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I contratti derivati Interest rate swap ed il contenzioso bancario
A cura di Fabrizio Di Paolo
Sommario
Premessa 1
1.Definizione di derivati, classificazione e finalità 1
0.Xx normativa 4
2.1 La violazione degli obblighi informativi a carico degli intermediari finanziari: un approfondimento 9
3.Evoluzione storica della normativa 12
3.1 Novità introdotte dal XxXXX XX e principio di trasparenza 13
4.Contratto di mutuo e connessione con derivati di tipo swap 14
4.1Derivati e nullità per mancanza di causa 16
5 All’applicazione della clausola di tipo “floor” al mutuo: presenza di derivato implicito 20
6.Usura nei derivati: cenni. 26
Premessa
Lo scopo del presente lavoro è quello di affrontare brevemente la tematica dei derivati nella tipologia interest rate swap facendo riferimento alle fattispecie più comuni di contenzioso bancario in materia. Dopo aver definito cosa è un contratto derivato ed aver prodotto un primo inquadramento dell’interest rate swap (irs) e delle finalità che esso può ricoprire, nei paragrafi successivi, senza alcuna pretesa di esaustività, si affronteranno le normativa di settore, la violazione degli obblighi di informazione a cui sono soggetti gli intermediari finanziari, la connessione tra gli irs ed i mutui, si esamineranno le tematiche riconducibili alla nullità del contratto per difetto di causa, e l’applicazione della clausola floor al mutuo (presenza di derivato implicito).
Come anticipato si affronterà esclusivamente solo parte della casistica più comune del contenzioso in materia. Non verrà, invece, analizzata la particolare fattispecie del derivato sottoscritto da comuni ed altri enti territoriali che sarà oggetto di un successivo lavoro.
1.Definizione di derivati, classificazione e finalità
La definizione di derivato viene presa direttamente dal glossario di Borsa Italiana il quale li definisce come “Strumenti finanziari il cui valore dipende (d"eriva") dal valore di un'altra attività finanziaria o reale (attività sottostante)” “Gli strumenti finanziari derivati sono contratti il cui valore dipende dall'andamento di un'attività sottostante nota anche come u"nderlying asset". Le attività sottostanti
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possono avere natura finanziaria (come ad esempio i titoli azionari, i tassi di interesse e di cambio, gli indici) o natura reale (come ad esempio il caffè, il cacao, l'oro, il petrolio, ecc) 1”.
Pertanto un prodotto finanziario è “derivato” quando il suo flusso di cassa, e quindi anche il suo valore di mercato, dipende da quello di un’altra entità finanziaria o economica chiamata il “sottostante”, che generalmente rappresenta un valore più semplice ed immediato da misurare2.
In tale circostanza non si procederà all’approfondimento sulle varie differenziazioni tra prodotti derivati simmetrici o asimmetrici ma ci limiterà solamente ad indicare la differenza tra “…i derivati negoziati sui mercati regolamentati ed i derivati over-the-counter (OTC). I primi sono rappresentati da contratti le cui caratteristiche sono standardizzate e definite dall’autorità del mercato su cui vengono negoziati; tali caratteristiche riguardano l’attività sottostante, la durata, il taglio minimo di negoziazione, le modalità di liquidazione, ecc. I derivati OTC sono, invece, negoziati bilateralmente (direttamente tra le due parti) fuori dai mercati regolamentati; in questo caso i contraenti possono liberamente stabilire tutte le caratteristiche dello strumento; generalmente questi sono swap e forward”3.
In via generale i titoli classificabili come derivati sono di tipologie diverse. A titolo di esempio, in una lista non esaustiva, abbiamo:
-Le Obbligazioni a tasso variabile, nel quale il sottostante è appunto il tasso al quale viene legato il flusso di cassa delle cedole dell’obbligazione;
- Forward, nel quale due parti si accordano l’una di vendere e l’altra di comprare una certa quantità di sottostante in un momento futuro, anch’esso ben determinato: un tipico sottostante è il tasso di cambio fra due valute;
- Future, che sono come i forward dal punto di vista contrattuale con la notevole differenza che i forward sono frutti di accordi privati, mentre i future sono commercializzati sul mercato, che svolge un ruolo di intermediario e garante fra le due parti del contratto;
- Opzioni, che sono contratti nei quali una delle due controparti acquista il diritto di acquistare o vendere una quota determinata del sottostante in un istante futuro: a differenza di forward, future e swap, che prevedono l’obbligo di attuare il flusso di cassa ai momenti predeterminati, le opzioni concedono la facoltà di esercitare questo obbligo, se reca un vantaggio al contraente che ha acquisito il diritto di esercitarlo, o meno, se recherebbe danno. Per esempio una azienda potrebbe contrarre l’opzione di comprare dollari a un prezzo pattuito oggi ma fra un anno: la controparte è tenuta, se l’azienda fra un anno vuole esercitare l’opzione, a vendere al prezzo convenuto un anno prima la quantità di dollari pattuita, ed ovviamente l’azienda lo farà soltanto se il prezzo fissato sarà più conveniente del prezzo del dollaro al momento di esercitare l’opzione.
