UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
DIPARTIMENTO SEMINARIO GIURIDICO
DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO PRIVATO
XXXXXXX XXXXXXXX
IL CONTRATTO DI RETE
Coordinatore e Tutor:
Xxxxx.xx Prof. XXXXXXXX XX XXXX
XXV CICLO
Capitolo I PROFILI INTRODUTTIVI
1. Premessa.
L’introduzione nel nostro ordinamento del contratto di rete, avvenuta ad opera dell’art. 3, co. 4-ter e ss., l. 9 aprile 2009, n. 33, così come successivamente modificato dall’art. 1, l. 23 luglio 2009, n. 99 e dall'art. 42,
l. 30 luglio 2010, n. 122 (con una tecnica di intervento che peraltro testimonia la non particolare avvedutezza del legislatore), sembra rappresentare la tipizzazione normativa di un fenomeno economico di rilevante portata, anche in considerazione dell’ulteriore integrazione della disciplina, avvenuta con l’art. 45, d.l. 22 giugno 2012 (convertito con modificazioni in legge 7 agosto 2012 n. 134) e, da ultimo, con l’art. 36, co. 4, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179.
Ciò rende opportuna, preliminarmente, una disamina delle ragioni che hanno indotto il legislatore a intervenire (anche rispetto alle successive varianti in corso d’opera) sul tema dell’organizzazione dei rapporti tra imprese e, nello specifico, della cooperazione di tipo reticolare; ciò consentirà di valutare appieno anche la portata del recente intervento di riforma della normativa applicabile ai contratti di rete, sia in ordine alla configurazione giuridica di questo modello collaborativo tra imprese, sia in ordine agli ulteriori profili problematici sollevati dal dettato normativo di cui al richiamato art. 3, co. 4-ter, l. n. 33/09.
2. Cooperazione imprenditoriale e superamento del modello fordista.
Il modello delle reti di imprese si inserisce nel vasto quadro delle forme di collaborazione interimprenditoriale e traduce «quell’insieme di relazioni di tipo cooperativo e tendenzialmente stabili tra due o più imprese formalmente e giuridicamente distinte, anche concorrenti, tra le cui attività esista o si generi una qualche interdipendenza ed emerga un’esigenza di coordinamento, alla quale la rete risponda ricorrendo a strumento di governo diversi, formali ed informali, contrattuali e non»1.
Le reti di imprese, peraltro, preesistevano all’emersione dell’impresa verticalmente integrata, svolgendo un ruolo importante nei processi di globalizzazione seguiti alle scoperte geografiche e alle due rivoluzioni industriali2.
The corporate guild risultava essere ancor prima della rivoluzione industriale la predominante forma di economia organizzata in tutto il nord America e nell’Europa occidentale, frutto della cooperazione di produttori indipendenti non legati da vincoli associativi, spinti soltanto da un intento solidaristico e di difesa corporativa della propria attività.
1 P. IAMICELI, Le reti di imprese: modelli contrattuali di coordinamento, in Reti di imprese tra regolazione e norme sociali (a cura di X. Xxxxxxx), Il Mulino, Bologna, 2004, 128. Definizione non molto divergente da quella precedentemente fornita da X. XXXXXXX, Introduction: the research agenda of implicit dimension of contracts, in Implicit dimensions of contract: discrete, relational and network contracts (a cura di X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx), Xxxx, Oxford-Portland, 2003, 19 ss., secondo cui «networks signifies a grouping of contractual arrangements between more than two parties with a productive aim that requires the interaction and co-operation of all parties. Within networks, many of the parties have contractual links, often of relational type, but there are also many other economic relations present that have not been constructed through an express contract» e parzialmente in contrasto con quella espressa in A. GRANDORI - G. SODA, Inter-firm networks. Antecedentes, mechanism and forms, in Organization studies, 1995, vol. II, 16, 185, ove si rileva che per rete di imprese deve intendersi «la trama di relazioni non competitive che connettono realtà istituzionalmente diverse, senza intaccare l’autonomia formale e in assenza di una direzione e di un controllo unitario».
2 X. XXXXXXX, Introduzione, in Il contratto di rete. Commentario (a cura di X. Xxxxxxx), Il Mulino, Bologna, 2009, 9.
Negli anni a venire, infatti, tali modelli di cooperazione vennero interpretati come vere e proprie forme di collusione, restrizioni del mercato e, addirittura, come una forma di “conspiracy againist consumers and the interest of wider society”3.
Agli inizi del ‘900, l’economista inglese Xxxxxxxx xxxxxxxxx che, per crescere, il capitalismo poteva seguire due vie. Una era certamente la via della concentrazione in grandi imprese, l’altra quella del coordinamento dell’attività di molte piccole imprese specializzate nella realizzazione di parti o lavorazioni complementari di prodotti più complessi. Se la prima strada fu, in effetti, percorsa, la seconda rimase un sentiero interrotto4.
Sino agli anni ‘50, infatti, il mercato mondiale (soprattutto quello statunitense) è stato dominato da imprese di grandi dimensioni e protagonista indiscussa risultava essere l’impresa fordista, basata sull’organizzazione scientifica del lavoro e sull’applicazione del “one best way” per un costante aumento della produzione e della produttività, secondo gli insegnamenti di Xxxxxxxxx Xxxxxx0.
Xxxxx Xxxx, fondatore dell’omonima casa automobilistica americana, ritenendo il sistema di produzione lineare fondato sulla c.d. “catena di
3 X. XXXXXX, The return of the guild? Networks relations in historical perspective, in X. XXXXXXX
- X. XXXXXXX, Networks. Legal iusses and multilateral co-operation, Xxxx, Oxford, Portland, 2009, 53 ss., il quale, tuttavia, precisa che, pur potendosi rinvenire in capo alle reti di imprese molte delle caratteristiche proprie delle risalenti guilds, tali modelli di cooperazione non devono intendersi sovrapponibili, in quanto «the guild does represent a particular subdivision of the network form, based as it is on lateral or horizontal patterns of exchange, interdependent flows of resources, and reciprocal lines of communication».
4 X. XXXXXXXX – X. XXXXXXX, Xxxxxxx e contenuto del libro: guida alla lettura, in Reti di impresa oltre i distretti. Nuove forme di organizzazione produttiva, di coordinamento e di assetto giuridico (a cura di AIP), Il sole 24 ore, Milano, 2008, 1.
5 X. X’XXXXX, Motivazioni, dinamismo ambientale e reti tra imprese, in Reti di imprese, scenari economici e giuridici (a cura di X. Xxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxxxxxxxx), Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2007, 287.
Sul metodo di organizzazione scientifica del lavoro e sull’applicazione del “one best way”, più approfonditamente, si v. X. XXXXXXX, The one best way. Xxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx and the enigma of efficiency, MIT, Cambridge, 2005, passim.
montaggio” la chiave per l’ottimizzazione delle performances aziendali, perseguì l’esasperato e costante aumento dimensionale proprio attraverso l’integrazione di tipo verticale.
Negli anni settanta, però, la grande impresa fordista entrò in crisi e con essa il modello di sviluppo «polarizzato»6 in quanto accadimenti di diversa natura (shocks petroliferi, crisi energetica, saturazione dei mercati, evoluzione dei gusti della domanda, etc.) ridisegnarono le strategie imprenditoriali, sempre più caratterizzate da maggiore flessibilità organizzativa e diversificazione merceologica, nell’intento di fronteggiare le nuove esigenze consumeristiche nonché l’aumento del costo del lavoro e delle materie prime. In questo nuovo scenario non si ha più un’impresa verticalmente integrata ma un’accumulazione flessibile di ricchezza e competenze, una condivisione di modi, tempi e luoghi di produzione fra loro diversi.
I tratti essenziali del post-fordismo possono così sintetizzarsi nella distribuzione del controllo dell’impresa (accentrato nell’impresa fordista nelle mani di pochi), nella de-materializzazione della produzione (si pensi all’importanza assunta dai beni immateriali, quali relazioni, conoscenza, competenze, know how), nell’abbandono della considerazione del tempo e dello spazio come variabili stabili e definite e nella radicale modifica del tipo di consumo e di domanda, con la conseguente definitiva consacrazione del ruolo (attivo) del consumatore e, soprattutto, nell’introduzione di un nuovo modello produttivo: la c.d. “isola di produzione”, che non richiede una stretta correlazione e prodromicità tra le varie fasi della trasformazione
6 X. XXXXXXXXX, Postfordismo e terziario: il caso di una impresa di comunicazione a “rete”, in
Economia e diritto terziario, 2006, 1, 138 ss.
industriale. Essa permette, infatti, di poter generare semilavorati simultaneamente in aree diverse della fabbrica, con processi di produzione e controllo che si avvalgono di competenze tecniche certamente più elevate di quelle della fabbrica xxxxxxxx0.
3. (segue). Dal distretto produttivo all’internazionalizzazione delle imprese.
Di converso, l’implementazione della catena di sub-fornitura, favorita dal processo di de-localizzazione delle grandi imprese industriali8, tende a porre al centro del ciclo economico le piccole e medie imprese (PMI)9, le quali, opportunamente integrate tra loro, riescono ad affermarsi sul mercato imponendo un modello di organizzazione nuovo e alternativo, frutto dell’abbandono di quello gerarchico a vantaggio della interconnessione
7 Sul punto si v. X. XXXXXXXX, Verso una nuova organizzazione della produzione. Le frontiere del post-fordismo, Etaslibri, Milano, 1994, 3 ss.; X. XXXXXXX, Capitalismi italiani e post-fordismo, in Sociologia del lavoro, 1996, 59 ss.; X. XXXXXXX, Dal fordismo realizzato al postfordismo possibile: la difficile transizione, in Il postfordismo. Idee per il capitalismo prossimo venturo, I rist., Etaslibri, Milano, 1999, 21 ss.
8 Sul punto si v. l’indagine condotta negli anni ‘90 da X. XXXXXX, Il castello e la rete, X. Xxxxxx, Milano, 1990, 51, ove vengono analizzati i casi di General Electric, che importa per oltre 1,4 miliardi di $ prodotti che poi rivende con la propria etichetta; di Kodak, che fa fabbricare tutta la sua linea video e floppy all’estero e di Motorola, che ha il 50% dei posti di lavoro necessari per la sua produzione all’estero. Non a caso queste forme di decentramento esasperato condussero alla definizione di hollow corporations, ossia “imprese cave, imprese vuote”.
Più recentemente, sul fenomeno delle de-localizzazioni si v. X. XXXXXXX, Il caso Fiat: una crisi di sistema? Delocalizzazione produttiva e relazioni industriali nella globalizzazione. Note a margine del caso Fiat, in Lavoro e diritto, 2011, 2, 25, 346 ss., il quale, tuttavia, riferisce che la delocalizzazione non è solo un atto di gestione economica dell’impresa ma una vera e propria tecnica di law shopping, determinata dalla volontà di beneficiare di sistemi normativi più vantaggiosi per l’impresa.
9 Dall’ultimo rapporto Istat sulle PMI, diffuso il 05.06.2012, risulta che il 95% delle PMI occupa meno di dieci dipendenti e impiega oltre il 47% della occupazione totale; che le imprese senza lavoratori dipendenti sono circa tre milioni e corrispondono al 65,4 % del totale delle imprese attive. Dati che, peraltro, risultano sostanzialmente invariati rispetto a quelli rilevati nel precedente triennio. Sul punto si v. X. XXXXXXXXX, Modello organizzativo per sostenere la competitività delle Pmi italiane, in Amministrazione e Finanza, 2008, 22, 16, 22.
spaziale e dello scambio reciproco. Tutto ciò ha dato luogo, fra l’altro, alla nascita del distretto industriale10.
Secondo la risalente definizione marshalliana, il distretto è quell’«entità socio-economica costituita da un insieme di imprese, facenti generalmente parte di uno stesso settore produttivo, localizzato in un’area circoscritta, tra le quali vi è collaborazione ma anche concorrenza»11.
Facendo riferimento all’esperienza italiana la definizione di distretto ora riportata si arricchisce di alcune riflessioni di carattere socio-culturale. Non a caso il distretto è stato definito come «un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali»12.
Da questi primi riferimenti si evince come lo sviluppo della piccola impresa sia fortemente legato al c.d. capitalismo di territorio. Tuttavia, è possibile registrare un significativo mutamento della geografia dell’impresa, sempre più frammentata e de-localizzata, sempre più facente parte di uno spazio “virtuale”. L’industria italiana, infatti, è costretta a intraprendere un processo di ristrutturazione interna che fa del
10 Il distretto industriale è regolamentato sia dalla legislazione statale (in particolare, si v. l’art. 36 della l. 5.10.1991 n. 317, pubblicata in G.U., 9.10.1991 n. 237, secondo cui i distretti territoriali sono aree territoriali locali caratterizzate da un’elevata concentrazione di piccole imprese, dal peculiare rapporto tra la presenza delle stesse e la popolazione residente, nonché dalla specializzazione produttiva delle imprese) sia da quella regionale, specie a seguito della riforma del titolo V della Costituzione.
Per un’indagine sul campo e un’analisi degli elementi necessari per la nascita di un distretto, X. XXXXXX, Come nascono i distretti industriali, Laterza, Bari, 2000, 24 ss., 124 ss.
11 Più approfonditamente, X. XXXXXXXXX, Dal “settore industriale” al “distretto industriale”. Alcune considerazioni sull’unità di indagine dell’economia industriale, in Riv. di economia e politica industriale, 1979, 1, 7, 21; ID., Riflessioni sul dibattito sui distretti industriali, in Economia Marche, 2006, 2, 59-67.
12 X. XXXXXXXXX, Il distretto industriale marshalliano come concetto socio-economico, in Stato e mercato, 1989, I, 25, 112; più approfonditamente, ID., Il distretto industriale: un nuovo modo di interpretare il cambiamento economico, Xxxxxxxxx & Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, passim.
decentramento produttivo il proprio caposaldo13. Tale fenomeno di downsizing, ovvero di riduzione delle dimensioni di impresa e del suo grado di integrazione verticale, anche a seguito della forte contrazione delle economie di scala in precedenza prodotte dalla produzione di massa standardizzata, è strettamente correlato al diverso fenomeno dell’outsourcing e, quindi, alla necessità della grande impresa di espellere lavoro ed entrare in stretto contatto con PMI, o con strutture più complesse (consortili o distrettuali), specializzate nella lavorazione di semilavorati e interamente dedicate allo sviluppo del proprio core business14.
Tradizionalmente i distretti industriali, in virtù dei forti legami storici, culturali e interpersonali esistenti tra le imprese aderenti e le popolazioni locali, costituiscono un unicum sociale oltre che economico15. Sono composti da PMI caratterizzate da alta specializzazione produttiva e peculiare organizzazione interna16. Nonostante la forte vocazione regionalista del distretto si registra anche una significativa presenza di competitors stranieri, attratti da prospettive di profitto e di crescita
13 Sul punto si v. X. XXXXXX, Integrazione di imprese e destinazione patrimoniale, in Contratto e impresa, 2010, 1, 168, nt. 3, secondo il quale «(…) Il decentramento presuppone l’esistenza di un sistema produttivo integrato caratterizzato da scambi generalmente tra grandi e medie imprese con imprese di piccole dimensioni, alle quali viene affidata la produzione di parti del prodotto finale oppure lo svolgimento di una o più fasi del processo produttivo. Tale modello organizzativo ha avuto un grande sviluppo a partire dagli anni ’80, in contemporanea al sorgere di molte imprese altamente specializzate che hanno favorito la flessibilità del processo produttivo, il miglioramento qualitativo dei prodotti finali e la competitività anche in campo internazionale».
14 P.L. SCANDIZZO, Il mercato e l’impresa: le teorie e i fatti, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2002, 147 ss., il quale, sulla scia del modello americano, ritiene che a caratterizzare l’evoluzione del sistema industriale italiano siano stati ben quattro processi fondamentali: i riferiti processi di downsizing e outsourcing e gli ulteriori processi di subcontracting, sia pure differenziando nel sistema Italia, le esperienze delle imprese del Meridione (strettamente legate ad un unico committente- monopsonista) da quelle delle imprese del Nord-Est (le quali perseguono, invece, una intensa diversificazione dei committenti) e di devolution, ossia di decentramento territoriale delle funzioni pubbliche e dei servizi sociali.
15 X. XXXXXX, Piccole imprese e distretti industriali: una raccolta di saggi, Xxxxxxxxx & Xxxxxxx, Torino, 1989, 461 ss.
16 G.D. XXXXX, Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, in Giur. comm., 2010, 6.37, 839.
economica, interessati a scommettere sul rilancio dei produttori locali mediante progetti di cooperazione e integrazione.
Tuttavia, negli ultimi anni, si è dovuto registrare il fallimento del modello distrettuale, ormai inadeguato ad affrontare le sfide imposte dalle moderne tendenze dell’economia, come l’internazionalizzazione delle imprese e la globalizzazione dei mercati17.
La globalizzazione, infatti, non può e non deve essere soltanto un fattore negativo per le PMI, le quali, invece, dovrebbero sfruttare le possibilità da essa derivanti, al fine di poter aprire nuovi mercati, reperire nuove risorse e partners commerciali, abbattere i costi medi, raggiungere i più alti standard qualitativi e partecipare attivamente alla competizione internazionale, come peraltro indicato dalla stessa Carta di Bologna sulle politiche concernenti le PMI in cui si riconosceva espressamente «che la globalizzazione, l'accelerazione del progresso tecnologico e le innovazioni creano opportunità per le PMI»18.
È evidente, quindi, come il management degli ultimi decenni abbia indirizzato i propri sforzi verso sistemi di crescita dimensionale più flessibili ed «eclettici», sviluppando una nuova entità economica seppur ancora priva di una sua compiuta qualificazione giuridica: la rete d’impresa, la quale intende superare le inadeguatezze organizzative, i costi e
17 Per un’analisi delle difficoltà incontrate dalle imprese organizzate secondo il modello distrettuale, X. XXXXXXX, L’evoluzione dal distretto industriale alla rete d’impresa. Problematiche finanziarie connesse al sistema moda, in Riv. bancaria, 2010, 1, 73 ss., secondo il quale il modello distrettuale, che negli ultimi anni ha permesso alle PMI di sopperire ai propri limiti strutturali, è entrato in crisi, vittima della propria struttura chiusa e autopoietica, non più in grado di fornire soluzioni efficaci ed efficienti in termini di innovazione e competitività. Si v., altresì, X. XXXXXX, Crisi ed evoluzione dei distretti industriali, in I distretti industriali: crisi o evoluzione? (a cura di X. Onida - X. Xxxxxx - A.M. Falzoni), Xxxxxxx, Milano, 1992, 11 ss.
18 Carta di Bologna sulle politiche concernenti le PMI adottata dall’OCSE il 15.06.2000 e consultabile su xxx.xxxx.xxx.
l’eccessiva rigidità dell’impresa fordista verticalmente integrata e, allo stesso tempo, la regionalità dei distretti19.
4. La rete di imprese: market or hierarchy?
La rete di imprese è, innanzitutto, un fenomeno economico, che inizialmente, infatti, è stato studiato soprattutto dalla letteratura economica anglosassone e qualificato come un “ibrido”, un compromesso tra le tradizionali e generali categorie dello scambio contrattuale (markets) e delle strutture gerarchiche integrate (hierarchies)20. Tutto ciò non senza rilevare che è ancora aperto in dottrina il dibattito circa l’estraneità del concetto di “rete” all’universo giuridico21.
19 Si v. sul punto X. XXXXXXX - P. IAMICELI, Contratto di rete. Inizia una nuova stagione di riforme?, in Obblig. e contratti, 2009, 7, 596, ove si rileva che «i distretti sono soggetti dello sviluppo locale e referenti per politiche industriali in cui la interazione con i soggetti pubblici è rilevante. Le reti, invece, sono aggregazioni di imprese la cui disciplina va definita civilisticamente (…). I distretti possono dunque essere al più concepiti come incubatori o facilitatori di reti, ma non come reti essi stessi».
In precedenza, peraltro, X. XXXXXXX, Reti di imprese, spazi e silenzi regolativi, cit., 34, precisava che le reti di imprese possono svilupparsi sia in contesti distrettuali (rappresentando solo un sottoinsieme di relazioni tra imprese) sia in contesti non distrettuali.
20 W.W. XXXXXX, Neither market nor hierarchy: networks forms of organization, in Research in organizational behavior (a cura di L.L. Xxxxxxxx – X. Xxxx), Jai Press, Greenwich, 1990, XII,
295 ss.; X. XXXXXXX, Coincidentia oppositorum: hybrid networks beyond contract and organization, in X. XXXXXXX - X. XXXXXXX, Networks. Legal iusses and multilateral co- operation, cit., 3 ss.; X. XXXXXX, The economics of hybrid organizations, in JITE, 2004, 3, 160, 345-376.
21 R.M. BUXBAUM, Is Network a legal concept?, in JITE, 1993, 698 ss., infatti, conclude la sua indagine affermando che “network” is not a legal concept”. Per una ferma contrapposizione di tale orientamento, si v. X. XXXXXXXX, Il contratto di rete: una soluzione in cerca del problema?, in Reti di impresa e contratto di rete: spunti per un dibattito (a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxxxxx), in I Contratti, 2009, 10, 936.
Posizione intermedia, invece, quella di altra parte della dottrina (X. XXXXXXX, Il “contratto” e la “rete”: brevi note sul riduzionismo legislativo, in Reti di impresa e contratto di rete: spunti per un dibattito (a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxxxxx), cit., 10, 952), la quale, pur ritenendo la rete un fenomeno di matrice socio-economica, riconosce l’estrema necessità per quest’ultima di una disciplina giuridica articolata.
Infatti, prima dell’intervento normativo in tema di reti di imprese di cui alla l. n. 33/09 il legislatore ha sempre fatto riferimento al fenomeno reticolare senza mai fornirne una regolamentazione compiuta e intendendolo quale fenomeno meramente economico. Esemplare, a tal proposito, è il caso delle c.d. “reti delle società di revisione” di cui all’art. 160 T.U.F. in cui si prevedevano tali forme di cooperazione semplicemente per scongiurare il pericolo del superamento - per il tramite dell’adesione di revisori a “reti di società di revisione” - dei divieti normativi posti a garanzia dell’indipendenza delle società di revisione e non certo per individuare
Le reti di imprese, infatti, possono essere ritenute conseguenza non solo dello «snellimento» delle grandi organizzazioni integrate ma anche della necessità delle imprese di conseguire economie di scala (per aumentare la propria competitività sul mercato) e della globalizzazione che impone sistemi relazionali sempre più complessi e articolati, in concreto, inaccessibili uti singuli all’impresa di piccole o medie dimensioni22. Al graduale processo di snellimento, quindi, si affianca una intensa ricerca di nuove strategie di partnership, con una conseguente e inevitabile ibridazione fra mercato e gerarchia, che conduce secondo alcuni a un tertium genus23.
Sintetizzando potrebbe dirsi che la rete comprende tutto ciò che non è “mercato” e che non è “gerarchia”. Possono definirsi reti di imprese, infatti, tutte le varianti strutturali che stanno nella vasta zona grigia compresa fra i due estremi della massima indipendenza (mercato) e della massima dipendenza (gerarchia)24.
e disciplinare un nuovo modello di cooperazione. Sul punto si v., più ampiamente, X. XXXXXXX, L’indipendenza dei revisori contabili, in Contratto e impresa, 2008, 475 ss. Tale impressione, peraltro, appare confermata anche dopo la riforma della disciplina dei revisori legali dei conti, intervenuta ad opera del d.lgs. 27.01.2010 n. 39. La nuova e più ampia definizione di “rete” ivi indicata, secondo i primi commentatori (X. XXXXXXX, Reti di impresa: dall’economia al diritto, dall’istituzione al contratto, in Contratto e impresa, 2010, 4-5, 956), è pur sempre «una definizione di rete strettamente legata al mondo economico e non a quello giuridico. La ratio della norma non è quella di disciplinare le reti d’imprese, ma è quella di inasprire ulteriormente i criteri di indipendenza dei revisori legali, e quindi di reprimere gli abusi che delle reti d'imprese possono essere fatti dalle società di revisione legale dei conti».
22 X. XXXXXXXXXXX - X. XXXXXXX, Forme di reti: un insieme diversificato, in Reti di impresa oltre i distretti. Nuove forme di organizzazione produttiva, di coordinamento e di assetto giuridico, cit., 35.
23 Per una sintesi del dibattito sul punto, nella letteratura straniera, si v. R.M. BUXBAUM, Is “Network” a Legal Concept?, cit., 698 ss. Per la dottrina italiana M.R. XXXXXXX, Reti contrattuali e abuso di dipendenza economica, in Le reti di imprese e i contratti di rete (a cura di P. Iamiceli), Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2009, 296 ss.
24 X. XXXXXXX, Contractual networks and the small business act: towards european principles?, in European review of contract law, 2008, 495 ss., il quale espressamente rileva che: «networks differ from market contracting because the participants are not impersonal agents but well identified players chosen on the basis of resource complementarities. They permit resources bundling that markets are unable to achieve. They differ from hierarchies because enterprises are autonomous
Non a caso, alla luce dell’ambizioso obiettivo fissato dal Trattato di Lisbona25, e cioè fare dell’Unione europea l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, è di estrema importanza che l’impresa sia inserita in un contesto competitivo, in grado di favorire flussi continui di conoscenza, indispensabili per l’implementazione di nuovi sistemi produttivi e distributivi. Tutto ciò, però, non può scaturire soltanto da una ricerca domestica, realizzata al chiuso della propria impresa, ma da uno scambio e un confronto continuo con le esperienze, i successi e i fallimenti di altri soggetti economici. Pertanto, la necessità di reperire fonti di finanziamento in tempi rapidi, di implementare progetti per l’ottenimento e lo sfruttamento di nuovi know-how e la necessità di accedere a nuovi mercati ha spinto i managers delle PMI a instaurare forme di cooperazione e coordinamento paragonabili, in quanto ai risultati, a quelle di tipo societario, senza però doverne sopportare la struttura e la conseguente perdita di autonomia e indipendenza26. Ciò consente la costruzione di un
and legally independent even if they may be economically dependent». Più approfonditamente, X. XXXXX, The space between markets and hierarchies, in Xxxxxxxx xxx review, 2009, 1.95, 99-153.
Altra parte della dottrina (W.W. XXXXXX, Neither market nor hierarchy: networks forms of organization, cit., 322) ipotizza, addirittura, una frattura con il mercato e l’impresa integrata.
25 Il Consiglio dell’UE, infatti, consapevole della necessità di una profonda modernizzazione del sistema economico europeo per poter mantenere il passo degli Stati Uniti e delle altre potenze mondiali, riunitosi a Lisbona nel marzo 2000, fissava un nuovo (ambizioso) obiettivo: fare dell’UE, entro il 2010, “l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”. Per conseguire tale obiettivo, il Consiglio europeo ha adottato la c.d. “strategia di Lisbona”, la quale prevede interventi in numerosi settori (ricerca scientifica, istruzione, formazione professionale, internet ed e-commerce). Per un approfondimento sul punto e per un’analisi sullo stato d’avanzamento della suddetta strategia si v. P. POCHÈ, Lisbona: verso una strategia ripensata?, in Riv. delle politiche sociali, 2009, 4, 13 ss.; J.C. XXXXXXX, Per un bilancio critico della strategia di Lisbona, in Riv. delle politiche sociali, 2009, 55 ss.
26 Esigenza già avvertita nel 1934 quando parte della dottrina (X. XXXXXXXX, Il diritto delle unioni di imprese (consorzi e gruppi), Cedam, Padova, 1934, 61 ss.) rilevava la mancanza nel nostro sistema di diritto privato del “concetto di una pluralità costituita di elementi collegati, i quali, mentre conservano la propria indipendenza formale e non assurgono a nuova unità, agiscono tuttavia in funzione del gruppo collettivo cui appartengono”. Per un’analisi essenziale del problema, X. XXXXXXXX - X. XXXX, The fairness property of interfirm network, in Interfirm network. Organization and industrial competitiveness (a cura di A. Xxxxxxxx), Xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000; X. XXXXXX, L’économie des relations interentreprises, La Découverte Repères, Parigi,
ambiente privilegiato per la crescita e l’innovazione delle singole imprese, pur mantenendo un equilibrio virtuoso fra condivisione e competizione, vero carattere distintivo delle reti di imprese rispetto alle altre forme di organizzazione della produzione (mercato e integrazione)27.
È evidente, pertanto, come un minimo comune denominatore tra le diverse strategie di politica economica adottate nel secolo scorso sia facilmente rinvenibile nella necessità di una progressiva riduzione dei costi di gestione e produzione, da raggiungere anche attraverso forme di de- localizzazione della produzione verso aree con margini di compressione del costo del lavoro per unità di prodotto enormemente maggiori di quelli locali, al punto da poter compensare i vincoli strutturali connessi alla ridotta scala di produzione e all’inadeguato sviluppo tecnologico28.
Infatti, mentre l’impresa fordista assommava in sé tutte le competenze necessarie, sviluppando al proprio interno le diverse specializzazioni richieste dal ciclo produttivo, la rete di imprese affida a suoi aderenti o a soggetti esterni specializzati in esclusivi core business l’elaborazione e lo sviluppo di particolari semilavorati e la conduzione di intere fasi del ciclo produttivo, pur detenendo il controllo e la direzione del risultato finale.
2005, 40 ss., 88 ss., il quale qualifica tale forma di cooperazione “quasi-intégration”, chiedendosi, altresì, «quelles sont les formes de coordination qui la caractérisent: l’autorité, l’incitation, et/ou la confiance?». È evidente, come si andrà successivamente meglio a precisare, che l’elemento che più di ogni altro appare innovativo se non, addirittura, rivoluzionario in questo nuovo modo di interpretare il mercato e di operarvi è certamente quello della “confiance”.
