’effetto delle mutazioni, della migrazioni, della selezione naturale e della deriva genetica casuale.
La mutazione è un elemento chiave dell’evoluzione e la sua assenza determinerebbe l’arresto evolutivo di una specie. A meno che la quota di radiazioni a cui siamo esposti non aumenti considerevolmente o che un nuovo potente mutageno sia introdotto nella nostra dieta, è probabile che il tasso di mutazione per qualsiasi gene rimanga abbastanza costante (tasso di mutazione medio: 10-5 - 10-9). Oggi si stima che il tasso reale di
mutazioni nell’uomo, stimato mediante il sequenziamento completo dei genitori e dei figli, sia di circa 75 nuove mutazioni per generazione. Analogamente, la deriva genetica non ha conseguenze in popolazioni estese, ma può invece, avere un effetto notevole sulle frequenze geniche, nelle piccole popolazioni.
Nel secolo scorso, di pari passo con la scoperta della struttura e della funzione del DNA, si è affermato il concetto che lo stato di salute e di malattia sono il risultato dell’interazione tra le caratteristiche genetiche e l’ambiente. Le tecniche di sequenziamento di seconda generazione stanno contribuendo a decodificare l’ereditabilità delle malattie complesse, anche se dopo una decina di anni di ricerche hanno definito mediamente, fatte salve alcune eccezioni, meno del 15% della loro componente genetica. Una possibile spiegazione di questa “ereditabilità mancante” è da attribuire certamente a valutazioni sovrastimate dell’ereditabilità calcolata su base empirica in quanto gli effetti ambientali intra-familiari non sono stati inclusi nel modello di calcolo o perché essi non potevano essere stimati. Inoltre, la variabilità della frequenza di molti polimorfismi nelle popolazioni hanno contribuito a “diluire” il peso dei singoli marcatori nel calcolo delle loro associazioni e, di conseguenza, la loro utilizzazione clinica. E’ stato chiarito da uno studio effettuato sulla popolazione Islandese che una parte sostanziale dell’ereditabilità mancante è dovuta a variazioni polimorfiche rare, che non sono incluse nei pannelli di genotipizzazione utilizzati.
Per queste ed analoghe considerazioni è necessario utilizzare con cautela i polimorfismi genetici associati alle malattie complesse, valutare con attenzione la sensibilità e la specificità dei test genetici e perciò l’accuratezza di predizione del rischio utilizzando curve ROC (Receiver-Operating Characteristic) e definendo le conseguenti aree AUC (Area Under the Curve), che costituiscono la misura del potere discriminante del test. E’ però importante osservare che anche la predizione AUC può avere una scarsa utilità clinica se la malattia è rara nella popolazione. Ad esempio, l’allele HLAB27 è fortemente associato al rischio di spondilite anchilosante, una rara forma di artrite cronica che colpisce mediamente 1-5% della popolazione. Nonostante il potere predittivo del biomarcatore in termini di specificità e sensibilità (99%), con una OR di circa 70, il rischio di sviluppare la malattia dopo un test HLAB27 positivo, è molto basso. Pur con queste limitazioni, non va ignorato che questo limitato potere predittivo è spesso assimilabile a quello con il quale oggi si calcola un rischio utilizzando nella clinica test non-genetici.
Sebbene le analisi della suscettibilità alla maggior parte dei fenotipi complessi appaiano al momento poco utilizzabili ai fini clinici, molti polimorfismi associati a malattie complesse, trovano interesse come biomarcatori genomici per definire la patogenesi delle malattie complesse (ad esempio malattie infiammatorie intestinali) e quali indicatori della risposta terapeutica. Ad esempio, l’allele C del polimorfismo rs8192675 del gene SLC2A2, che codifica per un trasportatore del glucosio, presenta una correlazione positiva con l’efficacia della metformina nel ridurre i livelli di emoglobina glicosilata, influenzando direttamente l’espressione del gene SLC2A nel fegato. Per questo viene considerato un potenziale marcatore di medicina personalizzata. Questo esempio illustra come, nel breve periodo, le analisi genome wide (GWA), integrate con quelle di espressione genica estesa (Genome-Wide Expression - GWE) e di epigenomica (Epigenome-Wide Association Studies, EWAS) potrebbero diventare uno strumento privilegiato per l’identificazione di una serie di biomarcatori genomici fondamentali per la medicina personalizzata o di precisione. Questi approcci integrativi e convergenti consentono infatti di definire network biologici di geni e proteine, che, attraverso l’analisi bioinformatica di banche-dati disponibili, potrebbero modificare lo scenario diagnostico e terapeutico delle patologie multifattoriali.
Obiettivi e Raccomandazioni
Da quanto esposto emergono le seguenti priorità, rispetto alle quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 2):
• Garantire l’uso appropriato dei polimorfismi nella pratica clinica. Poiché bisogna utilizzare con cautela i polimorfismi genetici associati a malattie complesse, e considerando, d’altra parte, il grande potenziale di nuove conoscenze che caratterizza la ricerca in questo campo, è necessario che l’uso clinico delle analisi genomiche applicato alle malattie complesse sia sostenuto da chiare indicazioni basate sull’evidenza. È quindi necessario prevedere sia un’accurata valutazione del loro uso nella clinica, sia un loro continuo aggiornamento in base alle evidenze scientifiche prodotte; ciò è conseguibile mediante la produzione di linee-guida con una funzione di quick-review periodica della letteratura sia primaria che secondaria; tale funzione dovrebbe essere assicurata dal network HTA previsto nel Cap. 6.
Tabella 2. Interventi identificabili
Argomento: polimorfismi nella pratica clinica relativamente alle malattie complesse | ||
Responsabilità operativa | Indicatori per la valutazione di processo e di output | |
Intervento 1: rendere disponibili linee guida per l’uso dei polimorfismi nella pratica clinica relativamente alle malattie complesse | ||
Azioni | ||
• Definire linee-guida | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità di linee-guida: indicatore dicotomico S/N |
• Implementare linee-guida | intervento ‘Regionale’ | Recepimento regionale Linee-guida : indicatore dicotomico S/N |
Intervento 2: programmare un rapporto periodico di aggiornamento delle linee-guida | Intervento ‘Centrale’ | Disponibilità almeno annuale del report: indicatore dicotomico S/N |
3.c Tumori
3.c.i Mutazioni germinali
I tumori ereditari rappresentano solo una piccola frazione di tutti i tumori (1-10%). La ricerca di mutazioni germinali è funzionale all’identificazione di un aumentato rischio familiare, è un percorso da sviluppare
correttamente tramite la Consulenza Genetica Oncologica (CGO) ed è strettamente focalizzato alla prevenzione e all’analisi precoce della malattia. La sua applicabilità è quindi nell’individuazione preventiva di pazienti sani con un aumentato rischio per patologie oncologiche quali ad esempio il carcinoma della mammella e dell’ovaio, il carcinoma del colon, la sindrome di Xxxxx.
Il numero di geni responsabili di forme di predisposizione ereditaria al cancro è in continua crescita e attualmente se ne conoscono quasi un centinaio, implicati in una cinquantina di diverse sindromi, ciascuna delle quali presenta le sue specificità, legate alla sede e tipologia dei tumori.
Nella maggior parte dei pazienti la predisposizione viene ereditata con modalità autosomica dominante con penetranza incompleta e interessa un gene oncosoppressore. In questi casi la cancerogenesi segue il modello two-hits, per cui la prima mutazione è ereditata mentre la seconda, somatica, disattiva l’altro allele. Viceversa nelle forme tumorali sporadiche entrambe le mutazioni devono avvenire a livello somatico. Noto anche come “ipotesi di Xxxxxxx”, questo modello è stato formulato la prima volta più di 40 anni fa per spiegare l’origine del Retinoblastoma, un raro tumore infantile della retina, ma viene oggi esteso a moltissime altre forme tumorali ereditarie (ad esempio geni APC, PTEN, p53, VHL, NF1, NF2).
Anche alcuni geni della riparazione del DNA trasmettono la predisposizione con analogo meccanismo autosomico dominante, in accordo con il suddetto modello (ad esempio geni Mismatch Repair-MMR, BRCA1, BRCA2). Meno frequentemente l’ereditarietà imputabile ad essi è autosomica recessiva (ad esempio gene MUTYH del sistema Base Excision Repair-BER).
Numerose sono inoltre le sindromi da instabilità genetica, spesso associate allo sviluppo di tumori, con ereditarietà di tipo autosomico recessivo legate a mutazioni in geni appartenenti a diversi sistemi di riparazione e/o di controllo dell’integrità del DNA (ad esempio geni FANC, BLM,ATM, geni XP del sistema Nucleotide Excision Repair–NER). Le rare forme di predisposizione dovute a oncogeni sono invece sempre dominanti (ad esempio geni RET, KIT, MET).
Nella Tabella 3 sono riportati alcuni esempi relativi ad alcune tra le sindromi di predisposizione al cancro più note, le principali manifestazioni cliniche (tumorali e non), le modalità di trasmissione (AD, autosomico dominante; AR, autosomico recessivo) e i geni coinvolti.
Tabella 3. Esempi relativi ad alcune sindromi di predisposizione al cancro
Sindrome/malattia | Patologia | Trasmissione | Gene (i) |
Retinoblastoma ereditario | Retinoblastoma | AD | Rb |
Poliposi Adenomatosa Familiare (FAP) | Adenomi colo-rettali, cancro colo-rettale, adenomi gastroduodenali | AD | APC |
Sindrome Li-Xxxxxxxx | Sarcomi, cancro mammella, tumori cerebrali, carcinoma surrene | AD | P53 |
Sindrome di Xxxxxx | Cancro mammella, cancro tiroide | AD | PTEN |
Neurofibromatosi | Neurofibromi, gliomi, schwannomi, meningiomi, leucemie, macchie cafe-au- lait | AD | NF1, NF2 |
Von Hippel-Lindau | Tumore renale, feocromocitoma, angiomi | AD | VHL |
Sindrome di Xxxxx (HNPCC) | Cancro colo-rettale, cancro endometrio | AD | XXX0, XXX0, XXX0, XXX0, EPCAM |
Cancro Mammella e Ovaio Ereditario | Cancro mammella, cancro ovarico | AD | BRCA1, BRCA2 |
Poliposi MUTYH-Associata (MAP) | Polipi colo-rettali, cancro colo-rettale | AR | MUTYH |
Anemia di Xxxxxxx | Pancitopenia, leucemia acuta, tumori solidi, malformazioni varie | AR | FANCA, FANCB, FANCC, FANCD1 (BRCA2), FANCD2, FANCE, FANCF, FANCG, FANCL |
Sindrome di Bloom | Eritema, diabete, ipogonadismo, leucemie, tumori solidi | AR | BLM |
Atassia-Telengectasia | Atassia, telengectasie, linfomi, leucemie linfatiche B | AR | ATM |
Xeroderma Pigmentoso | Lesioni cutanee da ipersensibilità UV, carcinomi epiteliali | AR | XPA, XPB, XPC, XPD, XPE, XPF, XPG, XPV |
Neoplasia Endocrina Multipla di tipo 2 | Carcinoma midollare tiroide, feocromocitoma, adenomi paratiroide | AD | RET |
GIST ereditari | Tumori stromali gastrointestinali | AD | KIT |
Carcinoma delle cellule renali papillare ereditario (HPRCC) | Tumori renali | AD | MET |
Nel caso specifico di ricerca di una mutazione in pazienti già affetti da patologia oncologica il test per le mutazioni germinali oggi è uno strumento utile per stimare il rischio di secondi tumori e per screenare i consanguinei al fine di attuare strategie preventive. Inoltre il test genetico può oggi consentire una terapia personalizzata, come ad esempio nel caso dei nuovi farmaci quali i PARP inibitori che hanno mostrato efficacia nelle pazienti con carcinoma ovarico BRCA mutato.
3.c.ii Mutazioni somatiche
La maggior parte dei tumori sono sporadici e contraddistinti esclusivamente da mutazioni acquisite nel corso della vita, a carico di oncogeni, oncosoppressori e geni della riparazione del DNA.
Gli oncogeni sono geni cellulari dotati di proprietà oncogene trasformanti; si tratta spesso di sequenze di DNA omologhe, cioè molto simili, a sequenze “v-onc” presenti in alcuni Retrovirus, ossia in virus a RNA capaci di causare tumori in animali. Gli oncogeni vengono classificati in base a localizzazione cellulare e funzione del loro prodotto proteico in:
✓ fattori di crescita
✓ recettori per fattori di crescita
✓ trasduttori intracellulari
✓ fattori di trascrizione nucleare e inibitori dell’apoptosi (morte cellulare).
I geni oncosoppressori hanno la funzione di “sopprimere” una proliferazione cellulare inappropriata o, più in generale, la trasformazione neoplastica. Hanno quindi funzioni opposte a quelle degli oncogeni. In condizioni normali, i processi di proliferazione, differenziamento e morte cellulare sono il risultato di un delicato equilibrio
che deriva dall’azione bilanciata di entrambe le categorie di geni, oncogeni e oncosoppressori. La mutazione di una singola copia dell’oncosoppressore consente ancora il funzionamento del gene a livelli sufficienti e quindi non è associato allo sviluppo del tumore, mentre il danneggiamento o la perdita di entrambe le copie determina invece la “loss of function”, ossia l’inattivazione completa della sua funzione che induce perciò la comparsa del tumore.
I geni della riparazione del DNA sono in grado di determinare, quando alterati, un aumento del tasso di mutazione e/o un’instabilità genetica che facilita l’acquisizione progressiva di mutazioni in oncogeni e oncosoppressori che portano allo sviluppo di un tumore. A differenza dei geni precedenti, essi hanno quindi un ruolo indiretto nella genesi del cancro: la mutazione di un gene mutatore determina infatti una perdita della sua funzione riparativa e quindi del meccanismo di controllo sulla stabilità del materiale genetico che è essenziale per uno sviluppo normale delle cellule.
L’identificazione nei tumori di alcune anomalie genetiche, soprattutto quelle a carico degli oncogeni, è importante in termini di diagnosi, prognosi e terapia. Ad esempio la traslocazione 9;22 che attiva l’oncogene abl e che comporta la formazione di un cromosoma 22 anomalo (detto cromosoma Philadelphia) è specifica della leucemia mieloide cronica ed è fondamentale per fare correttamente questa diagnosi. Inoltre, il monitoraggio del midollo osseo mediante citogenetica o analisi molecolare può documentare il raggiungimento e la persistenza della guarigione o, alternativamente, può diagnosticare precocemente la ripresa della malattia. L’amplificazione di alcuni oncogeni, quali ad esempio N-MYC (nel neuroblastoma) e HER-2 (nel carcinoma della mammella e dello stomaco), è riscontrata spesso in fasi avanzate di malattia ed ha significato prognostico negativo. Infine, molti sforzi vengono oggi rivolti alla target therapy per lo sviluppo di farmaci mirati che agiscono in maniera specifica sulle proteine alterate o iperespresse prodotte da un oncogene attivato, quali ad esempio Imatinib (inibitore di abl) nella leucemia mieloide cronica e Trastuzumab e Pertuzumab (anticorpi anti-HER2) nel carcinoma mammario, Cetuximab e Panitumumab nel carcinoma del colon RAS wild type, Gefitinib e altri TKI nell’adenocarcinoma del polmone con mutazione di EGFR.
Obiettivi e Raccomandazioni
Da quanto esposto emergono le seguenti priorità, rispetto alle quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 4):
• Test per le mutazioni germinali. La ricerca di mutazioni germinali è funzionale all’identificazione di un aumentato rischio familiare, è un percorso da sviluppare correttamente tramite la Consulenza Genetica Oncologica ed è strettamente focalizzato alla prevenzione e all’analisi precoce della malattia. Quindi, la somministrazione di test per le mutazioni germinali oggi è uno strumento utile per stimare il rischio di secondi tumori e per screenare i consanguinei al fine di attuare strategie preventive. A questo riguardo v.4.3.i. Inoltre il test genetico può oggi consentire una terapia personalizzata, come ad esempio nel caso dei nuovi farmaci quali i PARP inibitori che hanno mostrato efficacia nelle pazienti con carcinoma ovarico BRCA mutato. A questo riguardo v 5.b.
• Test per le mutazioni somatiche. L’identificazione nei tumori di alcune anomalie genetiche, soprattutto quelle a carico degli oncogeni, è importante in termini di diagnosi, prognosi e terapia. Poiché bisogna utilizzare appropriatamente tali test, e considerando, d’altra parte, il grande potenziale di nuove conoscenze che caratterizza la ricerca in questo campo, è necessario che l’uso clinico di tali test sia sostenuto da chiare indicazioni evidence-based. È quindi necessario prevedere sia
un’accurata valutazione di utilizzabilità clinica sia un suo tempestivo aggiornamento in base alle evidenze scientifiche prodotte. Il SNLG elabora raccomandazioni di comportamento clinico basate sugli studi scientifici più aggiornati, secondo il proprio metodo; è riconducibile a tale processo anche la collaborazione con società scientifiche ed esperti di settore. In tale framework di livello nazionale potrà essere prodotta una linea-guida per l’uso appropriato dei test per le mutazioni somatiche nonché una quick-review periodica della letteratura sia primaria che secondaria; tale funzione dovrebbe essere assicurata dal network HTA previsto nel Cap. 6.
Tabella 4. Interventi identificabili
Argomento: Tumori - mutazioni germinali | ||
Responsabilità operativa | Indicatori per la valutazione di processo e di output | |
Intervento 1: test per le mutazioni germinali per stimare il rischio di secondi tumori e per screenare i consanguinei al fine di attuare strategie preventive | Vedi cap- 4.3.i | |
Argomento: Tumori - mutazioni somatiche | ||
Intervento 1: rendere disponibili linee guida per l’utilizzo appropriato dei test per mutazioni somatiche | ||
• Definire linee-guida | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità di linee-guida: indicatore dicotomico S/N |
• Implementare linee-guida | intervento ‘Regionale’ | Recepimento Regionale Linee- guida: indicatore dicotomico S/N |
Intervento 2: programmare un rapporto periodico di aggiornamento delle linee-guida | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità almeno annuale del report: indicatore dicotomico S/N |
Bibliografia.
1. Società Italiana di Genetica Umana (SIGU). Il sequenziamento del DNA di nuova generazione: indicazioni per l’impiego clinico. Disponibile su: xxxx://xxx.xxxx.xxx/xxxx/xxxxxxxxx/0/0/xxxxx%00xxxxx
2. Xxxx Y et al. Clinical whole-exome sequencing for the diagnosis of mendelian disorders. N Engl J Med. 2013 Oct 17;369(16):1502-11.
3. Xxx X et al. Clinical exome sequencing for genetic identification of rare Mendelian disorders. JAMA. 2014 Nov 12;312(18):1880-7.
4. Xxxx Y et al. Molecular findings among patients referred for clinical whole-exome sequencing. JAMA. 2014 Nov 12;312(18):1870-9.
5. Zaitlen N et al. Using extended genealogy to estimate components of heritability for 23 quantitative and dichotomous traits. PLoS Xxxxx. 2013 May;9(5):e1003520
6. Xxxx X et al. Variation in the glucose transporter gene SLC2A2 is associated with glycemic response to metformin. Xxx Xxxxx. 2016 Sep;48(9):1055-9.
CAPITOLO 4
La prevenzione personalizzata.
4.a. Test preconcezionali
La prevenzione delle malattie mendeliane da tempo utilizza lo screening dei “portatori sani” per intercettare le coppie a rischio di malattie recessive comuni o per le quali esiste nella famiglia uno specifico rischio (cosiddetto screening a cascata). Un esempio illustrativo è la prevenzione della beta talassemia omozigote, la cui incidenza è stata drasticamente abbattuta in varie aree del mondo, combinando lo screening degli eterozigoti con la consulenza genetica e la diagnosi prenatale. Negli ultimi anni si è proposto di allargare la ricerca dei portatori anche per altre malattie recessive comuni, come la fibrosi cistica (FC), causata dalle mutazioni del gene CFTR. L’offerta attiva dello screening a cascata tra i fratelli e le sorelle di una persona affetta da una malattia recessiva appare giustificato solo per le condizioni che hanno una frequenza non inferiore a 1:10.000 nella popolazione, il che corrisponde ad una frequenza di eterozigoti di almeno 1:50. Di regola tale screening non è giustificato per i consanguinei più remoti, se la frequenza della malattia non è elevata nella popolazione.
Negli Stati Uniti, l’American College of Obstetrics and Gynecology (ACOG) e l’American College of Medical
Genetics (ACMG) hanno raccomandato di offrire questo screening alle coppie che intendono affrontare una gravidanza. Il test, inoltre, viene offerto dalla sanità pubblica in Israele nell’ambito di un pannello di diagnosi genetiche. Esistono comunque diverse altre esperienze di screening genetico limitate a piccoli gruppi, per la ricerca degli eterozigoti per la FC ed altre malattie genetiche. Gli obiettivi di queste raccomandazioni sono il miglioramento della consapevolezza procreativa e/o la riduzione dell’incidenza delle malattie sottoposte allo screening.
Oggi è in forte espansione l’offerta dei test genetici diretti ai consumatori, favorita dalla disseminazione di informazioni attraverso internet. In alcune aree geografiche il test del portatore della FC è relativamente diffuso, per l’adesione spontanea all’offerta che proviene da laboratori pubblici e privati, anche se non viene raccomandato dalle società scientifiche e neppure promosso dalle autorità sanitarie. Per quanto riguarda l’Italia, si stima che negli ultimi 20 anni siano stati eseguiti nel Veneto oltre 130.000 test per lo screening dei portatori della FC, una campagna a cui ha fatto seguito una significativa diminuzione dell’incidenza della malattia. Analogamente, negli Stati Uniti, dopo le raccomandazioni della ACOG-ACMG a favore dello screening della mutazione più comune (F508del), si è registrata una significativa riduzione dell’incidenza della malattia. Ovviamente si tratta di un approccio mirato all’analisi di specifici geni-malattia, che non incide sulla frequenza delle altre malattie recessive.
L’introduzione delle tecnologie NGS consente, in teoria, di verificare, nelle coppie che vogliono avviare una gravidanza, la condizione di portatore per una specifica malattia mendeliana, oppure escludere la presenza di mutazioni in geni responsabili di malattie dominanti a penetranza incompleta o espressività variabile, non diagnosticate clinicamente.
Il primo scenario è esemplificato dall’analisi delle mutazioni del gene CFTR, (xxx.xxxxx.xxxxxxxx.xx.xx). Molte variazioni nella sequenza di questo gene non hanno significato patogenetico; per altre non è chiaro il rapporto con la malattia. Nessun metodo commerciale permette oggi di identificare tutte le mutazioni del gene malattia la cui frequenza varia significativamente a livello geografico.. Questo problema sta diventando rilevante in
alcune regioni italiane per la costante crescita della multietnicità. Sono invece disponibili test commerciali di primo livello per la ricerca delle mutazioni più frequenti di CFTR che garantiscono in Italia una detection rate del 70-90%. Alcuni laboratori utilizzano metodi sviluppati in casa, in grado di ridurre i costi. Un risultato negativo di questi test non esclude la presenza di mutazioni non ricercate. Il rischio residuo può essere quantificato in base alla frequenza delle mutazioni nella popolazione in esame e alla detection rate del test. Questo limite ha rappresentato finora una delle principali obiezioni alla raccomandazione dello screening del portatore nella popolazione generale, data la particolare difficoltà di spiegare adeguatamente il significato di un test negativo.