1 Vedi sito istituzionale: xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx
2 Dunque un derivato viene contrattualizzato come uno strumento finanziario i cui flussi di cassa dipendono in modo esplicito, ed chiaramente indicato sul contratto stesso, dal valore di altri titoli, magari a loro volta derivati, più spesso non derivati nel senso che il loro valore non dipende dal valore di altri titoli a loro volta ma solo dal valore di mercato.
3 Cfr nota n.1
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- Swap, che sono contratti stipulati fra due parti che prevedono, secondo un piano determinato dal contratto, di scambiarsi flussi di cassa ciascuno su un sottostante: per esempio le due controparti potrebbero scambiarsi una quantità fissata espressa in due valute diverse;
Sempre in tema di Xxxx, si può affermare più approfonditamente che uno swap è un contratto derivato simmetrico con il quale due soggetti si impegnano a scambiare periodicamente delle somme di denaro calcolate applicando al medesimo capitale (detto nozionale) due diversi parametri riferiti a due diverse variabili di mercato. Il capitale nozionale, invece, è oggetto di scambio tra le parti soltanto in alcune tipologie di swap. Gli swap non sono negoziati sui mercati regolamentati, ma vengono di volta in volta stipulati mediante accordi bilaterali tra le parti interessate (mercato over the counter - OTC). Tali strumenti vengono utilizzati con diverse finalità: per trasformare la natura di un'attività o una passività (ad esempio una posizione da tasso fisso a tasso variabile o viceversa), per motivi di copertura oppure con finalità speculative.
In base al tipo di parametro o variabile di mercato si possono distinguere:
• swap su tassi di interesse (interest rate swap);
• swap su valute (currency swap;)
• swap su merci (commodity swap);
• swap sul rischio di credito.
Prodotti non derivati sono per esempio:
- Le obbligazioni “zero coupon” (cioè senza cedola o con cedola nulla) che rappresentano il prezzo odierno di una unità monetaria da incassare in una data futura;
- Le obbligazioni cedola fissa;
- I titoli azionari.
Come preannunciato le principali finalità associate alla negoziazione di strumenti finanziari derivati sono le seguenti:
1. copertura di posizioni (hedging): si intende proteggere il valore di una posizione da variazioni indesiderate nei prezzi di mercato. L'utilizzo dello strumento derivato consente di neutralizzare l'andamento avverso del mercato, bilanciando le perdite/guadagni sulla posizione da coprire con i guadagni / perdite sul mercato dei derivati;
2. speculazione: strategie finalizzate a realizzare un profitto basato sull'evoluzione attesa del prezzo dell'attività sottostante;
3. arbitraggio: quando si sfrutta un momentaneo disallineamento tra l'andamento del prezzo del derivato e quello del sottostante (destinati a coincidere all'atto della scadenza del contratto), vendendo lo strumento sopravvalutato e acquistando quello sottovalutato e ottenendo, così, un profitto privo di rischio.
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0.Xx normativa4
Dopo aver introdotto velatamente i derivati al fine di inquadrare lo scenario all’interno del quale i derivati si collocano, con particolare riferimento alla categoria interest rate swap (irs), che è la tipologia più comune di derivato, in tale paragrafo ci occuperemo della normativa di settore e della sua evoluzione.
La normativa prevede che sia per i contratti quadro che per i singoli contratti swap è obbligatoria la dichiarazione di professionalità, requisito soggettivo essenziale per la contrattazione / negoziazione dei derivati e ciò in deroga alle disposizioni contenute negli articoli 27, 28, 29, 30, comma 1, del Reg. 11522/1998 e 31 TUF. Quindi in mancanza della dichiarazione di professionalità, la violazione delle norme di condotta contenute ai citati articoli nonché la violazione dell'art. 21 e 31 Tuf, produce un inadempimento contrattuale da parte dell'intermediario e quindi la responsabilità sia contrattuale che extracontrattuale nei confronti della comparente per i danni generati.
Un inciso va fatto per l’autodichiarazione di professionalità che la giurisprudenza ha voluto attribuire a tale dichiarazione al solo scopo di evitare che l’istituto di credito facesse sottoscrivere documenti alle società comparenti omettendone poi la consegna al cliente per dimenticanza.
In Italia, la disciplina degli operatori di servizi d’investimento dal 1991 al 20075 prevedeva che tali servizi venissero svolti dagli “operatori qualificati” suddivisi tra i) soggetti che operavano professionalmente sul mercato finanziario6 e ii) soggetti che svolgevano la loro attività in mercati diversi da quelli finanziari7. Per tale seconda fattispecie la normativa vigente prevedeva che queste seconde figure “professionali” fossero dotate di particolare esperienza in tema di strumenti finanziari e che tale capacità dovesse essere certificata esclusivamente tramite una autodichiarazione rilasciata dal rappresentante legale di tali società. A tal riguardo che valore attribuire a siffatta autodichiarazione? La materia è da considerarsi dibattuta in giurisprudenza.
