CARMINE PUNZI
XXXXXXX XXXXX
DISEGNO SISTEMATICO DELL’
ARBITRATO
Seconda edizione
VOLUME III
INDICE SOMMARIO VOLUME III
PARTE QUINTA APPROFONDIMENTI
Sezione Prima
L’arbitrato amministrato
Capitolo Primo
ARBITRATO AMMINISTRATO
E ISTITUZIONI ARBITRALI PERMANENTI
Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx e Xxxx Xxxxx
1.1. Introduzione: arbitrato ad hoc e arbitrato amministrato . . 5
1.2. Arbitrato ad hoc e rinvio a «regolamenti precostituiti» . . 7
1.3. Arbitrato amministrato: caratteristiche . . . . . . . . . . . . 9
1.3.1. Istituzioni arbitrali permanenti, generiche e settoriali . . . 12
1.3.2. Il ruolo dell’istituzione arbitrale permanente . . . . . . . . 17
1.3.3. Le clausole modello dell’istituzione arbitrale permanente . 22
1.4. I pro e contra dell’arbitrato amministrato rispetto all’arbi-
trato ad hoc . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
1.4.1. Il rinvio a un corpus (certo) di norme precostituite . . . . . 25
1.4.2. La presenza di un’istituzione stabile a garanzia del proce- dimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
1.4.3. I costi del procedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
1.4.4. I tempi del procedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
1.4.5. Il controllo formale sull’operato del tribunale arbitrale . . 33
1.5. L’arbitrato amministrato con sede in Italia . . . . . . . . . . 34
1.6. Lo svolgimento del procedimento arbitrale amministrato . 38
1.6.1. L’avvio del procedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
1.6.2. In particolare: la costituzione del tribunale arbitrale . . . . 41
1.6.3. La trattazione e istruzione della causa . . . . . . . . . . . . . 43
1.6.4. La conclusione del procedimento e la pronuncia del lodo . 48
VI INDICE SOMMARIO
Capitolo Secondo
RUOLO E TUTELA DELLA VOLONTÀ DELLE PARTI NELL’ARBITRATO AMMINISTRATO
Xxxxxxx Xxxx
2.1. Rilievi introduttivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51
2.2. La relatio ai «regolamenti precostituiti» da parte della convenzione arbitrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
2.3. La prevalenza delle determinazioni delle parti sul regola-
mento in caso di disposizioni contrastanti . . . . . . . . . . 59
2.4. Il ruolo dell’istituzione che amministra l’arbitrato . . . . . 61
2.5. La natura dell’attività svolta dall’istituzione . . . . . . . . . 64
2.6. La successione nel tempo dei regolamenti arbitrali . . . . . 75
2.7. Il rifiuto dell’istituzione di amministrare l’arbitrato e la perdurante efficacia della convenzione arbitrale . . . . . . 78
2.8. Osservazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
Sezione Seconda
I modelli speciali di arbitrato
Capitolo Primo
L’ARBITRATO IN MATERIA DI LAVORO (PARADOSSI E PROBLEMI IRRISOLTI)
Xxxxxxxxx Xxxxxxxx
1.1. Il paradosso dell’arbitrato in materia di lavoro . . . . . . . 87
1.2. L’emersione della forma irrituale . . . . . . . . . . . . . . . . 92
1.3. La progressiva stratificazione delle fonti e la disciplina di alcuni nodi critici alla luce della l. 11 agosto 1973, n. 533 (monopolio sindacale, volontà compromissoria indivi-
duale, impugnazioni) 101
1.4. La duplice riforma del 1998 (d.lgs. 30 marzo 1998, n. 80 e
d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387) 115
1.5. Le principali linee guida della riforma di cui alla l. 4 novem- bre 2010, n. 183. In particolare: la compromettibilità delle
controversie di lavoro e le convenzioni di arbitrato 124
1.6. La pluralità di modelli procedimentali risultanti dalla
novella del 2010. Spiragli per il giudizio secondo equità . 137
1.7. Il (non risolto dilemma del) trattamento processuale dei
lodi in materia di lavoro 143
Capitolo Secondo
L’ARBITRATO COMMERCIALE
Xxxxxx Xxxxxxx
2.1. L’arbitrato commerciale. Rapporti con l’arbitrato di
diritto comune. Arbitrato irrituale 153
2.2. Le controversie arbitrabili 159
2.2.1. Ambito oggettivo 159
2.2.2. Ambito soggettivo 163
2.3. La nomina degli arbitri 165
2.4. Il procedimento 167
Capitolo Terzo
L’ARBITRATO NEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI
Xxxxxxxx Xxxxxxxx
3.1. La convenzione di arbitrato 177
3.1.1. La volontarietà dell’arbitrato ed il problema dell’«effetti- va» volontarietà. La «ricusazione» della clausola compro-
missoria 177
3.1.2. Potere di ricusare la «clausola compromissoria» e conven-
zione d’arbitrato 178
3.2. Arbitrato di diritto comune ed arbitrato speciale 180
3.2.1. Il rapporto tra la disciplina di cui agli artt. 241 e ss. c.c.p.
e quella di cui agli artt. 806 e ss. c.p.c. 180
3.2.2. La legittimità costituzionale della disciplina speciale del- l’arbitrato 182
3.3. Arbitrato amministrato ed arbitrato libero 183
3.3.1. L’arbitrato amministrato previsto dall’art. 243 c.c.p. 183
3.3.2. L’arbitrato libero previsto dall’art. 241 c.c.p. 188
3.3.3. Il rapporto tra le parti e la Camera arbitrale. Il contratto
di amministrazione di arbitrato 192
3.3.4. Il rapporto tra le parti e gli arbitri. Il contratto di arbitrato . 197
3.3.5. Il rapporto tra la Camera arbitrale e gli arbitri 200
3.3.6. Legittimità costituzionale della diversità di disciplina di svolgimento del giudizio arbitrale fondata sulle differenti modalità di nomina del terzo arbitro 201
3.4. Il procedimento 203
3.4.1. Composizione del collegio e modalità di nomina degli
arbitri 203
3.4.2. La legittimità costituzionale dell’attribuzione alla Camera arbitrale del potere di nominare il terzo arbitro 205
3.4.3. La nomina degli arbitri di parte e la fase introduttiva del procedimento 209
3.4.4. La nomina del terzo arbitro da parte della Camera arbi-
trale: la valutazione di amministrabilità dell’arbitrato . . . 211
3.4.5. Il provvedimento della Camera arbitrale di accoglimento
o di rigetto della richiesta di nomina del terzo arbitro . . . 213
3.4.6. Gli arbitri 217
3.4.7. La sede dell’arbitrato 226
3.4.8. L’istruzione probatoria 229
3.4.9. Il segretario del collegio arbitrale nell’arbitrato ammini-
strato 231
3.4.10. Il segretario del collegio arbitrale nell’arbitrato libero . . . 234
3.5. Il lodo arbitrale e le impugnazioni 235
3.5.1. Gli effetti del lodo arbitrale 235
3.5.2. Il deposito del lodo arbitrale presso la Camera arbitrale . 241
3.5.3. La comunicazione del lodo arbitrale 246
3.5.4. L’impugnazione per nullità del lodo arbitrale: i termini e
la sospensione dell’efficacia del lodo 248
3.5.5. Segue: il rito abbreviato 251
3.6. I costi 257
3.6.1. Premessa 257
3.6.2. I costi del giudizio arbitrale di diritto comune 257
3.6.3. I costi del giudizio arbitrale negli arbitrati amministrati . . 263
3.6.4. I costi del giudizio arbitrale libero 266
3.6.5. I costi del giudizio arbitrale amministrato 273
3.6.6. L’anticipazione degli onorari e delle spese 277
3.6.7. La somma da corrispondere entro quindici giorni dalla pronuncia del lodo 282
Capitolo Quarto
L’ARBITRATO BANCARIO FINANZIARIO
Xxxxxxxx Xxxxxxxx
4.1. L’ABF nel sistema degli strumenti di risoluzione delle controversie nel settore bancario e finanziario 287
4.2. L’ABF come strumento sui generis rispetto al pur vasto panorama delle ADR 293
4.3. Funzione e ratio normativa dell’ABF . . . . . . . . . . . . . 299
4.4. Caratteri peculiari del procedimento 302
4.5. L’efficacia della decisione dell’ABF . . . . . . . . . . . . . . 304
4.6. Rimedi avverso la decisione ABF 311
Capitolo Quinto
L’ARBITRATO SPORTIVO
Xxxxxxxx Xxxxxxx
5.1. L’arbitrato sportivo in Italia 313
5.1.1. Introduzione 313
5.1.2. Giustizia sportiva e giurisdizione statale 315
5.1.2.1. Le materie riservate all’ordinamento sportivo e la rile- vanza per l’ordinamento statale delle situazioni giuridiche
soggettive connesse con l’ordinamento sportivo 316
5.1.2.2. Il riparto della giurisdizione statale sulle controversie
sportive 326
5.1.3. Arbitrato sportivo, giurisdizione statale e Costituzione . . 328
5.1.4. Giustizia sportiva e arbitrato sportivo 330
5.1.4.1. Il vincolo di giustizia sportiva 331
5.1.4.2. Le clausole compromissorie nell’ordinamento sportivo: generalità 334
5.1.5. L’arbitrato nello statuto del CONI: il Tribunale Nazio-
nale di Arbitrato per lo Sport (TNAS) 336
5.1.5.1. Le caratteristiche principali del TNAS 337
5.1.5.2. I presupposti dell’arbitrato presso il TNAS 338
5.1.5.3. I soggetti dell’arbitrato presso il TNAS 340
5.1.5.3.1. Le parti 340
5.1.5.3.2. Gli arbitri: nomina, ricusazione e sostituzione 342
5.1.5.4. L’oggetto dell’arbitrato presso il TNAS 347
5.1.5.5. Le norme applicabili nell’arbitrato presso il TNAS 351
5.1.5.6. Il procedimento presso il TNAS 352
5.1.5.6.1. La fase introduttiva 352
5.1.5.6.2. La fase di trattazione/istruzione 355
5.1.5.6.3. Le misure cautelari 357
5.1.5.6.4. La fase decisoria: il lodo e l’impugnazione 358
5.1.6. L’arbitrato negli statuti e nei regolamenti delle Federa- zioni sportive nazionali e delle Discipline sportive asso-
ciate 366
5.1.6.1. L’arbitrato nella Federazione Italiana Giuoco Calcio
(FIGC) 366
5.1.6.2. L’arbitrato nella Federazione Italiana Pallacanestro (FIP) . 369
5.1.6.3. L’arbitrato nella Federazione Italiana Pallavolo (FIPAV) . 372
5.1.6.4. L’arbitrato negli altri statuti e regolamenti federali 373
5.1.6.5. Sintesi delle caratteristiche dell’arbitrato negli statuti e nei regolamenti delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline sportive associate 373
5.1.7. Considerazioni conclusive 376
5.2. L’arbitrato sportivo internazionale: cenni 380
5.2.1. Premessa 380
5.2.2. Il Tribunal Arbitral du Sport/Court of Arbitration for Sport (TAS/CAS) di Losanna 382
5.2.3. Lo speciale arbitrato per i Giochi Olimpici 388
Capitolo Sesto
L’ARBITRATO PER LE CONTROVERSIE DI LAVORO SPORTIVO
Xxx Xxxxxxxxxx
6.1. L’elaborato ventaglio di fonti ed il problema dei limiti di ammissibilità dell’arbitrato per le controversie di lavoro sportivo 391
6.1.1. Introduzione 391
6.1.2. L’arbitrato previsto ex lege per le controversie di lavoro sportivo 396
6.1.3. L’arbitrato per le controversie di lavoro sportivo autoriz-
zato da accordi collettivi 402
6.2. L’arbitrato di lavoro sportivo ai sensi dell’art. 4 l. 23
marzo 1981, n. 91 403
6.2.1. L’ambito di applicazione 404
6.2.2. La devoluzione delle controversie ad arbitri e le regole del procedimento 408
Capitolo Settimo
LA GIUSTIZIA DEI PRIVATI
NEL SISTEMA DELL’AUTODISCIPLINA PUBBLICITARIA
Xxxxxxx Xxxxx
7.1. Introduzione 415
7.2. L’autodisciplina pubblicitaria nella crisi del legicentrismo
e dello statalismo 416
7.3. L’autodisciplina pubblicitaria come ordinamento giuri-
dico 418
7.4. Soggetti e oggetto del sistema 424
7.5. La risoluzione delle controversie: il procedimento ordina-
rio e i poteri del Giurì 429
7.6. Il procedimento monitorio e i poteri del Comitato di con-
trollo 437
7.7. Il procedimento autodisciplinare è un arbitrato? 440
7.8. Il controllo dell’autorità giudiziaria sulle pronunce del
Giurì 450
7.9. Giurì di autodisciplina pubblicitaria e Autorità garante
della Concorrenza e del Mercato 455
7.10. Il Cross Border Complaints System e il futuro dell’autodi-
sciplina pubblicitaria 463
Sezione Terza
Arbitrato e procedure concorsuali
Capitolo Unico
RAPPORTI TRA ARBITRATO E PROCEDURE CONCORSUALI
Xxxxxx Xxxxxx
1. Premessa 469
2. Limiti derivanti dall’oggetto del giudizio arbitrale o del
patto compromissorio. 473
3. Il patto compromissorio come contratto: sua opponibilità
alla procedura 481
4. Opponibilità ratione temporis 483
5. Poteri del curatore sul patto compromissorio già con-
cluso. In particolare: il compromesso 484
6. Segue: la clausola compromissoria 485
7. Segue: la convenzione di arbitrato in materia non contrat-
tuale 487
8. Subentro del curatore nel patto compromissorio e nomina
degli arbitri 488
9. Effetti dello scioglimento del patto compromissorio sui
giudizi arbitrali in corso 489
10. Conseguenze dello scioglimento del contratto sui crediti derivanti dal patto compromissorio 492
11. Procedure concorsuali e lodo ancora impugnabile 494
12. Compromettibilità delle controversie derivanti dal falli-
mento 497
Sezione Quarta
Arbitrato e pubblica amministrazione
Capitolo Unico
L’ARBITRATO NEL DIRITTO AMMINISTRATIVO
Xxxxxx Xxxxxxxx
1. Ambito dell’indagine 503
2. La compromettibilità delle controversie su diritti sogget- tivi rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo 508
3. L’art. 6, comma 2o, l. n. 205/2000, oggi confluito nell’art.
12 del codice del processo amministrativo 520
4. L’effettivo ambito della compromettibilità alla luce del codice del processo amministrativo, in particolare il pro-
blema della pregiudiziale amministrativa 528
5. La compromettibilità delle situazioni giuridiche soggettive
di diritto pubblico 531
6. La disponibilità del potere amministrativo e suoi limiti . . 531
7. La disponibilità dell’interesse legittimo 538
8. Arbitrabilità delle situazioni giuridiche soggettive di
diritto pubblico 543
9. Ricostruzione sistematica dell’ammissibilità dell’arbitrato sulle situazioni giuridiche di diritto pubblico e della pote- stà degli arbitri di annullamento dei provvedimenti ammi-
nistrativi 560
Sezione Quinta
L’arbitrato estero
Capitolo Primo
LA PROCEDURA ITALIANA PER IL RICONOSCIMENTO E L’ESECUZIONE DEI LODI STRANIERI
Xxxxxxxx Xxxxxxx
1.1. La Convenzione di New York del 1958 per il riconosci- mento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere:
osservazioni preliminari 573
1.2. Il sistema italiano per il riconoscimento e l’esecuzione dei
lodi esteri 577
1.3. Segue: le ragioni della scelta e le possibili alternative 583
1.4. Interesse ad agire e oggetto della domanda di riconosci-
mento 586
1.5. Il procedimento di cui agli artt. 839 e 840 c.p.c. 588
1.6. Osservazioni conclusive de iure condito e prospettive de
iure condendo 591
Capitolo Secondo
IL RICONOSCIMENTO E L’ESECUZIONE DEI LODI ARBITRALI STRANIERI
Xxxxx Xxxxxxx
2.1. Premessa: il «riconoscimento» e l’«esecuzione» del lodo estero e la sfera di operatività del procedimento discipli-
nato dagli artt. 839 e 840 c.p.c. 599
2.2. La fase unilaterale disciplinata dall’art. 839 c.p.c. 603
2.2.1. Considerazioni introduttive 603
2.2.2. L’instaurazione del procedimento 606
2.2.3. Gli adempimenti imposti al ricorrente 613
2.2.4. L’oggetto del procedimento 624
2.3. Il decreto conclusivo della fase unilaterale 630
2.3.1. Il contenuto del decreto presidenziale 630
2.3.2. L’efficacia del decreto 633
2.3.3. La conoscibilità del decreto in funzione del giudizio di opposizione e la sorte del decreto non opposto 639
2.4. La fase di opposizione prevista dall’art. 840 c.p.c. 646
2.4.1. L’instaurazione e l’oggetto del giudizio 646
2.4.2. La disciplina processuale 650
2.4.3. La conclusione del giudizio di opposizione 654
2.4.4. Le singole circostanze ostative al riconoscimento 658
2.4.4.1. L’incapacità delle parti e l’invalidità della convenzione arbitrale 658
2.4.4.2. La violazione del diritto di difesa 662
2.4.4.3. Il vizio di extra o ultra petizione del lodo 665
2.4.4.4. Il vizio nella costituzione del collegio arbitrale o nel pro- cedimento 668
2.4.4.5. L’assenza di vincolatività del lodo ed il suo annullamento
o sospensione nel paese di origine 671
2.4.4.5.1. La sospensione del giudizio di opposizione 676
2.4.4.6. Il riesame delle circostanze ostative rilevabili d’ufficio e la
clausola di salvezza delle convenzioni internazionali 679
Sezione Sesta
Profili storici dell’arbitrato
CAPITOLO UNICO L’ARBITRATO LIBERO
NELLA STAGIONE DEI CODICI OTTOCENTESCHI. UN EMBLEMA DELLA NATURA NEGOZIALE DELL’ISTITUTO ARBITRALE?
Xxxxxxxx Xxxxx
1. Alcuni cenni sugli approdi della dottrina giuridica odierna . 685
1.1. La dicotomia tra arbitro rituale e arbitro irrituale nella cul-
tura giuridica del Novecento: i termini della questione . . 689
2. I confini dell’istituto arbitrale nell’Ancien Régime: le figure dell’arbiter iuris e dell’arbitrator al tramonto del-
l’ordo iudiciarius medievale 703
2.1. L’arbiter iuris communis, l’arbiter ex necessitate statuti e gli arbitri compromissarij nei pratici del Seicento: una
distinctio non concorde 716
3. Il panorama d’Oltralpe del XVI-XVII secolo ed il pen- siero giuridico francese: l’Ordonnance de Moulins, il Code Xxxxxxx e l’impronta «giurisdizionalizzatrice» del Code
Xxxx 720
3.1. Il fenomeno arbitrale nella dottrina giuridica francese del Sei-Settecento: tentativi di sintesi tra la «vecchia» e la
«nuova» disciplina 724
3.2. L’arbitrage nella Francia rivoluzionaria: il contributo di Xxxxxxxxx e la testimonianza di Xxxxxxxxxxx 728
4. La disciplina dell’arbitrage nel Code de procédure civile del
1806: un’inversione di tendenza? 733
4.1. L’interpretazione della dottrina e della giurisprudenza . . 738
5. L’arbitro nei codici di rito degli Stati italiani successori: un’eccezione all’influenza d’Oltralpe 744
6. Il Codice di procedura civile del 1865 e la nuova disci-
plina del compromesso: il ragionamento di Xxxxxxxxx 747
7. Conclusioni 750
Sezione Settima
Profili di diritto comparato
Capitolo Primo
NATURA ED EFFETTI DEL LODO ARBITRALE IN FRANCIA, BELGIO, SPAGNA E BRASILE
Xxxxxxxx Xxxxxx
1.1. Introduzione 755
1.2. L’arbitrato in generale nel diritto francese 764
1.3. La sentenza arbitrale nel diritto francese: regime generale . 768
1.4. La natura dell’arbitrato e della relativa sentenza nel diritto francese 777
1.5. Le specificità della sentenza arbitrale rispetto al regime
del jugement statale nel diritto francese 789
1.6. I limiti oggettivi della sentenza arbitrale e la sua opposabi-
lité nel diritto francese 793
1.7. Gli altri effetti della sentenza arbitrale nel diritto francese . 800
1.8. La sentenza arbitrale nel diritto belga: regime generale . . 804
1.9. La natura e gli effetti della sentenza arbitrale nel diritto
belga 807
1.10. Il lodo nel diritto spagnolo: regime generale 813
1.11. La natura e gli effetti del lodo nel diritto spagnolo 819
1.12. Il lodo nel diritto brasiliano: regime ed effetti 827
1.13. La dottrina brasiliana favorevole ad una identità di effetti
tra lodo e sentenza statale 832
1.14. Segue: le prospettive diverse sulla natura e sull’efficacia
del lodo 836
1.15. Conclusioni 841
Capitolo Secondo
NATURA ED EFFETTI DEL LODO ARBITRALE IN GERMANIA E AUSTRIA
Xxxxx Xxxxx
2.1. La querelle dottrinale sull’«efficacia di sentenza» del lodo,
non sopita dall’introduzione dell’art. 824 bis c.p.c. 845
2.2. Le ragioni del dibattito italiano e gli aspetti controversi . . 848
2.3. La disciplina dell’arbitrato in Germania e in Austria: pro-
fili generali 862
2.4. Gli effetti del lodo arbitrale nella legislazione tedesca ed austriaca, secondo la quale «der Schiedsspruch hat unter den Parteien die Wirkungen eines rechtskräftigen gerichtli-
xxxx Xxxxxxx» 870
2.5. Le opinioni della dottrina tedesca ed austriaca in ordine al parallelo fra lodo arbitrale e sentenza statale 873
2.6. Il lodo reso su materia non compromettibile e il lodo con-
trario all’ordine pubblico 875
2.7. La natura e il regime di rilevabilità dell’eccezione di pre-
cedente lodo non più impugnabile 884
2.8. La questione dei limiti oggettivi del lodo arbitrale 885
2.9. Il problema degli effetti del lodo arbitrale nei confronti
dei terzi 887
2.10. Osservazioni conclusive 891
Indice analitico dell’opera (a cura di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx) 893
Capitolo Primo
L’ARBITRATO IN MATERIA DI LAVORO (PARADOSSI E PROBLEMI IRRISOLTI)
Xxxxxxxxx Xxxxxxxx
Ricercatore nell’Università di Roma «La Sapienza»
1.1. – Il paradosso dell’arbitrato in materia di lavoro. – Di pochi istituti processuali, come dell’arbitrato in materia di lavoro, può dirsi con altrettanta sicurezza che esprimono un paradosso; anzi, un duplice paradosso.
Da un lato, sul piano storico-sistematico, è su questo terreno che si è verificata quella progressiva attrazione nell’ordinamento statuale della species irrituale, alla quale l’arbitrato nelle controversie di lavoro appare stabilmente saldato; species che – nei sessant’anni che corrono dalle prime pronunce giurisprudenziali decretanti la sua ammissibilità a fronte della perdurante vigenza del regime preclusivo originaria- mente tracciato dagli artt. 806 e 808, comma 2o, c.p.c., alla duplice riforma del 1998, fino alla più recente l. 4 novembre 2010, n. 183 – ha visto compiersi la sua parabola da strumento emerso in deroga al divieto dettato dal codice di rito a modello – o ventaglio di modelli (1)
– attratto in quello stesso corpus ed appositamente regolamentato. Tale fenomeno si è manifestato in alcune stagioni (come quella segnata dalla riforma complessivamente risultante dai d.lgs. n. 80/1998 e n. 387/1998) anche in modo disarmonico rispetto alle linee
(1 ) Espressione che è d’uopo utilizzare a fronte dell’esaltazione, operata da ultimo con la l. 4 novembre 2010, n. 183, della scomposizione dell’istituto in una plu- ralità di statuti caratterizzati da discipline differenziate, anche quanto al regime impu- gnatorio dei relativi lodi.
lungo le quali contestualmente si muoveva l’arbitrato c.d. di diritto comune (2).
Una riflessione sull’arbitrato in materia di lavoro non può pertanto prescindere da un’indagine sulle ragioni della prevalenza della species irrituale e dall’osservazione del cammino dell’istituto, segnato da ripe- tuti, e non risolutivi, interventi legislativi. Questi ultimi, peraltro, non si sono semplicemente avvicendati secondo una successione diacro- nica – quasi che la sequenza cronologica consenta di per sé di indivi- duare, a seconda del momento storico considerato, la disciplina vigente – ma sono stati per lo più posti in essere (soprattutto di recente) senza organicità e con una tecnica di parziali abrogazioni e di accumulo, per cui le norme volta a volta poste o rimodulate hanno cominciato a coesistere con previsioni o frammenti di complessi nor- mativi preesistenti, rimasti non abrogati, facendo ricadere sull’inter- prete un gravoso compito di coordinamento dei vari tasselli.
Dall’altro lato, al reiterato interesse del legislatore non è, tuttavia, corrisposta – a differenza di quanto sembrava presagirsi dagli iniziali bagliori legati all’esperienza degli arbitrati previsti dagli accordi inter- confederali del 1947, del 1950 e del 1965 (3) – un’affermazione del- l’istituto sul piano applicativo, quale concreto mezzo per la risoluzione delle controversie di lavoro.
La storia di questo duplice paradosso è stata inoltre periodica- mente percorsa anche da un equivoco – che l’approfondimento teo- rico e il confronto con i dati normativi non sono del tutto riusciti a neutralizzare – circa la diversità strutturale e funzionale tra il modello rituale e quello irrituale, in base al quale si è enfatizzata la maggiore duttilità del secondo per la sua attitudine ritenuta più schiettamente dispositiva: un equivoco di origine giurisprudenziale, che, per certi versi, traspare anche al cospetto dell’ultima novella del 2010.
(2 ) Ci si riferisce, in particolare, al fenomeno per il quale, mentre in conseguenza della riforma del 1994 le disposizioni del titolo VIII del libro IV del codice di rito non consentivano più di predicare, in sede generale, l’esistenza di un arbitrato irrituale, nella materia di lavoro, tale species, dopo gli interventi del 1998, conservava e rinver- diva la sua vitalità (non tanto sul piano strettamente applicativo).
(3 ) Il riferimento è all’accordo del 7 agosto 1947, dedicato alla costituzione e al funzionamento delle commissioni interne d’impresa e agli accordi interconfederali del 18 ottobre 1950 e del 29 aprile 1965 sui licenziamenti individuali nell’industria.