27 X. XXXXXXXX, Le relazioni nelle reti di imprese: analisi e studi del caso, in L’industria, 2010, XXXI, 1, 85-86. Più approfonditamente W.W. XXXXXX, Neither market non hierarchy: network form of organization, cit., 295-336.
28 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, Relazioni tra imprese e distretti industriali: luci e ombre di una storia italiana, in Reti di imprese, scenari economici e giuridici, cit., 13. Per un’indagine sulla disintegrazione del processo produttivo si v. R.C. XXXXXXXX, Integration of trade and disintegration of production in the global economy, in Journal of economic perspectives, 1998, 31- 50.
La de-verticalizzazione con forme di outsourcing, però, richiede modelli di governance contrattuale che ne permettano il coordinamento. Pertanto, alla scomposizione organizzativa è necessario rispondere con la ricomposizione contrattuale29.
L’obiettivo per eccellenza di una rete di imprese è, quindi, quello di pervenire a una maggiore efficienza allocativa, al reperimento di nuovi mercati, alla implementazione di nuovi progetti di sviluppo, alla gestione in comune della logistica, nonché al miglioramento del rating delle imprese aderenti per il tramite di una strategia di condivisione e cooperazione non occasionale tra imprese autonome e indipendenti.
Non a caso la rete di imprese è considerata anche come una «trama di relazioni che connette entità istituzionalmente diverse, senza intaccarne l’autonomia formale e in assenza di una direzione e di un controllo unitario»30.
Nell’ambito delle reti di imprese, pertanto, è possibile osservare un pluralismo strategico e progettuale, che si traduce in complementarietà e interazione e non in conflitto o indifferenza.
Analizzando l’esperienza italiana, tuttavia, va sottolineato come lo sviluppo del modello di cooperazione reticolare non comporta l’abbandono tout court del modello distrettuale. Anche la rete sfrutta la connettività locale delle imprese aderenti, risultando essere un insieme di “nodi”31
29 X. XXXXXXX, Introduzione, in Il contratto di rete. Commentario (a cura di X. Xxxxxxx), Il Mulino, Bologna, 2009, 10.
30 G. SODA, Reti tra imprese. Modelli e prospettive per una teoria del coordinamento, Carrocci, Roma, 1998, 29.
31 I nodi possono essere interni o esterni, di grosse o piccole dimensioni, aventi la struttura di una holding, afferenti a singole imprese autonome o semplicemente a Enti pubblici, consorzi, strutture universitarie e associazioni di categoria. I nodi, pertanto, possono risultare anche delle diramazioni delle reti di imprese radicate nel territorio, che possono anche avere natura economica e sociale del tutto differente dalla rete e dalle imprese che vi aderiscono.
localizzati in specifici territori, contestualizzati in circuiti comunitari, che si contaminano a vicenda, confrontando esperienze, successi e fallimenti32. Infatti, nessun apporto significativo può essere fornito alla rete da quelle imprese prive di un forte legame con il territorio e la popolazione locale.
La presenza di nodi reticolari consente alla rete di imprese di poter simultaneamente accumulare e ridistribuire conoscenza, utilizzando un sistema di comunicazione e di circolazione del patrimonio cognitivo in grado di trasferire le informazioni tramite un unico linguaggio di rete di cui, ovviamente, i nodi periferici devono essere a conoscenza.
Tutto ciò a riprova del fatto che il capitalismo personale, familiare e sociale, che ha caratterizzato la crescita economica del nostro Paese non è affatto superato dal nuovo modello di cooperazione, il quale non intende (e non può) prescindere dal background territoriale di ciascun aderente33.
La stretta connessione con il territorio e la diversa provenienza merceologica delle imprese aderenti è, infatti, il presupposto necessario per un significativo progresso delle reti di imprese34.
32 Sul rapporto tra distretti produttivi e reti di imprese, si x. X. XXXXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, Reti d’imprese: fenomeni emergenti, in Reti di imprese oltre i distretti: nuove forme di organizzazione produttiva, di coordinamento e di assetto giuridico, cit., 5 ss. ove, in ogni caso, si rileva che le reti di imprese si formano sia in sistemi distrettuali sia in sistemi non distrettuali, costituendo forme complementari rispetto ai gruppi e alle singole imprese.
33 X. XXXXXXX, New/net/knowledge economy: le molte facce del postfordismo, in Economia e politica industriale, 2001, 10, 20, il quale sintetizza l’evoluzione del postfordismo, mettendo in luce tre grandi momenti dell’esperienza economica nazionale: lo sviluppo della new-economy (caratterizzata da un progressivo abbattimento dei costi e dall’implementazione di potenti strumenti di calcolo e di comunicazione); la rivoluzione della net-economy (i cui valori fondamentali sono l’interazione tra i produttori e i consumatori, lo sviluppo di nuove forme organizzative, l’espansione dei mercati e la moltiplicazione del volume d’affari) e, infine, la knowledge-economy. In quest’ultima fase muta radicalmente la considerazione della conoscenza: da bene privato a risorsa moltiplicabile, da condividere con gli altri aderenti alla rete per un proficuo riuso delle conoscenze.
34 X. XXXXXXX, Il contratto di rete nella prassi. Prime riflessioni, in I contratti, 2011, 5, 507, il quale rileva che, a fronte di 11 contratti di rete stipulati alla data del 31.12.2010, in ben 5 casi le imprese provenivano addirittura dalla stessa provincia, in 2 dalla stessa regione e soltanto in 4 contratti si è potuto registrare una cooperazione tra imprese appartenenti a regioni diverse. Tendenza confermata anche dai dati forniti a Marzo 2012 dal I Osservatorio Intesa San Paolo- Mediocredito Italiano sulle reti d’impresa, il quale rileva che, su 179 contratti di rete stipulati al 5
5. (segue). Dimensione etica e aspetti fiduciari delle reti di imprese.
Nella cooperazione reticolare si esclude una reciproca interferenza degli aderenti nelle rispettive organizzazioni imprenditoriali, le quali restano del tutto autonome e indipendenti.
Nessuna impresa, infatti, sembra assumere il ruolo di main contractor all’interno del gruppo, se non con riferimento ad alcuni specifici affari, i quali possono essere guidati dall’impresa maggiormente specializzata o con maggiore esperienza. In altre parole, si può parlare tutt’al più di una leadership variabile per competenza35 o, più in generale, di una leadership collettiva36.
Da tale cooperazione reticolare le imprese aderenti traggono vantaggi (anche indiretti) che, certamente, non avrebbero mai potuto ottenere partecipando uti singuli alla competizione economica37.
La rete di imprese, altresì, è caratterizzata da un’organizzata divisione del lavoro e da circuiti comunicativi38 al fine di mettere in pool le
ottobre 2011, il 70,9% prevedono reti costituite da imprese provenienti dalla stessa regione. Solo nel 29,1% dei casi le reti hanno natura extra-regionale. Di queste una quota significativa è rappresentata da reti che vedono coinvolte imprese appartenenti a soltanto due regioni.
Da un’analisi condotta dall’“Osservatorio sui contratti di rete di Unioncamere”, invece, è possibile evincere che, su un totale di 333 contratti di rete stipulati al 14.05.2012, ben 233 vedono coinvolte imprese della stessa regione e appena 100 presentano valenza interregionale, facendo comunque registrare un incremento di oltre il 40% nei soli primi cinque mesi del 2012 (rispetto al dato relativo al biennio 2010-2011). I contratti che vedono il contemporaneo coinvolgimento di imprese del Nord e del Sud Italia, invece, sono appena 17.
35 X. XXXXX - X. XXXXXXX, Modelli reticolari evoluti e strategie di cooperazione tra piccole e medie imprese. Alcune ipotesi interpretative, in Economia e politica industriale, 1999, 35, 42. Tuttavia, va rilevato, che nella maggior parte dei casi una rete nasce su iniziativa di un gruppo di imprese che, per risorse e capacità di leadership imprenditoriale, organizzano e coordinano una filiera, selezionano i partners in base alle specifiche competenze, anche in considerazione del fatto che, ciascuna impresa, nel processo produttivo, “fa quel che sa fare meglio”. Sul punto si v. X. XXXXXXXXX, Modello organizzativo per sostenere la competitività delle Pmi italiane, cit., 17.
36 X. XXXXXXX, Il contratto di rete nella prassi. Prime riflessioni, cit., 5, 510.
37 Si pensi alla maggiore visibilità e alla possibilità di gestire meglio le proprie risorse, di sfruttare infrastrutture e sistemi logistici comuni, di usufruire delle agevolazioni in tema di accesso al credito e in materia fiscale, nonché delle maggiori possibilità di accesso ai mercati più lontani, tradizionalmente, prerogativa delle grandi imprese.
38 Negli ultimi anni si è registrata una maggiore adesione a tali modelli di governance dell’apprendimento, grazie allo sviluppo delle c.d. «information and communication technologies»
conoscenze possedute dalle imprese aderenti, le quali, per il raggiungimento degli scopi comuni, non devono rinunciare alla propria specializzazione e originalità39.
Pertanto, va sottolineata la portata innanzitutto culturale della decisione di far parte di un sistema reticolare: si rafforza la consapevolezza del gruppo, del sistema, sostituendo alla logica esclusivamente utilitaristica delle società o prettamente competitiva della concorrenza e mutualistica dei consorzi quella della condivisione, della confiance e della cooperazione.
Nasce così un nuovo modo di farsi concorrenza: non più intra-rete ma inter-rete40.
Non a caso l’elemento fondamentale e imprescindibile della cooperazione reticolare è certamente quello fiduciario. Esso conduce a una forte attenuazione delle relazioni di potere tra gli attori e a un nuovo modo di fare impresa: perseguire il progresso e la competitività del singolo aderente attraverso lo sviluppo e la crescita del gruppo41.
(ICT), le quali consentono la condivisione di dati, risultati ed esperienze di partners dotati di conoscenze diverse e tra loro geograficamente lontani.
39 X. XXXXXXX, La conoscenza e le reti: gli orizzonti competitivi del caso italiano e una riflessione metodologica sull’economia d’impresa. L’impresa nella società di cambiamento (Atti del Convegno annuale di Sinergie, Cagliari, 18.09.1992), in Sinergie, rivista di studi e ricerche, 1993, 31; X. XXXXX, The network as knowledge: generative rules and the emergence of structure, in Strategic management journal, 2000, 21, 409.
40 A. XXXXX - X. XXXXXXX - X. XXXXXXXXXXXXXXX, Reti di imprese, scenari economici e giuridici, cit., 35.
41 Ciò non toglie che, nella prassi, sia possibile riscontrare ipotesi di reti di imprese in cui il meccanismo di governance prescelto risulti essere di natura gerarchico-cooperativa. Si v. il caso della rete di imprese coordinata da Alenia Aeronautica, vertice strategico-decisionale del polo aeronautico campano che, mantenendo il coordinamento della rete, intrattiene legami di partnership forti, non necessariamente equity, con imprese specializzate, dotate di elevata competenza tecnico-organizzativa e affini in termini di vision e cultura aziendale. Per un’approfondita analisi del caso Xxxxxx, si v. X. XXXXXXXXX, Modello organizzativo per sostenere la competitività delle Pmi italiane, cit., 18-19.
È noto, infatti, che le relazioni fiduciarie riducono o annullano i costi di controllo, rendendo superflui quei meccanismi autoritari di verifica e accertamento utilizzati dai modelli di cooperazione di tipo gerarchico42.
Sotto questo profilo la fiducia generata dalla cooperazione reticolare è stata anche definita come «aspettativa che allevia il timore che il proprio partner nello scambio agisca in modo opportunistico»43.
A tal proposito si è soliti distinguere fra fiducia basata sulla concorrenza e fiducia basata sulla deterrenza, per differenziare quella generata dalla conoscenza reciproca derivante dall’interazione e dalla condivisione di regole di condotta, da quella derivante dalla considerazione utilitaristica delle sanzioni che il partner commerciale (o la rete) potrebbe imporre in caso di comportamento opportunistico44.
Analizzando quindi il fenomeno delle reti di imprese è possibile individuare almeno tre elementi caratteristici: a) il legame non occasionale tra imprese diverse e autonome in grado di generare nuovi valori, attraverso l’adozione e lo sfruttamento di un’unica brand identity; b) l’impatto di tale legame sulla competitività della rete e degli stessi aderenti; c) il surriferito elemento della confiance, vero elemento caratterizzante della rete di imprese, il quale, oltre ad accrescere le relazioni fiduciarie esistenti all’interno della rete, consente alle imprese aderenti di ridurre i costi di
42 X. XXXXXXX, Creatività e routine nelle reti: business network, reti distrettuali, reti creative e catene globali del valore, in Reti di imprese, scenari economici e giuridici, cit., 249.
43 J.L. BRADACH - R.G. XXXXXX, Price, authority and trust: from ideal types to plural forms, in
Annual review of sociology, 1989, 15, 96-118.
44 M.A. XXXXX, Innovazione conoscenza ed allocazione dei diritti di proprietà intellettuale nelle reti di imprese, in Reti di imprese tra regolazione e norme sociali, cit., 348.
controllo e gestione e, conseguentemente, di investire il capitale risparmiato nello sviluppo del proprio core business45.
Alla rete di imprese è, altresì, riconosciuta la funzione di stabilizzatore automatico delle relazioni commerciali, sia verso l’interno sia verso l’esterno.
La rete di imprese agisce al proprio interno tramite l’innalzamento dei costi di exit e l’imposizione di sanzioni (reputazionali e non), che tendono a ridurre l’instabilità e gli effetti negativi propri delle singole relazioni contrattuali, nonché la tendenza delle imprese all’assunzione di comportamenti opportunistici. All’esterno, invece, il modello di cooperazione reticolare consente di fronteggiare in modo più efficace le incertezze della domanda e i gusti dei consumatori, i periodi di crisi e di contrazione della domanda, nonché di evitare lo spiazzamento derivante dall’introduzione di novità (tecnologiche o produttive) da parte di imprese concorrenti46.
La rete di imprese è, quindi, in grado di generare una nuova forma di potere, derivante dall’osmosi continua tra i partecipanti e dalla condivisione non occasionale di nuovi processi produttivi e dei risultati della ricerca. Un potere fondamentalmente non attribuito ai singoli partecipanti ma che tutti possono esercitare e che, paradossalmente, si riduce nel momento in cui ciascun aderente alla rete decida di sfruttarlo singolarmente, partecipando da solo alla competizione internazionale, ossia non interagendo più con la rete. Tale potere potrebbe, addirittura, venire meno in assenza della rete in
45 Più approfonditamente, X. XXXXXXXXXXX - X. XXXXXXX, Forme di reti: un insieme diversificato,
in Reti di imprese oltre i distretti, cit., 38.
46 Più ampiamente X. XXXXXXX, Reti di imprese, spazi e silenzi regolativi in Reti di imprese tra regolazione e norme sociali, cit., 18.
quanto non proficuamente sfruttato dalle singole imprese o perché convenzionalmente vietato o perché queste ultime, uti singuli, non hanno le competenze specifiche e l’organizzazione necessaria per utilizzare le informazioni immagazzinate e i risultati esperienziali acquisiti per il tramite della cooperazione47.
Tale potere è certamente un nuovo valore, un nuovo bene prodotto dalla rete di imprese; valore che può essere altissimo se la conoscenza prodotta viene riutilizzata migliaia di volte e in una pluralità di operazioni commerciali.
Ogni nuova replicazione aumenta il valore d’uso, diminuendo il corrispondente costo di utilizzo. Più veloce e più ampia è la diffusione del valore-conoscenza, più grande è il valore generato per gli aderenti e, quindi, per la rete48.
Sono queste le sfide più importanti della cooperazione reticolare: creare fiducia all’interno della struttura reticolare e compensare la perdita di utili ricavabili da uno sfruttamento esclusivo della conoscenza con lo sfruttamento condiviso della stessa; a differenza di quanto accadeva nell’impresa fordista (caratterizzata da segretezza e assenza di comunicazioni con l’esterno), in cui l’informazione risultava centralizzata e convogliata tutta all’interno della struttura verticalmente integrata (c.d. sapere idiosincratico), e per poter incrementare il valore d’uso di tale conoscenza irreversibile massimizzandone il profitto, l’impresa stessa era
47 X. XXXXXX, L’abuso di dipendenza economica. Il contratto e il mercato, Jovene, Napoli, 2004, 65, 69 ss.; X. XXXXXXX, Contratti di consumo e contratti tra imprese. Riflessioni sull’asimmetria contrattuale nei rapporti di scambio e nei rapporti «reticolari», in Riv. critica del diritto privato, 2005, 4, 564-565.
48 X. XXXXXXX, New/net/knowledge economy: le molte facce del postfordismo, cit., 21.
costretta a crescere dimensionalmente e spalmare i relativi sunk costs su volumi produttivi sempre maggiori49.
Il modello confidenziale promosso dalla cooperazione reticolare, invece, incentivando la suddivisione degli ambiti di indagine e lo sfruttamento condiviso (e moltiplicato esponenzialmente) del risultato cognitivo raggiunto è certamente in grado di generare profitti a costi contenuti e di abbattere i costi di protezione e controllo dei brands e know how di rete per il tramite del loro affidamento alla struttura comune.
L’interdipendenza derivante dalla condivisione degli interessi e dallo stretto legame fiduciario esistente tra le imprese aderenti genera un meccanismo reputazionale che permette, con buona approssimazione, di prevedere il comportamento dei propri partners economici.
Infatti, la dimensione etica dell’impresa c.d. relazionale, rappresentata dalla fiducia reciproca, garantisce non solo strutture organizzative più efficienti ed economiche (grazie alla riduzione dei costi di controllo) ma anche la quasi totale assenza di opportunismo50.
La cooperazione reticolare, inoltre, è un efficiente meccanismo di governance per la riduzione del rischio connesso alla mancata conoscenza delle variabili dell’ambiente economico in cui si opera51. La rete, infatti,
49 Sul punto, più approfonditamente, si. v. X. XXXXXXX, Il governo dei sistemi reticolari di imprese,
X. Xxxxxx, Milano, 2010, 26, nt. 12.
50 X. XXXXX - X. XXXXXXX, Modelli reticolari evoluti e strategie di cooperazione tra piccole e medie imprese. Alcune ipotesi interpretative, cit., 43.
51 Si pensi non solo alle fluttuazioni economiche, alla repentina variabilità della domanda, al continuo sviluppo e cambiamento dei processi produttivi e alle difficoltà di accesso a mercati prima inesplorati ma anche, più semplicemente, al perseguimento da parte degli stessi singoli aderenti alla rete di interessi altri rispetto a quello comune, la cui conoscenza da parte dell’organo comune consente di poter gestire il potenziale conflitto e internalizzare i diversi interessi. Sul punto si v. X. XXXXXX, Integrazione di imprese e destinazione patrimoniale, cit., 172-173.
sintetizza la prevedibilità e la stabilità del modello gerarchico con la flessibilità e la mutevolezza tipica del mercato.
Lo stesso elemento fiduciario è ritenuto uno strumento di governance; alla fiducia, infatti, è riconosciuta una duplice funzione regolamentare: da un lato, contribuire alla selezione dei soggetti con cui intessere relazioni imprenditoriali; dall’altro, precostituire le regole di condotta secondo cui quelle stesse relazioni sono destinate a muoversi52.
Altro strumento etico di coordinamento può essere la redazione di codici etici, contenenti appositi benchmarks con cui coordinare e indirizzare l’attività economica delle imprese aderenti.
Si è detto, infatti, che i codici di condotta possono favorire l’interiorizzazione a livello aziendale dei valori giuridici espressi dalle leggi; descrivere più analiticamente comportamenti contrari all’interesse comune non facilmente sintetizzabili per mezzo delle classiche categorie della generalità e dell’astrattezza; affiancare sanzioni di natura reputazionale a quelle tradizionali53.
Tali codici, formalizzando modelli di comportamento ispirati a valori universali e condivisi nel mondo degli affari, contribuiscono al mantenimento di una corporate culture e a influenzare anche l’attività individuale delle imprese aderenti, con l’obiettivo di determinare e promuovere una brand essence comune con prevedibili ritorni reputazionali54.
52 X. XXXX, Modelli di autoregolamentazione nelle reti di imprese, in Reti di imprese tra regolazione e norme sociali, cit., 247.
53 X. XXXX, Modelli di autoregolamentazione nelle reti di imprese, in Reti di imprese tra regolazione e norme sociali, cit., 260.
54 Sulla natura giuridica e sull’efficacia dei codici di condotta, sia pure con riferimento alle imprese multinazionali, si v. F. SALERNO, Natura giuridica ed effetti dei codici di condotta internazionali per imprese multinazionali, in Lavoro e diritto, 2005, 4, 655 ss.; più ampiamente A.
6. Classificazioni e modelli di reti di imprese.
In ragione degli strumenti negoziali utilizzati le imprese possono dar luogo a diverse tipologie di reti: contrattuali, frutto del coordinamento e del collegamento di contratti bilaterali tra loro coordinati, i quali creano reti prive di rilevanza esterna, caratterizzate da maggiori difficoltà nel conciliare la bilateralità e la relatività degli effetti dei singoli contratti con gli obiettivi e l’architettura tradizionale di una struttura reticolare; organizzative, rilevanti anche all’esterno, costruite intorno allo schema del contratto plurilaterale da quelle imprese che, senza rinunciare alla propria individualità, prediligono una cooperazione maggiormente strutturata in grado di superare la frammentarietà delle reti contrattuali55.
Secondo parte della dottrina la scelta tra i suesposti modelli di cooperazione reticolare potrebbe essere dettata dalla “nature of knowledge” necessaria al raggiungimento dell’obiettivo comune o da raggiungere per il tramite della interazione reticolare. Le imprese aderenti, infatti, generalmente prediligeranno il modello contrattuale se è già definita la titolarità della “conoscenza” (magari coperta da brevetto), il modello di carattere organizzativo nel momento in cui, invece, essa non è stata ancora ridotta in brevetto o risulta difficilmente accessibile o brevettizzabile ex ante56.
PERULLI, Diritto del lavoro e globalizzazione. Clausole sociali, codici di condotta e commercio internazionale, Cedam, Padova, 1999, 261 ss.
55 La rete, infatti, potrebbe organizzarsi nella forma del consorzio e della società consortile, oppure attraverso la creazione di joint ventures tra le imprese aderenti o ancora nella forma del gruppo di società paritetico o piramidale. Più approfonditamente, si v. X. XXXXXXX, Il governo della rete, in Reti di imprese tra regolazione e norme sociali, cit., 102 ss.; C. CREA, Reti contrattuali e organizzazione dell’attività d’impresa, Xxx, Xxxxxx, 0000, 257 ss.; X. XXXXXXX - P. IAMICELI, Reti di imprese e modelli di governo inter-imprenditoriale: analisi comparativa e prospettive di approfondimento, in Reti di imprese tra crescita e innovazione organizzativa. Riflessioni da una ricerca sul campo (a cura di X. Xxxxxxx - P. Iamiceli), Il Mulino, Bologna, 2007, 310 ss.
56 X. XXXXXXX, Contractual networks, inter-firm cooperation and economic growth, Xxxxx, Cheltenam, 2011, 10, il quale, espressamente, rileva che: «(…) An additional element is
Con riferimento al sistema di gestione e controllo prescelto, invece, è possibile differenziare le reti di imprese in reti gerarchizzate o acentriche.
Le reti di imprese a base gerarchica o baricentrica sono quelle caratterizzate da una forte gerarchia interna, promosse da imprese di media o grande dimensione le quali ne detengono il controllo senza, però, neutralizzare del tutto l’autonomia decisionale delle imprese aderenti. Questo tipo di rete non si costituisce autonomamente (c.d. rete naturale) ma per iniziativa di un’impresa leader che ne condiziona anche la successiva evoluzione57.
Leggera variante di tale modello è quella delle reti di imprese a base oligarchica o con centri di gravità multipli, caratterizzate dalla posizione dominante di un numero limitato di aderenti, in grado di influenzare i partners nella scelta delle caratteristiche e del design dei beni da produrre, del mercato di riferimento, delle relazioni (spesso contrattuali) da intrattenere e, più in generale, delle strategie imprenditoriali da seguire.
Le reti di imprese paritarie o acentriche, invece, sono organizzate secondo il modello distrettuale, della società consortile o della lunga filiera produttiva, in cui nessuna impresa prende la posizione di comando e tutti gli aderenti partecipano alla implementazione e alla determinazione del progetto imprenditoriale in maniera paritaria, secondo il modello “una testa un voto”.
represented by the ‘nature’ of knowledge. Contracts are generally deployed when property rights can be ex ante well defined, while organizational models are preferred when knowledge cannot be easily ‘propertized’ ex ante».
57 E’ il caso di Lotto Sport Italia, Luxottica Group, Metal Link, Polo aeronautico campano e Crai
S.p.A. Sul punto, si v. l’indagine condotta da X. XXXXXX, Il castello e la rete, cit., 60 ss.; nonché per un’approfondita analisi del caso Alenia e del polo aeronautico campano, si v. X. XXXXXXXXX, Modello organizzativo per sostenere la competitività delle Pmi italiane, cit., 18-19.
Dal punto di vista della progettazione del sistema-rete, parte della dottrina distingue l’impresa-rete naturale dall’impresa-rete governata58. Con il primo modello si intende quel sistema di riconoscibili e plurime connessioni entro cui operano nodi ad alto livello di autoregolazione, capaci di cooperare in vista di un fine comune. Le reti naturali vengono anche definite sistemi aperti vitali in quanto, pur in assenza di un progetto esplicito e di un governo centrale condiviso, i componenti della rete sono in grado di raggiungere risultati di efficacia ed efficienza utili sia per l’intero sistema sia per i singoli nodi. Tale modello di cooperazione certamente dispone di una flessibilità strutturale intrinseca (built in) in grado di fronteggiare meglio momenti di crisi e di cambiamento.
Allorché, invece, le imprese provvedano intenzionalmente a progettare, gestire e implementare modelli di cooperazione reticolare, è possibile parlare di reti governate, rappresentando un potenziale artefatto economico e organizzativo59.
Con riferimento, invece, al rapporto esistente tra gli aderenti alla rete di imprese e al legame prescelto per la cooperazione è possibile distinguere tra reti sociali, burocratiche e proprietarie60.
Le reti sociali sono quelle fondate su legami informali, diretti e interpersonali. Esse si formano (naturalmente) in ambienti in cui il rischio di opportunismo è relativamente basso, dove vi è fiducia diffusa e basata su pregressi legami, dove le sanzioni per eventuali comportamenti opportunistici sono irrogate esclusivamente a livello reputazionale.
58 X. XXXXXX, Il castello e la rete, cit., 60 ss.
59 X. XXXXXX, Il castello e la rete, cit., 68 ss.
60 X. XXXXX, Reti di imprese e modelli societari di coordinamento, in Reti di imprese tra regolazione e norme sociali, cit., 179.
In tali forme più snelle di cooperazione, la facilità di governance e la stabilità imprenditoriale sono garantite dal forte legame esistente tra gli aderenti e dal conseguente interlocking directorate, ossia dalla presenza in almeno due consigli di amministrazione di un medesimo amministratore61.
Le reti burocratiche, invece, rispondono ad una logica definita fondazionale, in cui le imprese, pur avendo scopi in parte diversi, sottostanno a regole e procedure comuni per l’approvvigionamento, la distribuzione e lo sfruttamento comune delle risorse necessarie, istituendo, spesso strutture comuni per il coordinamento dell’attività della rete.
Le reti proprietarie, invece, risultano essere caratterizzate dalla condivisione di una risorsa, di un progetto o di un particolare know how e, successivamente, dei risultati derivanti dal suo sfruttamento. Sono caratterizzate da un elevato opportunismo e, pertanto, proprio la condivisione della proprietà (delle azioni) appare lo strumento più idoneo per contemperare gli interessi (spesso contrari) delle parti62.
Infine, a seconda che le imprese aderenti appartengano o meno allo stesso settore merceologico è possibile distinguerle in reti a cooperazione competitiva (altresì definite reti orizzontali) e reti a cooperazione simbiotica63.
Va rilevato, inoltre, che la rappresentazione della rete di imprese come archetipo di forma ibrida, a metà strada tra una struttura intersoggettiva (generata da legami contrattuali di tipo tradizionale) e un ente a sé stante di
61 Sull’interlocking directorate come forma di coordinamento delle PMI si v. X. XXXXX, Reti di imprese e modelli societari di coordinamento, cit., 184. Più in generale X. XXXXXXXXX, Interlocking directorates ed “interessi degli amministratori” di società per azioni, in Riv. delle società, 2009, 2-3, 54, 310 ss.
62 X. XXXXXXXX, Il coordinamento organizzativo tra imprese, in Sviluppo e organizzazione, 1999, 171, 75 ss.
63 C. ALTER - X. XXXX, Organizations working together, Sage Publications, London, 1993, 50 ss.
natura associativa (se non addirittura societaria) deriva dalla consapevolezza della sostanziale invisibilità al diritto dei legami negoziali sottostanti, in quanto insuscettibili di riconduzione a paradigmi di riconosciuta giuridicità, come il contratto sinallagmatico o l’atto di fondazione o di associazione64.