L’art. 31 del Regolamento di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente la disciplina degli intermediari, sotto la rubrica “Rapporti tra intermediari e speciali categorie di investitori”, dispone che: “1. A eccezione di quanto previsto da specifiche disposizioni di legge e salvo diverso accordo tra le parti, nei rapporti tra intermediari autorizzati e operatori qualificati non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 27, 28, 29, 30, comma 1, fatta eccezione per il servizio di gestione, e commi 2 e 3, 32, commi 3, 4 e 5, 37, fatta eccezione per il comma 1, lettera d), 38, 39, 40, 41, 42, 43, comma 5, lettera b), comma 6, primo periodo, e comma 7, lettere b) e c), 44, 45, 47, comma 1, 60, 61 e 62. 2. Per operatori qualificati si intendono gli intermediari autorizzati, le società di gestione del risparmio, le Sicav, i fondi pensione, le compagnie di assicurazione, i soggetti esteri che
4 Per tale paragrafo e relativi approfondimenti cfr. X. Xxxxxx, pubb. in xxx.xxxxxxx.xx, 2017; X. Xxxxxxx commento a “ Prima sentenza della Cassazione in tema di validità della dichiarazione sul possesso dello status di “operatore qualificato” pubb. in xxx.xxxxxxxx.xxxx.
5 Dal 1991 (con l'art. 13, reg. Consob 5387) al novembre 2007 (con l'art. 31, Reg. Consob n. 11522/98)
6 Quali (es. banche, SGR, SIM ecc e persone fisiche munite dei particolari requisiti di professionalità richiesti per svolgere funzioni di amministrazione e controllo funzioni di promotore finanziario presso detti enti);
7 Individuati come "ogni società o persona giuridica"
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svolgono in forza della normativa in vigore nel proprio Stato d'origine le attività svolte dai soggetti di cui sopra, le società e gli enti emittenti strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati, le società iscritte negli elenchi di cui agli articoli 106, 107 e 113 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, i promotori finanziari, le persone fisiche che documentino il possesso dei requisiti di professionalità stabiliti dal Testo Unico per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso società di intermediazione mobiliare, le fondazioni bancarie, nonché ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante”.
All’interno del Reg Intermediari Consob n. 11552 risaltano per la loro importanza alcuni articoli, quali il n. 28 “Informazioni tra gli intermediari e gli investitori” che contiene precisi obblighi informativi8 che l’intermediario deve fornire al cliente investitore, il n. 29 “Operazioni non adeguate”, che prescrive i comportamenti da adottare in caso di operazioni non adeguate e vincoli da seguire con l’invito a informare il cliente circa l'inadeguatezza dell'operazione disposta e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione; ed infine l’art 30 “Contratti con gli investitori” dove si definiscono sia la forma che contenuto dei contratti stessi.
La ratio sottostante la normativa ha quindi l’obiettivo sia di evitare l’applicazione degli articoli sopra esposti tra soggetti ritenuti “qualificati”9 sia perché si tratta di prescrizioni emanate per la tutela degli investitori e l’integrità dei mercati e già contenute nell’art. 21 del Tuf.
Vi è, però, da evidenziare che l’art. 31 del Tuf definisce “operatori qualificati” possono essere anche “ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante”.
A ogni buon conto, da questa ulteriore definizione, non possono che sorgere istintivamente dei dubbi che trovano il loro fondamento nella numerosità degli strumenti finanziari esistenti operanti in un mercato altamente complesso. Se si fa memoria alla categoria dei derivati ci si rende conto quante tipologie sono in esso contenute e quali debbano essere le capacità tecniche per poter trattare questi strumenti. Senza una solida esperienza questa particolare gestione di tale specifico strumento finanziario non può avvenire.
La Suprema Corte con la sentenza emessa dalla Iª Sez. Civ (26 maggio 2009, n. 12138) il supremo collegio ha preso posizione per la prima volta sulla valenza giuridica da attribuire alla autocertificazione di “operatore qualificato” che i legali rappresentanti di imprese (ed enti pubblici) hanno rilasciato alle banche alla luce dell’art. 13 del vecchio regolamento Consob n. 5387 del 1991 e, in seguito alla sua abrogazione, alla luce del successivo art. 31 del regolamento Consob attuativo del Tuf in tema di intermediari (deliberazione n. 11522 del 1998).
8 “Riguardanti la natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione in atto, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento. (Trib di Vicenza sent.143/2009)” in X. Xxxxxx, Contratti derivati (swap, credit default swap, asset swap)- Profili di impugnazione: tra vizi del contratto e responsabilità del gestore pubb. in xxx.xxxxxxx.xx, 2017
9 Per la definizione di “qualificati” Cfr. nota 5
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Invitando il lettore ad una lettura completa della sentenza, in tale circostanza si può brevemente riportare quanto di seguito.