Entro questo quadro, il dibattito della dottrina e gli interventi legi- slativi si sono più volte dipanati, con diverse prospettive, attorno ai diversi commi dell’art. 2113 c.c., invero riguardanti il regime delle rinunce, transazioni e conciliazioni (queste ultime raggiunte in sedi
«qualificate») su diritti del lavoratore previsti da norme inderogabili di legge e della contrattazione collettiva: disposizioni evocate in sede interpretativa, nei primi anni di vigenza del codice di rito del 1940, a sostegno delle tesi restrittive rispetto alla compromettibilità delle con- troversie di lavoro (4); quindi, alla luce della riforma del 1973, fatte
(4 ) All’indomani della soppressione dell’ordinamento corporativo e dell’introdu- zione dell’ordinamento costituzionale del 1948, la dottrina giuslavorista fu pressoché compatta nell’affermare, oltre alla perdurante vigenza della nullità di clausole com- promissorie collettive, l’attualità del generale divieto di arbitrabilità delle liti di lavoro nonché della stipulazione di xxxxx compromissori individuali, alla stregua dell’origina- ria formulazione dell’art. 806 c.p.c. (il quale sottraeva dall’ambito delle controversie che le parti potevano far decidere da arbitri «quelle previste negli articoli 429 e 459, quelle che riguardano questioni di stato e di separazione personale tra coniugi e le altre che non possono formare oggetto di transazione»). Una giustificazione teorica alla compatibilità di tale divieto con il nuovo assetto dei rapporti di lavoro fu indivi- duata nella particolare natura, ritenuta en bloc indisponibile, dei diritti riconosciuti da norme inderogabili in favore del lavoratore, quale parte economicamente e social- mente debole, in base all’argomento che l’art. 806 c.p.c. (nella sua iniziale stesura, non ancora modificata dal d.lgs. n. 40/2006) avrebbe configurato quelle di lavoro, ex artt. 429 e 459 c.p.c., quale species del genus delle controversie «che non possono formare oggetto di transazione» in quanto aventi ad oggetto – ai sensi dell’art. 1966, comma 2o, c.c. – diritti indisponibili: così Xxxxxxxxxxx, Il divieto di compromettere in arbitri le controversie individuali di lavoro, in Foro civ., 1949, c. 171; Bianchi D’Xxxxxxxx, Arbitrato rituale e arbitraggio negli accordi collettivi di lavoro, in Giur. compl. Xxxx. sez. civ., 1952, III, p. 144, che fonda espressamente il divieto ex art. 806 c.p.c. sull’essere molte norme in materia di lavoro «poste a tutela di diritti inderogabili del prestatore d’opera e perciò non idonee a formare oggetto di transazione»; Xxxxxxx, Il giudizio arbitrale nelle controversie individuali di lavoro, in Riv. giur. lav., 1956, I, p. 196; Pera, L’arbitrato nelle controversie di lavoro, in Riv. dir. proc., 1955, II, p. 45 s.; Petrac- cone, L’arbitrato nelle controversie di lavoro, in Mass. giur. lav., 1962, p. 121; Xxxxxx, Il giudizio arbitrale nelle controversie di lavoro, in Dir. lav., 1950, I, p. 98 ss., p. 99; Vecchione, Arbitrato rituale ed arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro, in Foro pad., 1954, I, c. 1031; Giugni, Limiti legali dell’arbitrato nelle controversie individuali di lavoro, in Riv. dir. lav., 1953, I, p. 20, il quale osserva, che la ratio dell’art. 806 c.p.c., lungi dall’essere ispirata ad un criterio totalitario, è decisamente riferibile al principio della tutela del contraente debole e perciò ben compatibile con l’ordina- mento repubblicano; in senso critico, Grandi, L’arbitrato irrituale nel diritto del lavoro, Milano, 1963, p. 370 ss. Per tale via, una volta affermata non solo l’esistenza, alla stregua dell’art. 806 c.p.c., di un generale collegamento fra incompromettibilità e
oggetto di rinvio, in una norma di diritto positivo, per fissare un limite
intransigibilità delle controversie, ma anche di una presunta specifica riconduzione en bloc delle controversie laburistiche a quelle insuscettibili di transazione in quanto aventi ad oggetto diritti indisponibili, si affermava che il fondamento del divieto di arbitrato in parola risiedesse (non già in una scelta di stretto diritto positivo, operata dal legislatore del 1940, di escludere tout court tale materia, bensì) nella natura indi- sponibile dei diritti del lavoratore come confermata dall’art. 2113 c.c., norma che avrebbe consentito di operare un’ulteriore rigida, non necessitata equazione fra incompromettibilità, indisponibilità dei diritti e inderogabilità della normativa: dal momento che – si argomentava – ai sensi dell’art. 2113 c.c. erano da ritenersi invalide le transazioni ricadenti su diritti del lavoratore sanciti da norme inderogabili e che l’art. 806 c.p.c. predicava l’inarbitrabilità delle controversie di lavoro quale declina- zione della intransigibilità delle liti aventi ad oggetto diritti indisponibili, ne sarebbe dovuta scaturire la duplice conseguenza che l’inderogabilità della normativa determi- nasse necessariamente sia l’indisponibilità del diritto da essa riconosciuto in favore del lavoratore nonché il limite quoad obiectum dell’arbitrato (in tal senso, cfr. Xxxxxx, Il giudizio arbitrale nelle controversie di lavoro, cit., p. 99, secondo il quale le forme di eterocomposizione arbitrale soffrono dello stesso limite delle forme di autocomposi- zione, ossia il limite della disponibilità dei diritti, per modo che non essendo disponi- bili i diritti discendenti da norme inderogabili, quali appunto le norme corporative, rispetto a questi non è ammesso il giudizio arbitrale, come non è ammessa la transa- zione: «Lo stesso art. 806 c.p.c. chiarisce come transazione ed inderogabilità siano concetti incompatibili»– peraltro, per questo autore, i limiti all’arbitrato non si sareb- bero estesi ai diritti scaturenti dalle norme dei nuovi contratti collettivi, quali contratti di diritto privato. In senso analogo, Xxxxxxxx, Ancora in tema di arbitrato irrituale nelle controversie sui licenziamenti individuali, in Riv. dir. lav., 1950, II, p. 390 ss., p. 392 ss.; quanto alla correlazione tra art. 806 c.p.c. e art. 2113 c.c., cfr. Xxxxxxx, Il giu- dizio arbitrale nelle controversie individuali di lavoro, cit., p. 196 ss.; Xxxxxxx, Ancora sul c.d. divieto di arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro, in Riv. giur. lav., 1952, II, p. 139 ss., spec. p. 141, il quale osserva che, da un lato, l’art. 2113 c.c. dispone un divieto di transigibilità sui diritti derivanti da disposizioni inderogabili di legge e per- ciò indisponibili e che, dall’altro, in coordinamento con la predetta norma di diritto sostanziale, l’art. 806 c.p.c. vieta i patti compromissori sulle controversie che non pos- sono formare oggetto di transazione in quanto aventi ad oggetto diritti indisponibili). Tale ricostruzione, criticata convincentemente da Xxxxxxxxx, L’arbitrato nelle con- troversie di lavoro, Milano, 1990, p. 181 ss., è peraltro il riflesso della commistione, se non della esportazione, alla forma arbitrale di una logica che si attaglia invero ai negozi transattivi o lato sensu dispositivi, i quali non concretano un giudizio, ma si realizzano mediante le reciproche rinunce e disposizioni direttamente poste in essere dalle parti. Se, infatti, rispetto alla transazione, l’esigenza di salvaguardare il rispetto della normativa inderogabile, che verrebbe pregiudicata ove si transigesse sui diritti da essa riconosciuti, implica una preclusione relativa al suo oggetto, la stessa esigenza, rispetto all’arbitrato, può essere assicurata non già ponendo un limite oggettivo alla compromettibilità (il che finirebbe per comprimere il ricorso in sé allo strumento arbitrale), bensì un limite di contenuto rispetto al giudizio degli arbitri e, quindi, con-
contenutistico al giudizio arbitrale nonché parametri e tecniche per la sua censurabilità (5); ed infine, nell’ultima novella del 2010, all’oppo-
sentendo la sindacabilità del lodo sotto tale profilo (come fu poi espressamente previ- sto, per i lodi irrituali in materia di lavoro, dall’art. 5, comma 2o, l. 11 agosto 1973, n. 533, che ne stabilì l’impugnabilità per violazione di norma inderogabile di legge o di contratto collettivo). Ne consegue, in questa diversa e preferibile prospettiva messa in luce in dottrina, che dalla inderogabilità della normativa non discende automatica- mente l’indisponibilità della situazione sostanziale, unica condizione che possa deter- minare anche oggi – in base all’attuale testo dell’art. 806 c.p.c. – l’inarbitrabilità della controversia: per tali argomentazioni, cfr. Xxxxxxxxx, L’arbitrato, Torino, 1991, p. 7; Id., Il contratto di arbitrato, in Aa.Vv., L’arbitrato, a cura di Xxxxxxxxx, Torino, 2005,
p. 28 ss.; Xxxxxxxxx, L’arbitrato, Torino, 1997, p. 37; Xxxxx, L’impugnazione del lodo equitativo per violazione di norme inderogabili, in Riv. arb., 1994, p. 500 ss.; Xxxxx, Ancora sulla delega in tema di arbitrato: riaffermazione della natura privatistica dell’isti- tuto, in Riv. dir. proc., 2005, p. 963 ss., spec. p. 967. A tacer d’altro, del resto, la stessa dottrina giuslavorista, osservando che il regime delineato dall’art. 2113 c.c. per l’invali- dità delle rinunce e transazioni su diritti previsti in favore del lavoratore da norme inde- rogabili di legge è dissimile dal trattamento della vera e propria nullità ex art. 1418 c.c. cui detti negozi, a rigore, danno luogo quando abbiano ad oggetto diritti indisponibili, ha proposto una serie di distinzioni per individuare l’esatto ambito di applicazione del- l’art. 2113 c.c.: e così v’è stato chi ha proposto di distinguere tra diritti derivanti da norma inderogabile non ancora acquisiti al patrimonio del lavoratore, indisponibili a pena di nul- lità, e diritti sanciti dalle medesime norme ma già maturati, rispetto a cui rinunce e tran- sazioni incontrerebbero il limite dell’annullabilità ex art. 2113 c.c. (Xxxxxxx Xxxxxxxxxx F., Sull’invalidità delle rinunce e delle transazioni del prestatore di lavoro, in Giur. compl. Cass. Civ., 1948, 2, p. 53 ss.) e chi ha separato i diritti c.d. primari (al riposo settimanale, alle ferie, al riconoscimento della qualifica) come tali indisponibili, dai diritti c.d. secon- dari, derivanti da situazioni in cui già si sarebbe verificata la violazione dei primi, e che perciò sarebbero tutelabili solo in via risarcitoria per modo che i negozi che li abbiano ad oggetto sarebbero destinati alla maggiore stabilità di cui all’art. 2113 c.c.: in tale ultimo senso, se il diritto alle ferie è insuscettibile di rinuncia, transazione e patto compromis- sorio, in ragione della sua indisponibilità, così che ciascuno dei suddetti negozi rimane fulminato per nullità alla stregua degli artt. 1418 e 1966, comma 2o, c.c., il negozio dispo- sitivo avente per oggetto l’indennizzo per le ferie non godute, non essendo quest’ultimo oggetto di un diritto assolutamente indisponibile, sarebbe invalidabile nelle forme più atte- nuate dell’annullabilità ex art. 2113 c.c. (così De Xxxx Xxxxxx, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, Napoli, 1976, p. 298 ss.; Xxxxxx, Le rinunzie e le transazioni del lavo- ratore: riesame critico, in Dir. lav., 1970, I, 8 ss.; con riferimento alle rinunce e transazioni, Xxxxxxxxx-Vaccarella, Manuale di diritto processuale del lavoro3, Napoli, 1996, p. 63).
(5 ) Il riferimento è alla formulazione dei commi 2o e 3o dell’art. 5, l. 11 agosto 1973, n. 533 (poi abrogati dal d.lgs. 30 marzo 1998, n. 80), a mente dei quali, rispetti- vamente, il lodo irrituale in materia di lavoro era impugnabile per violazione di norme inderogabili di legge e dei contratti collettivi e a tale impugnativa si potevano appli- care le previsioni dell’art. 2113, commi 2o e 3o, c.c., vale a dire il termine di decadenza di 6 mesi per la sua proposizione e la possibilità per il lavoratore di far valere detta
sto, espressamente menzionate al fine di contenere l’impugnabilità dei lodi irrituali e favorirne la maggiore stabilità (6).
1.2. – L’emersione della forma irrituale. – Le ambivalenti sorti dell’isti- tuto nonché la tendenza alla stratificazione delle fonti si sono manife- state fin dai primi anni di vigenza del regime di divieto consacrato dal codice del 1940.
A fronte, infatti, degli artt. 806 e 808, comma 2o, c.p.c. – soprav- vissuti (7) nel loro tenore originario (8) alla soppressione dell’ordina-
forma di annullabilità anche con atto stragiudiziale: sulla portata di tali disposizioni, v. l’analisi di Xxxxxxxxx, L’arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., p. 438 ss.
(6 ) È il tentativo operato con l’ultima novella intervenuta in ordine di tempo, e precisamente con l’art. 31, l. 4 novembre 2010, n. 183, che, nel riscrivere i commi 3o e 4o dell’art. 412 c.p.c., ha introdotto per alcuni lodi irrituali in materia di lavoro l’am- bigua previsione secondo cui ad essi si estende, al pari di quanto previsto per le conci- liazioni, il dettato dell’ultimo comma dell’art. 2113 c.c., il quale, a sua volta, esclude l’applicabilità del regime impugnatorio descritto nei commi precedenti del medesimo art. 2113 c.c. con riferimento alle rinunce e transazioni del lavoratore aventi ad oggetto diritti previsti da norme inderogabili di legge e di contratto collettivo.
(7 ) Nel senso della perdurante vigenza del regime preclusivo dettato dagli artt. 806 e 808, comma 2o, c.p.c., si è espressa quasi tutta la dottrina degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso: Xxxxxxxxxxx, Il divieto di compromettere in arbitri le controversie indi- viduali di lavoro, cit., p. 170; Xxxxxx, Sull’ammissibilità della compromissione in arbitri delle controversie di lavoro, in Foro pad., 1950, I, c. 470; Xxxxxxx, Ancora sul c.d. divieto di arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro, cit., p. 140, secondo il quale dalla abolizione delle organizzazioni corporative non si può far discendere la abroga- zione dei divieti di arbitrato rituale; Bianchi D’Xxxxxxxx, Arbitrato rituale e arbitrag- gio negli accordi collettivi di lavoro, cit., p. 144; Vecchione, Arbitrato rituale ed arbi- trato irrituale nelle controversie di lavoro, cit., c. 1030; Pera, L’arbitrato nelle contro- versie di lavoro, cit., p. 43 ss., secondo il quale, i divieti di arbitrato hanno rappresen- tato obiettivamente una ulteriore nota autoritaria nel sistema, ma possono essere accolti anche o solo esclusivamente per altre ragioni: la mancata abrogazione «è soste- nuta con quasi unanime consenso, in base ad altre finalità», che rendono giustificabili quei divieti anche nell’attuale ordinamento; Xxxxxxx, Il giudizio arbitrale nelle contro- versie individuali di lavoro, cit., p. 195 ss., p. 200; Giugni, Limiti legali dell’arbitrato nelle controversie individuali di lavoro, cit., p. 19; Xxxxxxxxxx, Diritto processuale del lavoro, Roma, 1960, pp. 404 e 406; Torrente, Arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro, in Mass. giur. lav., 1961, p. 350 ss., p. 351; Xxxxxx, L’arbitrato irrituale nel diritto del lavoro, cit., p. 357, secondo cui «non vi sono ragioni sufficienti, sul piano strettamente giuridico, per suffragare la tesi della implicita o tacita abrogazione». Iso- lata è invece rimasta l’opinione di Ferrari, Libertà sindacale e validità della clausola compromissoria in materia di lavoro, Riv. giur. lav., 1949, I, p. 24, che sostenne la tacita abrogazione dei divieti dettati nel codice di rito.
mento corporativo e concernenti, rispettivamente, l’esclusione tout court della compromettibilità delle controversie di lavoro e la commi- natoria di nullità per le clausole compromissorie inserite nei contratti collettivi – le organizzazioni sindacali sperimentarono forme di risolu- zione, sul piano negoziale, delle controversie di lavoro (segnatamente relative ai licenziamenti individuali) mediante la devoluzione a collegi di conciliazione ed arbitrato del potere di decidere sulla giustifica- zione o meno del recesso datoriale (9) e di stabilire, fra le parti, torto e ragione, vittoria e soccombenza, in modo del tutto analogo a quanto poteva avvenire con l’arbitrato c.d. rituale di cui al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile (10), ma lasciando in ombra, rispetto
(8 ) Art. 806 c.p.c.: «Compromesso – Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte, tranne quelle previste negli articoli 429 e 459, quelle che riguardano questioni di stato e di separazione personale tra coniugi e le altre che non possono formare oggetto di transazione». Art. 808, comma 2o, c.p.c.: «La clau- sola compromissoria non può essere inserita nei contratti collettivi di lavoro, negli accordi economici o nelle norme equiparate. È altresì nulla la clausola contenuta in qualunque specie di contratto, con la quale si sottraggono alla competenza dei giudici ordinari le controversie indicate nell’art. 467». Sulla genesi dei divieti di arbitrato in materia di lavoro, cfr. Xxxxxxxxx, L’arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., p. 105 ss., il quale evidenzia, per un verso, la continuità fra il dettato dell’art. 808, comma 2o,
c.p.c. e la tendenza già prospettatasi nella legislazione corporativa degli anni prece- denti (e consacrata nell’art. 3, comma 2o, r.d. 26 febbraio 1928, n. 471), volta a sco- raggiare la risoluzione arbitrale delle controversie di lavoro, ma, per l’altro verso, la più decisa volontà, emersa nella fase finale dei lavori preparatori al codice di rito del 1940, di portare a compimento lo sfavore per l’arbitrato come strumento alternativo di risoluzione delle controversie fondato sull’autonomia dei privati.
(9 ) Le previsioni sindacali in parola hanno offerto, sul piano sostanziale, fino alla
l. 15 luglio 1966, n. 604, una prima forma di tutela in ordine ai licenziamenti indivi- duali tale da assicurare al lavoratore, nel caso in cui il collegio arbitrale avesse ritenuto il recesso datoriale privo di giustificazione, il ripristino del rapporto di lavoro o in alternativa il versamento di una penale oltre al trattamento del licenziamento. In pro- posito, v. supra, parte III, sez. IV, n. 1.2.
(10 ) Si può pertanto guardare con interesse, sotto questo profilo, ad una delle prime pronunce della Cassazione (Cass. 21 agosto 1951, n. 2552, in Riv. giur. lav., 1951, II, p. 366 ss., con nota di Xxxxx, In tema di arbitrato rituale o irrituale e di poteri della Corte Suprema) che, nel confermare la nullità della «sentenza arbitrale» per nul- lità radicale della clausola compromissoria (artt. 808 e 829, n. 1 c.p.c.) in ragione della perdurante vigenza del regime preclusivo di cui agli artt. 806 e 808 c.p.c., ritenne, a monte, possibile qualificare come rituale l’arbitrato previsto dall’accordo interconfe- derale del 1947 sulla base di una serie di elementi, fra cui, in particolare, le modalità di nomina degli arbitri, la presenza di un nucleo di contraddittorio, astrattamente pre-
a quest’ultimo, ogni riferimento al trattamento processuale del lodo (ed in particolare all’obbligo di deposito allora previsto dall’art. 825
c.p.c. e al conseguimento dell’efficacia esecutiva).
Basti pensare, a titolo esemplificativo che le clausole contenute negli accordi collettivi in parola: a) ponevano in risalto la funzione di giudizio (e non meramente dispositiva) in ordine alla situazione con- troversa, per lo più affidata al metro equitativo, nonché lo svolgimento di un processo nel contraddittorio fra le parti (11); b) disciplinavano le modalità di avvio dell’arbitrato, di formazione e costituzione dei col- legi, secondo criteri paritetici (12); c) prevedevano o presupponevano il
visto e in concreto svoltosi fra le parti, la fissazione di un termine per la pronuncia del lodo e, viceversa, non decisivi i riferimenti all’amichevole composizione e all’assenza di formalità procedurali, che potevano (come possono) essere predicate anche per l’arbitrato rituale, ai sensi degli artt. 816, 822 e 829, ultima parte, c.p.c. Le argomenta- zioni fatte proprie dalla Suprema Corte in tale arresto meritano di essere segnalate poiché, a differenza di quelle successivamente offerte dalla giurisprudenza di legitti- mità a sostegno della natura irrituale degli arbitrati previsti dagli accordi interconfede- rali e dalla contrattazione collettiva, riconoscevano la funzione di giudizio e la strut- tura processuale che l’autonomia sindacale, dopo la caduta del regime corporativo, aveva inteso attribuire ai procedimenti arbitrali in parola.
(11 ) Cfr. art. 3, lett. b), punto 6 dell’accordo del 7 agosto 1947: «Il Collegio esple- terà un tentativo di conciliazione e, ove questo non riesca, emanerà il suo giudizio, quale arbitro amichevole compositore e senza obbligo di formalità procedurali»; art. 5 accordo interconfederale del 18 ottobre 1950: «Il Collegio espleterà un tentativo di componimento e, ove questo non riesca, emanerà il suo giudizio secondo equità e senza obbligo di formalità procedurali, entro dieci giorni dalla sua nomina»; art. 11 accordo interconfederale del 29 aprile 1965: «Il Collegio emette la sua (...) decisione». Sull’impianto procedimentale degli arbitrati previsti dalla contrattazione collettiva, cfr. Xxxxxxxxx, Le controversie di lavoro e l’arbitrato irrituale come procedimento, in Riv. dir. proc., 1968, p. 629 ss., il quale vi ravvisava un’attività di risoluzione delle con- troversie secondo lo schema del “processo”, ma destinata a rilevare sul solo piano pri- vatistico. Tale autore, pur muovendo dalla concezione giurisdizionalistica dell’arbi- trato rituale e dalla necessaria dicotomia tra quest’ultimo e l’arbitrato irrituale, ricono- sce all’arbitro libero, voluto dai compromittenti per risolvere la lite con efficacia per loro vincolante, compiti di carattere decisorio. Secondo Xxxxxxxxx, I processi arbitrali nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. proc., 1968, p. 459 ss., p. 480 s., se da un lato l’accordo interconfederale del 1950 prevedeva un giudizio «senza formalità di proce- dura», dall’altro recava tuttavia «tracce di attività assertorie e probatorie delle parti»: con la formula di cui all’art. 5, infatti, si intendeva escludere «il di più delle forme», ma non il nucleo del contraddittorio.
(12 ) Cfr. art. 3, lett. b), punto 5 dell’accordo del 7 agosto 1947: «Collegio arbi- trale composto di un rappresentante di ciascuna delle Associazioni locali dei lavora-
compimento di un’istruttoria, con la possibilità di una proroga del ter- mine di pronuncia del lodo nonché con i criteri di distribuzione del- l’onere probatorio (13); d) stabilivano l’obbligo di motivazione del dic- tum degli arbitri (14), le modalità della sua comunicazione alle par- ti (15), nonché – nel caso del primo accordo del 1947 – l’impugnativa della decisione innanzi ad un collegio arbitrale di secondo grado, in modo difforme rispetto al trattamento impugnatorio del lodo rituale di cui agli artt. 827 ss. c.p.c. (16).
Si trattava, all’evidenza, di clausole arbitrali chiaramente derogato- rie del rigido dettato degli artt. 806 e 808, comma 2o, c.p.c., e dunque destinate a porre, in sede applicativa, il problema della loro validità; ed è proprio con riferimento ad esse e all’apparato sistematico di cui sono state rivestite dalla giurisprudenza che vengono gettati quei ger- mogli destinati ad influenzare il successivo cammino dell’istituto.
tori e degli industriali e presieduto da un arbitro da scegliersi di comune accordo dai rappresentanti stessi od, in mancanza di accordo, estratto a sorte da una lista di nomi compilata annualmente d’accordo tra le due Organizzazioni»; art. 4 accordo del 18 ottobre 1950: «Il Collegio di conciliazione e di arbitrato è composto da un rappresen- tante del datore di lavoro e di uno del lavoratore designato dalle rispettive Organizza- zioni e di un Presidente (...) individuato mediante sorteggio tra quelli compresi in una lista (...) formata di comune accordo tra le Organizzazioni sindacali provinciali dei lavoratori e dei datori di lavoro».
(13 ) Cfr. art. 3, lett. b), punti 7-8 accordo del 7 agosto 1947: «Qualora il collegio dovesse ritenere raggiunta la piena prova che il licenziamento sia assolutamente ingiustificato» (...) «Il Collegio, anche se dovesse ritenere non sufficientemente pro- vati i fatti addebitati al lavoratore (...)»; cfr. artt. 9-10 accordo interconfederale del 29 aprile 1965: «Qualora debbano essere assunti mezzi di prova, il Collegio, con il provvedimento con cui li dispone, può prorogare per una sola volta il termine per la decisione e per non più di quindici giorni»; «grava sul datore di lavoro l’onere della prova dei fatti posti a base del motivo addotto a giustificazione del licenziamen- to».
(14 ) Cfr. art. 11 accordo interconfederale del 29 aprile 1965: «Il Collegio – qua- lora ritenga ingiustificato il licenziamento (...) – emette la sua motivata decisione rela- tiva al ripristino del rapporto di lavoro».
(15 ) Cfr. art. 7 accordo interconfederale del 18 ottobre 1950: «Il giudizio emesso dal Collegio viene comunicato alle parti e alle rispettive Organizzazioni entro tre giorni dalla pronuncia».
(16 ) Cfr. art. 3, lett. b), punto 9 accordo del 7 agosto 1947: «Contro la decisione del Collegio arbitrale non presa all’unanimità (...) la parte soccombente, negli 8 giorni successivi, può ricorrere ad un Collegio arbitrale, costituito da tre arbitri scelti o sor- teggiati tra quelli elencati nella lista di cui al punto 5)».
Dopo un iniziale orientamento, che propendeva per la radicale nullità di tali previsioni sindacali (17), la giurisprudenza si mostrò sen- sibile a salvaguardare il ricorso allo strumento arbitrale, circoscri- vendo, a questo fine, alla sola species rituale i divieti codicistici e quali- ficando come irrituali le clausole degli accordi interconfederali (18), sul presupposto non solo che esse fossero, in quanto tali, estranee al codice di rito, ma anche idonee a dare origine ad una forma di compo- sizione delle controversie opposta, per struttura e funzione, rispetto a quella conseguibile mediante l’arbitrato assoggettato alla disciplina
(17 ) In tal senso, Trib. Genova 24 maggio 1947, in Dir. lav., 1948, II, p. 348 ss., con nota di Xxxxxx; App. Napoli 22 febbraio 1949, in Giur. it., I, 2, c. 374 ss.; Trib. Milano 22 giugno 1950, in Riv. dir. lav., 1950, II, p. 389 ss., con nota di Xxxxxxxx, Ancora in tema di arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro; App. Bologna 2 marzo 1954, in Foro pad., 1954, I, c. 1030 ss., con nota di Vecchione, Arbitrato rituale ed arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro; Cass. 21 agosto 1951, n. 2552, cit.; Coll. arb., 20 gennaio 1949, in Foro civ., 1949, c. 168 ss., con nota di Xxxxxxxxxxx, Il divieto di compromettere in arbitri le controversie individuali di lavoro. Dalla lettura integrale di tali sentenze, specie di merito, si riscontra che la ratio decidendi è eminen- temente posta nell’esigenza di ribadire la perdurante vigenza dei divieti codicistici e nell’impossibilità di ritenerli tacitamente abrogati per effetto della soppressione del- l’ordinamento corporativo, nonché nella presunta coerenza fra la normativa proces- suale di cui agli artt. 806 e 808, comma 2, c.p.c. e la normativa sostanziale inderoga- bile di cui all’art. 2113 c.c.
(18 ) Cfr., per le sentenze di merito, App. Napoli 10 giugno 1949, in Foro it., 1950, I, c. 335 ss., con nota di Xxxxxxxx, Xxx caratteri distintivi dell’arbitrato irrituale; App. Perugia 21 febbraio 1952, in Riv. giur. lav., 1952, II, p. 132 ss., con nota di Xxxxxxx, Ancora sul cosiddetto arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro; Trib. Pistoia 9 giu- gno 1952, in Dir. lav., 1953, II, p. 391 ss., con nota di Xxxxxxxx Xxxxxx; App. Genova 17 febbraio 1954, in Riv. giur. lav., 1954, II, p. 295 ss.; Trib. Verona 15 feb- braio 1954, in Riv. dir. proc., 1955, II, p. 39 ss., con nota di Xxxx, L’arbitrato nelle controversie di lavoro e le clausole di decadenza stabilite nei contratti collettivi di lavoro; App. Milano 16 aprile 1954, in Foro pad., 1954, I, c. 1030 ss., con nota di Vec- chione, Arbitrato rituale e arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro; App. Milano 25 novembre 1954, in Mass. giur. lav., 1955, pp. 7 e 57; fra la giurisprudenza di legitti- mità, Xxxx. 28 giugno 1952, n. 1924, in Giur. compl. Cass. sez. civ., 1952, p. 137 ss., con nota di Xxxxxxx X’Xxxxxxxx, Arbitrato rituale e arbitraggio negli accordi collettivi di lavoro; Cass. 18 giugno 1955, n. 1896, in Mass. giur. lav., 1955, p. 158 ss.; Cass. 14 luglio 1961, n. 1702, in Mass. giur. lav., 1961, p. 350 ss., con nota di Xxxxxxxx, Arbi- trato irrituale nelle controversie di lavoro, e in Dir. lav., 1962, II, p. 155, con nota di Xxxxxxxx; Cass., sez. un., 21 ottobre 1961, n. 2311, in Mass. giur. lav., 1961, p. 460 ss.; Cass. 31 gennaio 1962, n. 185, in Mass. giur. lav., 1962, p. 116 ss.; Cass. 16 maggio 1962, n. 1049, in Mass. giur. lav., 1962, p. 273 ss.; Cass. 18 luglio 1962, n. 9112, in Riv. giur. lav., 1964, II, p. 201 ss.
processuale di cui agli artt. 806 ss. c.p.c. In tale direzione, il riconosci- mento della cittadinanza giuridica alle clausole compromissorie di fonte collettiva era reso possibile proprio mediante l’attribuzione ad esse della natura irrituale e la contestuale affermazione, evidentemente reputata rassicurante, secondo cui agli arbitri, talora indicati sintoma- ticamente come arbitratori (19), facenti parte dei collegi previsti dagli accordi del 1947 (20) e del 1950 (21), fosse attribuito un potere, rectius un mandato, schiettamente ed esclusivamente negoziale, radicalmente diverso da quello pertinente agli arbitri rituali non solo per natura, ma anche per funzione e struttura.
Se, peraltro, la giurisprudenza appariva sicura nel proporre, quale chiave generale di giustificazione del fenomeno, la bipartizione fra l’arbitrato rituale-processo-giudizio, da un lato, e l’arbitrato irrituale- negozio, dall’altro – bipartizione che si accompagnava alla contrappo- sizione fra un arbitrato avente natura ed effetti giurisdizionali e un arbitrato avente natura ed effetti meramente contrattuali – maggiori oscillazioni essa mostrava nel delineare lo specifico volto dell’arbitrato libero, ora ritenuto affine all’arbitraggio, ora assimilato ad un negozio transattivo, ora ad una rinuncia o ad un negozio di accertamento per relationem (22).
(19 ) Così, ad esempio, App. Napoli 10 giugno 1949, cit.
(20 ) App. Napoli 10 giugno 1949, cit.; App. Aquila 19 aprile 1951, in Riv. giur. lav., 1951, II, p. 183 ss.; App. Napoli 1o marzo 1951, in Riv. giur. lav., 1951, p. 188 ss.; App. Perugia 21 febbraio 1952, cit.; Cass. 28 giugno 1952, n. 1924, cit.; Cass. 31 xxxx- xxx 1958, n. 3579, in Giust. civ., 1959, I, p. 31 ss.
(21 ) Trib. Pistoia 9 giugno 1952, cit.; App. Genova 17 febbraio 1954, cit.; Trib. Como 2 marzo 1954, in Riv. giur. lav., 1954, II, p. 297 ss.; App. Milano 25 novembre 1954, cit.; Cass. 18 giugno 1955, n. 1896, in Mass. giur. lav., 1955, p. 158 ss.; Cass. 16 maggio 1962, n. 1049, cit.