La riferita invisibilità dei legami segna il passaggio dalle forme classiche di cooperazione ad un modello di organizzazione c.d. olonico- virtuale, in cui la rete sia in grado di mobilitare «l'intelligenza decentrata e la sua creatività, predisponendo le forme necessarie affinché un progetto, nato in un punto qualunque della rete, possa rapidamente ed efficacemente ordinare intorno a sé, e integrare a sistema, tutte le risorse e le intelligenze diffuse nella rete complessiva»65. Tale innovativo modello di cooperazione, peraltro, è in grado di prescindere persino da un luogo fisico dell’impresa ben definito, richiedendo soltanto relazioni strategiche tra le unità operative, fiducia reciproca tra gli aderenti e “intensità relazionale”. Nelle reti di imprese, infatti, piuttosto che una vicinanza di tipo spaziale (imprescindibile in una cooperazione di tipo distrettuale), appare necessaria una vicinanza di tipo ideale66.
64 X. XXXXXXX, Reti di imprese, spazi e silenzi regolativi, cit., 14; P. XXXXXXXX, Dalle reti di imprese al contratto di rete, in Le reti di imprese e i contratti di rete, cit., 1 ss; X. XXXXXXX, Contratti di consumo e contratti tra imprese. Riflessioni sull’asimmetria contrattuale nei rapporti di scambio e nei rapporti «reticolari», cit., 566; X. XXXXXXX, Il “contratto” e la “rete”: brevi note sul riduzionismo legislativo, cit., 956; X. XXXXXX, Xxxxxx Xxxxxxxxxx and the logic of hybrid organizations, in Corporate governance, organization and the firm: co-operation and outsourcing in the global economy (a cura di X. Xxxxxxx), Xxxxx, Cheltenham, 2009, 88 ss.
65 Più approfonditamente si v. X. XXXXX - X. XXXXXXX, L’azienda olonico-virtuale: un’opportunità storica per la piccola e media impresa, Il sole 24 ore, Milano, 1994, 264 ss. ove, tra l’altro, si rileva che il termine olon (tutto) è da intendersi come un «insieme di cellule che agiscono in modo autonomo, pur essendo orientate al raggiungimento di un obiettivo condiviso di ordine superiore». 66 X. XXXXX - X. XXXXXXX, Modelli reticolari evoluti e strategie di cooperazione tra piccole e medie imprese. Alcune ipotesi interpretative, cit., 44.
7. Il contratto di rete come tipizzazione normativa delle reti di imprese.
Da una prima (operativa) analisi è emerso che sia il modello reticolare
c.d. gerarchico sia quello contrattuale presentano alcune difficoltà operative dovute, da un lato, alle rigidità della struttura societaria, dall’altro alla relatività degli effetti negoziali67. Si è potuto osservare, pertanto, come le imprese prediligano la duttilità del modello contrattuale, sia pure temperato dalla presenza di un organo comune (composto, di solito, dai managers delle imprese aderenti), che esegua il programma comune e rappresenti all’esterno il gruppo.
A tal proposito il deficit tecnologico e dimensionale delle imprese nazionali, schiacciate dalla concorrenza internazionale e dal continuo progresso dei competitors stranieri, ha reso sempre più urgente un immediato intervento legislativo volto a promuovere e incentivare tale cooperazione reticolare in quanto qualsiasi progetto di semplificazione strutturale rivolto a una maggiore e più efficace dinamicità operativa non può trovare attuazione senza un contemporaneo adeguamento della legislazione applicabile68. È ormai pacifico, infatti, che «the law is not innocent. It is co-producer of network failure»69.
Pertanto, il progresso, l’internazionalizzazione e la crescita competitiva delle PMI non possono prescindere da un significativo ammodernamento delle disposizioni normative applicabili, dall’introduzione di nuovi modelli
67 X. XXXXXXX, Reti contrattuali e contratti di rete: ripensando il futuro, in Reti di imprese tra crescita e innovazione organizzativa, cit., 413 ss.
68 Secondo quanto rilevato dagli indicatori strutturali fissati a Lisbona nel 2006, l’Italia soffre di un pesante gap di capacità innovativa rispetto ai principali Paesi stranieri, come confermato dall’Innovation Union Scoreboard 2011 (consultabile su xxxx://xx.xxxxxx.xx), dal quale è emerso che l’Italia è ormai tra i Paesi di coda (moderate innovators), con un risultato addirittura inferiore a quello della media europea (peraltro, crollata a seguito dell’allargamento dell’UE a 27 stati).
69 X. XXXXXXX, “And I by Beelzebub cast out devils, ...”: an essay on the diabolics of network failure, in German Law Journal, 2009, 10, 397.
di cooperazione più duttili ed efficienti e dalla concessione di agevolazioni di carattere fiscale - contributivo.
In realtà diversi sono stati i tentativi del nostro legislatore: dalla accennata riforma dei distretti industriali all’introduzione di strumenti di incentivazione per l’aggregazione delle imprese contenute nel “decreto competitività”70; dalla miriade di provvedimenti regionali71 alle non sempre unidirezionali decisioni del Parlamento e del Consiglio Europeo sulla formazione di reti di servizi alle PMI72.
Tuttavia, appurata la scarsa incisività dei provvedimenti in questione e l’assenza di coordinamento tra le diverse regolamentazioni succedutesi nel corso dell’ultimo decennio, è da guardare sicuramente con favore l’intervento del nostro legislatore, il quale ha inteso promuovere la formazione di reti di imprese direttamente mediante la predisposizione di un nuovo modello negoziale di cooperazione, non gerarchizzato e non entificato, sorretto da meccanismi fiduciari e reputazionali e finalizzato al perseguimento di uno scopo comune, alla condivisione di conoscenze e all’implementazione di nuovi know how73.
70 D.l. 14.03.2005 n. 35, convertito, con modificazioni, in legge 14.05.2005 n. 80, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale e pubblicata in G.U., 14.05.2005 n. 111. Si v., in particolare, quanto riferito all’art. 9, rubricato “dimensione europea per la piccola impresa e premio di concentrazione”.
71 Xxx. x. xxx. Xxxxxx-Xxxxxxx Xxxxxx x. 0/0000 (xxxxxxxxxx in B.U.R. 9.03.2005, suppl. straord. n. 7);
l. reg. Molise n. 8/2004 (pubbl. in B.U.R. 16.04.2004 n. 8); l. reg. Puglia n. 2/2003 (pubbl. in B.U.R. 4.02.2003 n. 13); l. reg. Veneto n. 8/2003 (pubbl. in B.U.R. 8.04.2003 n. 36); l. reg. Liguria n. 12/2002 (pubbl. in B.U.R. 3.04.2002 n. 6); l. reg. Lazio n. 36/2001 (pubbl. in B.U.R. 29.12.2001 n. 36, suppl. ord. n. 7); l. reg. Lombardia n. 7/1993 (pubbl in B.U.R. 27.02.1993 n. 8, suppl. ord. n. 1).
72 Cfr. Decisione n. 1639/2006/CE del 24.10.2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio che istituisce un programma quadro per la competitività e l’innovazione (2007-2013), pubblicata in G.U.U.E. 9.11.2006, L 310/15.
73 Più ampiamente si v. X. XXXXXXX, Il contratto di rete e il diritto dei contratti, in Reti di imprese e contratto di rete: spunti per un dibattito (a cura di X. Xxxxxxx - X. Xxxxxxxxxxxx), in I Contratti, 2009, 10, 920, ove si riferisce che «il contratto di rete potrà essere impiegato per svolgere attività di gestione a vantaggio dei partecipanti, come l’esercizio in comune di attività logistica e di trasporto, la gestione di servizi amministrativi e contabili in comune, la utilizzazione comune di
Tutto ciò in linea con quanto previsto dal programma quadro adottato nel 2006 dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione Europea in tema di competitività e innovazione che ha individuato nella crescita tecnologica e nella promozione di nuove forme di cooperazione il volano per il successo delle PMI e, in generale, dell’economia dell’Unione europea74.
Infatti, la promozione della competitività e del progresso delle imprese non può essere demandata soltanto alle norme di diritto pubblico75 e alle norme dettate in tema di concorrenza o di diritto societario76. Si fa largo,
impianti, l’acquisto e la vendita di beni e servizi per lo svolgimento delle singole attività o dell’attività in comune, lo svolgimento di attività di ricerca pre-competitiva o competitiva, l’assunzione di appalti, fornitura, sistemi di distribuzione ovvero la concessione a terzi degli stessi quando i prodotti ed i servizi delle imprese siano omogenei e molte altre attività funzionali al perseguimento degli obiettivi strategici delle singole imprese»; nonché X. XXXXXX, Integrazione di imprese e destinazione patrimoniale, cit., 171.
74 In particolare, si v. il Considerandum 35, il quale, espressamente, riferisce che «(…). La Comunità è in grado di agevolare gli scambi transnazionali, l’apprendimento reciproco e le attività di rete, e può guidare la cooperazione sulla politica dell’innovazione. Le attività di rete fra le parti interessate sono fondamentali per favorire il flusso di competenze e idee necessarie per l’innovazione»; l’art. 12 (Cooperazione tra PMI) in cui si rileva che “Le azioni riguardanti la cooperazione tra le PMI sono dirette tra l’altro: (…) c) a incoraggiare e facilitare la cooperazione internazionale e regionale delle imprese, anche mediante reti di PMI che favoriscano il coordinamento e lo sviluppo delle loro attività economiche e industriali; nonché l’art. 13 (Attività di innovazione), in cui si rileva che le azioni riguardanti l’innovazione possono essere dirette tra l’altro: “a) ad incoraggiare l’innovazione settoriale, i raggruppamenti, le reti di innovazione, la collaborazione tra il settore pubblico e quello privato in materia d’innovazione, la cooperazione con le organizzazioni internazionali competenti e l'uso del management dell’innovazione (...)”.
75 È possibile evincere, infatti, dall’art. 6-bis del d.l. 25.06.2008 n. 112, “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” (c.d. decreto Bersani, pubblicato in G.U. 25.06.2008 n. 147, ora abrogato dall’art. 1, co. 2°, l. 23.07.2009 n. 99) che: «al fine di promuovere lo sviluppo del sistema delle imprese attraverso azioni di rete che ne rafforzino le misure organizzative, l’integrazione per filiera, lo scambio e la diffusione delle migliori tecnologie, lo sviluppo di servizi di sostegno e forme di collaborazione tra realtà produttive anche appartenenti a regioni diverse, con decreto del Ministro dello sviluppo economico (…) sono definite le caratteristiche e le modalità di individuazione delle reti delle imprese e delle catene di fornitura».
La norma citata prevedeva, altresì, l’estensione di alcune disposizioni concernenti i distretti produttivi anche alle reti di imprese aventi caratteristiche da definire attraverso un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province di Trento e di Bolzano. In particolare erano estese alle reti le disposizioni concernenti i distretti produttivi previste dall’articolo 1, co. 366 ss., l. 23.12.2005 n. 266.
76 Si v. l’art. 2, co. 1, lett. a), l. 3.10.2001 n. 366 (Delega al governo per la riforma del diritto societario, pubblicata in G.U. 8.10.2001 n. 234) che, tra i principi generali, individuava quello di
«perseguire l’obiettivo prioritario di favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni e internazionali dei capitali».
quindi, l’idea di dotare le imprese di uno strumento negoziale duttile, con cui poter pianificare e regolamentare la propria attività di ricerca (da condurre in maniera condivisa e congiunta con altre imprese) e perseguire finalità prima raggiungibili soltanto per il tramite di scelte altamente limitative della individualità imprenditoriale (come quelle derivanti da ipotesi di fusione, co-gestione o integrazioni di tipo gerarchiche).
Nasce così tra numerose critiche, dovute non soltanto all’ormai atavica sciatteria legislativa ma anche, e soprattutto, all’asserita inutilità di un provvedimento normativo volto a disciplinare un modello di cooperazione ritenuto nient’altro che un doppione rispetto a quelli già saldamente affermati (i quali, piuttosto, avrebbero bisogno di ammodernamento e adeguamenti), il c.d. contratto di rete77.
Tuttavia, prima di aderire (sbrigativamente) alle critiche che hanno tacciato di inutilità l’introdotta novità legislativa, appare opportuno verificare se, anche all’esito di un’indagine (che forma oggetto del prosieguo di questo lavoro) sulla natura, sulla struttura, sulle finalità e sugli elementi essenziali dell’introdotto contratto di rete, il riferito contratto di rete risulti del tutto privo di pregio o, piuttosto, apprezzabile almeno in qualche sua parte.
Va rilevato, inoltre, che la fase di avvio di un nuovo sistema produttivo, di un nuovo modo di fare impresa incontra sempre delle difficoltà strutturali e un conseguente momento di arresto dello sviluppo e della competitività. Infatti, oltre a dover superare le inefficienze dei modelli precedentemente
77 Senza alcuna pretesa di completezza, X. XXXXXXXX, Il contratto di rete: una soluzione in cerca del problema?, cit., 934 ss.; X. XXXXXXX, Il “contratto” e la “rete”: brevi note sul riduzionismo legislativo, cit., 951 ss.; X. XXXXXXXX, La nuova legge sui “contratti di rete” tra le imprese: osservazioni e spunti, in Notariato, 2010, 2, 191 ss.
adottati, non più in grado di trainare la crescita, si scontano le inesperienze e le imperfezioni del nuovo modello, ancora immaturo per soppiantare del tutto il precedente. Quindi, l’eventuale mis-matching generato sarebbe soltanto una naturale crisi di crescita, destinata a rientrare nel momento in cui il nuovo modello di cooperazione sarà in grado di produrre i suoi primi effetti78.
Tuttavia non può essere negato, alla luce delle due novelle succedutesi in poco più di un anno dalla sua entrata in vigore e, soprattutto, delle recenti importanti modifiche (non solo di natura integrativa) apportate in occasione della conversione in legge del d.l. n. 83/12 e dal successivo d.l. n. 179/12 (c.d. sviluppo bis), che il contratto di rete è un istituto giuridico dalla genesi alquanto sofferta ed evidentemente non ancora conclusa.
Il primo tentativo di stesura, infatti, è stato registrato nel 2006 nell’ambito del disegno di legge contenente “interventi per l’innovazione industriale” (approvato dal Consiglio dei Ministri n. 16 del 22.09.2006), preordinato alla definizione delle linee strategiche di sostegno alla politica industriale nazionale. Ciò che sarebbe poi diventato il contratto di rete era definito all’art. 7, co. 1, lett. a) come “forma di coordinamento stabile di natura contrattuale tra imprese aventi distinti centri di imputazione soggettiva, idonee a costituire in forma di gruppo paritetico e gerarchico una rete di imprese”79.
78 Sul punto, più ampiamente, X. XXXXXXX, New/Net/Knowledge economy: le molte facce del postfordismo, cit., 6; nonché, sul concetto di mis-matching, più in generale, X. XXXXXXX, Dal fordismo realizzato al postfordismo possibile: la difficile transizione, in Il postfordismo. Idee per il capitalismo prossimo venturo, cit., 36, il quale, altresì, rileva che «un paradigma non nasce coerente, lo diventa col tempo e attraverso conflitti, crisi, tentativi di riforma riusciti e falliti».
79 Sul punto si v., più ampiamente, X. XXXXXXX, Reti di impresa: dall’economia al diritto, dall’istituzione al contratto, cit., 952-953.
Tale idea di coordinamento, però, rimase allo stato progettuale e il concetto di cooperazione reticolare venne ripreso soltanto con la l. 6.08.2008 n. 13380. Infatti l’art. 6 bis, pur demandando a un successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico la definizione delle caratteristiche e delle modalità di individuazione delle reti di imprese, al comma 2 (il quale, tra l’altro, prevedeva l’estensione alle reti di imprese delle disposizioni dettate in tema di distretti produttivi riguardanti le agevolazioni fiscali, le facilitazioni e le possibilità di instaurare procedimenti collettivi nei rapporti con le p.a., l’accesso ai contributi da esse erogati, le facilitazioni finanziarie e quelle in tema di promozione dell’attività di ricerca e sviluppo) qualificava le reti di imprese “quali libere aggregazioni di singoli centri produttivi coesi nello sviluppo unitario di politiche industriali”.
Tuttavia, senza attendere l’emanazione del surriferito d.m., con l’art. 3, co. 4-ter, 4-quater e 4-quinquies, l. 9 aprile 2009 n. 33, il legislatore ha direttamente definito e tipizzato il contratto di rete81.
Da subito, però, la definizione di contratto di rete fornita dalla l. n. 33/09 è apparsa sotto alcuni aspetti eccessivamente restrittiva della libertà di iniziativa economica delle imprese, sotto altri lacunosa e scarsamente incisiva.
80 Derivante dalla conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 25.06.2008 n. 112, recante “disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, pubblicata in G.U., 21.08.2008
n. 195, suppl. ord. n. 196.
81 Il testo integrale della legge, rubricata “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto- legge 10 febbraio 2009, n. 5, recante misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario”, è pubblicato in G.U., 11.04.2009 n. 85, suppl. ord. n. 49.
Per un’indicazione essenziale circa la genesi del contratto di rete si v. X. XXXXX, Coordinamento tra imprese e “contratto di rete”: primi passi del legislatore, in I contratti, 2009, 7, 729 ss.
È così che, appena tre mesi dopo la prima stesura, con la l. 23 luglio 2009 n. 99, recante “disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”, il legislatore è tornato sull’introdotta novità normativa, modificandone definizione e disciplina82.
Tra le modifiche più rilevanti va segnalata la riformulazione della lett.
b) dell’art. 3, co. 4-ter, con cui si obbligano le imprese a fare espresso riferimento alla natura strategica degli obiettivi perseguiti dalla rete e (con una indicazione che lascia alquanto perplessi) a “spiegare” come gli obiettivi perseguiti e le attività espletate condurrebbero al “miglioramento della capacità innovativa e della competitività sul mercato”83 e, soprattutto, l’inserimento alla lett. c) del predetto art. 3, co. 4-ter, avente ad oggetto l’indicazione del c.d. programma di rete e delle risorse con cui perseguirlo,
82 Pubblicata in G.U., 31.07.2009 n. 176, suppl. ord. n. 136. Nello specifico, l’art. 3, co. 4-ter l. n. 33/09, così come modificato, prevede che: “Con il contratto di rete due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato. Il contratto è redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, e deve indicare:
a) il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale degli aderenti alla rete;
b) l’indicazione degli obiettivi strategici e delle attività comuni poste a base della rete, che dimostrino il miglioramento della capacità innovativa e della competitività sul mercato;
c) l’individuazione di un programma di rete, che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascuna impresa partecipante e le modalità di realizzazione dello scopo comune da perseguirsi attraverso l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, in relazione al quale sono stabiliti i criteri di valutazione dei conferimenti che ciascun contraente si obbliga ad eseguire per la sua costituzione e le relative modalità di gestione, ovvero mediante ricorso alla costituzione da parte di ciascun contraente di un patrimonio destinato all’affare, ai sensi dell’art. 2247 bis, primo comma, lettera a) del codice civile. Al fondo patrimoniale di cui alla presente lettera si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615 del codice civile;
d) la durata del contratto, le modalità di adesione di altre imprese e le relative ipotesi di recesso;
e) l’organo comune incaricato di eseguire il contratto di rete, i suoi poteri anche di rappresentanza e le modalità di partecipazione di ogni impresa alla attività dell’organo. Salvo che sia diversamente disposto nel contratto di rete, l’organo agisce in rappresentanza delle imprese, anche individuali, aderenti al contratto medesimo, nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nonché nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l’accesso al credito, all’utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti italiani ed allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione, previsti dall’ordinamento”.
83 A differenza di quanto previsto dalla lett. b), art. 3, co. 4-ter, l. n. 33/09 (ante novella l. n. 99/09) che richiedeva, più genericamente, «l’indicazione delle attività comuni poste a base della rete». Sul punto si v. X. XXXXXXX, Introduzione, in Il contratto di rete. Commentario, cit., 31.
del seguente periodo: «Al fondo patrimoniale di cui alla presente lettera si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615 del codice civile»84.
Con tale emendamento, pertanto, si è consentito anche agli imprenditori aderenti a una rete di imprese di poter beneficiare delle limitazioni di responsabilità concesse agli aderenti a una struttura consortile, nonché di poter dotare il fondo reticolare di quella autonomia e separatezza estremamente necessaria per offrire maggiori garanzie ai terzi e a (eventuali) nuovi aderenti.
Più in generale, già a una prima lettura, gli elementi caratterizzanti l’introdotta novità legislativa (così come emendata dalla l. n. 99/09) risultavano essere: la natura contrattuale dell’accordo e la appartenenza dello stesso alla categoria dei contratti plurilaterali (aperti) con comunione di scopo85; l’obbligo di esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi “oggetti sociali” allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato86; l’obbligatoria istituzione di un organo comune cui è attribuita la gestione del programma di rete e la rappresentanza della stessa87; la necessaria previsione di un patrimonio di rete nella duplice e alternativa forma del fondo comune o
84 Più approfonditamente P. IAMICELI, Contratto di rete, fondo comune e responsabilità patrimoniale, in Il contratto di rete. Commentario, cit., 63 ss, la quale rileva che è soltanto grazie a tale emendamento che è possibile fare riferimento a una “rilevanza reale” dell’autonomia patrimoniale del fondo della rete, altrimenti configurabile alla stregua di una mera comunione di diritti.
85 Sul punto si v. G. VILLA, Il coordinamento interimprenditoriale nella prospettiva del contratto plurilaterale, in Reti di imprese e contratti di rete (a cura di P. Iamiceli), Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2009, 110 ss.; nonché D SCARPA, Integrazione di imprese e destinazione patrimoniale, cit., 169, secondo il quale, invece, «il contratto di rete può avere struttura bilaterale o plurilaterale».
86 Sia pure con riferimento alla disciplina ante novella 2010 si v. X. XXXXXXXXXXXX, Il contratto di rete: il problema della causa, in Reti di imprese e contratto di rete: spunti per un dibattito, cit., 961 ss.
87 Sui poteri di gestione e rappresentanza dell’organo comune si v. X. XXXXXX, Integrazione di imprese e destinazione patrimoniale, cit., 175 ss.
della costituzione di patrimoni destinati all’affare, ai sensi dell’art. 2447-bis cod. civ. (nell’esclusiva ipotesi di partecipazione di sole società per azioni)88; la previsione di un obbligo di forma per la stipulazione del contratto e l’iscrizione dello stesso in tutti i registri delle imprese ove hanno sede le imprese aderenti89.
Tuttavia, pur in assenza di una significativa sperimentazione nella prassi della disciplina in esame, ancora numerosi risultavano essere i punti critici e le ambiguità nella definizione di contratto di rete di cui alla l. n. 33/09, come successivamente modificata90. Pertanto, sull’onda delle numerose sollecitazioni provenienti dalla dottrina, dalle associazioni di categoria e dal notariato italiano, il legislatore, con l’art 42 (rubricato “Rete di imprese”) della l. 30 luglio 2010 n. 12291 è intervenuto chirurgicamente sul riferito testo dell’art. 3, co. 4-ter, l. n. 33/09, modificandone, ancora una volta, l’impianto e la disciplina92.
88 Sulla duplice alternativa patrimoniale prevista dal legislatore della l. n. 33/09 (così come modificata) si v. X. XXXXXXX - P. IAMICELI, Contratto di rete. Inizia una nuova stagione di riforme?, cit., 601; P. IAMICELI, Il contratto di rete tra percorsi di crescita e prospettive di finanziamento, in Reti di imprese e contratto di rete: spunti per un dibattito, cit., 949 ss.
Con riferimento al finanziamento delle attività reticolari per il tramite della costituzione, da parte di ciascuna impresa, di patrimoni destinati a uno specifico affare si v. l’ampia indagine condotta da
X. XXXXXX, Integrazione di imprese e destinazione patrimoniale, cit., 180 ss.; nonché le perplessità evidenziate da X. XXXXXXX, Reti di impresa: dall’economia al diritto, dall’istituzione al contratto, cit., 960-961 e X. XXXXXXXXX, Il “Contratto di rete” fra (comunione di) impresa e società (consortile), in Riv. dir. civ., 2011, 3, 349.
89 Sulla forma e la pubblicità del contratto di rete si v. X. XXXXXXXX, La costituzione del contratto di rete: aspetti operativi, in AA.VV., I contratti di rete, in Il corriere del merito. Rassegna monotematica, 2010, 5, 26 ss.
Sulla natura della pubblicità prescritta per i contratti di rete, più ampiamente, si v. F. CALISAI, Riflessioni in tema di contratti di rete: una stringata disciplina normativa con interessanti potenzialità, in Riv. di diritto dell’impresa, 2010, 3, 528 ss.
90 Per un’analisi approfondita delle lacune e delle criticità della prima versione (così come modificata dalla l. n. 99/09) della normativa in commento si v. X. XXXXXXX, Conclusioni, in Il contratto di rete. Commentario, cit., 144 ss.; X. XXXXXXX, Reti di impresa: dall’economia al diritto, dall’istituzione al contratto, cit., 961 ss.
91 Derivante dalla conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 31.05.2010 n. 78, recante “misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, pubblicata in G.U., 30.07.2010 n. 176.
92 Il comma 4-ter dell’art. 3 l. n. 33/09 (così come modificato dalla l. n. 99/09) è stato dall’art. 42
d.l. n. 78/10 (convertito, con modifiche, in l. n. 122/10) così sostituito: «Con il contratto di rete più
In primo luogo, improprio appariva il riferimento oggettivo a “due o più imprese” per individuare i potenziali aderenti alla rete, attese le fondate perplessità in ordine alla possibile adesione di imprese non organizzate in forma societaria specie alla luce del successivo riferimento ai “rispettivi oggetti sociali”; con l’utilizzo dell’espressione “più imprenditori”, invece, la novella della l. n. 122/10 ha eliminato alla radice l’equivoco. Al fine di
imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l'istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l'esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso. Ai fini degli adempimenti pubblicitari di cui al comma 4-quater, il contratto deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e deve indicare:
a) il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale di ogni partecipante per originaria sottoscrizione del contratto o per adesione successiva;
b) l'indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate tra gli stessi per misurare l'avanzamento verso tali obiettivi; c) la definizione di un programma di rete, che contenga l'enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante, le modalità di realizzazione dello scopo comune e, qualora sia prevista l'istituzione di un fondo patrimoniale comune, la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo nonché le regole di gestione del fondo medesimo; se consentito dal programma, l'esecuzione del conferimento può avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato costituito ai sensi dell'articolo 2447-bis, primo comma, lettera a), del codice civile. Al fondo patrimoniale comune costituito ai sensi della presente lettera si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615 del codice civile;
d) la durata del contratto, le modalità di adesione di altri imprenditori e, se pattuite, le cause facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l'esercizio del relativo diritto, ferma restando in ogni caso l'applicazione delle regole generali di legge in materia di scioglimento totale o parziale dei contratti plurilaterali con comunione di scopo;
e) se il contratto ne prevede l'istituzione, il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale del soggetto prescelto per svolgere l'ufficio di organo comune per l'esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto come mandatario comune nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto. Salvo che sia diversamente disposto nel contratto, l'organo comune agisce in rappresentanza degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto, nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l'accesso al credito e in quelle inerenti allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione previsti dall'ordinamento nonché all'utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e marchi di qualità o di cui sia adeguatamente garantita la genuinità della provenienza;
f) le regole per l'assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando è stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo, nonché, se il contratto prevede la modificabilità a maggioranza del programma di rete, le regole relative alle modalità di assunzione delle decisioni di modifica del programma medesimo».
non impedire agli imprenditori individuali di aderire alle reti di imprese si è provveduto a modificare parzialmente anche lo stesso scopo del contratto di rete. Infatti, considerato che di oggetto sociale si può propriamente parlare solo con riferimento alle imprese in forma societaria, l’obbligo per le imprese di “esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali” è stato sostituito con quelli di “collaborare (sulla base di un programma comune di rete) in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese … scambiarsi informazioni o prestazioni ... esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”.
Tale formulazione, inoltre, secondo parte della dottrina, assume anche un altro rilevante significato. Infatti, l’aver posto il “collaborare” «al primo posto» e «solamente in terza posizione … “l’esercitare in comune” un’attività» testimonierebbe la volontà del legislatore «di ricomprendere tutte le (possibili) forme di quelle che sono sempre state le reti economiche. Con organi facoltativi e finalità molteplici. E naturalmente nessuna traccia di personalità giuridica»93.
La l. n. 122/10, inoltre, ha modificato almeno altri quattro aspetti fondamentali della precedente disciplina.
Innanzitutto, l’istituzione del fondo patrimoniale e dell’organo comune è stata resa meramente facoltativa94. Pertanto, accanto a strutture reticolari complesse dotate di fondo patrimoniale e organo comune, le quali mirano a
93 X. XXXXXXX, La rete è, dunque, della stessa natura del gruppo di società?, in Contratto e impresa, 2011, 3, 536.
94 Ciononostante, secondo i dati rilevati dall’“Osservatorio sui contratti di rete” istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico, su un campione di oltre 300 imprese appartenenti a 159 delle reti di imprese istituite sino al giugno 2012, oltre l’89% di esse ha dichiarato di aver istituito un fondo patrimoniale e poco meno dell’84% ha affermato di aver istituito un organo comune incaricato di gestire l’esecuzione del contratto o di singoli parti di esso.
intessere costanti rapporti con terzi, istituti di credito e pubbliche amministrazioni, si potranno creare reti più leggere, prive di fondo patrimoniale e organo comune incaricato della gestione (patrimoniale, amministrativa e contabile), conseguentemente affidata ai singoli amministratori delle imprese aderenti se non, addirittura, in outsourcing95.
La l. n. 122/10, inoltre, nel disciplinare l’organo comune e i suoi rapporti con la rete ha fatto espresso rinvio alle regole dettate in tema di mandato.