Le tecniche NGS hanno migliorato la sensibilità e già oggi hanno costi minori e potrebbero in futuro essere utili per lo screening di popolazione per diverse malattie a maggiore incidenza. La loro evoluzione tecnologica è rapida, ma il loro limite sta nella loro capacità di evidenziare variazioni di sequenza al momento di significato clinico non noto. Ciò comporta da un lato il ricorso ad un grande numero di consulenze genetiche complesse, e dall’altro lato il rischio di una mancata comprensione da parte dei probandi e/o dei medici curanti dei risultati del test, un aumento del numero dei test nei partner, l’esecuzione di indagini prenatali non interpretabili e l’ansia dei futuri genitori che si troverebbero a prendere decisioni riproduttive in assenza di informazioni certe o affidabili. A tutto ciò si deve aggiungere che persino nel caso delle mutazioni delle quali è nota l’associazione con la malattia non è sempre possibile predire, a livello individuale, la gravità del quadro clinico, in quanto l’effetto modulante di altri geni e dell’ambiente può dare origine a fenotipi variabili.
Per altre malattie recessive ad elevata frequenza sono disponibili evidenze che giustificherebbero l’introduzione delle tecniche NGS nella pratica clinica, come dimostra il caso dell’atrofia muscolare spinale o della distrofia muscolare di Duchenne/Xxxxxx. Le tecnologie NGS hanno maggiore sensibilità rispetto alle tecniche tradizionali e abbattono i tempi ed i costi dei test di screening dei portatori di mutazioni associate a malattie mendeliane eterogenee, come la sindrome di Xxxxxx.
Gli altri scenari, ovvero la ricerca simultanea di mutazioni in diversi geni responsabili di malattie recessive, oppure la ricerca di mutazioni ipomorfe in malattie dominanti, non trovano ancora sufficiente supporto dai dati della letteratura. Se è vero che le tecniche NGS consentono in linea teorica di intercettare i portatori sani per le malattie recessive di cui sono note le basi molecolari, di fatto l'estensione dello screening preconcezionale alla maggior parte dei geni delle malattie gravi è considerato finora impraticabile, anche se esistono prove di concetto che indicano, in prospettiva, la possibilità di introdurlo nella pratica sanitaria.
In conclusione i test che hanno come oggetto lo screening dei portatori di mutazioni genetiche responsabili di malattie recessive comuni, come la fibrosi cistica, sono altamente attendibili e sono facilmente eseguibili con le tecniche tradizionali. Esistono quindi le condizioni per la loro implementazione, una volta che sia garantita la qualità e la disponibilità della consulenza genetica e siano avviate campagne di informazione a livello di popolazione. La prevedibile evoluzione delle tecnologie NGS amplierà le possibilità di screening dei portatori di geni associati a molte malattie genetiche. Tuttavia, l’eventuale implementazione di programmi di screening di questo tipo dovrà essere testata su programmi pilota.
Obiettivi e Raccomandazioni
Da quanto esposto emergono le seguenti priorità, rispetto alle quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 5):
• Programmazione dell’Implementazione delle piattaforme NGS (tale priorità è già definita nel Cap. 3.a)
• Promuovere programmi evidence-based di screening dei portatori di mutazioni genetiche responsabili di malattie recessive comuni. La disponibilità di sufficienti evidenze scientifiche mette il Sistema Sanitario in condizione di inserire tale screening in modo sistematico nell’ambito dei servizi offerti alla popolazione di riferimento (come definita dalle Linee-guida: v. dopo). Si identifica quindi un intervento di sanità pubblica con le seguenti caratteristiche: basato su valutazioni di efficacia sperimentale; organizzato per profili di assistenza e quindi non soltanto delegato alla competenza
/sensibilità/ iniziativa tecnico-professionale; mirato all’equità e quindi basato sul coinvolgimento attivo della popolazione destinataria; dotato di un esplicito sistema informativo e di valutazione.
Il processo di trasferimento delle nuove conoscenze scientifiche nella pratica, impone la sua articolazione nelle seguenti fasi:
o Produzione di linee guida per screening dei portatori di mutazioni genetiche responsabili di malattie recessive comuni. Il Sistema nazionale linee guida (SNLG) elabora raccomandazioni di comportamento clinico basate sugli studi scientifici più aggiornati, secondo il proprio metodo; è riconducibile a tale processo anche la collaborazione con società scientifiche ed esperti di settore. In tale framework di livello nazionale potrà essere prodotta una linea-guida per l’uso appropriato dello screening.
o La successiva fase di implementazione è riconducibile alle responsabilità e metodi della programmazione e management dei servizi sanitari regionali e richiede un processo esplicito di recepimento e applicazione.
o Organizzazione di un percorso. Assunto che la linea-guida riguarda per definizione la dimensione tecnico-professionale, le raccomandazioni derivate dalla LG devono portare alla implementazione di un’organizzazione in grado di accogliere la popolazione target in un percorso esplicito, basato su ‘nodi organizzativi’ chiaramente definiti e procedure di ‘ingaggio’ precise ed esplicite. Si tratta quindi di definire un percorso diagnostico- terapeutico- assistenziale (PDTA: sequenza predefinita, articolata e coordinata di prestazioni, ambulatoriali e/o di ricovero, che prevede la partecipazione integrata di diversi specialisti e professionisti, al fine di realizzare la diagnosi e la terapia più adeguate per una specifica patologia. Questo contesto comprende l’identificazione nel territorio regionale delle strutture/risorse responsabili dei vari step del percorso) che prenda in carico gli individui destinatari dello screening.
• Progetti pilota di screening dei portatori di geni associati a (molte) malattie genetiche (con tecnologia NGS). La forza delle evidenze scientifiche relative allo screening dei portatori di geni associati a molte malattie genetiche è ritenuta sufficiente per proporre un intervento sulla popolazione target. Tuttavia le modalità organizzative e, complessivamente la sua fattibilità devono ancora essere definite e valutate; inoltre, le patologie ‘bersaglio’ di tale intervento devono essere accuratamente definite. Per tali motivi è richiesta la definizione di una linea-guida (nell’ambito già sopra ricordato del SNLG) e relativamente a questa è opportuno, per la sua implementazione, organizzare progetti pilota accuratamente disegnati e valutati.
• Campagne di informazione. Come espresso nel Capitolo 7, nella attuale fase di sviluppo dell’uso delle scienze omiche, si tratta prioritariamente di sviluppare una vera e propria literacy sia del personale non specializzato del SSN sia della popolazione piuttosto che programmare direttamente l’uso dei media di massa. Pertanto le esigenze divulgative ed informative sull’uso appropriato dei test preconcezionali di carattere genomico vanno perseguite con le strategie e metodologie previste nel cap 7.
Tabella 5. Interventi identificabili
Argomento: test preconcezionali | ||
Responsabilità operativa | Indicatori per la valutazione di processo | |
Intervento 1: screening dei portatori di mutazioni genetiche responsabili di malattie recessive comuni | ||
Azioni . | ||
• Definire linee-guida | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità di linee guida: indicatore dicotomico S/N |
• Implementare linee-guida | intervento ‘Regionale’ | Recepimento Regionale Linee-guida: indicatore dicotomico S/N |
• Definire PDTA | intervento ‘Regionale’ | Definizione del PDTA da parte della Regione: indicatore dicotomico S/N |
Casi trattati all’interno del PDTA: indicatore quantitativo Percentuale sul totale delle prestazioni eseguite in ambito strutture pubbliche/accreditate | ||
Intervento 2: Progetto pilota di screening dei portatori di geni associati a molte malattie genetiche | Centrale/Regionale | |
Azioni |
• Definire linee-guida | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità di linee guida: indicatore dicotomico S/N |
• Attuare progetto/i pilota | Centrale/Regionale | Attuazione di almeno uno studio pilota: indicatore dicotomico S/N |
4.b Test Prenatali
Le tecniche di diagnosi prenatale comprendono indagini strumentali e di laboratorio sviluppate negli ultimi 50 anni, con l’obiettivo di monitorare il concepito, a partire dalle prime fasi dello sviluppo embrionale fino ai momenti che precedono il parto.
L’ecografia prenatale è la tecnica non invasiva di diagnosi prenatale più importante e diffusa. Viene impiegata per monitorizzare lo sviluppo dell’embrione e del feto, verificarne il benessere, seguire l’evoluzione della gravidanza e come supporto alle indagini invasive che prevedono l’acquisizione dei tessuti fetali. La sua non invasività e l’elevato grado di risoluzione ottenuta con le apparecchiature di ultima generazione ne giustificano la straordinaria diffusione ed il suo impiego sistematico, nei paesi industrializzati, pressoché in tutte le gravidanze. Le sue potenzialità correlano con l’epoca gestazionale in cui viene utilizzata, la risoluzione dell’apparecchiatura e l’esperienza dell’operatore.
L’amniocentesi è la tecnica invasiva di diagnosi prenatale maggiormente utilizzata ed è finalizzata all’acquisizione, mediante puntura transaddominale, sotto controllo ecografico, del liquido amniotico, idealmente attorno alla XV-XVI settimana di amenorrea. Il rischio di aborto, collegato all’invasività della tecnica è calcolato in circa 1:200, ma varia in rapporto all’esperienza dell’operatore. Il liquido amniotico contiene una parte non corpuscolata, cioè priva di cellule, che viene isolata, per centrifugazione del campione, ed una parte corpuscolata, formata dagli amniociti, le cellule che derivano dalla cute, dalle mucose, dalle vie genito-urinarie, dall’apparato gastrointestinale del feto e dalle membrane amniotiche. Sulla porzione non corpuscolata è possibile dosare l’alfafetoproteina (AFP) ed, eventualmente, altri marcatori biochimici, mentre gli amniociti si utilizzano, in primo luogo, per le analisi citogenetiche, ed eventualmente quelle molecolari e biochimiche, sia direttamente che sulle cellule coltivate.
La villocentesi è una tecnica invasiva, utilizzata per il prelievo del trofoblasto mediante puntura transaddominale, sotto controllo ecografico, idealmente attorno alla X-XII settimana di amenorrea. Il rischio di aborto, collegato all’invasività della tecnica, è circa 2-3%, ma varia significativamente in rapporto all’esperienza dell’operatore. Il tessuto acquisito può essere utilizzato per l’analisi citogenetica, direttamente sulle cellule del citotrofoblasto o sulle colture (cellule mesenchimali del villo). L’uso combinato delle due tecniche fornisce informazioni su popolazioni cellulari che hanno un’origine embrionale diversa, consentendo, nella maggior parte dei casi, di risolvere il potenziale problema delle discrepanze tra il cariotipo placentare ed il cariotipo fetale (riscontrabile in circa il 2% dei campioni), che è riconducibile ad una condizione di mosaicismo postzigotico. La villocentesi permette di acquisire materiale biologico in quantità relativamente abbondanti ed è perciò la tecnica di elezione per la diagnosi molecolare dei geni-malattia e per le analisi
biochimiche. La precocità della tecnica, rispetto all’amniocentesi, è controbilanciata dalla sua maggiore invasività e dall’acquisizione di tessuto placentare e non fetale.
La cordocentesi è la tecnica di acquisizione del sangue fetale, per puntura transaddominale, attorno alla XVIII settimana di amenorrea. Il rischio di aborto, collegato all’invasività della tecnica, è circa 2%, ma varia significativamente in base all’esperienza dell’operatore. La tecnica è fortemente in disuso, essendo utilizzata soprattutto per monitorizzare alcune patologie infettive ed eventualmente per tentare di chiarire dubbi emersi dall’analisi citogenetica sugli amniociti.
Gli screening prenatali non invasivi, sviluppati negli ultimi 40 anni, si basano essenzialmente sull’analisi di marcatori biochimici sul sangue materno, combinati con le indagini ecografiche. Il prototipo di queste analisi è il dosaggio dell’AFP, inizialmente utilizzato come marcatore dei difetti del tubo neurale (valore aumentato) e, successivamente, della sindrome di Down (SD; valore ridotto). Con il tempo questi screening, basati sull’associazione di marcatori diversi, hanno ottenuto un crescente sviluppo nel calcolo della probabilità delle aneuploidie fetali, soprattutto nelle madri che rientravano nella fascia di età a bassa probabilità di patologia cromosomica nel feto, e perciò non candidate al monitoraggio invasivo della gravidanza. Il triplo-test (o tri-test) basato sul dosaggio, nel secondo trimestre, dell’AFP, della gonadotropina corionica e dell’estriolo non coniugato, combinato con l’età materna e con l’età gestazionale misurata ecograficamente, consentiva di predire circa il 65% delle SD, con una percentuale di falsi positivi (FPR) compresa tra il 5 ed il 10%. A questo protocollo ne sono stati affiancati nel tempo numerosi altri, basati su vari marcatori, in diverse combinazioni, e sull’anticipazione dello screening dal secondo al primo trimestre. Parallelamente, i marcatori biochimici sono stati integrati con quelli ecografici, in particolare l’analisi dello spessore della cute nucale (translucenza nucale
- TN), che, sebbene non patognomonico della SD, tra l’XI e la XIV settimana di amenorrea, diagnostica circa il
75% dei casi, con una FPR del 5%. Successivamente, si è affermato il bi-test, che utilizza il sangue materno acquisito attorno alla X-XI settimana, sul quale viene dosata la frazione libera della beta gonadotropina corionica ed una glicoproteina ad elevato peso molecolare, la Pregnancy Associated Plasma Protein A (PAPP-A). Questa analisi, integrata con la misurazione della TN e l’età materna, predice circa l’80% delle SD, con una percentuale di falsi positivi pari a circa il 6%. In questo contesto va considerato anche il test contingente (TN + marker biochimici a 11-13 settimane; marker ecografici a 12-13 settimane o biochimici a 14- 16 settimane nei gruppi a probabilità intermedia), che consente di migliorare la specificità del test.
4.b.1 Diagnosi prenatale non invasiva sul DNA fetale presente nel circolo materno: il Non Invasive Prenatal Testing (NIPT)
E’ stato dimostrato che, a partire dal I trimestre di gravidanza, è presente nel circolo ematico materno DNA libero (cell free fetal DNA, cfDNA), parte del quale è di origine fetale (cell free fetal DNA, cffDNA), che può essere recuperato in maniera non-invasiva ed utilizzato per lo screening di alcune patologie fetali. Il cfDNA origina dalla lisi delle cellule materne e placentari. I frammenti di DNA fetale degradato contengono mediamente 180 paia di basi (bp) e sono sospesi nel plasma arterioso. Il cffDNA può essere isolato a partire dalla X settimana, quando raggiunge quantità sufficienti per un potenziale impiego clinico. La sua percentuale può variare tra <4%, una quantità non utile per lo screening, a circa il 40%, con una media del 10%, alla XII settimana, quando il 90% circa dei frammenti di DNA libero circolante nel plasma originano dall’apoptosi degli epiteli materni, creando una commistione di cfDNA materno e cffDNA. Il cffDNA scompare dal circolo materno poche ore dopo il parto, probabilmente per escrezione renale.
Il cffDNA viene utilizzato nei protocolli di Non Invasive Prenatal Testing (NIPT), soprattutto per lo screening delle aneuploidie cromosomiche. Indipendentemente dalla tecnica utilizzata, l’analisi si basa su comparazioni. Ad esempio, nel caso del cromosoma 21 (CR21), la tecnica confronta il numero dei frammenti del CR21 nella gravidanza in esame, con il numero dei frammenti di un altro cromosoma dello stesso campione atteso in una condizione di disomia, oppure con quelli di un pool di gravidanze disomiche (due CR21) di riferimento. Se il campione ottenuto dalla gravidanza in esame contiene due coppie di CR21 (due della madre e due del feto), il rapporto tra i conteggi (numero dei frammenti del CR21 nel test/numero dei frammenti nei campioni di riferimento disomici) è all’incirca uguale a 1. Se nella gravidanza in esame è presente un feto con trisomia 21 (T21), aumenta la frazione fetale (FF) per la presenza di frammenti circolanti aggiuntivi rilasciati dal CR21 soprannumerario del feto. L’entità dell’aumento dipende dalla percentuale della FF totale e dal numero delle bp del CR21, in rapporto alle bp del genoma complessivo del feto.
In circa il 2% dei diversi campioni analizzati attorno alla XII settimana la FF non supera la soglia del 4% e pertanto non sono idonei per lo screening. E’ possibile che in questi campioni la percentuale delle patologie cromosomiche sia significativamente più elevata, rispetto a quella dei campioni con FF S4%.
Il NIPT non differenzia il DNA feto-placentare da quello materno. Pertanto non è un test diagnostico, ma di screening, che, mediante algoritmi dedicati, definisce la probabilità che il feto sia affetto da una delle principali trisomie autosomiche (trisomia 21 [T21], trisomia 18 [T18], trisomia 13 [T13]) o da un’aneuploidia dei cromosomi sessuali (X, XXX, XXY, XYY), analizzando selettivamente, nel cffDNA, il numero dei frammenti contribuiti da ciascuno dei cromosomi oggetto del test.
Una recente metanalisi ha riportato, per le tre principali aneuploidie autosomiche, nelle gravidanze singole, le seguenti percentuali di sensibilità (detection rate - DR) e di specificità (FPR) del NIPT:
• T21 - DR 99,2% (95% CI, 98,5-99,6%); FPR 0,09% (95% CI, 0,05-0,14%)
• T18 - DR 96,3% (95% CI, 94,3-97,9%); FPR 0,13% (95% CI, 0,07-0,20%)
• T13 - DR 91,0% (95% CI, 85,0-95,6%); FPR 0,13% (95% CI, 0,05-0,26%).
Vari fattori spiegano queste discrepanze, in particolare i mosaicismi feto-placentari, la presenza di un vanishing twin, le malattie tumorali materne, i mosaicismi cromosomici materni, l’assenza/insufficienza della FF.
L’analisi del cffDNA può essere effettuata anche sulle gravidanze bigemine, limitatamente allo screening delle principali trisomie autosomiche; il risultato esprime una probabilità distribuita tra i due feti. Il gemello più piccolo, che fornisce una quantità minore di DNA, produce una FF statisticamente inferiore alla media della FF presente nelle gravidanze singole, suggerendo che il contributo al cffDNA della FF da parte delle due placente sia disomogeneo e sia addirittura possibile che una di esse non sia sufficientemente rappresentata (FF <4%), con il rischio di una percentuale di falsi negativi (FNR). I dati disponibili suggeriscono per la T21, una sensibilità del 95%; per la T18, dell’86%; per la T13, del 100% (i dati numerici delle T13 e T18 sono comunque troppo limitati per raggiungere un valore verosimile di sensibilità), in assenza di FPR per nessuna delle tre trisomie. In presenza di un risultato positivo, il test non indica quale feto sia affetto.
La specificità del NIPT nello screening delle aneuploidie dei cromosomi sessuali è inferiore rispetto a quella degli autosomi. Una metanalisi ha indicato per la monosomia X una sensibilità (DR) del 90,3% (95% CI, 85,7- 94,2%) ed una specificità (FPR) dello 0,23% (95% CI, 0,14-0,34%). Per tutte le altre aneuploidie dei
cromosomi sessuali, la sensibilità è risultata del 93,0% (95% CI, 85,8-97,8%) e la specificità dello 0,14% (95% CI, 0,06-0,24%).
Nella prospettiva di sviluppare tecniche in grado di analizzare l’intero genoma, sono stati messi a punto pannelli che analizzano singole microdelezioni associate ad alcune sindromi clinicamente riconoscibili, ma questi test necessitano tutti di essere validati. Analogamente, si stanno mettendo a punto test per lo screening molecolare di malattie mendeliane. I primi screening hanno riguardato la determinazione del sesso del feto, basata sulla ricerca nel plasma materno di sequenze di SRY e DYS14 del cromosoma Y, una tecnica attualmente utilizzata in alcuni Paesi per monitorizzare le gravidanze a rischio per alcune malattie legate al cromosoma X. Altri protocolli riguardano lo screening del fenotipo Rh del feto concepito da madri RhD- negative, dell’acondroplasia originata de novo al concepimento o segregata da un padre affetto, del nanismo tanatoforo, della sindrome di Apert. Analogamente possono essere sottoposte a screening le malattie autosomiche recessive, nelle quali i genitori sono eterozigoti per mutazioni diverse. In questi casi, l’esclusione o la presenza dell’allele paterno possono essere utilizzate per precisare la probabilità che il feto sia affetto, come nel caso della talassemia o della fibrosi cistica. La maggior parte di questi protocolli sono ancora sperimentali.
Le linee-guida del Ministero della Salute hanno formulato una serie di raccomandazioni:
✓ Il cfDNA/NIPT è il test di screening prenatale dotato al momento di maggiore sensibilità e specificità per lo screening della trisomia 21.
✓ Il cfDNA/NIPT riduce il ricorso alle indagini diagnostiche invasive, che hanno costi più elevati, e, di conseguenza, riduce il rischio di aborto collegato a quelle tecniche.
✓ Il cfDNA/NIPT non fornisce un risultato in circa il 2% dei casi, per l’inadeguatezza del campione correlata alla bassa concentrazione del cfDNA nel plasma materno; al momento non sono disponibili studi in grado di chiarire se questi fallimenti si associno alla presenza, nel feto, di altre anomalie cromosomiche al di fuori delle trisomie 13 e 18.
L’utilizzo del cfDNA/NIPT come screening contingente dopo il Test Combinato (eseguito da operatori certificati) appare il modello migliore per la sua implementazione a livello nazionale, in quanto avrebbe un limitato impatto complessivo sulla spesa sanitaria, a differenza dello screening universale, ed appare in grado di superare il problema dei casi senza risultato.
L’estensione del cfDNA/NIPT alle trisomie 18 e 13, utilizzandolo come screening contingente, non aumenterebbe il ricorso alle tecniche invasive, qualora i casi senza risultato fossero gestiti con il Test Combinato.
Il cfDNA/NIPT deve essere offerto nell’ambito di una consulenza con specialisti di genetica medica/medicina fetale, integrata da un esaustivo consenso informato, nel quale deve essere fatto specifico riferimento alla volontà di essere o di non essere informati su eventuali risultati incidentali, clinicamente rilevanti, emersi dall’analisi.
Il cfDNA/NIPT non è sostitutivo e perciò non evita di effettuare le altre indagini cliniche, laboratoristiche e strumentali che fanno parte integrante del monitoraggio della gravidanza.
I Centri che erogano il test devono avere competenze nella diagnosi ecografica e nella diagnosi prenatale; essere in grado di offrire la consulenza prima e dopo il test; devono essere collegati con laboratori certificati, che partecipano a programmi di controllo della qualità, nazionali ed internazionali e sono dotati di personale con competenza specifica nelle tecniche NGS.
Le caratteristiche del test raccomandano che esso venga eseguito presso un numero ristretto di laboratori a livello nazionale; per questo è auspicabile una pianificazione ed un accordo interregionale.
Devono essere predisposte campagne di informazione alla popolazione e di formazione dei professionisti, per garantire equità nell’accesso al test.
4.b.2 La diagnosi prenatale genomica (NGPD - Next Generation Prenatal Diagnosis)
Il DNA estratto dalle cellule fetali acquisite mediante amniocentesi o villocentesi, viene di solito esaminato per singoli geni le cui mutazioni sono causa di malattie mendeliane per le quali la coppia è a rischio. I dati raccolti dalla SIGU hanno stimato che il 5-10% di tutte le indagini molecolari effettuate in Italia riguardino la diagnosi prenatale di malattie mendeliane. I test molecolari nel loro complesso sono aumentati negli anni. L’ultima rilevazione, del 2011 ne aveva censiti più di 260.000 (con un incremento del 6% rispetto alla precedente rilevazione del 2007). Queste analisi fanno ovviamente riferimento al gene-malattia indagato (al momento sono note le basi molecolari di circa 4500 malattie mendeliane per le quali sono disponibili specifici test).