(22 ) Per la disamina degli orientamenti e disorientamenti della giurisprudenza con riferimento anche all’arbitrato irrituale c.d. di diritto comune, ci si permette di rinviare a Xxxxxxxx, in Aa.Vv., Codice di procedura civile commentato4, diretto da Xxxxxxx, Milano, 2010, III, sub art. 808 ter, p. 1609 ss., spec. p. 1613 ss.; v. anche supra, parte II, cap. I. Peraltro, in tempi successivi e in conseguenza del riconosci- mento giurisprudenziale del c.d. lodo libero secundum ius, ossia della possibilità che agli arbitri irrituali non sia precluso ispirare la definizione della controversia alle norme di diritto (Cass. 24 novembre 1960, n. 3134, in Giur. it., 1961, I, 1, c. 1075 ss., con nota critica Xxxxxxxxx), l’arbitrato irrituale, sia in materia di lavoro che quello
c.d. di diritto comune, è stato svincolato dall’esclusiva riconduzione verso la funzione
Più da vicino, in alcune pronunce concernenti gli accordi intercon- federali in esame, la configurazione proposta per l’arbitrato irrituale sembra ricalcare lo schema dell’arbitraggio, con funzione di completa- mento di un rapporto giuridico già sorto ma controverso, essendosi in particolare sostenuto che la volontà manifestata dalle parti con la sti- pulazione del patto compromissorio irrituale fosse diretta a conferire ad un terzo il potere di regolare il rapporto mediante un accertamento sostitutivo della volontà dei contraenti, che questi ultimi si erano impegnati a ritenere come vincolante (23) e connotato il contenuto del mandato conferito agli arbitri nel senso che ad essi veniva attribuita quella medesima libertà di determinazione che i contraenti hanno rispetto agli elementi del contratto (24); in altre, invece, prevale l’in-
e i contenuti della transazione, secondo lo schema delle reciproche concessioni, e dalla sua esclusiva ricostruzione strutturale come mandato a transigere o come arbi- traggio applicato alla transazione ed è stato via via configurato come ampio conteni- tore, suscettibile di ricomprendere allo stesso tempo tanto la transazione, quanto il
c.d. negozio di accertamento, o la rinuncia: Xxxx. 19 ottobre 1963, n. 1784, in Giust. civ., 1964, I, p. 87 ss.; Cass. 22 giugno 1981, n. 4069, in Mass. giust. civ., 1981, p. 1438; Cass. 12 settembre 1984, n. 4794, in Mass. giust. civ., 1984, p. 1612; Cass. 30 dicembre 0000, x. 00000, in Foro pad., 1996, I, c. 28 ss.; Cass. 28 giugno 2000, n. 8788, in Rep. Foro it., 2000, voce Arbitrato, n. 94; Cass. 1 gennaio 2001, n. 562, in Rep. Foro it., 2001, voce cit., n. 101; Cass. 8 agosto 2001, n. 10935, in Rep. Xxxx xx., 0000, xxxx xxx., x. 00; Cass. 1o febbraio 2007, n. 2213, in Rep. Foro it., 2007, voce cit., n. 193; Cass. 18 febbraio 2008, n. 3933, in Giust. civ., 2009, I, p. 1405 ss.
(23 ) Cass. 28 giugno 1952, n. 1924 cit., ove è stato altresì affermato che la deci- sione del collegio in ordine al licenziamento costituiva un elemento complementare della volontà del datore di lavoro.
(24 ) In tal senso, App. Napoli 10 giugno 1949, cit., ove, con riferimento all’arbi- trato previsto dall’accordo del 1947 sui licenziamenti, si è affermato che agli arbitri viene conferito il potere di determinare quale, tra quelle espressamente previste, fosse la delimitazione dei diritti attuabile, nel caso concreto, in relazione alla giustificazione degli avvenuti licenziamenti; cfr. anche App. Perugia 21 febbraio 1952, cit., secondo cui l’arbitrato previsto dall’accordo interconfederale non costituisce un arbitrato pro- cessuale, perché ha ad oggetto la formazione e la volontà dell’imprenditore di mante- nere o rescindere il rapporto; ancora più esplicitamente nel senso dell’avvicinamento dell’arbitrato irrituale all’arbitraggio, App. Genova 17 febbraio 1954, cit., che parla di mandato a perfezionare un negozio giuridico; in senso contrario, fra la giurisprudenza coeva, pur incline a qualificare come irrituale l’arbitrato previsto dalla contrattazione collettiva, Trib. Pistoia 9 giugno 1952, cit., che con maggiore lucidità ha precisato che
«indubbiamente trattasi, nella specie, di arbitrato irrituale (non di «arbitraggio», essendo quest’ultimo solo un procedimento atto a determinare un dato di fatto quale elemento integratore di un contratto)». Si deve peraltro rilevare che la funzione deci-
quadramento dell’istituto entro schemi transattivi, ed in particolare quale mandato a transigere, il cui oggetto specifico sarebbe per l’ap- punto consistito in un regolamento transattivo che gli arbitri, come comuni mandatari delle parti, avrebbero posto in essere rispetto al rapporto in contestazione (25).
In tal modo al nomen irrituale veniva collegato un bagaglio distin- tivo, smentito dal concreto contenuto delle previsioni sindacali, e tut- tavia a lungo invalso in dottrina ed in giurisprudenza, tanto da deter- minare, sul piano sistematico, l’attrazione nell’area dell’arbitrato di forme di composizione delle controversie ad esso estranee e non con- sistenti nell’attribuzione a terzi del potere di giudicare e decidere la controversia.
A completamento del quadro giurisprudenziale, si deve peraltro sottolineare che, di là o accanto alle giustificazioni teoriche offerte dai citati orientamenti, fondate sulla contrapposizione fra l’arbitrato «giu- risdizionalizzato» e processualizzato e l’arbitrato meramente nego- ziale, le stesse sentenze di merito e di legittimità attribuivano rile- vanza, ai fini della interpretazione della natura del patto compromis- sorio, al fatto che le previsioni collettive avessero inteso disancorare il lodo dalle impugnazioni processuali e dalle formalità del deposito pre- viste dall’art. 825 c.p.c. (26): indici, questi, che da soli avrebbero
xxxxx degli arbitrati irrituali e la loro struttura processuale non sono state del tutto neglette in queste stesse pronunce, ove si è comunque, talora, tra le righe, ravvisato, nell’operato degli arbitri liberi, la formulazione di un «giudizio quali rappresentanti e mandatari delle singole associazioni»: per tale timida intuizione, Cass. 28 giugno 1952,
n. 1924, cit.; cfr. anche App. Aquila 29 aprile 1951, cit., ove in modo significativo si riconosce che la validità della clausola compromissoria per arbitri irrituali può essere affermata anche «in aderenza al principio generale della libertà negoziale, fissato nel- l’art. 1322 c.c., in quanto nulla vieta che le parti affidino la decisione di una contro- versia, con preventivo accordo, a uno o più terzi, con obbligo di accettarne la relativa pronuncia»; e, in senso analogo, circa la funzione decisoria, App. Napoli 1o marzo 1951, cit.
(25 ) Cfr. App. Milano 16 aprile 1954, cit.; Cass. 18 giugno 1955, n. 1896, cit.; Cass. 31 ottobre 1958, n. 3579, cit.; Cass. 31 gennaio 1962, n. 185, cit., ove si parla anche di mandato a disporre. Non può peraltro sfuggire come la ricostruzione nei predetti termini dell’arbitrato irrituale finisse per stridere con le giustificazioni teori- che offerte dalla stessa giurisprudenza al divieto di arbitrato rituale, fondate sull’art. 2113 c.c.
(26 ) Cfr. App. Napoli 10 giugno 1949 cit.; App. Napoli 1o marzo 1951, cit., p.
dovuto reputarsi decisivi al fine di distinguere genuinamente le due
species arbitrali (27) e potuto fondare l’ammissibilità di quell’arbitrato
190; App. Perugia 21 febbraio 1952 cit.; Cass. 28 giugno 1952, n. 1924 cit.; App. Genova 17 febbraio 1954, cit.; Trib. Como 2 marzo 1954, cit. La rilevanza di tali ele- menti, pur con il riferimento, sullo sfondo, alla contrapposizione fra la natura e l’effi- cacia dell’arbitrato rituale e dell’arbitrato irrituale, non è neppure sfuggita a talune voci della dottrina coeva, che dirimeva ogni dubbio sulla natura irrituale degli arbi- trati di cui si faceva concreta esperienza nel periodo postcorporativo, proprio in rela- zione alla esclusione del deposito del lodo e al particolare regime delle sua impugna- zione: così Xxxxxx, La disciplina interconfederale dei licenziamenti nell’industria, in Mass. giur. lav., 1958, p. 201 ss., spec. p. 228; Xxxxxxxx, Sui caratteri distintivi dell’ar- bitrato irrituale, in Foro it., 1950, I, c. 335; Xxxxxxxx, Ancora in tema di arbitrato irri- tuale nelle controversie sui licenziamenti individuali, cit., p. 390; Xxxxxxx, Ancora sul
c.d. divieto di arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro, cit., p. 139 ss., spec. p. 142, il quale, occorre precisare, non conclude in senso esplicito né per la ritualità né per l’irritualità dell’arbitrato previsto dall’accordo interconfederale 7 agosto 1947, rile- vando in ogni caso che il peculiare regime di impugnazione ivi previsto non si accorda con quanto disciplinato dal codice di rito; Xxxxxxx, Il giudizio arbitrale nelle contro- versie individuali di lavoro, cit., p. 203, che ai fini in parola sottolinea soprattutto l’esclu- sione della possibilità che con l’arbitrato irrituale si consegua un titolo esecutivo mediante il perfezionamento della fattispecie complessa lodo rituale – decreto pretorile.
(27 ) Con riferimento all’ammissibilità di un arbitrato irrituale c.d. di diritto comune al cospetto della originaria formulazione degli artt. 806 ss. c.p.c., cfr. gli argo- menti di Xxxxx, Commentario al codice di procedura civile, IV, 2, Milano, 1971, p. 183 e 314 ss.; Xxxxx, L’arbitrato: fecondità e attualità dell’insegnamento di Xxxxxxxxx Xxxxx, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, p. 749 ss.; Xxxxxxx, Sulla distinzione tra arbitrato
«rituale» e arbitrato «irrituale», in Xxx. xxx., 0000, x. 000 xx. X. anche supra, parte II,
n. 1.5 ss. È interessante notare che in anni recenti, la stessa Suprema Corte, sulla scia dell’orientamento che a partire dal 2000 ha messo in discussione la natura dell’arbi- trato rituale, ritenuto oggi procedimento ontologicamente alternativo alla giurisdi- zione statale, pur continuando a riproporre le massime tralaticie sull’accostamento dell’arbitrato irrituale alla transazione e al negozio di accertamento, si è espressa nel senso della decisa attenuazione della differenza fra le due species di arbitrato e ne ha ridisegnato la tradizionale dicotomia, fino ad individuarne l’esile discrimine nella sola circostanza che il lodo rituale, a differenza di quello irrituale, viene finalizzato, per volere delle parti, mediante il deposito e previa concessione del decreto giudiziale, al conseguimento degli effetti di cui all’art. 825 ed è impugnabile ai sensi degli artt. 827 ss.; mentre quello irrituale concreta un accertamento direttamente riconducibile alla volontà delle parti, assoggettato alle normali impugnative negoziali: cfr. Cass. 13 aprile 2001, n. 5527, in Giust. civ., 2002, I, c. 2909 ss.; Cass. 30 agosto 2002, n. 12714, in Corr. giur., 2003, p. 632; Cass. 20 luglio 2006, n. 16718, in Rep. Foro it., 2006, voce Arbitrato, n. 124; Cass. 10 novembre 2006, n. 24059, in Foro it., 2007, I, c. 2181 ss.; Cass. 30 maggio 2007, n. 12684, in Arch. giur. oo. pp., 2007, p. 296; Cass. 2 luglio 2007, n. 14972, in Arch. giur. oo. pp., 2007, p. 1093; Cass. 12 ottobre 2009, n. 21585, in Xxxx xxx., 0000, X, x. 000 xx.
xx xxxxxxx metalegislativa, sottratto, per volere delle parti, alle norme del codice di rito, ma identico per struttura e funzione al «gemello» rituale ed al quale la materia di lavoro si è trovata ad ancorare il pro- prio destino.
1.3. – La progressiva stratificazione delle fonti e la disciplina di alcuni nodi critici alla luce della l. 11 agosto 1973, n. 533 (monopolio sindacale, volontà compromissoria individuale, impugnazioni). – Non è quindi casuale che il primo intervento legislativo sull’istituto (art. 7 l. 15 luglio 1966, n. 604) (28) si sia diretto sulla species irrituale, mediante la previsione di un arbitra- to per la risoluzione delle controversie sui licenziamenti individuali, successivo al fallimento del tentativo facoltativo di conciliazione (29),
(28 ) Art. 7, l. 15 luglio 1966, n. 604: «Quando il prestatore di lavoro non possa avvalersi delle procedure previste dai contratti collettivi o dagli accordi sindacali, può promuovere, entro venti giorni dalla comunicazione del licenziamento ovvero dalla comunicazione dei motivi ove questa non sia contestuale a quella del licenziamento, il tentativo di conciliazione presso l’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occu- pazione.
Le parti possono farsi assistere dalle associazioni sindacali a cui sono iscritte o alle quali conferiscono mandato.
Il relativo verbale di conciliazione, in copia autenticata dal direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, acquista forza di titolo esecutivo con decreto del pretore.
Il termine di cui al primo comma dell’articolo precedente è sospeso dal giorno della richiesta all’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione fino alla data della comunicazione del deposito in cancelleria del decreto del pretore, di cui al comma precedente o, nel caso di fallimento, del tentativo di conciliazione, fino alla data del relativo verbale.
In caso di esito negativo nel tentativo di conciliazione di cui al primo comma le parti possono definire consensualmente la controversia mediante arbitrato irrituale».
Si tratta di una disposizione tuttora vigente e non incisa dall’ultima novella di cui alla l. 4 novembre 2010, n. 183, concernente una delle ipotesi di arbitrato irrituale c.d. da legge, che risulta assoggettata alla disciplina dell’art. 808 ter c.p.c. anche in rela- zione al trattamento processuale del relativo lodo.
(29 ) Sebbene si possa intuire che il legislatore avesse immaginato che l’accordo per il deferimento ad arbitri irrituali della controversia sul licenziamento avvenisse naturaliter a lite insorta, successivamente al fallimento del tentativo di conciliazione, si può tuttavia affermare che la lettera dell’art. 7, ult. cpv., l. n. 604/1966 – ove non si menziona specificamente la formazione di un accordo arbitrale post conciliazione, diversamente da quanto prevedeva l’art. 412 ter c.p.c. nel testo non modificato dalla l.
n. 183/2010 e da quanto stabilisce oggi il novellato art. 412 c.p.c. – non fosse (come non è) di per sé impeditiva della stipulazione di una clausola compromissoria indivi-
nella costanza del regime preclusivo per ogni forma rituale.
A tale ultimo riguardo, è interessante notare che il testo finale del- l’art. 7 della citata l. n. 604/1966, approvato dal Parlamento, si disco- sta in modo significativo dalle originarie previsioni del progetto legi- slativo ministeriale (30), il quale, in parte qua, si strutturava in un art. 7, concernente il tentativo facoltativo di conciliazione innanzi all’Ufficio del lavoro, con la possibilità, in caso di esito negativo, di addivenire dinanzi al medesimo Ufficio alla stipulazione (su proposta del Diret- tore dell’Ufficio alle parti) di un patto compromissorio rituale, e in un successivo art. 8 che derogava espressamente agli artt. 806 e 808, comma 2o, c.p.c.
La linea inizialmente intrapresa era dunque quella di incidere espressamente sul regime preclusivo per l’arbitrato rituale in materia di lavoro; tuttavia, come testimoniato dai lavori delle Commissioni riu- nite Giustizia e Lavoro della Camera dei Deputati in sede referen- te (31), il proposito non fu portato a compimento: dal testo del pro-
duale anche per controversie eventuali e future in materia di licenziamento; e d’altro canto la piena ammissibilità, al tempo, dell’arbitrato irrituale in materia di lavoro ren- deva sistematicamente compatibile che l’opzione arbitrale potesse esprimersi sia mediante un accordo da formarsi a controversia già nata sia con un patto compromis- sorio precedente l’insorgere della controversia. Tale conclusione appare confortata anche dai lavori preparatori della legge, in occasione dei quali si è assistito ad un mutamento di formulazione rispetto al progetto ministeriale (sul quale v. nel testo), tale per cui, si è voluto omettere il riferimento alla stipulazione del patto compromis- sorio innanzi all’Ufficio del lavoro, dopo il fallimento del tentativo di conciliazione e con l’assistenza dei terzi che hanno elargito il consilium o delle organizzazioni sinda- cali e si è preferito stabilire che in caso di esito negativo del tentativo di conciliazione, le parti possono definire consensualmente la controversia mediante arbitrato irrituale, laddove l’avverbio «consensualmente» sembra voler sottolineare non il tempo di for- mazione dell’accordo ma la necessaria origine volontaria e del vincolo compromisso- rio. In dottrina, per un’opinione favorevole alla possibilità che l’opzione per l’arbi- trato irrituale potesse essere manifestata anche nel contratto individuale di lavoro, x. Xxxx, L’arbitrato irrituale previsto dall’art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, cit., p. 345; per l’interpretazione secondo cui l’ultimo comma dell’art. 7 autorizzasse soltanto la stipulazione di un patto compromissorio a controversia insorta, qualificato come compromesso, cfr. invece Grandi, La risoluzione delle controversie in tema di licenzia- menti individuali, in Xxx. xxx. xxx., 0000, x. 000 xx., x. 000.
(30) Cfr. disegno di legge presentato dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale alla Camera dei Deputati il 15 giugno 1965, in Riv. dir. lav., 1965, III, p. 111 ss.
(31 ) Cfr. discussione innanzi alle Commissioni riunite Giustizia e Lavoro della Camera dei deputati in data 27 aprile 1966.
getto di legge risultò soppresso l’art. 8, mentre venne riformulato l’ul- timo comma dell’art. 7, il quale, nella versione definitivamente appro- vata, ha previsto (e tuttora prevede) che «in caso di esito negativo del tentativo di conciliazione di cui al primo comma le parti possono defi- nire consensualmente la controversia mediante arbitrato irrituale». In tal modo, il legislatore, rinunciando alla rimozione del divieto di arbi- trato rituale – cosa che avrebbe richiesto una presa di posizione di maggior coraggio ed un inquadramento storico-sistematico del pro- blema connotato da più largo respiro – scelse di recepire in formula legis l’esperienza postcorporativa, finendo per ripiegare sulla consa- crazione di quella linea intermedia, cara alla giurisprudenza (32), che ha portato a dividere il destino dell’arbitrato rituale da quello irrituale e ad attrarre nell’ordinamento statale un istituto già sperimentato nella prassi.
Anche il successivo intervento normativo rivela un’impronta «epi- sodica» e settoriale: senza preoccuparsi del coordinamento con gli artt. 806 e 808, comma 2o, c.p.c., il legislatore ha introdotto nell’art. 7, commi 6o e 7o, l. 20 maggio 1970, n. 300 (statuto dei lavoratori), norme per la risoluzione arbitrale delle controversie sulle sanzioni disciplinari (33). Si tratta, dunque, anche in questo caso, di una fatti- specie di arbitrato facoltativo, previsto dalla legge, ritagliato attorno ad una specifica materia (quella sull’applicazione di sanzioni discipli- nari al lavoratore), tuttora vigente (e non inciso dalla l. n. 183/2010) e
(32 ) Su cui v. supra, in questa parte V, sez. II, n. 1.2.
(33 ) Art. 7, commi 6o e 7o, l. 20 maggio 1970, n. 300: «Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di adire l’autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può pro- muovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell’associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramite l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato, com- posto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell’ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio. Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall’invito rivoltogli dall’ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l’autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione
del giudizio».
ad alla quale poteva attribuirsi, almeno fino alla riformulazione del- l’art. 806 c.p.c. conseguente al d.lgs. n. 40/2006 (34), natura irritua- le (35).
(34 ) Si deve infatti tener presente che, a fronte del mutato tenore dell’art. 806 c.p.c., come modificato dalla riforma dell’arbitrato c.d. di diritto comune di cui al d.lgs. n. 40/2006 – a mente del quale le controversie di lavoro sono oggi deferibili ad arbitri rituali, non solo quando detta facoltà sia riconosciuta dai contratti ed accordi collettivi, ma anche nei casi previsti dalla legge – tale species arbitrale risulta configu- rabile anche in relazione a talune delle pregresse fattispecie di arbitrato previste in sin- gole norme di legge (come per l’appunto l’art. 7, commi 6o e 7o, l. 20 maggio 1970, n. 300), ove le stesse non siano qualificabili, per espressa indicazione legislativa ovvero ermeneuticamente, come irrituali (come è invece per l’art. 7 l. 15 luglio 1966, n. 604 e per l’art. 5 l. 11 maggio 1990, n. 108). Ne consegue, quindi, che oggi l’arbitrato ex art. 7 statuto dei lavoratori può assumere tanto natura irrituale quanto natura rituale e che, in considerazione della necessità palesata dall’art. 808 ter c.p.c. che l’opzione in favore della irritualità sia formulata dalle parti in modo espresso e per iscritto, ove esse nulla prevedano al riguardo, nel dubbio, si dovrà concludere in favore della spe- cies rituale, con applicazione integrale delle norme del titolo VIII del libro IV del codice di rito (per quanto non espressamente previsto dai commi 6o e 7o del citato art. 7, in relazione, ad esempio, alle modalità di attivazione della procedura arbitrale, di composizione del collegio, nonché alla sospensione dell’applicazione della sanzione disciplinare). Laddove, invece, le parti attribuiscano espressamente natura irrituale all’arbitrato, ne conseguirà l’assoggettamento alla disciplina di cui all’art. 808 ter c.p.c., anche in relazione al trattamento processuale del lodo (non essendo la l. n. 183/ 2010 intervenuta a disciplinarlo).
(35 ) L’attribuzione di tale natura all’arbitrato sulle sanzioni disciplinari, in favore della quale si è tradizionalmente espressa la giurisprudenza (Cass. 16 marzo 2004, n. 5359, in Rep. Foro it., 2004, voce Lavoro (rapporto), n. 1166; Cass. 4 aprile 2002, n.
4841, in Giust. civ., 2002, I, p. 1212; Cass. 3 agosto 2000, n. 10213, in Rep. Foro it.,
2000, voce Lavoro (rapporto), n. 1750; Cass. 13 gennaio 1995, n. 339, in Riv. it. dir. lav., 1995, II, p. 928 ss., con nota di Carinci; Cass. 18 febbraio 1992, n. 1978, in Giust. civ., 1992, I, p. 3077 ss., con nota di Xxxxxxxxx, L’efficacia ad libitum del patto compromissorio nel diritto del lavoro; Cass. 23 gennaio 1988, n. 542, in Rep. Foro it., 1988, voce Arbitrato, n. 104; Cass. 9 settembre 1988, n. 5118, in Rep. Foro it., 1989, voce Lavoro (rapporto), n. 966; Pret. Torino 5 dicembre 1989, in Riv. it. dir. lav. 1990, II, p. 527; Pret. Milano 21 maggio 1986, in Lavoro 80, 1986, p. 1153; Pret. Ascoli Xxxxxx 27 dicembre 1985, in Giur. it., 1987, I, 2, c. 260 ss.; Trib. Monza 1o ottobre 1984, in Riv. it. dir. lav., 1985, II, p. 86 ss., con nota di Xxxxxxxxx, Criterio di diffe- renziazione tra arbitrato rituale e irrituale nel diritto del lavoro e impugnabilità del lodo libero alla luce dell’art. 7, comma 6 St. lav., in cui il suddetto carattere viene argomen- tato dalla previsione ex art. 5 l. n. 533/1973; Trib. Milano 18 giugno 1983, in Lavoro 80, 1983, p. 1009; Pret. Milano 16 agosto 1983, in Lavoro 80, p. 1003; Trib. Milano 13 luglio 1976, in Mass. giur. lav., 1977, p. 94 ss., in cui al dato testuale dell’art. 5 si aggiunge anche il rinvio alle «analoghe procedure» della contrattazione collettiva), sembra possa essere ragionevolmente sostenuta alla luce del cammino storico e legisla-
Caratterizzata da maggiore organicità ed ispirata all’esigenza di fornire sistemazione all’istituto arbitrale è stata, invece, la riforma di cui alla l. 11 agosto 1973, n. 533, non solo perché essa è valsa a rimuovere, almeno parzialmente, l’ostracismo nei confronti dell’arbi- trato rituale, quanto piuttosto perché ha inciso su taluni profili cru- ciali per il funzionamento dell’istituto – quali, in particolare, i presup- posti per l’arbitrabilità delle controversie, le condizioni per la manife- stazione della volontà compromissoria, la necessaria osservanza della normativa inderogabile e la censurabilità del lodo in caso di sua viola- zione, la negazione del giudizio secondo equità– offrendo al riguardo soluzioni pressoché simmetriche per entrambe le species arbitrali (36), tuttavia non pienamente idonee al raggiungimento degli scopi voluti dal legislatore del tempo (37) e nelle successive stagioni ritenute «col-
tivo che ha interessato l’arbitrato in materia di lavoro. L’introduzione della fattispecie di cui al citato art. 7 si confrontava, infatti, con l’immutato divieto di compromettibi- lità per le controversie di lavoro sancita dal codice di rito, divieto che, nel sistema anteriore al 1973, operava illimitatamente e «a tutto tondo» con riferimento all’arbi- trato rituale sia di fonte individuale che di fonte collettiva. Dinanzi alla perdurante preclusione per l’arbitrato rituale non sembra che, in un sistema legato alla eredità del regime preclusivo ex artt. 806 e 808, comma 2o, c.p.c., la mera previsione del sesto comma dell’art. 7 statuto dei lavoratori fosse idonea a produrre l’abrogazione, in parte qua, per incompatibilità, dell’incompromettibilità delle controversie ad opera delle parti individuali. Né la conclusione sulla natura dell’istituto previsto dalla norma in esame è mutata con la successiva l. 11 agosto 1973, n. 533, che ha ridisegnato i confini dell’arbitrato in materia di lavoro, in quanto, con riferimento all’arbitrato rituale, essa ha inciso in senso abrogativo solo sulla nullità della clausola compromissoria di fonte collettiva (art. 808, comma 2o, c.p.c.), lasciando tuttavia intatta la previsione dell’art. 806 c.p.c.; mentre in relazione alla species irrituale ha stabilito che la deferibilità ad arbitri delle controversie possa avvenire nei casi previsti dalla legge oltre che sulla base delle previsioni contenute nei contratti collettivi. Per tali argomentazioni, soprat- tutto alla luce della riforma del 1973, cfr. in dottrina Bortone, in Aa.Vv., Lo Statuto dei lavoratori, diretto da Xxxxxx, Milano, 1979, sub art. 7, p. 79; Xxxxxxxxx, Il pro- blema dell’arbitrato e la disciplina in materia di lavoro, Padova, 1990, p. 15; Xxxxxxxxx-Vaccarella, Manuale di diritto processuale del lavoro3, cit., p. 76; Tar- zia, Manuale del processo del lavoro4, Milano, 1999, p. 57.
(36 ) In proposito, si può peraltro osservare che se, in relazione alla species rituale, la riforma del 1973 ha consentito una relativa arbitrabilità delle controversie di lavoro, introducendo nell’art. 808 c.p.c. il requisito della c.d. copertura sindacale (ma lasciando immutata la lettera dell’art. 806 c.p.c.), con riferimento all’arbitrato irrituale ha prodotto una compressione dell’ambito entro il quale esso veniva ammesso (v. infra, in questo paragrafo; nonché supra, parte III, sez. IV, nn. 1.2 e 1.3).
(37 ) Ci si riferisce in particolare all’esaltazione della c.d. copertura sindacale quale
pevoli» di aver provocato una mortificazione dell’istituto (38).
Ne è risultata una disciplina sostanzialmente restrittiva, che ha riflettuto non tanto lo sfavore in sé per l’arbitrato, quanto piuttosto la preoccupazione che il lavoratore, quale parte debole del rapporto, fosse sufficientemente garantito e protetto nel momento della scelta per la soluzione arbitrale della controversia nonché in relazione ai parametri del giudizio degli arbitri.
Si giustificano in quest’ottica l’introduzione, rispetto all’arbitrato irrituale (che fino a quel momento non aveva incontrato limitazioni nell’ordinamento statale), delle previsioni di cui all’art. 5, comma 1o, l.
n. 533/1973 (conservato dalla l. n. 183/2010), avente la generale fun- zione di circoscrivere l’ambito di ammissibilità dell’istituto «soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero dai contratti e accordi collettivi», ferma restando in questa ipotesi la facoltà delle parti di adire l’autorità giudiziaria, e di cui ai successivi commi 2o e 3o del medesimo art. 5 (successivamente abrogati dal d.lgs. 30 marzo 1998, n. 80), che con- sentivano l’impugnabilità dei lodi irrituali per inosservanza delle norme inderogabili di legge e dei contratti collettivi; nonché, in rela- zione alla species rituale, la riscrittura dell’art. 808 c.p.c. (in prosieguo modificato dalla l. 25 gennaio 1994, n. 25, il cui testo è stato poi cadu- cato dal d.lgs. n. 40/2006) (39) con cui, da un lato, si fissava, quale
presupposto per l’arbitrabilità della controversia, che lasciava tuttavia irrisolto il pro- blema della eventuale stipulazione di clausole compromissorie individuali anterior- mente all’insorgere della controversia ed addirittura contestualmente alla conclusione del contratto individuale di lavoro.