Secondo parte della dottrina «l’aver disciplinato il rapporto tra organo comune e rete facendo riferimento al contratto di mandato» risulta essere una tra «le innovazioni più rilevanti», in quanto «amplia l’autonomia offrendo modelli di riferimento»96.
Tuttavia, tale specificazione appare non particolarmente significativa (se non, addirittura, pleonastica) in quanto, come confermato dai primi contratti di rete stipulati durante la vigenza della precedente versione dell’art. 3, co. 4-quater, nessun dubbio poteva essere sollevato circa
95 Sul punto si v. F CAFAGGI, Il nuovo contratto di rete: “learning by doing”?, in I contratti, 2010, 12, 1148 ss.; X. XXXXXXX, La rete è, dunque, della stessa natura del gruppo di società?, cit., 541, il quale, a tal proposito, sottolinea che «la rete potrà avere un massimo di struttura (s.p.a. con patrimonio destinato, organo comune e decisioni dei partecipanti) avvicinandosi di più ai modelli societari, oppure avere un minimo di struttura (un gruppo di amici che collabora, senza patrimonio e senza organo comune, solo con le regole per le decisioni comuni)».
Tuttavia, va rilevato che la scelta di dotare la rete di un autonomo patrimonio non è così libera come sembra, in quanto le imprese aderenti potranno beneficiare delle agevolazioni fiscali introdotte dall’art. 42, co. 2-quater, d.l. n. 78/10 esclusivamente nell’ipotesi in cui risulti istituito un apposito fondo patrimoniale nel quale far confluire gli utili d’esercizio, oggetto di successiva sospensione d’imposta. Cfr., sul punto, Circolare Agenzia Entrate n. 15/E, 14.04.2011 (consultabile in Il fisco, 2011, 17, 2723 ss.), secondo cui “sebbene l’istituzione del fondo patrimoniale comune e la nomina dell’organo comune non costituiscano elementi essenziali ai fini della validità di un contratto di rete, per quanto si dirà nel seguito deve ritenersi che solo le imprese aderenti ai contratti di rete che prevedano l’istituzione del fondo patrimoniale comune possono accedere all’agevolazione fiscale”.
96 X. XXXXXXX, Il nuovo contratto di rete: “learning by doing”?, cit., 1150.
l’esistenza di un rapporto di mandato tra l’organo comune e le imprese aderenti97.
È stato opportunamente integrato, invece, il riferimento del comma 4- ter lett. d) alle possibilità di recesso delle imprese aderenti alla rete. Infatti, l’originaria (e sbrigativa) previsione della obbligatoria indicazione in contratto “delle modalità di adesione e delle relative ipotesi di recesso” è stata sostituita da una ben più complessa formula secondo cui, “ai fini degli adempimenti pubblicitari di cui al comma 4-quater … il contratto deve indicare … se pattuite, le cause facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l’esercizio del relativo diritto, ferma restando in ogni caso l’applicazione delle regole generali di legge in materia di scioglimento totale o parziale dei contratti plurilaterali con comunione di scopo”.
Con tale indicazione il legislatore, oltre ad aver fornito un ulteriore elemento per l’affermazione della natura plurilaterale del contratto di rete98, ha voluto sottolineare la necessità dell’indicazione in contratto “a fini pubblicitari” anche delle cause di recesso eventualmente pattuite tra le parti, con il chiaro intento di tutelare i terzi e chiunque entri in contatto con l’istituenda rete, consentendo loro di venire a conoscenza di tutte le circostanze che, a qualsiasi titolo, potrebbero compromettere la solidità e la stabilità del vincolo associativo generato dal contratto di rete.
97 Sul contratto di mandato quale strumento paradigmatico (e di generalizzata applicazione normativa) di cooperazione nell’altrui sfera giuridica, da ultimo, X. XX XXXX, Il mandato, I, Artt. 1703-1709, in Il codice civile. Commentario (fondato da X. Xxxxxxxxxxx e diretto da F.D. Busnelli), Xxxxxxx, Milano, 2012.
98 Infatti, alla luce dell’ultimo inciso dell’art. 3, co. 4-ter, lett. d) (così come novellato dalla l. n. 122/10) appare difficilmente riconducibile al modello di cooperazione reticolare ex l. n. 33/09 l’alternativa del collegamento negoziale (di più contratti bilaterali) riscontrata, sia pure precedentemente all’emanazione del dettato normativo in commento, da parte della dottrina (X. XXXXXXX - P. IAMICELI, Reti di imprese e modelli di governo imprenditoriale: analisi comparativa e prospettive di approfondimento, in Reti di imprese tra crescita e innovazione organizzativa, cit., 310 ss.
La riforma del 2010, inoltre, attribuisce alle associazione di categoria un importante ruolo di promozione99. Infatti, pur risultando evidente già sotto la vigenza della precedente disciplina l’importanza delle stesse per la predisposizione di contratti di rete standard, per l’individuazione delle esigenze locali da tenere in considerazione al momento della redazione dei contratti di rete o, più semplicemente, per la promozione di ambienti istituzionali più idonei allo sviluppo di progetti collaborativi, è con la l. n. 122/10 che queste ultime acquistano un ruolo di primaria importanza, dal momento che è loro espressamente affidato il compito di asseverare i programmi di quelle reti di imprese che intenderanno beneficiare delle agevolazioni fiscali previste dall’art. 42, co. 2-quater, l. n. 122/10100.
Con riferimento alla funzione del contratto di rete, invece, la novella del 2010 apparentemente nulla cambia: il contratto di rete resta volto ad accrescere la capacità innovativa e la competitività sul mercato delle imprese partecipanti, come già previsto dalla originaria versione dell’art. 3, co. 4-ter, l. n. 33/09101. Tuttavia, la nuova formulazione della norma introduce due elementi che sembrano superare alcune delle perplessità prima sollevate. In primo luogo, con l’inserimento degli avverbi
99 In considerazione del ruolo sempre più importante assunto dalle stesse nell’incentivazione e nella promozione dello sviluppo delle PMI. Sul punto si v. X. XXXXXX, Contratto di rete e processo di modernizzazione dell’economia italiana, in Notariato, 2012, 1, 80, il quale rileva che
«con l’approvazione dello Statuto delle Imprese, che riconosce il valore strategico delle piccole aziende nel sistema produttivo italiano ed assegna all’associazionismo e all’aggregazione tra imprese il ruolo di volano dello sviluppo, viene creato un sistema integrato di benefici ed incentivi che realizza un contesto vantaggioso per tutte le Mpmi, garantendo nuovo impulso alla diffusione delle reti».
100 Sul punto si v. X. XXXXXXX, Il nuovo contratto di rete: “learning by doing”?, cit., 1152 e con riferimento all’importanza del ruolo delle associazioni di categoria già sotto la vigenza della prima versione dell’art. 3, co. 4-ter, l. n. 33/09 si v. ID., Conclusioni, in Il contratto di rete. Commentario, cit., 147 ss.
101 Non dello stesso avviso X. XXXXXXX, La rete è, dunque, della stessa natura del gruppo di società?, cit., 538-539. Sulla funzione del contratto di rete, più in generale, si v. X. XXXXXXXXXXXX, Il contratto di rete: il problema della causa, cit., 961 ss.
“individualmente e collettivamente”, si specifica che scopo della rete di imprese non è soltanto quello di accrescere la capacità innovativa e la competitività sul mercato della singola impresa aderente (come in qualsiasi altro paradigma cooperativo) bensì quello di raggiungere tali obiettivi collettivamente, con l’apporto (e tramite l’evoluzione) di tutti gli aderenti; tanto da poter dire che «se tutte le imprese non migliorano, il contratto non ha raggiunto lo scopo»102.
In realtà le novità più significative della l. n. 122/10 sono di natura fiscale. Infatti l’art. 6-bis d.l. n. 112/08, che estendeva alle reti di imprese le agevolazioni concesse in tema di distretto, dopo aver ridotto (anche per i distretti) le agevolazioni fiscali a ben poca cosa (semplificazione degli adempimenti in materia di IVA e di tributi propri delle regioni ed enti locali), prevedeva la non applicabilità delle agevolazioni relative ai tributi locali alle reti di imprese. Inoltre, l’art. 3, co. 4-quinquies l. n. 33/09, pur facendo espresso rinvio alla disciplina dei distretti, non consentiva l’applicazione (anche) alle reti di imprese delle norme fiscali speciali previste per i distretti103. Il risultato pertanto era che, nella originaria versione del dettato normativo in commento, nessuna disposizione fiscale speciale era stata prevista per le reti di imprese.
Con la novella della l. n. 122/10, invece, sono state introdotte per le imprese che sottoscrivono contratti di rete importanti agevolazioni fiscali, come la sospensione di imposta relativamente a quella quota di utili di
102 X. XXXXXXX, Il contratto di rete. Prime considerazioni alla luce della novella di cui alla l. n. 122/10, in Notariato, 2011, 1, 66.
103 La contraddizione esistente tra l’art. 6-bis l. n. 112/08, che continuava ad estendere alle reti le misure fiscali previste per i distretti (sia pure con l’esclusione di quelle relative ai tributi locali) e l’art. 3, co. 4-quinquies, l. n. 33/09 che non consentiva l’applicazione di tali misure, è stata definitivamente superata con l’art. 1 della l. n. 99/09, il quale ha abrogato espressamente l’art. 6- bis.
esercizio destinati al fondo patrimoniale comune per il raggiungimento degli obiettivi fissati dal programma di rete preventivamente asseverato da associazioni di categoria o organismi pubblici104.
Inoltre, nel chiaro intento di semplificare e incentivare ulteriormente la stipula di contratti di rete, con l’art. 45, d.l. 22 giugno 2012 n. 83 (recante misure urgenti per la crescita del Paese), il legislatore è nuovamente intervenuto sul testo della disciplina normativa in commento.
L’art. 45 del surriferito decreto, infatti, ritenendo sufficiente (in alternativa alle previste forme dell’atto pubblico o della scrittura privata autentica) la “redazione per atto firmato digitalmente”, consente di addivenire alla stipula del contratto (e, successivamente, all’iscrizione nel registro delle imprese) in maniera certamente più semplice ed economica.
Tuttavia, la soluzione così immaginata dal legislatore non sembra del tutto conforme all’obiettivo dichiarato. Al riguardo, infatti, quand’anche si ritenesse di garantire in questo modo al contratto la medesima affidabilità dell’atto notarile senza dover ricorrere all’intervento del notaio, (almeno) con riferimento alle ipotesi di stipula del contratto di rete mediante sottoscrizione con firma autenticata ex art. art. 25, d.lgs. n. 82/05 - inserita su espressa richiesta del Consiglio Nazionale del Notariato (C.N.N.) proprio
104 Più precisamente, il co. 2-quater dell’art. 42 l. n. 122/10 prevede che, fino al periodo d’imposta in xxxxx xx 00.00.0000, una quota degli utili dell’esercizio (non superiore a € 1.000.000 per ciascuna impresa) destinati dalle imprese aderenti al fondo comune (o ai patrimoni destinati ex art. 2447 bis cod. civ.) non concorra alla formazione del reddito imponibile dell’impresa stessa, se tale quota è destinata alla realizzazione (entro l’esercizio successivo) degli investimenti previsti dal programma comune di rete. Si v. sul punto X. XXXXXXXX, Detassazione degli utili destinati al fondo patrimoniale comune per incentivare le reti di imprese, in Corr. tributario, 2011, 12, 951 ss.
Per un’analisi dei requisiti necessari per accedere all’agevolazione, delle imprese interessate, delle modalità di asseverazione del programma di rete, degli aspetti procedurali e dei controlli, si v. Misure fiscali per la competitività. Il “contratto di rete” - Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 15/E del 14.04.2011, in Il fisco, 2011, 17, 2723 ss. e, più recentemente, X. XXXXXX, L’agevolazione fiscale prevista per l’anno 2011 per i contratti di rete di impresa, in Il fisco, 2012, 28.2, 4505 ss.;
X. XXXXXXXX, Questioni aperte sulla misura agevolativa a favore delle imprese in rete, in Corr. tributario, 2012, 18, 1408 ss.
per garantire al documento informatico la medesima affidabilità di quello insistente su strumento cartaceo - l’intervento del notaio risulterebbe comunque necessario anche se finalizzato alla sola conservazione dell’atto105.
L’intervento notarile, inoltre, appare comunque necessario ai fini della verifica e attestazione della validità del certificato di firma utilizzato dalle parti. L’apposizione di firma sulla base di certificato scaduto, revocato o sospeso, infatti, equivale a una mancata sottoscrizione ex art. 21, co. 3, d.lgs. n. 82/05.
Inoltre, l’intervento notarile può comunque risultare necessario ai fini della verifica del rispetto dei “limiti d’uso”, ovvero relativi alla titolarità delle qualifiche e dei poteri di rappresentanza dei soggetti intervenienti, nonché al valore massimo dell’affare entro il quale il certificato può essere utilizzato.
Con la novella di cui al d.l. n. 83/12 si è altresì consentito di dare pubblicità alle modifiche del contratto di rete mediante un’unica iscrizione, a cura dell’impresa indicata nell’atto modificativo, nel Registro delle imprese della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura presso cui essa è iscritta, onerando il Registro di darne comunicazione a tutti gli altri Registri presso cui sono iscritte le altre imprese aderenti alla rete.
Resta da comprendere - nel silenzio della novella - a partire da quale momento le riferite modifiche ai contratti di rete possano ritenersi
105 E’ lo stesso C.N.N. a ricordare, con una circolare del 17.07.2012, che gli atti soggetti a pubblicità commerciale, anche se firmati digitalmente, comportano comunque la necessità di conservazione da parte del notaio, in virtù del combinato disposto degli artt. 72 e 47-ter L.N.
opponibili ai terzi. Infatti, seguendo la ratio sottesa alla previsione contenuta nella prima parte dell’art. 3, co. 4-quater, le modifiche al contratto di rete dovrebbero essere opponibili ai terzi esclusivamente a far data dall’annotazione delle stesse in tutti i registri presso cui sono iscritte le imprese partecipanti alla rete.
Diversamente, ritenere efficaci nei confronti dei terzi le modifiche apportate al contratto di rete al momento della (sola) iscrizione delle stesse nel registro dell’impresa all’uopo incaricata significherebbe compromettere gravemente la certezza dei traffici e delle operazioni intrattenute con la rete; dalla consultazione dei registri delle imprese presso cui non è ancora stata annotata l’intervenuta modifica, infatti, deriverebbe una rappresentazione della realtà reticolare non rispondente a quella legittimata a operare e, da ultimo, voluta dagli aderenti.
Inoltre, alla luce dell’interesse rivolto nei confronti del modello contrattuale in commento anche da parte delle imprese del settore agroalimentare, si è altresì ritenuto opportuno superare le incertezze emerse, nel silenzio della precedente disciplina, circa la possibilità per le imprese agricole di poter addivenire a una cooperazione in rete.
Superando antichi retaggi privi ormai di qualsiasi ragionevole giustificazione, infatti, per il tramite della previsione di cui all’ultimo comma dell’art. 45, il legislatore ha ritenuto di dover esplicitare l’inapplicabilità ai contratti di rete dei regimi vincolistici di cui alla l. n. 203/82106.
106 Sul punto si v. la Relazione di accompagnamento al d.l. n. 83/12 che, relativamente alla ratio dell’ultimo comma dell’art. 45, rileva: “Il comma 3 tratta del contratto di rete che, pur presentando una sua tipicità economica e sociale, potrebbe essere esposto, in sede applicativa, soprattutto in relazione ai casi di esercizio in comune dell’attività agricola per realizzare determinati obiettivi, al
La fiducia riposta dal legislatore nelle potenzialità dell’introdotto strumento di cooperazione reticolare è altresì confermata dal fatto che i contributi previsti dall’art. 42, co. 6, d.l. n. 83/12 in favore dei consorzi per l’internazionalizzazione, ovvero che “hanno per oggetto la diffusione internazionale dei prodotti e dei servizi delle piccole e medie imprese nonché il supporto alla loro presenza nei mercati esteri anche attraverso la collaborazione e il partenariato con imprese estere”, sono garantiti anche alle PMI (non consorziate) che prediligono sviluppare i progetti per l’internazionalizzazione tramite contratti di rete107.
regime vincolistico che caratterizza i rapporti agrari (legge n. 203 del 1982), che non favorisce la costituzione e la diffusione delle aggregazioni tra aziende agricole”.
107 L’art. 42 d.l. 22.06.2012 n. 83 (rubricato “Sostegno all’internazionalizzazione delle imprese e consorzi per l’internazionalizzazione”), infatti, espressamente prevede che: “(…). 3. I consorzi per l’internazionalizzazione hanno per oggetto la diffusione internazionale dei prodotti e dei servizi delle piccole e medie imprese nonché il supporto alla loro presenza nei mercati esteri anche attraverso la collaborazione e il partenariato con imprese estere.
4. Nelle attività dei consorzi per l’internazionalizzazione funzionali al raggiungimento dell’oggetto sono ricomprese le attività relative all’importazione di materie prime e di prodotti semilavorati, alla formazione specialistica per l’internazionalizzazione, alla qualità, alla tutela e all’innovazione dei prodotti e dei servizi commercializzati nei mercati esteri, anche attraverso marchi in contitolarità o collettivi;
5. I consorzi per l’internazionalizzazione sono costituiti ai sensi degli articoli 2602 e 2612 e seguenti del codice civile o in forma di società consortile o cooperativa da piccole e medie imprese industriali, artigiane, turistiche, di servizi e agroalimentari aventi sede in Italia; possono, inoltre, partecipare anche imprese del settore commerciale. È altresì ammessa la partecipazione di enti pubblici e privati, di banche e di imprese di grandi dimensioni, purché non fruiscano dei contributi previsti dal comma
6. La nomina della maggioranza degli amministratori dei consorzi per l’internazionalizzazione spetta in ogni caso alle piccole e medie imprese consorziate, a favore delle quali i consorzi svolgono in via prevalente la loro attività. 6. Ai consorzi per l’internazionalizzazione sono concessi contributi per la copertura di non più del 50 per cento delle spese da essi sostenute per l’esecuzione di progetti per l’internazionalizzazione, da realizzare anche attraverso contratti di rete con piccole e medie imprese non consorziate. I progetti possono avere durata pluriennale, con ripartizione delle spese per singole annualità. Ai contributi si applica, con riguardo alle imprese consorziate ed alle piccole e medie imprese non consorziate rientranti in un contratto di rete, il regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, in materia di aiuti de minimis, fatta salva l’applicazione di regimi più favorevoli. I contributi di cui al presente comma sono concessi nell’ambito delle risorse di bilancio disponibili allo scopo finalizzate ai sensi del comma 2. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabiliti i requisiti soggettivi, i criteri e le modalità per la concessione dei contributi di cui al presente comma. (…)”.
Tuttavia, a fronte del chiaro intento del legislatore governativo di procedere soltanto a una mera integrazione delle disposizioni in tema di contratto di rete al fine di agevolarne la diffusione, il Parlamento ha inteso profittare del passaggio alle Camere del d.l. n. 83/12 (per la conversione in legge) per procedere a una parziale revisione delle disposizioni normative sinora dettate in tema di contratti di rete e a una (ri)qualificazione dello strumento contrattuale introdotto nel 2009.
Infatti, confermate le integrazioni volte a semplificare la stipula di contratti di rete, tra le modifiche più importanti apportate dalle Commissioni permanenti e gli emendamenti approvati dalla Camera si segnala - per l’ipotesi in cui si preveda la costituzione di un fondo comune - l’iscrizione della rete nella sezione ordinaria del Registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede, con la possibilità, dunque, per la rete di imprese di acquistare piena soggettività giuridica; l’obbligo di redigere entro due mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale una situazione patrimoniale osservando, in quanto compatibili, le disposizioni relative al bilancio di esercizio delle S.p.A. e di depositarla presso l’ufficio del registro delle imprese dove la rete ha sede108.
108 Pertanto, l’art. 3, co. 4-ter e 4-quater, l. n. 33/09 così come modificato dall’ultima novella di agosto recita: 4-ter. “Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l'istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l'esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso. Se il contratto prevede l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e di un organo comune destinato a svolgere un’attività, anche commerciale, con i terzi: 1) la pubblicità di cui al comma 4-quater si intende adempiuta mediante l’iscrizione del contratto nel registro delle imprese del luogo dove ha sede la rete; 2) al fondo patrimoniale comune si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615, secondo comma, del codice civile; in ogni caso, per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune; 3)
entro due mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale l’organo comune redige una situazione patrimoniale, osservando, in quanto compatibili, le disposizioni relative al bilancio di esercizio della società per azioni, e la deposita presso l’ufficio del registro delle imprese del luogo ove ha sede; si applica, in quanto compatibile, l’articolo 2615-bis, terzo comma, del codice civile. Ai fini degli adempimenti pubblicitari di cui al comma 4-quater, il contratto deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente a norma degli articoli 24 o 25 del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, da ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti, trasmesso ai competenti uffici del registro delle imprese attraverso il modello standard tipizzato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico, e deve indicare: a) il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale di ogni partecipante per originaria sottoscrizione del contratto o per adesione successiva, nonché la denominazione e la sede della rete, qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune ai sensi della lettera c);
b) l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate con gli stessi per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi;
c) la definizione di un programma di rete, che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante; le modalità di realizzazione dello scopo comune e, qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo, nonché le regole di gestione del fondo medesimo; se consentito dal programma, l’esecuzione del conferimento può avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato, costituito ai sensi dell’articolo 2447-bis, primo comma, lettera a), del codice civile;
d) la durata del contratto, le modalità di adesione di altri imprenditori e, se pattuite, le cause facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l’esercizio del relativo diritto, ferma restando in ogni caso l’applicazione delle regole generali di legge in materia di scioglimento totale o parziale dei contratti plurilaterali con comunione di scopo;
e) se il contratto ne prevede l’istituzione, il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale del soggetto prescelto per svolgere l’ufficio di organo comune per l’esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto, nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto. L’organo comune agisce in rappresentanza della rete e, salvo che sia diversamente disposto nel contratto, degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto, nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l’accesso al credito e in quelle inerenti allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione previsti dall’ordinamento, nonché all’utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e marchi di qualità o di cui sia adeguatamente garantita la genuinità della provenienza;
f) le regole per l'assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando e' stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo, nonché, se il contratto prevede la modificabilità a maggioranza del programma di rete, le regole relative alle modalità di assunzione delle decisioni di modifica del programma medesimo”.
4-quater. “Il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui e' iscritto ciascun partecipante e l'efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l'ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari. Le modifiche al contratto di rete, sono redatte e depositate per l’iscrizione, a cura dell’impresa indicata nell’atto modificativo, presso la sezione del registro delle imprese presso cui è iscritta la stessa impresa. L’ufficio del registro delle imprese provvede alla comunicazione della avvenuta iscrizione delle modifiche al contratto di rete, a tutti gli altri uffici del registro delle imprese presso cui sono iscritte le altre partecipanti, che provvederanno alle relative annotazioni d’ufficio della modifica; se è prevista la costituzione del fondo comune, la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede; con l’iscrizione nel registro delle imprese la rete acquista soggettività giuridica.
Per ragioni di completezza, va altresì riferito, che si è nuovamente intervenuto, nell’ambito delle misure urgenti adottate con il d.l. n. 179/12 (c.d. sviluppo bis), sul testo dell’art. 3, co. 4-ter. Tuttavia, in attesa della relativa legge di conversione, gli “accorgimenti” sinora adottati, piuttosto che completare l’aggiornamento di cui alla precedente novella, appaiono soltanto determinare una ingiustificata confusione riguardo la centrale questione del riconoscimento di una soggettività giuridica alla rete di imprese, manifestando, tra l’altro, una certa ritrosia ad abbandonare i retaggi (che sembravano essere stati) superati con l’esplicito riconoscimento operato dalla precedente novella dell’agosto 2012109.
I continui e ripetuti interventi sul testo dell’art. 3, co. 4-ter, probabilmente, sono dettati dalla necessità di superare le perplessità sollevate da quella parte della dottrina che, lamentando l’assenza di una precedente e imprescindibile tipicità sociale del contratto di rete, ha ritenuto
- analizzando la precedente versione della normativa in commento - non possa parlarsi di una tipizzazione in senso proprio ma di una tipizzazione anomala, avendo il legislatore provveduto solamente a definire e non a disciplinare un nuovo tipo di contratto110.
109 L’art. 36, co. 4, d.l. n. 179/12 (pubblicato in G.U., 19.10.2012 n. 245, suppl. ord. n. 194), infatti, da un lato, aggiungendo un inciso al comma 4-ter secondo il quale: “Il contratto di rete che prevede l’organo comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa ai sensi del comma 4-quater”, sembrerebbe voler riferire l’eventuale soggettività giuridica (non alla rete ma) al contratto, dall’altro, alla lett. e) dello stesso articolo (con un evidente difetto di coordinamento) precisa che “L'organo comune agisce in rappresentanza della rete, quando essa acquista soggettività giuridica”, ritornando, quindi, a riferire la soggettività giuridica (non più al contratto ma) direttamente alla rete di imprese.
110 X. XXXXXXX, Il “contratto” e la “rete”: brevi note sul riduzionismo legislativo, cit., 951 ss.. Anche se lo stesso A., in Reti di imprese, “contratto di rete” e individuazione delle tutele. Appunti per una riflessione metodologica, in Le reti di imprese e i contratti di rete, cit., 275, rileva che caratteristica fondamentale della cooperazione reticolare è proprio la sua atipicità e la sua irriducibilità entro schemi predeterminati.
Di tale avviso anche X. CALISAI, Riflessioni in tema di contratto di rete: una stringata disciplina normativa con interessanti potenzialità, cit., 523.
Tuttavia, il costante e rinnovato interesse del legislatore per il perfezionamento della disciplina dettata in tema di contratti di rete conferma che la fattispecie introdotta con l’art. 3, co. 4-ter, l. n. 33/09 costituiva, in maniera assolutamente consapevole, soltanto il primo tassello di un disegno necessariamente più ampio concernente il quadro giuridico delle reti di impresa e il punto di partenza per l’incentivazione della collaborazione e dell’aggregazione tra le PMI111.
Secondo quanto riferito da chi è considerato il padre spirituale del contratto di rete, sino all’innovazione introdotta dalla l. n. 33/09, la disciplina giuridica delle reti di imprese si articolava intorno a tre principali modelli: le società (in particolare quelle consortili), i contratti plurilaterali (joint ventures, consorzi e ATI) e i contratti bilaterali collegati (sub- fornitura e franchising). Pertanto, ci si è chiesti se la l. n. 33/09 introducesse una mera variante dei modelli già esistenti o un quarto modello di disciplina delle reti di imprese, caratterizzato da una natura trans-tipica volta a sintetizzare gli aspetti contrattuali di alcuni dei modelli supra indicati con quelli organizzativi di altri contratti di natura associativa112.
111 A tal proposito, è opportuno rilevare che, sebbene la disciplina in esame sia stata pensata e voluta soprattutto quale strumento di coordinamento per le PMI, non è possibile rinvenire nel testo di legge alcun riferimento al profilo dimensionale degli aderenti, con la conseguenza di un suo possibile utilizzo da parte di imprese di più rilevanti dimensioni, con notevoli difficoltà di coordinamento con la disciplina antitrust. Difficoltà di coordinamento che, come rilevato da parte della dottrina (M.R. XXXXXXX, Rete di impresa e contratto di rete, in Reti di impresa e contratto di rete: spunti per un dibattito, cit., 960) andrebbero, in ogni caso, valutate in concreto, in quanto ciò che è determinante è «l’effetto dell’aggregazione sul funzionamento della concorrenza».
112 X. XXXXXXX, Il contratto di rete e il diritto dei contratti, cit., 919, secondo il quale la normativa in commento «non introduce un nuovo tipo contrattuale ma costituisce lo schema di un contratto trans-tipico, destinato a essere impiegato per funzioni diverse, singole o combinate», per lo svolgimento di attività compiute con strumenti contrattuali già disponibili. In tal modo si potrebbe avere una rete-subfornitura, una rete-ATI, una rete-joint venture, una rete-consorzio. Infatti, aggiungendo o sottraendo alcuni elementi diretti a meglio connotare la dimensione reticolare, sarebbero riprodotti, almeno sotto il profilo causale, modelli negoziali legislativamente o socialmente già esistenti.
Sulla natura trans-tipica delle reti di imprese lo stesso A., già in precedenza, in Reti di imprese, spazi e silenzi regolativi in Reti di imprese tra regolazione e norme sociali, cit., 23 ss.; in Reti di
La scelta definitiva, in realtà, è caduta su un nuovo modello di cooperazione, caratterizzato dalla comunione dello scopo e da un intenso rapporto fiduciario senza, però, alcuna compromissione della autonomia e indipendenza delle imprese aderenti, «in grado di perseguire due obiettivi contrapposti e difficilmente conciliabili per una singola impresa: economie di scala e flessibilità»113.
Pertanto, pur non potendo escludere che nella prassi il fenomeno reticolare possa continuare a esistere anche in forme e modelli assolutamente divergenti da quello proposto dal legislatore del 2009, è proprio lo schema negoziale previsto all’art. 3, co. 4-ter (così come successivamente modificato) ad aver trovato posto, sia pure tramite la ben nota tecnica definitoria, nell’introdotto “Statuto delle imprese”, secondo il cui art. 5 lett. f) “si definiscono «reti di impresa» le aggregazioni funzionali tra imprese che rientrano nelle definizioni recate dal decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009,
imprese tra crescita e innovazione organizzativa, cit.; 432, 441 ss. e, da ultimo, in X. XXXXXXX - P. IAMICELI, Contratto di rete. Inizia una nuova stagione di riforme?, cit., 595 ss.