Il sequenziamento tradizionale (secondo la metodica di Xxxxxx) è attualmente il gold standard per la diagnosi molecolare prenatale delle malattie genetiche a difetto molecolare noto. Le tecnologie NGS hanno rivoluzionato i protocolli diagnostici, rendendo in teoria possibile l’analisi di tutte le malattie mendeliane. Nelle sue applicazioni allo studio del DNA fetale, questa procedura viene definita amniocentesi genomica o diagnosi prenatale con sequenziamento di seconda generazione o NGPD (Next Generation Prenatal Diagnosis), impropriamente “super-amniocentesi”. Questa analisi consente di effettuare lo screening di circa il 50% delle malattie mendeliane (di molte malattie genetiche non è ancora noto il difetto molecolare; inoltre dallo screening sono escluse le malattie estremamente rare e quelle per le quali non viene ritenuta etica la diagnosi prenatale). La NGPD non analizza i polimorfismi di suscettibilità (SNP), cioè le varianti che predispongono allo sviluppo delle malattie complesse, e neppure le malattie ad esordio tardivo, né le malattie del comportamento né quelle psichiatriche.
Si possono considerare tre principali scenari all’interno dei quali effettuare la diagnosi prenatale molecolare, con tecniche tradizionali e/o NGS.
Il primo, riguarda la diagnosi di una specifica malattia mendeliana per la quale la gravidanza è a rischio; il secondo, l’esclusione di una malattia mendeliana in un feto affetto da difetti eco-evidenziati, in una gravidanza che non presentava un rischio a priori aumentato, in base alla storia familiare; il terzo, lo screening allargato delle mutazioni correlate a molte malattie mendeliane, in una gravidanza che non presenta a priori uno specifico aumento del rischio.
Nel primo caso, è indispensabile identificare nella famiglia o in un probando la mutazione responsabile della malattia per la quale la gravidanza è a rischio. L’approccio più efficace è quello di definire, prima della gravidanza, il difetto molecolare responsabile della malattia. In questo caso, la NGS può eventualmente essere utilizzata per ricercare nella famiglia la mutazione patogenetica, mentre la successiva diagnosi prenatale viene effettuata con un test molecolare tradizionale.
Nel secondo caso, la NGPD può intercettare una malattia mendeliana non sospettata in base alla storia familiare, qualora il feto presenti dei difetti, non interpretabili con le tecniche strumentali e di laboratorio tradizionali. Tuttavia, la detection rate in questi casi è molto bassa: in una piccola coorte di feti e neonati con anomalie ecografiche prenatali e cariotipo normale, la NGPD ha identificato varianti patogenetiche nel 10% dei
casi. Sono inoltre noti singoli casi di malattie mendeliane sospettate nel corso della gravidanza, poi risolte con la NGS.
Nel terzo caso, al fine di escludere la presenza di una malattia mendeliana nel feto, la NGPD può trovare applicazione nello screening delle gravidanze senza rischi specifici, utilizzando le cellule fetali acquisite con le tecniche invasive routinarie.
Questo test è oggi disponibile presso alcune strutture private, ma presenta una serie di criticità, ad esempio, l’incapacità di individuare tutte le mutazioni presenti nei geni analizzati, cioè un limite nella sensibilità del test, che dipende essenzialmente dal numero delle volte in cui la stessa sequenza di DNA viene decodificata (cosiddetto coverage). Di fatto, non è chiaro in quale misura i geni in esame siano “coperti”, il che comporta una percentuale non piccola di risultati falsi negativi. Inoltre, la capacità di questi test di individuare le malattie genetiche nel feto è di solito sovrastimata. Infatti, il test individua le mutazioni presenti in un numero limitato di geni-malattia, di solito quelli responsabili delle malattie più comuni, mentre le malattie genetiche a difetto molecolare noto sono ben più numerose. Inoltre, il test non riconosce alcuni tipi di errore presenti nel DNA (ad esempio le mutazioni da espansione del DNA, le inserzioni e le delezioni). A tutto ciò va aggiunto che le analisi genomiche identificano migliaia di variazioni nella sequenza del DNA, molte delle quali prive di significato patologico e molte di interpretazione non univoca. Perciò, questo test necessita di essere preceduto e seguito da una complessa consulenza genetica.
In conclusione, l’uso di questi test non ha al momento sufficienti supporti scientifici per giustificarne l’applicazione nella diagnosi prenatale. A fronte della strabordante pubblicità ingannevole del settore, è indispensabile che le donne che intendono sottoporsi a questo test ricevano informazioni complete e veritiere da un genetista medico.
Obiettivi e Raccomandazioni
Da quanto esposto emergono le seguenti priorità, rispetto alle quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 6):
• Promuovere la diffusione della diagnosi prenatale non invasiva sul DNA fetale presente nel circolo materno. Relativamente all’uso del test cfDNA/NIPT per lo screening della trisomia 21, il CSS ha già prodotto la relativa LG. È tuttavia da garantire l’accesso a tutta la popolazione target; pertanto permane l’esigenza di promuovere/monitorare la diffusione dei Percorsi di presa in carico (PDTA) e la consapevolezza nella popolazione in tutto il personale sanitario teoricamente coinvolto (Literacy).
o Organizzazione di un percorso. Assunto che la linea-guida riguarda per definizione la dimensione tecnico-professionale; le raccomandazioni derivate dalla LG devono portare alla implementazione di un’organizzazione in grado di accogliere la popolazione target in un percorso esplicito, basato su ‘nodi organizzativi’ chiaramente definiti e procedure di ‘ingaggio’ precise ed esplicite. Si tratta quindi di definire un PDTA che prenda in carico gli individui destinatari dello screening.
o Campagne di informazione: Come espresso nel Capitolo 7, nella attuale fase di sviluppo dell’uso delle scienze omiche, si tratta prioritariamente di sviluppare una vera e propria literacy sia del personale non specializzato del servizio sanitario nazionale sia della popolazione piuttosto che programmare direttamente l’uso dei media. Pertanto le esigenze
divulgative ed informative sull’uso appropriato dei test prenatali di carattere genomico vanno perseguite con le strategie e metodologie previste nel cap 7.
• Definire percorsi per diagnosi prenatale genomica (NGPD - Next Generation Prenatal Diagnosis). La disponibilità di sufficienti evidenze scientifiche mette il Sistema Sanitario in condizione di inserire tale valutazione in modo sistematico nell’ambito dei servizi offerti alla popolazione di riferimento (secondo le modalità identificate dalle Linee-guida: v. dopo). Si identifica quindi un intervento di sanità pubblica con le seguenti caratteristiche: basato su valutazioni di efficacia sperimentale; organizzato per profili di assistenza e quindi non soltanto delegato alla competenza
/sensibilità/ iniziativa tecnico-professionale; mirato all’equità e quindi basato sul coinvolgimento attivo della popolazione destinataria; dotato di un esplicito sistema informativo e di valutazione. Il processo di trasferimento delle nuove conoscenze scientifiche nella pratica, impone la sua articolazione nei seguenti step:
o Produrre line-guida per la definizione di percorsi per diagnosi prenatale genomica (NGPD - Next Generation Prenatal Diagnosis). Tale obiettivo può essere conseguito in armonia con il Sistema nazionale linee guida (SNLG) che è impostato per elaborare raccomandazioni di comportamento clinico basate sugli studi scientifici più aggiornati, secondo il proprio metodo; è riconducibile a tale processo anche la collaborazione con società scientifiche ed esperti di settore. In tale framework di livello nazionale potrà essere prodotta una linea-guida per l’uso appropriato della diagnosi prenatale genomica (NGPD - Next Generation Prenatal Diagnosis). La successiva fase di implementazione è riconducibile alle responsabilità e metodi della programmazione e management dei servizi sanitari regionali e richiede un processo esplicito di recepimento e applicazione .
o Organizzazione di un percorso. Assunto che la linea-guida riguarda per definizione la dimensione tecnico-professionale; le raccomandazioni derivate dalla LG devono portare alla implementazione di un’organizzazione in grado di accogliere la popolazione target in un percorso esplicito, basato su ‘nodi organizzativi’ chiaramente definiti e procedure di ‘ingaggio’ precise ed esplicite. Si tratta quindi di definire un PDTA che prenda in carico gli individui destinatari dello screening.
• Campagne di informazione: Come espresso nel Capitolo 7, nella attuale fase di sviluppo dell’uso delle scienze omiche, si tratta prioritariamente di sviluppare una vera e propria literacy sia del personale non specializzato del servizio sanitario nazionale sia della popolazione piuttosto che programmare direttamente l’uso dei media. Pertanto le esigenze divulgative ed informative sull’uso appropriato dei test prenatali di carattere genomico vanno perseguite con le strategie e metodologie previste nel cap 7.
Tabella 6. Interventi identificabili
Argomento: test prenatali
Responsabilità operativa | Indicatori per la valutazione di processo | |
Intervento 1: promuovere la diffusione della diagnosi prenatale non invasiva sul DNA fetale presente nel circolo materno | ||
Azioni | ||
• Definire PDTA | intervento ‘Regionale’ | Definizione del PDTA da parte della Regione: indicatore dicotomico S/N |
Casi trattati all’interno del PDTA: indicatore quantitativo Percentuale sul totale delle prestazioni eseguite in ambito strutture pubbliche/accreditate | ||
Intervento 2: definizione di percorsi per diagnosi prenatale genomica (NGPD - Next Generation Prenatal Diagnosis) | ||
Azioni . | ||
• Definire linee-guida | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità di linee guida: indicatore dicotomico S/N |
• Implementare linee-guida | intervento ‘Regionale’ | Recepimento regionale Linee-guida: indicatore dicotomico S/N |
• Definire PDTA | intervento ‘Regionale’ | Definizione del PDTA da parte della Regione: indicatore dicotomico S/N |
Casi trattati all’interno del PDTA: indicatore quantitativo |
Percentuale sul totale delle prestazioni eseguite in ambito strutture pubbliche/accreditate |
4.c Screening neonatale ed approcci genomici
• Introduzione. Lo screening neonatale ha lo scopo di individuare i neonati affetti da malattie congenite genetiche del metabolismo ed avviare il più precocemente possibile un trattamento in grado di impedire lo sviluppo e la progressione della malattia. In Italia dal 1999 tutti i neonati sono sottoposti a screening neonatale per ipotiroidismo congenito, fibrosi cistica, fenilchetonuria. Ulteriori malattie oggetto di screening introdotte successivamente sono il deficit di biotinidasi, la galattosemia, l’iperplasia surrenale congenita. Alcune Regioni hanno promosso uno screening allargato a più di 40 malattie metaboliche, indicazione recepita anche dalle recenti proposte dei LEA.
Attualmente la "Spettrometria di massa tandem" (MS/MS) spettrometria di massa è la tecnica utilizzata per l'analisi di screening delle malattie metaboliche ereditarie e si basa sul dosaggio dell'attività enzimatica e/o l'identificazione di metaboliti su spot di sangue essiccato. Come tutti i test di screening, l'analisi biochimica ha un elevata sensibilità che riduce al minimo i "falsi negativi", a scapito di una specificità più bassa con un numero relativamente elevato di "falsi positivi".
L'analisi genetica nello screening neonatale è al momento considerata un esame di II livello, riservato a quei campioni risultati positivi al test biochimico (I livello), al fine di ridurre il numero di "falsi positivi". Il suo ruolo è determinato dalle caratteristiche intrinseche delle tecnologie utilizzate, quali la quantità di DNA necessaria, il costo elevato, i tempi di refertazione e i limiti tecnici di analisi.
• Introduzione di approcci genomici nello Screening neonatale. Le tecnologie NGS consentono di rivalutare l’uso dell'analisi genetica nell'ambito dello screening neonatale, come potenziale test di I livello in sostituzione dell'analisi biochimica. I vantaggi che ne deriverebbero comprendono la possibilità di aumentare lo spettro delle mutazioni indagabile e l’estensione dell'analisi anche ai geni responsabili di patologie non metaboliche, comunque trattabili.
Alcuni aspetti renderebbero però problematico l'uso delle tecniche NGS nello screening neonatale. Tra essi, i limiti tecnici dell'analisi (coverage, riproducibilità, quantità di DNA necessaria e tipo di campione), l'interpretazione delle varianti di significato incerto e la loro rivalutazione a distanza di tempo, la refertazione di dati non propriamente relativi a malattie metaboliche soggette a screening (ad es quelli relativi alle malattie ad insorgenza nell’età adulta, la suscettibilità allo sviluppo di neoplasie, i dati di farmacogenetica, ecc).
Per tentare di valutare l'efficacia e la riproducibilità delle tecniche NGS nello screening neonatale, sono stati condotti alcuni studi,che hanno utilizzato piccole quantità di DNA estratto da spot di sangue essiccato su cartine di Xxxxxxx mediante targeted resequencing, whole genome sequencing (WGS) e whole exome sequencing (WES), con risultati pressoché sovrapponibili a dimostrazione di una elevata concordanza e riproducibilità dei risultati.
Altri studi hanno effettuato in parallelo lo screening neonatale biochimico e l'analisi con tecniche NGS
per confrontarne i risultati. In uno studio di Xxxxxx et al. sono stati analizzati i campioni di 1696 neonati di diversa origine geografica, sia sani che affetti o prematuri, ed è stata ottenuta una buona concordanza tra i risultati biochimici e quelli genetici in 1183 campioni, con una discordanza in 513 casi, comprendenti tra l’altro varianti di significato incerto (80%), falsi positivi all'analisi biochimica (16%), falsi positivi all'analisi genetica (3%), falsi negativi all’analisi genomica (1%).
• Xxxxxxx etici e legali. Lo screening neonatale biochimico viene attualmente eseguito senza richiesta del consenso dei genitori nell’ambito degli screening obbligatori. L'introduzione dell'NGS nello screening neonatale comporterebbe l'acquisizione del consenso dopo aver adeguatamente informato le famiglie riguardo al tipo di analisi, ai possibili risultati, soprattutto per l'analisi di genoma o esoma. I genitori avrebbero la possibilità di scegliere se fare sottoporre i propri figli al test, con la conseguenza che non tutti i neonati potrebbero essere sottoposti a screening. I genitori dovrebbero inoltre decidere se ricevere i risultati relativi alle patologie metaboliche dello screening e sugli eventuali "incidental findings" riguardanti malattie ad insorgenza in età adulta. Su questo punto le attuali linee guida sconsigliano l'analisi di WGS e WES in soggetti sani, soprattutto in minorenni: questa raccomandazione si basa sulla tutela del diritto di scelta del singolo individuo di essere informato riguardo ai propri dati genetici e il consenso può essere espresso solo al raggiungimento della maggiore età in caso di dati relativi a patologie di "rilevanza non immediata".
• La propensione dei genitori. Alcuni studi si sono proposti di indagare l'interesse dei genitori in relazione alla possibilità di sottoporre i propri figli al sequenziamento del genoma. Xxxxxxxx et al. hanno sottoposto un questionario a 663 genitori, subito dopo la nascita del loro figlio e qualche mese dopo. Dai risultati è emerso che la scelta dei genitori è influenzata in parte dallo stress del periodo neonatale, e ci sono stati più genitori favorevoli all'analisi WGS tra i casi in cui lo screening biochimico aveva fornito un risultato patologico. Questi dati sono stati confermati da un altro studio di Xxxxxxx et al., in cui è stato anche osservato che il riscontro di mutazioni o varianti comporta un senso di colpa nei genitori tale da incrementare lo stress e l'ansia del periodo neonatale. Secondo Xxxxxxxx et al, la proposta dell'analisi WGS dopo qualche mese dal parto ha avuto meno consensi rispetto alla proposta alla nascita, per cui è stato concluso che le tempistiche del test influenzano il parere delle famiglie, probabilmente in relazione allo stress del periodo neonatale. Xxxxxx e al. hanno proposto di estendere l'analisi WGS ai genitori di bambini affetti da deficit immunitario congenito, dopo l’acquisizione del consenso informato ed un colloquio con le famiglie. Nonostante la differenza dei livelli culturali e socioeconomici, tutti i genitori erano favorevoli a ricevere i risultati dell’analisi WGS relativi allo screening neonatale, ma non tutti concordavano sulle informazioni riguardanti le malattie a esordio nella vita adulta e sui dati di farmacogenetica.
Obiettivi e Raccomandazioni
Da quanto esposto emergono le seguenti priorità, rispetto alle quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 7):
• Definire i percorsi di presa in carico. Considerata l’evoluzione della conoscenza scientifica e del quadro legislativo, emerge la priorità di garantire l’organizzazione della presa in carico per assicurare
qualità ed equità di accesso.
Raccomandazioni.
Finora è stata dimostrata l'efficacia e la riproducibilità dell'analisi NGS, anche su campioni utilizzati di routine nello screening neonatale, caratteristiche tecniche che consentono la potenziale introduzione di approcci genomici come indagini per lo screening neonatale. Tuttavia, l'interpretazione delle varianti di significato incerto e le tempistiche di refertazione delle analisi di migliaia di campioni, lo stoccaggio dei numerosi dati, rendono poco realistico al momento il loro impiego come analisi di I livello.
Pertanto attualmente si raccomanda che tecniche di analisi NGS siano eseguite solo in seconda istanza, successivamente allo screening biochimico positivo, per ridurre il numero di falsi positivi, risolvere diagnosi dubbie, distinguere mutazioni causative di condizioni non identificabili con lo screening biochimico.
A questo proposito la Società Europea di Genetica Umana (ESHG xxxxx://xxx.xxxx.xxx/xxxx.0.xxxx) consiglia di ricorrere al target sequencing in ambito di screening neonatale, per focalizzare l'analisi solo alle condizioni genetiche di patologie metaboliche per le quali è possibile un trattamento efficace.
Infine, l'introduzione dell'analisi genetica nello screening implica una riflessione su alcune tematiche, principalmente etiche, sulla possibilità di sottoporre un neonato apparentemente sano, che non ha manifestato ancora sintomi o segni di alcuna patologia, ad analisi WGS e WES, con conseguente consenso dei genitori all'informazione dei dati genetici.
Tabella 7. Interventi identificabili
Argomento: malattie genetiche congenite | ||
Responsabilità operativa | Indicatori per la valutazione di processo | |
Intervento 1: presa in carico dei neonati positivi allo screening neonatale delle malattie metaboliche ereditarie | ||
Azioni . | ||
• Progressivo utilizzo delle tecnologie di NGS nei test di conferma diagnostica (II livello) | intervento ‘Regionale’ | Percentuale di centri di conferma diagnostica che utilizzano tecnologie NGS |
• Definizione di linee-guida per la presa in carico dei pazienti positivi alla conferma diagnostica, complete dei requisiti standard dei Centri Clinici per il follow up | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità di linee guida: indicatore dicotomico S/N |
• Definire xxxxxxxx xxxxxxx xx xxxxx xx xxxxxx (XXXX ) | intervento ‘Regionale’ | Definizione del PDTA da parte della Regione: indicatore dicotomico S/N |
Casi trattati all’interno del PDTA: indicatore quantitativo Percentuale sul totale delle prestazioni eseguite in ambito strutture pubbliche/accreditate |
4.d Test post-natali
4.d.1 Malattie Mendeliane
La possibilità di analizzare l’intera sequenza del genoma con le nuove tecniche di sequenziamento di seconda generazione ha trovato un’estesa applicazione nel riconoscimento delle mutazioni responsabili di malattie ereditarie. L’approccio genomico ha rivoluzionato lo studio di queste malattie, supera spesso l’analisi del singolo gene (o di una sua porzione) considerato responsabile, quando mutato, della malattia, ma utilizza l’analisi dell’intera sequenza del DNA genomico, o della porzione codificante (esoma), o di un pannello allargato di geni potenzialmente coinvolti nella malattia (targeting resequencing). Il capitolo 3a ha già discusso l’approccio genomico nella diagnosi delle malattie Xxxxxxxxxx. In questa sezione del documento vengono sviluppati alcuni concetti in relazione all’impiego dell’indagine genomica nella prevenzione personalizzata di queste malattie.
I test genetici
La ricerca genetica applicata all’uomo ha prodotto negli ultimi 30 anni un risultato traslazionale principale, ovvero il trasferimento delle conoscenze nella pratica clinica, con lo sviluppo dei test genetici. Secondo una definizione accreditata, “i test genetici consistono nell’analisi di un gene, del suo prodotto o della sua funzione, dei cromosomi o di altro DNA, per identificare o escludere una modificazione che può associarsi ad una malattia genetica” (Xxxxxx, 1997).
Tuttavia, dato che i test genetici non analizzano necessariamente solo le condizioni patologiche, l’autorevole Human Genetic Commission britannica (2009) ha ridefinito i test genetici indicandoli come “le analisi rivolte ad individuare la presenza, l’assenza o la mutazione di un particolare gene, di un cromosoma, di un prodotto di un gene o di un metabolita, che sono indicative di una specifica modificazione genetica”.
Questa definizione viene correntemente utilizzata come il contenitore di alcune indagini di largo impatto, soprattutto, ma non esclusivamente, nella professione medica. Esse comprendono, secondo la modalità ricercata: i test diagnostici, i test presintomatici, i test per l’identificazione dei portatori sani, i test di farmaco genetica, i test predittivi o di suscettibilità, i test comportamentali e di orientamento sugli stili di vita, i test di nutri genetica, i test fenotipici, i test rivolti a definire i rapporti di parentela, i test ancestrali, i test di compatibilità genetica.
I test diagnostici si applicano alle persone affette da qualche patologia, spesso trasmessa con il modello
dell’eredità semplice o mendeliana (ad es. distrofia muscolare di Duchenne, da mutazione del gene DMD), oppure a dismorfismi causati da una patologia cromosomica (ad es. sindrome di Down da trisomia 21) o genomica (ad es. sindrome di Xxxxxxxx, da microdelezione 7q11.23), e vengono utilizzati per confermare un sospetto clinico o per aiutare il clinico in una diagnosi, per sottoclassificare una malattia, per stabilire correlazioni genotipo-fenotipo (cioè tra la costituzione genetica e l’insieme delle caratteristiche morfologiche e funzionali), e perciò definire la storia naturale della malattia. In generale, per migliorare la consulenza genetica e, occasionalmente, per orientare la terapia.
I test presintomatici si eseguono sulle persone non affette, che appartengono alle famiglie nelle quali una malattia, ad esordio tardivo, si trasmette in maniera autosomica dominante (ad es. xxxxx di Xxxxxxxxxx, rene policistico tipo adulto, atassie spino-cerebellari, distrofia miotonica, ecc.). L’identificazione di una mutazione nel gene-malattia stabilisce che quella persona, se vivrà sufficientemente a lungo, svilupperà la malattia.
I test per l’identificazione dei portatori sani riguardano in teoria tutta la popolazione, in quanto, per definizione, ogni persona è eterozigote (portatore sano) per un piccolo numero di geni che, se mutati, possono causare delle malattie e che possono essere trasmessi da una generazione all’altra. Nel caso di pazienti affetti da malattie recessive (sia autosomiche sia legate all’X), il test genetico è indicato per i familiari in età riproduttiva, per definire il rischio di ricorrenza collegato alla condizione di portatore sano. Nel caso specifico delle malattie autosomiche recessive, può essere orientativamente indicata la frequenza di 1:10.000 nella popolazione degli omozigoti affetti da tale condizione, per indicare la soglia, al di sotto della quale i familiari potenzialmente a rischio di essere portatori dovrebbero essere testati. Di fatto, per una frequenza di 1:10.000 omozigoti affetti è attesa una frequenza di eterozigoti di 1:50. In questo caso un fratello/sorella di un affetto ha 2/3 di probabilità di essere eterozigote e, considerata la frequenza di 1:50 eterozigoti attesa nella popolazione, il loro rischio riproduttivo sale da 1:10.000 (frequenza di quella malattia nella popolazione) a 1:300.
I test di farmacogenetica predicono la risposta individuale ai farmaci, in termini di efficacia e di rischio relativo di eventi avversi (ad es. il gene della tiopurina metiltransferasi definisce la risposta alla 6-mercaptopurina, un farmaco utilizzato nel trattamento delle leucemie).
I test predittivi o di suscettibilità valutano, nella persona che si sottopone al test, la presenza di una suscettibilità o di una resistenza nei confronti di una malattia complessa e comune (cosiddette “malattie multifattoriali” che originano dall’interazione tra i geni e l’ambiente), diversa da quella media della popolazione (ad es. suscettibilità alla celiachia, al diabete tipo 2; alla malattia di Crohn).