(38 ) In tal senso, di «massacro» dell’arbitrato, in particolare irrituale, in materia di lavoro ha parlato Vallebona, L’arbitrato irrituale per le controversie di lavoro, in Mass. giur. lav., 2010, p. 362; e Xxxxxxxxxx, Conclusioni, ivi, p. 388, il quale ravvisa nell’art. 5 l. n. 533/1973 «l’assassino» dell’istituto.
(39 ) Si riporta il testo dell’art. 808 c.p.c. come modificato dall’art. 4 l. n. 533/ 1973: «Le controversie di cui all’art. 409 possono essere decise da arbitri solo se ciò sia previsto nei contratti e accordi collettivi di lavoro, purché ciò avvenga, a pena di nullità, senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l’autorità giudiziaria. La clausola compromissoria è altresì nulla ove autorizzi gli arbitri a pronunciare secondo equità ovvero dichiari il lodo non impugnabile. La sentenza arbitrale è soggetta all’im- pugnazione per le nullità previste dall’art. 829 ed anche per violazione e falsa applica- zione dei contratti e accordi collettivi»; a tale prima novella seguì quella prodotta dalla l. 5 gennaio 1994, n. 25 che ulteriormente modificò in parte qua la formulazione dell’art. 808, nel modo che segue, con l’espresso riferimento alla clausola compromis-
condizione per la compromettibilità delle controversie, l’esistenza di una previsione in tal senso contenuta nei contratti collettivi di lavoro – che tuttavia non pregiudicasse la facoltà di adire l’autorità giudiziaria
– e si comminava con la sanzione della nullità la clausola che avesse autorizzato gli arbitri a pronunciare secondo equità ovvero dichiarato il lodo non impugnabile; e, dall’altro, si stabiliva la censurabilità del dictum rituale per inosservanza delle norme (anche derogabili) di legge e del contratto collettivo.
Con particolare riferimento ai presupposti per la compromettibi- lità delle controversie (costituenti un nodo particolarmente delicato della disciplina dell’istituto), l’orientamento del legislatore del 1973 è stato quello di evitare che l’arbitrato potesse fondarsi esclusivamente su un accordo individuale (40), a tal fine richiedendo, alternativa- mente, la c.d. «copertura sindacale» (imposta per entrambe le species, rituale ed irrituale) – in base al convincimento che il preventivo filtro delle organizzazioni sindacali fosse idoneo a scongiurare il rischio che l’opzione per l’arbitrato, anziché essere il frutto di una consapevole ed autonoma scelta, potesse essere subita dal lavoratore o a questi impo- sta (41) – ovvero l’esistenza di una previsione di legge che, in relazione
xxxxx collettiva ed individuale: «Le controversie di cui all’art. 409 possono essere decise da arbitri solo se ciò sia previsto nei contratti e accordi collettivi di lavoro pur- ché ciò avvenga, a pena di nullità, senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l’autorità giudiziaria. La clausola compromissoria contenuta in contratti o accordi col- lettivi o in contratti individuali di lavoro è nulla ove autorizzi gli arbitri a pronunciare secondo equità ovvero dichiari il lodo non impugnabile». Infine, il d.lgs. n. 40/2006 ha sostituito il secondo comma dell’art. 808 c.p.c., che oggi non contiene più alcun riferimento all’arbitrato in materia di lavoro, e ha contestualmente novellato l’art. 806, il cui capoverso, in aggiunta al generale requisito della disponibilità dei diritti imposto ai fini della compromettibilità delle controversie, prevede specificamente che «le con- troversie di cui all’articolo 409 possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro».
(40 ) Così Xxxxxxx, in Aa.Vv., Codice di procedura civile commentato4, diretto da Xxxxxxx, III, cit., sub art. 806, p. 1534 ss.; Id., Il patto compromissorio, in Riv. arb., 2005, p. 714, il quale osserva che il legislatore ha voluto impedire la scelta di un arbi- trato individuale non previamente autorizzato né predisposto dalla legge o dalla con- trattazione collettiva. Sul punto, v. anche supra, parte III, sez. IV, n. 1.3.
(41 ) Cfr. Xxxxxxx, L’arbitrato rituale nelle controversie individuali di lavoro, in Riv. arb., 2003, p. 612 ss., spec. p. 621. Detta impostazione pare invece attenuata nelle disposizioni della l. n. 183/2010, le quali, pur lasciando intatta la possibilità di arbi- trati fondati su previsione sindacale (come si desume dagli artt. 5, l. n. 533/1973, dal-
a determinate materie, facoltizzasse le parti alla risoluzione arbitrale della lite (requisito, quest’ultimo, originariamente previsto dal solo art. 5, comma 1o, l. n. 533/1973 ed aggiunto, soltanto di recente, nel novellato art. 806 c.p.c. anche in relazione all’arbitrato rituale) (42).
Da questo punto di vista, il tenore dell’art. 5, comma 1o, l. n. 533/ 1973 ha condotto gli interpreti a ravvisare due possibili modelli di arbitrato irrituale o libero: l’arbitrato di fonte sindacale, previsto ed eventualmente regolato – con contenuti più o meno articolati – dai contratti ed accordi collettivi e l’arbitrato c.d. «da legge», ossia men- zionato da singole disposizioni legislative, in relazione a determinate tipologie di controversie (quali quelle in materia di licenziamenti indi- viduali e di sanzioni disciplinari), le quali, pur senza dettare una disci- plina esaustiva, si sono occupate di specifici aspetti (43); a tale «duali-
l’art. 806 c.p.c. – in quanto novellato in conseguenza del d.lgs. n. 40/2006 – e dal nuovo testo dell’art. 412 ter c.p.c.), valorizzano la stipulazione di clausole arbitrali direttamente fra le parti individuali del rapporto di lavoro.
(42 ) Il mancato rispetto di tali requisiti, incidendo sulla compromettibilità della con- troversia, più che sulla validità della convenzione di arbitrato, conduce alla nullità radi- cale del lodo, suscettibile di essere fatta valere (al pari delle altre ipotesi di non arbitra- bilità della controversia), in ogni tempo. Tale regime può essere predicato anche alla luce del d.lgs. n. 40/2006: si può, infatti, osservare che, per l’arbitrato rituale, il vizio in parola non deve necessariamente farsi valere con l’impugnativa di cui all’art. 829, comma 1o, n. 1, c.p.c. néè sottoposto alla condizione dell’avvenuta tempestiva formulazione di un’ap- posita eccezione innanzi agli arbitri, dal momento che l’art. 817 c.p.c. esclude espressa- mente da tale disciplina il caso di controversia non arbitrabile; e che, in relazione all’ar- bitrato irrituale, l’azione di annullabilità di cui all’art. 808 ter, comma 2o, c.p.c. non assorbe tutti i possibili vizi del lodo, dovendo considerarsi salve le ipotesi di nullità ricavabili ex systema come quella derivante dall’incompromettibilità della controversia. In proposito, cfr., nel senso qui delineato, Xxxxxxx, in Aa.Vv., Codice di procedura civile commentato4, diretto da Xxxxxxx, III, cit., sub art. 806, p. 1535 s.; diversamente, per la riconducibilità dell’assenza di autorizzazione collettiva (in caso di arbitrato rituale) alla disciplina della nullità del patto compromissorio individuale ai sensi degli artt. 817 e 829, comma 1o, n. 1, c.p.c., Xxxx, Arbitrato nelle controversie di lavoro, in Riv. arb., 2005, p. 879 ss., spec.
p. 882; Zucconi Xxxxx Xxxxxxx, L’arbitrato nelle controversie di lavoro: bilancio e pro- spettive di riforma, in Riv. arb., 2008, p. 459 ss., spec. p. 465.
(43 ) Il riferimento è, come si è già visto, all’art. 7 l. n. 604/1966 e all’art. 7 l. n. 300/1970, alle quali si è aggiunta l’ulteriore fattispecie di cui all’art. 5, comma 6o, l. 11 maggio 1990, n. 108 relativa alle controversie sui licenziamenti individuali nelle pic- xxxx aziende che – per la specifica previsione relativa al conseguimento dell’efficacia esecutiva del lodo, con tecnica divergente dall’art. 825 c.p.c. – può qualificarsi come irrituale («Ove il tentativo di conciliazione fallisca, ciascuna delle parti entro il ter- mine di venti giorni può promuovere, anche attraverso l’associazione sindacale a cui è
smo» della fonte, peraltro, diversamente dal successivo cammino del- l’istituto (44), corrispondeva, nel sistema delineato dalla riforma del 1973, un regime unitario per i relativi lodi (regime risultante dai commi 2o e 3o dell’art. 5).
Al fine di assicurare il fondamento volontario dell’arbitrato, inol- tre, l’art. 5, comma 1o, l. n. 533/1973 (non inciso, come si è detto, dalla novella del 2010) – al pari dell’art. 808, comma 2o, c.p.c. nel testo anteriore alla riforma del 2006 (45) – ha riconosciuto espressa- mente, nella coda, la facoltà, per il singolo lavoratore o datore di lavoro, di preferire, a fronte della previsione contenuta nel contratto collettivo di lavoro, la soluzione giurisdizionale della controversia, così impedendo che la prima possa di per sé comportare, per le parti indi- viduali, un vincolo irretrattabile e assolutamente impegnativo all’arbi- trato (46).
iscritta o conferisca mandato, il deferimento della controversia al collegio di arbitrato previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicabile o, in mancanza, ad un collegio composto da un rappresentante scelto da ciascuna parte e da un presidente scelto di comune accordo o, in difetto, dal direttore dell’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione. Il collegio si pronuncia entro trenta giorni e la sua deci- sione acquista efficacia di titolo esecutivo osservate le disposizioni dell’articolo 411 del codice di procedura civile»).
(44 ) V. infra, in questa parte V, sez. II, n. 1.4 ss.
(45 ) Con riferimento all’arbitrato rituale, tale clausola di salvaguardia era prevista nell’art. 808, comma 2o, c.p.c. (come modificato dalla l. n. 533/1973) fino alla sua riscrittura operata dal d.lgs. n. 40/2006, in conseguenza del quale, peraltro, nella norma (ossia l’art. 806 c.p.c.) che oggi si occupa della compromettibilità delle contro- versie di lavoro, la facoltà di adire l’autorità giudiziaria non risulta più espressamente riprodotta. Nonostante tale modifica testuale, una parte della dottrina ha tuttavia pre- cisato che il rilievo riconosciuto alla volontà individuale costituisce principio imma- nente nel sistema: Xxxxxxx, in Aa.Vv., Codice di procedura civile commentato4, diretto da Xxxxxxx, III, cit., sub art. 806, p. 1538; Bove, Arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., p. 883, nota 5.
(46 ) La ratio della previsione in parola è stata individuata dalla dottrina maggiori- taria nell’esigenza di scongiurare, in ogni caso, il rischio di assoggettamento a forme di arbitrato obbligatorio, senza che rilevi l’eventualità che le parti individuali siano affi- liate alle organizzazioni sindacali: in tal senso si sono espressi, Xxxxxxx, voce Arbi- trato e conciliazione in materia di lavoro2, in Enc. giur., Xxxx, 0000, II, p. 3; Xxxxxx- Veneziani, voce Arbitrato nel diritto del lavoro, in Dig., disc. priv., sez. comm., Torino, 1987, I, p. 218, i quali richiamano espressamente gli artt. 24 e 102, comma 1o, Cost., che risulterebbero violati ove si consentisse ai sindacati di disporre del diritto di agire in giudizio, spettante alle singole parti del rapporto di lavoro; Xxxxxxxxx-
A tal riguardo, anche per l’attenzione suscitata in dottrina, si può osservare che la citata disposizione, con la sua formulazione «neutra»
– la quale, limitandosi a far salva, rispetto alla previsione collettiva, la diversa volontà del singolo di adire il giudice dello Stato, non specifica la relazione corrente fra la copertura sindacale e l’opzione individuale né la tecnica (e la tempistica) con la quale la seconda possa manife- starsi – consente di ritenere che la pattuizione del contratto collettivo possa non solo essere meramente autorizzatoria di convenzioni arbi- trali individuali (47), ma possa altresì atteggiarsi a clausola compromis-
Vaccarella, Manuale di diritto processuale del lavoro3, cit., p. 71; Xxxxxxx, L’arbi- trato nelle controversie individuali di lavoro, in Aa.Vv., Il processo del lavoro, a cura di Xxxxxxxx, Torino, 2005, p. 133 s.; in proposito, tuttavia, non si è mancato di osservare (Xxxxxxxxx, L’arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., p. 297 ss.) che, in un sistema nel quale l’assoggettamento ai contenuti della contrattazione collettiva avviene in base ad un’adesione volontaria alle organizzazioni sindacali e secondo la logica della «rap- presentanza», il problema di assicurare il rispetto del principio costituzionale del diritto di agire innanzi al giudice dello Stato si pone a rigore soltanto per le parti c.d.
«non affiliate» alle predette organizzazioni.
(47 ) Esempi di tal genere si rinvengono in alcuni contratti collettivi: art. 6 CCNL 16 dicembre 2010 per i dipendenti delle industrie del settore tessile: «Riuscito vano il tentativo di componimento in sede sindacale, la parte ricorrente potrà proporre all’al- tra un giudizio di conciliazione e arbitrato. A tale scopo, la parte interessata richiederà
– tramite la propria Organizzazione territoriale – l’apertura della procedura in parola; entro 5 giorni dalla ricezione della richiesta, l’organizzazione della controparte comu- nicherà l’assenso di quest’ultima. Le due Organizzazioni costituiranno – entro i 10 giorni successivi a detta risposta – un collegio (...)»; art. 2 CCNL 15 luglio 2010 per i lavoratori dipendenti dalle aziende che producono giocattoli: «Riuscito vano il tenta- tivo di componimento in sede sindacale, la parte ricorrente potrà proporre all’altra un giudizio di conciliazione e arbitrato. A tale scopo, entro 15 giorni dall’esito negativo del predetto tentativo di componimento, la parte interessata richiederà – tramite la propria Organizzazione territoriale – l’apertura della procedura in parola; entro 5 giorni dalla ricezione della richiesta, l’organizzazione della controparte comunicherà l’assenso di quest’ultima. Le due Organizzazioni costituiranno – entro i 10 giorni suc- cessivi a detta risposta – un collegio (...)»; art. 3 CCNL 17 dicembre 2007 per i lavora- tori dipendenti dalle industrie di lavanderia: «Riuscito vano il tentativo di compi- mento in sede sindacale, la parte ricorrente potrà proporre all’altra un giudizio di con- ciliazione e arbitrato. A tale scopo, entro 15 giorni dall’esito negativo del predetto tentativo di componimento, la parte interessata richiederà– tramite la propria Orga- nizzazione territoriale – l’apertura del procedimento in parola; entro 5 giorni dalla ricezione della richiesta, l’Organizzazione rappresentante la controparte comunicherà l’assenso di quest’ultima. Le due Organizzazioni costituiranno – entro i 10 giorni suc- cessivi a detta risposta – un Collegio sino ad un massimo di 5 membri, composto rispettivamente da1o2 membri designati dalla Organizzazione territoriale dei lavora-
xxxxx (di fonte sindacale), suscettibile di essere direttamente operativa per le parti affiliate (essendo consentito a ciascuna di esse di investire un Collegio costituito in sede sindacale ovvero di provocarne la for- mazione) e rispetto alla quale ciascuna di esse possa tuttavia unilate- ralmente recedere o formulare una declinatoria della competenza arbi- trale (clausole c.d. bilateralmente facoltative) (48).
xxxx xxxxxxxxxxx, da 1 o 2 membri designati dalla Organizzazione dei datori di lavoro, da un membro presidente scelto di comune accordo anche su lista precostituita. In caso di disaccordo su tale scelta, dovrà essere richiesta la designazione al competente Ufficio del Lavoro. Il Collegio di conciliazione e arbitrato dovrà emettere il proprio giudizio entro 30 giorni dalla data della sua costituzione». In alcuni casi, peraltro, si richiede che le parti, innanzi al Collegio, confermino la propria irrevocabile esplicita adesione alla procedura arbitrale: cfr. art. 30 CCNL 27 maggio 2004 per i dirigenti delle aziende del terziario e della distribuzione dei servizi; art. 31 CCNL 24 giugno 2004 per i dirigenti di aziende alberghiere. Si tratta per lo più di casi in cui il patto compromissorio non viene formato con unità di contesto, ma in momenti successivi, ossia con formazione progressiva (così Zucconi Xxxxx Xxxxxxx, L’arbitrato nelle controversie di lavoro: bilancio e prospettive di riforma, cit., p. 466); inoltre, la forma in cui si concreta la manifestazione della volontà compromissoria – che talora risulta dalla richiesta, rivolta all’organizzazione sindacale di appartenenza, di promuovere l’apertura del procedimento arbitrale e dall’adesione dell’altra parte – sembra meglio ricalcare quella ad probationem tantum ex art. 808 c.p.c. (prevista per la convenzione di arbitrato relativa a controversie contrattuali) piuttosto che quella ad substantiam prescritta per il classico compromesso. Del resto, l’adeguatezza di tale requisito for- male sembra in linea con quella più ampia nozione di clausola compromissoria, il cui elemento qualificante viene individuato nella relatio al contratto (invece che nel pro- filo temporale di insorgenza delle controversie) e che – ad avviso della dottrina: Ruf- fini, La nozione di clausola compromissoria, in Riv. arb., 2004, p. 417 ss.; Id., in Aa.Vv., Codice di procedura civile commentato4, diretto da Xxxxxxx, III, cit., sub art. 808, p. 1589; Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche2, Torino, 2010, III, p. 171 – è suscettibile di estendersi ad ogni convenzione di arbitrato avente ad oggetto controversie, attuali e/o potenziali (e dunque non solo eventuali e future, come rite- nuto nell’opinione tradizionale e maggioritaria, bensì anche già in essere) in quanto derivanti da un rapporto di origine contrattuale. Resta peraltro fermo, ai sensi dell’art. 808 ter, comma 1o, c.p.c., che la specifica attribuzione della natura irrituale all’arbi- trato prescelto dalle parti individuali (in difetto di corrispondente previsione a livello sindacale) debba essere effettuata in modo espresso e per iscritto e che, in mancanza di ciò, si dovrà concludere per la species rituale.
(48 ) In tal senso, cfr. Xxxxxx, Manuale del processo del lavoro4, cit., p. 51; Ruf- fini, in Aa.Vv., Codice di procedura civile commentato4, diretto da Xxxxxxx, III, cit., sub art. 806, p. 1537, il quale in proposito osserva che l’alleggerimento del requisito formale per la clausola compromissoria (essendo sufficiente la forma ad probationem) e la previsione, parimenti contenuta nell’art. 808 c.p.c., a mente della quale il potere di stipulare il contratto comprende anche quello di stipulare la clausola compromisso-
Si può peraltro rilevare che la novella del 1973, pur preoccupan- dosi di riconoscere la rilevanza alla volontà di ciascuna parte del rap- porto di lavoro, non si è occupata di disciplinarne espressamente un
ria, consentono di ritenere superati quegli ostacoli, rispetto alla possibilità di configu- rare clausole collettive bilateralmente facoltative, che prima si rinvenivano nella disci- plina positiva, ossia la necessità di un espresso conferimento per iscritto (ai sensi del- l’art. 1392 c.c.) dalle parti individuali, in favore del sindacato, del mandato a conve- nire un patto compromissorio, che doveva avere forma scritta a pena di nullità. Per la diversa opinione che postula la necessità di una convenzione di arbitrato individuale, cfr. Xxxxxxxx, Diritto processuale del lavoro, Milano, 1975, p. 215 ss.; Xxxxxx, voce Arbitrato in materia di lavoro, in Noviss. dig. it., Xxxxxxxxx, I, Torino, 1980, p. 374, secondo il quale le clausole collettive anziché essere compromissorie in senso proprio sono tali da facoltizzare «le parti stesse a stipulare compromessi esecutivi individuali»; Xxxxxxx, voce Arbitrato e conciliazione in materia di lavoro, cit., p. 4, il quale parla di
«compromesso attuativo della clausola compromissoria intersindacale»; Xxxxxxxxx- Vaccarella, Diritto processuale del lavoro3, cit., p. 72, secondo cui l’astratta previ- sione della clausola compromissoria collettiva deve concretarsi con la stipulazione del compromesso ovvero attraverso un comportamento concludente, anche nell’ipotesi in cui si tratti di arbitrato rituale: in questo senso, la parte che rifiuta l’arbitrato non deve attivarsi positivamente, essendo a tal fine sufficiente anche un contegno incompati- bile, come la mancata nomina dell’arbitro di parte, senza possibilità di supplenza giu- diziale ex art. 810 c.p.c.; e più di recente, Xxxxxxx, L’arbitrato nelle controversie indi- viduali di lavoro, cit., p. 132 ss., spec. p. 144, che ritiene sempre necessario il perfezio- namento di una clausola compromissoria individuale, anche per facta concludentia ove si tratti di arbitrato irrituale; Xxxxxxxx, Arbitrato per le controversie di lavoro, in Aa.Vv., Arbitrati speciali, diretto da Carpi, Bologna, 2008, p. 10 s.; analogamente, Zucconi Xxxxx Xxxxxxx, L’arbitrato nelle controversie di lavoro: bilancio e prospet- tive di riforma, cit., p. 466 s.; mentre in termini problematici (notando come il d.lgs. n. 40/2006 abbia lasciato irrisolta la questione) si esprime Bove, Arbitrato nelle contro- versie di lavoro, cit., p. 882 s. Invero, nella contrattazione collettiva (soprattutto rife- xxxx alla dirigenza) si rinvengono esemplificazioni di arbitrati predisposti da clausole compromissorie suscettibili di essere immediatamente efficaci (ivi prevedendosi la possibilità che la parte interessata investa un collegio di conciliazione e arbitrato, chia- mato a giudicare anche in «contumacia» dell’altra parte), ma dalle quali è ammesso il recesso unilaterale. Cfr. art. 19 CCNL per i dirigenti di aziende industriali del 24 novembre 2004: «1. È istituito, a cura delle Organizzazioni territoriali competenti, aderenti alle parti stipulanti il presente contratto, un Collegio arbitrale cui è deman- dato il compito di pronunciarsi sui ricorsi che gli siano sottoposti ai sensi dell’art. 22.
2. Il Collegio, che sarà in carica per la durata del presente contratto, rinnovabile, è composto di tre membri di cui uno designato da ciascuna delle Organizzazioni imprenditoriali stipulanti, territorialmente competente, uno dalla Organizzazione della Federazione nazionale dirigenti industriali, territorialmente competente, ed uno, con funzioni di Presidente, scelto di comune accordo dalle rispettive Organizzazioni. In caso di mancato accordo sulla designazione del terzo membro, quest’ultimo sarà sorteggiato tra i nominativi compresi in apposita lista di nomi non superiori a sei, pre-
aspetto particolarmente delicato, ossia il profilo temporale della for- mazione e manifestazione della volontà compromissoria individuale (o dell’adesione rispetto alla clausola collettiva) in relazione all’insorgere della controversia. A ben vedere, sia il dettato dell’art. 5 l. n. 533/ 1973, sia il tenore dell’art. 808, comma 2o, c.p.c. (ed oggi dell’art. 806
ventivamente concordata, o, in mancanza di ciò, sarà designato – su richiesta di una o di entrambe le Organizzazioni predette – dal Presidente del competente Tribunale.
3. Alla designazione del supplente del Presidente si procederà con gli stessi criteri sopra citati per la scelta di quest’ultimo.
4. Ognuno dei rappresentanti delle rispettive Organizzazioni può essere sostituito di volta in volta.
5. Salvo diverso accordo tra le Organizzazioni delle due parti territorialmente competenti, il Collegio ha sede presso la Direzione provinciale del lavoro.
6. Le funzioni di segreteria saranno svolte, previo diretto accordo, a cura di una delle Organizzazioni territoriali competenti.
7. Il Collegio arbitrale sarà investito della vertenza su istanza, a mezzo di racco- mandata a.r., dell’Organizzazione territoriale competente della Fndai, che trasmetterà al Collegio il ricorso, sottoscritto dal dirigente, entro 30 giorni successivi al ricevi- mento del ricorso stesso ai sensi del comma 4 dell’art. 22.
8. Copia dell’istanza e del ricorso debbono, sempre a mezzo raccomandata a.r., essere trasmessi contemporaneamente, a cura dell’Organizzazione di cui al precedente comma, alla corrispondente Organizzazione territoriale imprenditoriale e, per cono- scenza, all’azienda interessata.
9. La competenza territoriale, fatto salvo eventuale diverso accordo, è stabilita con riferimento all’ultima sede di lavoro del dirigente. Se vi siano più sedi di lavoro tra loro concorrenti la determinazione della competenza territoriale, tra le indicate sedi, è rimessa alla scelta del dirigente.
10. Il Collegio deve riunirsi entro 30 giorni dall’avvenuto ricevimento dell’istanza di cui sopra da parte dell’Organizzazione imprenditoriale.
11. Il Collegio, presenti le parti in causa o, eventualmente, loro rappresentanti, esperirà, in via preliminare, il tentativo di conciliazione.
12. Ove non si raggiunga la conciliazione, il Collegio, anche in assenza di motiva- zione o in contumacia di una delle parti, emetterà il proprio lodo entro 60 giorni dalla data di riunione di cui al comma 10, salva la facoltà del Presidente di disporre di una proroga fino ad un massimo di ulteriori 30 giorni in relazione a necessità inerenti allo svolgimento della procedura.
13. L’eventuale istruttoria dovrà essere improntata al principio del rispetto del contraddittorio, verificando che le parti si scambino le rispettive difese e produzioni documentali; sarà tenuta una sintetica verbalizzazione delle riunioni arbitrali, con indicazione dei presenti e delle attività svolte; le dichiarazioni dei testi saranno rias- sunte sommariamente, salvo diversa decisione del Collegio»; v. altresì art. 18 CCNL 14 aprile 2004 per i dirigenti e i direttori delle organizzazioni degli allevatori, consorzi ed enti zootecnici; art. 32 CCNL 25 febbraio 2009 per i dirigenti dell’agricoltura; artt. 35-37 CCNL 15 ottobre 2007 per i dirigenti delle imprese assicuratrici.
c.p.c., come riformulato dal d.lgs. n. 40/2006), nonché il concreto contenuto di alcune previsioni sindacali erano, e sono, altresì astratta- mente compatibili con l’eventualità che l’opzione individuale in favore dell’arbitrato, con la correlativa rinuncia alla giurisdizione statale, venisse manifestata non solo a lite insorta (quando la scelta dello stru- mento di risoluzione della controversia può essere vagliata alla luce dei contenuti di quest’ultima), ma anche mediante clausole compro- missorie, relative a controversie eventuali e future, inserite nel con- tratto individuale di lavoro (49) e dunque convenute fra le parti in un momento in cui lo squilibrio fra le stesse può essere particolarmente significativo (50).
(49 ) Tale ipotesi appare compatibile soprattutto con quelle pattuizioni sindacali che, lungi dal prevedere la formazione di un consenso tra le singole parti del rapporto di lavoro allorché la controversia sia già insorta, concretano clausole compromissorie bilateralmente facoltative che disciplinano arbitrati preorganizzati a livello sindacale (senza necessità di un’apposita convenzione post litem e che possono svolgersi anche nel silenzio o nell’inerzia di una delle parti – a meno che questa non formuli espressa declinatoria): in tali casi (che peraltro, si deve dire, ricorrono soprattutto con riferi- mento alla contrattazione collettiva dei dirigenti) la clausola di fonte collettiva non impedisce che le parti si determino ad aderire ad essa, a livello individuale, anche in relazione a controversie nondum natae, mediante una pattuizione eventualmente inse- xxxx nel contratto di lavoro, con ciò precludendosi, ora per allora, la facoltà di decli- nare la competenza arbitrale quando venga promosso il procedimento arbitrale.
(50 ) La possibilità di stipulare clausole compromissorie individuali, anche per controversie eventuali e future, si ricavava, del resto, anche dal dato testuale offerto dall’art. 808, comma 2o, c.p.c. (come riformulato in conseguenza della l. n. 25/1994 fino alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 40/2006) che faceva espresso riferimento alla clausola contenuta nel contratto individuale di lavoro; anzi, una parte della dot- trina – muovendo, per un verso, dal presupposto dogmatico che la nozione di clausola compromissoria sia da riferirsi soltanto all’ipotesi di controversie contrattuali even- tuali e future e che la tipologia di convenzione di arbitrato avente ad oggetto contro- versie contrattuali già sorte sia necessariamente il compromesso e, per l’altro verso, dal dato testuale offerto dal previgente art. 808, comma 2o, c.p.c. nonché dal divieto di compromesso (rectius: di compromettibilità) che si ricavava dall’art. 806 c.p.c. (nel testo anteriore al d.lgs. n. 40/2006) – affermava, notandone l’irragionevolezza, che la volontà individuale potesse essere manifestata propriamente sub specie di clausola compromissoria piuttosto che mediante compromesso a lite insorta: cfr. in proposito Xxxxxxx, L’arbitrato nelle controversie individuali di lavoro, cit., p. 134 ss.; Xxxx, Arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., p. 880; ammette l’ipotesi di accordo arbi- trale inserito nel contratto di lavoro individuale (oltre che post litem), Zucconi Xxxxx Xxxxxxx, L’arbitrato nelle controversie di lavoro: bilancio e prospettive di riforma, cit., p. 466.
Rispetto all’esigenza di assicurare che la devoluzione ad arbitri della controversia non venga «subìta» dalla parte più debole del rap- porto di lavoro, la duplice condizione della previsione collettiva e della facoltà di adire il giudice dello Stato, per come congegnata dalle norme menzionate, non costituisce in quanto tale uno strumento ade- guato; in relazione al punto di vista considerato, sarebbe maggior- mente idonea allo scopo un’espressa previsione di legge (non intro- dotta dalla riforma del 1973 né con i successivi interventi, compresa la
l. n. 183/2010) in base alla quale la scelta in favore dell’arbitrato (a prescindere dalla copertura sindacale) possa essere compiuta in rela- zione alle sole controversie insorte e in ogni caso non mediante una clausola compromissoria suscettibile di essere stipulata al momento della costituzione del rapporto di lavoro.