Si v. anche X. XXXXXXX, Reti di impresa: dall’economia al diritto, dall’istituzione al contratto, cit., 951, il quale rileva che, prima dell’emanazione dello specifico provvedimento normativo in tema di contratti di rete, «in campo giuridico si è cercato di collocare le reti all’interno degli schemi codicistici e delle ultime normative speciali che hanno recepito forme contrattuali di importazione anglosassone», quali, ad esempio, il franchising, la subfornitura, i gruppi di imprese, i consorzi, le
a.t.i. e i contratti collegati. Tuttavia, è opportuno sottolineare che l’A., pur partendo da tale premessa, passa in rassegna tutti i surriferiti modelli di cooperazione per segnalarne le evidenti diversità rispetto al modello reticolare definito all’art. 3, co. 4-ter, l. n. 33/09.
113 X. XXXXXX, Contratti di rete e processo di modernizzazione dell’economia nazionale, cit., 78, infatti, rileva che le economie di scala sono generalmente prodotte dalle grandi realtà imprenditoriali, in grado di investire consistenti budget in R&S e accedere con maggiore facilità ai mercati internazionali. La flessibilità, invece, risulta essere una precipua caratteristica delle PMI, specializzate nei propri core business, le quali, proprio in relazione a una struttura snella e dinamica, riescono ad adeguare con maggiore rapidità la propria produzione al progresso tecnologico e alle nuove decisioni gestionali.
n. 33, e dall'articolo 42 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”114.
Circostanza, quest’ultima, che appare ancor più significativa se solo si considera che nella iniziale proposta di Statuto delle imprese presentata alla Camera dei Deputati il 30.09.2009, le reti di imprese venivano ancora definite quali “aggregazioni funzionali tra imprese, realizzate in forma di persona giuridica” senza alcun riferimento al peculiare modello di cooperazione disciplinato, con decreto legge, nel febbraio del 2009115.
Infatti, è soltanto grazie alla crescita esponenziale del numero di contratti di rete stipulati ex l. n. 33/09 (dovuta, molto probabilmente, a una maggiore linearità e appetibilità della disposizione in commento a seguito delle due novelle del luglio 2009 e 2010) che nella versione approvata dal Senato (nella seduta del 20.10.2011) si è provveduto, tramite l’inserimento nell’iniziale definizione di «rete di impresa» di un espresso rinvio al modello tipizzato con la l. n. 33/09, al completo riconoscimento giuridico del fenomeno reticolare116. È evidente, pertanto, come (forse) per la prima volta il legislatore italiano ha anticipato non solo la prassi negoziale ma
114 “Statuto delle imprese” contenuto nella l. 11.11.2011 n. 180, pubblicata in G.U., 14.11.2011 n. 265 che, riconoscendo (all’art. 1, co. 2) i principi in essa contenuti quali “norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica e principi dell'ordinamento giuridico dello Stato (…)”, si prefigge, addirittura, l’obiettivo di essere norma di attuazione delle disposizioni di cui agli artt. 35 e 41 Cost.
115 Riferimento alla “forma di persona giuridica” che non verrà riproposto nel “testo unificato elaborato dal comitato ristretto come testo base” in data 14.07.2010 (da sottoporre, successivamente, all’approvazione della Camera dei Deputati), a testimonianza di un significativo mutamento del concetto di rete di imprese, poi esplicitato, ovviamente, in maniera più energica, nell’emendamento del 30.07.2010 dell’art. 3, co. 4-ter, l. n. 33/09 che di lì a poco, infatti, sarebbe stato emanato.
116 Al 5.10.2011, secondo i dati forniti dall’Osservatorio Intesa Sanpaolo-Mediocredito Italiano, i contratti di rete stipulati a far data dall’introduzione della disciplina di cui alla l. n. 33/09 risultavano essere appena 179; a marzo 2012 veniva, invece, superata la soglia dei 300 contratti e, secondo i dati forniti da RetImpresa (agenzia costituita da Confindustria proprio per favorire lo sviluppo delle reti di imprese), ad agosto 2012, i contratti di rete stipulati risultano essere ben 412. E’ evidente, pertanto, la crescente attenzione del mondo dell’impresa per il nuovo modello contrattuale in commento.
anche i colleghi stranieri117. È fortemente preventivabile, infatti, che l’esperienza italiana influenzi la codificazione del diritto europeo dei contratti, ancorato a una nozione esclusivamente bilaterale del contratto e non ancora maturo per recepire modelli contrattuali plurilaterali al contempo stabili e flessibili118.
Infatti, se si eccettuano i brevi cenni (in tema di franchising) contenuti nella parte speciale, anche nel recente Draft of the common frame of reference (DCFR) manca qualsiasi riferimento ai modelli reticolari di cooperazione; mancanza ereditata dai più consolidati Unidroit principles (of International commercial contracts) e PECL, ove nessuna menzione veniva fatta alle sempre più utilizzate ed economicamente riconosciute reti di imprese119.
117 Il nostro ordinamento, infatti, essendo stato tra i primi Paesi a dare attuazione alla Comunicazione COM(2008) 394 del 25.06.2008 sullo Small Business Act (garantita, di recente, con l’approvazione del riferito Statuto delle imprese) e avendo presentato diversi progetti di revisione dello stesso (poi intervenuta con COM(2011) 78 del 23.02.2011), si è mostrato sensibile al cambiamento di mentalità derivante dall’adesione al principio “Think small first”, cui lo stesso SBA si ispira. Sul punto, più approfonditamente, si v. X. XXXXXX, Contratto di rete e processo di modernizzazione dell’economia nazionale, cit., 80.
118 L’auspicio di una rapida introduzione di un modello comunitario del contratto di rete è ribadito anche in un dossier del 18.04.2011 sul contratto di rete presentato dal Ministero dello Sviluppo (consultabile su xxx.xxxxxxx.xx), in cui si dà atto, tra l’altro, dell’introduzione nel progetto di revisione dello Small Business Act dell’innovazione italiana in tema di cooperazione reticolare.
Sul punto si v. X. XXXXXXX, Reti di impresa: dall’economia al diritto, dall’istituzione al contratto, cit., 951-952, il quale, già in precedenza, rilevava che «la nuova normativa italiana potrebbe fungere da stimolo per gli organi sovranazionali, affinché si arrivi a disciplinare forme di reti territorialmente più estese che si diramano oltre i confini nazionali». Concetto successivamente ribadito anche in ID., La rete è, dunque, della stessa natura del gruppo di società?, cit.,542.
119 X. XXXXXXX, Contractual networks and the small business act: towards European principles?, cit., 498 ss., rileva che «there is no private international law provision specifically addressing contractual networks and the new Regulation, “Rome I”, does not include a specific regime for trans-European contractual networks. The recent draft of the common frame of reference (DCFR) does not regulate contractual networks in the general part, ie, Book II and Book III, while references to networks are made in the special contracts sections, particularly in franchise. To be fair, this lack of attention is inherited from more consolidated texts such as Unidroit principles and PECL, where references to contractual networks are also missing».
Non potrà sfuggire, allora, che la mancata previsione di una apposita disciplina dei multilateral contracts120 nella parte generale del DCFR è certamente tra le prime cause della mancata individuazione di un unico e condiviso modello europeo di cooperazione reticolare121.
120 Infatti, all’interno del Book II del DRAFT, rubricato “Contracts and other juridicial acts”, si chiarisce che quelli che, impropriamente, vengono definiti multilateral contracts, in realtà, non sono altro che multilateral juridicial acts. Infatti, al § II. – 1.101 (Meaning of “contract” and “judicial act”), espressamente, si afferma: (I)“A contract is an agreement which is intended to give rise to a binding legal relationship or to have some other legal effect. It is a bilateral or multilateral juridical act. (2) A juridical act is any statement or agreement, whether express or implied from conduct, which is intended to have legal effect as such. It may be unilateral, bilateral or multilateral”, distinguendo chiaramente tra contratti (soltanto bilaterali) e altri atti giuridici (unilaterali, bilaterali e plurilaterali).
121 Sul punto X. XXXXXXX, Contractual networks, inter-firm cooperation and economic growth, cit., 18 ss., il quale, a tal proposito, rileva che: «the legal landscape, currently highly differentiated, should be redesigned in order to provide effective instruments for industrial policies». Lo stesso
A. in Contractual networks and the small business act: towards European principles?, cit., 501 suggerisce che: «the recognition of these contractual networks should imply their integration in the process of harmonisation of European contract law, currently in the DCFR, although their specificity may require the definition of a set of separate principles that must, thereafter, be coordinated with the general principles of contract law».
Capitolo II
PROBLEMI DEFINITORI E TRATTI RICOSTRUTTIVI NELLA DISAMINA DEL DETTATO NORMATIVO
1. Il profilo qualificatorio.
Nella sua originaria formulazione l’art. 3, co. 4-ter, l. n. 33/09 prevedeva che “con il contratto di rete due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato”.
Alla luce di tale definizione, il contratto di rete è stato definito come un contratto plurilaterale con comunione di scopo1.
1 G. VILLA, Il coordinamento interimprenditoriale nella prospettiva del contratto plurilaterale, in Reti di imprese e contratti di rete (a cura di P. Xxxxxxxx), Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2009, 110 ss.; G.D. XXXXX, Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, in Giur. Comm., I, 2010, 862, secondo il quale il contratto di rete «è un contratto tipico rientrante nella categoria dei contratti plurilaterali con scopo comune».
Invece, non appare riconducibile al contratto di rete (ancor più alla luce della novella del 2010) l’alternativa del collegamento negoziale (di più contratti bilaterali) riscontrata da altra parte della dottrina (X. XXXXXXX - P. IAMICELI, Reti di imprese e modelli di governo imprenditoriale: analisi comparativa e prospettive di approfondimento, in Reti di imprese tra crescita e innovazione organizzativa. Riflessioni da una ricerca sul campo (a cura di X. Xxxxxxx - P. Iamiceli), Il mulino, Bologna, 2007, 310 ss.). Infatti, occupandosi delle reti costituite per il tramite di uno o più contratti bilaterali, tale dottrina, in via esemplificativa, faceva riferimento alle c.d. reti di sub- fornitura e all’ipotesi del committente che istaurava relazioni di tipo strategico con una serie di sub-fornitori con specializzazioni complementari, pur in presenza di contratti formalmente separati e indipendenti. Proprio da tale esemplificazione è possibile evincere l’estraneità di tale forma di cooperazione a quella immaginata dal legislatore del 2009, il quale, invece, ha inteso dotare le imprese di uno strumento negoziale di cooperazione che consenta di raggiungere i medesimi risultati dell’impresa verticalmente integrata e fortemente gerarchizzata, senza dover necessariamente rinunciare alla propria autonomia e indipendenza. Infatti, pur non potendolo del tutto escludere, il contratto di rete appare rivolto a regolamentare quelle forme di cooperazione tra due o più imprese che, in posizione di assoluta pariteticità, intendano cooperare senza rinunciare alla propria autonomia.
Sul contratto plurilaterale con comunione di scopo, più approfonditamente, si v. X. XXXXXXXXX, Contratto plurilaterale e negozio plurilaterale, in Foro Lomb., 1932, 440 ss.; ID., Le unioni di imprese, in Riv. dir. comm., 1935, I, 152 ss., secondo il quale i contraenti potrebbero anche essere due purché essi organizzino un’attività per realizzare uno scopo comune. In conformità a tale considerazione, X. XXXXX, voce Contratto plurilaterale, in Noviss. Dig. it., Utet, Torino, 1959, 679, rilevava che, nell’ambito dei contratti plurilaterali, l’elemento della pluralità delle parti degrada a
In passato, il tratto identificativo del contratto plurilaterale era proprio individuato nella pluralità degli obblighi di «identica natura giuridica» gravanti in capo alle parti, le quali vi partecipano tutte allo stesso titolo e in numero superiore a due2.
Tuttavia, se, alla luce delle indicazioni fornite dal legislatore del codice civile (cfr. art. 1420 cod. civ.), l’elemento predominante di un contratto plurilaterale potrebbe apparire quello strutturale della pluralità delle parti, le finalità e le potenzialità (almeno) dei contratti plurilaterali con comunione di scopo sono maggiormente apprezzabili ove si presti attenzione proprio all’elemento funzionale della comunione dello scopo3.
Proprio lo scopo comune, estraneo ai contratti sinallagmatici, caratterizza i contratti plurilaterali c.d. “puri”, ove le prestazioni convergono nello svolgimento di un’attività comune e vantaggiosa per tutti gli aderenti4.
mero elemento accidentale a vantaggio della comunione di scopo, e cioè di un elemento funzionale.
2 X. XXXXXXXXX, Contratto plurilaterale e negozio plurilaterale, cit., 439 ss., ove si contestava apertamente la visione di altra parte della dottrina (X. XXXXXXXX, Contratto plurilaterale e negozio plurilaterale, cit., col. 372, 18 ss.), la quale, prendendo di mira la pluralità delle parti e dei loro diversi rapporti, riteneva che le parti concorressero nel negozio a titolo diverso. Secondo quest’ultimo orientamento, infatti, il negozio plurilaterale in questione mal potrebbe definirsi come contratto, data la molteplicità e diversità dei rapporti da esso discendenti e l’assenza di quella necessaria contrapposizione di interessi tra i partecipanti che costituisce il presupposto di ogni contratto e che, proprio nel contratto, deve trovare la sua conciliazione. Tale ultima considerazione è stata apertamente contestata, oltre che dall’Ascarelli (il quale riteneva che il contratto plurilaterale rientrasse a pieno titolo nello schema fondamentale del contratto, proprio in virtù del fatto che ne deriva un unico rapporto giuridico a più soggetti, reciprocamente tenuti a obblighi della stessa natura), anche da X. XXXXXXXXXXXX, Contratti in generale, III ed. rist., Xxxxxxxx, Milano, 1975, 16, secondo il quale il negozio plurilaterale, lungi dal distaccarsene, sembra destinato a identificarsi con la nozione di contratto plurilaterale.
3 Non senza dimenticare che, secondo autorevole dottrina (X. XXXXX, voce Contratto plurilaterale, in Noviss. Dig. it., cit., 679), l’elemento della comunione di scopo è «al tempo stesso strutturale e funzionale». Sul punto, più ampiamente, X. XXXXXXXXX, voce Contratto Plurilaterale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., IV, Utet, Torino, 1989, 274 ss.
4 Sul contratto plurilaterale con comunione di scopo “puro”, si v. G. VILLA, Il coordinamento interimprenditoriale nella prospettiva del contratto plurilaterale, cit., 119.
A tal proposito, l’art. 3, co. 4-ter, l. n. 33/09 (così come novellato), prevedendo che «con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato», lascia chiaramente intendere che tale scopo potrà ritenersi raggiunto non quando una singola impresa avrà raggiunto l’obiettivo prefissato nel programma comune ma quando tale risultato sarà realizzato dall’intera rete. Un miglioramento e una crescita, quindi, da misurare non solo uti singuli ma anche quale (o in quanto) aggregato5.
Ciò posto, nonostante parte della dottrina continui (anche dopo la novella di cui alla l. n. 122/10) a ritenere il contratto di rete un contratto plurilaterale con comunione di scopo, è opportuno verificare se tale nomen iuris possa ritenersi (ancora) rispondente alla struttura e all’effettivo (e mutato) contenuto dell’istituenda rete di imprese6.
Il riferito art. 3, co. 4-ter, infatti, dopo la novella dell’art. 42 l. n. 122/10, prevede, espressamente, che «con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio
5 Di tale avviso, X. XXXXXXX, Il contratto di rete. Prime considerazioni alla luce della novella di cui alla l. 122/10, in Notariato, 2011, 1, 66, il quale evidenzia la necessità di collaborazione o, comunque, dell’imposizione di una regola di non sopraffazione dell’una impresa sulle altre, da erigere a elemento funzionale, tanto da ipotizzare, addirittura, una nullità del contratto di rete per assenza della causa nell’ipotesi in cui risulti strutturato in maniera tale da procurare vantaggio solo a un’impresa e non a tutte.
6 Sul punto si v. A. di LIZIA, (Contratto di) Rete di imprese. Rassegna e clausole contrattuali, in Notariato, 2012, 3, 280 secondo il quale «siamo di fronte ad un contratto plurilaterale con comunione di scopo ed in particolare ad un contratto associativo a struttura tendenzialmente aperta»; X. XXXXXXXX, Xxxxx considerazioni sulla governance nei contratti di rete, in Contratto e impresa, 2012, 2, 348; X. XXXXXXXXX, Il «contratto di rete» fra (comunione di) impresa e società (consortile), in Riv. dir. civ., 2011, 3, 323 ss.
delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa».
Alla luce della seguente definizione, infatti, altra dottrina ritiene che «le configurazioni astrattamente prospettabili sarebbero addirittura tre, in correlazione con i tre possibili scopi-mezzi che l’aggregazione reticolare potrebbe proporsi: (i) quella della pluralità o fascio di contratti di scambio uniti da un nesso di collegamento negoziale e riassunti in uno schema contrattuale unitario, propria delle reti che si propongono il fine di “scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica”; (ii) quella del contratto plurilaterale con comunione di scopo, con o senza rilevanza esterna, ma in ogni caso privo di base associativa, sottesa alle (pur variegate e multiformi) reti che si pongono il fine di “collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese”; (iii) quella del contratto associativo in senso proprio e tecnico, ravvisabile nelle reti il cui fine sia quello di “esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”»7.
Con la conseguenza che «è pertanto impossibile prendere le mosse dalle prestazioni dovute dalle parti per identificare il contratto di rete»8.
Tuttavia, non può certo negarsi che la presenza di un (unico) “interesse comune” comporta che la pluralità dei soggetti coinvolti assuma (nell’atto)
7 Sul punto si v., più ampiamente, V. DONATIVI, Le reti di imprese: natura giuridica e modelli di governance, in Le società, 2011, 12, 1430 ss.
8 G. VILLA, Il contratto di rete, in X. XXXXX - M.R. XXXXXXX - X. XXXXXX, I contratti per l’impresa,
Il Mulino, Bologna, 2012.
una posizione unica e corrispondente a quella che assumerebbe un solo soggetto perché unico è l’interesse che essi intendono realizzare9.
Precedentemente, infatti, tale circostanza ha indotto autorevole dottrina a escludere l’esistenza di quel naturale conflitto di interessi necessario a che vi sia contratto, con la conseguenza che gli atti così caratterizzati sarebbero da considerarsi “atti collettivi”10.
Si determinerebbe un incontro di volontà, di diverso (ma congruente) contenuto, mosse da opposti (ma corrispondenti) interessi.
Infatti, la mancanza di una “contrapposizione” e di un conflitto d’interessi propri di ogni contratto, nonché l’assenza nello schema tradizionale del contratto di uno spazio per la funzione associativa, propria dei contratti di cooperazione caratterizzati dal perseguimento di interessi omogenei11, appaiono chiari elementi di un “atto complesso”12.
Nell’atto (complesso), la unidirezionalità degli effetti implica la presenza di una “volontà comune”, determinata dalla sintesi delle volontà di
9 X. XXXXXXXX, La conclusione dei contratti plurilaterali, in Trattato del contratto (diretto da X. Xxxxx), I, Formazione (a cura di X. Xxxxxxxx), Xxxxxxx, Milano, 2006, 252, il quale, in considerazione della pluralità, non già di soggetti, ma di centri di interessi, ritiene preferibile alla locuzione contratti plurilaterali quella di “bilaterali a parte plurisoggettiva”.
10 X. XXXXXXXX, Dottrina generale del contratto, III ed., Xxxxxxx, Milano, 1952, 41 ss., secondo il quale, infatti, «il c.d. contratto plurilaterale non è altro che il travestimento dell’atto collettivo».
11 In tale senso, X. XXXXXXX, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, Utet, Torino, 1958, I, 341-342, il quale rilevava che nel contratto plurilaterale le posizioni delle parti non sono tipicamente caratterizzate ma addirittura fungibili a causa della natura delle prestazioni, che nei contratti tipici bilaterali sono due e reciproche, nei contratti plurilaterali sono moltiplicate (soltanto) quantitativamente e qualitativamente identiche e comuni.
In realtà, tale orientamento non appare del tutto condivisibile alla luce della recente evoluzione del contratto plurilaterale, il quale, se da un lato certamente può assommare prestazioni tra loro fungibili, dall’altro, non esclude la cooperazione di soggetti con competenze tecniche notevolmente specializzate e differenti (anche da un punto di vista qualitativo) da quelle delle altre parti.
12 X. XXXXXXXX, Il negozio giuridico plurilaterale, in Annuario dell’Univ. Cattolica, Vita e Pensiero, Milano, 1926-27, 53 ss., 67. Concetto già enunciato nell’ultimo decennio del XIX secolo dalla dottrina tedesca (J.E. XXXXXX, Der gesammtakt, ein neuer rechtsbegriff, in Festgabe der Leipziger Juristnfakultät für X. Xxxxxx, Leipzig, 1891) come rilevato da X. XXXXX XXXXX, I contratti associativi, rist., Xxxxxxx, Milano, 2001, 40.
una pluralità di soggetti, tra loro in posizione di collaborazione e non di contrasto e animati da paralleli (se non addirittura coincidenti) interessi13.
Altra parte della dottrina, tuttavia, ha replicato che la presenza di uno scopo comune non esclude che possa ravvisarsi, quantomeno nella fase di formazione del negozio, una contrapposizione o conflitto d’interessi fra i contraenti14, giacché comunione di scopo non significa affatto coincidenza d’interessi. In ogni caso, il perseguimento del maggior profitto individuale non può che attuarsi «dando in cambio la minor prestazione possibile, andando, dunque, inevitabilmente, a scapito degli altri partecipanti»15.
Pertanto, risultando decisivo (anche in questi negozi) il momento della combinazione degli interessi contrapposti, confermata appare la natura contrattuale dell’istituto in questione (con la conseguente applicabilità della disciplina generale dei contratti)16, anche in considerazione del fatto che il risultato perseguito dalle parti è determinato dall’attuazione dello scopo comune e non dal mero sacrificio di una parte nei confronti dell’altra17. Infatti, mentre nei contratti di scambio la prestazione di ciascuna parte è rivolta nell’interesse esclusivo della controparte, nei contratti con
13 X. XXXXX XXXXX, I contratti associativi, cit., 39 ss., il quale, sulla base di tale ragionamento, riconduce la figura dell’atto complesso a quella dell’“accordo”. Infatti, per l’A., sin dall’origine, accordo e atto complesso, seppure teoricamente ben distinti (atto bi o plurilaterale il primo, atto unilaterale ma tipicamente plurisoggettivo il secondo), interferiscono e si sovrappongono continuamente.
È opportuno ribadire, altresì, che l’accezione di atto complesso cui si intende fare riferimento è quella di c.d. atto complesso eguale, in cui le dichiarazioni degli aderenti sono tra loro equivalenti o equipollenti, e non quella di c.d. atto complesso ineguale, in cui è possibile riscontrare la prevalenza significativa di una o più dichiarazioni principali. Per tale differenziazione, si v. X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, IX ed. rist., Jovene, Napoli, 2002, 212. 14 X. XXXXX, Lezioni sul contratto: xxxxx xx xxxxxxx xxxxxx, XX xx., Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx, 0000, 179.
15 X. XXXXXXX, Il contratto di società commerciale, Xxxxxxx, Milano, 1937, 24; X. XXXXXXXXX, I saggi giuridici, Xxxxxxx, Milano, 1949, 262 ss., il quale osservava, in tema di società, che ciascun socio tende a trarre dal proprio contributo il massimo lucro, ponendosi così in conflitto con gli altri e che, anche durante la vita della società, i vari soci possono tendere a scopi diversi e perciò essere ispirati a interessi diversi.
00 X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., 214.
17 X. XXXXX XXXXX, I contratti associativi, cit., 112.
comunione di scopo la prestazione finisce col tornare a vantaggio anche di chi la compie, direttamente o indirettamente18.
A tal proposito, nell’ambito di una cooperazione reticolare, essendo imposto ex lege l’obbligo di accrescere (non solo individualmente ma anche) collettivamente la propria capacità innovativa e la propria competitività, il risultato perseguito da ciascun aderente non è dato direttamente ed esclusivamente dall’adempimento all’obbligazione assunta al momento dell’adesione, ma dallo svolgimento di un’attività in comune19. Infatti, le prestazioni delle singole parti, anziché incrociarsi l’una con l’altra a immediato e reciproco vantaggio - come avviene nei contratti di scambio -, nel contratto di rete si dispongono parallelamente, per essere piegate, attraverso una successiva utilizzazione, al raggiungimento dello scopo comune20.
Alla luce di quanto indicato, la definizione (seppur risalente) di contratto plurilaterale che più di ogni altra sembra rispondere con esattezza alla voluntas legis istitutiva del contratto di rete potrebbe essere quella di altra parte della dottrina, la quale, in virtù del perseguimento delle parti di un unico scopo o intento pratico, proponeva di sostituire alla categoria del contratto “plurilaterale” quella del contratto “con prestazioni plurime
18 In tal senso, X. XXXXXXXXX, voce Contratto plurilaterale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., cit., 274;
X. XXXXX XXXXX, I contratti associativi, cit., 336, secondo il quale, nei contratti associativi, il risultato è perseguito attraverso il sacrificio di ogni partecipante della utilizzazione individuale del bene a favore di una utilizzazione collettiva.
19 Xxxxx distinzione tra contratti in cui sussiste un rapporto diretto tra prestazione e realizzazione dell’interesse individuale e contratti in cui, invece, l’interesse individuale non si realizza giuridicamente per effetto della prestazione, si v. X. XXXXX, voce Contratto plurilaterale, in Noviss. Dig. it., cit., 680 ss.
20 Sul punto, sia pure con riferimento al contratto plurilaterale in generale, si v. X. XXXXXXXXX, Adesione di altre parti al contratto aperto, in Trattato di dir. priv. (diretto da X. Xxxxxxx), XIII, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2000, 2, 107.
(bilaterali o plurilaterali, secondo che le parti obbligate siano due o più) convergenti”21.
Oltre alla evidenziata natura contrattuale, dalla definizione di cui all’art. 3, co. 4-ter, l. n. 33/09 emerge chiaramente anche una natura organizzativa del contratto di rete. Nella prima formulazione della legge istitutiva del contratto di rete era espressamente prevista, alla lett. e) dell’art. 3, co. 4-ter, l’istituzione obbligatoria di un «organo comune incaricato di eseguire il contratto di rete».
Tuttavia, la genericità delle disposizioni circa i poteri e le funzioni dell’organo comune non permetteva di chiarire se, con il predetto riferimento, il legislatore avesse inteso prevedere per la rete un’organizzazione simile a quella di un gruppo, immaginando un vero e proprio rapporto di immedesimazione organica o, piuttosto, avesse inteso configurare l’organo comune quale figura di produzione non della rete ma direttamente delle imprese aderenti22.
La dicotomia elemento “personale” ed elemento “associativo” (rectius organizzativo) è rimasta piuttosto oscura anche in considerazione della confusione spesso generata tra piano della struttura e piano dell’efficacia23.
Infatti il contratto di rete, senza dover necessariamente dar vita a una vera e propria organizzazione (id est istituzione), potrebbe presentarsi come un “contratto normativo”24, con il quale convenire delle regole di condotta
21 I. LA LUMIA, Trattato di diritto commerciale. Parte generale, Principato, Messina, 1940, 272- 273.
22 G.D. XXXXX, Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, in Giur. comm., 2010, 6, 851.
23 Più approfonditamente, si v. X. XXXXX XXXXX, I contratti associativi, cit., 9.
24 X. XXXXX XXXXX, I contratti associativi, cit., 34 ss.; X. XXXXXXXX, voce Contratto normativo, in Enc. dir., X, Xxxxxxx, Milano, 1962, 122, secondo il quale, il contratto normativo è una convention- loi, poiché racchiude la disciplina (anche se parziale e incompiuta) di futuri contratti stipulati tra gli aderenti al contratto normativo o anche con i terzi. Tale disciplina, aggiungeva, si limita a rendere obbligatoria, per i futuri contraenti, l’osservanza di un compiuto schema o di singole
cui uniformare l’attività (negoziale) delle imprese aderenti, sia per quanto attiene ai rapporti con i terzi (contratti normativi “unilaterali” o “esterni”) sia per quanto riguarda eventuali rapporti fra le parti stesse (contratti normativi “bilaterali” o “interni”)25.
È evidente, pertanto, come i teorizzatori del contratto normativo, anticipando l’evoluzione della prassi economica, avessero presente una realtà intermedia (non irrilevante) nell’alveo dei contratti plurilaterali, in grado di sviluppare un “programma” per il coordinamento delle attività (anche di tipo non negoziale) delle imprese aderenti, finalizzandole al perseguimento di un certo obiettivo26.
Infatti, dalla necessaria indicazione e definizione di un programma di rete, che individui i diritti e gli obblighi assunti da ciascun partecipante, dottrina più recente, rivisitando la teoria del contratto normativo, ha individuato nel contratto di rete un “contratto di coordinamento”, comportante per gli stessi aderenti soltanto l’obbligo di rispettare l’indirizzo generale e le linee guida fissate in contratto per lo svolgimento in comune di attività economiche, la stipula di nuovi contratti finalizzati al raggiungimento dell’obiettivo comune e all’implementazione di progetti comuni e futuri27.
clausole; più recentemente, si x. X. XXXXX, Contratti regolamentari e normativi, Cedam, Xxxxxx, 0000.
25 X. XXXXXXX, voce Contratto plurilaterale, in Enc. giur. Treccani, IX, Ist. pol. e Zecca dello Stato, Roma, 1988, 11 ss.