L’inquadramento nella categoria di “operatore qualificato” così come indicato dall’art 31 del Tuf ultima parte, produceva per l’intermediario l’oggettivo vantaggio di evitare di sottoporsi agli obblighi di comportamento di cui agli articoli 27, 28, 29, 30, comma 1, del più volte citato Regolamento Consob. In particolare, la situazione di negoziare con un “operatore qualificato”, induceva gli istituti di credito a non sottoporsi agli obblighi dettati dall’art. 28, comma 1, che prevedeva a carico di questi ultimi e prima dell’avvio dell’operazione di investimento l’obbligo di chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti e strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento nonché circa la sua propensione al rischio, con l’ulteriore obbligo di far constare nel contratto l’eventuale rifiuto del cliente di fornire notizie.
Si aggiunga che un utilizzo piuttosto leggero e spensierato della disposizione ex art. 31, da parte delle banche, ha di fatto prodotto nella realtà operativa una situazione a dir poco assurda in cui molti imprenditori (ma anche dirigenti comunali o di altri enti locali territoriali) hanno firmato con leggerezza, su un modulo dalla banca, una loro dichiarazione autocertificando la propria esperienza e competenza in tema di strumenti finanziari; in tal senso esonerando la stessa banca dal fornire loro quelle informazioni essenziali sulle caratteristiche e sulla rischiosità degli strumenti finanziari negoziati.
In ogni caso è bene ricordare che dal 2 novembre 2007, con l’ingresso in vigore della nuova normativa di fonte secondaria in materia di intermediari (di cui al regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007), la norma sul potere dei clienti di “autocertificare” la propria patente di competenza in materia finanziaria è stata eliminata mentre, di contro, con il recepimento della direttiva MiFID si è introdotto nel nostro ordinamento dei parametri oggettivi affinché un’impresa possa qualificarsi al pari di un “operatore qualificato”.
Con la citata sentenza n. 12138 del 2009, la Corte di Cassazione ha, quindi, introdotto dei punti fermi:
I. la dichiarazione firmata dal legale rappresentante della società che attesti la sussistenza di competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari non può essere elevata al rango di confessione stragiudiziale in quanto essa non consiste in una dichiarazione di scienza e verità circa un fatto obiettivo;
II. detta autodichiarazione esonera in ogni modo l’intermediario dal porre in essere ulteriori verifiche che accertino l’esistenza di una effettiva competenza ed esperienza in capo al cliente, a meno che dalla documentazione già in possesso dell’intermediario non vi siano elementi che facciano propendere per una discrepanza tra contenuto della dichiarazione e realtà effettiva;
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III. ai sensi dell’art. 116 c.p.c., è facoltà del giudice, dedurre argomenti di prova dalla sottoscrizione di detta autodichiarazione, ferma restando la facoltà del cliente di allegare e provare specifiche circostanze volte a contrastare la veridicità del contenuto della dichiarazione.
Quindi, seguendo i principi della Suprema Corte è l’imprenditore, che agisce contro la banca, ad avere l’obbligo di prova; “al fine di escludere la sussistenza in concreto della propria competenza ed esperienza in materia di valori mobiliari” – a lui spetta l’obbligo di provare in giudizio la non veridicità di una dichiarazione da lui stesso rilasciata alla banca, solitamente all’atto della firma del cd. “contratto- quadro”.
Il principio enunciato dalla Suprema Corte è diametralmente opposto ai principi emanati da alcuni tribunali di merito i quali, avevano statuito esattamente il principio contrario per il quale ciò che rileva, a prescindere dalle dichiarazioni rilasciate, nella modulistica, dal legale rappresentante della società, è l’accertamento della effettiva esistenza, in capo allo stesso, di una vera competenza ed esperienza maturata in materia di strumenti finanziari10. A tale pronuncia si sono poi allineati anche i tribunali di merito11.
Alla luce di ciò è, pertanto, fondamentale che la norma contenuta nell’art. 31 del regolamento Consob numero 11522 del 1998, debba essere fatta “rientrare” nel quadro normativo di riferimento quale è l’art. 6, comma 2 del Tuf secondo il quale l'esercizio della potestà regolamentare deve tener conto delle "differenti esigenze di tutela degli investitori connesse con la qualità e l'esperienza professionale dei medesimi".
Il Tribunale di Rovigo nel gennaio del 2008 ha prodotto una sentenza dalla quale sono emersi diversi importanti principi. Secondo tale pronuncia gli obblighi previsti dalla normativa hanno come scopo non solo quello di assicurare una conoscenza effettiva del prodotto finanziario che si andrà a contrattare ma anche che la dichiarazione di professionalità non può ridursi ad una mera autodichiarazione da parte del rappresentante legale. Infine gli obblighi dell’intermediario non possono esaurirsi nel sottoporre alla firma una dichiarazione precompilata che riporta in toto il testo regolamentare ma deve riportare tutti gli elementi da cui è possibile dedurre che l'operatore ha l’esperienza e la capacità maturate necessarie per la gestione dei servizi finanziari a tal punto da essere in grado di capire quali siano le caratteristiche del prodotto ed i relativi rischi12.