1.4. – La duplice riforma del 1998 (d.lgs. 30 marzo 1998, n. 80 e d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387). – La disciplina «vincolistica» che circondava di cau- tele l’arbitrato in materia di lavoro alla stregua della l. n. 533/1973 è stata avvertita in dottrina, nel dibattito sviluppatosi negli anni ’90 del secolo scorso e che ha condotto alla duplice riforma del 1998 (operata dal d.lgs. 30 marzo 1998, n. 80 e dal successivo d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387), come un elemento di vischiosità rispetto alle possibilità di affermazione dell’isti- tuto, soprattutto con riferimento al trattamento processuale del lodo non- ché ai ristrettissimi spazi (coincidenti con le norme derogabili di legge e di contratto collettivo) entro cui era possibile, per la species irrituale, il giu- dizio secondo equità (giudizio viceversa del tutto precluso, peraltro, in rela- zione all’arbitrato rituale) (51); mentre meno avvertito era il profilo della limitata compromettibilità della controversie, sostanzialmente rimessa al
c.d. «monopolio sindacale».
(51 ) Cfr. Xxxxxxxx-Xxxxxxxxx, Conciliazione e arbitrato (Disegno di legge del CNEL), in Dir. prat. lav., 1992, II, p. 753; Xxxxxxxxx, La via dell’equità per un arbi- trato del lavoro più stabile, in Dir. relaz. industr., 1992, 2, p. 19; Xxxxxxx, A proposito della riforma dell’arbitrato per le liti di lavoro, in Dir. relaz. industr., 1992, 2, p. 4, il quale sollecitava la recezione da parte del legislatore del depotenziamento della inde- rogabilità, col solo limite della garanzia del contraddittorio dinanzi agli arbitri, delle norme legali e contrattuali, nel segno del «superamento di una fase storica del diritto del lavoro inteso come complesso di misure unilaterali poste a protezione del lavora- tore in quanto soggetto debole del rapporto».
Tra i lavori preparatori alle novelle del 1998 di assoluto rilievo appare lo schema di riforma approvato dall’assemblea del CNEL il 21 gennaio 1998 e poi presentato alla Camera dei Deputati (52), che, nel- l’additare come necessaria l’abrogazione dei commi 2o e 3o dell’art. 5
l. n. 533/1973 e nel proporre l’inserimento nel codice di rito degli artt. 412 ter concernente l’arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi e degli artt. 412 quater e 412 quinquies relativi rispettivamente alla richiesta di decisione secondo equità e alle impugnazioni del lodo, lasciava chiaramente trasparire alcune direttive, poi effettivamente tra- dottesi in norme di legge, che avrebbero dovuto orientare il nuovo arbitrato in materia di lavoro in quanto, in tesi, funzionali al suo potenziamento: e cioè, in primis, la limitazione dell’intervento legisla- tivo al solo arbitrato irrituale (e per di più di fonte collettiva); la con- ferma della necessità della precostituzione sindacale, fatta tuttavia sempre salva la facoltà delle parti di adire il giudice dello Stato (53), nonché, come già si è detto, il tentativo di contenimento della sindaca- bilità del lodo, in vista della sua maggiore e più immediata stabilità.
Alla species irrituale veniva affidata la speranza di un rilancio del- l’istituto, nella convinzione che essa fosse maggiormente flessibile ed incline a «tollerare», per la sua natura ritenuta più schiettamente dispositiva, un sacrificio rispetto alla rigida osservanza della normativa inderogabile nonché a modularsi anche verso soluzioni equitative.
La prevalenza così assegnata nel progetto di legge a tale forma di arbitrato – quasi una «stella polare», indi concretamente seguita dal legislatore delegato del 1998 (e che rivive oggi anche nell’ultima riforma di cui alla l. n. 183/2010) – si accompagnava invero, da un lato, ad una scarsa tenuta sistematica rispetto al quadro normativo disegnato dalla novella del 1994 (54) – ove in sede generale si era ormai
(52 ) Cfr. la proposta di legge d’iniziativa del CNEL presentata alla Camera dei Deputati il 23 aprile 1998 col numero 4806 e la Relazione di accompagnamento alla stessa, pubblicata anche in Lav. inf., 1998, 5, p. 72 ss.
(53 ) Sia il disegno di legge CNEL sia il testo effettivamente contenuto nei decreti legislativi approvati nel 1998 ribadiscono in buona sostanza, ad un tempo, il monopo- lio sindacale dell’arbitrato e la necessaria previsione, in chiave costituzionalmente necessitata, della facoltà per le parti individuali di adire il giudice dello Stato.
(54 ) È la stessa Relazione di accompagnamento alla proposta del CNEL a disve- lare che «per il potenziamento dell’istituto si sono sacrificate esigenze di esatto inqua-
prodotta l’unitarietà del modello arbitrale, col tramonto proprio di quello irrituale – e dall’altro denunciava quelle oscillazioni sulla stessa configurazione dell’istituto, dilaniato fra contenuto dispositivo (55) e impalcatura procedimentale, emergente dalla prassi fin dall’esperienza degli accordi interconfederali (56).
Pertanto, mentre il modello rituale iniziava il suo lento oblio (con- fermato anche in occasione della l. 4 novembre 2010, n. 183, che ha lasciato immutate le previsioni di cui agli artt. 806 ed 829, commi 4o e 5o, c.p.c. come riscritti dal d.lgs. n. 40/2006), la riforma del 1998, per come definitivamente risultante dall’interazione dei due d.lgs. n. 80/1998 e n. 387/1998, incideva in modo significativo sul modello irri- tuale, ed in particolare sul suo prodotto decisorio.
Per un verso, infatti, all’esito del citato duplice intervento soprav- vivevano sia il dettato dell’art. 5, comma 1o, l. 11 agosto 1973, n. 533 (con la conseguente conferma della condizione della «copertura sinda- cale» ai fini della compromettibilità della controversia), sia le preesi- stenti disposizioni che, in relazione a specifiche tipologie di controver- sie, menzionavano (come continuano a menzionare) la possibilità di devoluzione delle stesse ad arbitri, configurando altrettante fattispecie di arbitrati facoltativi c.d. «da legge» (57); per l’altro verso, si produ-
dramento sistematico» e che la riforma di cui alla l. n. 25/1994 «mal si presta a un preciso inquadramento delle figure arbitrali già oggi previste in materia di lavoro».
(55) Nella Relazione di accompagnamento si coglie infatti, quanto alla configurazione teorica, un parallelismo fra negozi di autocomposizione, come la transazione, e negozi di eterocomposizione, come l’arbitrato, allorché, in tema di limitazione dell’impugnabilità del lodo, si sostiene che, allo stesso modo in cui il legislatore aveva già previsto un regime di impugnabilità limitata o addirittura preclusa rispetto alla transazione, ugualmente sarebbe stato possibile dettare un analogo regime «quando il potere di disposizione non sia esercitato direttamente dalla parte ma conferito ad un terzo soggetto».
(56 ) Alla stregua della Relazione al disegno di legge, infatti, se pure veniva data per presupposta la configurazione del lodo come atto meramente dispositivo – sul pregiudizio che il momento logico intellettivo del giudizio fosse squisitamente da ricondurre al solo arbitrato rituale – non si trascurava comunque di riconoscere, spe- cie alla luce dell’esperienza delle clausole sindacali, che l’istituto ben poteva essere compatibile con una procedimentalizzazione e con l’esistenza di un contraddittorio innanzi agli arbitri.
(57 ) Si tratta, come si è detto, delle disposizioni (non incise dalla l. n. 183/2010) contenute nell’art. 7, ult. cpv., l. 15 luglio 1966, n. 604; nell’art. 7, commi 6o e 7o, l. 20 maggio 1970, n. 300; nell’art. 5 l. 11 maggio 1990, n. 108.
ceva una rilevante variazione nel sistema, in virtù dell’operata abroga- zione del regime impugnatorio voluto dal legislatore del 1973 (58) e dell’inserimento, nel libro II del codice di rito, degli artt. 412 ter e 412 quater, contenenti – alla stregua del testo emergente dall’integrazione dei predetti due d.lgs. n. 80/1998 e n. 387/1998 (ma oggi modificato dalla l. n. 183/2010) – una peculiare disciplina, rispettivamente, per l’arbitrato irrituale di fonte collettiva e per l’impugnabilità ed esecuti- vità dei lodi irrituali in materia di lavoro.
Più da vicino, l’art. 412 ter c.p.c. (nel testo non ancora sostituito dall’art. 31 l. n. 183/2010) si riferiva ad una specifica forma di arbi- trato irrituale previsto dalla contrattazione collettiva, successivo al fal- limento del tentativo di conciliazione (59), con un’impronta marcata- mente processuale e per il quale il legislatore aveva stabilito che le clausole sindacali dovessero osservare un contenuto prestabilito (nelle lett. a)-e) dello stesso art. 412 ter c.p.c.); mentre l’art. 412 quater c.p.c. (nel testo non ancora sostituito dalla l. n. 183/2010) stabiliva, al primo comma, che sulle controversie relative alla validità del lodo – proponi- bili entro trenta giorni dalla notificazione di esso – dovesse decidere in unico grado il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, del luogo in cui è la sede dell’arbitrato; e prevedeva, al secondo comma, la finaliz-
(58 ) Il riferimento è al già citato trattamento processuale olim descritto nei commi 2o e 3o dell’art. 5 l. 11 agosto 1973, n. 533, commi caducati per effetto dell’art. 43 d.lgs. 30 marzo 1998, n. 80, che – come ricordato nel testo – lasciò, invece, indenne il primo comma del medesimo art. 5 (tuttora non abrogato).
(59 ) Con riguardo ai rapporti fra conciliazione ed arbitrato, sui quali il legislatore torna ad incidere anche con l’art. 31 l. n. 183/2010, la lettera dell’art. 412 ter c.p.c. (nel testo risultante all’esito dei due decreti legislativi del 1998) aveva dato adito a diverse opzioni ricostruttive. Una parte della dottrina era stata incline ad affermare che il tentativo di conciliazione costituisse una condizione di procedibilità (in tal senso, Xxxxxxx, L’arbitrato in materia di lavoro dopo le riforme, in Aa.Vv., Diritto del- l’arbitrato3, a cura di Verde, Torino, 2005, p. 571 ss., spec. p. 576 s.; Xxxxxxx, L’arbi- trato nelle controversie individuali di lavoro, cit., p. 148; Xxxxxxxxxxx, Il nuovo arbi- trato in materia di lavoro, in Riv. dir. proc., 1999, p. 25 ss., spec. p. 34), mentre, secondo una diversa preferibile impostazione, il riferimento ad esso nell’art. 412 ter
c.p.c. avrebbe avuto portata meramente descrittiva (così Xxxxx, L’arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro dopo la riforma del 1998, in Riv. arb., 1999, pp. 31; Xxxxxx, in Aa.Vv., Codice di procedura civile commentato4, diretto da Xxxxxxx, II, cit., sub art. 412 ter, p. 1411), a favore della quale militavano argomenti sistematici ed esegetici. In argomento, cfr. anche le problematiche in Punzi, Il processo civile2, III, cit., p. 291.
zazione del dictum arbitrale agli effetti esecutivi, effetti conseguibili – previo deposito presso la cancelleria del tribunale nella cui circoscri- zione è la sede dell’arbitrato – con decreto giudiziale, e tuttavia postergati all’accettazione del lodo, ovvero alla mancata proposizione dell’impugnativa ovvero al rigetto della stessa (60).
Se, indubbiamente, il sistema complessivamente conseguente ai decreti legislativi del 1998 aveva avuto il pregio di far emergere in norme di diritto positivo la funzione decisoria e la struttura proces- suale dell’istituto (61), consentendo di fare chiarezza circa l’artificiosi- tàdelle asserite contrapposizioni rispetto alla species rituale – poi sconfessate anche dalla generale previsione ex art. 808 ter c.p.c., introdotta dal d.lgs. n. 40/2006 (62 ) – per altro verso, con l’abroga- zione dei commi 2o e 3o dell’art. 5 l. n. 533/1973 (riferibili ai lodi conclusivi di entrambe le tipologie di arbitrato considerate nel prece- dente comma, ossia gli arbitrati con «autorizzazione collettiva» e quelli c.d. «da legge») e l’introduzione dell’art. 412 quater c.p.c., non
(60 ) Trattasi di una disciplina che, come vedremo, torna acriticamente nelle nuove disposizioni dettate dalla l. n. 183/2010.
(61 ) Al cospetto dei dati positivi emergenti nell’art. 412 ter c.p.c. (fra i quali il riferimento nella lett. c) alle forme e ai modi di espletamento dell’eventuale istruttoria nonché, nell’ultimo capoverso, il rinvio, salvo diversa previsione della contrattazione collettiva, agli artt. 91 e 92 c.p.c.) che ricollegavano al nomen irrituale una vera e pro- pria struttura processuale, finalizzata ad una decisione idonea ad investire anche la ricostruzione dei profili di fatto della controversia e a determinare per le parti vittoria e soccombenza, era stato puntualmente osservato da Xxxxxx, Manuale del processo del lavoro4, cit., p. 66 s., che «quella «processualizzazione» che dottrina e giurisprudenza avevano già attuato in xxx xxxxxxxxxxxxxx xx xx xxxxx xxxxx xxxxxxx del lavoro trova ora una specifica, minuziosa attuazione legislativa»;e da Ruffini, in Xxxxxxxxx-Ruffini, L’arbitrato e le altre forme non giurisdizionali di soluzione delle liti nell’ordinamento italiano, in Riv. arb., 2003, p. 551 ss., spec. p. 588, che gli artt. 412 ter e 412 quater
c.p.c. avevano chiarito la indubbia funzione decisoria dell’arbitrato irrituale, ponendo fine all’assimilazione di detto istituto a strumenti, altresì tendenti alla composizione stragiudiziale delle controversie, ma alieni dal genus arbitrale, come il mandato a tran- sigere o l’arbitraggio nella transazione o nel negozio di accertamento.
(62 ) In tal senso, con riferimento alla materia di lavoro, cfr. Xxxxxx, in Aa.Vv., Codice di procedura civile commentato4, diretto da Xxxxxxx, II, cit., sub art. 412 ter, p. 1401, la quale rilegge la portata dell’art. 412 ter c.p.c. (ante l. n. 183/2010) nella pro- spettiva dell’art. 808 ter c.p.c. Per una lettura unitaria del fenomeno arbitrale, nella modalità rituale ed irrituale, dopo la novella generale di cui al d.lgs. n. 40/2006, cfr. Xxxxx, Il processo civile2, III, cit., p. 277 ss.; Xxxxxxx, voce Arbitrato irrituale, in Dig., disc. priv., sez. civ., Aggiornamento, I, Torino, 2007, p. 122 ss.
solo aveva esposto l’arbitrato irrituale ad una serie di incertezze appli- cative, ma aveva inaugurato per l’istituto un nuovo dilemma, ossia quello dell’assenza di un unitario regime processuale dei lodi e della sua scomposizione in una serie di modelli autonomi, assoggettati a discipline differenziate: dilemma certamente contrastante con le esi- genze di razionalizzazione e potenziamento dell’arbitrato laburistico e destinato purtroppo a reiterarsi, se non addirittura ad aggravarsi, in conseguenza della l. n. 183/2010.
In questo senso, una delle questioni poste dagli interventi del 1998 riguardava il coordinamento fra la perdurante vigenza del primo comma dell’art. 5 l. n. 533/1973 (nella parte in cui considera, oltre agli arbitrati c.d. «da legge», quelli previsti dalla contrattazione collettiva) e la fattispecie ex art. 412 ter c.p.c., nonché– principalmente – l’esatta individuazione del campo di applicazione dell’art. 412 quater c.p.c., e precisamente se quest’ultimo riguardasse tutti i lodi irrituali in materia di lavoro ovvero soltanto a quelli conclusivi del procedimento previsto dall’immediatamente precedente art. 412 ter c.p.c.
È noto, in proposito, come alla tesi secondo la quale l’arbitrato di fonte sindacale si dovesse necessariamente identificare con quello ex art. 412 ter c.p.c. (63), si sia contrapposta la diversa opinione per la quale la complessiva riforma del 1998 si sarebbe limitata ad aggiungere al previgente sistema le disposizioni di cui agli artt. 412 ter e 000 xxx- xxx c.p.c., con conseguente complessiva tripartizione dell’istituto nel- l’arbitrato c.d. «contrattuale puro» (retto soltanto dall’art. 5, comma
(63 ) Con conseguente configurazione, pertanto, di due statuti di arbitrato irri- tuale, ossia l’arbitrato c.d. «da legge», coincidente con le singole fattispecie di arbitrati irrituali specificamente previste per talune controversie laburistiche, e l’arbitrato pre- visto dai contratti collettivi con i necessari contenuti dell’art. 412 ter c.p.c., lett. a)-e): cfr. in tal senso, Xxxxxx, in Aa.Vv., Codice di procedura civile commentato4, diretto da Consolo, II, cit., sub art. 412 ter, p. 1402; Xxxxxxxxxxx, Il nuovo arbitrato in mate- ria di lavoro, cit., pp. 25 ss., 44; Grandi M., La composizione stragiudiziale delle con- troversie di lavoro nel pubblico impiego, in Lav. pubbl. amm., 1998, p. 803; in giuri- sprudenza, tale conclusione sembrerebbe espressa da Xxxx. 4 marzo 2008, n. 5863, in Arg. dir. lav., 2008, p. 1458 ss., con nota di Menegatti, Il regime di impugnazione del lodo irrituale in materia di lavoro, pronuncia secondo la quale l’art. 5, comma 1o, l. cit. sarebbe rimasto come «un moncone di limitato rilevo perché i commi 2 e 3 (sull’im- pugnativa) sono stati abrogati ed il comma 1 è in fondo schermato dagli artt. 412 ter e 412 quater c.p.c.».
1o, l. n. 533/1973), nell’arbitrato ex art. 412 ter c.p.c. e nell’arbitrato
c.d. «da legge» (64).
Tanto nell’una quanto nell’altra ricostruzione, si riteneva comun- que che soltanto i lodi conclusivi dell’arbitrato irrituale processualiz- zato di cui all’art. 412 ter c.p.c. sarebbero stati assoggettati al regime del successivo art. 412 quater c.p.c. (con la possibilità di exequatur a fini esecutivi e con l’assoggettamento ad un’impugnazione in unico grado da esperire entro trenta giorni dalla notificazione del lodo), diversamente dagli altri lodi, che, al pari di qualunque altro dictum irrituale, non sarebbero stati suscettibili di conseguire l’esecutività e sarebbero stati esposti, dopo l’abrogazione dell’art. 5, commi 2o e 3o,
l. n. 533/1973, alle comuni impugnative negoziali ovvero, successiva- mente all’avvento del d.lgs. n. 40/2006, per intero alle previsioni del- l’art. 808 ter, comma 2o, c.p.c. (65).
Si profilava, così, una differenziazione del trattamento processuale dei
(64 ) Nel senso della tripartizione dei modelli di arbitrato, con diversi regimi vale- voli per i relativi lodi, cfr. Xxxxxxxxx, La riforma dell’arbitrato nelle controversie di lavoro privato e pubblico, in Mass. giur. lav., 1999, p. 178 ss., p. 184; Xxxxx, L’arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro dopo la riforma del 1998, cit., p. 31 ss., spec. p. 43 ss., il quale peraltro individuava il carattere distintivo dell’arbitrato ex art. 412 ter
c.p.c. non tanto nell’obbligatorietà della previa richiesta del tentativo di conciliazione, quanto piuttosto nell’assoggettamento delle clausole della contrattazione collettiva alle regole contenute sub lett. a)-e); cfr. anche Xxxxxxx, L’arbitrato in materia di lavoro dopo le riforme del 1998, cit., p. 579 ss.; Xxxxxxx, L’arbitrato nelle controversie individuali di lavoro, cit., p. 152 s. Sui problemi sistematici in tal senso posti dalla duplice riforma del 1998, v. anche supra, parte III, sez. IV, n. 1.4.
(65 ) Xxxxxxxxx, La riforma dell’arbitrato nelle controversie di lavoro privato e pubblico, cit., p. 186; Xxxxxxx, L’arbitrato nelle controversie individuali di lavoro, cit.,
p. 152 s.; Xxxxxxx, L’arbitrato in materia di lavoro dopo le riforme del 1998, cit., p. 586; Xxxxx, L’arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro dopo la riforma del 1998, cit., p. 44; Xxxxxx, in Aa.Vv., Codice di procedura civile commentato4, diretto da Xxxxxxx, II, cit., sub art. 412 ter, p. 1402 ss.; Xxxxxxxxxxx, Il nuovo arbitrato in mate- ria di lavoro, cit., p. 44 s. In buona sostanza, i lodi cui si fosse ritenuta inapplicabile la speciale disciplina di cui all’art. 412 quater c.p.c. rimanevano impugnabili, innanzi al tribunale di primo grado, territorialmente competente secondo le regole ordinarie (e non in base alla sede dell’arbitrato), entro il termine quinquennale di prescrizione per i motivi previsti dall’art. 808 ter, comma 2o, c.p.c. (ovvero, anteriormente al d.lgs. n. 40/2006, per i comuni vizi negoziali), salve le ipotesi di radicale nullità ex art. 1418 c.c.: per tutti, Xxxxxx, in Aa.Vv., Codice di procedura civile commentato4, diretto da Xxxxxxx, II, cit., sub art. 412 ter, pp. 1403 s., 1416 ss.; Xxxxxxxx, Arbitrato per le con- troversie di lavoro, cit., pp. 3 ss., 47 ss.
lodi non razionalmente giustificata, che – come vedremo – ritorna, e con minori possibilità di risoluzione, anche nell’ultima riforma (v. infra).
A ben vedere, peraltro, nell’ordinamento vigente fino alla l. n. 183/ 2010, per quanto non immediata (66), non era comunque preclusa la possibilità di risalire ad una disciplina omogenea ed unitaria, al fine di favorire per tutti i lodi irrituali laburistici l’aspirazione all’esecutività e alla maggiore stabilità. A tale risultato erano, del resto, pervenuti dap- prima alcuni giudici di merito (67), poi la stessa Suprema Corte, che in alcune recenti pronunce aveva, infine, ravvisato nella disposizione in parola una norma di applicazione generale, comune a tutti i lodi irri- tuali in materia di lavoro (68).
Il tenore dell’art. 412 quater c.p.c. era peraltro foriero anche di ulteriori questioni, che meritano di essere richiamate per la circo- stanza che l’art. 31 l. n. 183/2010, pur avendo sostituito il contenuto della norma in parola (che oggi «ospita» una peculiare fattispecie di arbitrato irrituale), mutua una rilevante parte del regime processuale (di taluni) dei lodi conclusivi dei modelli arbitrali di nuova introdu- zione dal vecchio testo della menzionata disposizione.
Attorno all’art. 412 quater c.p.c. si addensava, infatti, una fitta col- tre (69) di problemi applicativi – rimasti irrisolti pur dopo l’introdu- zione, in sede generale, dell’art. 808 ter c.p.c. (70) e destinati a rivivere
(66 ) E forse non agevolata, ma, del resto, neppure impedita dalla collocazione topografica dell’art. 412 quater c.p.c.
(67 ) Cfr. Trib. Bologna 19 maggio 2004.
(68 ) Cfr. Cass. 23 febbraio 2006, n. 4025, in Foro it., 2007, I, c. 2218 ss.; Cass. 4 marzo 2008, n. 5863, cit.; Cass. 2 febbraio 2009, n. 2576, in Rep. Foro it., 2009, Xxxxxx e previdenza (controversie), n. 52, che ha fatto leva su un duplice ordine di argomentazioni, e cioè che, da un lato, non sarebbe stata giustificabile, ai fini delle impugnazioni, una distinzione tra arbitrato irrituale con preorganizzazione collettiva e arbitrato, parimenti irrituale, previsto dalla legge e che, dall’altro, sarebbe comunque risultato difficile identificare per quest’ultimo, dopo l’abrogazione dell’art. 5, commi 2o e 3o, l. n. 533/1973, un autonomo e specifico regime impugnatorio diverso da quello dell’art. 412 quater c.p.c.
(69 ) La felice immagine è di Xxxxxxxxxx, Conclusioni, in Mass. giur. lav., 2010, p.
389.
(70 ) Per quanto, infatti, l’art. 808 ter c.p.c. – quale norma dedicata all’arbitrato
irrituale c.d. di diritto comune e dunque astrattamente idonea a fungere da canone di armonizzazione delle discipline settoriali per gli aspetti da queste ultime non espressa- mente regolati in modo incompatibile con la prima – potesse consentire di orientare,
anche dopo la recente riforma del 2010 – con particolare riferimento al termine per la proposizione dell’impugnazione, alla struttura del procedimento, nonché, ancora più a monte, alla delimitazione del- l’ambito di censurabilità del dictum irrituale e alla rilevanza attribui- bile alla eventuale violazione delle norme inderogabili di legge. Nodo, quest’ultimo, che aveva condotto a soluzioni diverse, se non opposte, in dottrina (71) al cospetto della riforma del 1998 e sul quale anche il
anche per la materia di lavoro, la soluzione di alcune questioni applicative sorte in relazione al vecchio testo dell’art. 412 quater (come l’individuazione dei motivi di impugnazione, a fronte dell’ellittica formulazione dell’art. 412 quater c.p.c.), detto raccordo sistematico non era idoneo a fugare tutti i dubbi, anche in ragione delle incertezze e divergenze interpretative cui lo stesso art. 808 ter c.p.c. dà adito (con rife- rimento ai margini di applicabilità degli artt. 806 ss. c.p.c., alla tassatività o meno dei motivi di impugnazione previsti nel secondo comma, al rapporto tra giudizio di impu- gnazione del lodo e cognizione sul merito della controversia).
(71 ) Dopo la duplice riforma del 1998, una parte della dottrina ha sostenuto la insensibilità del dictum irrituale rispetto all’inosservanza delle norme inderogabili di legge, quanto meno in relazione ai diritti già sorti (ossia per le situazioni passate) oltre che in caso di inosservanza delle previsioni (derogabili ed inderogabili) di fonte sinda- cale (cfr. Vallebona, L’impugnazione del lodo arbitrale irrituale in materia di lavoro, in Arg. dir. lav., 2001, p. 79 ss.; Xxxxxxxxxx, Appunti sul contenzioso del lavoro dopo la privatizzazione del pubblico impiego e sull’arbitrato in materia di lavoro, in Giur. lav. Lazio, 1998, p. 263 ss., spec. p. 304) traendo argomento non solo dalla intervenuta abrogazione dei commi 2o e 3o dell’art. 5 l. n. 533/1973 – che in precedenza ammette- vano l’impugnabilità per contrarietà a norme inderogabili di legge e dei contratti col- lettivi – ma altresì dal mutamento di dettato dell’art. 412 quater c.p.c., che nel passag- gio dal d.lgs. n. 80/1998 al d.lgs. n. 387/1998 aveva perso il riferimento all’inosser- vanza della normativa inderogabile di legge. A ciò, peraltro, la dottrina maggioritaria aveva obiettato, con argomenti di tipo sistematico, che anche in ragione della portata negoziale del lodo irrituale la violazione delle norme inderogabili di legge avrebbe dovuto condurre alla nullità del lodo ai sensi dell’art. 1418 c.c.: così Xxxxxxxx, Arbi- trato per le controversie di lavoro, cit., spec. p. 28; Zucconi Xxxxx Xxxxxxx, L’arbi- trato nelle controversie di lavoro: bilancio e prospettive di riforma, cit., p. 478; Xxxxxxx, L’arbitrato nelle controversie di lavoro: note sull’impugnazione del lodo, in Lav. giur., 2000, p. 11; Xxxxxx, in Aa.Vv., Codice di procedura civile commentato4, diretto da Xxxxxxx, II. cit., sub art. 412 quater, p. 1418 s., secondo la quale l’eliminazione del riferimento alla violazione di norme inderogabili di legge non avrebbe reso il dictum degli arbitri sempre incensurabile sotto tale profilo, restando salva l’azione di nullità: ciò peraltro non per l’ipotesi di mera violazione, ma solo laddove l’assetto degli inte- ressi sostanziali delle parti scaturente dal lodo fosse contrario alle dette norme indero- gabili. Per l’impugnabilità del lodo laburistico per contrarietà a norme inderogabili di legge, cfr. ancora Xxxxx, L’arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro, cit., p. 43; Xxxxxxxxx, L’arbitrato nel diritto del lavoro, in Aa.Vv., Arbitrato, a cura di Xxx-
legislatore del 2010, fin dall’iter parlamentare, ha mostrato, in modo appariscente, di voler intervenire; ma che esprime anche un’autentica, non riducibile, contraddizione dell’istituto, giacché se, da un lato, l’esposizione del lodo a tale impugnativa scoraggia le aspirazioni ad una certa e celere definizione della lite, dall’altro lato, la compressione della sindacabilità, per tale motivo, della decisione degli arbitri, in relazione ad una materia che è informata all’inderogabilità della nor- mativa e che risente dello squilibrio tra le parti del rapporto, conduce a dubitare dell’interesse del lavoratore a fare effettivo impiego dello strumento arbitrale (72) e, dunque, a manifestare in favore di quest’ul- timo una convinta opzione (73).