Per maggiori approfondimenti sul rapporto tra contratti normativi e contratto plurilaterale si v. X. XXXXXXXXX, Il contratto plurilaterale, ora in Studi in tema di contratti, Xxxxxxx, Milano, 1952, 146 ss.
26 Più recentemente, tale modello contrattuale è stato utilizzato per la redazione dei c.d. codici professionali di auto-restriction e di voluntary compliance, utilizzati soprattutto nell’area nord americana per la stipulazione di particolari convenzioni, tra Università ed Enti pubblici o privati, volte a promuovere attività di ricerca e sviluppo. Sul punto, X. XXXXXXX, Contratti standard, in Nuoviss. Dig. it. Appendice, Utet, Torino, 1981, II, § 15.
00 X. XXXXXXXXX, Xx «contratto di rete» fra (comunione di) impresa e società (consortile), cit.,
330. La medesima funzione “precettiva” è stata precedentemente teorizzata da X. XXXXXXX, voce
La formazione di singoli contratti, infatti, costituisce adempimento parziale, ma non determina estinzione del contratto di coordinamento28.
Già in precedenza, infatti, si era affermato che l’accordo preventivo sul contenuto contrattuale si riferisce, piuttosto che a un solo contratto da concludere, a una pluralità di contratti futuri. Secondo tale parte della dottrina, infatti, un contratto potrebbe definirsi “normativo o regolamentare” ogni qualvolta le parti, in previsione di una pluralità di rapporti giuridici da costituire tra loro per il raggiungimento di uno scopo comune, determinino preventivamente, almeno in parte, la disciplina giuridica cui saranno sottoposti, se e in quanto effettivamente si costituiranno29.
Il contratto di rete, dunque, secondo parte della dottrina, data la sua natura trans-tipica30, potrebbe fungere da contratto-quadro rispetto alla stipulazione di contratti esecutivi (di distribuzione, di fornitura, di licenza di marchio, brevetto, know how, franchising) tra gli stessi aderenti alla rete o tra questi e soggetti terzi31.
Contratto plurilaterale, in Enc. giur. Treccani, cit., 15, il quale, sia pure nell’ambito delle c.d. “pratiche concordate”, previste all’art. 85 Trattato CEE, faceva riferimento a un modello di cooperazione in cui il programma (o accordo) comune individuerebbe soltanto il fine da raggiungere e le caratteristiche essenziali del risultato finale senza imporre alle imprese aderenti tempi e modalità di raggiungimento.
28 X. XXXXXXXX, Contratti preparatori e contratti di coordinamento, in Riv. dir. comm., 1940, I, 30.
00 X. XXXXXXXX, Xxxxxxxxx preparatori e contratti di coordinamento, cit., 22 ss., il quale rilevava, inoltre, che dal riferito contratto normativo non nasce un vincolo obbligatorio relativo alla conclusione di uno o più contratti determinati. Se tali rapporti non si costituiranno, infatti, la disciplina prevista dal contratto normativo non entrerà in vigore. Se però si costituiranno, e le parti saranno le stesse del contratto normativo, la disciplina ivi indicata entrerà in vigore senza bisogno di una nuova manifestazione di volontà al riguardo, essendo stata previamente accettata.
30 X. XXXXXXX, Il contratto di rete: commentario, Il Mulino, Bologna, 2009, 26. Sul punto, più ampiamente, si v. cap. I, § 5.
31 Altra parte della dottrina (M. D’AURIA, Dal concetto di rete di imprese al contratto di rete, in AA.VV., I contratti di rete, in Il corriere del merito. Rassegna monotematica, 2010, 5, 21), invece, rinviene la medesima funzione di contratto-quadro dei contratti sottostanti nonostante ravvisi nel contratto di rete, più che un contratto trans-tipico, un c.d. meta-contratto.
Il contratto di rete, infatti, ha la funzione di stabilire il modo di formazione, le clausole, gli effetti degli atti costitutivi dei singoli rapporti successivi e, soprattutto, di disciplinare e regolare il loro coordinamento al fine di perseguire gli obiettivi di competitività e innovatività prefissati al momento della sottoscrizione32.
Pur non essendovi elementi per escludere una simile configurazione del contratto di rete, è innegabile che con l’introduzione di tale nuovo istituto giuridico il legislatore abbia inteso dotare le imprese di un contratto “operativo” e non puramente strumentale, in grado di consentire una partecipazione diretta alla competizione internazionale e di agevolare il raggiungimento degli indicati obiettivi di sviluppo e competitività33.
Il contratto di rete, pertanto, andando oltre gli schemi socialmente e legislativamente predisposti (e tipizzati), è in grado di regolamentare
32 Alla stregua di quanto già in precedenza teorizzato dalla citata dottrina (X. XXXXXXXX, Contratti preparatori e contratti di coordinamento, cit., 28) con riferimento ai c.d. contratti preparatori e di coordinamento, nonchè, più in generale, con riferimento al contratto normativo, da X. XXXXXXXX, Intese prenegoziali a struttura «normativa» e profili di responsabilità precontrattuale, in Riv. critica di diritto privato, 1995, 57, il quale rilevava che con il contratto normativo le parti intendono, non solo agevolare la stipula di futuri contratti inter partes, di cui si prevede una certa regolarità e frequenza in relazione all’attività svolta dagli stessi interessati, ma anche assicurarsi che i contratti che ciascuna o una di esse abbia a concludere con soggetti terzi risultino conformi al regolamento predisposto, al fine di perseguire le tracciate strategie comuni.
33 Sul concetto di competitività, si v. X. XXXX, Il contratto di rete: alcuni profili di qualificazione e di disciplina. Relazione al convegno: “il diritto commerciale europeo di fronte alla crisi”, Roma, 29.01.2010, 9, nt. 4 (consultabile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx), secondo il quale il concetto europeo di competitività risulta di incerto significato, sebbene di rilievo centrale. Infatti, secondo il Glossario Europa, «un’economia competitiva è un’economia che presenta una crescita elevata e sostenuta della produttività (…). Per essere competitiva, l’Unione deve tassativamente essere più redditizia in termini di ricerca e innovazione, di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, di imprenditoriali, di concorrenza, di istruzione e formazione».
Il concetto di competitività è rinvenibile, altresì, nell’art. 3, co. 3, T.U.E: « l’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico». Ciò, non senza dimenticare la decisione del Parlamento e del Consiglio europeo del 24.10.2006 n. 1639/2006/CE «che istituisce un programma quadro per la competitività e l’innovazione (2003-2013)» e quanto riferito agli artt. 151, 173, co. 1, 179, co. 1, 189, co. 1, 195,
co. 1, T.U.E.
attività comuni, implementare progetti futuri o, più semplicemente, disciplinare specifici aspetti legati alla ricerca, allo sviluppo e alla gestione (in comune) della logistica34.
Pertanto, non appare possibile aderire - almeno nei termini perentori in cui è formulata - alla conclusione a cui perviene la stessa dottrina, ovvero che il novello contratto di rete «non introduce un nuovo tipo contrattuale»35. Infatti, se, da un lato, è certamente vero che «la legge sul contratto di rete ha un tenue impatto sulle regole autonomamente create dagli aderenti, sostanzialmente liberi di articolare il rapporto attorno ad una gamma di scelte non vincolate dal legislatore»36 e che, quindi, verrebbe meno - ai fini
34 Più ampiamente, si v. X. XXXXXXX, Contratto di rete e sviluppo dell’impresa, in Obbl. e contratti, 2009, 5, 391 ss.; X. XXXXXXXX, La nuova legge sui “contratti di rete” tra le imprese: osservazioni e spunti, in Notariato, 2010, 2, 193; X. XXXXXXX, Il contratto di rete e il diritto dei contratti, in Reti di imprese e contratto di rete: spunti per un dibattito (a cura di X. Xxxxxxx – X. Xxxxxxxxxxxx), in I contratti, 2009, 10, 920, ove si riferisce, prendendo spunto dalle prime applicazioni pratiche, che il contratto di rete può trovare applicazione per svolgere attività di gestione a vantaggio dei partecipanti, come l’esercizio in comune di attività logistica e di trasporto, la gestione di servizi amministrativi e contabili in comune, la utilizzazione comune di impianti, l’acquisto e la vendita di beni e servizi per lo svolgimento delle singole attività o dell’attività in comune, lo svolgimento di attività di ricerca pre-competitiva o competitiva, l’assunzione di appalti, fornitura, sistemi di distribuzione ovvero la concessione a terzi degli stessi.
35 X. XXXXXXX - P. IAMICELI, Contratto di rete. Inizia una nuova stagione di riforme?, in Obbl. e contratti, 2009, 7, 595, i quali, interrogandosi sulla complessa natura eterogenea del contratto di rete, riferivano di un “contratto trans-tipico” non per evidenziare l’assenza di novità e originalità, ma per indicarne la duttilità e la capacità di favorire combinazioni con contratti già tipizzati (determinando la creazione di reti-subfornitura, reti-franchising, reti-joint venture).
Va rilevato, altresì, che secondo X. XXXXXXX, Il contratto di rete. Commentario, cit., 21, «obiettivo di un intervento legislativo (nel campo delle reti di imprese) dovrebbe essere quello di definire un quadro di riferimento, non di aggiungere ai tipi esistenti un nuovo tipo contrattuale».
Da un’altra prospettiva, X. XXXXXXX, Il “contratto” e la “rete”: brevi note sul riduzionismo legislativo, in Reti di impresa e contratto di rete: spunti per un dibattito, (a cura di X. Xxxxxxx - X. Xxxxxxxxxxxx), in I contratti, 2009, 10, 953, secondo il quale l’idea del contratto trans-tipico esprimerebbe, piuttosto, tutte le difficoltà del voler comprimere in un dato tipo la complessità dei rapporti di rete. È ben possibile, infatti, che il rapporto tra le imprese della rete si realizzi con modalità tali da “attraversare” e sintetizzare, eventualmente, una pluralità di tipi.
Più esplicitamente, nel senso che la disciplina di cui alla l. n. 33/09 darebbe vita ad un nuovo tipo contrattuale, G.D. XXXXX, Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, cit., 862, il quale afferma che il contratto di rete «è un contratto tipico rientrante nella categoria dei contratti plurilaterali con scopo comune» e che, in ogni caso, «la qualificazione del contratto di rete come contratto tipico non esclude nemmeno la possibilità di riconoscergli grande ampiezza anche sul piano della funzione».
00 X. XXXXX, Xx contratto di rete, in G. GITTI - M.R. XXXXXXX - X. XXXXXX, I contratti per l’impresa, cit.
del riconoscimento di un nuovo tipo contrattuale - uno dei requisiti essenziali richiesti, quale la cogenza della maggioranza delle disposizioni dettate, dall’altro, non può disconoscersi l’innovativa (ed esclusiva) natura del modello contrattuale in commento37.
Infatti, con il contratto di rete pare essersi (almeno parzialmente) soddisfatta la richiesta delle imprese e delle relative associazioni di categoria di uno strumento negoziale duttile ma allo stesso tempo multi- funzionale, che si collochi tra la disciplina generale del contratto e quella dei singoli tipi. Tale nuovo modello contrattuale, infatti, può essere impiegato sia per un mero coordinamento delle attività svolte individualmente dalle singole imprese o per l’individuazione di benchmark per la valutazione e il miglioramento delle attività e dei processi aziendali, sia per la determinazione di forme di collaborazione più intense volte a una vera e propria regolamentazione e gestione delle attività comuni.
In definitiva, è evidente (specialmente alla luce della novella di cui alla
l. n. 122/10) come l’introdotto contratto di rete appaia dotato di due anime (non contrapposte ma) differenti, difficilmente rinvenibili, contemporaneamente, nei modelli contrattuali diffusi nella prassi. Infatti, a quella propria dei contratti sinallagmatici si aggiunge quella dei contratti associativi (organizzativi), come testimoniato dal fatto che con il contratto di rete le imprese possono contemporaneamente obbligarsi sia “a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica” sia “a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti
37 Sugli elementi e i tratti distintivi occorrenti per l’individuazione di un nuovo tipo contrattuale si v., più ampiamente e senza alcuna pretesa di completezza, G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Cedam, Padova, 1974, 70, 84 ss.; limitatamente alla parte relativa all’analisi dei rapporti tra contratto tipico e atipico si v. X. XXXXX, Contratto e rapporto nella permuta atipica, Xxxxxxx, Milano, 1974, 73 ss.
all'esercizio delle proprie imprese … ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa”.
Tutto ciò, come riferito, potrebbe indurre a ritenere non più esaustiva la (sola) prospettazione dell’introdotto contratto di rete in termini di contratto plurilaterale con comunione di scopo nonostante tale (unica) qualificazione sembri caldeggiata persino dallo stesso legislatore, il quale, alla lett. d) del co. 4-ter (così come modificato), ha previsto che in contratto devono essere indicate “se pattuite, le cause facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l’esercizio del relativo diritto, ferma restando in ogni caso l’applicazione delle regole generali di legge in materia di scioglimento totale o parziale dei contratti plurilaterali con comunione di scopo”.
«V’è da chiedersi in sostanza se la norma intenda riconoscere come contratto di rete, pur per le finalità particolari perseguite dal comma 4 ter, solo quello riconducibile al contratto plurilaterale presupposto dagli artt. 1459 e 1466 c.c., le cui regole, intendendo letteralmente la norma, dovrebbero risultare applicabili sempre»38.
Infatti, risulta difficilmente comprensibile la scelta del legislatore di ritenere “in ogni caso” applicabili le norme dettate in tema di contratti plurilaterali con comunione di scopo, escludendo così dal campo di applicazione della normativa di cui alla l. n. 33/09 tutti quei «rapporti plurilaterali tra gli aderenti alla rete, destinati a realizzare uno scambio, e non una struttura associativa»39, salvo che si voglia intendere - contro, però, la letterale interpretazione del dettato normativo - anche lo scambio di informazioni o
00 X. XXXXX, Xx contratto di rete, in G. GITTI - M.R. XXXXXXX - X. XXXXXX, I contratti per l’impresa, cit., ove un più ampio sviluppo della questione.
00 X. XXXXX, Xx contratto di rete, in G. GITTI - M.R. XXXXXXX - X. XXXXXX, I contratti per l’impresa, cit.
prestazioni quale attività finalizzata (esclusivamente) al perseguimento del comune interesse di rete40.
2. La governance del contratto di rete.
Il coordinamento delle attività compiute dalla rete di imprese può richiedere l’adozione di sistemi di governance particolarmente complessi che, pur non giungendo alla organizzazione strutturata propria del modello societario, comportano una procedimentalizzazione delle decisioni e un organizzato riparto delle competenze41.
Il dettato normativo di cui all’art. 3, co. 4-ter, l. n. 33/09 prevede una separazione tra fase costitutiva (o programmatica) e fase di attuazione, quest’ultima intesa come realizzazione del risultato contrattuale in quanto se, da un lato, è con la stipulazione del contratto che si definiscono gli obiettivi strategici, il programma di rete, la sua durata42, nonché si
40 Tutto ciò non senza sottovalutare le risultanze emergenti dalle prime applicazioni pratiche del contratto di rete. Infatti, su un totale di 179 contratti di rete redatti alla data del 5.12.2011, ben 46 risultano stipulati tra due sole imprese. Pertanto, pur immaginando come convergenti le prestazioni delle parti e possibile l’ingresso nella rete di nuovi aderenti, almeno in una prima fase, per queste reti (anche solo temporaneamente) “bilaterali” non potrebbe certo considerarsi appropriata la veste del contratto “plurilaterale” con comunione di scopo.
41 X. XXXXXXX - P. IAMICELI, La governance del contratto di rete, in Il contratto di rete. Commentario, cit., 45.
42 Con specifico riferimento alla durata del contratto di rete è possibile registrare sia reti a tempo determinato sia a tempo indeterminato. In alcuni contratti di rete a tempo determinato si prevede che “l’Assemblea delle imprese aderenti potrà, alla scadenza o prima, stabilire un ulteriore termine di durata”; tale soluzione sembrerebbe volta a superare la scarsa conciliabilità tra clausole di rinnovo tacito e/o automatico - comunque non vietate dal legislatore e, addirittura, previste in quasi la metà dei contratti di rete sinora stipulati - e la logica stessa del contratto di rete. Infatti, elemento centrale del contratto di rete è il programma comune strutturato sulla base di un progetto che, eccezion fatta per le reti di collaborazione e di mero scambio, sarebbe difficilmente ripetibile in serie. Ne consegue, altresì, la difficoltà di concepire programmi di reti a tempo indeterminato in grado di ottenere l’asseveramento in virtù dell’impossibilità di procedere a una suddivisione del programma comune in un numero indeterminato di fasi in cui poter valutare, tra l’altro, l’apporto di ciascun aderente e la congruità degli investimenti all’uopo dedicati.
Secondo i dati raccolti dall’“Osservatorio sul contratto di rete” istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico su un consistente campione di imprese aderenti alle oltre 400 reti di imprese costituite al giugno 2012, il 52,6% ha dichiarato di aderire a reti di imprese di durata inferiore ai 5 anni, il 16,1% a reti di durata compresa tra i 5 e i 10 anni; l’11,5% a reti di durata compresa tra i 10 e i 20 anni e il 19,7% di aderire a reti di durata superiore ai 20 anni.
individuano i diritti e gli obblighi degli aderenti, dall’altro, è all’organo comune che risulta essere demandata l’esecuzione del contratto.
È opinione condivisa che la separazione tra programmazione e attuazione riflette la complessità della rete, determinata peraltro da livelli di incompletezza contrattuale relativamente elevati, da definirsi successivamente alla costituzione della rete proprio in sede di attuazione del programma, producendo un trade-off tra certezza del disegno contrattuale ex ante e governo delle contingenze ex post43.
Infatti, tanto più elevato è il livello di incompletezza iniziale tanto più elevata sarà la discrezionalità dell’organo comune nel completamento contrattuale.
Non a caso, notevole è il rischio di abuso nel completamento del contratto e nell’individuazione delle regole destinate a regolamentare il rapporto tra gli aderenti e l’organo comune, con conseguente innalzamento dei costi di conflitto tra le parti nel caso di non coincidenza degli interessi. Soltanto la diretta partecipazione di tutti gli aderenti all’organo comune riduce sensibilmente il rischio di collusione tra organo e alcuni dei partecipanti.
L’organo comune, pertanto, è chiamato a dirimere i conflitti di interessi nascenti tra gli aderenti o a gestirne la composizione, in quanto l’eventuale
43 R.J. XXXXXX - C.F. SABEL - R.E. XXXXX, Contracting for innovation: vertical disintegration and interfirm collaboration, in Columbia law review, New York, 2009, 109, 3, 453 ss.; X. XXXXX, Xx xxxxxxxxx, XX xx., Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 968 ss. Più approfonditamente sul contratto incompleto si v., senza alcuna pretesa di completezza, X. XXXXXXXXXXX, I contratti incompleti nel diritto e nell'economia, Cedam, Padova, 2000, 1 ss.; A FICI, Il contratto «incompleto», Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2005, 11 ss.; X. XXXXXXXXX, Il contratto «incompleto», in Riv. dir. priv., 2008, 3, 509 ss.
divergenza di interessi tra gli aderenti non è incompatibile con gli obiettivi (e gli obblighi) di collaborazione inter-aziendale44.
L’attività esecutiva deve svolgersi in modo da privilegiare l’interesse collettivo della rete su quello dei singoli partecipanti, in capo ai quali grava un dovere di lealtà verso la collettività. Tale dovere avrà sia un dimensione procedurale sia sostanziale. Da un punto di vista procedurale, il dovere di lealtà comporta l’adozione di procedure decisionali adeguatamente rappresentative degli interessi di tutti gli aderenti; dal punto di vista sostanziale, invece, l’adottanda decisione dovrà contemperare i particolari interessi delle parti con quello della rete.
L’organo comune risponderà direttamente nei confronti degli aderenti nell’ipotesi di inadempimento ai surriferiti obblighi e al generale obbligo di diligenza nell’esecuzione del mandato imposto dall’art. 1710 cod. civ.45
Considerata la natura collettiva del danno, la decisione di far valere la responsabilità dell’organo spetta alla collettività e il risarcimento (anch’esso oggetto di comunione) potrà essere imputato al fondo comune. Diversamente, quando la condotta dell’organo lede un diritto individuale, la
44 Precedentemente, X. XXXXXXX, Consorzi commerciali, in Nuov. Dig. it., Utet, Torino, 1938, 960, rilevava che, nei contratti plurilaterali con comunione di scopo, la funzione dirimente dell’organo comune risulta essere assai rilevante proprio in virtù del fatto che l’interesse collettivo deve conciliarsi con quello individuale. Con specifico riferimento all’organo comune delle reti di imprese, si v. X. XXXXXXX, Organisational loyalties and models of firms: governance design and standard of duties, in Theoretical inquiries in law, 2005, 6, 2, 413 ss.; X. XXXXXXX, Coincidentia oppositorum: hybrid networks beyond contract and organization, in X. XXXXXXX - X. XXXXXXX, Networks. Legal iusses and multilateral co-operation, Xxxx, Oxford, Portland, 2009, 3 ss.
45 Sul generale obbligo di diligenza previsto all’art. 1710 cod. civ., senza alcuna pretesa di completezza, si v. X. XXXXXXXXX, Del mandato. Delle obbligazioni del mandatario e delle obbligazioni del mandante. Artt. 1710-1721, in Comm. del cod. civ. Xxxxxxxx-Xxxxxx (a cura di X. Xxxxxxx), Zanichelli, Bologna, 1988, 21 ss. Altresì, in precedenza, X. XXXXXXXX, Mandato, commissione, spedizione, in Tratt. dir. civ. (diretto da X. Xxxx - X. Xxxxxxxx), XXXII, Xxxxxxx, Milano, 1984, 388 ss.
Per la giurisprudenza, da ultimo, Xxxx. Civ., Sez. II, 18.05.2009 n. 11419, in Giust. civ., 2009, 5, 785.
legittimazione spetterà alla singola impresa danneggiata e il risarcimento non potrà che ristorare soltanto quest’ultima.
La scelta dei meccanismi di allocazione dei rischi derivanti dalla violazione degli obblighi assunti dall’organo comune può condizionare la decisione delle parti di aderire o meno a una rete di imprese e di effettuare investimenti specifici. La combinazione di rimedi risarcitori e rimedi di altra natura (disciplinari e inibitori) può rappresentare sotto questo profilo un importante strumento di governo della rete46.
Tuttavia, gli aderenti potrebbero demandare all’organo comune anche l’adozione di protocolli tecnici circa la regolamentazione dell’attività comune, nonché l’individuazione di specifici benchmarks vincolanti per le parti medesime. Tali intese potrebbero essere interpretate quali veri e propri “regolamenti delegati”47, “indirettamente” consensuali in virtù dell’autorizzazione rilasciata (anche tacitamente) dagli aderenti al momento dell’adesione alla rete. È evidente, pertanto, come tali statuizioni dell’organo comune integrino l’originario e principale contratto di rete per relationem, secondo il modello dell’arbitraggio48.
46 Sul punto si v., più ampiamente, l’analisi condotta nel successivo capitolo.
47 Sul punto si v. E. DEL PRATO, I regolamenti privati, Xxxxxxx, Milano, 1988, 319 ss., il quale definisce “regolamenti delegati” quelle «formulazioni integrative del contratto, alla stregua dell’attribuzione, da parte degli originari contraenti e degli aderenti successivi - il cui consenso si conforma al contratto esistente - di un potere ex art. 1349 cod. civ. ad alcuno degli organi associativi nel senso di formulare la disciplina di determinate materie».
48 Inteso nell’accezione proposta da X. XXXXXXXXXXX, I rapporti giuridici interni nelle società commerciali, Xxxxxxx, Milano, 1937, 47 ss.; X. XXXXXXX, Il contratto di società commerciale, cit.,
42. Più recentemente, E. DEL PRATO, I regolamenti privati, cit., 204 ss., ove lo si definisce come
«potestà vicaria, rimessa appunto alla maggioranza, di modificare il vincolo contrattuale».
In ogni caso dovranno essere indicati in contratto degli appositi “indicatori di performance” che consentano di misurare l’avanzamento degli obiettivi che la rete si è prefissa49.
La natura fiduciaria della cooperazione reticolare e la pluralità (e possibile divergenza) degli interessi perseguiti consiglierebbero, pertanto, l’istituzione di un organo comune di gestione stante l’inapplicabilità dei modelli di governance propri di altre forme di cooperazione (si pensi, soprattutto, alle associazioni temporanee di imprese) in cui ex ante il potere decisionale è affidato all’impresa capofila50.
Tuttavia, il comma 4-ter, oltre a non imporre la costituzione di un organo comune, lascia assolutamente libere le parti circa l’individuazione
49 In molti contratti di rete, data la delicatezza dell’accertamento, si è ritenuto opportuno riservare tale valutazione a un apposito organo tecnico variamente denominato (nucleo di valutazione, comitato tecnico di valutazione, etc.).
La corretta individuazione di “indicatori di performance” consente, altresì, di poter valutare nell’ambito di programmi pluriennali comuni strutturati in più fasi il corretto apporto di ciascun aderente anche sul piano degli investimenti e della loro congruità allo scopo comune.
La misurazione dell’avanzamento dell’attività comune in vista del raggiungimento degli obiettivi della rete è di fondamentale importanza anche ai fini dell’asseverazione del contratto stesso. Infatti, non potrà trovare asseverazione un contratto di rete che non manifesti una adeguata congruità tra gli utili messi a disposizione da ciascun impresa per gli investimenti e gli obiettivi previsti in ogni singola fase attuativa del programma comune.
50 Sulla governance delle A.T.I., si v. G. DI ROSA, L’associazione temporanea di imprese. Il contratto di joint venture, Xxxxxxx, Milano, 1998, 126, secondo il quale, nell’ipotesi dell’A.T.I., per espressa previsione di legge, l’attività di coordinamento dell’esecuzione dell’opera e la rappresentanza nei confronti dei terzi e dello stesso committente risultano demandate all’impresa capofila, alla stregua del modello francese del c.d. groupement d’entreprises; in precedenza ID., Rappresentanza e gestione. Forma giuridica e realtà economica, Xxxxxxx, Milano, 1997, 95 ss.; nonché, da ultimo, X. XXXXXX - B. DE DONNO, L’impresa, in X. XXXXXXX, Il diritto privato nell’Unione Europea, Giappichelli, Torino, 2000, 980 ss.
Per la giurisprudenza, cfr. Cass. Civ., Sez. III, 17.09.2005 n. 18441, in Giust. civ. Mass., 2005, 9, secondo cui l’associazione temporanea di imprese è fondata su un rapporto di mandato con rappresentanza, conferito collettivamente ad altra impresa “capogruppo” ed è, altresì, legittimata a compiere, nei soli rapporti con l’amministrazione, ogni attività giuridica connessa o dipendente dall’appalto e produttiva di effetti giuridici direttamente nei confronti delle imprese mandanti sino all’estinzione del rapporto, mentre nei rapporti con i terzi gli effetti degli atti giuridici posti in essere dalla mandataria senza la spendita del nome della mandante non possono ricadere nella sfera giuridica di quest’ultima; Xxxx. Civ., Sez. III, 17.05.2001 n. 6757, in Giust. civ., 2002, I, 729 ss.
della struttura, della composizione e regolamentazione da assumere per la tutela delle imprese aderenti onde prevenire ed evitare possibili abusi.
Le parti, pertanto, sono libere di istituire organi comuni ampiamente rappresentativi (composti da tutti i membri della rete), di affidare la gestione a pochi aderenti (o, addirittura, a un solo componente) e persino di delegare la gestione a soggetti esterni alla rete51.
La scelta tra organo monocratico e collegiale dipende dalla dimensione della rete e l’eventuale diverso apporto di ciascun aderente determina una partecipazione non paritaria all’organo comune. È indubbio, che chi investe maggiori capitali e assume maggiori rischi pretenda un maggiore potere decisionale.
In assenza di riferimenti normativi, prima della novella della l. n. 122/10 (la quale, come riferito52, per la regolamentazione dei rapporti tra aderenti e organo comune rinvia espressamente alla disciplina del mandato), parte della dottrina, distinguendo tra reti meramente contrattuali e reti associative a rilevanza esterna, riteneva applicabile soltanto alle prime la disciplina del mandato53. Infatti, nelle reti a rilevanza esterna, data la complessità della struttura, il sistema gestionale, sfuggendo alle logiche del mandato (e, quindi, alle istruzioni dei partecipanti)54 risultava orientato verso l’adozione delle regole organizzative proprie dell’ente associativo55.
51 Sul punto, va però rilevato, che seppur non vietato ex lege, in molti dei contratti di rete da ultimo stipulati, si esclude categoricamente la possibilità di attribuire a soggetti terzi la gestione (id est presidenza) della rete di imprese.
52 Si x. xxxxx, xxx. X, § 0.
53 Il rimando alle norme dettate in tema di mandato risultava giustificato anche in ragione del rinvio operato dal comma 4-quinquies dell’articolato in commento alla lettera b) del co. 368, art. 1,
l. n. 266/05, con cui si estendevano alle reti di imprese alcune delle agevolazioni amministrative concesse ai distretti industriali. Su tutti, la possibilità di stipulare, per conto delle imprese aderenti, negozi di diritto privato secondo le regole del mandato di cui agli artt. 1703 ss. cod. civ.
54 X. XXXXXXX, Delle persone giuridiche. Disposizioni generali. Delle associazioni e delle fondazioni (artt. 11-35 cod. civ.), in Comm. cod. civ. Xxxxxxxx - Xxxxxx (a cura di X. Xxxxxxx), II ed., Xxxxxxxxxx, Bologna, 2006, 210, 254. Per la giurisprudenza, cfr. Cass. Civ., Sez. I, 04.01.01, n.