I test comportamentali e di orientamento sugli stili di vita forniscono informazioni sulle tendenze comportamentali individuali, sulle capacità fisiche e cognitive, sulla risposta a certe condizioni ambientali. Hanno lo scopo di aiutare la persona a modificarne le conseguenze potenzialmente negative di tali comportamenti, attraverso cambiamenti elettivi (ad es. analisi dell’HLA per definire la sensibilità al berillio, un metallo utilizzato in vari tipi di lavorazione industriale).
I test di nutrigenetica forniscono informazioni sulle modalità con le quali una persona metabolizza i cibi (ad es. geni coinvolti nel metabolismo dei lipidi, degli acidi grassi, degli zuccheri, degli aminoacidi).
I test fenotipici identificano le modalità con le quali il genotipo condiziona il fenotipo (ad es. correlazione tra certe mutazioni alleliche del gene LAMNA/C e quadri clinici nosologicamente distinti).
I test per la definizione dei rapporti di parentela definiscono la percentuale di geni condivisi dalle persone potenzialmente correlate a livello genetico (ad es. paternità e maternità biologica).
I test ancestrali stabiliscono i rapporti di una persona nei confronti di un antenato o di una determinata popolazione e quanto del suo genoma sia stato ereditato dagli antenati appartenenti ad una particolare area geografica o gruppo etnico.
I test di identificazione genetica determinano la probabilità con la quale un campione o una traccia di DNA recuperato da un oggetto o da altro materiale appartenga ad una determinata persona.
L’approccio finora utilizzato prevede l’analisi di singoli sequenze di DNA, in relazione al problema che si intende indagare. E’ evidente che con uno studio genomico si raccolgono tutte le informazioni relative al genotipo di una persona, che di fatto comprendono tutte le tipologie dei test genetici sopra riportati. Perciò in teoria fornisce informazioni sulle mutazioni responsabili di malattie mendeliane, permette di riconoscere i geni- malattia per i quali l’individuo è portatore sano, fornisce informazioni sulle reazioni ai farmaci, sulle abitudini alimentari, sui tratti somatici e comportamentali, sulle malattie complesse per le quali è a rischio o nei confronti delle quali è protetto, e può predire le condizioni di rischio nei confronti di malattie monogeniche ad insorgenza nell’età adulta e/o a penetranza incompleta. Ad esempio, la mutazione del gene BRCA1 ha una probabilità di circa il 70 ed il 40% rispettivamente di esprimersi come tumore della mammella o come carcinoma dell’ovaio nell’arco della vita di una donna eterozigote. Questa caratteristica fa assimilare questo test alla categoria dei predittivi, in quanto è in grado di identificare una suscettibilità diversa da quella media della popolazione. Tuttavia si tende ad utilizzare la definizione di predittivo solo per i test che identificano la componente genetica delle malattie multifattoriali, quelle dovute all’interazione tra l’effetto additivo di più geni e l’ambiente. Analogamente, i test comportamentali e di orientamento sugli stili di vita e i test di nutrigenetica sono, di fatto, test predittivi o di suscettibilità (in quanto si applicano a caratteri complessi), mentre quelli fenotipici possono essere considerati test diagnostici (in quanto si applicano a caratteri semplici).
Il sequenziamento del genoma umano e l’impressionante sviluppo tecnologico, consentono dunque di analizzare in tempi rapidi e a costi relativamente contenuti l’intero genoma, promettono di rendere disponibile su larga scala la decodificazione del profilo genomico individuale e, in teoria, di identificare le variazioni costituzionali che ci rendono suscettibili alle malattie e che influenzano i nostri stili di vita.
I test di suscettibilità e predittivi nel mercato della salute: la categoria dei “non-pazienti”
Il bioeticista Xxxxxx Xxxxx (2000) aveva immaginato che la decodificazione del genoma umano avrebbe identificato nella molecola del DNA una sorta di cartella clinica. Aveva anche anticipato che, prima di raggiungere quell’obiettivo, sarebbe stato necessario rispondere ad alcune domande fondamentali, fra le quali: chi è autorizzato a creare il ‘CD’ che contiene l’informazione genetica? Chi lo conserva? Chi ne controlla l’uso? In che maniera il ‘CD’ potrebbe essere trattato come un’informazione medica sensibile? A distanza di oltre tre lustri da quella previsione, lo scenario anticipato sembra a portata di mano. Non solo l’obiettivo di abbattere i costi del sequenziamento del genoma umano e perciò di renderlo disponibile è stato raggiunto ma, soprattutto,
le tecniche in grado di processare su larga scala i campioni biologici sono disponibili presso molti laboratori e i cittadini sono oggetto di crescenti pressioni da parte del mercato della salute, che enfatizza le presunte potenzialità predittive e preventive di queste analisi.
Il sequenziamento del genoma di alcune persone celebri, come i genetisti Xxxxx Xxxxxx (uno degli scopritori della doppia elica del DNA) e Xxxxx Xxxxxx (uno dei due coordinatori dei progetti che hanno sequenziato il genoma umano), ha dato il via all’era della “medicina personalizzata” e ha creato nell’opinione pubblica enormi aspettative. Una piccola frazione della sequenza di Xxxxxx non è stata resa pubblica, mentre quella di Xxxxxx è stata pubblicata nella sua interezza, per quanto riguarda i suoi 23.224 geni e le regioni variabili, compresi alcuni polimorfismi che lo renderebbero potenzialmente suscettibile al comportamento antisociale, all’alcolismo, alla coronaropatia, all’ipertensione, all’obesità, all’insulino-resistenza, all’ipertrofia del cuore sinistro, all’infarto acuto del miocardio, al deficit di lipasi lipoproteica, all’ipertrigliceridemia, all’ictus, alla malattia di Alzheimer.
Xxxxx Xxxxxx non è tuttavia una persona particolarmente sfortunata. La sua sequenza genomica esemplifica, di fatto, il “genoma imperfetto” condiviso da ogni persona, per la sola ragione di appartenere alla specie umana. E’ infatti noto che ogni persona, presa a caso, è eterozigote per un numero significativo di mutazioni (il 44% dei geni di Venter era eterozigote per una o più varianti). Un piccolo numero di queste mutazioni riguarda i geni responsabili di malattie rare (per lo più trasmesse in maniera mendeliana), mentre alcune migliaia di varianti interessano geni correlati alle malattie complesse, sul cui fenotipo agiscono con un piccolo effetto additivo, che si somma alla componente ambientale (eredità multifattoriale).
Il concetto di eredità multifattoriale è anche suffragato dal sequenziamento del primo uomo di provenienza Asiatica, nel quale è stata dimostrata la presenza di oltre il 56% dei polimorfismi noti che conferiscono suscettibilità alla malattia di Alzheimer, del 15% di quelli per il diabete, del 10% di quelli per l’ipertensione, del 9% di quelli per la malattia di Parkinson e del 63% di quelli della dipendenza dal tabacco.
Lo scenario evidenziato dal sequenziamento di questi primi genomi e confermato dal sequenziamento successivo di centinaia di migliaia di genomi e il potenziale impatto della “predizione genetica”, basata sul sequenziamento del genoma delle persone, sulla concezione della salute era stato delineato una decina di anni prima da Xxxxxx et al. (1996), che avevano anticipato l’incombente presenza, sulla scena della medicina, dei “non-pazienti”. Già allora era apparso chiaro che l’imminente possibilità di analizzare la suscettibilità alle malattie comuni avrebbe avvicinato al mondo della medicina milioni di persone asintomatiche. Secondo gli autori dell’articolo, gli unpatients sono una nuova classe di persone all’interno della medicina: non sono “pazienti” nel senso classico, in quanto non presentano sintomi; sono persone che condividono predisposizioni genetiche, che potrebbero vivere nell’attesa dell’ipotetica comparsa di qualche segno di malattia, organizzano la loro vita in funzione delle visite mediche o delle analisi di laboratorio, finiscono per sentirsi ammalati o addirittura sviluppano sintomi psicosomatici.
Senza negare l’importanza del profilo genomico e le sue capacità di condizionare in prospettiva la qualità della vita, non si può non ripetere che il nostro stato di salute/malattia non viene definito solo dal DNA ma anche dalla sua interazione con l’ambiente. E’ esemplificativo il caso dei gemelli identici (monozigoti) che, pur condividendo lo stesso DNA, nel corso della vita amplificano le loro divergenze fenotipiche, in quanto la complessa regolazione del genoma, che è fortemente condizionata dall’ambiente, crea, di fatto, differenze a livello della funzione dei rispettivi genomi.
Proprio sulla base di queste considerazioni, l’epigenetica ha assunto negli ultimi anni un crescente sviluppo, avendo l’obiettivo di analizzare gli aspetti funzionali del genoma, in particolare i processi biochimici che non modificano la sequenza del DNA, ma che possano modificare il fenotipo attraverso modificazioni funzionali.
Il Catalogo delle Malattie Mendeliane
Il numero complessivo dei fenotipi con accertata o sospetta base mendeliana superava gli 8000 nel mese di novembre del 2016. Erano note le basi genetiche di circa i 2/3 dei tali fenotipi (xxxx://xxx.xxxx.xxx/xxxxxxxxxx/xxxxx). Questo gap conoscitivo potrà essere colmata dalle tecniche di sequenziamento di seconda generazione. In parallelo sta aumentando il numero dei fenotipi nosologicamente distinti, come conseguenza del miglioramento delle capacità di caratterizzare i fenotipi, alla condivisione delle terminologie cliniche e delle infrastrutture sulle quali mettere in comune le casistiche delle malattie rare (Centers for Mendelian Genomics supportati da NHGRI e NHLBI negli USA, FORGE Canada, e WTDDD nel Regno Unito). L’aumento del numero dei fenotipi non è peraltro inatteso, se si considera che il genoma umano contiene oltre 20.000 geni codificanti proteine, la maggior parte dei quali si è altamente conservata nell’evoluzione. E’ perciò verosimile che anche la maggior parte delle mutazioni in questi geni comportino conseguenze fenotipiche. Si deve inoltre considerare che le alleliche (mutazioni diverse dello stesso gene) possono associarsi a fenotipi diversi.
La maggior parte delle malattie sono al momento riconducibili alla parte codificante del genoma, ma sta emergendo un nuovo paradigma. Un gene è un tratto di DNA che viene trascritto, anche se non viene tradotto; è probabile che quest’altro catalogo di geni (non codificanti ma utilizzati comunque dal nostro organismo) siano almeno numerosi quanto quelli codificanti. Stanno di fatto emergendo malattie monogeniche dovute a mutazioni di sequenze non codificanti per proteine, ma che codificano per RNA. Il catalogo dei geni è quindi destinato ad aumentare, così come il catalogo delle malattie dovute a mutazioni di sequenze del DNA.
La prevenzione delle malattie mendeliane
I risultati della ricerca e le crescenti potenzialità diagnostiche conseguenti all’introduzione nella pratica clinica delle tecniche di sequenziamento di seconda generazione hanno avuto ripercussioni anche sul fronte della prevenzione delle patologie mendeliane ad esordio nella vita post-natale (ad esempio diverse patologie neoplastiche, miocardiopatie e cardiopatie aritmogene, diabete mellito tipo MODY). La maggior parte di queste condizioni mostra un elevato grado di eterogeneità genetica e pertanto l’approccio NGS è particolarmente indicato nella individuazione delle varianti genetiche causative. Queste tecniche, in particolare l’analisi di pannelli di geni candidati mediante targeted resequencing, vengono sempre più utilizzate nella prevenzione oncologica e cardiologica. In questo modo è stato possibile ottenere un miglioramento della resa diagnostica, con l’identificazione mediante WES di nuovi geni-malattia, anche se sono aumentati contestualmente i risultati di difficile interpretazione, in particolare i cosiddetti VOUS e gli incidental findings.
Trattandosi di condizioni non frequenti (nel caso di malattie comuni, come i tumori, le forme su base mendeliana, rappresentano circa il 5-10% del totale dei casi), l’approccio standard alla prevenzione delle malattie mendeliane in epoca post-natale prevede l’individuazione dei soggetti a rischio attraverso l’analisi dell’albero genealogico ed il fenotipo clinico (ad es. aggregazione familiare di specifiche patologie, insorgenza in età precoce rispetto alla media della popolazione generale, e/o altre caratteristiche cliniche specifiche). Un risultato negativo di un test di predisposizione, eseguito con metodiche tradizionali o analizzando un pannello di geni, non consente di escludere la presenza di una variante genetica causativa non rilevata; ciò può essere dovuto al fatto che non sono stati analizzati tutti i geni noti già correlati con il fenotipo di interesse, oppure al coinvolgimento di altri meccanismi genetici non ancora individuati. Inoltre, è noto che l’approccio clinico basato
sull’analisi del fenotipo e sull’impiego dei test convenzionali comporta ritardi ed errori diagnostici, anche di fronte a patologie per le quali i test sono ampiamente disponibili e validati, come la fibrosi cistica e la sindrome dell’X fragile. Un approccio su scala più larga (WES o WGS) dovrebbe quindi consentire di ridurre il numero di risultati non informativi. In effetti, gli approcci genomici hanno consentito di individuare nuovi geni responsabili di patologie mendeliane potenzialmente prevenibili mediante implementazione di specifiche misure cliniche.
Il sequenziamento genomico preventivo
Il miglioramento delle conoscenze sulle basi genomiche di diverse patologie, insieme alla riduzione dei costi delle tecnologie di sequenziamento di seconda generazione, ha dato origine al concetto di sequenziamento genomico preventivo (Preventive Genomic Sequencing; PGS), un termine con il quale si indica l’obiettivo di identificare i portatori silenti di varianti che determinano un’elevata predisposizione allo sviluppo di malattie mendeliane, in particolare quelle per le quali sono disponibili approcci preventivi validati. A differenza dei programmi di screening genetico tradizionali, il PGS non sarebbe quindi limitato alle persone/famiglie riconosciute ad alto rischio, ma sarebbe applicabile all’intera popolazione per individuare casi latenti o non ancora individuati di patologie genetiche.
La possibile implementazione del PGS comporta diverse problematiche, di natura etica, legale e clinica. Limitandosi a considerare quest’ultimo aspetto, il problema centrale è rappresentato dalla scelta delle patologie che si vorrebbero testare. In ambito diagnostico e di ricerca è stato già proposto di limitare la comunicazione dei risultati incidentali alle varianti genetiche responsabili di patologie per le quali siano disponibili interventi clinici di provata efficacia (medically actionable genes; MAGs), lasciando ai pazienti la scelta se essere informati e, in caso affermativo, in maniera completa o parziale, dei risultati emersi dall’indagine.
Al momento è stato proposto che gli eventuali programmi di PGS, essendo di natura pilota, siano focalizzati sui MAGs. Un aspetto importante da chiarire riguarda il grado di informazioni da comunicare preliminarmente alle persone che richiedono il test e la possibilità di decidere se ricevere o meno i risultati inerenti a specifici geni o malattie. Se la finalità del PGS fosse la riduzione della frequenza globale delle patologie causate dalle varianti nei geni indagati, il programma dovrebbe essere applicato a tutta la popolazione. Ammesso che tutti i soggetti potenzialmente interessati potessero accedere al test, l’impatto, in termini di salute pubblica, non sarebbe tuttavia molto significativo. Si stima infatti un tasso di risultati positivi dello 0,5-1%. Per alcune patologie, ciò comporterebbe la possibilità di implementare programmi di prevenzione, ma l’incidenza globale della malattia non sarebbe sostanzialmente ridotta. Ad esempio, i geni BRCA1 e BRCA2 causano circa il 5- 10% dei tumori del seno e il 15% dei carcinomi ovarici, e i geni del mismatch repair, associati alla sindrome di Xxxxx, sono implicati nell’1-3% dei carcinomi colorettali e nell’1% circa dei carcinomi dell’endometrio. La maggior parte di questi tumori non sarebbe quindi prevenibile attraverso l’implementazione di programmi PGS, e il beneficio, a livello della popolazione generale, sarebbe limitato. Inoltre, il rischio conferito da una variante patogenetica riscontrata in un soggetto che non ha storia familiare o personale della malattia alla quale la variante è associata potrebbe essere sostanzialmente diverso da quello che ha una persona affetta e/o con storia familiare positiva per la malattia, a causa dell’intervento di fattori modificatori ancora largamente sconosciuti. I database genetici contenenti i risultati delle analisi WES effettuate con finalità di ricerca (ExAC, Exome Aggregation Consortium; xxxx://xxxx.xxxxxxxxxxxxxx.xxx/) hanno messo in evidenza una frequenza relativamente elevata di varianti associate a patologie mendeliane considerate patogenetiche, sollevando dubbi sul loro effettivo significato clinico.
In conclusione, i test genomici post-natali per la prevenzione delle malattie mendeliane trovano oggi indicazione per l’analisi di pannelli di geni mediante targeted resequencing o in silico dopo sequenziamento dell’intero esoma. Può essere preso in considerazione l’esoma quando la causa genetica di un fenotipo con caratteristiche che suggeriscono una base mendeliana non è stata identificata in base all’analisi dei geni candidati noti. L’offerta e l’implementazione di programmi di PGS richiede invece ulteriori discussioni ed eventuali studi pilota per verificarne l’utilità clinica e chiarirne le problematiche etiche connesse.
A titolo di esempio, negli approfondimenti viene riportato l’approccio genomico alla prevenzione delle malattie cardiovascolari mendeliane (v. Capitolo 8 d).
4 d.2 Test post-natali per malattie complesse.
4.d 2.i Concetti generali
Le analisi genome-wide hanno avuto un grande impatto nella comprensione delle differenze e perciò della variabilità interindividuale e hanno permesso di mappare un migliaio di loci-malattia associabili a fenotipi di suscettibilità alle malattie più comuni nell’uomo. La suscettibilità a sviluppare una determinata malattia è dovuta alla componente genetica della malattia, ovvero la sua “ereditabilità” riconducibile alle caratteristiche del genoma individuale, distinguendola dalla componente ambientale, intesa come alimentazione, farmaci, microbioma, stili di vita, (esposoma).
L’analisi genetica della suscettibilità alle malattie complesse ha permesso di indagare per la prima volta i meccanismi biologici della variabilità interindividuale, nonché dell’ereditabilità. E’ stato così scoperto che le persone differiscono tra loro in media da 4,1 a 5 milioni di varianti di singolo nucleotide (SNVs), almeno
459.000 - 565.000 delle quali si sovrappongono con le regioni regolatorie, che circa una ogni 200 basi è diversa e ogni persona possiede oltre 1500 variazioni che la rendono diversa rispetto alle mappe di riferimento. Delle varianti trascritte, più del 85% sono rare con frequenze alleliche minori (MAFS) al di sotto dello 0,5%. Inoltre se considerassimo solo le varianti putativamente funzionali, il loro numero aumenterebbe di oltre il 95%, a sottolineare l'importanza dell’analisi delle varianti rare, al fine di stabilire con maggiore precisione la suscettibilità ad una malattia o una risposta ad un farmaco.
La suscettibilità genetica è appunto la risultante della variazione di un gene che altera la funzione biologica espressa dal gene all’origine, modificando il rischio di un soggetto di sviluppare una determinata patologia. Si definisce gene di suscettibilità, una variante genetica che conferisce un rischio modificato di contrarre una specifica malattia ma non è di per se sufficiente a causare la malattia. Le variazioni di questi geni sono note come polimorfismi e possono variare quantitativamente e qualitativamente. Ad esempio, è stato riconosciuto che vi sono almeno 300 polimorfismi che influenzano lo sviluppo delle patologie cardiovascolari. Tuttavia, nessuno di questi, valutato singolarmente può essere utilizzato per una stima del rischio predittivo né tantomeno come target di terapia. Il potere predittivo dei singoli polimorfismi è limitato proprio dalla loro variabilità a livello di popolazione, dal contesto del genoma nella quale si trovano, dall’architettura genomica (posizione nel gene, presenza di mutazioni aggiuntive, controllo epigenetico, interazione con altri polimorfismi). Soltanto un’analisi complessiva delle varianti di rischio (mediante precisi algoritmi) di un determinato numero di polimorfismi, permette di prevedere statisticamente il rischio di sviluppare una malattia o di rispondere a un intervento terapeutico sulla base della determinazione del genotipo per una o più mutazioni geniche. Un algoritmo (RACE) sviluppato dalle Università di Roma Tor Vergata e Vita e Salute di
Milano ha permesso di valutare il rischio individuale di ogni persona basandosi sull’analisi di 11 geni di suscettibilità alle malattie cardiovascolari congiuntamente alla presenza di tutti gli altri fattori di rischio (fumo, stili di vita, patologie concomitanti, dati di laboratorio clinico, attività culturale). Combinati insieme in un modello a quattro dimensioni, è stato possibile stimare il rischio individuale prospettico in oltre 200 casi con accuratezza e precisione. Questo è un esempio applicativo di medicina personalizzata basato sulla variazione genomica individuale di un set di 11 loci integrato con i fattori di rischio ambientali riferiti al soggetto in esame e non alla popolazione generale.
Questi studi nei prossimi anni si moltiplicheranno in conseguenza della grande quantità di dati clinici appartenenti ai singoli soggetti (cartelle cliniche elettroniche), che saranno collegate a informazioni genotipiche (SNPs) e renderanno possibile Phenome-Wide association studies (PheWASs) ovvero, analisi comparative delle varianti genetiche associate a fenotipi multipli utilizzando solo i dati raccolti nelle banche dati. Il metodo PheWAS ha contribuito a definire diversi sottotipi di una malattia ed è determinante negli studi di riposizionamento dei farmaci e nella medicina di precisione. L’approccio PheWASs ha permesso di identificare e mappare con precisione 160 loci-malattie diverse nella regione HLA sul braccio corto del cromosoma 6 in una xxxxxxx xx XXX xx xxxxx 0 Xx, tra cui geni di suscettibilità alla schizofrenia, al diabete, alla psoriasi, al lupus e ad altre malattie autoimmuni. Altri ricercatori hanno utilizzato il metodo PheWAS per identificare l’origine di alcune malattie neurologiche, psichiatriche e dermatologiche in segmenti di DNA di origine Neandertaliana. PheWASs può essere utilizzato anche per scoprire condizioni di co-morbidità, come ad esempio la suscettibilità alla paradontite che è co-localizzata con loci di suscettibilità al diabete, all'ipertensione e all'ipercolesterolemia, o anche di individuare sottotipi di pazienti con patologie complesse, come nel diabete di tipo 2, distinguendo su base genetica i soggetti suscettibili ad alcune complicanze, come la nefropatia o la retinopatia. Analogamente, la neuropatia diabetica è stata associata ai polimorfismi di alcuni geni codificanti miRNAs aprendo la strada a nuovi alleli di suscettibilità in geni mai identificati fino ad oggi su base polimorfica. Gli stessi autori hanno identificato polimorfismi “a monte” del gene MIR1279 che risultano associati con lo sviluppo della pericardite nei pazienti affetti da Lupus Eritematoso Sistemico, indipendentemente dagli altri loci di suscettibilità alla malattia. Questi esempi dimostrano la straordinaria potenza dell’approccio genomico per dissezionare le malattie complesse. Ad esempio hanno identificato come loci di suscettibilità alle malattie autoimmuni, i geni XXXX0, XX00, PSORS1C1, PTPN2, ERAP1, TRAF3IP2 e MIR146A, che influenzano la sintomatologia dell’artrite reumatoide in modo pleiotropico e additivo.
Attualmente le ricerche sulle basi biologiche dei caratteri complessi restano essenzialmente oggetto di studio; in questo contesto si va sempre più configurando l’idea che le malattie comuni siano determinate dall’effetto cumulativo di molte variazioni che individualmente conferiscono un rischio di malattia molto modesto o addirittura trascurabile, se non in associazione con molte/moltissime altre variazioni.