Pertanto sia la normativa primaria che secondaria convergono nel principio secondo cui l'intermediario deve agire sempre nella cognizione delle caratteristiche dell'investitore che rappresenta la sua controparte contrattuale. Sulla base della stessa logica l’intermediario non può ritenere esauriti gli
10 Su tutte cfr. Tribunale di Milano, Sez. VI Civile – G.U. Dr. C.R. Xxxxxxx – 2 aprile 2004, pubbl. in xxx.xxxxxx.xx 11 Cfr. Trib. Torino, 18 settembre 2007; Tribunale Torino, 31 gennaio 2011 pubbl. su xxx.xxxxxx.xx.
12 Conforme anche il Tribunale di Novara sentenza 19 luglio 2012
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obblighi di “conoscenza” della qualifica di operatore qualificato, solo sulla base di una semplice dichiarazione emessa dal rappresentante legale della società.
In conclusione, in tema di interest rate swap il Tribunale di Novara con sentenza del 19 luglio 2012, chiarisce che l'informazione sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione, dovuta in base all'articolo 28 del regolamento Consob numero 11522 del 1998, non può essere dedotta dai meri elementi essenziali, quali la data iniziale e di scadenza, nozionale, tasso pagato dal cliente e periodicità del pagamento dei flussi, i quali non esplicitano nulla circa la complessità e la rischiosità delle operazioni.
Se l’intermediario viola le norme, viola norme imperative di tutela dei risparmiatori, del risparmio pubblico e del corretto funzionamento delle contrattazioni di borsa dettate dal d.lgs. 24 febbraio 1998
n. 58 (TUF) e dal reg. Consob n. 11522/199813.
Dalla violazione delle norme comportamentali poste in essere dall’intermediario non può che derivare una responsabilità risarcitoria in capo allo stesso14 per la perdita economica che il cliente ha subito ponendo in essere operazioni senza che quest’ultimo venisse preventivamente e compiutamente informato delle rischiosità che caratterizzano l’operazione stessa. In sostanza una condotta omissiva da parte dell’intermediario derivante dall’obbligo di informazione è fonte stessa di responsabilità.
Secondo i giudici Ermellini il risarcimento deve essere valorizzato al minor vantaggio o maggior aggravio economico causato dal contegno sleale di una parte15, aumentato degli interessi legali dal giorno della domanda giudiziale in quanto trattasi di inadempimento contrattuale16.
Il mancato adempimento dell’obbligo informativo, tra l’altro, deve fare i conti anche con la violazione dell’art. 1337 del c.c. in tema di responsabilità pre-contrattuale.
Più in particolare “Nei contratti a prestazioni corrispettive i doveri di correttezza, di buona fede e di diligenza - di cui agli art. 1337, 1338, 1374, 1375 e 1175 c.c. - si estendono anche alle cosiddette obbligazioni collaterali di protezione, di informazione, di collaborazione, che presuppongono e richiedono una capacità discretiva ed una disponibilità cooperativa dell'imprenditore nell'esercizio della sua professione e, quindi, nel tenere conto delle motivazioni della controparte all'acquisto. Detti doveri ed obblighi impongono che l'imprenditore, anzitutto, si preoccupi dell'esatta specificazione delle caratteristiche del bene compravenduto al momento della conclusione del contratto, rispondendo anche della negligenza dei propri agenti al riguardo, ed, in secondo luogo, che, nel caso la necessaria specificazione fosse stata omessa, ne faccia richiesta all'acquirente prima di provvedere alla propria prestazione, astenendosi dal consegnare beni di una specie qualunque fra quelli appartenenti al
13 Cass. Sent. n. 19024 del 22 settembre 2006; Cass. Sent. n. 3272 del 7 marzo 2001; Cass. Sent. n. 17973 dell’11 settembre 2015 14 Cass. Xxx Xxx X, n. 8333 del 4 aprile 2018; tra le tante sentenze di merito si veda Trib di Roma, 20 marzo 2008, Trib. di Vicenza 15 giugno 2007
15 Cass. 11 luglio 1976 n. 2840; Cass. 16 agosto 1990 n. 8318
16 Cass. 9 febbraio 2005 n. 2634, Trib. di Vicenza 15 giugno 2007
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"genus" prodotto o commerciato, diversamente rendendosi inadempiente alle indicate obbligazioni accessorie, che si pongono come precondizioni dell'obbligazione principale, e già solo per questo legittimando l'eccezione ex art. 1460 c.c..” 17.
Infine il principio di buona fede e di correttezza, che devono essere sempre posti in essere anche per preservare il diritto della controparte, rappresentano un dovere giuridico in capo alla controparte. Secondo la Cassazione il non porre in essere tale dovere giuridico comporta inadempimento che prevede come sanzione l’obbligo del risarcimento cagionato18.
2.1 La violazione degli obblighi informativi a carico degli intermediari finanziari: un approfondimento
Alla fine del paragrafo precedente abbiamo riferito che violazione delle norme comportamentali poste in essere dall’intermediario non può che derivare una responsabilità risarcitoria in capo allo stesso. In realtà nel silenzio della norma, infatti, sia la dottrina che la giurisprudenza sono intervenute non omogeneamente, riconoscendo a volte l’azione di annullamento per vizio del consenso, altre volte l’azione di nullità, piuttosto che l’azione di risoluzione per inadempimento o la mera richiesta risarcitoria.