Pertanto, mentre nello schema della rete meramente contrattuale gli aderenti conservano, quali mandanti, un’incidenza piuttosto significativa sull’operato dell’organo, laddove si optasse per il modello di organizzazione più complesso della rete a struttura associativa, l’organo comune acquisterebbe maggiore autonomia e indipendenza dalla compagine sociale.
Il mandato assicurato all’organo comune avrà natura collettiva, con conseguente applicabilità dell’art. 1726 cod. civ., in quanto conferito con un unico atto e da almeno due soggetti in vista di un interesse comune56.
In caso di organo non monocratico, inoltre, troverà applicazione anche la disciplina inerente la pluralità dei mandatari (art. 1716 cod. civ.), che consente l’esecuzione disgiunta dell’incarico (con esclusivo obbligo di informazione e rendicontazione) in assenza di contraria statuizione delle parti57.
77, in Le società, 2001, 12, 1465 ss., con nota di A. DI MAJO, Associazione temporanea di imprese e società consortili negli appalti pubblici.
55 X. XXXXXXX, Il contratto di rete. Commentario, cit., 52. Più in generale, X. XXXXX XXXXX, I contratti associativi, cit., 280.
56 Cosi come già rilevato, sia pure con riferimento alla governance delle A.T.I., da G. DI ROSA, L’associazione temporanea di imprese. Il contratto di joint venture, cit., 128, secondo il quale, inoltre, proprio la comunanza dell’affare consente di distinguere il mandato collettivo dal mandato plurimo.
In senso conforme, per la giurisprudenza, si x. Xxxx. Civ., Sez. III, 26.11.2002 n. 16678, in Giust. civ., 2003, I, 1019 ss., secondo la quale, «qualora più persone conferiscano mandato a una terza persona, si ha mandato collettivo solo se coesistono due requisiti: esso deve essere conferito con un unico atto nonché per un interesse comune. Di per sé, il conferimento del mandato con unico atto costituisce un elemento a favore della coincidenza di interessi, ma non dimostra tuttavia l'esistenza di un affare unico, indivisibile e indistinto; solo nel caso in cui sia dimostrata l'unicità dell'affare, la volontà di ciascun mandante è legata da una dipendenza causale tale da giustificare l'applicazione della norma contenuta nell'art. 1726 c.c., che prevede, per la sola ipotesi del mandato collettivo, l'inefficacia della revoca prestata da uno solo dei mandanti».
57 Nelle prime applicazioni pratiche del contratto di rete, circa il 60 % delle reti ha scelto un modello di governance collegiale. Sul punto, si v. X. XXXXXXX, Il contratto di rete nella prassi. Prime riflessioni, cit., 512.
Sulle diverse modalità di esecuzione del mandato e sul mandato ad attuazione congiunta, si v. X. XXXXXXXXX, Del mandato, delle obbligazioni del mandatario, delle obbligazioni del mandante, cit., 260 ss.; in precedenza, altresì, X. XXXXXXXX, Mandato, commissione, spedizione, cit., 169 ss.; da ultimo, X. XXXXXX, Del mandato, in Comm. cod. civ. (diretto da X. Xxxxxxxxx), Utet, Torino, 2011, 382 ss.
Ciò non esclude che, a fronte di un incarico unitario conferito all’organo comune e consistente nella gestione complessiva del programma di rete, vi possa essere una specifica e separata attribuzione di compiti a ciascun componente dell’organo comune.
In ipotesi di esecuzione congiunta, invece, ciascun mandatario è chiamato a operare in collaborazione con gli altri per la corretta esecuzione dell’incarico, con conseguente responsabilità dell’intero organo comune nell’ipotesi di inadempienze dei singoli membri. Ciò comporta precipui obblighi di trasparenza e rendicontazione che, in ogni caso, si ribadisce, risulterebbero del tutto vani se non accompagnati dall’imprescindibile sostrato di lealtà e fiducia che deve ispirare e animare una cooperazione di tipo reticolare.
Tuttavia, l’organo comune può risultare soltanto il mero esecutore di una volontà assunta preliminarmente e collegialmente dalla rete di imprese.
A tal proposito, è opportuno chiarire, le modalità di “produzione dell’azione”58 della rete di imprese. L’azione, infatti, può scaturire da un prodromico momento decisionale (di spettanza dei singoli aderenti) e da una successiva fase meramente realizzativa (propria dell’organo comune), con conseguente esclusione di responsabilità dell’organo comune nell’ipotesi in cui quest’ultimo agisca quale mero nuncius, incaricato soltanto di eseguire le decisioni (o manifestare all’esterno le volontà) in precedenza assunte dalle imprese in rete.
Va rilevato, altresì, che la l. n. 33/09 (anche dopo le successive novelle intervenute) nulla riferisce circa l’eventuale presenza di un organo
58 X. XXXXX XXXXX, I contratti associativi, cit., 245, 252.
assembleare o, comunque, di carattere deliberativo, se si eccettua l’obbligo previsto alla lett. f) del comma 4-ter, di indicare in contratto “le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando è stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo”59.
Pertanto, con una disposizione premiale dell’autonomia contrattuale, il legislatore ha lasciato libere le parti di scegliere il sistema gestionale e organizzativo più congeniale alle loro esigenze, ordinandone, a fini pubblicitari, soltanto l’espressa indicazione in contratto.
Va rilevato, inoltre, che le decisioni prese dall’organo comune (o da chi per esso), secondo il dettato dell’art. 3, co. 4-ter, devono essere necessariamente finalizzate ad accrescere, individualmente e collettivamente, la capacità innovativa e la competitività delle imprese aderenti, con conseguente vincolatività (anche indiretta) di ogni decisione per l’intera rete in virtù del “carattere comune dell’azione”.
Al riguardo risulta di estrema attualità quanto in precedenza rilevato da autorevole dottrina, secondo la quale, «l’attività è e resta della figura di produzione che la pone in essere, né va imputata ad alcunché, dal momento che, al contrario, è proprio nell’azione di questa figura di produzione che si concreta l’attività comune e che emerge il risultato»60.
59 Da una ricerca sul campo (X. XXXXXXX, Il contratto di rete nella prassi, cit., 512, nt. 53), tuttavia, emerge che oltre il 60% dei contratti di rete stipulati al 31.12.2010 prevede la costituzione di un’assemblea, dotata di rilevanti poteri, quali l’approvazione del bilancio, la modifica del contratto e, soprattutto, la nomina dell’organo comune. Invece, nelle ipotesi in cui non è prevista la costituzione di un’assemblea, l’organo comune è composto da tutti i membri della rete, dando luogo a un modello di gestione che riduce drasticamente la distinzione tra fase di programmazione e di attuazione.
60 X. XXXXX XXXXX, I contratti associativi, cit., 286, secondo il quale, inoltre, «il vero è che nella nostra visuale le basi stesse della tradizionale alternativa organo-rappresentante vengono a mancare, in funzione a ben vedere della ricostruzione del fenomeno in termini di attività, anzi che di soggetto».
In ogni caso, ferme la funzione di regia dell’organo comune e la necessità che questo si attivi per assicurare un adeguato coordinamento tra le attività reticolari, non sembrano esservi ostacoli per poter affiancare al mandato generale uno o più mandati speciali a favore di soggetti diversi (anche esterni alla rete) per il compimento di specifici affari.
Il sub-affidamento di attività e incarichi a membri della rete o a soggetti terzi appare estremamente necessario, non potendo l’organo comune assicurare (anche in caso di struttura non monocratica) un corretto funzionamento della rete senza il ricorso a risorse esterne e alla delega di parte dell’esecuzione del programma a soggetti specializzati. Si pensi alla necessità di coinvolgere soggetti non aventi forma imprenditoriale (Università, enti di ricerca, professionisti61), i quali non possono far parte della rete (nella fase istitutiva del contratto), ma potranno fornire il loro apporto (nella fase esecutiva) attraverso la stipulazione di contratti di collaborazione o mediante la partecipazione a new. co.
A ciò va aggiunto che con l’ultima novella di cui alla l. n. 134/12, in conseguenza della possibilità concessa alle reti di imprese di poter acquistare una autonoma soggettività giuridica, si è provveduto a modificare la previsione della lett. e), art. 3, co. 4-ter, consentendo all’organo comune di agire non più soltanto in rappresentanza degli imprenditori, anche individuali ma anche (e soprattutto) in rappresentanza della rete.
61 Sul problema della partecipazione di liberi professionisti (singolarmente o in forma associata) a forme di cooperazione imprenditoriale, sia pure con riferimento alla disciplina delle associazioni temporanee di imprese, si v. G. DI ROSA, L’associazione temporanea di imprese. Il contratto di joint venture, cit., 110 ss.
Pertanto, l’organo comune incaricato di gestire l’esecuzione del contratto potrà stipulare contratti con terzi agendo direttamente in nome e per conto della rete e, successivamente, assegnare commesse ai singoli aderenti in ragione delle loro competenze e della disponibilità data da ciascuno al momento dell’adesione alla rete.
Il conferimento del potere di rappresentanza all’organo comune consente alla rete di raggiungere ambiziosi obiettivi (entrare in nuovi mercati, migliorare il rating delle imprese aderenti, sviluppare nuovi know how, stipulare contratti afferenti anche ad ambiti e settori estranei al core business di ciascuna impresa) pur in assenza di una propria personalità giuridica, alla stregua di quanto già avvenuto in ambito consortile e di A.T.I.62
Infatti, l’applicazione della disciplina del mandato non incide sulla struttura del gruppo, ma consente alle imprese aderenti a una rete, pur in assenza di una organizzazione composita, di interagire con i terzi e con le Amministrazioni appaltanti63.
62 Con riferimento alla disciplina dei consorzi, si v. X. XXXXXXX, Consorzi commerciali, cit., secondo il quale, per il raggiungimento di risultati e nuovi accordi commerciali, «l’istituto giuridico utilizzato è il conferimento della rappresentanza da parte dei consorziati ad un organo comune, per supplire alla mancanza della personalità giuridica del consorzio».
Analogamente, in tema di A.T.I., tramite il mandato collettivo conferito all’impresa capogruppo, le imprese riunite entrano in contatto con le stazioni appaltanti e i terzi committenti in genere, pur mantenendo ciascuna la propria piena autonomia giuridica ed economica, in ossequio a quanto disposto dall’art. 23, co. 10, d.lgs. 19.12.1991 n. 406 (in G.U., 27.12.1991, n. 302, suppl.). Sul punto, più approfonditamente, si v. G. DI ROSA, L’associazione temporanea di imprese. Il contratto di joint venture, cit., 126 ss.
63 Sul contratto di mandato, quale strumento di organizzazione del rapporto tra le imprese, più ampiamente, si v. X. XXXXXX, La responsabilità contrattuale degli appaltatori in joint venture, Xxxxxxx, Milano, 1984, 56; X. XXXXXXX, L’associazione temporanea di imprese, in Trattato di dir. priv. (diretto da X. Xxxxxxxx), XXXX, Xxxx, Xxxxxx, 0000, 568; G. DI ROSA, L’associazione temporanea di imprese. Il contratto di joint venture, cit., 126 ss.
3. (segue) L’adempimento delle obbligazioni e la tutela dei terzi.
Il singolo aderente, eseguendo l’incarico assegnatogli dall’organo comune, non adempie soltanto il contratto stipulato dalla rete con il terzo ma anche gli obblighi personalmente assunti al momento dell’adesione alla rete. Ovviamente, gli aderenti possono accettare o rifiutare l’assegnazione dell’incarico, salvo rispondere nei confronti degli altri consociati ove tale rifiuto risulti ingiustificato e in contrasto con il generale obbligo di collaborazione alla realizzazione del programma di rete.
La responsabilità del singolo verso la rete conseguirebbe, dunque, direttamente dalla violazione degli obblighi assunti con la sottoscrizione del contratto di rete e non dal mancato adempimento degli obblighi eventualmente contenuti nel successivo accordo (interno) stipulato a seguito dell’assegnazione dell’incarico.
Il vincolo in forza del quale le imprese aderenti eseguono i contratti stipulati dalla rete, infatti, non ha la propria fonte nell’assegnazione (atto unilaterale recettizio) ma nell’iniziale sottoscrizione o adesione al contratto di rete64.
Conseguentemente, nessun potere avrebbe il terzo di sollecitare l’adempimento dell’obbligo gravante sul singolo aderente, potendo al più lamentare la mancata esecuzione del contratto stipulato con la rete, in assenza cioè di un rapporto diretto instaurato con il singolo aderente.
L’organo comune, tuttavia, in presenza di un inadempimento dell’impresa assegnataria, può agire a tutela dei diritti del gruppo affinché il
64 Sia pure con riferimento alle obbligazioni assunte dai consorziati, si v. X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, II ed., in Tratt. dir. civ. e comm. Cicu-Messineo, Xxxxxxx, Milano, 2002, 428 ss., e in precedenza in ID., Le fasi dell’impresa nei consorzi tra imprenditori, in Contratto e impresa, 1986, 1 ss.
soggetto inadempiente tenga indenne la rete e gli altri partecipanti dal pregiudizio derivante.
Ipotesi del tutto diversa è quella in cui l’organo comune procuri le commesse da “assegnare in esecuzione agli aderenti” e stipuli il contratto con il terzo in nome e per conto del singolo partecipante, con la conseguente possibilità del terzo di pretendere l’adempimento direttamente in capo al singolo assegnatario65. In questo caso è evidente la funzione “di servizio” della rete, compatibile con il modello di cooperazione previsto dal legislatore con la l. n. 33/09 (così come novellata) soltanto nell’ipotesi in cui la suddetta assegnazione risulti finalizzata ad accrescere, individualmente e collettivamente, la capacità innovativa e la competitività sul mercato dell’aderente66.
La stipulazione da parte della rete di contratti in nome proprio, invece, è manifestamente preordinata allo scopo di offrire ai terzi la più alta garanzia possibile, costituita dal brand e dal patrimonio (ove esistenti) dell’intera rete. Infatti, nel rapporto con le stazioni appaltanti, e in genere nei rapporti esterni, appaltatrice è solo la rete di imprese; da ciò ne consegue che il contratto d’appalto resta unitario e l’organo comune non sarà tenuto a sub- appaltare l’opera in oggetto alle imprese aderenti.
65 Sul punto, X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, cit., 428 ss., il quale rileva, con riferimento alla disciplina dei consorzi fra imprese per l’assunzione di appalti e forniture, che le regole consortili si combinano con quelle relative al mandato senza rappresentanza. Infatti, come indicato in diversi modelli statutari, scopo del consorzio sarebbe quello di assumere, sia da privati che da enti pubblici, lavori, opere e forniture da affidare in esecuzione alle imprese aderenti.
66 Non senza tacere, che in alcuni dei contratti di rete da ultimo stipulati, si legge testualmente: “la rete non può assumere obbligazioni per conto delle singole imprese aderenti”, a testimonianza del fatto che risulta estremamente complesso assumere commesse e stipulare contratti nell’esclusivo interesse di uno dei partecipanti e, allo stesso tempo, rimanere fedeli al nuovo paradigma di cooperazione previsto all’art. 3, co. 4-ter, l. n. 33/09, il quale, come riferito, impone di perseguire individualmente e collettivamente l’accrescimento della propria capacità innovativa e competitività.
Cionondimeno, agendo la rete in nome proprio ma per conto delle imprese aderenti, nei (soli) rapporti interni, appaltatrici risulteranno essere (e, quindi, gli effetti del contratto d’appalto si riverseranno sul) le singole imprese assegnatarie67.
È evidente, infatti, come le singole imprese aderenti non prendano parte al contratto d’appalto ma ne “subiscano” gli effetti in via mediata, risultando l’esecuzione dei contratti conclusi dall’organo comune nell’interesse dell’intera rete soltanto l’adempimento di uno dei precipui obblighi assunti e sottoscritti dagli imprenditori al momento di adesione alla rete.
Pur agendo nell’interesse degli aderenti, la rete di imprese “sta in contratto”, potendo esercitare, ex art. 1705 cod. civ., i diritti derivanti dal contratto e dovendo garantire nei confronti dei terzi l’adempimento delle obbligazioni assunte e trasferite all’impresa assegnataria68.
Il problema della tutela dei terzi rispetto a eventuali inadempimenti della rete e dell’eventuale assegnatario è ancor più evidente nell’ipotesi in cui quest’ultimo, dopo l’assegnazione della commessa, venga dichiarato fallito.
Infatti, la giovane età dell’introdotto contratto di rete e l’assenza di riferimenti giurisprudenziali sul punto non consentono di assumere una posizione certa circa le sorti di un contratto d’appalto stipulato dalla rete,
67 Sul punto, sia pure con riferimento ai consorzi con attività esterna, si v. X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, cit., 428 ss.
68 Non potendo approfondire in questa sede la controversa qualificazione dell’incarico in questione, secondo alcuni, regolato da un rapporto di mandato senza rappresentanza collegato al contratto associativo, secondo altri, mera articolazione di quest’ultimo, si rinvia a X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, cit., 429 ss. e, in precedenza, ID., Le fasi dell’impresa nei consorzi fra imprenditori, cit., 6.
per il tramite dell’organo comune, e affidato a un aderente successivamente dichiarato fallito.
Ciò malgrado, se si considerasse l’assegnazione dell’incarico come un vero e proprio contratto di sub-appalto, potrebbe trovare applicazione l’art. 81, co. 1, l. fall., con conseguente liberazione del terzo committente dal contratto stipulato con la rete in assenza della dichiarazione del curatore di voler subentrare nella posizione contrattuale del sub-appaltatore69.
Tuttavia, almeno nelle ipotesi di reti sprovviste di soggettività giuridica,
«non si è in presenza di un’impresa sub-appaltatrice, bensì di un’impresa che si fa appaltatrice sotto il nome di un terzo»70 (id est la rete di imprese), con la conseguenza che il curatore potrebbe subentrare nel rapporto d’appalto esclusivamente nell’ipotesi in cui la rete - che aveva assegnato la commessa all’impresa poi fallita in relazione alle sue specifiche qualità e competenze - non ritenga di dover provvedere ad altra e diversa assegnazione.
Infatti, non essendovi ragione per escludere un’applicazione al caso di specie dell’art. 2288 cod. civ. dettato in tema di società71, la rete cesserebbe “di stare nel contratto d’appalto” per conto dell’impresa assegnataria a
69 Sul punto si v. X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, cit., 431, il quale ha affrontato la questione relativamente alla sorte di un contratto d’appalto stipulato da un ufficio consortile nell’interesse di uno dei consorziati successivamente dichiarato fallito.
70 X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, cit., 431.
71 Infatti, a prescindere da una possibile assimilabilità della realtà reticolare a quella societaria, l’art. 2288 cod. civ. è stato interpretato dalla giurisprudenza come norma applicabile persino a tutte le società di persone. Sul punto, da ultimo, si x. Xxxx. Civ., Sez. III, 24.03.2011, n. 6734, in Le società, 2011, 9, 30, 1005 ss., con nota di A.M. XXXXXXX, Effetti del fallimento e della successiva revoca sull’esclusione del socio di società di persone.
Peraltro, secondo Xxxx. Civ., Sez. I, 01.07.2008, n. 17953, in Giur. comm., 2009, 4, 944 ss., con nota di F. D’AMBROSIO, Scioglimento delle società, cessazione della qualità di socio e sottrazione al fallimento per decorso del termine annuale, l’art. 2288 cod. civ. è applicabile anche alle stesse società di fatto, in virtù del disposto di cui all’art. 2297 cod. civ.
causa dell’esclusione di diritto di quest’ultima conseguente alla dichiarazione di fallimento72.
Peraltro, salva l’ipotesi in cui il contratto è stato stipulato dal terzo con la rete proprio in virtù della specifica competenza della singola impresa assegnataria (poi fallita), l’elemento dell’intuitus personae deve essere individuato con riferimento a tutta la rete di imprese, la quale, pertanto, non sarà nemmeno soggetta alla previsione di cui all’art. 81, co. 2, l. fall., avendo ancora la possibilità di adempiere correttamente l’obbligazione assunta nei confronti del terzo, mediante l’assegnazione dell’incarico a un’altra impresa aderente73.
4. Gli aspetti patrimoniali: il fondo patrimoniale comune.
La disposizione originaria dell’art. 3, co. 4-ter, l. n. 33/09 obbligava le imprese aderenti alla rete a perseguire lo scopo comune attraverso “un fondo patrimoniale comune … ovvero mediante ricorso alla costituzione da parte di ciascun contraente di un patrimonio destinato all’affare, ai sensi dell’art. 2447 bis, primo comma, lett. a), del cod. civ.”
72 X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, cit., 432, il quale, tuttavia, perveniva a conclusioni non del tutto similari avendo affrontato la questione prima della novella dell’art. 78 l. fall., intervenuta ad opera del d.lgs. 9.01.2006 n. 5, con cui si è previsto lo scioglimento ope legis del contratto di mandato solamente nelle ipotesi di fallimento del mandatario.
In ogni caso, al di là di una possibile applicazione estensiva dell’art. 2288 cod. civ. a un modello di cooperazione di tipo reticolare, la stessa prassi contrattuale è indirizzata nel senso di prevedere convenzionalmente l’esclusione di diritto dell’aderente fallito. Infatti, in alcuni dei contratti di rete sin’ora stipulati si legge testualmente: “è inoltre esclusa di diritto l’impresa aderente che sia dichiarata fallita o che sia ammessa alla procedura di concordato preventivo, di liquidazione coatta
o di amministrazione controllata”.
73 Su posizioni sostanzialmente analoghe, sia pure con riferimento all’applicabilità dell’art. 78 l. fall. (ante novella) alla disciplina delle A.T.I., G. DI ROSA, L’associazione temporanea di imprese. Joint venture, cit., 225 ss., secondo il quale il legislatore ha ritenuto opportuno disporre l’automatica prosecuzione del rapporto nell’ipotesi di fallimento di uno dei mandanti proprio in virtù della facoltà concessa all’impresa capogruppo di eseguire personalmente l’incarico o assegnarlo ad altra impresa mandante.
Non prevedendosi alcuna deroga al principio generale di responsabilità di cui all’art. 2740 cod. civ.74, il fondo patrimoniale costituito dalla rete di imprese configurava una mera comunione di diritti tra i partecipanti, con conseguente esposizione delle quote degli aderenti alle azioni in executivis dei creditori particolari75.
Tuttavia, il successivo emendamento approvato con l. 23 luglio 2009, n. 99 prevede l’applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni dettate in tema di fondo consortile e di responsabilità patrimoniale dei consorzi con attività esterna, introducendo quegli elementi di separazione propri dei patrimoni autonomi degli enti collettivi76.
L’applicabilità dell’art. 2614 cod. civ. al fondo della rete consente di definire quest’ultimo quale fondo rotativo, cioè composto non solo dai contributi iniziali dei partecipanti ma anche dai beni con questi acquistati; impedisce ai partecipanti la divisione del fondo per tutta la durata della rete e, soprattutto, esclude il rischio di azioni esecutive sui beni del fondo da parte dei creditori particolari dei partecipanti (c.d. defensive partitioning)77.
74 Il principio della garanzia patrimoniale generica è stato introdotto nel nostro ordinamento soltanto con la codificazione del 1865, esprimendo sul piano normativo i principi di stampo illuministico dell’indivisibilità e unitarietà del patrimonio. Sul punto si v., più ampiamente, X. XXXXXX, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Cedam, Padova, 1996, 178, nt. 4.; in precedenza, X. XXXXX, voce Responsabilità patrimoniale, in Enc dir., XXXIX, Xxxxxxx, Milano, 1988, 1041 ss.; ID., La responsabilità patrimoniale del debitore, in Tratt. dir. priv. (diretto da X. Xxxxxxxx), XIX, Utet, Torino, II ed., 1997, 486 ss.
Garanzia generica, destinata a operare non solo al momento dell’inadempimento, ma anche nel corso del rapporto e, in alcuni casi, addirittura in vista del rapporto. Sul punto, si v. P. IAMICELI, Unità e separazione dei patrimoni, Cedam, Padova, 2003, 109 ss.
Per la giurisprudenza, ex multis, si x. Xxxx. Civ., Sez. II, 22.03.2011, n. 6486, in Diritto & Giustizia, 2011, consultabile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx; Cass. Civ., Sez. III, 13.03.1987, n. 2623, in Giust. civ., 1987, 2594 ss.
75 Su tale profilo di ordine generale si v. F.D. BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa, Xxxxxxx, Milano, 1974, 460 ss.
76 X. XXXXXXXX - X. XXXXXXXX, The essential role of organization law, in Yale law journal, 2001, 110, 390 ss. Per una completa disamina delle ipotesi di separazione patrimoniale nel nostro ordinamento si v. P. IAMICELI, Unità e separazione dei patrimoni, cit., passim.; M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, cit., passim.
77 P. IAMICELI, Contratto di rete, fondo comune e responsabilità patrimoniale, in Il contratto di rete. Commentario, cit., 70. Per un’opportuna distinzione tra affirmative e defensive asset
Non può essere trascurato, tuttavia, che l’applicazione delle norme dettate in tema di consorzio al contratto di rete è ammessa solo in quanto compatibili.
Tale non meglio definito giudizio di compatibilità è stato dai primi commentatori diversamente inteso. Un primo orientamento invita a prestare attenzione allo scopo della rete e alla sua struttura organizzativa, con la conseguenza che le disposizioni dettate in ambito consortile sarebbero compatibili soltanto con quelle reti di imprese dotate di soggettività giuridica, di autonomia funzionale e operativa, nonché di un’organizzazione di tipo corporativo78.
Invece, secondo un’altra (discutibile) prospettiva, le disposizioni di cui agli artt. 2614 e 2615 cod. civ. sarebbero incompatibili soltanto con le reti “assimilate”, cioè ammesse ai medesimi benefici previsti in tema di distretto, in virtù di una (non dimostrata) incompatibilità tra il disposto dell’art. 2615, co. 2, cod. civ. e la disciplina del mandato, richiamata dall’art. 1, co. 366, l. n. 266/05 e applicabile ai negozi conclusi dal distretto per conto delle xxxxxxx00.
partitioning, si v. ID., Unità e separazione dei patrimoni, cit., 148 ss., secondo la quale, nel primo caso saremo in presenza di uno strumento diretto a riservare un certo patrimonio al soddisfacimento dei diritti di certi creditori e non di altri, nella seconda ipotesi, invece, la separazione patrimoniale sarebbe rivolta a escludere altri beni dal medesimo soddisfacimento.
Di tale avviso anche X. XXXXXXXX, Le reti di imprese: natura giuridica e modelli di governance, cit., 1434, il quale rileva che il legislatore ha inteso fare riferimento a un patrimonio acefalo, dotato di una propria autonomia patrimoniale tendenzialmente perfetta: «una cassa comune» alimentata da conferimenti (iniziali) e contributi (successivi ed eventuali).
78 P. IAMICELI, Contratto di rete, fondo comune e responsabilità patrimoniale, cit., 73, la quale rinviene la predetta compatibilità in un’ipotesi di rete di imprese costituita per l’instaurazione sistematica di relazioni economiche con operatori esterni alla rete, volte allo sviluppo di nuove tecnologie per la certificazione di materiali e la gestione in comune dei relativi diritti di proprietà industriale, il tutto tramite l’individuazione di una nuova organizzazione imprenditoriale finalizzata all’attuazione del programma di rete; X. XXXXXXX - X. XXXXXXX, La responsabilità della rete verso i terzi, in ibidem, 113.
79 M. ONZA, Il contratto di rete: alcuni profili di qualificazione e disciplina, cit., 8. Tale interpretazione, in realtà, appare oggi del tutto anacronistica (e comunque superata) in quanto, alla luce della novella della l. n. 122/10, l’attività dell’organo comune, per espressa previsione
Più semplicemente, non avendo il legislatore dettato norme con cui poter valutare la riferita compatibilità, né demandato tale controllo a un organo o autorità a ciò preposti, saranno le stesse parti contraenti, dopo essersi dotate di un patrimonio, a convenire ex post una regolamentazione secondo la disciplina del modello consortile con attività esterna, al fine di garantire maggiormente i terzi e le stazioni appaltanti, nonché gli istituti di credito per l’ottenimento di finanziamenti di progetto80.
È indubbio, infatti, che la previsione di un comune fondo patrimoniale regolato secondo le norme di cui agli artt. 2614 ss. cod. civ. migliori il rating della rete, aumentando esponenzialmente le capacità di quest’ultima di accesso al mercato del credito81.
Infatti, scelta la via della cooperazione soft, caratterizzata da una struttura amministrativa estremamente semplificata (come risulta essere, appunto, quella reticolare), non prevedere per l’esecuzione del programma di rete la costituzione di un apposito e separato patrimonio, significherebbe ridurre le garanzie offerte ai terzi a quelle prestate personalmente dagli aderenti e legate alla solidità finanziaria di questi ultimi82.
legislativa, è regolata proprio dalle norme dettate in tema di mandato. Pertanto, le perplessità sollevate appaiono quantomeno superate, non potendo immaginare una contraddizione in termini voluta dallo stesso legislatore, il quale, da un lato, consente di applicare le previsioni di cui agli artt. 2614 e 2615 cod. civ. alle reti di imprese e, dall’altro, rinvia espressamente alle (presunte incompatibili) norme sul mandato per disciplinare l’attività dell’organo comune.