L’utilizzo clinico dei polimorfismi di suscettibilità dovrebbe tenere conto di alcune cautele principali. In primo luogo, le persone non dovrebbero sottoporsi a questi test senza conoscere a priori come utilizzare i risultati. In secondo luogo, deve essere chiaro che almeno un test ogni 20, tra quelli con una dichiarata specificità del 95%, fornisce un risultato falso positivo; ne consegue che il sequenziamento completo del genoma di una persona fornisce un risultato contenente almeno 6000 errori. Inoltre, va ricordato che, all’interno dei dati ottenuti, ne vengono evidenziati alcuni di non chiaro significato clinico (i cosiddetti VUS – Variations of Unknown Significance), oppure la specificità allelica (posizione in cis/trans degli alleli in condizione di eterozigosi) che limitano ulteriormente il potere predittivo di queste analisi. Non ultimo, il valore clinico di un’indagine di questo tipo dipende dalla possibilità di collegare specifiche varianti ad un miglioramento dell’esito clinico, il che di solito non è affatto scontato. La diversità genetica individuale si presenta come un
continuum che va da polimorfismi neutri, attraverso polimorfismi funzionali e suscettibilità alla malattia con varianti di vero significato patologico. E’ evidente pertanto che diverse combinazioni di polimorfismi a minore o elevato rischio costituiscono una rete complessa e funzionale con diverse conseguenze cliniche. Infatti, è proprio la combinazione di alleli comuni a bassa penetranza con alleli rari ad elevata penetranza che influenzano l'età di insorgenza e / o la gravità clinica di una malattia complessa. La definizione del rischio per un singolo soggetto non dipende quindi solo dal numero e dalla posizione delle varianti di suscettibilità individuate, ma anche dalla composizione unica del proprio genoma a livello di carico mutazionale. A questo si aggiunge l’impatto fornito dai fattori epigenetici e ambientali che in modo sinergico e a volte antagonista, può contribuire alla definizione del fenotipo (in modo deleterio o protettivo) perturbando l’equilibrio di vie metaboliche specifiche innescando o inibendo il processo patogenetico. Per questa ragione è necessario sviluppare nuovi algoritmi in grado non solo di identificare quelle varianti funzionali di elevato significato clinico ma capaci di elaborare rischi personalizzati interattivi con singoli fattori ambientali e migliorare in tal modo la nostra comprensione della natura della malattia complessa.
4.d 2.ii L’esempio delle malattie cardiovascolari multifattoriali
La cardiopatia ischemica è la prima causa di morte nel mondo occidentale. L’aterosclerosi coronarica è il substrato anatomopatologico che sottende quasi tutte le manifestazioni cliniche (angina cronica stabile, sindromi coronariche acute, morte improvvisa coronarica) della cardiopatia ischemica.
La malattia aterosclerotica coronarica è una malattia complessa alla cui espressione clinica concorrono due meccanismi patogenetici ugualmente importanti: i fattori ambientali comunemente chiamati fattori di rischio; la suscettibilità genetica, cioè tutto il corredo dei geni con i propri polimorfismi che facilitano il processo aterosclerotico.
I fattori ambientali o di rischio, sono stati identificati nei principali studi epidemiologici, ad esempio il Framingham Heart Study effettuato a partire dal 1948 nella cittadina statunitense di Framingham (Massachusetts) e più recentemente l’INTERHEART, che ha individuato, in ordine decrescente di odds ratio o probabilità di associazione il livello di colesterolo, il fumo, il diabete, l’ipertensione, l’obesità, ed ha individuato, come fattori protettivi, il consumo giornaliero di frutta e verdura, l’esercizio fisico e un moderato consumo di alcool. I fattori di stress psico-sociali sono stati classificati come fattori che influenzano negativamente tutti gli altri.
Sono state proposte molte le teorie che hanno cercato di spiegare la formazione della placca aterosclerotica. Quella oggi più accreditata è la teoria metabolica, che pone il colesterolo LDL come punto cardine nella formazione, progressione e destabilizzazione della placca aterosclerotica.
È stato riconosciuto uno stretto legame tra alcuni polimorfismi dei geni che codificano per proteine importanti nei processi biologici alla base della formazione della placca aterosclerotica e della fisiologia cardiocircolatoria e lo sviluppo delle patologie cardiovascolari. Ad esempio è noto che il polimorfismo M235T del gene codificante per l’angiotensinogeno (AGT) è strettamente correlato con l’ipertensione arteriosa. Numerosi altri studi hanno riguardato i geni che producono proteine/enzimi attivi nel metabolismo del colesterolo, della coagulazione, delle lipoproteine, dell'aggregazione ed adesione piastrinica, dei processi infiammatori a livello della parete vasale, del collagene e dell’ossidazione delle LDL, nonché dei loro recettori. Tra questi, i geni di maggiore interesse per la definizione della suscettibilità genetica comprendono: i geni del metabolismo lipidico (ApoB, ApoCIII, ApoE, CETP, LPL, PON, TRIB1); dell’ipertensione (ACE, AGT, ATIIR1); del metabolismo dell’omocisteina (MTHFR, CBS); della trombosi (FV, FBNGN, GPIIIa); dell’adesione leucocitaria (XXXX) ed
altri geni a funzione sconosciuta ma probabilmente con attività regolatoria, come la regione non codificante 9p21 e regolazione dei geni CDKN2B e CDKN2A, considerato oggi un polimorfismo ad elevata penetranza nelle malattie cardiovascolari.
Quanti e quali di questi geni di suscettibilità all’aterosclerosi e all’infarto del miocardio possono essere considerati importanti per la predizione della malattia?
Ogni allele di suscettibilità deve essere identificato e classificato in base al proprio score genetico di rischio (GRS) risultante dalla combinazione degli alleli di rischio. Un GRS rappresenta l’elemento costante di esposizione al rischio dell’individuo durante tutta la sua vita che naturalmente si interfaccia con gli altri fattori di rischio ambientali. Utilizzando specifici algoritmi, è possibile stabilire un punteggio di rischio genetico (GRS) associato al rischio cardiovascolare individuale e stabilire, l’eventuale effetto additivo o moltiplicativo dei singoli fattori di rischio nella valutazione complessiva del rischio ischemico nella malattia coronarica. Ad esempio, i valori del colesterolo LDL e dei trigliceridi hanno un effetto additivo sul rischio cardiovascolare, quando combinati, ma la loro interazione con il GRS è più complessa e potrebbe avere un effetto moltiplicativo. Questo conferma che la progressione dell’aterosclerosi è la risultante di una combinazione tra il processo infiammatorio e i livelli lipidici. E’ bene chiarire subito che un set di geni selezionati esclusivamente in base alla loro funzione nella patogenesi cardiovascolare possono essere utili in termini di predizione del rischio di malattia coronarica. Tuttavia, nessuno di questi geni, valutato singolarmente, può essere utilizzato per una valutazione del rischio predittivo né tantomeno come target di terapia. Soltanto un’analisi complessiva delle varianti di rischio (mediante precisi algoritmi) di un determinato set di geni non-pleiotropici validato e qualificato, attraverso opportuni studi di popolazione, e di analisi retrospettive e prospettive, permette di prevedere statisticamente il rischio individuale di sviluppare la malattia aterosclerotica o di rispondere a un intervento terapeutico sulla base della determinazione del genotipo per una o più mutazioni geniche.
Oltre ai polimorfismi che aumentano direttamente il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, esistono alcuni geni che indirettamente aumentano tale rischio. Queste suscettibilità “indirette” sono dovute ad alcuni geni che influenzano comportamenti non salutari come il consumo di alcool e tabacco. L'importanza “comportamentale” nella modificazione del rischio individuale è stata dimostrata in maniera inconfutabile da alcuni studi di popolazione sulle migrazioni. Ad esempio, gli individui giapponesi hanno una più bassa incidenza di sviluppare CVD rispetto agli americani, ma gli americani-giapponesi, che hanno adottato uno stile di vita "occidentale", hanno la stessa incidenza di sviluppare CVD della restante popolazione americana. Un altro drammatico esempio di una popolazione stazionaria, che ha subito un cambiamento ambientale, è quello degli Indiani Pima dell'Arizona. Prima dell’adattamento allo stile di vita occidentale, questi indiani avevano una modesta incidenza di obesità e diabete, attualmente invece queste malattie sono in dilagante crescita in questa popolazione. Molto studi scientifici hanno documentato che la differenza di incidenza delle CVD tra le popolazioni è dovuta principalmente a fattori ambientali. Questo non si può dire tuttavia per le popolazioni che non differiscono nella suscettibilità genetica; per esempio, gli indiani Pima hanno sorprendentemente una bassa incidenza di CVD nonostante l'alta frequenza di diabete. Le interazioni gene-ambiente sono difficili da studiare negli esseri umani, ma gli studi genetico-epidemiologici hanno rivelato alcuni esempi possibili. I Masai, una tribù dell’Africa orientale, hanno una alimentazione estremamente elevata di grassi (la loro dieta è composta quasi interamente da prodotti di origine animale), ma i loro livelli di colesterolo tendono ad essere relativamente bassi. Questo è una conseguenza di una insolita regolazione a feedback negativo della sintesi del colesterolo per ragioni genetiche. D'altra parte, gli eschimesi hanno relativamente scarsa repressione della sintesi del colesterolo in risposta ad una dieta con un elevato contenuto di grassi. Questo è conseguente all’adattamento a condizioni ambientali estreme con basse temperature e dieta ricca di acidi grassi polinsaturi,
che ha permesso di selezionare varianti specifiche di geni codificanti per desaturasi che modulano il metabolismo degli acidi grassi semi essenziali.
L’importanza del GRS nelle malattie cardiovascolari attualmente può essere importante nella valutazione dell’aumento del rischio di un consanguineo di un individuo affetto rispetto alla popolazione generale. Le CVD si presentano di solito dopo i 55 anni, per cui tali valutazioni sono importanti soprattutto negli eventi cardiovascolari precoci. L’utilizzo del GRS nella valutazione del rischio preventivo di malattia coronarica dovrebbe pertanto essere utilizzato nella pratica clinica solo nelle seguenti condizioni:
• consulenza genetica pre- e post-test;
• impiego di polimorfismi non-pleiotropici già analizzati e validati;
• interpretazione del risultato effettuato da un team di esperti con figure professionali differenti (cardiologi, genetisti, bioinformatici);
• il Centro che offre il test deve disporre di database, di programmi e di algoritmi in grado di interconnettere i dati clinici con i dati genetici.
Obiettivi e Raccomandazioni (Cap.4 d 2)
Da quanto esposto emergono le seguenti priorità, rispetto alle quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 8):
• Promuovere il ricorso alla valutazione della suscettibilità genetica nei pazienti con CVD e di un programma organizzato di screening del GRS nei familiari sani. La disponibilità di sufficienti evidenze scientifiche mette il Sistema Sanitario in condizione di inserire tale screening in modo sistematico nell’ambito dei servizi offerti alla popolazione di riferimento (come definita dalle Linee- guida: v. dopo). Si identifica quindi un intervento di sanità pubblica con le seguenti caratteristiche: basato su valutazioni di efficacia sperimentale; organizzato per profili di assistenza e quindi non soltanto delegato alla competenza /sensibilità/ iniziativa tecnico-professionale; mirato all’equità e quindi basato sul coinvolgimento attivo della popolazione destinataria; dotato di un esplicito sistema informativo e di valutazione.
Sono disponibili LG e raccomandazioni a livello internazionale ma appare comunque utile verificarne la contestualizzazione nel Sistema Sanitario italiano. È quindi necessario:
o Contestualizzare linee-guida per la valutazione della suscettibilità genetica nei pazienti con CVD e dello GRS nei familiari sani. Tale obiettivo può essere conseguito in armonia con il Sistema nazionale linee guida (SNLG) che è impostato per elaborare raccomandazioni di comportamento clinico basate sugli studi scientifici più aggiornati, secondo il proprio metodo; è riconducibile a tale processo anche la collaborazione con società scientifiche ed esperti di settore. In tale framework di livello nazionale potrà essere prodotta una contestualizzazione di una linea-guida internazionale. La successiva fase di implementazione è riconducibile alle responsabilità e metodi della programmazione e management dei servizi sanitari regionali e richiede un processo esplicito di recepimento e applicazione
o Organizzazione di un percorso. Assunto che la linea-guida riguarda per definizione la dimensione tecnico-professionale; le raccomandazioni derivate dalla L-G devono portare alla implementazione di un’organizzazione in grado di accogliere la popolazione target in un percorso esplicito, basato su ‘nodi organizzativi’ chiaramente definiti e procedure di ‘ingaggio’ precise ed esplicite. Si tratta quindi di definire un percorso diagnostico- terapeutico- assistenziale (PDTA) che prenda in carico gli individui destinatari dello screening.
Tabella 8: Interventi identificabili
Argomento: malattie cardiovascolari polifattoriali | ||
Responsabilità operativa | Indicatori per la valutazione di processo | |
Intervento 1: Screening dei familiari di pazienti con CVD mediante valutazione dello “ score” genetico di rischio (GRS) | ||
Azioni . | ||
• Definizione linee-guida | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità di linee guida: indicatore dicotomico S/N |
• Implementare linee-guida | intervento ‘Regionale’ | Recepimento regionale Linee-guida: indicatore dicotomico S/N |
• Definire PDTA | intervento ‘Regionale’ | Definizione del PDTA da parte della Regione: indicatore dicotomico S/N |
Casi trattati all’interno del PDTA: indicatore quantitativo Percentuale sul totale delle prestazioni eseguite in ambito strutture pubbliche/accreditate |
4.d.3 Tumori
4.d.3.i Mutazioni germinali per tumori ereditari
1.Tumore della Mammella
Il carcinoma della mammella (CM) è uno dei tumori maligni a maggior frequenza (29%),al primo posto per incidenza [si stima che ogni anno in Italia vengano colpite circa 48.000 donne (dati AIOM_AIRTUM 2015)] e la prima causa di morte per patologia oncologica tra le donne.
Anche se la maggior parte dei CM ha una patogenesi multifattoriale, il 5-7% risulta essere legato prevalentemente a fattori ereditari, che agiscono con meccanismi mendeliani.
Circa il 2% dei casi è determinato da alterazioni a carico di due geni, BRCA1 e BRCA2 (“geni BRCA”), responsabili di predisposizione ereditaria ad alta penetranza. Tuttavia, considerando solo le donne malate con età inferiore a 40 anni, la percentuale di quelle che presentano varianti patogenetiche a livello di questi geni sale al 10%.
La prevalenza di varianti patogenetiche a carico dei geni BRCA nella popolazione generale è di circa 1:400; questo significa che, applicata tale frequenza alla popolazione residente in Italia nel 2015, si può stimare che siano circa 152000 le persone che presentano tali varianti nel nostro Paese.
Alterazioni di questi geni sono associate ad un rilevante e significativo aumento della probabilità di comparsa del CM rispetto alla popolazione generale, con tendenza ad età di insorgenza precoce e rischio elevato anche di neoplasie dell’ovaio (il rischio cumulativo medio stimato di cancro mammario all’età di 70 anni è del 57% in caso di variante patogenetica di BRCA1 e 49% in caso di BRCA2; il rischio, invece, di sviluppare cancro ovarico- CO- è rispettivamente 40% e 18% per varianti di BRCA1 e BRCA2). Tra le donne con diagnosi di cancro dell’ovaio, infatti,l’8-10% è legato ad alterazioni genetiche a livello di BRCA 1/2.
Lo screening personalizzato per il cancro della mammella.
A partire dai primi anni ’90, lo screening del tumore al seno ha portato a un riduzione della mortalità superiore al 30% ma oggi è necessario intervenire con programmi di screening personalizzati per definire in maniera accurata il rischio individuale delle donne allo scopo di progettare percorsi di prevenzione diversi e adatti al profilo di ogni singola donna attraverso la complementarietà di fattori di rischio “tradizionali” come la storia familiare e i fattori riproduttivi, la densità mammografica e la presenza di varianti geniche comuni associate per la definizione di uno score che consenta una stratificazione del rischio (single nucleotide polymorphisms, SNPs).
E' noto come singole varianti geniche associate all'insorgenza di cancro, possano singolarmente contribuire in piccola parte alla valutazione del rischio di insorgenza della malattia stessa. Per contro, è altresì noto come la valutazione dell'effetto combinato di tutti gli SNPs associati e noti possa essere utile nel definire meglio il rischio.
In quest'ottica, la raccolta delle informazioni relative a SNPs di suscettibilità noti, e l'adozione di un semplice modello moltiplicativo, può essere impiegato per la definizione di un modello di rischio per la previsione del rischio stesso [polygenic risk score (PRS)].
Negli ultimi anni, differenti studi hanno dimostrato come, usando un modello combinato di valutazione del rischio su base genetica, si possano identificare soggetti a diverso livello di rischio di sviluppare cancro al
seno o alla prostata e di come, questa stratificazione, potrebbe orientare le strategie di prevenzione e di screening. Tuttavia, ad oggi, mancano ancora sufficienti evidenze a supporto di queste previsioni e sarebbero auspicabili ulteriori studi di validazione di tipo caso-controllo o, preferibilmente, studi di coorte prospettici.
Per il cancro alla mammella, studi di associazione sull'intero genoma (GWAS) hanno portato alla scoperta di numerose varianti a basso rischio, alcune delle quali associate allo status del recettore estrogenico. Un grosso studio condotto dal Breast Cancer Association Consortium (BCAC), come parte del Collaborative Oncological Gene-Environment Study (COGS), ha permesso di identificare nuove varianti di rischio attraverso la genotipizzazione di oltre 40.000 casi e 40.000 controlli sani. Il risultato di questa ricerca è stata l'identificazione di un numero maggiore di SNPs associati al cancro al seno: da 27 a più di 70 e di ulteriori varianti associate ai tumori ER-.
Il Predicting Risk of Cancer at Screening Study (PROCAS), è uno studio prospettico di stima del rischio di insorgenza di cancro alla mammella. L'analisi ha incluso 50,628 donne sottoposte a screening mammografico di età compresa tra i 47 e i 73 anni reclutate tra ottobre 2009 e settembre 2013. I risultati hanno evidenziato come la densità mammografica può aiutare nel perfezionamento della stima del rischio in combinazione con il modello di Xxxxx-Xxxxxx o il modello di Xxxx. Successivamente, lo stesso gruppo di ricercatori ha considerato la densità mammografica e 18 varianti di suscettibilità (SNP18) in combinazione al modello di Xxxx e Xxxxx-Xxxxxx (TC) per calcolare la stima del rischio sulla base dei tumori identificati tra due round di screening triennali. La densità mammografica e i SNP18, quando combinati con il modello TC o di Xxxx, identificano un maggior numero di donne ad alto rischio allo screening, ed è associata con una maggiore stadio della malattia. Circa il 16% delle donne sono state identificate come ad alto rischio combinando TC e densità mammografica e SNP18 che sembra aggiungere ulteriore precisione al modello. L'inclusione di ulteriori SNPs di nuova identificazione potrà forse aumentare la capacità di discriminazione del rischio per interventi di sorveglianza e di riduzione del rischio mirati.
Tipo di intervento.
I percorsi di prevenzione primaria, sia di sorveglianza che terapeutici, per pazienti portatori, o familiari per mutazione di BRCA1/2 sono specifici a seconda delle diverse fasce d’età e della storia personale/familiare. Questi percorsi sono stati raccolti in dettagliate linee guida elaborate da numerosi enti; per il carcinoma della mammella ricordiamo le linee guida NICE, quelle NCCN (xxxxx://xxx.xxxx.xxx/xxxxxxxxxxxxx/xxxxxxxxx_xxx/xxx/xxxxxx_xxxx.xxx).
Valutazioni.
Allo stato attuale, i test genetici hanno lo scopo di identificare casi attribuibili a sindromi mendeliane che determinano alto rischio. Non sono ancora disponibili test genetici applicabili per screening della popolazione generale, poiché i marcatori genetici di rischio moderato individuati mediante studi di associazione caso- controllo dall’analisi di casistiche di tumori non selezionati sulla base della storia familiare e delle caratteristiche ereditarie non sono ancora sufficientemente specifici. Diventa quindi molto interessante approfondire questo ulteriore campo di indagine per garantire sempre più precisa “personalized preventive medicine” che possa effettivamente migliorare il percorso preventivo.
2. Sindrome di Xxxxx
La maggior parte dei tumori del colon-retto può essere definita sporadica, mentre circa il 30% presenta ricorrenza familiare, e tra questi una piccola parte, stimata intorno al 3-5%, insorge in persone che hanno una predisposizione genetica ereditaria. Questi casi sono riconducibili a sindromi ereditarie caratterizzate da varianti patogenetiche ad alta penetranza, trasmesse su base mendeliana.
La più diffusa è la Sindrome di Xxxxx, che rappresenta il 2-3% dei CCR; e si stima che nel nostro Paese ci siano tra i 6000 e i 9000 soggetti con accertata sindrome di Xxxxx. Questa sindrome è causata da varianti patogenetiche che coinvolgono principalmente 5 geni (MSH2, XXX0, XXX0, XXX0, EPCAM) che codificano per proteine coinvolte nel processo del Mismatchrepair (MMR) e per una molecola di adesione epiteliale (EPCAM). Le prime quattro hanno la funzione di riparare gli errori commessi durante la replicazione e la ricombinazione del DNA, pertanto la loro perdita risulta in un fenotipo di ipermutazione di determinate regioni del DNA- fenomeno conosciuto come Instabilità dei microsatelliti (MSI), l’ultima proteina invece ruolo nei processi di adesione omotipica delle cellule epiteliali.
Essere portatori di queste varianti patogenetiche comporta un rischio cumulativo di sviluppare cancro del colon-retto tra 35% e 70% nell’arco della vita. Il rischio è un po’ più basso nelle donne, che hanno però una probabilità all’incirca uguale di ammalarsi di cancro dell’endometrio. Tale sindrome è associata all’insorgenza anche di altre neoplasie, seppure meno frequenti rispetto a quelle di colon ed endometrio.
Sulla base dei dati epidemiologici risulta evidente che queste diverse forme mendeliane ad aumento della probabilità di comparsa di CM e CCR rispetto alla popolazione generale necessitino di percorsi clinico- assistenziali di prevenzione primaria atti ad abbattere i relativi tassi di incidenza di malattia e di mortalità
Tipo di intervento.
Come già indicato per il carcinoma della mammella, i percorsi di prevenzione primaria, sia di sorveglianza che terapeutici, per i pazienti portatori, o familiari per mutazione per colon/Xxxxx sono specifici a seconda delle diverse fasce d’età e della storia personale/familiare.
4.d.3.ii Mutazioni germinali per suscettibilità ai tumori
1.Cancro alla prostata
Per quanto concerne il cancro alla prostata un serio problema è rappresentato dalla sovradiagnosi. Recentemente, le linee-guida della US Preventive Services Task Force hanno sottolineato come non si debbano basare gli screening per il cancro alla prostata sulla valutazione dell'antigene prostatico PSA perchè i danni attesi (falsi-positivi, overdiagnosi, overtrattamento) sono superiori ai potenziali benefici. La stratificazione della popolazione in diversi gruppi in base al rischio genetico, da solo o in combinazione con altri fattori di rischio (come l'età e la storia familiare), permetterebbe di offrire lo screening in modo differenziato alla popolazione con miglioramento del rapporto danno beneficio.