Come noto e più volte riportato gli obblighi informativi a cui gli intermediari finanziari devono sottostare sono individuati e regolati dall’art. 21 del Tuf19, che al primo comma dispone che i soggetti abilitati debbano “comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati”.
In seguito sono state introdotte normative di rango regolamentare (norme secondarie) che hanno avuto l’obiettivo di porre in essere il contenuto dell’art. 21 Tuf; ci si riferisce, in special modo agli artt. 27 e ss. del regolamento Consob n. 11690/2007.
L’art. 28 del regolamento Consob del 2007 dispone che le informazioni rilasciate dall’intermediario devono essere “corrette”, “chiare” e “non fuorvianti”, ed idonee ad una ragionevole comprensione, da parte del cliente. Il cliente dovrà comprendere, quindi, con buon senso la natura e le caratteristiche dello specifico strumento finanziario che va a trattare; la comprensione sarà, inevitabilmente, funzione sia delle informazioni contenute quali: correttezza, chiarezza, il non essere fuorvianti e l’essere sufficientemente dettagliate, sia della capacità di comprensione del singolo destinatario.
Ma nel caso in cui gli obblighi informativi non vengono adempiuti da parte degli intermediari finanziari quali norme sanzionatorie, devono essere applicate considerando che il legislatore italiano ed europeo nulla hanno disposto?
17 Cass. Civ, Sez. II, 16 Novembre 2000, n. 14865; Cass. 29 settembre 2005 n. 19024
18 Cass. 27 ottobre 2006 n. 23273; Cass. 6 agosto 2008 n. 21250; Cass. 25 novembre 2008 n. 28056
19 D. lgs. n. 58 del 1998
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A tal riguardo la dottrina ha evidenziato due “soluzioni” che possono essere inquadrati come “demolitori” e “risarcitori”.
Alla prima categoria appartengono la nullità, l’annullamento e la risoluzione del contratto per inadempimento. Quindi con la prima categoria di soluzioni si tende a chiudere il contratto. Mentre con la seconda tipologia di soluzioni, il contratto tende ad essere mantenuto prefigurando: il risarcimento del danno subito, riconducibile a responsabilità precontrattuale o contrattuale a seconda che l’obbligo di informazione sia stato violato nella fase delle trattative ovvero nella fase di esecuzione del contratto stesso20.
Anche in giurisprudenza vi è contrasto in ordine alle conseguenze derivanti dalla violazione dei doveri informativi degli intermediari finanziari.
Per tale argomento la cassazione Civ. Sez I, con sentenza del 16 febbraio 2007 n.3683 rimette la questione alle SU “Si rimette alle Sezioni Unite il contrasto di giurisprudenza in ordine alle conseguenze derivanti dalla violazione dei doveri informativi degli intermediari finanziari. All’orientamento secondo il quale «la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative, ai sensi dell'art. 1418, primo comma, cod. civ., postula che siffatta violazione attenga ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, cioè relativi alla struttura o al contenuto del contratto, e quindi l'illegittimità della condotta tenuta nel corso delle trattative per la formazione del contratto, ovvero nella sua esecuzione, non determina la nullità del contratto, indipendentemente dalla natura delle norme con le quali sia in contrasto, a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista anche in riferimento a tale ipotesi» si contrappone quello per cui «in presenza di un negozio contrario a norme imperative, la mancanza di un'espressa sanzione di nullità non è rilevante ai fini della nullità dell'atto negoziale in conflitto con il divieto, in quanto vi sopperisce l'art. 1418, comma primo, c.c., che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità».
Le Sezioni Unite con le sentenze nn. 26724 e 26725 del 2007, hanno escluso il ricorso al rimedio della nullità contrattuale ammettendo, invece, l’azione per la risoluzione del contratto per inadempimento. Secondo le SU la violazione dei doveri d’informazione può dar luogo a responsabilità precontrattuale, prevedendo come pena risarcitoria l’obbligo di risarcimento dei danni, ove tale violazione avvenga nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto d’intermediazione. Si palesa,
20 Tribunale Perugia, 22 Dicembre 2014 secondo la quale il mancato assolvimento da parte dell’intermediario del dovere di fornire all’operatore inesperto informazioni adeguate sulla natura rischiosa e speculativa del prodotto finanziario complesso […] e di avvertirlo circa la sua inadeguatezza non determina la nullità del contratto con cui tale operazione si attui bensì la responsabilità da inadempimento precontrattuale dell’intermediario, col conseguente obbligo di risarcire il danno patito dal cliente, parametrato alle perdite che egli non avrebbe subito se non avesse concluso l’operazione di cui si tratta (X.Xxxxxxx) in xxx.xx xxxx.xx ; Tribunale di Udine n 2091 del 29 marzo del 2010 in base alla quale la violazione dei doveri informativi relativi alle specifiche caratteristiche del titolo negoziato ed all’inadeguatezza dell’operazione non può condurre alla risoluzione della singola operazione, pur avendo essa natura negoziale, in quanto dette violazioni possono incidere solo sulla fase precedente la trattativa ed essere quindi fonte di responsabilità precontrattuale (X.Xxxxxxx) in xxx.xxxxxx.xx; Tribunale di Siracusa n. 13 maggio 2008; Tribunale di Roma 20 marzo 2008; Tribunale di Vicenza del 15 giugno 2007
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invece, la responsabilità contrattuale, con pena risarcitoria la risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazione riguardante le operazioni d’investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d’intermediazione finanziaria. La violazione dei doveri di comportamento non può mai comportare la nullità del contratto d’intermediazione, a norma dell’art. 1418, primo comma c.c., sulla base del fatto che “il ricorso allo strumento di tutela della nullità radicale del contratto per violazione di norme di comportamento gravanti sull’intermediario nella fase pre negoziale ed in quella esecutiva, in assenza di disposizioni specifiche, di principi generali o di regole sistematiche che lo prevedano, non è giustificato”.