80 Non molto distante da tale prospettiva, X. XXXXXX, Contratti di rete e consorzi, in AA.VV., I contratti di rete, cit., 11, secondo il quale, la presenza di un proprio patrimonio, costituito da somme poste al riparo dalle aggressioni dei creditori particolari degli aderenti è certamente elemento di grande importanza per le reti di imprese.
81 Sul rating di rete, più ampiamente, si v. G. DE LAURENTIS, I rating delle reti d’impresa, in AA. VV., Reti d’impresa: profili giuridici, finanziamento e rating. Il contratto di rete e le sue caratteristiche, Il Sole 24 ore, Milano, 2011, 175 ss.; X. XXXXXX, Il contratto di rete: una lettura in chiave economico-aziendale, in Riv. dei dottori commercialisti, 2011, 3, 657.
82 Le singole imprese aderenti, infatti, sarebbero costrette a garantire l’obbligazione di restituzione delle somme mutuate con fideiussioni personali o mediante la costituzione di garanzie reali su beni di propria spettanza. Sul punto, si v. X. XXXXXXX - X. XXXXXXX - P. IAMICELI, Modelli di finanziamento per le reti di imprese: problemi e prospettive, in X. XXXXXXX - X. XXXXX, Finanziamento delle PMI: crescere innovando, Xxxxx, Padova, 2008, 21; P. IAMICELI, Il contratto
Gli imprenditori che aderiscono a una rete di imprese, perché spinti dall’intento di accedere con maggiore facilità al credito o di reperire maggiori risorse in tempi e a costi più ragionevoli, non possono trascurare l’importante correlazione esistente tra la struttura organizzativa prescelta e la natura della relativa dotazione patrimoniale83. Infatti, l’assenza di un autonomo e separato patrimonio, vincolato al raggiungimento di uno scopo o affare prefissato, è elemento certo di debolezza per le prospettive di finanziamento della rete e di declassamento del rating di rete.
Tuttavia, l’imposizione ope legis di una necessaria dotazione patrimoniale appariva del tutto anacronistica in quanto, già in passato, si era sostenuto che non tutti i contratti con comunione di scopo devono necessariamente istituire un’autonoma dotazione patrimoniale atta ad apprestare i mezzi per l’esecuzione del contratto e il raggiungimento dello scopo comune84.
Non a caso, con l’emendamento contenuto nell’art. 42 della l. n. 122/10 si è resa soltanto facoltativa l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, lasciando libere le parti contraenti di scegliere il modello di responsabilità e di rischio più adatto al contenuto del programma e all’attività della rete85.
di rete tra percorsi di crescita e prospettive di finanziamento, in Reti di impresa e contratto di rete: spunti per un dibattito, cit., 946 ss.
83 E.M. IACOBUCCI - G.G. TRIANTIS, Economic and legal boundaries of firms, in Xxxxxxxx xxx review, 2007, 93.3, 519 ss.
84 X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, cit., 206 ss.
85 Tuttavia, è opportuno rilevare, che se l’istituzione del fondo comune è stata resa assolutamente facoltativa da un punto di vista civilistico, essa appare praticamente obbligatoria da un punto di vista fiscale in quanto, la rete di imprese, per poter i suoi aderenti beneficiare delle importanti agevolazioni introdotte dall’art. 42, co. 2-quater, l. n. 122/10 (v. supra cap. I, § 5), dovrà necessariamente essere dotata di un autonomo patrimonio.
La finalità essenzialmente promozionale e di coordinamento della rete lascia aperto il dibattito circa la libera appropriabilità, da parte di ciascun aderente, delle utilità derivanti dalla cooperazione reticolare.
Non può certo essere negata l’immediata fruibilità, sin dal momento della adesione alla rete, delle utilità di natura essenzialmente collettiva: c.d. economie di scala e di scopo86.
Discorso in parte diverso va fatto con riferimento a quelle utilità (risparmi di spesa, maggiori introiti, premi di produttività) ottenute dalle imprese sfruttando individualmente il brand della rete o derivanti dalle attività condotte da quest’ultima nell’esclusivo interesse degli aderenti. Seguendo una prassi ormai nota in ambito consortile e già applicata anche ad associazioni temporanee di imprese e contractual joint ventures87, le utilità andrebbero, secondo parte della dottrina, inizialmente imputate al fondo comune e soltanto in un secondo momento ripartite tra gli aderenti in ragione dei criteri predeterminati in contratto88.
Una non consentita diretta appropriabilità degli utili conseguiti da ciascun aderente in virtù della sua partecipazione a una rete di imprese, però, potrebbe non risultare in linea con le esigenze specifiche di quelle reti che, immaginando una forma di cooperazione più intensa, comportante
86 X. XXXXXX, L’interesse consortile, Xxxxxxx, Milano, 2008, 57 ss., il quale, sia pure con riferimento a una cooperazione di tipo consortile, prospetta il possibile conseguimento di economie di scala (aumento dei volumi delle risorse e dei beni prodotti con conseguente riduzione dei costi medi totali del loro acquisto e della loro produzione) ed economie di scopo (minor costo della produzione totale derivante dalla produzione congiunta di beni prima prodotti separatamente) per gli aderenti, derivanti da un maggiore potere contrattuale verso l’esterno e dalla condivisione di informazioni, know how, risorse, competenze e conoscenze.
87 Per un approfondimento sul fenomeno economico e giuridico delle joint ventures e per l’individuazione dei tratti caratterizzanti lo schema dell’associazione temporanea di imprese, si v.
X. XX XXXX, L’associazione temporanea di imprese. Il contratto di joint venture, cit., 7 ss.; ID., I contratti di finanziamento e di collaborazione imprenditoriale. Leasing e joint venture, Giappichelli, Torino, 2010, 142 ss.
88 X. XXXXXXX, Il contratto di rete: impatto sul sistema e del diritto europeo dei contratti, in I contratti, 2009, 10, 104 ss.
persino la concessione di una esclusiva da parte delle imprese aderenti e un consistente impegno di queste ultime nel perseguire gli obiettivi strategici prefissati nel programma di rete, finirebbe con il sacrificare oltremodo le aspettative e le attività condotte in proprio dagli aderenti89.
Anche con riferimento alla suddivisione degli utili propriamente intesi (derivanti dalla attività principale della rete, dallo sfruttamento comune del brand di rete, dalla registrazione e conseguente commercializzazione di un brevetto) non appaiono esservi ostacoli. Costringere gli aderenti a dover costituire una società lucrativa soltanto per poter conseguire gli utili derivanti dall’attività svolta in comune risulterebbe pratica assolutamente contraria alle finalità della normativa90.
Discorso diverso, invece, è quello relativo al momento a partire dal quale poter chiedere la divisione del fondo e procedere, altresì, all’ipotizzata suddivisione di proventi.
Nell’ipotesi in cui le parti intendano regolare il fondo comune secondo le disposizioni dettate in tema di consorzio, in virtù dell’applicazione dell’art. 2614 cod. civ., agli aderenti non sarà consentito richiedere la divisione del fondo per tutta la durata del contratto di rete.
La normativa, tuttavia, tace circa la sorte del fondo reticolare nelle ipotesi di incompatibilità delle disposizioni di derivazione consortile.
89 Si pensi, infatti, a quelle reti di imprese in cui, espressamente, gli imprenditori aderenti si obblighino a: “non servirsi di segni distintivi diversi da quelli della rete; usare il marchio della rete inserendolo nei propri prodotti; inserire in ogni forma di pubblicità utilizzata per la commercializzazione dei servizi e prodotti offerti il marchio della rete; eseguire le prestazioni di propria competenza in totale autonomia fiscale, gestionale ed operativa, con personale responsabilità in ordine alla perfetta esecuzione dei compiti a ciascuno affidati”. Per un’analisi delle più significative previsioni contrattuali in tema di diritti e obblighi gravanti in capo agli aderenti a una rete di imprese, si v. AA.VV., Linee guida per i contratti di rete, Marzo, 2012, consultabili su xxx.xxxxxxxxxx.xx.
90 P. IAMICELI, Contratto di rete, fondo comune e responsabilità patrimoniale, cit., 77-78.
Da quanto emerge dalle prime applicazioni pratiche del contratto di rete, in realtà, le parti, pur in assenza di disposizioni cogenti sul punto, sembrano comunque intenzionate ad orientarsi nel senso dell’indivisibilità del fondo per tutta la durata della rete, “anche in caso di recesso o esclusione di uno degli aderenti”.
Inoltre, le parti potrebbero evitare la non allettante prospettiva di una rete “senza portafoglio” prevedendo un obbligo di acquisto della quota del soggetto recedente in capo agli aderenti superstiti.
In assenza di previsioni in tal senso, tuttavia, la già precaria garanzia offerta ai terzi nelle ipotesi di mancata attribuzione al fondo comune della “realità” propria del fondo consortile, diverrebbe pressoché minima in ragione delle imprevedibili e discrezionali iniziative degli aderenti, dirette allo scioglimento della comunione e, quindi, alla conseguente divisione (o riduzione) del fondo patrimoniale.
Nel silenzio della normativa, e in assenza di puntuali statuizioni delle parti, le perplessità che si accompagnano all’eventuale riconoscimento all’imprenditore recedente del diritto alla restituzione della propria quota di partecipazione sono legate non tanto a esigenze di tutela dei terzi contraenti o dei creditori quanto, piuttosto, alla stessa sopravvivenza della rete di imprese.
Infatti, potendo assolvere le imprese aderenti all’obbligo di conferimento anche mediante l’apporto di strutture logistiche, know-how, brand e brevetti già sviluppati, è evidente come nelle ipotesi in cui una rete concentri le proprie attività proprio nell’implementazione di quel determinato brand o nello sfruttamento di un brevetto conferito nel fondo,
restituire il conferimento iniziale all’imprenditore recedente o escluso determinerebbe la paralisi delle attività reticolari o quantomeno una forte compromissione delle stesse, costantemente condizionate da possibili e improvvisi ripensamenti degli aderenti91.
Pertanto, in applicazione del generale principio di conservazione dei contratti e in assenza di diversa statuizione delle parti sul punto, non appaiono esservi ostacoli alla possibile estensione al caso di specie (almeno nelle ipotesi di compatibilità delle disposizioni consortili) della disposizione di cui all’art. 2609 cod. civ., con conseguente accrescimento proporzionale delle quote degli aderenti superstiti del valore della quota di partecipazione dell’imprenditore receduto o escluso92.
91 Infatti, anche quella parte della dottrina (X. XXXXXX, Consorzi e società consortili, in Tratt. dir. comm. (diretto da X. Xxxxxxx), vol. III, X. XXXXXXX - X. XXXXXX - X. XXXXXXXX, Società di persone e consorzi, Cedam, Padova, 2004, 519 ss.) che, con riferimento al recesso del consorziato, non rinviene nell’art. 2609 cod. civ. un limite alla restituzione della c.d. «quota patrimoniale», non può non rilevare che «certo il consorziato non potrà pretendere di vedersi assegnati i beni facenti parte dell’organizzazione, ma vanta sicuramente un credito per la parte di valore che ha contribuito a creare con i propri contributi o versamenti».
92 In senso conforme si v. G.D. XXXXX, I consorzi tra imprenditori, Xxxxxxx, Milano, 1988, 212 ss., il quale rinvenendo la medesima ratio contenuta negli artt. 24 e 37 cod. civ. in tema di associazioni, afferma che la disposizione in commento appare dettata a tutela, piuttosto che dei terzi creditori, della stessa collettività associata, la quale rischierebbe di indebolirsi fortemente anche per la fuoriuscita di un singolo socio. L’A., in aggiunta a tali ragioni di ordine sistematico, rileva che con specifico riferimento all’ambito consortile, la mancata restituzione della quota partecipativa al socio recedente «appare come una sanzione posta dalla stessa legge a carico di chi ha provocato lo scioglimento del rapporto». Per la giurisprudenza, si x. Xxxx. Civ., Sez. I, 09.07.1993, n. 7567, in Giust. civ., 1993, 1144 ss., secondo la quale, “il contratto di consorzio, anche se non può essere inquadrato tra quelli a prestazioni corrispettive, bensì tra quelli "a comunione di scopo" tra tutti i contraenti, non cessa, per questo, dall'essere vincolante in omaggio al principio generale che ogni contratto ha valore di legge tra le parti, con la conseguenza che il singolo consorziato non può recedere ad nutum in violazione degli impegni assunti”.
Contra, X. XXXXXX, Consorzi e società consortili, cit., 519 ss., secondo la quale interpretare l’art. 2609 cod. civ. nel senso di un divieto assoluto di liquidazione della quota di spettanza del socio recedente possa «scoraggiare l’utilizzazione dell’istituto consortile». L’A., infatti, ritenendo non operante tale divieto con riferimento alla c.d. «quota patrimoniale», giunge a ritenere «priva di fondamento» la tesi della dottrina sopra citata (G.D. XXXXX, I consorzi tra imprenditori, cit., 213), secondo la quale l’esclusione del diritto alla liquidazione della quota nei consorzi si giustificherebbe per il particolare rilievo che assume «l’interesse del gruppo a salvaguardare la propria compattezza anche a discapito dello stesso interesse del singolo membro a sottrarsi al vincolo associativo». Per la giurisprudenza, si v. App. Genova, 23.04.2008, in Giur. comm., 2010, 2, 279 ss., con nota di F. XXXX’INNOCENTI, L’accrescimento della quota del consorziato recedente, secondo la quale «nel consorzio la quota è non già (o, quanto meno, non solo) una frazione proporzionale del "capitale" (come avviene nella società), bensì la misura degli obblighi e
Invece, nelle ipotesi di incompatibilità delle disposizioni di derivazione consortile, e di silenzio delle parti sul punto, potrebbe prevedersi l’applicazione delle disposizioni derivanti dal combinato disposto degli artt. 24, co. 4 e 37 cod. civ. dettate, più in generale, in tema di enti collettivi, trattandosi, peraltro, proprio di quelle disposizioni da cui le norme consortili traggono integrale ispirazione93.
Di estremo interesse, e sostanzialmente in linea con quanto appena riferito, appare la soluzione adottata da diverse reti di imprese (dotate di fondo patrimoniale regolato alla stregua di quanto indicato all’art. 2614 cod. civ.) in quanto, opportunamente distinguendo tra esclusione e recesso dell’aderente, espressamente prevedono che: “la quota spettante all’escluso resterà a vantaggio delle altre aderenti, mentre in caso di recesso il recedente avrà diritto alla stessa – calcolata al tempo del recesso – solo successivamente alla scadenza del contratto di rete”.
In definitiva, alla stregua di quanto già accade nell’ambito di A.T.I. e joint ventures, la scelta delle imprese aderenti di costituire un fondo patrimoniale comune consente alla rete di imprese, anche in assenza di una struttura corporativa e di una nuova soggettività giuridica, di poter operare
dei diritti dei partecipanti e degli apporti che questi si sono impegnati ad effettuare. Il consorziato che recede ha diritto alla sua quota del fondo consortile, mentre suscettibile di accrescimento a favore degli altri è solo la sua quota di mercato».
93 Non potendo in questa sede approfondire l’analisi circa la natura del fondo comune di cui all’art. 37 cod. civ. si v. sul punto, più ampiamente, X. XXXXXXXXXX, Persone giuridiche: associazioni non riconosciute, comitati, in Giur. sist. civ. comm. (diretta da W. Biagivi), Utet, Torino, 1997, 492 ss., secondo il quale il fondo comune sarebbe da considerarsi in comproprietà degli associati, seppur distinto dai loro beni personali e vincolato allo scopo comune; X. XXXXXXXXX, La proprietà nel nuovo diritto, Xxxxxxx, Milano, 1964, 177 ss., 216 ss., secondo il quale si tratterebbe, invece, di patrimonio autonomo «in proprietà collettiva» e, ancora, per un’altra prospettiva, si v. X. XXXXXXX, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Comm. cod. civ. Xxxxxxxx-Xxxxxx (a cura di X. Xxxxxxx), II ed., Zanichelli, Bologna, 1976, 200 ss.; C.M. BIANCA, Diritto civile. 1. La norma giuridica - I soggetti, II ed., Xxxxxxx, Milano, 2002, 386 ss.; X. XXXXX, Le associazioni non riconosciute, Jovene, Napoli, 1990, 215 ss. secondo i quali si tratterebbe di patrimonio proprio dell’ente «in quanto soggetto».
nel mercato offrendo ai terzi una garanzia forte, costituita da un patrimonio autonomo destinato alla realizzazione del programma di rete e caratterizzato da un vincolo dotato di “realità” opponibile ai creditori particolari dei singoli aderenti94.
5. (segue) La costituzione di patrimoni destinati.
L’altra possibile forma di finanziamento del programma di rete, prevista dall’art. 3, co. 4-ter, l. n. 33/09, è caratterizzata dalla destinazione di patrimoni separati ai sensi dell’art. 2447 bis, co. 1, lett. a) cod. civ.95
Con l’introduzione delle disposizioni di cui agli artt. 2447 bis ss. cod. civ. si è concesso alle società per azioni di dividere il proprio patrimonio in comparti, isolando i rapporti giuridici inerenti a ciascun comparto sotto il profilo della responsabilità, nella crescente consapevolezza dei vantaggi in termini di propensione all’investimento derivanti dalla specializzazione dei rischi.
La relazione di accompagnamento al d.lgs. 17.01.2003 n. 6 sulla riforma del diritto societario, infatti, nel tentativo di individuare la ratio dell’istituto dei patrimoni destinati, proprio con specifico riferimento all’ipotesi di cui all’art. 2447 bis, co. 1, lett. a), riferiva che «siamo essenzialmente in presenza dell’individuazione, all’interno del patrimonio di una società, di una parte di questo, la sua separazione giuridica
94 Di diverso avviso X. XXXXXX, Le associazioni temporanee di imprese, Xxxxxxx, Milano, 1983, 51-52, il quale, facendo riferimento alla disciplina dettata in tema di A.T.I. e joint ventures, ammette la costituzione di un “limitato fondo comune” (caratterizzato da una importanza assolutamente marginale) solamente per il soddisfacimento delle più elementari esigenze di coordinamento. Infatti, secondo tale orientamento, la realizzazione dell’opera dovrà avvenire in massima parte tramite l’impiego di beni propri di ciascuna impresa aderente.
95 L’art. 2447 bis cod. civ. attua l’art. 4, co. 4, legge delega 3.10.2001 n. 366 sulla riforma organica del diritto delle società di capitali ed è posta in apertura della novellata sezione XI del titolo V, libro V del codice civile, rubricata “Dei patrimoni destinati ad uno specifico affare”.
dall’interno, e la sua destinazione ad uno specifico affare, una particolare operazione economica. Nella sostanza l’ipotesi è operativamente equivalente alla costituzione di una nuova società, col vantaggio della eliminazione dei costi di costituzione, mantenimento ed estinzione della stessa».
Pertanto, è possibile godere del beneficio della responsabilità limitata per lo svolgimento di uno specifico affare senza dover ricorrere alla costituzione di un’apposita società96.
La società separatrice sarebbe in grado, dunque, di costruire la propria responsabilità, oltreché intorno a un soggetto e al suo patrimonio, anche intorno alla sua attività economica97.
Rispetto alle altre ipotesi di patrimoni separati già presenti nel nostro ordinamento, tutte caratterizzate dalla settorialità del loro ambito di applicazione, l’istituto di cui all’art. 2447 bis cod. civ. si connota per la sua valenza generale, indipendente da un’operazione economica tipizzata, e soprattutto per la possibilità concessa alle società per azioni di separare in modo permanente una parte del proprio patrimonio, destinandolo alla realizzazione di uno specifico affare98.
96 Circostanza, quest’ultima, deducibile dalla stessa relazione illustrativa della legge delega 3.10.2001 n. 366. Sul punto si v. X. XXXXXXX, Autonomia e separazione del patrimonio nella prospettiva dei patrimoni separati delle società per azioni, in Riv. dir. comm., 2002, I, 545-549, il quale rileva che, nelle ipotesi in cui l’intento risulti essere esclusivamente quello di ottenere la separazione dei patrimoni, evitare il ricorso allo schermo della personalità giuridica comporta per la società separatrice un consistente risparmio economico e temporale rispetto alla costituzione di una società controllata per lo svolgimento di specifici affari.
97 X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, L’impresa nel sistema di diritto civile, in Riv. dir. comm., 1942, I, 403. Più recentemente, e con specifico riferimento alla disciplina dei patrimoni destinati a uno specifico affare, si v. X. XXXXXXX, Patrimoni destinati e tutela dei creditori nelle società per azioni, Xxxxxxx, Milano, 2008, 36, nt. 87.
98 C. COMPORTI, Dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in La riforma delle società. Commentario del d.lgs. 17.01.2003 n. 6 (a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxx), Xxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 952 ss.
Il patrimonio separato è composto da un complesso di beni che formano un nucleo a sé stante nel patrimonio del debitore e, in forza di uno specifico vincolo di destinazione, risulta sottratto alla funzione di garanzia svolta dal restante patrimonio generale, essendo riservato al soddisfacimento di dati creditori99.
L’assetto delineato configura un vulnus alla concezione dogmatica tradizionale dell’indivisibilità patrimoniale, per effetto della parcellizzazione del patrimonio delle società separatrici in singoli comparti e la conseguente sottrazione di determinati beni all’azione esecutiva dei creditori generali, in virtù di un vincolo di destinazione convenzionalmente impresso100.
I patrimoni di destinazione, secondo una definizione di fine ottocento, sarebbero dei patrimoni «adespoti», privi di un titolare101. Il che, certamente, non comporta la negazione del ruolo svolto dal soggetto, ma l’ammissibilità di una sua possibile assenza temporanea, con la conseguenza che «caratteristica essenziale del patrimonio senza soggetto è il suo fungere da centro autonomo di imputazione di effetti giuridici»102.
99 X. XXXXXXXXX XXXX, Patrimonio autonomo e separato, in Enc. dir., XXXII, Xxxxxxx, Milano, 1982, 280 ss. In precedenza già X. XXXXXXXX, Manuale di diritto civile e commerciale, III, IX ed., Xxxxxxx, Milano, 1959, 66.
100 X. XXXXXXX, Patrimoni destinati e tutela dei creditori nelle società per azioni, cit., 39 ss.; P. IAMICELI, Unità e separazione dei patrimoni, cit., 258 ss.
101 In M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, cit., 128 si v. il pensiero di X. XXXXXXXXXX, Die rihende erbschaft, in Xxxxxxxx xxx xxxxxxxxxxxxxxx, Xxxxxxxxxx, 0000, § 000, 000, il quale fu il primo a teorizzare uno sganciamento dei diritti rispetto al titolare.
Tuttavia, con riferimento al nostro ordinamento, va rilevato, che se nell’epoca di fine ottocento e inizi del novecento risultavano ammissibili patti volti a limitare la responsabilità patrimoniale in relazione a singoli e determinati beni, con conseguente possibilità di teorizzare un patrimonio senza soggetto, ciò era dovuto al fatto che non vi era ancora un espresso divieto per i privati di porre in essere limitazioni di responsabilità, introdotto solamente con il codice civile del 1942.
102 X. XXXXXXXXXX, Destinazione di patrimoni e soggettività giuridica nel diritto canonico,
Xxxxxxx, Milano, 1964, 61.
Pur non potendo in questa sede approfondire e analizzare l’ampio dibattito sul punto, va comunque rilevato, che ancor prima della stesura del codice civile del 1942, per X. XXXXXX, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, XVII, Xxxxxxx, Milano, 1939, 98, era del tutto inaccettabile e privo
Tale teoria, infatti, lungi dal distaccarsi da una visione soggettivistica del sistema, con riferimento alla problematica dei patrimoni di destinazione, esalta la rilevanza dello scopo, che assume una funzione esclusiva, in grado persino di sostituire il soggetto mancante103.
Tuttavia, nonostante l’espresso rinvio dell’art. 3, co. 4-ter, l. n. 33/09 all’art. 2447 bis, co. 1, lett. a) cod. civ., è tutta da verificare, in concreto, l’applicabilità di tale modello di separazione patrimoniale al sistema di cooperazione reticolare.
Ipotizzando un finanziamento delle attività reticolari tramite la destinazione di patrimoni separati, avremmo una condizione assolutamente peculiare e problematica della rete di imprese, la quale non sarebbe proprietaria delle somme a sua disposizione.
Infatti, la rete di imprese (rectius organo comune), pur potendo utilizzare liberamente il patrimonio costituito per l’esecuzione del programma di rete, non è assolutamente titolare dello stesso, rimanendo la proprietà dei singoli patrimoni destinati in capo a ciascuna impresa aderente104.
Se da un lato la separazione patrimoniale determinata dall’applicabilità dell’art. 2447 bis cod. civ. e il vincolo di destinazione apposto appaiono
di logicità concepire un patrimonio giuridico senza un soggetto titolare, in considerazione del fatto che il patrimonio, complesso (non di cose) ma di diritti e di obblighi, richiede necessariamente un presupposto soggettivo di qualificazione.
103 X. XXXXX, Lehrbuch der Pandekten, Band I-III, Erlangen u. Leipzig, 1884-1889 (citato in M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, cit., 99) cui, tra l’altro, si attribuisce la paternità dell’elaborazione della categoria degli Zweckvermögen.
104 X. XXXXXXX, Patrimoni destinati e tutela dei creditori nelle società per azioni, cit., 48-49, secondo il quale la società che effettua il conferimento rimane l’unico titolare dei beni destinati e delle relative attività d’impresa e «neppure l’attribuzione di una distinta denominazione ad ogni singola cellula determinerebbe l’emersione di una seppur flebile soggettivizzazione».
Con specifico riferimento ai patrimoni destinati in tema di reti di imprese, si v. X. XXXXXXXXX, Il “Contratto di rete” fra (comunione di) impresa e società (consortile), in Riv. dir. civ., 2011, 3, 349.
sufficientemente tutelare i terzi che intrattengono rapporti con la rete, la garanzia offerta potrebbe non risultare così solida nelle ipotesi in cui l’art. 2447 quinquies cod. civ. (non richiamato dall’art. 3 della l. n. 33/09) dovesse essere applicato restrittivamente alla fattispecie contrattuale in esame.
Infatti, nel silenzio del legislatore, non è chiaro se qualsiasi patrimonio destinato possa essere aggredito dai creditori della rete nel caso in cui questi ultimi vantino crediti non esplicitamente riconducibili alla specifica attività svolta dal singolo imprenditore titolare del patrimonio destinato che si intende aggredire o alle finalità indicate (spesso genericamente) nella relativa delibera costitutiva.
È ipotizzabile, tuttavia, che nell’ipotesi in cui le delibere costitutive facciano riferimento sic et simpliciter alla realizzazione del programma di rete, il creditore della rete sarà libero di soddisfarsi su qualsiasi patrimonio destinato, anche se messo a disposizione da parte di un imprenditore che, neppure indirettamente, ha contribuito a determinare l’inadempimento lamentato105.
Ciò non risulterebbe possibile, invece, nell’ipotesi in cui il programma di rete espressamente individui settori separati di intervento e ciascuna delibera costitutiva di patrimoni destinati vi faccia specificamente riferimento.
I creditori della rete, avendo avuto contezza ex ante della dotazione patrimoniale destinata a quello specifico affare, potranno aggredire esclusivamente i patrimoni separati connessi a quella determinata attività.
105 X. XXXXXXX, “And if I by Beelzebub cast out devils,” …: an essay on the diabolics of network failure, in German law journal, 2009, 10, 4, 396 ss.
A tali difficoltà di coordinamento si aggiungono quelle derivanti dal fatto che l’art. 2447 ter cod. civ., per la valida costituzione di un patrimonio destinato, richiede la preventiva redazione di un piano economico- finanziario da cui evincere la congruità del patrimonio rispetto all’affare da realizzare, le modalità di impiego, il risultato che si intende perseguire e le eventuali garanzie offerte ai terzi.
Nel caso di specie il piano economico-finanziario potrebbe essere così dettagliato solamente nell’ipotesi in cui anche il programma di rete descriva analiticamente le attività e i suoi prevedibili sviluppi, le politiche finanziarie adottate e adottande, le garanzie offerte ai terzi, nonché le modalità di accantonamento degli eventuali utili106.
Infatti, solamente un programma di rete dettagliato e completo in ogni sua parte potrebbe consentire alle imprese, al momento dell’adesione alla rete (e del contestuale conferimento), una corretta individuazione dello “specifico affare” cui destinare e vincolare le proprie risorse economiche.
Pertanto, è facilmente intuibile quanto complessa (e inevitabilmente approssimativa) possa essere tale attività “vaticinatoria” della rete, chiamata a dover immaginare (rectius individuare), nell’unico programma comune, separati ambiti di operatività, nettamente scorporabili, ben definiti e opportunamente garantiti107.
106 A tal proposito, è possibile rilevare, che soltanto alcuni dei contratti di rete sin’ora stipulati contengono una dettagliata e specifica indicazione dei compiti e degli obiettivi che ciascuna impresa aderente è tenuta a realizzare e perseguire nell’interesse comune della rete, con la inevitabile conseguenza, che nelle ipotesi in cui, viceversa, il contratto di rete non individui analiticamente i compiti spettanti a ciascun aderente, bensì si limiti a indicare soltanto in generale gli obiettivi da perseguire e le relative attività e modalità operative, un finanziamento del contratto di rete tramite patrimoni destinati risulterebbe difficilmente prospettabile.
107 Non appare condivisibile la prospettiva di quella parte della dottrina (P. IAMICELI, Il contratto di rete tra percorsi di crescita e prospettive di finanziamento, cit. 951), la quale ritiene che il giudice possa «squarciare il velo della separazione intra-reticolare e riqualificare la fattispecie nei termini di una rete contrattuale con fondo comune» ogni qual volta l’individuazione di specifici e separati affari non risulti agevole.