Ad oggi, numerosi studi GWAS hanno permesso di individuare più di 70 loci di suscettibilità per il cancro alla prostata. I rischi associati a queste varianti sono definiti generalmente modesti, ma in combinazione
potrebbero fornire la base della prevenzione mirata. Sinteticamente, le evidenze scientifiche disponibili, da un lato mettono in luce il potenziale di una signature poli-genica per la definizione di un modello PRS di previsione del rischio; dall'altro evidenziano alcune criticità da tenere in considerazione per lo sviluppo di programmi di screening stratificati. Un recente studio mostra come le mutazioni genetiche ereditarie potrebbero giocare un ruolo più importante del previsto nell’insorgenza di un carcinoma della prostata metastatico. Le alterazioni in geni che hanno la funzione di riparare il Dna (come BRCA1 e BRCA2) sarebbero infatti presenti in quasi il 12 % dei pazienti con un tumore prostatico in fase avanzata. La conclusione è giunta dopo aver analizzato i dati relativi a 692 uomini con un carcinoma prostatico metastatico e aver individuato 16 diverse mutazioni (fra le quali, oltre quelle BRCA, anche a carico dei geni ATM, CHEK2, RAD51D ePALB2) in 82 pazienti (ovvero l’11,8% del totale), indipendentemente dall’età o dalla storia familiare. In particolare, i malati di cancro alla prostata metastatico con mutazioni BRCA2 risultano avere il 18 % di rischio in più rispetto a quelli sani. Appare quindi molto importante che anche i maschi con cancro alla prostata vengano sottoposti al test genetico sulla scia di quanto già accade nelle femmine con un tumore alla mammella.
4.d.3.iii Mutazioni somatiche
La risposta ai trattamenti chemioterapici, come per altro quella a qualsiasi altro tipo di farmaco, è quantificabile in una misura media in quanto alcuni pazienti non rispondono affatto alla terapia, altri hanno una risposta buona e altri sperimentano effetti collaterali di grado più o meno elevato.
Questa diversa risposta dipende dalla variabilità interindividuale, caratteristica di sua natura multifattoriale in quanto dipende dall’età, dal peso, dallo stato di salute generale, da diversi fattori ambientali (clima, stile di vita, fattori culturali quali ad esempio la religione) e dai fattori genetici.
Nello specifico sappiamo che i polimorfismi genetici individuali possono influire sulla risposta ai chemioterapici; la stessa tossicità è spesso legata al genotipo individuale dei tessuti non tumorali. Questo perché le cellule tumorali sono sostanzialmente uguali a quelle degli altri tessuti a meno di nuove mutazioni.
Analizzare le caratteristiche del tessuto somatico neoplastico permette, in alcuni casi, di definire da una popolazione generale i seguenti gruppi di pazienti:
• Pazienti che rispondono al trattamento e che sperimentano poca tossicità
• Pazienti che rispondono al trattamento e che sperimentano molta tossicità
• Pazienti che non rispondono al trattamento e che sperimentano poca tossicità
• Pazienti che non rispondono al trattamento e che sperimentano poca tossicità
Di seguito un elenco di farmaci per i quali lo stato mutazionale di cellule somatiche è verificato ai fini di una ottimale risposta:
Principio attivo | Mutazione verificata sul somatico | Patologia di riferimento |
Trastuzumab | Espressione recettore HER2 | Mammella |
Cetuximab | Espressione recettore EGFR e stato mutazionale gene RAS | Colon |
Panitunumab | Espressione recettore EGFR e stato mutazionale gene RAS | Colon |
Gefitinib | Espressione recettore TKI e Espressione recettore EGFR | Polmone |
Erlotinib | Espressione recettore TKI e Espressione recettore EGFR | Polmone |
Pertuzumab | Espressione recettore HER2 | Mammella |
Imatinib | Inibizione di Abl | Leucemia |
Olaparib | Mutazione gene BRCA | Ovaio |
Crizotinib | Riarrangiamento gene ALK | Polmone |
Tamoxifene | Mutazione gene CYP2D6 | Mammella |
Obiettivi e Raccomandazioni (Cap.4 d 3)
Da quanto esposto emergono le seguenti priorità, rispetto alle quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 9):
• Lo screening personalizzato per il cancro della mammella. La costruzione di uno score che consenta una stratificazione del rischio di CM, nonché valutare l’applicabilità dello score prodotto per proporre una modulazione personalizzata dello screening sono obiettivi considerati nel Cap7 (Topic V Opportunità per la sostenibilità di sistema mediante la prevenzione secondaria finalizzata alla riduzione del burden di malattia del cancro al seno)
• Prevenzione primaria per i pazienti portatori, o familiari per mutazione di BRCA1/2. La sorveglianza delle donne senza storia personale di tumore è prevista in uno degli obiettivi del Piano nazionale della prevenzione 2014-18, secondo le linee guida prodotte dal CCM.
• Terapia preventiva per donne a rischio moderatamente aumentato o ad alto rischio. La disponibilità di sufficienti evidenze scientifiche mette il Sistema Sanitario in condizione di inserire tale intervento in modo sistematico nell’ambito dei servizi offerti alla popolazione di riferimento. Sono disponibili LG e raccomandazioni a livello internazionale ma appare comunque utile verificarne la contestualizzazione nel Sistema Sanitario italiano. Tale obiettivo può essere conseguito in armonia con il Sistema nazionale linee guida (SNLG)
• Mastectomia profilattica e Ooforectomia profilattica. La disponibilità di sufficienti evidenze scientifiche mette il Sistema Sanitario in condizione di inserire tale intervento in modo sistematico nell’ambito dei servizi offerti alla popolazione di riferimento. Sono disponibili LG e raccomandazioni a livello internazionale ma appare comunque utile verificarne la contestualizzazione nel Sistema Sanitario italiano. Tale obiettivo può essere conseguito in armonia con il Sistema nazionale linee guida (SNLG). Successivamente, al fine di rendere accessibile a tutta la popolazione target tale
intervento è necessario organizzare un percorso (PDTA). Assunto che la linea-guida riguarda per definizione la dimensione tecnico-professionale; le raccomandazioni derivate dalla L-G devono portare alla implementazione di un’organizzazione in grado di accogliere la popolazione target in un percorso esplicito, basato su ‘nodi organizzativi’ chiaramente definiti e procedure di ‘ingaggio’ precise ed esplicite. Si tratta quindi di definire un PDTA che prenda in carico gli individui destinatari di tali interventi.
• Terapia ormonale sostitutiva (HRT) per donne senza storia personale di carcinoma mammario sottoposte a salpingo-ooforectomia prima dell’insorgenza dello stato menopausale. La disponibilità di sufficienti evidenze scientifiche mette il Sistema Sanitario in condizione di inserire tale intervento in modo sistematico nell’ambito dei servizi offerti alla popolazione di riferimento. Sono disponibili LG e raccomandazioni a livello internazionale ma appare comunque utile verificarne la contestualizzazione nel Sistema Sanitario italiano. Tale obiettivo può essere conseguito in armonia con il Sistema nazionale linee guida (SNLG) nell’ambito dell’intervento di cui sopra.
• Percorsi di prevenzione primaria per i pazienti portatori, o familiari per mutazione per colon/Xxxxx, comprensivamente della prevenzione di carcinomi extra-colon. La disponibilità di sufficienti evidenze scientifiche mette il Sistema Sanitario in condizione di inserire tale intervento in modo sistematico nell’ambito dei servizi offerti alla popolazione di riferimento. Sono disponibili LG e raccomandazioni a livello internazionale ma appare comunque utile verificarne la contestualizzazione nel Sistema Sanitario italiano. Tale obiettivo può essere conseguito in armonia con il Sistema nazionale linee guida (SNLG). Successivamente, al fine di rendere accessibile a tutta la popolazione target tale intervento è necessario organizzare un percorso (PDTA). Assunto che la linea-guida riguarda per definizione la dimensione tecnico-professionale; le raccomandazioni derivate dalla L-G devono portare alla implementazione di un’organizzazione in grado di accogliere la popolazione target in un percorso esplicito, basato su ‘nodi organizzativi’ chiaramente definiti e procedure di ‘ingaggio’ precise ed esplicite. Si tratta quindi di definire un percorso PDTA che prenda in carico gli individui destinatari dello screening.
• Terapia preventiva con aspirina nella sindrome di Xxxxx. La disponibilità di sufficienti evidenze scientifiche mette il Sistema Sanitario in condizione di inserire tale intervento in modo sistematico nell’ambito dei servizi offerti alla popolazione di riferimento. Sono disponibili LG e raccomandazioni a livello internazionale ma appare comunque utile verificarne la contestualizzazione nel Sistema Sanitario italiano. Tale obiettivo può essere conseguito in armonia con il Sistema nazionale linee guida (SNLG)
• Test genetico per mutazioni germinali nel cancro alla prostata. La disponibilità di sufficienti evidenze scientifiche mette il Sistema Sanitario in condizione di inserire tale intervento in modo sistematico nell’ambito dei servizi offerti alla popolazione di riferimento. Sono disponibili LG e raccomandazioni a livello internazionale ma appare comunque utile verificarne la contestualizzazione nel Sistema Sanitario italiano. Tale obiettivo può essere conseguito in armonia con il Sistema nazionale linee guida (SNLG).
Tabella 9: Interventi identificabili
Argomento: Mutazioni germinali per tumori ereditari | ||
Responsabilità operativa | Indicatori per la valutazione di processo | |
Intervento 1: Terapia preventiva per donne a rischio moderatamente aumentato o ad alto rischio | ||
Azioni . | ||
• Contestualizzare linee-guida | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità di linee guida: indicatore dicotomico S/N |
• Implementare linee-guida | intervento ‘Regionale’ | Recepimento regionale Linee-guida: indicatore dicotomico S/N |
Intervento 2: Mastectomia profilattica e Ooforectomia profilattica (comprensivamente dell’eventualità di Terapia ormonale sostitutiva) | ||
• Contestualizzare linee-guida | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità di linee guida: indicatore dicotomico S/N |
• Implementare linee-guida | intervento ‘Regionale’ | Recepimento regionale Linee-guida: indicatore dicotomico S/N |
• Definire PDTA | intervento ‘Regionale’ | Definizione del PDTA da parte della Regione: indicatore dicotomico S/N |
Casi trattati all’interno del PDTA: indicatore quantitativo Percentuale sul totale delle prestazioni eseguite in ambito strutture pubbliche/accreditate |
Intervento 3: Percorsi di prevenzione primaria per i pazienti portatori, o familiari per mutazione per colon/Xxxxx, comprensivamente della prevenzione di carcinomi extra-colon. | ||
• Contestualizzare linee-guida | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità di linee guida: indicatore dicotomico S/N |
• Implementare linee-guida | intervento ‘Regionale’ | Recepimento regionale Linee-guida: indicatore dicotomico S/N |
• Definire PDTA | intervento ‘Regionale’ | Definizione del PDTA da parte della Regione: indicatore dicotomico S/N |
Casi trattati all’interno del PDTA: indicatore quantitativo Percentuale sul totale delle prestazioni eseguite in ambito strutture pubbliche/accreditate | ||
Intervento 4: Terapia preventiva con aspirina nella sindrome di Xxxxx | ||
• Contestualizzare linee-guida | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità di linee guida: indicatore dicotomico S/N |
• Implementare linee-guida | intervento ‘Regionale’ | Recepimento regionale Linee-guida: indicatore dicotomico S/N |
Intervento 5: Test genetico per mutazioni germinali nel cancro alla prostata | ||
• Contestualizzare linee-guida | intervento | Disponibilità di linee guida: |
‘Centrale’ | indicatore dicotomico S/N | |
• Implementare linee-guida | intervento ‘Regionale’ | Recepimento regionale Linee-guida: indicatore dicotomico S/N |
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CAPITOLO 5
La genomica nella terapia.
5.a Risposta ai farmaci e farmacogenomica
Le rapide innovazioni scientifiche degli ultimi anni in ambito di valutazione del genoma degli individui, hanno permesso l’identificazione di varianti associate all’insorgenza, alla cura ed alla prognosi di varie patologie e con un potenziale impatto nella valutazione della risposta alle terapie. Nonostante l’analisi e l’interpretazione delle informazioni genomiche costituisca ancora un processo di non facile risoluzione, in molti casi l’identificazione di specifici profili molecolari ha permesso la stratificazione di sottogruppi di pazienti caratterizzati da una migliore risposta alle terapie farmacologiche. Il profilo genomico di ciascun individuo è in grado di influenzare pressoché tutti gli aspetti di una malattia e il suo trattamento, inclusa l’insorgenza, il decorso o il rischio di recidiva, il farmaco o classe di farmaci con maggiore probabilità di risposta, nonché la dose terapeutica, la natura e la portata delle risposte favorevoli al trattamento e la tossicità del farmaco. Con il termine farmacogenomica ci si riferisce allo studio dell’esposizione e della risposta ai farmaci in relazione alle varianti del DNA ed alle caratteristiche dell’RNA. La farmacogenomica si focalizza sull’identificazione delle varianti geniche o genomiche che influenzano la risposta ai medicinali attraverso alterazioni di tipo farmacocinetico, farmacodinamico, attraverso variazioni nel target farmacologico o la perturbazione del pathway biologico che caratterizza la sensibilità di un paziente all’effetto di un determinato farmaco. Le evidenze molecolari che emergono dalle strategie di sequenziamento dell’intero genoma o di specifici geni richiedono una convalida indipendente prima che possano essere tradotti in diagnostica clinica. Il processo di convalida può essere facilitato da una maggiore comprensione dei meccanismi che determinano come le varianti identificate alterano la risposta ai farmaci.
Utilizzo dell’informazione farmacogenomica nella pratica clinica
Il nuovo concetto di Precision Medicine si riferisce a strategie di prevenzione e trattamento delle patologie che tengano conto della variabilità individuale per la personalizzazione delle terapie. Questi approcci hanno recentemente trovato spazio grazie allo sviluppo di databases biologici su larga scala, metodi ad alta processività per la caratterizzazione molecolare dei pazienti (proteomica, metabolomica, genomica, tecnologie sanitarie mobili) e strumenti di calcolo per l'analisi di grandi dataset. In relazione ad un potenziale utilizzo nella pratica clinica, le varianti farmacogenomiche possono essere suddivise in due macro categorie:
• Prevenzione: le varianti farmacogenomiche possono fornire indicazioni preliminari sulla manifestazione di eventi avversi ed effetti collaterali in relazione all’assunzione di specifici principi attivi ancor prima che si manifesti la condizione patologica. Trovano, pertanto, una potenziale applicazione principalmente nell’individuo sano il cui profilo molecolare può essere valutato preliminarmente per evitare prospetticamente l’assunzione di farmaci con interazioni negative.
• Trattamento: nell’identificazione della terapia ottimale (in termini di effectiveness), l'utilizzo di informazioni genomiche e di approcci computazionali per integrare i dati consentirebbe di prevedere e,
potenzialmente, ottimizzare l'effetto di una terapia su un paziente specifico caratterizzato da un profilo molecolare compatibile, determinandone la sensibilità a farmaci specifici; di fatto il profilo molecolare individuale è stato dimostrato essere, in alcuni casi, un forte predittore dei benefici di una specifica terapia. Inoltre queste informazioni possono venire utilizzate per eseguire approcci di “Drug repositioning” finalizzati all’identificazione di nuove indicazioni per principi attivi esistenti.
La medicina di precisione ha trovato sviluppi particolarmente efficaci e promettenti anche in ambito oncologico. I tumori sono malattie molto diffuse e sono tra le principali cause di morte in tutto il mondo e la loro incidenza è in aumento principalmente a causa dell'invecchiamento della popolazione e della diffusione di stili di vita non salutari. La ricerca scientifica ha già identificato molte delle lesioni molecolari che guidano lo sviluppo di neoplasie, mostrando che ogni tumore ha una propria firma genomica, con alcune caratteristiche specifiche e alcune caratteristiche comuni a più tipi. Questa nuova comprensione dei meccanismi oncogenici ha cominciato a influenzare la valutazione del rischio, le categorie diagnostiche e le strategie terapeutiche attraverso un crescente uso di farmaci e anticorpi destinati a contrastare l’attività e l'influenza di specifici driver molecolari. Diverse terapie personalizzate sono state (e vengono tutt’ora) sviluppate dimostrando un’efficacia notevole nella cura di queste patologie.
Validazione ed interpretazione delle informazioni genomiche
L’utilizzo in ambito clinico delle informazioni farmacogenomiche deve soddisfare specifici criteri riguardanti validità analitica, validità clinica e utilità clinica. La validità analitica e clinica riguardano aspetti prettamente metodologici e d’interpretazione del dato che in alcuni casi possono essere di non facile risoluzione, dipendenti principalmente dalla qualità dei dati dei test genetici e dalle caratteristiche di performance del test, quali ad esempio i valori predittivi positivi e negativi. L’utilità clinica consente di valutare se l'uso del test contribuisce ad un migliore esito della malattia nei pazienti sottoposti a test, nonché ad una valutazione dei rischi che si verificano a seguito della somministrazione del test. Diversi parametri possono essere utilizzati per stimare la validità e l’utilità clinica, inclusa la penetranza della variante genetica nella risposta al medicinale. Inoltre, i dati possono essere raccolti da studi di farmacocinetica in vivo o in vitro o da altri studi funzionali preclinici e clinici che consentono di effettuare una valutazione degli effetti farmacologici o delle concentrazioni di un farmaco rispetto alle varianti geniche individuali. Ulteriori fonti di dati utilizzabili includono casi clinici, studi di famiglie e studi clinici randomizzati che mettono a confronto risultati provenienti da fonti diverse.
Allo stato attuale non vi è un consenso sui parametri necessari a stabilire l’utilità clinica dei test basati su informazioni farmacogenomiche. Tali valutazioni richiedono l’analisi attraverso una visione sistemica ed integrata dei test farmacogenomici che tenga in considerazione non solo dell’impatto clinico ma anche il confronto con interventi sanitari alternativi, nonché la valutazione di come tali test possano influenzare il comportamento dei clinici.
Va inoltre considerato che il costo del sequenziamento diminuisce con velocità esponenziale e non sembra essere molto lontano il momento in cui ciascun individuo disporrà delle informazioni relative al proprio genoma; pertanto, se ciò dovesse verificarsi, il problema non sarà più l’ottenimento di specifiche informazioni genomiche ma lo sviluppo di un modello clinico-sanitario in grado di massimizzare l’utilizzo di queste informazioni con approcci costo-efficaci.
Implementazione clinica della farmaco genomica
Alcune varianti genomiche che influenzano gli effetti clinici di alcuni farmaci possono ora essere testate in modo affidabile per un utilizzo in ambito clinico; questo processo può significativamente influenzare l’attività prescrittiva in base agli esiti ottenuti, ad esempio determinando il sottogruppo di pazienti in cui l’effetto del farmaco è massimizzato, la dose efficace o la predizione degli eventi avversi.
La farmacogenomica può svolgere un ruolo importante nell'identificazione dei responder e non responder ai farmaci, evitando gli eventi avversi e ottimizzando la dose di farmaco da somministrare. Possono inoltre essere estrapolate informazioni sul farmaco che possono descrivere:
• l’esposizione al farmaco e la variabilità della risposta clinica
• il rischio di eventi avversi
• il dosaggio genotipo-specifico
• i meccanismi d'azione dei farmaci
• target polimorfici del farmaco
Allo stato attuale circa il 15% dei farmaci approvati dalla FDA ed EMA contengono indicazioni di tipo farmacogenomico sui foglietti illustrativi e solo un sottoinsieme di tali biomarkers hanno effettivamente indicazioni cliniche attuabili. Finora, solo 16 (numero in lenta ma costante crescita) dei circa 19.000 geni umani conosciuti forniscono informazioni farmacogenomiche con impatto clinico. Tuttavia, nonostante il numero di farmaci per i quali le informazioni genomiche possono fornire indicazioni cliniche sia relativamente piccolo (v. as esempio l’elenco in Figura 1), l’attività prescrittiva potrebbe ottenere significativi vantaggi da un utilizzo più integrato dei test genetici nella pratica clinica.
Figura 1. Varianti genetiche germinali e farmaci associati
Le varianti genetiche specifiche dei tessuti tumorali rappresentano invece un caso speciale di variazione
somatica d’interesse farmacogenomico (x.xx esempio l’elenco in Figura 2) in grado di identificare quali tipi di tumori maligni sono in grado di rispondere alle varie terapie antitumorali.
Il test genetico per l’identificazione dei tumori maligni è diventato più preciso in risposta allo sviluppo di agenti antitumorali per il trattamento di neoplasie caratterizzate da varianti genetiche acquisite.
Esistono una serie di barriere che impediscono la diffusione dell’utilizzo di test farmacogenomici a supporto della prescrizione di farmaci. In primis l’assenza d’incentivi per i medici finalizzati alla promozione di test genetici/genomici potenzialmente in grado di limitare l’insorgenza di eventi avversi. L’esistenza di un numero ridotto di studi del rapporto costo-efficacia dei test farmacogenomici non consente una valutazione economico- sanitaria oggettiva del reale impatto di tali approcci, tantomeno in considerazione del fatto che il test potrebbe essere effettuato nei primi mesi ed utilizzato per tutto il resto della vita di un individuo. Molti sistemi sanitari non prevedono il rimborso di tali procedure e questo costituisce un ulteriore deterrente ad un utilizzo routinario di queste metodologie.
Figura 2. Varianti genetiche somatiche in cellule tumorali e farmaci associati
Inoltre, il costo e la complessità degli approcci computazionali necessari per identificare, catalogare, prioritizzare e interpretare le varianti genetiche di carattere farmacogenomico costituiscono un'ulteriore barriera alla diffusione nella pratica clinica dei test di farmacogenomica. Nonostante un numero crescente di strumenti bioinformatici per le analisi delle varianti genomiche, essi richiedono ancora un notevole livello di
competenza spesso non ancora disponibile nella gran parte delle strutture sanitarie che potrebbero beneficiarne. Di fatto, non è ancora stato definito un modello che stabilisca quali entità nella catena sanitaria debba assumersi la responsabilità dell'aggiornamento, della valutazione e del pagamento dei test genetici anche in ambito farmacogenomico.
Recentemente è stato sviluppato il concetto di genotipizzazione pre-emptive inteso come la profilazione molecolare degli individui sulla base di pannelli di varianti genomiche in maniera routinaria. La teoria dietro questo approccio si basa sulla possibilità che le informazioni genomiche possano essere a disposizione del medico nella cartella clinica elettronica (EMR) già al momento della prescrizione (e anche prima) in modo da effettuare decisioni razionali riguardo la scelta e/o la dose del farmaco. Si evidenzia anche una questione importante in relazione alle prove per l'implementazione clinica: non possiamo intraprendere studi clinici randomizzati e controllati o studi prospettici per ogni variante genomica che viene identificata, e altre metodologie per valutare l'utilità clinica di un biomarker genomico dovrà essere utilizzato.
Barriere alla diffusione ed implementazione dei test di tipo farmacogenomico
Un’ampia ed omogenea applicazione della farmacogenomica nella pratica clinica è ancora da raggiungere. I fattori che ne influenzano l’utilizzo sono costituiti da:
• Le dimensioni del mercato e il ruolo dell'industria. Nel Regno Unito ed in Germania alcune industrie farmaceutiche hanno giocato un ruolo molto attivo nell’introduzione di test di farmacogenomica (quali ad esempio HER2). Nei piccoli mercati di altri paesi europei, le aziende hanno fornito un supporto limitato e la diffusione è stata generata da pazienti e medici. Il ruolo dell'industria nel garantire che i test diagnostici di tipo molecolare siano attraenti commercialmente e possano raggiungere l’implementazione clinica è essenziale.
• Livello di utilizzo. Il livello di utilizzo varia molto tra i paesi con differenti procedure cliniche e livelli di accettazione dell’innovazione.
• Rimborso. Le pratiche cliniche sono soggette a vincoli finanziari derivanti anche dal contenimento della spesa sanitaria e da valutazioni di costo-efficacia. Di conseguenza, la disponibilità di sviluppare sistemi di rimborso per i test farmacogenomici può costituire un incentivo essenziale per l’implementazione di tecnologie diagnostiche di tipo genomico.