Malgrado le diverse pronunce delle SU i tribunali di merito, successivamente a queste sentenze di legittimità, hanno prodotto però pareri difformi. Le sentenze sono state tra loro contrastanti dando luogo a diversi “punti di vista” - orientamenti. Il primo di questi riconosce l’annullamento del contratto per vizio del consenso, in particolare per errore essenziale e riconoscibile, ma obbliga l’investitore a dimostrare che se l’intermediario avesse fornito tutte le informazioni al momento della contrattazione, non avrebbe posto in essere l’operazione21 .
Il secondo orientamento utilizza il rimedio della nullità del contratto affermando che l’art. 21 T.U.F. è norma imperativa, dettata a protezione degli interessi generali, quale la tutela dell’integrità del mercato finanziario e la protezione del risparmio pubblico a norma dell’art. 47 della Costituzione22.
Il successivo orientamento individua nella risoluzione del contratto per inadempimento l’unica via da perseguire dall’investitore in caso di violazione dell’art. 21 Tuf23 . Conforme a tale pensiero si deve registrare anche la sentenza della Corte di Appello di Venezia del 18 giugno 2019 che nel pronunciarsi ha fatto riferimento alla Cassazione con sentenza del 18 giugno 2018 n. 15936 secondo la quale “l’intermediario finanziario è tenuto a fornire al cliente una dettagliata informazione preventiva circa i titoli mobiliari e, segnatamente, con particolare riferimento alla natura di essi e ai caratteri propri dell’emittente, ricorrendo un inadempimento sanzionabile ogni qualvolta detti obblighi informativi non siano integrati”.
L’ultimo orientamento, infine, risulta favorevole alla possibilità di richiedere il solo risarcimento del danno24 configurandosi responsabilità contrattuale ma demandando ogni conseguenza alle prove apportate atteso che agli investitori spetta l’obbligo di allegare il danno ricevuto che sarà valorizzato come la differenza tra il valore di acquisto dello strumento finanziario e quello al momento della domanda ovvero quello precedente in cui il cliente ha avuto consapevolezza della perdita di valore, tenendo conto degli eventuali interessi percepiti e del valore attuale dello strumento.25
21 Cfr. Trib. Bologna, 17.10.2016, Trib. Xxxxx, 00.0.0000, Trib. Perugia, 28.11.2014.
22 Cfr. Trib. Bologna, 29.11.2018, App. Torino, 19.4.2017; Trib di Ferrara 20 maggio 2010;
23 Cfr. App. Bologna, 16.9.2015, Trib. Xxxx, 00.0.0000, Trib. Genova, 15.3.2005
24 Cfr. Cass. Civ. n. 6920 del 20 marzo 2018
25 Cfr. Cass. civ. n. 1511/2014 il nuovo Reg. Consob n. 16190 del 2007
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3.Evoluzione storica della normativa
La direttiva MiFID o Markets in financial instruments directive (2004/39/EC) ha disciplinato dal 31 gennaio 2007 al 2 gennaio 2018 i mercati finanziari dell'Unione Europea.
Con la direttiva 2004/39/CE26, il legislatore ha voluto perseguire l’obiettivo di rinnovare la precedente disciplina dei mercati finanziari attraverso l’imposizione più stringenti forme di tutela dei diritti dell’investitore.
L’interesse del legislatore di protezione nei confronti del consumatore finale si sostanzia, peraltro, attraverso una nuova disciplina sui conflitti d’interesse che si fonda sull’accrescimento delle responsabilità in capo ai vertici aziendali delle imprese d’investimento27.
Con l’introduzione della MiFID il legislatore Europeo, tra l’altro, ha voluto in qualche modo “blindare” il concetto di operatore qualificato e di professionalità che tanti problemi ha provocato soprattutto in ambito nazionale.