1.5. – Le principali linee guida della riforma di cui alla l. 4 novembre 2010, n. 183. In particolare: la compromettibilità delle controversie di lavoro e le convenzioni di arbitrato. – Rispetto al descritto sistema, gra- vido di questioni sistematiche e di irrisolti problemi applicativi, ha fatto seguito la l. 4 novembre 2010, n. 183, recante nell’art. 31, ai commi dal 5o al 12o, nuove norme in tema di arbitrato (74).
xxxxxx, cit., p. 619 ss., spec. p. 632, ove l’autore invero riconduce la nullità di cui all’art. 1418 c.c. all’ipotesi violazione di norme imperative, così profilando la mai sopita quaestio della piena coincidenza, o meno, fra norme inderogabili e norme imperative (e norme di ordine pubblico). Peraltro, a sommesso avviso di chi scrive, e lasciando a latere il problema della distinzione fra norma inderogabile, norma impera- tiva e principi di ordine pubblico ai fini dell’applicazione dell’art. 1418 c.c., uno spa- zio per la censurabilità del dictum irrituale in caso di violazione di norme inderogabili di legge poteva essere ricavato dalla generale disposizione dell’art. 808 ter, comma 2o,
n. 4 c.p.c. ove interpretata nel senso di consentire alle parti di porre quale condizione di validità del lodo il rispetto non solo delle regole procedimentali e del criterio di giudizio, ma anche della normativa applicabile al merito della controversia.
(72 ) Così Xxxxxxxxxx, Appunti sul contenzioso del lavoro dopo la privatizzazione del pubblico impiego e sull’arbitrato in materia di lavoro, cit., p. 304.
(73 ) Ragion per cui si dovrebbe guardare con particolare cautela, ad avviso di chi scrive, ai tentativi del legislatore di incentivare, tra le forme di convenzione arbitrale, la clausola compromissoria per controversie eventuali e future (art. 31, commi 10o e 11o, l. n. 183/2010).
(74 ) La riforma è stata oggetto, fin dal suo apparire, di ampi ed approfonditi com- menti: cfr., senza pretese di completezza, Punzi, L’arbitrato per la soluzione delle con- troversie di lavoro, in Riv. dir. proc., 2011, p. 1 ss.; Aa.Vv., Il contenzioso del lavoro,a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, Torino, 2011, passim; Auletta, Le impugnazioni del lodo nel
«Collegato lavoro» (L. 4 novembre 2010, n. 183), in xxx.xxxxxxxx.xx; Xxxxxxxx, L’ar-
Alcune notazioni si ricavano fin da una prima lettura dei testi nor- mativi ed erano, del resto, già desumibili dai lavori preparatori e dal dibattito che ha preceduto la promulgazione della novella (75).
Si può, innanzi tutto, rilevare che – con una tendenza già eviden- ziatasi in occasione della precedente riforma del 1998 – l’intervento è
bitrato di equità, in Aa.Vv., Il contenzioso del lavoro, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, cit., p. 142 ss.; Id., L’impugnazione del lodo arbitrale, in Aa.Vv., Il contenzioso del lavoro, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, cit., p. 148 ss.; Xxxxxxxx, L’arbitrato ai tempi del «collegato lavoro», in xxx.xxxxxxxx.xx; Id., Gli arbitrati in materia di lavoro, in Aa.Vv., Il diritto processuale del lavoro, a cura di Vallebona, Padova, 2011, p. 643 ss.; Xxxx, ADR nel
c.d. collegato lavoro (prime riflessioni sull’art. 31 della legge 4 novembre 2010 n. 183), in xxx.xxxxxxxx.xx; Id., Conciliazione e arbitrato nel collegato lavoro, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, p. 125 ss.; Xxxxxx, Arbitrato e «collegato lavoro», in Riv. dir. proc., 2011, p. 566 ss.; Xxxxxxxxxx, La deroga alla giurisdizione, certificazione e arbitrato nel collegato lavoro. Il controllo del giudice sulle clausole certificate; Xx Xxxxxxxxxx, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (ADR) nel contenzioso del lavoro: conciliazione facoltativa ed arbitrato liberalizzato, in Lav. giur., 2011, p. 57 ss., Xxxxx Xxxxxx, Un primo sguardo all’arbitrato nel collegato lavoro, in xxx.xxxxxxxx.xx; Xxxxxxxx, La risoluzione arbitrale delle controversie di lavoro, in Aa.Vv., Il conten- zioso del lavoro, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, cit., p. 106 ss.; Xxxxx, L’arbitrato, in Aa.Vv., I profili processuali del collegato lavoro, a cura di Xxxxxxx x Xxxxxxx, Xxxx, 0000, p. 57 ss.; Xxxxxx, La nuova disciplina della conciliazione e dell’arbitrato nelle controversie di lavoro, in Corr. giur., 2011, p. 269 ss.; Xxxxxxx, Clausole generali e certi- ficazione del contrato di lavoro, in Aa.Vv., I profili processuali del collegato lavoro, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, cit., p. 1 ss.; Id., Il verbale di conciliazione stragiudiziale, ibi- dem, p. 32 ss.; Xxxxxxxx, Il tentativo facoltativo di conciliazione, ibidem, p. 15 ss.; Val- lebona, L’arbitrato irrituale nel sistema del diritto del lavoro dopo la legge n. 183/ 2010, in Mass. giur. lav., 2011, p. 852 ss.
(75 ) Per la ricostruzione dell’iter parlamentare, cfr. Xxxxx, L’arbitrato per la solu- zione delle controversie di lavoro, cit., p. 10, nota 27. Anche detta fase preparatoria era stata seguita con interesse da parte della dottrina, che in alcuni casi aveva sottoli- neato contraddizioni e disarmonie della preannunciata riforma: cfr. Borghesi, Le nuove frontiere dell’arbitrato del lavoro secondo il disegno di legge n. 1441 quater, in Lav. e dir., 2009, p. 13 ss.; Zucconi Xxxxx Xxxxxxx, L’arbitrato nelle controversie di lavoro: bilancio e prospettive di riforma, cit., p. 459 ss.; Xxxxxxx, Le fonti degli arbi- trati in materia di lavoro, in Mass. giur. lav., 2010, p. 357 ss.; Vallebona, L’arbitrato irrituale per le controversie di lavoro, ivi, p. 362 ss.; Xxxxxxxx, Il regime di impugna- zione dei lodi irrituali in materia di lavoro, ivi, p. 365 ss.; Xxxxxxx, Nuovi disegni di legge sulle controversie di lavoro tra conciliazione e arbitrato, ivi, p. 372 ss.; Sigillò Xxxxxxx, L’arbitrato nel contratto collettivo di lavoro dei dirigenti delle aziende indu- striali, ivi, p. 381 ss.; Xxxxxxxxxx, Conclusioni, cit., p. 388 s.; Xxxxx, Il processo civi- le2, III, cit., p. 293 ss.; Pessi, La protezione giurisdizionale del lavoro nella dimensione nazionale e transnazionale: riforme, ipotesi, effettività, in Riv. it. dir. lav., 2010, I, p. 195 ss., spec. p. 203 ss.
stato effettuato non in modo complessivo ed organico, ossia inve- stendo integralmente il sistema delle fonti dell’arbitrato in materia di lavoro, bensì parziale: esso è, infatti, consistito nella riscrittura degli artt. 412, 412 ter e 412 quater c.p.c. (76) e nell’introduzione di altre disposizioni, non inserite tuttavia all’interno del codice di rito (77); mentre ha lasciato immutate sia le norme dettate nel titolo VIII del libro IV del c.p.c. per la species rituale, sia quelle previsioni legislative collocate extra codicem, preesistenti alla novella del 1998 e dedicate all’arbitrato irrituale, ossia, in particolare, l’art. 5, comma 1o, l. n. 533/ 1973, l’art. 7, ult. cpv., l. n. 604/1966, l’art. 7, commi 6o e 7o, l. n. 300/ 1970, l’art. 5, l. n. 108/1990) (78).
In linea con le passate stagioni, la riforma si è eminentemente rivolta verso la species irrituale (79), assecondando non solo la tradizione legisla-
(76 ) Con disposizione contenuta nel comma 9o dell’art. 31 l. n. 183/2010 si stabi- lisce che i modelli arbitrali di cui agli artt. 412, 412 ter e 412 quater c.p.c. possono essere applicati anche alle controversie di lavoro pubblico privatizzato. In argomento, cfr. Xxxxxxxx, Gli arbitrati in materia di lavoro, cit., p. 660 ss.
(77 ) Ci si riferisce, come vedremo, alle previsioni concernenti l’arbitrato irrituale svolgentesi innanzi alle camere arbitrali presso gli organi di certificazione (art. 31, comma 12o, l. n. 183/2010) e alle disposizioni in tema di clausola compromissoria per le controversie eventuali e future nascenti dal contratto di lavoro (art. 31, commi 10o e 11o, l. cit.).
(78 ) Per tale osservazione, con attenzione alle conseguenze critiche che ne scaturi- scono, cfr. Xxxxx, L’arbitrato per la soluzione delle controversie di lavoro, cit., p. 11; Xxxxxxxx, Gli arbitrati in materia di lavoro, cit., p. 686 ss.; Xxxxx, L’arbitrato, cit., p. 76 ss.
(79 ) Tale conclusione si ricava da una serie di elementi (presenti nelle fattispecie di cui agli artt. 412 e 412 quater c.p.c. nonché per relationem nell’art. 31, comma 12o,
l. n. 183/2010, ma non anche nell’art. 412 ter c.p.c.), quali: l’enfatizzata efficacia nego- ziale del dictum (ai sensi dell’art. 1372 c.c.), il rinvio all’art. 808 ter c.p.c. per l’indivi- duazione dei motivi di annullabilità, nonché la previsione di regole di competenza e forme per l’esecutività e la proposizione delle impugnazioni mutuate dal vecchio testo dell’art. 412 quater c.p.c. (in argomento, v. l’analisi di Xxxxxxxx, La risoluzione arbi- trale delle controversie di lavoro, cit., p. 114 ss.). Simmetricamente ed all’opposto, si è confermato lo scarso, per non dire inesistente, interesse del legislatore per l’arbitrato rituale, species non incisa dalla l. n. 183/2010 ed in relazione alla quale permangono quei puntelli che le disposizioni di cui all’art. 31 l. cit. hanno inteso eliminare con rife- rimento all’arbitrato irrituale, ossia la necessità della c.d. autorizzazione o precostitu- zione collettiva ai fini della compromettibilità della controversia (art. 806, comma 2o, c.p.c.), la sostanziale preclusione rispetto all’equità– come evidenziato da Xxxxxxxx, L’arbitrato del lavoro dopo la riforma, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, p. 821 ss. e da Xxxxxxx, in Aa.Vv., Commentario breve al diritto dell’arbitrato, a cura di Xxxxxxxxxxxx,
tiva ma anche – ed è questo un elemento di distonia rispetto all’esperienza concreta del fenomeno arbitrale (80)e ai risultati raggiunti con l’introdu- zione dell’art. 808 ter c.p.c. – la tentazione, sul piano concettuale, di rico- struire lo stesso in chiave schiettamente dispositiva e di assimilarlo, dal punto di vista dei risultati cui può mettere capo e del relativo regime impu- xxxxxxxx, ad altri strumenti negoziali di composizione delle liti di lavoro (rinunce, transazioni, conciliazioni) (81).
Sul piano contenutistico, la riforma ha principalmente tentato di realizzare l’obiettivo di incidere su quegli aspetti dell’istituto ritenuti, nell’attuale stagione, idonei a favorirne il rilancio, ma che – anche alla luce della sua storia – esprimono invero altrettante, irrisolte (e forse non superabili) contraddizioni.
Sotto un primo profilo, si è voluto determinare il superamento del
c.d. monopolio sindacale – sia quale presupposto per la comprometti- bilità delle controversie, al fine di privilegiare accordi arbitrali indivi- duali, sia con riferimento allo svolgimento del procedimento – in favore di modelli che abbiano luogo al di fuori delle sedi e della rego- lamentazione prevista dalla contrattazione collettiva e che si caratteriz- zano, sia pure in vario modo, per una naturale continuità tra una prima fase di conciliazione e una successiva fase deputata alla risolu- zione arbitrale della controversia (82).
Consolo e Radicati di Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, sub art. 806, p. 26 – e la non rinuncia- bile impugnabilità del lodo per violazione di norme (tanto inderogabili quanto dero- gabili) di legge e di contratto collettivo (art. 829, commi 4o e 5o, c.p.c.). Con riferi- mento a tale opzione legislativa, Xxxxxxxx, Gli arbitrati in materia di lavoro, cit., p. 650, si è chiesto criticamente «per quale motivo il legislatore, avendo a disposizione due modelli di arbitrato, scelga quello che si caratterizza per dare vita ad una pronun- cia che non produce gli effetti della sentenza, salvo poi munirla di efficacia esecutiva e assoggettarla ad impugnazione», tentando un riallineamento, sotto questi due aspetti, con la species rituale; mentre già durante la gestazione della riforma, Capponi, Le fonti degli arbitrati in materia di lavoro, cit., p. 361, aveva suggerito che, anziché dar vita ad una babele di modelli, il legislatore avrebbe dovuto consolidare un’unica forma di arbitrato, preferibilmente rituale, per la maggiore certezza del procedimento e del regime del suo lodo conclusivo.
(80 ) V. supra, in questa parte V, sez. II, n. 1.2.
(81 ) Volontà di assimilazione che si ricava dalla previsione, contenuta nei novel- lati artt. 412 e 412 quater c.p.c., secondo la quale il lodo produce gli effetti di cui al quarto comma dell’art. 2113 c.c.
(82 ) Come osservato, già al cospetto del progetto di riforma, da Xxxxxxx, Nuovi
A tali finalità sono improntate quelle modalità di devoluzione delle controversie di lavoro e di svolgimento del processo apud arbitros di
«nuovo conio» (83), disciplinate dagli artt. 412 e 412 quater c.p.c. e dall’art. 31, comma 12o, l. n. 183/2010, che – come si è anticipato – vanno ad aggiungersi alle altre preesistenti fattispecie di arbitrati c.d.
«da legge», nonché al modello, già noto nel previgente sistema, fon- dato sulla c.d. copertura sindacale e svolgentesi in tale sede, secondo la regolamentazione prevista dai contratti collettivi (al quale è oggi dedicato il laconico dettato dell’art. 412 ter c.p.c.).
Sotto un altro profilo, il legislatore del 2010 ha voluto affermare esplicitamente (84) che la controversia, su richiesta delle parti, può essere decisa secondo equità, ma pur sempre «nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari», e ha tentato di delineare, per il dictum arbitrale, un trattamento processuale – invero non scevro da incertezze – tale da consentirne l’esecutività e la maggiore stabilità.
Tuttavia – ed è questo uno degli aspetti che suscitano maggiori
disegni di legge sulle controversie di lavoro tra conciliazione e arbitrato, cit., p. 373 ss., che ha individuato in questo un vero e proprio leit-motiv dei nuovi modelli di arbi- trato.
(83 ) La locuzione è di Punzi, L’arbitrato per la soluzione delle controversie di lavoro, cit., p. 10.
(84 ) A tale riguardo vale la pena di osservare che, anche anteriormente alla l. n. 183/2010, era possibile argomentare la possibilità del giudizio equitativo, alla luce di una previsione contenuta, in sede generale, nell’art. 808 ter c.p.c. ed applicabile anche all’arbitrato irrituale in materia di lavoro. Ciò, in particolare, sulla base di uno dei motivi di annullabilità elencati nel secondo comma della citata disposizione (e precisa- mente il n. 4, che vuole il dictum impugnabile ove gli arbitri non abbiano osservato le regole poste dalle parti quali condizioni di validità del lodo), che – come riconosciuto in dottrina – consente di attribuire rilevanza non solo al potere delle parti di determi- nare le regole del procedimento ma anche – ed è questa la prospettiva che qui inte- ressa – di assegnare agli arbitri un determinato criterio di giudizio (l’equità piuttosto che il diritto), criterio la cui inosservanza conduce alla caducazione del lodo: così Bia- vati, in Aa.Vv., Arbitrato2, diretto da Carpi, Bologna, 2007, sub art. 808 ter, p. 174; Xxxxxxxx, in Aa.Vv., Commentario breve al codice di procedura civile5, a cura di Carpi e Taruffo, Padova, 2006, sub art. 808 ter, p. 2174; Bove, in Aa.Vv., La nuova disci- plina dell’arbitrato, a cura di Xxxxxxxx, Padova, 2010, sub art. 808 ter, § 5. In tale direzione, quindi, l’art. 808 ter, comma 2o, n. 4, c.p.c. poteva autorizzare l’interprete, già prima del «collegato lavoro», a ritenere che anche per le controversie laburistiche ben potessero esservi spazi per una decisione secondo equità, salvo il rispetto delle norme imperative e dei principi di ordine pubblico.
perplessità per l’inidoneità della riforma a delineare strumenti certi e ben definiti – del regime del lodo il legislatore si è occupato non già dettando all’uopo norme aventi un ambito di applicazione generale (riferibili quanto meno per intero alla species irrituale), ma in modo parcellizzato, inserendo apposite previsioni all’interno di alcune sol- tanto delle fattispecie investite dalla riforma, e precisamente in rela- zione a quei nuovi modelli di arbitrato, cui si è fatto cenno, di cui all’art. 412 c.p.c., di cui all’art. 412 quater c.p.c. e di cui al comma 12o dell’art. 31 l. n. 183/2010 (ma non anche, ad esempio, nell’art. 412 ter c.p.c., pur contestualmente riscritto dalla novella).
Con particolare riferimento ai presupposti per la devoluzione ad arbi- tri delle controversie di lavoro, le innovazioni prodotte dalla l. n. 183/2010 inducono a riconsiderare il «sistema duale» scolpito dall’art. 5, comma 1o,
l. n. 533/1973, il quale, esigendo alternativamente la copertura sindacale ovvero l’esistenza di singole fattispecie arbitrali tipizzate dalla legge per specifiche controversie (85), precludeva la formazione di patti compromis- sori individuali al di fuori dei casi predetti (86).
Infatti, benché rimanga ferma, anche oggi, l’ipotesi dell’autorizza- zione collettiva (87) e benché il citato art. 5, comma 1o, non sia stato direttamente inciso da alcuna delle nuove disposizioni, il baricentro risulta spostato sugli arbitrati di sola fonte individuale (88), che ven-
(85 ) Per questo significato degli arbitrati c.d. «da legge» e per la rilevanza, rispetto ad essi, dell’oggetto della controversia, v. Xxxxx-Xxxxxxxxxx, Il nuovo pro- cesso del lavoro. Commento alla legge 11 agosto 1973, n. 533, Milano, 1974, p. 252.
(86 ) V. supra, in questa parte V, sez. II, n. 1.3.
(87 ) Ciò che si desume, oltre che dalla perdurante vigenza delle disposizioni gene- rali di cui all’art. 5, comma 1o, l. n. 533/1973 e di cui all’art. 806 c.p.c., anche dal novellato testo dell’art. 412 ter c.p.c., nonché dai commi 10o ed 11o dell’art. 31 l. n. 183/2010, i quali ultimi si occupano specificamente della possibilità, prevista dalla contrattazione collettiva, che si pattuiscano clausole compromissorie individuali per liti future ed eventuali, eventualità in relazione alla quale, peraltro, l’autorizzazione sindacale non sembra costituire un presupposto indefettibile ed insuperabile. In pre- senza dell’autorizzazione collettiva, comunque, anche oggi l’opzione in favore dell’ar- bitrato può essere in concreto effettuata dalle parti individuali o con una apposita convenzione basata su una clausola autorizzatoria di fonte sindacale (così Bove, Con- ciliazione e arbitrato nel collegato lavoro, cit., p. 142, che la definisce ipotesi «classica») ovvero mediante adesione alla clausola compromissoria c.d. bilateralmente facoltativa: su tali questioni, v. supra, in questa parte V, sez. II, n. 1.3.
(88 ) La legge del 2010 ha infatti immesso nel sistema una serie di disposizioni che
gono altresì «liberalizzati», oltre che dal «monopolio sindacale», anche dal riferimento a specifiche materie – finora caratterizzante gli arbitrati c.d. «da legge»– ed in relazione ai quali il legislatore si preoc- cupa che la scelta in favore dell’arbitrato sia effettuata preferibilmente a controversia insorta (89) ed entro contesti «protetti» o qualificati, in tesi idonei ad evitare lo squilibrio fra i soggetti del rapporto di lavoro nel momento di formazione della volontà compromissoria e ad assicu- rare la genuinità di quest’ultima (90).
In tale direzione, non sembra si possa pienamente aderire all’affer-
espressamente ammettono arbitrati traenti origine da convenzioni individuali (per lo più a lite insorta), in assenza di una corrispondente clausola collettiva: basti pensare sia all’arbitrato disciplinato dal novellato art. 412 c.p.c. (come risultante dalle modifi- che apportate dall’art. 31, comma 5o, l. n. 183/2010), sia a quello regolato dal nuovo art. 412 quater c.p.c. (per come riscritto dal comma 8o dell’art. 31 l. n. 183/2010), sia a quello svolgentesi innanzi alle camere arbitrali da istituirsi presso gli organi di certifi- cazione, ai sensi del comma 12o del medesimo art. 31 l. n. 183/2010.
(89 ) Tale è la prospettiva su cui espressamente si incentrano i novellati art. 412 e 412 quater c.p.c. La l. n. 183/2010 prende, comunque, altresì espressamente in consi- derazione l’ipotesi, del resto non aliena neppure al previgente sistema, di arbitrati traenti origine da clausole compromissorie individuali stipulate anteriormente all’in- sorgere delle controversie e dunque aventi ad oggetto liti eventuali e future: di tale aspetto si occupano i commi 10o ed 11o dell’art. 31 l. cit. (su cui, v. infra, in questo paragrafo).
(90 ) Come si dirà nel testo, il legislatore immagina che, ai fini della scelta della via arbitrale, tali garanzie ricorrano, in primo luogo, in relazione ai vari «modelli» di arbi- trato di nuova introduzione, e cioè quello disciplinato dall’art. 412 c.p.c., che si confi- gura – e viene dunque scelto dalle parti individuali – quale naturale prosecuzione del tentativo di conciliazione e dunque dinanzi a soggetti non designati ex ante dalle parti in funzione di arbitri ma di conciliatori; l’arbitrato ex art. 412 quater c.p.c., in conside- razione del fatto che il collegio investito della definizione della controversia è compo- sto da soggetti che godono della fiducia delle parti, i cui compensi vengono calmierati dalla legge, e che è presieduto da un terzo arbitro munito di particolare qualifiche professionali (come evidenziato da Vallebona, L’arbitrato irrituale nel sistema del diritto del lavoro dopo la legge n. 183/2010, cit., p. 853); nonché l’arbitrato che le parti vogliano abbia luogo dinanzi alle camere arbitrali istituite presso gli organi di certifi- cazione. Parimenti circondata di cautele, almeno nelle convinzioni del legislatore, messe a punto dopo il rinvio del disegno di legge alle Camere da parte del Presidente della Repubblica, è la devoluzione ad arbitri di controversie eventuali e future nascenti dal rapporto di lavoro (con esclusione tuttavia di quelle relative al licenzia- mento) ai sensi dell’art. 31, comma 10o, ove si prevede che detta tipologia di patto compromissorio debba essere, a pena di nullità, certificata dagli appositi organi di cui all’art. 76 d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 e pattuita dopo un (breve) lasso di tempo rispetto all’inizio del rapporto di lavoro.
mazione dottrinale – che muove dall’esigenza di operare una raziona- lizzazione delle fonti (a fronte del loro guazzabuglio) – secondo cui i nuovi modelli di arbitrato, traenti origine da patti compromissori indi- viduali in difetto di corrispondenti previsioni sindacali, costituiscono altrettante ipotesi di arbitrati irrituali previsti dalla legge (91) nel senso tradizionalmente riconducibile al dettato dell’art. 5, comma 1o, l. n. 533/1973 e dell’art. 806, comma 2o, c.p.c. (92).
A tale riguardo, non si può invero fare a meno di osservare che, per effetto dell’ultima riforma, l’art. 5, comma 1o, risulta svuotato del suo originario significato, giacché i nuovi modelli di arbitrato c.d. «da legge» non sono più delimitati ex ante quanto all’oggetto: non è più, cioè, la materia il criterio guida per ammettere – al di fuori della pre- costituzione collettiva – l’arbitrato, quanto piuttosto la previsione di un apposito contesto per la formazione dell’accordo compromissorio e/o per il procedimento arbitrale nonché di determinate forme per il suo svolgimento (93), l’uno e le altre ritenuti dal legislatore adeguata-
(91 ) Sul punto, già durante i lavori preparatori della riforma, Zucconi Xxxxx Xxxxxxx, L’arbitrato nelle controversie di lavoro: bilancio e prospettive di riforma, cit.,
p. 580 e Xxxxxxx, Le fonti degli arbitrati in materia di lavoro, cit., p. 361, i quali al cospetto dei d.d.l. evidenziavano la proliferazione problematica degli arbitrati di lavoro ex lege; e, alla luce della promulgata novella, fra gli altri, Borghesi, Gli arbi- trati in materia di lavoro, cit., p. 651; Bove, ADR nel c.d. collegato lavoro, cit., § 5; De Cristofaro, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (ADR) nel con- tenzioso del lavoro: conciliazione facoltativa ed arbitrato liberalizzato, cit., p. 63; Don- zelli, La risoluzione arbitrale delle controversie di lavoro, cit., p. 111 ss.; Xxxxxx, La nuova disciplina della conciliazione e dell’arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., p. 274.
(92 ) L’art. 806 c.p.c. quale norma generale sull’arbitrabilità è di applicazione necessaria anche all’arbitrato irrituale: in proposito ci si permette di rinviare a Ber- toldi, in Aa.Vv., Commentario breve al diritto dell’arbitrato, a cura di Xxxxxxxxxxxx, Xxxxxxx e Radicati di Brozolo, cit., sub art. 808 ter, p. 77.
(93 ) Per effetto della l. n. 183/2010 sembra essere altresì mutato il regime di deducibilità dell’inosservanza dei presupposti, diversi da quello della disponibilità del diritto, per l’arbitrabilità della controversia: nel momento, infatti, in cui la devolu- zione ad arbitri delle controversie non necessita, a monte, della previsione sindacale, ma viene facoltizzata da disposizioni di legge (quelle introdotte dall’art. 31 l. n. 183/ 2010) che la ancorano all’osservanza di determinate discipline relative al contesto di formazione della volontà compromissoria, alla qualità degli arbitri, ad una determi- nata regolamentazione procedimentale, risulta difficile – a fronte di arbitrati di sola fonte individuale che abbiano violato tali previsioni – invocarne la sanzionabilità, sub specie di vizio di incompromettibilità, secondo il regime della nullità assoluta del lodo:
mente garantisti per la parte debole del rapporto, ma non esenti da profili problematici (94).
Con riferimento poi alla disciplina della convenzione di arbitrato, la novella del 2010, nel testo definitivamente approvato, conserva quell’impostazione «bifronte» che emergeva dai suoi lavori prepara- tori: da un lato, infatti, a fronte del tenore degli artt. 412 e 412 quater c.p.c., sembrerebbe che il legislatore abbia accordato sicura prefe- renza ad accordi conclusi dalle parti individuali post litem; dall’altro lato, i commi 10o ed 11o dell’art. 31 rivelano invece il proposito (peraltro non pienamente tradotto in norma di legge) di potenziare, rispetto al passato, la stipulazione di xxxxx compromissori per contro- versie eventuali e future nascenti dal rapporto di lavoro, rendendo a tal fine non indefettibile la preventiva autorizzazione collettiva (95).
Con riferimento alla prima linea di tendenza, le disposizioni della
l. n. 183/2010 configurano, in particolare, accordi a formazione pro- gressiva (che si può osare di qualificare, anche per le ricadute applica- tive, clausole compromissorie irrituali per controversie già sorte) (96), per i quali sembra sufficiente il rispetto della forma scritta ad probatio- nem tantum (ossia in funzione ricognitiva di una volontà eventual-
si potrebbe piuttosto immaginare una rilevanza di tali violazioni nell’ambito del- l’azione di annullabilità di cui all’art. 808 ter, comma 2o, c.p.c. (assoggettata peraltro al termine breve di trenta giorni dalla sottoscrizione del lodo, di cui al comma terzo dell’art. 412 c.p.c.).
(94 ) Per una breve sintesi, cfr. infra, in questa parte V, sez. II, n. 1.6.
(95 ) Come si è detto (v. supra, in questa parte V, sez. II, n. 1.3), fino alla l. n. 183/ 2010, la possibilità di stipulare clausole compromissorie individuali per controversie future – già desumibile dal testo dell’art. 808, comma 2o, c.p.c. non ancora sostituito dal d.lgs. n. 40/2006 – era principalmente ammessa in presenza di una corrispondente previsione della contrattazione collettiva, laddove le fattispecie di arbitrati c.d. «da legge» (con la sola eccezione, forse, dell’art. 7, ult. comma, l. n. 604/1966) prefigura- vano convenzioni arbitrati a controversia insorta. La clausola compromissoria indivi- duale non era peraltro destinataria di una specifica disciplina (all’infuori della commi- natoria di nullità stabilita, sempre anteriormente al d.lgs. n. 40/2006 in relazione alla species rituale, per quelle clausole sia di fonte sindacale che individuale che avessero autorizzato gli arbitri a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile).
(96 ) Nel senso illustrato in dottrina da Xxxxxxx, La nozione di clausola compromis- xxxxx, cit., passim; Id., in Aa.Vv., Codice di procedura civile commentato4, diretto da Xxxxxxx, III, cit., sub art. 808, p. 1589: v. supra, in questa parte V, sez. II, n. 3, nota 48.
mente già manifestata anche attraverso comportamenti concludenti delle parti) (97): tanto si ricava dal novellato art. 412 c.p.c., ove l’arbi- trato si atteggia a naturale prosecuzione della precedente fase concilia- tiva, innanzi agli stessi componenti della commissione, quasi senza soluzione di continuità (e senza necessità che l’opzione in favore del- l’arbitrato si formalizzi in un patto compromissorio contestualmente sottoscritto dalle parti); e soprattutto dall’art. 412 quater c.p.c., ove il consenso in favore della risoluzione arbitrale della lite risulta dallo scambio di atti inter partes (il ricorso introduttivo dell’attore e l’atto di nomina dell’arbitro per il convenuto) (98).