• Gruppi di supporto del paziente. I gruppi di supporto del paziente sono cruciali per l'integrazione di test farmacogenomici; un esempio è costituito dal ruolo attivo svolto da parte delle organizzazioni dei pazienti nell'introduzione di Herceptin/HER2.
Gruppi di pazienti possono influenzare l'integrazione dei test molecolari nella pratica clinica aumentando la consapevolezza tra i loro membri, favorendo l’empowerment e generando un aumento della domanda ed un conseguente uso crescente.
• Educazione e formazione. L’assenza di educazione e formazione costituisce una forte barriera all’implementazione dei test di farmacogenomica. L’istruzione convenzionale o di orientamento per i medici e altri professionisti sanitari su come interpretare i risultati dei test o anche solo sui meccanismi alla base del funzionamento è scarso. L’introduzione di tali tecnologie richiede la formazione di una vasta gamma di personale sanitario che deve essere in grado di comprendere, utilizzare ed interpretare correttamente i test supportando il paziente in ogni fase del processo.
• Aspetti sociali. Nel tempo, nella popolazione generale si è acquisita la percezione che i test farmacogenomici abbiano un impatto inferiore in termini sociali ed etici rispetto ad altre applicazioni di tipo molecolare (quali ad esempio i test predittivi per le patologie croniche e degenerative). Finora, il consenso informato per i principali test farmacogenomici (quali ad esempio l'HER2 o il test TPMT) è stato positivamente accettato dai pazienti a cui venivano sottoposto. Tuttavia, esiste una crescente preoccupazione sull’impatto etico di nuove tecnologie emergenti. In particolare, non è da escludere che futuri test farmacogenomici possono avere conseguenze per familiari di primo grado e sollevare questioni legate alla privacy e incertezze simili a quelle avvertite per altre tipologie di test genetici legate alle malattie ereditarie.
• Responsabilità legale. In ambito oncologico, laddove l’applicazione ha trovato l’utilizzo più ampio, i test farmacogenomici non hanno trovato alcun tipo di opposizione da parte dei pazienti. Tuttavia, con l’aumentare della consapevolezza e della conoscenza dei pazienti, il mancato utilizzo di queste tecnologie potrebbe costituire un pretesto per una mancanza professionale del medico. La paura di una responsabilità legale rischia di portare ad un drastico aumento della diffusione dei test farmacogenetici come forma di medicina difensiva, in previsione di contenziosi di tipo legale.
• Analisi di costi-efficacia. La valutazione oggettiva dell’impatto clinico ed economico del test potrebbe costituire un fattore molto importante per il livellamento degli ostacoli alla applicazione clinica. Tuttavia le informazioni disponibili per questo tipo di valutazione sono, al momento, limitate.
• Validità ed utilità xxxxxxx.Xx è un consenso internazionale riguardo l’opinione che le basi di evidenza dell’impatto clinico dell'applicazione di PGX siano ancora molto deboli. Per confermare la validità clinica delle associazioni genotipo-fenotipo, è necessaria una ricerca sistematica e coerente.Tuttavia, un limite a questi sviluppi è costituito dall’assenza di finanziamenti pubblici dedicati e da un interesse ancora limitato da parte la dell'industria, soprattutto per lo sviluppo di applicazioni di tipo farmacogenomico per i farmaci con brevetti scaduti.
Regolamentazione delle conoscenze e dei processi dei test farmacogenomici
Lo sviluppo delle competenze farmacogenomiche presso l’EMA e l’FDA in principio è stato stimolato dagli outcomes scientifici derivanti dalle attività accademiche ed industriali. Ciò ha reso necessario lo sviluppo di nuove capacità ed expertises da parte delle agenzia regolatorie che rilasciano le autorizzazioni all’immissione in commercio (AIC) per i farmaci. L'EMA ha iniziato a focalizzarsi sulle tematiche di tipo farmacogenomico, attraverso workshop con le parti interessate per affrontare le esigenze emergenti. Nel 2002 è stato istituito un gruppo di esperti sulla farmacogenomica, il primo ad essere istituito da una agenzia regolatoria, che include esperti del mondo accademico e normativo. L'EMA ha continuato ad espandere le sue competenze per consentire una valutazione globale della diagnostica di tipo farmacogenomico nello sviluppo dei medicinali.
• L'uso dei dati PGX nella valutazione dell’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) dei medicinali. Sulla base delle informazioni acquisite dalle evidenze scientifiche allo stato attuale quasi tutti gli studi clinici in corso di grande entità includono la raccolta di dati genetici, pur non essendo richiesto ai fini dell’AIC. Le agenzie regolatorie hanno nel tempo sviluppato linee guida di supporto alle aziende per la sottomissione dei dati farmacogenomici nell’ambito della presentazione dei dossier di AIC. Rimangono tuttavia aperte le sfide riguardo la validazione dei biomarcatori e l’identificazione di percorsi condivisi per valutarne l’utilizzo nella
pratica clinica.
• Licenze di prodotti di tipo farmacogenomico: combinazioni farmaco-test o approvazione separata?
La scelta tra la concessione dell’AIC di farmaci in combinazione con test diagnostici o la separazione tra questi due processi nell’ambito della validazione clinica costituisce una sfida significativa sia per le agenzie regolatorie che per l’industria. In Europa l'EMA non ha una responsabilità primaria per l’approvazione dei test diagnostici (ancorché in ambito farmacogenomico) ed il suo mandato è limitato all'approvazione delle terapie farmacologiche.
Attualmente l'EMA può consigliare l'uso di un test diagnostico come informazione inserita nel foglio illustrativo del farmaco. Tuttavia, non è chiaro come tale procedura diagnostica possa essere recepita dagli stati membri o come questo processo possa essere regolato al di fuori del campo di applicazione della direttive di diagnostica in vitro (IVD).
• Nuove indicazioni farmaco genomiche. I dati derivanti dagli studi clinici più recenti suggeriscono che i test farmacogenomici possono migliorare significativamente la sicurezza anche dei farmaci già disponibili sul mercato. Il meccanismo giuridico che consente di inserire variazioni sul foglietto illustrativo permetterebbe di aggiungere ulteriori informazioni clinicamente rilevanti sulla base di nuovi dati emergenti e di migliorare gli outcomes derivanti da farmaci già in commercio.
• Regolamentazione dei test farmacogenomici in clinica. All’attuale velocità di crescita delle applicazioni cliniche di tecnologie d’interesse farmacogenomico, si rende necessario il supporto di sistemi di controllo della qualità sia di tipo laboratoristico che di gestione dei dati. Questi modelli sono già in pratica in diversi laboratori relativamente a diverse discipline scientifiche, tra cui anche i test per le malattie genetiche.
• Accreditamento e Quality Assessment dei laboratori clinici. I sistemi di accreditamento hanno lo scopo di fornire un sistema indipendente d’ispezione delle prestazioni, del personale, delle infrastrutture e dei processi del laboratorio per mantenere la qualità del servizio. Sistemi di accreditamento dei laboratori sono stati istituiti in diversi paesi europei e costituiscono un requisito volontario, spesso incoraggiato ma comunque mai forzato. Altri meccanismi includono schemi di controllo esterno della qualità finalizzati ad identificare i laboratori che sono a scarso rendimento e a fornire loro assistenza. Tali schemi sono di particolare beneficio ai piccoli paesi che a volte non hanno la "Massa critica" per lanciare un regime nazionale. Un supporto internazionale per lo sviluppo di sistemi condivisi di Quality Assessment internazionali potrebbe pertanto costituire una priorità importante per l'UE nel campo dei test di farmacogenomica.
Farmacogenomica nella pipeline di sviluppo dei farmaci
L’applicazione di approcci farmacogenomici nelle fasi di sviluppo dei farmaci è un processo in evoluzione che inizia con la scoperta e continua attraverso la conferma dei risultati di efficacia e sicurezza clinica. Gli studi di farmacogenomica possono contribuire a una maggiore comprensione delle differenze interindividuali nell’efficacia e la sicurezza dei farmaci a partire dalla fase di sperimentazione. Le caratteristiche molecolari di maggiore rilevanza nello sviluppo di farmaci sono quelle associate a geni in quattro grandi categorie:
(1) i geni connessi alle caratteristiche farmacocinetiche;
(2) i geni che codificano per bersagli farmacologici ed altri pathway legati alla risposta farmacologica;
(3) i geni non direttamente correlati agli aspetti farmacologici del principio attivo ma che possono predisporre l’individuo a tossicità, ad esempio attraverso le reazioni immunitarie;
(4) i geni che influenzano la suscettibilità della malattia o la progressione.
Tutti questi fattori genetici possono influenzare significativamente il profilo rischio-beneficio di un medicinale. I dati farmacogenomici nelle fasi preliminari di sviluppo di un farmaco possono fornire indicazioni critiche sul dosaggio del principio attivo, per la stratificazione dei pazienti nelle fasi successive, o prospettivamente sulla strategia per l'ulteriore raccolta di biomarkers genetici nei successivi RCT. I dati genomici possono pertanto supportare la strategia di sviluppo dei principi attivi, attraverso:
(1) l’identificazione della variabilità dei soggetti alla risposta clinica;
(2) la valutazione del contributo dei polimorfismi negli aspetti clinicamente significativi della farmacodinamica, farmacocinetica, efficacia o sicurezza;
(3) la valutazione di potenziali interazioni tra farmaci;
(4) lo studio delle basi molecolari relative ad una assenza di efficacia o di insorgenza di reazioni avverse;
(5) la progettazione di studi clinici per la valutazione di sottogruppi specifici in cui l’effetto farmacologico risulta magnificato (study enrichment strategies).
Riposizionamento del Farmaco su base Farmacogenetica
Il riposizionamento del farmaco (Drug Repositioning) consiste nel dare un nuovo ruolo ad un farmaco che in origine era stato creato o sviluppato per altre patologie. Lo schema generale che potrebbe essere seguito nel Drug Repositioning richiede: il sequenziamento dell’intero esoma e trascrittoma di pazienti con una specifica patologia, l’analisi comparativa delle sequenze, l’identificazione di nuovi geni, lo studio del RNA, delle proteine e/o dei pathways metabolici coinvolti nello sviluppo delle malattie umane. Questo flusso di lavoro ha lo scopo di identificare pathways che sono implicati nell’insorgenza o sviluppo di una patologia con l’obiettivo di selezionare i targets più rilevanti per lo sviluppo di un farmaco. La sperimentazione di bersagli ipotetici richiede pertanto, lo sviluppo e la validazione in vitro di modelli cellulari che mimano il processo biologico o molecolare coinvolto nella malattia. La selezione dei farmaci da testare può essere condotta attraverso l’analisi della struttura 3D delle proteine bersaglio dedotta tramite approcci sperimentali o di modelling oppure dedotta tramite simulazione di docking molecolare comparato con una libreria di farmaci orfani. Lo screening iniziale dei farmaci selezionati richiede l’ottimizzazione di piattaforme con un elevata processività e con flusso di lavoro preferibilmente automatizzato. Successivamente, i farmaci selezionati verranno sottoposti ad una validazione in vivo utilizzando modelli cellulari ed animali. Infine, saranno necessari trials clinici su pazienti con lo scopo di valutare la sicurezza e l’efficacia dei farmaci come possibili strumenti terapeutici per specifiche patologie.
Trovare un nuovo ruolo per i farmaci già approvati sta diventando un approccio molto efficace dal punto di vista farmacoeconomico. Il riposizionamento del farmaco si presenta come un percorso rapido, in quanto i dati clinici e farmacocinetici delle molecole di interesse sono stati già generati, valutati e stabiliti. Questi farmaci
pertanto, possono essere riposizionati in modo rapido richiedendo anche un minor numero di pazienti da arruolare nei trials clinici per testarne la sicurezza e l’efficacia. La conseguente riduzione dei tempi di approvazione rispetto alla scoperta di nuovi farmaci, riduce drasticamente i costi di sviluppo fornendo ai pazienti opzioni terapeutiche in tempi molto ridotti. Il drug repositioning, infatti, mira a migliorare l’attuale produttività dei farmaci, rispetto all’enorme impiego di tempo e costi per lo sviluppo di nuove molecole. È importante sottolineare che spesso, l’allestimento di nuovi farmaci fallisce a causa della tossicità o della mancanza di efficacia. Inoltre, il riposizionamento del farmaco risulta utile nell’ambito delle malattie rare, in quanto da una parte non è possibile reclutare un elevato numero di pazienti per i trials clinici, dall’altra i vincoli economici limitano l’interesse delle aziende farmaceutiche nella scoperta di nuove molecole terapeutiche.
Rispetto allo sviluppo di nuovi farmaci il drug repositioning offre:
1. la formulazione e la produzione di un flusso di lavoro già stabilito;
2. la reale conoscenza di dati sulla tossicità e la farmacocinetica;
3. la reale conoscenza sulla sicurezza e tossicità;
4. dati di post-distribuzione e di sorveglianza già disponibili.
Obiettivi e Raccomandazioni (Cap 5 a)
Da quanto esposto emergono le seguenti priorità, rispetto alle quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 10):
1. Promuovere un consenso sui parametri necessari a stabilire l’utilità clinica dei test basati su informazioni farmaco genomiche
2. Definire una linea guida per l’utilizzo più integrato delle valutazioni farmacogenetiche nella pratica clinica.
3. Istituire un registro dei trattamenti basati sul sequenziamento dei profilo del paziente e del loro esito
Tabella 10. Interventi identificabili
Argomento: Farmacogenomica | ||
Responsabilità operativa | Indicatori per la valutazione di processo e di output | |
Intervento 1: Promuovere un consenso sui parametri necessari a stabilire l’utilità clinica dei test basati su informazioni farmaco genomiche | ||
Azioni |
Definire un documento di consenso | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità di linee guida: indicatore dicotomico S/N |
Intervento 2: linea guida per l’utilizzo più integrato delle valutazioni farmacogenetiche nella pratica clinica | ||
Azioni . | ||
• Definire linee-guida | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità di linee guida: indicatore dicotomico S/N |
• Implementare linee-guida | intervento ‘Regionale’ | Recepimento regionale Linee-guida: indicatore dicotomico S/N |
Intervento 3: costituzione di un registro dei casi di farmaco genomica | ||
Azioni . | ||
• redazione di un regolamento | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità di regolamento nazionale approvato dal Garante: indicatore dicotomico S/N |
• Implementare registri regionali | intervento ‘Regionale’ | Costituzione di un Registro regionale: % dei Registri regionali implementati |
Nota il registro è mirato a permettere valutazioni di cost-effectiveness ed è istituito ai sensi del DPCM di cui all’artt. 12, comma 11 del DL 18/10/12 n179 |
5.b Terapia personalizzata dei tumori
• Genomica nel cancro della mammella. Nel trattamento del carcinoma della mammella differenti test genetici e genomici consentono di fornire informazioni sulla prognosi e il trattamento del carcinoma della mammella. Dopo la recente pubblicazione dello studio MINDACT abbiamo la prima evidenza di tipo I in oncologia sulla capacità di un classificatore genomico (Mammaprint) di evitare l’uso della chemioterapia in una larga percentuale di donne con signature genomica a basso rischio e criteri clinicopatologici ad alto rischio. MammaPrint® è un test in vitro, basato sulla tecnologia microarray, che valuta il profilo di espressione genica della neoplasia mammaria, su campione prelevato al momento della chirurgia. Il test classifica le pazienti in due categorie: basso e alto rischio di metastasi (G-high vs G-low).
La popolazione di pazienti candidata al test, secondo le indicazioni approvate in EU, include donne operate di ca mammario, T1 o T2 (< 5cm), N0 o N+ (1-3), ER+ o ER-. Negli Stati Uniti Mammaprint è stato approvato solo per pazienti N-.
Il campione di tessuto viene inviato in RNA-later al laboratorio centralizzato di Agendia (NL): la paziente viene classificata ad “alto rischio” (29% a 10 anni, senza nessun trattamento) o “basso rischio” (10% a 10 anni, senza nessun trattamento).
I dati dello studio MINDACT forniscono la prima evidenza di livello 1° A (dati da studio clinico prospettico, randomizzato), practice changing, a favore dell’impiego di Mammaprint in questo sottogruppo di pazienti con carcinoma mammario operato, in quanto indicano che la chemioterapia adiuvante può essere evitata nelle pazienti classificate a basso rischio genomico.
L’obiettivo principale dello studio MINDACT era verificare se alle pazienti con cancro della mammella (LN 0-3) classificate a "basso rischio” - secondo prognosi molecolare con MammaPrint - e "alto rischio" – secondo prognosi clinica con calcolatore automatizzato Adjuvant!Online - poteva essere risparmiata la chemioterapia adiuvante dopo intervento chirurgico senza influenzare la sopravvivenza libera da metastasi a distanza. Un totale di 1550 pazienti (23.2%) dei circa 7000 reclutati erano classificati ad alto rischio clinico e a basso rischio genomico e sono stati quindi randomizzati a chemioterapia si oppure no. A 5 anni, la sopravvivenza libera da metastasi in questo sottogruppo senza chemioterapia è stata del 94;7% (95% IC, 92.5-96.2) con una differenza di 1.5 punti percentuali in favore della chemioterapia. Di recente l’ASCO ha pubblicato le linee guida sull’utilizzo dei classificatori genomici per la prognosi dei tumori mammari dopo intervento chirurgico. Di seguito sono riportate alcune delle principali raccomandazioni (Tabella 11).
Tabella 11. Raccomandazioni ASCO sull’utilizzo dei classificatori genomici per la prognosi dei tumori mammari post intervento chirurgico
CARCINOMA MAMMARIO : XXx/XXX0 - ,X0
XXXXXXXX DX:
Score alto = HT+ CT
Score intermedio = attendere risultati TAILORx
QUALITA’ DI EVIDENZA ALTA / GRADO DI RACCOMANDAZIONE FORTE
ENDOPREDICT: identifica pz a buona prognosi con la sola HT
QUALITA’ DI EVIDENZA INTERMEDIA / GRADO DI RACCOMANDAZIONE MODERATO
PAM50: Alto rischio = HT + CT
QUALITA’ DI EVIDENZA INTERMEDIA / GRADO DI RACCOMANDAZIONE MODERATO
BREAST CANCER INDEX: Identifica pz a buona prognosi con la sola HT a 5 e 10 anniQUALITA’ DI EVIDENZA INTERMEDIA / GRADO DI RACCOMANDAZIONE MODERATO
-IHC4: Dati non riproducibili, testato in un singolo centro, non ha dimostrato riproducibilitàQUALITA’ DI EVIDENZA INTERMEDIA / GRADO DI RACCOMANDAZIONE MODERATA
Sono anche presi i considerazione i dati scientifici ottenuti nelle HER2 positive e nelle triplo negative, che però non sono qui riportate in quanto i classificatori prognostici comunque non sono applicabili in questi sottogruppi di pazienti.
• Genomica nel cancro dell'ovaio. Il cancro ovarico è un tipico esempio di malattia eterogenea. Negli ultimi anni la classificazione dei tumori ovarici è stata approfondita e ulteriormente dettagliata grazie agli studi morfologici, immunoistochimici e di genetica molecolare. Con l’avvento della NGS, si è infatti giunti alla recente scoperta che il carcinoma ovarico è in realtà costituito da un insieme complesso di diverse malattie. In sottogruppi eterogenei di pazienti sono state identificate infatti svariate alterazioni genetiche ed epigenetiche di fondamentale importanza nella genesi e progressione del tumore.
Il carcinoma ovarico è ora classificato in tre grandi categorie basate sulla popolazione cellulare principale del tumore: cellule epiteliali, germinali e stromali. Il carcinoma ovarico epiteliale (EOC) rappresenta la maggior parte, circa l’85-90% di tutti i cancri ovarici. A sua volta l’EOC è classificato in 5 sottotipi: sieroso (il più frequente con 70% dei casi), endometrioide, a cellule chiare, mucinoso, tumori di Xxxxxxx e tumori indifferenziati. Ci sono differenze sostanziali tra i sottotipi di EOC riguardo fattori di rischio su base genetica, l’oncogenesi molecolare, l’espressione di mRNA, la prognosi e la risposta ai farmaci.
Esiste inoltre un modello dualistico di classificazione dell’EOC basato sui profili clinici e genetici. I tumori di tipo 1 includono i tumori sierosi a basso grado, endometrioide, a cellule chiare, mucinoso e di Xxxxxx. Sono caratterizzati rispettivamente da mutazioni somatiche di BRAF, KRAS, PIK3CA e PTEN e sono generalmente indolenti, confinati all’ ovaio, e mostrano bassa sensibilità alla chemioterapia. I tumori di tipo 2 che comprendono invece i tumori sierosi di alto grado, endometrioidi di alto grado, i carcinosarcomi e i carcinomi indifferenziati sono, al contrario, clinicamente aggressivi e si presentano in stadio già avanzato.
In questi tumori la mutazione più comune è quella di TP53 seguita dall’inattivazione somatica di BRCA1/BRCA2. TP53 codifica un fattore di trascrizione proteico (p53) che è coinvolto nella riparazione del DNA, nella regolazione del ciclo cellulare e nell’apoptosi. Le mutazioni di TP53 sono presenti in più del 95% dei carcinomi ovarici sierosi di alto grado. La perdita precoce della funzione di p53 osservata nei carcinomi sporadici potrebbe determinare la creazione di un ambiente predisponente alla perdita di funzione di BRCA1 o BRCA2 (o altri deficit nei meccanismi di riparazione
del DNA), che potrebbero condurre all’apoptosi. L’inattivazione di BRCA 1 e/o 2 è determinata nel 67% delle pazienti con HGSOC che è marcatamente più alto che negli altri istotipi di EOC. Questa inattivazione è frequentemente il risultato di una ipermetilazione.
BRCA1/2 risultano inattivati nel 40-50% dei HGOC sporadici. Questa inattivazione è frequentemente il risultato di una ipermetilazione.
Pertanto, sia TP53 che BRCA 1/2 giocano un ruolo importante nella stabilità genetica e le mutazioni di questi geni sono causa di carcinogenesi.
I cancri ereditari costituiscono una piccola, ma più ampia di quanto inizialmente stimata, proporzione degli EOC. Si stima che circa il 25% di tutti gli EOC abbiano una componente ereditaria.
Le due sindromi principali associate con cancro ovarico familiare sono la sindrome ereditaria ovaio- mammella (HBOC) e la sindrome di Xxxxx.
L’HBOC costituisce circa l’80% dei cancri ovarici ereditari ed è tipicamente associata a mutazione dei geni BRCA. Tuttavia, più recentemente, anche mutazioni di altri geni sono risultate associate alla patogenesi di HBOC.
BRCA1 e 2 codificano per proteine che sono coinvolte nella riparazione del DNA; nello specifico, sono implicati nella ricombinazione omologa, un meccanismo molto accurato di riparazione delle rotture a doppia elica del DNA. BRCA1 ha anche la funzione aggiuntiva di regolare il ciclo cellulare.
Quando si verifica la perdita di un allele wild-type in un carrier, vengono meno i meccanismi di riparazione del DNA e ciò può determinare lo sviluppo di neoplasia mammaria/ovarica. Diversi studi hanno stimato che circa il 13-15% delle pazienti affette da carcinoma ovarico siano portatrici di mutazioni germinali di BRCA1 o BRCA2 e questa frequenza raggiunge il 17% nelle pazienti con adenocarcinoma sieroso ad alto grado.
La sindrome di Xxxxx è la seconda più comune causa di cancro ovarico ereditario, rappresentando circa il 10-15% di tale condizione. E’ una condizione autosomica dominante caratterizzata dalla presenza di tumori del colon-retto sincroni o metacroni. E’ anche associata con una maggior frequenza di altre neoplasie, tra cui quelle di endometrio, ovaio, apparato urogenitale, encefalo, rene, stomaco e vie biliari. Diversi geni che codificano per le proteine mismatchrepair (MMR) sono implicati nella sindrome di Xxxxx: XXX0, XXX0, XXX0 e PMS2. Le proteine MMR riconoscono e corregono inserzioni e delezioni e mutazioni di singole basi. Quando questi geni sono fallati o silenziati, zone di ripetizione di piccole sequenze, conosciute come microsatelliti del DNA, possono aumentare le loro dimensioni provocando instabilità nel DNA. Questa instabilità dei micro satelliti (MSI) altera geni che hanno importanti funzioni cellulari come apoptosi, segnali intracellulari e riparo del DNA, accrescendo il rischio di carcinogenesi.
Le mutazioni germinali di BRCA1 e BRCA2 sono presenti nella maggioranza delle pazienti con carcinoma ovarico ereditario, al contrario la frequenza di queste mutazioni in pazienti non selezionate è solo del 15.3%.
Il termine “BRCAness” è stato utilizzato per descrivere i tratti fenotipici che alcuni tumori ovarici sporadici condividono con i tumori riscontrati nelle portatrici di mutazioni germinali di BRCA1/2 e che rispecchiano le atipie molecolari ad essi correlate. Il “BRCAness” sembra essere il risultato di diversi
processi epigenetici. Dati recenti suggeriscono che l’ipermetilazione del promotore di BRCA1 ricorre nel 10-15% dei casi sporadici ed è associata con l’istotipo sieroso. Anche la down-regolazione di BRCA2 può avvenire tramite il silenziamento del suo regolatore FANCF attraverso la metilazione del promotore. In aggiunta alle loro implicazioni istologiche, i tumori con mutazioni di BRCA sono più facilmente platino-sensibili e associati a maggiori PFS e OS. La remissione delle mutazioni germinali di BRCA1 o BRCA2 nelle singole pazienti o la perdita della metilazione del promotore di BRCA1 predicono la resistenza al platino e potrebbero inoltre predire la resistenza ai PARP (poli-ADP-riboso polimerasi) inibitori.
Sebbene le pazienti con mutazioni BRCA1/2 e bassa espressione di proteina/mRNA di BRCA1 mostrino una risposta più favorevole al trattamento e una migliore prognosi,la metilazione promotrice di BRCA1 è significativamente correlata a resistenza al trattamento e a prognosi peggiore. Dunque, la metilazione non è funzionalmente equivalente a una mutazione germinale nel mediare la sensibilità alla chemioterapia.
Mentre la metilazione di BRCA1 è più frequente nel cancro ovarico sporadico, non è stata riportata nella forma ereditaria della malattia o in campioni derivanti da donne con mutazioni germinali di BRCA1. BRCA2 non presenta un profile di metilazione simile nel cancro ovarico.
La scoperta di un un biomarcatore che abbia le sensibilità e specificità necessarie per l’individuazione del cancro ovarico a stadi precoci è ancora argomento dibattuto e, pertanto, sono ancora in corso di studio molteplici combinazioni di biomarcatori. I biomarkers possono essere utilizzati a diversi scopi: diagnostici, per la diagnosi precoce di malattia, che possono essere utilizzati principalmente anche per programmi di screening; prognostici, usati per predire la progressione di malattia; marcatori di recidiva, impiegati per monitorare la risposta a un dato trattamento.
Il CA 125 è ad oggi il più studiato e utile marcatore nei carcinoma ovarici sieroso ed endometrioide. E’ una glicoproteina naturalmente secreta dall’epitelio celomatico mulleriano e dagli epiteli di molti organi. Esso viene espresso in situazioni patologiche benigne sia ginecologiche che addominali, così come in altri tumori maligni. Il CA 125 è aumentato in circa il 70-90% delle donne con malattia in stadio avanzato, ma solo nel 50-60% negli stadi precoci. A causa della bassa prevalenza del cancro ovarico nella popolazione, il valore predittivo positivo del CA125 è solo del 4%.
Alla luce di questi parametri, non è indicato l’utilizzo nella pratica clinica del CA 125 da solo per lo screening iniziale dell’EOC. Al contrario, è approvato l’impiego del CA125 come test di monitoraggio della risposta nella rilevazione di malattia residua o recidivata nelle pazienti dopo la terapia di prima linea. Poiché variazioni del CA125 sono correlate alla prognosi della malattia, è stata avanzata la proposta da uno studio recente che una sorveglianza seriata del CA 125 possa identificare le pazienti destinate a una chirurgia citoriduttiva secondaria. Ad oggi, più di 30 marcatori sono stati valutati da soli o in combinazione con il CA 125, come ad esempio HE4, mesotelina, osteoponina, prostasina, EGFr ecc. HE4 è una glicoproteina che si trova naturalmente negli epiteli dei sistemi riproduttivi e respiratorio. E’ stato dimostrato che tale proteina è overespressa nei tumori endometrioide (100%), sieroso (93%) e a cellule chiare (50%), ma non nei tumori mucinosi. Se paragonato al CA 125, HE4 mostra una maggiore specificità nelle donne in premenopausa e nelle patologie benigne ed ha una maggiore sensibilità nei tumori a stadi precoci. Inoltre, è overespressa nel 32% dei casi in cui il CA125
non è aumentato. Attualmente, HE4 è utilizzato principalmente per il monitoraggio della recidiva o progressione di cancro ovarico epiteliale.
Dalla revisione della letteratura, ci sono discrepanze nei risultati dalla combinazione di CA 125 con HE4. Comunque, l’indice ROMA, che deriva dalla combinazione dei livelli sierici di CA 125, HE4 e stato menopausale è stato validato come metodo per distinguere le masse benigne dai tumori maligni. Per le donne con rischio riconosciuto di cancro ovarico ereditario, ad esempio nei casi di mutazione familiare di BRCA, è suggerita fortemente l’ovariosalpingectomia bilaterale profilattica, con o senza isterectomia, per ridurre il rischio di sviluppare il tumore.
L’approccio migliore per le donne che rifiutano la chirurgia non è ancora chiaro, ma sono in corso studi volti a valutare se ci sia un vantaggio dal monitoraggio stretto di queste pazienti attraverso il controllo routinario del CA 125 e l’esecuzione di ecografie annuali. Il rapido sviluppo della genetica e dell’epigenetica ha facilitato lo studio dei meccanismi molecolari alla base del carcinoma ovarico. Questa conoscenza ha condotto all’introduzione di nuovi trattamenti indirizzati verso fattori molecolari bersaglio-specifici implicati nella crescita del tumore. L’individuazione degli eventi molecolari che controllano questo tumore può migliorare la nostra comprensione della tumorigenesi e costruire strategie di trattamento individualizzate per questa malattia letale.
L’angiogenesi quale bersaglio terapeutico nelle patologie tumorali ginecologiche è stata ampliamente indagata. Il Bevacizumab, un anticorpo monoclonale diretto contro il fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF-A) è l’agente antiangiogenetico più studiato nell’EOC. In aggiunta al trattamento di prima linea, in associazione alla chemioterapia standard con carboplatino e paclitaxel è stato approvato a seguito di due grandi studi, il GOG 218 e l’ICON 7. Entrambi gli studi hanno valutato la concomitanza di chemioterapia e bevacizumab seguiti da un mantenimento con bevacizumab per una durata totale di trattamento di 15 (GOG 218) o 12 (ICON – 7) mesi. Nonostante le differenze nel disegno degli studi, entrambi hanno mostrato un miglioramento significativo nella progression free survival (PFS) (GOG-218: HR = 0.72; p < 0.001; ICON-7: HR = 0.81; p < 0.004).
E’ in atto uno sforzo maggiore di ricerca volto ad identificare biomarcatori predittivi che possano aiutare ad individuare quelle pazienti che possano trarre il maggior beneficio da questo trattamento. Sono state descritte differenze nell’efficacia del bevacizumab tra i sottotipi molecolari di HGSOC, suggerendo il sottotipo mesenchimale come il sottogruppo che ottiene il più grande beneficio dal bevacizumab, con un miglioramento del PFS di 9.5 mesi. Il bevacizumab in combinazione con la chemioterapia standard ha anche dimostrato un miglioramento nella PFS nella malattia platino- sensibile negli studi OCEANS e GOG 213 e nella malattia platino resistente (Studio AURELIA) nell’ambito della malattia ricorrente. Come detto, la disfunzione di BRCA1 e BRCA2 è associata alla tumorigenesi del carcinoma ovarico, dovuta alla incapacità di riparare le rotture a doppia elica del DNA (DSBs). I PARPs sono una famiglia di enzimi coinvolti nella riparazione dell’escissione di base, un pathway chiave nella riparazione delle rotture a singola elica del DNA. L’inibizione di PARP conduce alla persistenza di rotture spontanee a singola elica e conseguentemente alla formazione di rotture a doppia elica. Queste non possono essere riparate nelle cellule con BRCA mutato, per cui determinano la morte cellulare. Gli inibitori d PARP inducono la morte dei tessuti con deficit di BRCA. I carcinomi in cui è presente un deficit di BRCA1-2 sono ora riconosciuti come il bersaglio di una classe di farmaci detti PARP inibitori. La deficienza di PARP o BRCA non hanno impatto singolarmente, ma l’assenza di entrambe conduce ad un effetto letale.
Lo studio clinico dell’uso di PARP inibitori per il trattamento dell’EOC ha avuto una rapida evoluzione dall’osservazione dell’attività dei singoli agenti condotta in vitro in cellule tumori BRCA-deficienti nel 2005 fino all’inizio di studi di fase 3 nel 2013. L’analisi retrospettiva di dati derivanti da uno studio di fase 2 randomizzato in doppio cieco ha dimostrato che i pazienti con carcinoma ovarico sieroso recidivato, platino sensibile, con una mutazione BRCA, mostrano il maggiore beneficio dal trattamento con olaparib, il primo PARP inibitore umano. Due studi di fase 3 hanno testato olaparib verso placebo come trattamento di mantenimento sia per i tumori ovarici di nuova diagnosi che per quelli recidivati associati a mutazione di BRCA. Nel dicembre 2014 olaparib è stato approvato per il trattamento di pazienti con carcinoma ovarico avanzato associato a mutazione germinale BRCA1/2 che hanno ricevuto tre o più line di chemioterapia. Questa approvazione rappresenta la prima terapia personalizzata per il cancro ovarico. Altri PARP inibitori che sono stati testati o sono in corso di studio includono veliparib, niraparib, rucaparib e BMN673.
Vi sono prospettive future per una migliore precisione della terapia individualizzata, come ad esempio la valutazione dell’impiego dei PARP-inibitori nella malattia platino-resistente nelle pazienti con particolari aberrazioni molecolari o dell’immunoterapia.
Inoltre vi sono evidenze che il recettore progestinico (PR) ed estrogenico (ER) medino la proliferazione e l’apoptosi delle cellule del carcinoma ovarico. Studi precedenti hanno mostrato che l’espressione di PR ed ER sono associate con un miglioramento della sopravvivenza indipendente dai fattori prognostici clinici, ma queste associazioni non hanno ancora trovato una conferma radicata in termini clinici. Sono pertanto necessarie ulteriori indagini sull’uso della terapia endocrina nel carcinoma ovarico: se somministrata a pazienti selezionate, positive per ER e in particolare per PR, la terapia endocrina potrebbe essere un’opzione percorribile per il trattamento del carcinoma ovarico. Considerando inoltre il loro profilo di sicurezza, il basso costo e la già dimostrata modesta efficacia nel setting della malattia recidivata, gli inibitori dell’aromatasi potrebbero essere un’opzione terapeutica per il carcinoma ovarico anche in aggiunta alla terapia standard di prima linea, ma il loro utilizzo in questo setting non è ancora stato esplorato.
• Genomica nel cancro del polmone. Negli ultimi anni ci sono stati significativi progressi nella comprensione di biologia e trattamento del tumore polmonare non a piccole cellule (NSCLC). Diverse terapie a bersaglio molecolare sono in uso o in via di sviluppo. Le neoplasie polmonari sono tradizionalmente classificate in base a istologia e caratteristiche di immunoistochimica; ma diverse mutazioni somatiche possono essere identificate nei diversi sottotipi istologici. Per stratificare i pazienti oggi è impiegata la combinazione di caratteristiche isto-morfologiche, immunoistochimiche e genetiche . E’ ormai procedura standard, per gli adenocarcinomi, l’analisi di Epidermal Growth Factor Receptor (EGFR) e di Anaplastic Lymphoma Kinase (ALK). Alcune istituzioni analizzano routinariamente anche ROS, RET, BRAF e HER2 che però non hanno ancora una terapia target validata.
Adenocarcinoma. E’ una delle neoplasie epiteliali meglio caratterizzate geneticamente. L’identificazione di mutazioni di EGFR e il riarrangiamento di ALK hanno portato a cambiare l’algoritmo terapeutico e a specifiche terapie molecolari. La necessità dei test molecolari per valutare EGFR emerge dalla riconosciuta sensibilità agli inibitori tirosinoKinasici di EGFR (TKi) come gefitinib, erlotinib, afatinib, che rappresentano oggi la prima linea di terapia nel NSCLC con mutazione di
EGFR. La mutazione viene riscontrata nel 10-15% dei pazienti caucasici ed è più frequente nelle donne e nei non fumatori. La maggior parte di queste neoplasie inizialmente rispondono alla terapia, con un tasso di risposta del 60-75%, ma successivamente sviluppano resistenza; mediamente dopo 9-12 mesi. Recentemente è stato dimostrato che, in circa il 50% dei pazienti, il meccanismo di resistenza si instaura per la comparsa di una nuova mutazione in EGFR (T790M) per cui sono in corso studi con TKi di III generazione (AZD9291 e CO-1686) che sembrano riportare un tasso di risposta di circa 60%.
Altri meccanismi di resistenza sono stati definiti con re-biopsia del tessuto tumorale . Per alcuni di questi meccanismi sono in corso di valutazione studi con nuovi farmaci target.
Nel 1-10% degli adenocarcinomi viene identificato il riarrangiamento del gene ALK (ALK fusion, EML4-ALK), ROS e RET. I pazienti con traslocazione di ALK, o riarrangiamento di ROS1 sono candicati a terapia con crizotinib e altri TKis. Crizotinib è un inibitore tirosino-chinasico multi target di ALK, ROS, e MET. Viene riportato un tasso di risposta tra il 50 e il 61% e tempo mediano alla progressione tra i 9 e i 11 mesi. In modo analogo alla terapia con inibitori di EGFR, anche queste terapie vanno incontro a resistenza. Ceritinib (LDK 378) ha dimostrato un alto tasso di risposta nei pazienti ALK positivi e non trattati con crizotinib , sembra più potente e selettivo di crizotinib e sono in corso studi sui pazienti già trattati e resistenti a crizotinib.
Alcune delle più frequenti alterazioni genomiche nell’adenocarcinoma , come le mutazioni in XX00, XXXX x XXX00 non hanno una corrispondente terapia target efficace. Il complesso MAPK è spesso implicato nello sviluppo di adenocarcinomi polmonari e il meccanismo più frequente è la mutazione attivante di KRAS, osservata in circa il 20-25% degli adenocarcinomi. Recentemente uno studio di fase II con selumetinib (inibitore di MEK) ha mostrato una promettente attività nei pazienti KRAS mutati.
Neoplasie a istologia squamosa: Negli ultimi anni ci sono stati pochi progressi nelle terapie target del carcinoma squamoso. L’amplificazione genica del Fibroblast Growth Factor Receptor 1 (FGFR1) è presente nel 7-25% dei tumori squamosi e sono in via di sviluppo terapie target.
Microcitoma. Le neoplasie polmonari a piccole cellule (SCLC) rimangono neoplasie molto aggressive con opzioni terapeutiche limitate . Questo tipo di neoplasie hanno un alto tasso di mutazioni, soprattutto secondarie ai carcinogeni del tabacco, e questo rende difficile l’identificazione di mutazioni “driver” rilevanti dal punto di vista terapeutico.
• Genomica nel cancro del colon retto. Nel trattamento del carcinoma del colon-retto differenti test genetici e molecolari consentono di fornire informazioni sulla prognosi e il trattamento del carcinoma del colon-retto:
Test di espressione genica, ONCOTYPE DX e COLOPRINT, hanno dimostrato di calcolare con precisione il rischio di recidiva da carcinoma del colon-retto operato in stadio II-III. Allo stato attuale tali test non hanno una validazione per quanto riguarda il ruolo predittivo dell’efficacia della chemioterapia adiuvante somministrata dopo la chirurgia. Queste analisi di espressione genica hanno
esclusivamente un ruolo prognostico ma non predittivo di efficacia della chemioterapia e pertanto la loro utilità nella pratica clinica rimane limitata.
L’instabilità dei microsatelliti (MSI) costituisce al contrario dei test di espressione genica un valido strumento di predizione di risposta alla chemioterapia nel carcinoma del colon-retto operato in stadio
II. Circa il 20% dei carcinomi del colon retto presentato mutazioni o metilazioni di geni coinvolti nel riparo del danno al DNA, meccanismo chiamato MMR (MisMatch-Repair), coinvolgendo i geni XXX0, XXX0, XXX0, XXX0, EpCAM. I carcinomi del colon-retto che sono difettivi per il MMR (dMMR, MSI-
H) sono comuni soprattutto dei carcinomi del colon-retto in stadio II. Questa caratteristica conferisce a questi tumori una prognosi favorevole rispetto ai tumori senza dMMR ma nessun beneficio dalla somministrazione di chemioterapia adiuvante contenente fluoropirimidine. Al contrario i tumori con MSI-L (bassa instabilità dei microsatelliti) o MSS (stabilità dei microsatelliti) ricevono beneficio in termini di riduzione del rischio di recidiva con la chemioterapia somministrata dopo la chirurgia.
Altri due geni vengono utilizzati nella pratica clinica per la scelta del trattamento del carcinoma del colon-retto metastatico. Il sequenziamento dei geni RAS e BRAF fornisce informazioni prognostiche e predittive la risposta al trattamento farmacologico.
RAS è un trasduttore del segnale intracellulare coinvolto nella cascata di segnale che porta alla crescita, proliferazione, sopravvivenza cellulare. Nel 50% dei carcinomi del colon-retto tale proteina è mutata. L’evento mutazionale di RAS rende il tumore più aggressivo e quindi a prognosi peggiore ma soprattutto costituisce fattore predittivo di resistenza a nuovi farmaci a bersaglio molecolare, ovvero gli anticorpi monoclonali anti-EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor, il fattore di crescita dell’epidermide umano) Panitumumab e Cetuximab. Al contrario i carcinomi del colon-retto che presentano RAS non mutato ottengono dalla somministrazione di tali farmaci un beneficio importante in sopravvivenza globale in qualsiasi linea di terapia nel trattamento del carcinoma del colon-retto metastatico, in associazione alla chemioterapia oppure in monoterapia senza chemioterapia.
La mutazione di BRAF costituisce una particolare evento che interessa non più del 10% dei carcinomi del colon-retto. Tale mutazione è più frequente nel carcinomi del colon destro e conferisce un comportamento molto aggressivo al tumore con una sopravvivenza attesa mediana di circa 12 mesi dalla diagnosi di malattia metastatica. E’ quindi un fattore prognostico estremamente sfavorevole ma non predittivo validato di risposta alla chemioterapia. Tuttavia recenti dati hanno dimostrato che il trattamento aggressivo di questo sottotipo molecolare di carcinoma colorettale con una tripletta di chemioterapici (Fluorouracile, Oxaliplatino, Irinotecan) associato all’anticorpo monoclonale anti-VEGF (Vascular Endotelial Growth Factor) Bevacizumab può fornire un beneficio in sopravvivenza globale.
La biopsia liquida in oncologia
È noto come spesso le patologie tumorali siano dovute a mutazioni genetiche e come l’analisi di queste mutazioni tumore-correlate venga frequentemente utilizzata a scopo diagnostico, prognostico e terapeutico. Il profilo genetico dei tumori solidi, che attualmente viene effettuato principalmente sui tessuti prelevati dal tumore stesso tramite biopsia o intervento chirurgico, spesso è difficile da ottenere. Queste procedure hanno alcune limitazioni: in primo luogo, a causa della loro invasività, non possono essere svolte routinariamente. Un
secondo limite è rappresentato da un bias di selezione del campione: infatti, una biopsia fornisce una fotografia limitata del tumore, nel sito del prelievo e nel momento del prelievo, e potrebbe non contenere tutti i sub-cloni tumorali. Poiché le cellule tumorali apoptotiche o in necrosi liberano frammenti di DNA nel torrente ematico, e questo DNA correla con lo stadio del tumore e con la prognosi, la biopsia liquida può rappresentare invece una fonte di DNA ottimale, in grado di offrire le medesime informazioni del DNA tissutale, comprendendo il profilo genetico sia della lesione primaria, sia delle metastasi. In un primo tempo questa tecnica è stata limitata dal fatto che il DNA circolante non fosse unicamente di origine tumorale e quindi l’identificazione di alleli tumorali fosse complessa: con il miglioramento della sensibilità e dell’accuratezza delle tecniche di sequenziamento, anche la biopsia liquida si è perfezionata e ha reso possibile l’individuazione delle aberrazioni genetiche ed epigenetiche. La biopsia liquida attualmente offre un elevato grado di specificità: questo significa che è in grado di fornire dati robusti e riproducibili in modo semplice e non invasivo.
Studi recenti sul carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) hanno valutato lo stato mutazionale di EGFR, da cui emergono, nel confronto tra DNA circolante e DNA tissutale, una concordanza del 93%, una specificità del 99% e una sensibilità del 65%. Potrebbe essere utilizzata per una varietà di applicazioni cliniche e sperimentali precedentemente impossibili: il monitoraggio di una serie di genotipi tumorali, che sono instabili e, sotto pressione selettiva, soggetti a cambiamenti, sta diventando sempre più plausibile.
La biopsia liquida, inoltre, potrebbe fornire nuove intuizioni biologiche nel processo di metastasi e chiarire vie di segnalazione coinvolte nei processi di invasività cellulare e nella capacità di dare metastasi.
La biopsia liquida può trovare grande utilità anche nella target therapy: consente per esempio il monitoraggio della presenza di cloni di resistenza ai farmaci, come nel caso della terapia anti-EGFR.
Ulteriori potenziali applicazioni della biopsia liquida potrebbero essere lo screening precoce delle neoplasie maligne e la diagnosi della malattia minima residua. Infine, la biopsia liquida può divenire fondamentale come biomarker non invasivo per lo sviluppo di strategie di gestione del tumore personalizzato sul singolo paziente.
Obiettivi e Raccomandazioni (Cap 5 b)
Da quanto esposto emergono le seguenti priorità, rispetto alle quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 12):
• Promuovere nella pratica clinica l’uso appropriato della genomica nella valutazione della prognosi e nella terapia dei tumori. Poiché negli ultimi anni ci sono stati significativi progressi nella comprensione di biologia e trattamento dei tumori della mammella, dell’ovaio, del polmone ,e del colon-retto è necessario che l’uso clinico di tali conoscenze sia promosso ed appropriato, sostenuto da chiare indicazioni evidence-based. È quindi necessario prevedere sia un’accurata valutazione di utilizzabilità clinica sia un suo tempestivo aggiornamento in base alle evidenze scientifiche prodotte; ciò è conseguibile mediante la produzione di linee-guida con una funzione di quick-review periodica della letteratura sia primaria che secondaria; tale funzione dovrebbe essere assicurata dal network HTA previsto nel Cap. 6.
Tabella 12. Interventi identificabili
Argomento: test genomici nella valutazione della prognosi e nella terapia dei tumori | ||
Responsabilità operativa | Indicatori per la valutazione di processo e di ouput | |
Intervento 1: produrre linee guida per l’uso appropriato della genomica nella valutazione della prognosi e nella terapia dei tumori (mammella, ovaio, polmone, colon- retto) | ||
• Definire linee-guida | intervento ‘Centrale’ | Disponibilità di linee-guida: indicatore dicotomico S/N |
• Implementare linee-guida | intervento ‘Regionale’ | Recepimento regionale Linee-guida: indicatore dicotomico S/N |
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