(97 ) Si può osservare che l’art. 412 (al pari dell’art. 412 quater) c.p.c. non si sof- ferma sui requisiti formali dell’accordo arbitrale e lascia intuire che in tale modello di arbitrato la volontà compromissoria si manifesti dai concreti comportamenti posti in essere dalle parti innanzi alla commissione di conciliazione e possa poi risultare da atti successivi, aventi una funzione ricognitiva. Quest’ultima caratteristica ha indotto alcuni commentatori a ravvisare, in relazione alla citata disposizione, come pure con riferimento all’art. 412 quater c.p.c., la positivizzazione di una nuova figura di com- promesso, diversa da quella tradizionale per la quale l’art. 807 c.p.c. richiede la forma scritta ad substantiam ed altresì diversa da quella ex art. 808 ter c.p.c.: così Bove, Con- ciliazione e arbitrato nel collegato lavoro, cit., p. 144 ss. Peraltro, sulla base di un’impo- stazione emersa alla luce della l. n. 25/1994 e consolidatasi con il d.lgs. n. 40/2006 – secondo la quale, da un lato, l’autentica distinzione tra compromesso e clausola com- promissoria risiede non già nel profilo temporale di insorgenza della controversia, bensì nella relatio ad un contratto (così da ricomprendere nella nozione di clausola compromissoria tutte le controversie comunque nascenti dal contratto: non necessa- riamente eventuali e future, ma anche già sorte) e, dall’altro, per la seconda (ossia per la clausola compromissoria) sarebbe sufficiente, ai sensi dell’art. 808 c.p.c., la forma scritta ad probationem tantum (cfr. Xxxxxxx, op. loc. ult. cit.) – si potrebbe concludere che le previsioni di cui all’art. 412 (come pure quelle ex art. 412 quater c.p.c.) appaiono da questo punto di vista compatibili con il sistema del codice di rito. A que- ste considerazioni si può poi aggiungere che l’art. 808 ter c.p.c., quale norma generale da coordinare con le previsioni settoriali dedicate all’arbitrato irrituale, non sembra, del resto, esigere la forma scritta ad substantiam per la manifestazione della volontà compromissoria (per la quale potrà anche bastare il requisito di cui all’art. 808 c.p.c.), bensì per la scelta in favore della natura irrituale dell’arbitrato, natura che, invece, nello speciale modello ex art. 412 c.p.c. (come in quello ex art. 412 quater c.p.c.) non deriva da un’opzione delle parti, ma è prevista dalla legge.
(98 ) Si deve notare che, sebbene il nuovo testo dell’art. 412 quater c.p.c. men- zioni solo l’ipotesi in cui la parte convenuta, intendendo accettare la procedura di conciliazione e arbitrato, proceda alla nomina del proprio arbitro, non può revocarsi in dubbio che, se detta parte non accetta la devoluzione ad arbitri della controversia, l’arbitrato non è possibile: così Xxxxxxxxxx, La deroga alla giurisdizione, cit., § 3e –
Ma, come si è detto, la riforma si occupa altresì dell’ipotesi di accesso all’arbitrato a lite non ancora insorta, ossia mediante patto compromissorio concernente le controversie eventuali e future nascenti dal rapporto di lavoro, ipotesi cui viene appositamente dedi- cata la disciplina di cui all’art. 31, commi 10o ed 11o, l. cit., ritoccata durante l’iter parlamentare – anche in conseguenza del rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica (99) – ma probabil- mente destinata per il suo concreto contenuto a lasciare insoddisfatti sia i fautori del rafforzamento del vincolo compromissorio ante litem, sia coloro che quest’ultimo paventano in ragione delle esigenze di pro- tezione nei confronti del lavoratore.
A tale riguardo, la disciplina risultante dal testo definitivo della legge si snoda attorno a linee in parte contraddittorie, in parte non pienamente idonee a realizzare l’uno piuttosto che l’altro scopo: da un lato, infatti, sono previsti tutta una serie di puntelli per circostanziare la manifestazione della volontà compromissoria, dall’altro gli stessi appaiono superabili o comunque non pienamente garantisti (100).
Il comma 10o – che nel suo incipit sembra operare una delimita- zione a due soltanto dei modelli di arbitrato (ossia a quelli ex artt. 412 e 412 quater c.p.c.) delle regole che esso ed il successivo 11o comma si apprestano ad enunciare (101) – stabilisce che le parti individuali pos- sono pattuire clausole compromissorie aventi ad oggetto controversie
come osserva Xxxxx Xxxxxx, Un primo sguardo all’arbitrato nel collegato lavoro, cit.,
§ 3 – colui al quale è recapitato il ricorso non ha che da serbare, in questo caso, il silenzio.
(99 ) Cfr. la ricostruzione dei vari passaggi e delle relative modifiche svolta da
Xxxxxxxx, Gli arbitrati in materia di lavoro, cit., p. 655 ss.
(100 ) Per analoghi rilievi, cfr. Xxxxx, L’arbitrato per la soluzione delle controversie di lavoro, cit., p. 13; Vallebona, L’arbitrato irrituale nel sistema del diritto del lavoro dopo la legge n. 183/2010, cit., p. 854.
(101 ) La disposizione peraltro non sembra poter essere interpretata né nel senso che la clausola compromissoria individuale per controversie anche eventuali e future sia oggi ammessa solo in relazione a tali modelli (analogamente Bove, Conciliazione e arbitrato nel collegato lavoro, cit., p. 141 s.) né nel senso che le regole contenute nel comma 10o si riferiscano soltanto a tali tipologie arbitrali, essendo preferibile ritenere, per omogeneità di disciplina, che i «puntelli» in esso stabiliti siano valevoli ogni qual- volta si intenda oggi manifestare la scelta in favore dell’arbitrato a controversia non ancora insorta (quindi anche in relazione agli arbitrati di cui all’art. 412 ter c.p.c. e di cui al comma 12o, l. n. 183/2010).
eventuali e future solo al ricorrere delle seguenti condizioni: a) che ciò sia previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni mag- giormente rappresentative (102); b) che la clausola venga, a pena di nul-
(102 ) A questo riguardo, si richiama l’accordo stipulato il 6 aprile 2011, tra la CONFCOMMERCIO e la FISASCAT-CISL, la FILCAMS-CGIL, la UILTUCS-UIL per il settore del commercio e del terziario (ma nella parte che interessa non sotto- scritto dalla FILCAMS-CGIL, rimasta estranea all’accordo del 26 febbraio 2011 con il quale si era prevista la disciplina dell’arbitrato in sede sindacale e l’autorizzazione a stipulare clausole compromissorie individuali, poi recepita nel testo del 6 aprile 2011) che agli artt. 38 e 38 bis contiene disposizioni attuative dell’art. 412 ter c.p.c. e dell’art. 31, comma 10o, l. n. 183/2010, che qui si riportano:
«Art. 38 – Collegio arbitrale. – Ai sensi dell’art. 412 ter c.p.c., le parti possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando al collegio arbitrale di cui al presente articolo il mandato a risolvere la controversia.
A tal fine, è istituito a cura delle Associazioni Territoriali, aderenti alle organizza- zioni stipulanti, un Collegio di arbitrato che dovrà pronunciarsi sulle istanze previste al precedente primo comma.
Il Collegio di arbitrato competente è quello del luogo in cui si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore.
L’istanza della parte, sarà presentata, attraverso l’organizzazione cui la parte stessa aderisce e/o conferisce mandato, alla Segreteria del Collegio di arbitrato e con- temporaneamente all’altra parte. L’istanza sottoscritta dalla parte promotrice sarà inoltrata, a mezzo raccomandata A/R o raccomandata a mano. L’altra parte è tenuta a manifestare la propria eventuale adesione al Collegio arbitrale entro il termine di 15 giorni dal ricevimento dell’istanza, con facoltà di presentare contestualmente o fino alla prima udienza uno scritto difensivo. Entrambe le parti possono manife- stare la propria volontà di rinunciare alla procedura arbitrale con dichiarazione scritta da recapitare alla segreteria del Collegio fino al giorno antecedente alla prima udienza.
Il Collegio è composto da tre membri, uno dei quali designato dalla organizza- zione imprenditoriale della Confcommercio territorialmente competente, un altro designato dalla organizzazione sindacale territoriale FILCAMS, FISASCAT e UIL- TUCS a cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato, un terzo con funzioni di Presidente, nominato di comune accordo tra le organizzazioni di rappresentanza delle parti della controversia.
I due membri designati in rappresentanza di ciascuna delle parti possono coinci- dere con coloro che hanno esperito la conciliazione nell’interesse delle stesse parti.
In caso di mancato accordo sulla designazione del Presidente del Collegio, que- st’ultimo verrà sorteggiato tra i nominativi compresi in una apposita lista di nomi non superiori a sei, preventivamente concordata o, in mancanza di ciò, sarà designato, su richiesta di una o di entrambe le organizzazioni predette, dal Presidente del tribunale competente per territorio.
II Presidente del Collegio nominato di comune accordo dura in carica un anno ed
è rinnovabile.
Il Presidente del Collegio, ricevuta l’istanza provvede a fissare entro 15 giorni la
lità (103), certificata ai sensi del d.lgs. n. 276/2003 dagli appositi orga-
data di convocazione del Collegio il quale ha facoltà di procedere ad una fase istrutto- ria secondo modalità che potranno prevedere:
a) l’interrogatorio libero delle parti e di eventuali testi;
b) l’autorizzazione al deposito di documenti, memorie e repliche a cura delle parti o dei procuratori di queste;
c) eventuali ulteriori elementi istruttori.
Il Collegio emetterà il proprio lodo entro 45 giorni dalla data della prima riu- nione, dandone tempestiva comunicazione alle parti interessate, salva la facoltà del Presidente di disporre una proroga fino ad un massimo di ulteriori 15 giorni, in rela- zione a necessità inerenti lo svolgimento della procedura.
I compensi per gli arbitri saranno stabiliti in misura fissa. La Segreteria del Colle- gio è istituita presso l’Ente Bilaterale.
Le parti si danno atto che il Collegio arbitrale ha natura irrituale ed è istituito ai sensi e per gli effetti della legge 4/11/2010 n. 183, e svolge le proprie funzioni sulla base di apposito Regolamento.
Al lodo arbitrale si applicano le disposizioni contenute nei commi 3 e 4 dell’art. 412 c.p.c. relative all’efficacia ed all’impugnabilità del lodo stesso. In via transitoria e comunque non oltre 6 mesi dalla sottoscrizione del presente accordo di rinnovo, il Collegio Arbitrale, attivato in virtù di clausole compromissorie pattuite ai sensi art. 38 bis, opererà secondo le modalità di cui all’art. 412 quater c.p.c. Conseguentemente in tale periodo, al fine di dare piena attuazione alle disposizioni contenute nell’art. 31, comma 10, della legge n. 183/2010, le Parti concordano di avviare specifici approfon- dimenti per assicurarne la piena operatività.
(...)
Le parti convengono che le procedure di cui al presente articolo avranno decor- renza a far data dalla sottoscrizione del presente accordo di rinnovo, fatti salvi gli accordi già in atto in materia.
Art. 38 bis – Clausola Compromissoria. – Ai sensi dell’art. 31 comma 10, della Legge n. 183/2010, le parti concordano la possibilità di pattuire nell’ambito dei con- tratti individuali di lavoro clausole compromissorie per la devoluzione in via preven- tiva al collegio arbitrale, di cui l’art. 38, delle possibili controversie derivanti dal rap- porto di lavoro, con esclusione dei licenziamenti, degli infortuni e delle malattie pro- fessionali, del mobbing, delle molestie sessuali e degli istituti di cui alla sezione IV, titolo V, capo IX.
La clausola di cui al primo comma non può essere pattuita e sottoscritta prima della conclusione del periodo di prova, ove previsto, ovvero se non siano trascorsi almeno 30 giorni dalla data di stipulazione del contratto di lavoro, in tutti gli altri casi, nonché dalle lavoratrici dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino.
La clausola compromissoria sarà valida solo se preventivamente certificata».
(103 ) Nullità che può senz’altro inficiare il lodo reso in difetto di tale condizione ed assurgere a motivo di impugnazione dello stesso, ma che, quanto alla sua deducibi- lità, sembrerebbe dover essere assoggettata alla disciplina degli artt. 817 e 829, num. 1, c.p.c. per la species rituale e agli artt. 808 ter, comma 2o, num. 1, c.p.c. in caso di
nismi di certificazione, i quali debbono accertare l’effettiva volontà delle parti di scegliere l’arbitrato quale strumento di risoluzione della controversia, potendo in tal sede le parti farsi assistere da legali di fiducia o rappresentanti delle organizzazioni sindacali; c) che la clau- sola non abbia ad oggetto le controversie relative alla risoluzione del rapporto di lavoro (potendo, invece, le stesse essere devolute in arbi- trato a lite insorta); d) che la clausola sia stipulata solo dopo che sia concluso il periodo di prova ovvero, ove esso non sia previsto, quando siano decorsi trenta giorni dalla sottoscrizione del contratto.
In proposito, oltre ad essere intuitivo che la predetta indicazione temporale per la stipulazione della clausola non garantisce comunque che la scelta per l’arbitrato avvenga senza che il lavoratore sia scevro da condizionamenti o forme di pressione o di sudditanza psicologi- ca (104) e a potersi rilevare che gli organismi di certificazione non potranno comunque svolgere accertamenti in ordine alla genuinità della formazione della volontà compromissoria (105), si può altresì osservare che il successivo comma 11o rischia di svuotare anche la prima delle menzionate condizioni, ossia la c.d. copertura sindacale, essendo ivi previsto il potere, per così dire sostitutivo, del Ministro del lavoro, una volta decorsi dodici mesi dall’entrata in vigore della novella senza che siano stati stipulati accordi interconfederali o con- tratti collettivi, di convocare le parti sociali e, quindi, in caso di man- cata perdurante stipulazione degli stessi entro i sei mesi successivi, di stabilire, con proprio decreto, le modalità in base alle quali le disposi- zioni di cui al comma 10o possano trovare attuazione.
1.6. – La pluralità di modelli procedimentali risultanti dalla novella del
arbitrato irrituale (in argomento, ci si permette di rinviare alle considerazioni svolte in Aa.Vv., Commentario breve al diritto dell’arbitrato, a cura di Xxxxxxxxxxxx, Xxxxxxx e Radicati di Brozolo, cit., sub art. 808 ter, p. 91 ss.). In senso difforme, per la non necessarietà della formulazione della relativa eccezione nella prima difesa apud arbi- tros Bove, ADR nel c.d. collegato lavoro, cit., § 4.
(104 ) Così egualmente Xxxxxxxx, Gli arbitrati in materia di lavoro, cit., p. 657 s.
(105 ) Gli organismi di certificazione non potranno che svolgere, in buona sostanza, un’attività di attestazione delle dichiarazioni delle parti, senza poter, di certo, garantire l’intrinseca genuinità ed integrità della volontà delle stesse. In argo- mento, cfr. Auletta, Le impugnazioni del lodo nel «Collegato lavoro» (L. 4 novembre 2010, n. 183), cit., § 7; Xxxxx, L’arbitrato, cit., p. 73 s.
2010. Spiragli per il giudizio secondo equità. – Quale perno della riforma sono stati fissati, come si è detto, una serie di modelli (106), principalmente afferenti alla species irrituale, i quali, al di là di quei tratti comuni che sopra si è cercato di enucleare come diretta espres- sione delle ispirazioni sottese alla riforma, appaiono tuttavia assogget- tati a regole differenziate quanto alla forma del patto compromissorio, alla designazione degli arbitri, al procedimento e non tutti esattamente allineati dal punto di vista del regime dei rispettivi lodi.
Peraltro la disciplina dettata – in taluni casi incisiva (art. 412 c.p.c.), se non minuziosa (art. 412 quater c.p.c.), in altri solo embrio- nale (artt. 412 ter c.p.c.; art. 31, comma 12o, l. n. 183/2010) – non sempre fornisce certezze sulle modalità di concreto funzionamento di tali strumenti né sulle effettive speranze di impiego degli stessi.
a) Il legislatore ha in primo luogo introdotto, nel riformulato testo dell’art. 412 c.p.c., una nuova modalità di arbitrato irrituale (107) che si instaura, per iniziativa diretta delle parti individuali, dinanzi alla stessa commissione già incaricata di tentare la conciliazione (108), in qualun- que fase di quest’ultima ovvero dopo il suo infruttuoso esperimen- to (109), e rispetto al quale la norma in parola presuppone, dunque,
(106 ) Sia al cospetto dei testi preparatori della riforma che a fronte del dettato del- l’art. 31 l. n. 183/2010, la dottrina ha posto in luce l’attuale esistenza di quattro o cin- que modelli di arbitrato: cfr., senza pretese di esaustività, Zucconi Xxxxx Xxxxxxx, L’arbitrato nelle controversie di lavoro: bilancio e prospettive di riforma, cit., p. 580 ss; Xxxxxxx, Le fonti degli arbitrati in materia di lavoro, cit., p. 360 s.; Xxxxx, Il processo civile2, III, cit., p. 293 ss.; Id., L’arbitrato per la soluzione delle controversie di lavoro, cit., p. 11; Xxxxxxxx, Gli arbitrati in materia di lavoro, cit., p. 651; Xxxx, ADR nel
c.d. collegato lavoro (prime riflessioni sull’art. 31 della legge 4 novembre 2010 n. 183),
§§ 4e 5; Xxxxxx, La nuova disciplina della conciliazione e dell’arbitrato nelle contro- versie di lavoro, cit., p. 274 ss. V. anche supra, parte III, sez. IV, n. 1.6.
(107 ) V. supra, nota 79.
(108 ) Pare condivisibile l’opinione di quanti non ravvisano concreti rischi per l’imparzialità ed equidistanza di un collegio che ha già conosciuto gli elementi della controversia, tentando la conciliazione e che poi decide la stessa: cfr. De Cristofaro, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (ADR) nel contenzioso del lavoro, cit., p. 63, nota 26; Xxxxx, L’arbitrato, cit., p. 58 s. Su tale questione, anche in prospettiva comparatistica, x. Xxxxxxxxx, «Nessuno può servire a due padroni?» Riflessioni sul mediatore che diventa arbitro, in Aa.Vv., Materiali e commenti sulla mediazione civile e commerciale, a cura di Xxxxxxx, Xxxx, 0000, p. 143 ss.
(109 ) Sottolinea Licci, op. loc. cit., che ai sensi della disposizione in esame la con- ciliazione non è condizione di procedibilità, ma di opportunità dell’arbitrato.
che la volontà compromissoria venga a manifestarsi post litem (essen- do, peraltro, espressamente fatta salva, in relazione a tale modello, l’applicazione dei commi 10o ed 11o dell’art. 31, l. n. 183/2010) (110).
Come già si è anticipato, ciò che connota tale modello di arbitrato è, da un lato, l’espresso riconoscimento del ricorso all’equità, preve- dendosi, infatti, che le parti, nel conferire mandato agli arbitri, pos- sano loro somministrare tale criterio di giudizio (111); e, dall’altro, il peculiare trattamento processuale cui è sottoposto il lodo (112), quanto a esecutività ed impugnazioni, trattamento che – come nella tradizione dell’istituto maturata già con le duplice novella del 1998 – deflette da quello previsto (attualmente dall’art. 808 ter c.p.c.) per tutti gli altri lodi irrituali.
Con particolare riferimento alla decisione secondo equità, all’esito dell’iter parlamentare, il legislatore, in linea con passati interventi legi- slativi relativi al regime delle sentenze del conciliatore, con gli approdi della Corte costituzionale (con la pronuncia n. 206/2004) nonché con la più recente modifica dell’art. 339 c.p.c., si è fatto carico di aggiun- xxxx che essa debba avvenire nel rispetto non solo dei principi generali dell’ordinamento, ma anche dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari (113). Tale precisazione – che consente di escludere in radice ogni tentativo di ridurre l’equità ad un che di meramente soggettivo e che, anzi, la radica necessariamente nel diritto (114) – ha peraltro indotto a chiedersi se, in concreto, in una
(110 ) Su cui v. infra, in questo paragrafo.
(111 ) Con la conseguenza che l’inosservanza del criterio di giudizio conduce all’invalidità del lodo ai sensi dell’art. 808 ter, comma 2o, n. 4, c.p.c. Inosservanza che, peraltro, si determinerà non semplicemente quando gli arbitri richiesti di giudicare secondo equità abbiano applicato le norme di diritto (dal momento che, del resto, l’equità non è aliena dal diritto e che è sempre dalle norme di diritto che il giudizio equitativo prende le mosse) ma allorché gli stessi non abbiano motivato le ragioni per le quali la fattispecie astrattamente considerata dal legislatore offra la soluzione più equa nel caso specifico.
(112 ) Su cui v. infra, in questa parte V, sez. II, n. 1.7.
(113 ) Principi che ovviamente debbono osservarsi anche in caso di giudizio secondo diritto e la cui violazione inficia il lodo: cfr. Xxxxxxxx, Gli arbitrati in mate- ria di lavoro, cit., p. 672.
(114 ) Per tali osservazioni, cfr. Xxxxxxxxxx, Il difensore ed il giudizio di equità, in Giust. civ., 1992, II, p. 465 ss., spec. p. 470 ss.; nonché Id., Conclusioni, cit., p. 389, secondo il quale l’equità si configura come deviazione, per specifiche peculiarità del
materia come quella di lavoro, prevalentemente permeata da norme di legge inderogabili, la necessaria osservanza dei detti principi regolatori richiesta agli arbitri di equità finisca per imporre il rispetto di tali norme inderogabili e comporti quindi, ex post, a lodo pronunciato, la sicura sindacabilità della decisione sotto tale profilo (esito che la novella vuole evitare) (115).
Peculiare e problematica, è poi la previsione, del pari contenuta nell’art. 412 c.p.c., la quale, nel fissare in sessanta giorni il termine per l’emanazione del lodo (116), si affretta ad aggiungere che oltre il sud- detto limite temporale «l’incarico deve intendersi revocato». La rigi- dità di una siffatta disciplina stride con quel minimo di duttilità che dovrebbe riconoscersi e che ci si attende dallo strumento arbitrale, ragion per cui, al cospetto della norma, sono già stati proposti alcuni temperamenti, consistenti nel riconoscimento alle parti del potere di concordemente prorogare, per iscritto, il termine (117) ovvero di invo- care l’applicazione analogica dell’art. 821 c.p.c. (118).
b) Un secondo modello di arbitrato, previsto nel riformulato testo del- l’art. 412 quater c.p.c., ed avente natura irrituale (119), è quello che le parti individuali possono promuovere, a controversia insorta (salve anche
caso di specie non dalle regole legali, ma dalle conseguenze e dagli effetti che da dette regole discendono.
(115 ) In senso affermativo, Xxxxxxxxxx, Xx xxxxxx xxxx xxxxxxxxxxxxx, xxx., § 0; Tiscini, Nuovi disegni di legge, cit., p. 379; Donzelli, La risoluzione arbitrale delle controversie, cit., p. 132 ss. Non si può peraltro tacere, sia pure con qualche dubbio, che – ad avviso di altra parte della dottrina – la censurabilità ex post del dictum per violazione delle norme inderogabili (sia per il lodo di equità che per quello di diritto) appare esclusa alla luce di quanto stabilito nel comma 3o dell’art. 412 c.p.c., che opera una relatio all’art. 2113, comma 4o, c.c. (chiaramente entro i limiti in cui detta relatio valga a rendere inattaccabile il lodo, ossia, al più, in relazione ai diritti già sorti; in argomento v. infra nel testo): così Xxxxxxxx, Gli arbitrati in materia di lavoro, in Aa.Vv., Il diritto processuale del lavoro, a cura di Vallebona, cit., p. 674.
(116 ) Xxxxxxx che, secondo una parte della dottrina, non ammetterebbe deroghe né proroghe: Xxxxxxxx, Gli arbitrati in materia di lavoro, cit., p. 666; Auletta, Le impugnazioni del lodo nel «Collegato lavoro» (L. 4 novembre 2010, n. 183), cit., § 2.
(117 ) Xxxxx, L’arbitrato, cit., p. 61.
(118 ) Xx Xxxxxxxxxx, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (ADR) nel contenzioso del lavoro, cit., p. 64, il quale prospetta, quindi, che la scadenza possa perdere rilievo quale causa di invalidità del lodo in caso di mancata notifica della dichiarazione di decadenza.
(119 ) V. supra, nota 79.
in questo caso la previsioni di cui ai citati commi 10o ed 11o), investen- do un apposito collegio «di conciliazione ed arbitrato», che il legislatore vuole composto di tre membri (120), con presidente da scegliersi tra i pro- fessori universitari di materie giuridiche o tra gli avvocati ammessi al patro- cinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, e per il quale viene predetermi- nata la misura percentuale dei compensi. Detto modello arbitrale risulta assoggettato ad una disciplina piuttosto particolareggiata – non priva comunque di alcune aporie, subito evidenziate dai commentatori (121) – consistente in un scambio cadenzato di atti (122).
Anche rispetto a tale modello, il legislatore si è fatto carico, con formule identiche a quelle utilizzate in relazione all’arbitrato ex art. 412 c.p.c., sia di prevedere espressamente la possibilità di giudizio equitativo sia di disciplinare il regime del lodo.
(120 ) Con riferimento ai due arbitri, designati uno da ciascuna parte, la norma parla impropriamente di «rappresentanti» e con disposizione egualmente suscettibile di critica prevede che «ciascuna parte provvede a compensare l’arbitro da essa nomi- nato».
(121 ) Basti già solo pensare ai seguenti profili, ossia che: a) non è previsto un ter- mine entro il quale la parte convenuta debba effettuare la nomina del proprio arbitro di parte né che questa debba essere notificata all’attore, limitandosi la disposizione a prevedere, con evidente omissione di tale passaggio intermedio, che entro trenta giorni dalla notifica del ricorso i due arbitri nominati dalle parti debbono effettuare la designazione del terzo arbitro; b) pur trattandosi di un arbitrato fortemente proces- sualizzato, sottoposto ad una disciplina didascalica e costellata di termini, il legisla- tore, in modo del tutto asimmetrico ed irragionevole, mentre prescrive l’assistenza tecnica per il convenuto (stabilendo che la sua memoria difensiva sia sottoscritta da un avvocato cui abbia conferito mandato), non stabilisce nulla di simile in relazione all’attore. Per tali rilievi, cfr. Xxxxx Xxxxxx, Un primo sguardo all’arbitrato nel colle- gato lavoro, cit., §3; Xxxxx, L’arbitrato, cit., p. 66; Xxxxxxxx, Gli arbitrati in materia di lavoro, cit., p. 664 ss.
(122 ) Il procedimento ha inizio con la notifica del ricorso da parte dell’attore, cui segue l’atto col quale il convenuto nomina il proprio arbitro (per il quale non è previ- sto termine) e continua, dopo la costituzione del collegio e la scelta della sede dell’ar- bitrato, col deposito (entro trenta giorni da tale scelta) della memoria difensiva del convenuto – cui è affidata la formulazione di difese, eccezioni e domande riconvenzio- nali – e quindi (nei successivi dieci giorni) di una replica dell’attore senza possibilità di modificare il ricorso e poi ancora (nei successivi dieci giorni) di una controreplica del convento, senza possibilità di modificare il contenuto della memoria difensiva; entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito di quest’ultimo atto ha luogo l’udienza dinanzi al collegio, che prevede una prima fase per l’esperimento del tentativo di conciliazione. Entro venti giorni da tale udienza scade, infine, il termine per il deposito del lodo.
c) Ben più laconico è stato il legislatore con riferimento all’ulte- riore forma di arbitrato menzionata nel comma 12o del medesimo art. 31 l. n. 183/2010. Si tratta di un arbitrato irrituale, come si desume dal rinvio alla disciplina di cui all’art. 808 ter c.p.c., disciplina che sarà in concreto integrata dai regolamenti delle camere arbitrali istituite dagli organi di certificazione, presso le quali detto modello è deputato a svolgersi (123). Il trattamento processuale del lodo conclusivo di tale procedimento è assimilato dal legislatore, in forza del rinvio ai commi 3o e 4o dell’art. 412 c.p.c., a quelli previsti per i due sopradescritti modelli.
d) Modalità, invece, già conosciuta nel previgente sistema è quella indicata nel modificato, ed alleggerito, testo dell’art. 412 ter
c.p.c. (124), il quale si riferisce alle ipotesi di conciliazione ed arbitrato (rituale o irrituale) (125), che si svolgono in sede sindacale rispetto alle
(123 ) Per quanto concerne le forme con le quali le controversie possono essere devolute alla decisione delle camere arbitrali, la dottrina (cfr. Bove, Conciliazione e arbitrato nel collegato lavoro, cit., p. 145, nota 26) ha evidenziato che ciò possa avve- nire in forza di un’apposita convenzione di arbitrato stipulata a controversia insorta, ovvero di accordo maturato nel corso o al fallito esito della conciliazione tentata innanzi agli stessi organi di certificazione ovvero in forza di clausola compromissoria individuale ai sensi dell’art. 31, commi 10o ed 11o, l. cit.
(124 ) Detta norma, svuotata oggi del suo originario contenuto, si limita a preve- dere che la conciliazione e l’arbitrato, nelle materie di cui all’art. 409 c.p.c. «possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sot- toscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative».
(125 ) Si tratta di un modello arbitrale che, stante l’assenza nella nuova formula- zione dell’art. 412 ter c.p.c. di chiari indici in favore dell’irritualità, può avere tanto natura rituale quanto irrituale e che, al cospetto dell’art. 808 ter c.p.c., potrà in con- creto assumere la seconda qualificazione solo in presenza di un’espressa manifesta- zione delle parti in tal senso. Che detto modello possa rivestire l’una o l’altra qualifica- zione è riconosciuto è opinione maggioritaria fra i commentatori della novella: in tal senso Punzi, L’arbitrato per la soluzione delle controversie di lavoro, cit., p. 12; Auletta, Le impugnazioni del lodo nel «Collegato lavoro» (L. 4 novembre 2010, n. 183), cit., § 5, testo e nota 21; Xxxxx, L’arbitrato, cit., p. 64. In senso contrario De Xxxxxxxxxx, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (ADR) nel con- tenzioso del lavoro: conciliazione facoltativa ed arbitrato liberalizzato, cit., p. 69, in base all’argomento, secondo il quale l’ultimo comma dell’art. 2113 c.c. – anch’esso modifi- cato dalla riforma – opera un rinvio (oltre che agli artt. 412 e 412 quater c.p.c.) anche all’art. 412 ter c.p.c.: argomento che sembra peraltro superabile ove si consideri che l’art. 2113, ult. cpv., c.c. si occupa della stabilità delle conciliazioni che possono essere raggiunte in ciascuna delle sedi ivi menzionate.
quali l’opzione individuale trova fondamento nelle previsioni dei con- tratti o accordi collettivi (126) e che questi ultimi possono senz’altro liberamente disciplinare quanto alla scelta degli arbitri, alle forme del procedimento, al termine per la pronuncia del lodo (127).
1.7. – Il (non risolto dilemma del) trattamento processuale dei lodi in mate- ria di lavoro. – Si è già detto che l’aspetto in relazione al quale veniva invo- cato, durante la gestazione dell’ultima riforma, un intervento sicuro e riso- lutivo era proprio il trattamento processuale del lodo.
Peraltro, rispetto a tutte le questioni e i contrasti palesatisi alla luce dei pregressi interventi normativi, il legislatore sembra essersi concen- trato principalmente su un aspetto, quello relativo all’ambito di sinda- cabilità del dictum irrituale.
(126 ) In relazione alla portata delle previsioni sindacali e alla manifestazione della volontà compromissoria individuale, cfr. supra, n. 1.3. Nel caso in cui l’opzione indivi- duale abbia ad oggetto controversie eventuali e future nascenti dal contratto di lavoro, che le parti vogliano siano decise all’esito di arbitrati previsti dalla contrattazione col- lettiva e destinati a svolgersi in sede sindacale ai sensi dell’art. 412 ter c.p.c., sembre- rebbe che la disciplina della relativa clausola compromissoria sia quella di cui ai commi 10o ed 11o dell’art. 31, l. n. 183/2010, disposizioni che – ad avviso di chi scrive
– non sembrano riferibili esclusivamente (quanto al loro ambito di applicazione) ai modelli arbitrali di cui agli artt. 412 e 412 quater c.p.c.: x. xxxxx, x. 0.0., nota 101.
(127 ) In tale direzione, considerata la libertà di potere regolamentare riconoscibile all’autonomia privata (anche collettiva) ai sensi dell’art. 816 bis c.p.c. nonché di deter- minazione della natura rituale o irrituale dell’arbitrato, si può immaginare che le pre- visioni sindacali possano: i) rinviare alla disciplina dell’arbitrato rituale ex artt. 807 ss. c.p.c.; ii) ovvero a quella ex art. 808 ter c.p.c., con conseguente possibilità (ai sensi del primo comma della norma da ultimo citata) di escludere, con patto espresso, l’appli- cazione delle disposizioni del titolo VIII del libro IV del codice di rito ove derogabili;
iii) nonché alternativamente di fare riferimento a talune delle forme di espletamento, previste dagli artt. 412 e 412 quater c.p.c. (ad esempio mutuando dall’art. 412 quater
c.p.c. il criterio di scelta del terzo arbitro o il relativo schema procedimentale, con la cadenza di atti e termini ivi prevista, ovvero riprendendo dall’art. 412 c.p.c. il conti- nuum fra conciliazione ed arbitrato o la previsione relativa al termine per l’emana- zione del lodo): in senso analogo, cfr. Bove, Conciliazione e arbitrato nel collegato lavoro, cit., p. 143 s., che ammette peraltro anche la possibilità per i sindacati di sce- gliere, oltre alla disciplina procedimentale, il regime del lodo; in senso difforme, Bor- ghesi, Gli arbitrati in materia di lavoro, in Aa.Vv., Il diritto processuale del lavoro, a cura di Vallebona, cit., p. 685, il quale esclude, per la mancanza di un espresso rinvio nell’art. 412 ter c.p.c., la possibilità per l’autonomia collettiva di fare riferimento alla disciplina degli artt. 412 e 412 quater c.p.c.
In particolare, il proposito, emergente sia pure in modo contrad- dittorio fin dalle prime versioni del disegno di legge (128), è stato quello di rendere la pronuncia degli arbitri (sia di diritto che di equità) il più possibile insensibile alla violazione delle norme indero- gabili di legge e di escluderne, sotto tale profilo, l’impugnabilità; pro- posito che si è tradotto nella previsione (inserita negli artt. 412 e 412 quater c.p.c., nonché evocata nel comma 12o dell’art. 31 l. cit.) secondo la quale il lodo, sottoscritto ed autenticato, produce fra le parti gli effetti di cui all’art. 2113, comma 4o, c.c. (comma che, con riferimento alle conciliazioni raggiunte in determinate sedi, esclude l’applicabilità dei primi tre commi del medesimo art. 2113 c.c.).
Come si è visto, infatti, prima di quest’ultima novella non erano affatto scontate – nonostante l’abrogazione, per opera del d.lgs. n. 80/1998, del- l’art. 5, commi 2o e 3o, l. n. 533/1973 – l’irrilevanza della eventuale vio- lazione delle norme inderogabili di legge e, quindi, la correlativa inatta- cabilità; anzi, la censurabilità per tale motivo del dictum poteva essere sostenuta sulla base di altri, parimenti convincenti, argomenti (129).
Peraltro, non si può fare a meno, in primo luogo, di notare che il legi- slatore del 2010, probabilmente dimentico che l’arbitrato consiste in un giudizio affidato a terzi (diversamente dalla transazione, dalla rinuncia e dalla conciliazione), ha affrontato la questione della rilevanza delle norme inderogabili di legge con una tecnica poco appropriata e di dubbia ido- neità, sul piano sistematico,a realizzare lo scopo prefissato: dal momento, infatti, che l’art. 2113 c.c., occupandosi di strumenti aventi funzione dispo- sitiva, stabilisce per gli stessi (con la distinzione fra la rinuncia e la tran- sazione, da un lato, e la conciliazione in sedi «qualificate», dall’altro) uno specifico regime di invalidità inevitabilmente incentrato sul loro oggetto, la relatio (130) effettuata dal terzo comma dell’art. 412 c.p.c. all’art. 2113,
(128 ) Ci si permette di rinviare a Xxxxxxxx, Il regime di impugnazione dei lodi irri- tuali in materia di lavoro, cit., p. 369 s.
(129 ) Cfr. supra, in questa parte V, sez. II, n. 1.4, testo e nota 71.
(130 ) Si può peraltro osservare che, diversamente dalla tecnica sul punto utilizzata nella l. n. 183/2010, il legislatore del 1973, nel disciplinare all’art. 5, commi 2o e 3o, l.
n. 533/1973 il regime impugnatorio unitario per tutti i lodi irrituali in materia di lavoro, aveva operato una più mirata relatio all’art. 2113 c.c., e precisamente a quei soli commi che si occupano dei profili procedimentali: ossia la possibilità di proposi- zione anche in via stragiudiziale e il termine di impugnazione.
comma 4o, c.c. varrebbe semplicemente a confermare, secondo questa logica, una conclusione già pacifica (a meno di non voler ritenere astrat- tamente possibili artificiosi collegamenti tra le nozioni di derogabilità/ inderogabilità della normativa e quelle di compromettibilità/ incompromettibilità della controversia) (131): ossia la non impugnabilità del lodo per la mera circostanza che l’arbitrato abbia avuto ad oggetto diritti disponibili e tuttavia riconosciuti da norme inderogabili.
Xxx, invece, si voglia individuare, in relazione al dettato dell’art. 412, comma 3o, c.p.c. (e al suo rinvio all’ultimo comma dell’art. 2113 c.c.), un significato aderente alla natura di giudizio propria dell’arbi- trato irrituale e alla considerazione che, rispetto ad esso (e sempre a condizione che si sia svolto su diritti disponibili), l’esistenza di norme inderogabili può porre un problema di invalidità del lodo solo allor- ché il contenuto della decisione, ossia il dictum degli arbitri, sia effetti- vamente contrario al dettato di esse (132), appaiono peraltro percorri- bili due possibili interpretazioni (133).
Xxxxxx, secondo una prima impostazione, che appare prevalente
(131 ) Si tratta di un collegamento noto nella storia dell’istituto, ed in particolare emerso nel periodo c.d. postcorporativo, sul quale la dottrina contemporanea ha svolto una serrata critica, operandone il superamento: v. supra, in questa parte V, sez. II, n. 1.1, nota 4.
(132 ) Cfr. Xxxxxxxxx, L’arbitrato, cit., p. 6. In altre parole, non è invalidabile il lodo per il semplice fatto di aver deciso sul diritto alla retribuzione, alle ferie, alla salute del lavoratore, ma solo allorché, nel decidere su tali materie, gli arbitri non abbiano osservato le disposizioni inderogabili di legge.
(133 ) In questa direzione, peraltro, non si può fare a meno di sottolineare che l’in- terprete se, da un lato, è chiamato a confrontarsi con il dato normativo, dall’altro, dovrebbe in ogni caso offrire di esso una lettura ragionevole e compatibile con il sistema, ed in particolare col fondamento negoziale dell’arbitrato, il quale impone di riconoscere, secondo dottrina e giurisprudenza, la sindacabilità del lodo, anche di equità, per inosservanza di norme fondamentali e di ordine pubblico (cfr. Cass. 20 gennaio 2006, n. 1183, in Rep. Foro it., 2006, voce Arbitrato, n. 210) e di norme aventi carattere cogente ed inderogabile: in tal senso, cfr. Cass. 4 maggio 1994, n. 4330, in Riv. arb., 1994, p. 499 ss., con nota adesiva di Luiso, L’impugnazione del lodo equita- tivo per violazione di norme inderogabili. In dottrina, cfr. la prima edizione di que- st’opera: Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2000, II, p. 199 ss., che profila in caso di lodo produttivo di effetti contra legem e in violazione dell’ordine pubblico il rimedio di un’azione di nullità (e il non necessario assorbimento nella pre- visione degli artt. 828 e 829, num. 1, c.p.c.); Id., Diritto comunitario e diritto nazionale dell’arbitrato, in Riv. arb., 2000, p. 243 ss.
in dottrina, la previsione secondo cui il lodo irrituale produce fra le parti gli effetti di cui all’ultimo comma dell’art. 2113 c.c. è stata intesa come se con ciò si fosse voluta in particolare escludere l’applicazione, mutatis mutandis all’arbitrato, del primo comma del medesimo art. 2113 c.c.: ciò da cui dovrebbe ormai conseguire la non impugnabilità del lodo per inosservanza delle norme inderogabili di legge e del con- tratto collettivo, nonché la impossibilità di prospettare, con riferi- mento alle prime, qualsivoglia ipotesi di nullità ai sensi dell’art. 1418
c.c. (134). Questa lettura viene peraltro temperata dalla precisazione, già evidenziata nei commenti alla riforma, secondo la quale dovreb- bero comunque sottrarsi al regime di cui all’art. 2113, comma 4o, c.c. le ipotesi in cui la violazione del precetto inderogabile sia proiettata verso il futuro (135).
Secondo una diversa ricostruzione – che, sebbene contraria agli auspici del legislatore, sembra più fedele al concreto dettato dall’art. 412, commi 3o e 4o, c.p.c. – la relatio all’ultimo comma dell’art. 2113
c.c. avrebbe soltanto l’effetto di impedire l’applicazione integrale (non del primo, ma) dei primi tre commi dell’art. 2113 c.c., come se con ciò si fosse voluta precludere non già in sé la sindacabilità del lodo per violazione di norme inderogabili, ma la deducibilità di tale vizio nel termine e con le forme ivi previsti (136), ossia la proposizione dell’im-
(134 ) Tale interpretazione varrebbe a tacitare, dunque, ogni residuo dubbio lasciato aperto dalla duplice riforma del 1998 (o da letture di essa ritenute sleali: così Xxxxxxxxxx, Conclusioni, cit., p. 389), al fine di vedere consacrata definitivamente l’insensibilità del dictum irrituale rispetto ad eventuali violazioni della normativa inde- rogabile anche di fonte legislativa.
(135 ) Si è così precisato che l’ultimo comma dell’art. 2113 c.c. non garantisce un’inoppugnabilità assoluta perché lascia salva la vera e propria nullità ex art. 1418
c.c. di quelle determinazioni arbitrali che incidono sul momento genetico del diritto, ad esempio stabilendo per il futuro una retribuzione insufficiente, ovvero condizioni di lavoro inidonee ad assicurare sicurezza e salubrità ovvero che violino, sempre per il futuro, il diritto alle ferie e ai riposi: così Borghesi, Gli arbitrati in materia di lavoro, cit., p. 670; De Xxxxxxxxxx, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (ADR) nel contenzioso del lavoro: conciliazione facoltativa ed arbitrato liberalizzato, cit., p. 69; Xxxxxx, La nuova disciplina della conciliazione e dell’arbitrato nelle contro- versie di lavoro, cit., p. 274.
(136 ) In tal senso, Bove, Conciliazione e arbitrato nel collegato lavoro, cit., p. 150, testo e nota 34, il quale peraltro aggiunge che il lodo irrituale contrastante con norme inderogabili di legge che, in astratto, sarebbe esposto alla sanzione della nullità di cui
pugnativa anche con atto stragiudiziale e nel termine di sei mesi (con possibilità di decorso dalla cessazione del rapporto di lavoro).
In ogni caso, si può immaginare che la novità legislativa in parola renda nuovamente attuale l’indagine sulle nozioni, e relative distin- zioni, di norma inderogabile, norma imperativa, principi fondamentali e generali nonché di ordine pubblico, al fine di delineare l’ambito esatto di impugnabilità del lodo e di comprendere per quali tipi di violazioni esso possa oggi ritenersi non censurabile (137).
all’art. 1418 c.c. vede oggi ricondotta la sua censurabilità nell’alveo dell’impugnativa disciplinata dal quarto comma dell’art. 412 c.p.c. (da esperirsi, dunque, nel termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo innanzi al tribunale in unico grado), giacché, del resto, lo stesso art. 1418 c.c. fa salva – e dunque rende possibile – la diversa dispo- sizione di legge.
(137 ) Cfr. supra, nota 133. Se, infatti, non v’è dubbio che il lodo sia annullabile per i cinque motivi di cui all’art. 808 ter c.p.c. (ciò anche per espressa menzione negli artt. 412, 412 quater c.p.c. nonché per richiamo nel comma 12o dell’art. 31) e che esso sia da considerarsi radicalmente nullo ed inidoneo a produrre effetti ove reso in difetto delle condizioni di compromettibilità, si rende cruciale individuare il confine fra la violazione di norma inderogabile che possa anche non determinare una caduca- zione del dictum e le altre violazioni ricavabili dal sistema, che la dottrina, dopo il d.lgs. n. 40/2006 (ed anche alla luce della l. n. 183/2010: cfr. De Cristofaro, op. loc. ult. cit.) ha ritenuto si aggiungano a quelle elencate nell’art. 808 ter c.p.c. determi- nando la radicale invalidità del lodo: e precisamente la contrarietà a norme impera- tive, a principi di ordine pubblico, nonché ai principi generali dell’ordinamento e ai principi regolatori della materia (di questi ultimi due l’osservanza è del resto imposta dalle stesse novellate disposizioni). Su tali profili, peraltro, una parte della dottrina ha prospettato, già in passato, la distinzione fra norme inderogabili di ordine pubblico e norme inderogabili di protezione (ossia poste, in alcune materie, come quella di lavoro, a tutela della parte debole del rapporto), affermando, in relazione a queste ultime, che la loro violazione inficia il lodo (integrando un’ipotesi di contrarietà all’or- dine pubblico) solo allorché essa sia proiettata verso il futuro, incidendo sulla futura disciplina del rapporto, non anche quando la stessa abbia inciso su diritti già sorti: così Xxxxx, L’impugnazione del lodo di equità, in Riv. arb., 1992, p. 462 ss. Del pari, la spinta verso la maggiore stabilità del lodo ricavabile dalla l. n. 183/2010 stimolerà rifles- sioni sui limiti e le forme di deducibilità delle violazioni per contrarietà a norme impera- tive e ai principi cogenti dell’ordinamento, ed in particolare se lo schema cui fare riferi- mento permanga quello dell’art. 1418 c.c. (così Borghesi, Gli arbitrati in materia di lavoro, cit., p. 670; Muroni, La nuova disciplina della conciliazione e dell’arbitrato nelle contro- versie di lavoro, cit., p. 274e come sembra preferibile anche ad avviso di chi scrive) ovvero se, ritendendosi eccessiva tale sanzione, esse debbano essere canalizzate nell’ambito del- l’impugnativa prevista dalle norme novellate (e, quindi, nel termine di trenta giorni: cfr. le considerazioni di Bove, Conciliazione e arbitrato nel collegato lavoro, cit., p. 150) ovvero se debbano essere ipotizzati altri contesti per la loro deducibilità (ad esempio, in sede di
Non sembrerebbe comunque escluso per le parti il potere di con- cordemente invocare, anche oggi, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, ai sensi del num. 4 dell’art. 808 ter, comma 2o, c.p.c., quale condizione per la validità del lodo, l’osservanza delle norme (deroga- bili e inderogabili) di legge e del contratto collettivo.
L’intervento sul regime dei lodi in materia di lavoro è inoltre foriero di questioni non meno serie, anche sotto altri profili.
In primo luogo, in conseguenza dell’avvenuta riformulazione del testo dell’art. 412 quater c.p.c., è puramente e semplicemente scom- parsa dal sistema, senza essere stata altrimenti rimpiazzata, una norma, almeno in via interpretativa, riferibile a tutti i lodi irrituali in materia di lavoro, atta a regolarne il regime, le tecniche di acquisto dell’effica- cia esecutiva nonché le forme e i motivi di impugnazione.
L’auspicata e desiderabile individuazione di una disciplina unifi- cante appare, oggi, forse più difficile da raggiungere rispetto a quanto fosse al cospetto della riforma del 1998 (138), in considerazione del dato che l’odierno legislatore, avendo già davanti a sé una pluralità di fonti e di modelli di arbitrato ed avendone aggiunti altri, si è fatto carico di dettare una disciplina del trattamento processuale del lodo, avente elementi di specialità, rispetto a quella comune di cui all’art. 808 ter, comma 2o, c.p.c., solo in relazione a talune delle fattispecie di nuova introduzione (ossia gli arbitrati ex artt. 412 e 412 quater c.p.c. e quello di cui all’art. 31, comma 12o, l. n. 183/2010). Ne dovrebbe con- seguire, a rigore, che tutti gli altri modelli di arbitrato irrituale (139) mettono capo a lodi che restano ancorati al trattamento ordinario, che ne esclude l’esecutività e che li vuole annullabili, entro il quinquennale termine di prescrizione, innanzi al giudice di primo grado (140).
exequatur, come già ipotizzato da Xxxxx, L’impugnazione del lodo di equità, cit., p. 466 ss.).
(138 ) Risultato cui la giurisprudenza era infine approdata al cospetto della riforma del 1998: cfr. supra, in questa parte V, sez. II, n. 1.4.
(139 ) Ci si riferisce, in particolare ai lodi conclusivi delle preesistenti fattispecie di arbitrati c.d. «da legge» (artt. 7 l. n. 604/1966; artt. 7, commi 6o e 7o, l. n. 300/1970; art. 5 l. n. 108/1990) e quelli nei quali sfociano i procedimenti disciplinati dalla con- trattazione collettiva (art. 412 ter c.p.c.).
(140 ) L’assenza di un intervento unificante sul regime impugnatorio dei lodi irri- tuali di lavoro comporta il rischio di una non ragionevole distinzione e frammenta-
Inoltre, anche laddove la lex specialis è stata inserita (come per l’appunto negli artt. 412 e 412 quater c.p.c. e nel comma 12o dell’art. 31 l. n. 183/2010) le complicazioni non finiscono.
La disciplina all’uopo dettata, infatti, presenta una prima parte che predica per il lodo sottoscritto ed autenticato (141) l’efficacia negoziale (ai sensi dell’art. 1372 c.c.), l’impugnabilità ai sensi dell’art. 808 ter
c.p.c. (142), nonché i limiti di censurabilità di cui all’art. 2113, comma 4o, c.c., con le nuove questioni che già si profilano all’orizzonte; e una seconda parte, relativa ai profili di rito dell’impugnazione e alla esecu- tività, che in realtà consiste in un vero e proprio calco del precedente testo dell’art. 412 quater c.p.c., come risultante dopo il d.lgs. n. 387/ 1998 (143).
Una siffatta pedissequa riproduzione della vecchia norma, a ben vedere, implica il perpetuarsi di tutte quelle aporie ed incertezze, già note alla dottrina e sperimentate in sede applicativa, legate sia alla regola della postergazione del conseguimento degli effetti esecuti- vi mediante decreto giudiziale – possibile solo dopo l’accettazione del lodo, dopo la sua mancata impugnazione o dopo il rigetto della stes- sa (144) – sia all’individuazione del termine per proporre l’impugnati-
zione anche sotto il profilo dell’ambito della loro censurabilità (in particolare in rela- zione all’art. 2113, comma 4o, c.c.), al di là della comune impugnabilità per i motivi di cui all’art. 808 ter c.p.c. In proposito, v. anche supra, parte III, sez. II, n. 3.
(141 ) Illustrano diffusamente il significato e le conseguenze di tale autenticazione del lodo, anche in relazione all’art. 474, num. 2, c.p.c., Auletta, Le impugnazioni del lodo nel «Collegato lavoro» (L. 4 novembre 2010, n. 183), cit., n. 3; Xxxxxxxx, La riso- luzione arbitrale delle controversie di lavoro, cit., p. 136 ss.
(142 ) Norma, quest’ultima, richiamata in relazione ai motivi e non ai profili di rito dell’impugnazione, la quale infatti deve essere proposta, con altre regole di compe- tenza rispetto a quelle dell’art. 808 ter, comma 2o, c.p.c., dinanzi al tribunale in fun- zione di giudice del lavoro, individuato territorialmente secondo il criterio della sede dell’arbitrato, e che decide in unico grado sulla validità del lodo.
(143 ) Su cui v. supra, in questa parte V, sez. II, n. 1.4.
(144 ) Come si è ricordato, il secondo comma del previgente art. 412 quater c.p.c. già subordinava l’acquisto dell’efficacia esecutiva a tali accadimenti. Tale posterga- zione (riproposta anche dalle nuove disposizioni recate dall’art. 31 l. n. 183/2010) era stata guardata con sfavore, all’indomani della novella del 1998, dalla dottrina, la quale ne aveva sottolineato non solo il trattamento deteriore al confronto con l’immediata esecutività delle sentenze del giudice togato, ma anche la distorsiva idoneità ad incen- tivare, comunque, anche a soli fini dilatori, la proposizione del giudizio di impugna- zione: si era infatti prefigurata la situazione nella quale – in caso di mancata accetta-
va – che obbedisce, ma non fino in fondo, alla logica delle impu- gnazioni processuali (prevedendosi soltanto che detto termine, della durata di trenta giorni, decorra dalla notificazione del lodo, senza che nulla sia stabilito per il caso in cui questa manchi) – (145 ), sia
zione espressa del dictum arbitrale – la parte vittoriosa, essendo interessata al conse- guimento degli effetti esecutivi, dopo aver proceduto alla notificazione del lodo, fidando sulla sua prossima non impugnabilità, si fosse poi vista convenire in giudizio dal debitore, nel successivo termine di trenta giorni, con un ulteriore allungamento dei tempi per la formazione del titolo esecutivo (così Xxxxxx, Manuale del processo del lavoro4, cit., p. 66; critico nei confronti della soluzione normativa anche Xxxxxxxxx, L’arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi; l’impugnazione e l’esecutività del lodo arbitrale, in Aa.Vv., Processo del lavoro e rapporto alle dipendenze delle ammini- strazioni pubbliche, cit., p. 131). Sotto altro profilo, la norma tace sul regime del prov- vedimento (che concede o nega l’esecutività) reso dal tribunale del luogo in cui è la sede dell’arbitrato: a fini di certezza della disciplina era già stata prospettata l’applica- zione analogica dell’art. 825 c.p.c.: in tal senso, nel commento alla novella del 1998, cfr. Xxxxxxx, L’arbitrato in materia di lavoro dopo le riforme del 1998, cit., p. 588.
(145 ) Costituisce, questo, uno degli aspetti più problematici nonché fonte di gravi incertezze per le conseguenze radicalmente diverse cui conducono le possibili opzioni finalizzate ad ovviare alla lacuna legislativa. A tale riguardo, sotto il vigore della prece- dente novella, mentre una parte della dottrina aveva prospettato l’applicabilità in via analogica del termine c.d. lungo fissato dall’art. 828 c.p.c. in un anno dall’ultima sot- toscrizione del lodo (così Xxxxxx, Manuale del processo del lavoro4, cit., p. 64; Cap- poni, L’arbitrato in materia di lavoro dopo le riforme del 1998, cit., p. 586, che ha pro- posto questa soluzione alla luce della decisa «processualizzazione» dell’arbitrato ex art. 412 ter c.p.c. disciplinato dal codice e della sua ibrida natura), altri autori avevano decisamente rifiutato siffatta soluzione, postulando la riemersione del termine ordina- rio di prescrizione: in tale ultimo senso, cfr. Xxxxxxxxx, La riforma dell’arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., p. 184; Xxxxxxx, L’arbitrato nelle controversie di lavoro: note sull’impugnazione del lodo ex art. 412-quater x.x.x., xxx., x. 0 x. Xxx xxxx, oggi, rie- merge l’opzione tra l’applicabilità in via analogica del termine di decadenza di un anno dalla sottoscrizione (soluzione da preferirsi sul piano pratico e per la quale v. De Cristofaro, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (ADR) nel con- tenzioso del lavoro: conciliazione facoltativa ed arbitrato liberalizzato, cit., p. 69, nota
54) ovvero – ove si ritenga di seguire il criterio del coordinamento con la norma gene- rale di cui all’art. 808 ter c.p.c. – del termine quinquennale di prescrizione. Prospetta una diversa soluzione, in funzione acceleratoria del termine di impugnazione, Bor- ghesi, Gli arbitrati in materia di lavoro, cit., p. 678, secondo il quale la notifica si atteggia a requisito di ammissibilità dell’impugnazione; o ancora Muroni, La nuova disciplina della conciliazione e dell’arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., p. 274, nota 19, la quale esclude l’applicazione analogica dell’art. 828 c.p.c. e ritiene preferi- bile immaginare una notificazione del lodo effettuata d’ufficio dagli arbitri ovvero, in subordine, ritiene applicabile il termine quinquennale di prescrizione, ove si dovesse accedere all’idea che la notificazione costituisca un onere per le sole parti.
alla configurazione in unico grado del giudizio di impugnazione (146). Nonostante il lungo cammino dell’arbitrato in materia di lavoro e l’at- tenzione che la dottrina ha ad esso riservato, evidenziandone – nelle varie stagioni riformatrici – i nodi criticiei problemi irrisolti, il legislatore, anche in occasione dell’ultima novella, non ha adeguatamente considerato che il tentativo di rendere l’arbitrato una seria e concreta alternativa alla giu- risdizione statale esige primariamente che esso riceva una disciplina quanto meno idonea a dissipare le incertezze che tradizionalmente lo affliggono, a cominciare dal regime impugnatorio del lodo (motivi, giudice compe-
tente, procedimento) (147).
La complessa e stratificata regolamentazione data all’istituto fini- sce invero per fare di esso, più che uno strumento in concreto appeti- bile per la risoluzione delle controversie, un interessante terreno per l’interprete che voglia cimentarsi con una serie di rompicapo esegetici e con la tentazione sistematica.
(146) Già al cospetto del previgente testo dell’art. 412 quater si era evidenziato che esso potesse dare adito ad alcuni dubbi ed inconvenienti circa i rapporti tra il giudizio, in unico grado, sulla validità del lodo, destinato ad avere esito in una pronuncia soltanto ricorri- bile per cassazione e quello – conseguente all’eventuale annullamento del dictum – con- cernente il merito della controversia, non potendosi ovviamente applicare la corrispon- dente previsione dettata dall’art. 830 c.p.c. per la species rituale: cfr. Xxxxxx, Manuale del processo del lavoro4, cit., p. 65; Xxxxxxx, L’arbitrato nelle controversie di lavoro: note sul- l’impugnazione del lodo ex art. 412-quater c.p.c., cit., pp.5 ss., 13. Né viene in ausilio l’art. 808 ter c.p.c., che non esplicita i rapporti tra cognizione rescindente e cognizione sul merito della controversia e che nel suo comma 2o si occupa soltanto di stabilire le regole di com- petenza del giudizio di impugnazione e di elencarne i motivi.
(147 ) Così Xxxxxxxxxx, Conclusioni, cit., p. 389.