Nell'allegato II della stessa direttiva, è possibile individuare e circoscrivere il concetto di cliente professionale che il legislatore europeo ha voluto attribuire allo stesso evidenziando quali debbano essere le caratteristiche che deve possedere. Queste caratteristiche sono: l'esperienza, le conoscenze e le competenze necessarie per prendere le proprie decisioni in materia di investimenti, valutarne correttamente i rischi che sta per assumersi e fornendo, infine, la dovuta importanza anche all’elemento dimensionale dell'impresa.
Viene precisato, inoltre, che la precisione delle informazioni da fornire all’investitore può variare sia in funzione della tipologia del cliente (sia esso al dettaglio o professionale) dalla natura e del rischio degli strumenti finanziari offerti ma in alcun modo può mai essere priva degli elementi essenziali28.
Dal 3 gennaio 2018 è entrata in vigore in tutta l'Unione la nuova direttiva XxXXX XX (2014/65/EU) che, insieme alla MiFIR o Markets in financial instruments regulation (regolamento EU n. 600/2014) ha preso il posto delle precedente regolamentazione europea.
La direttiva n. 2014/65/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa ai mercati degli strumenti finanziari viene proposta per ridefinire la regolazione precedentemente introdotta con la MiFID.
In particolare la nuova direttiva ha lo scopo di raggiungere l’obiettivo di adeguare i sempre nuovi strumenti finanziari con le esigenze e caratteristiche di numero sempre maggiore di investitori, ritenuti la parte debole.
Da qui nasce la necessità di disciplinare tutte “le attività destinate agli investitori” attraverso un “quadro giuridico” completo. Tale intento nobile, però, non si è concretamente realizzato, come dimostrato con
26 Direttiva 2004/39/CE del 21 aprile 2004 da cui è disceso il nuovo Reg. Consob n. 16190 del 2007
27 Cfr. Xxxxxxxxxxx, X. (2008). Intermediari finanziari investitori mercati. Padova: Cedam 28 Cfr. Considerando n. 45 della direttiva 2006/31/CE
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la crisi finanziaria che ha fatto emergere l’inadeguatezza della regolamentazione con il progresso tecnologico in materia di strumenti finanziari.
Con la XxXXX XX si persegue proprio l’obiettivo di emanare un quadro normativo chiaro ed esauriente per “la regolamentazione dei mercati degli strumenti finanziari, anche quando la negoziazione in tali mercati avviene fuori borsa (OTC), al fine di aumentare la trasparenza, tutelare meglio gli investitori, rafforzare la fiducia, includere i settori non regolamentati e assicurare che le autorità di vigilanza dispongano di poteri adeguati per svolgere i loro compiti”.29 “A tal fine è necessario assicurare il grado di armonizzazione necessario per poter offrire agli investitori un elevato livello di protezione e consentire alle imprese di investimento di prestare servizi in tutta l’Unione, nel quadro del mercato unico, sulla base della vigilanza dello Stato membro d’origine”.30
Con l’obiettivo di rispondere all’ esigenza di contrastare il fenomeno della speculazione che rende fragile il sistema finanziario, quanto di fornire alle autorità di vigilanza gli strumenti idonei a garantire la stabilità dei mercati il regolatore europeo ha posto la sua attenzione sugli effetti che possono avere alcune tipologie di rischio mai considerate prima, spesso legate a strumenti finanziari negoziati in mercati precedentemente non regolamentati. A sottolineare l’importanza di un adeguato controllo dei rischi vengono quindi imposte nuove regole di governance e di risk management al fine di garantire la stabilità degli intermediari finanziari, la cui crisi è ormai stato dimostrato avere un impatto sistemico31.
3.1 Novità introdotte dal XxXXX XX e principio di trasparenza
Come noto la fiducia è la colonna portante dei mercati finanziari, senza di essa la loro operatività rischia di essere bloccata.
È la trasparenza dunque il principio ispiratore – per l’ottenimento della fiducia - delle principali novità introdotte dalla direttiva 2014/65/UE, che deve essere applicata tanto per i titoli azionari, imponendo l’obbligo di compravendita di tale tipologia di strumenti in una delle sedi di negoziazione regolate, quanto per gli strumenti finanziari diversi dalle azioni.
Per quanto concerne le novità della direttiva XxXXX XX, la disciplina nazionale in materia di trasparenza è stata affidata, come anticipato già sopra, alla Consob che in data 26 maggio 2008 avviò la procedura sottoponendo a pubbliche osservazioni il documento di consultazione avente ad oggetto il preciso dovere dell'intermediario di comportarsi con correttezza e trasparenza in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi il quale è tutto incentrato sulla predeterminazione di criteri oggettivi e trasparenti, previamente resi noti al cliente e poi applicati sempre con la massima trasparenza sia in sede di liquidazione dei differenziali che di valutazione del mark to market32.
29 Cfr. Considerando n.4 Direttiva 2014/65/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 relativa ai mercati degli strumenti finanziari (MiFID II).
30 Cfr. Considerando n.3, Direttiva 2014/65/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 relativa ai mercati degli strumenti finanziari (XxXXX XX).
31 Tale finalitá viene raggiunta attraverso il pacchetto normativo CRD IV (Regolamento UE n. 575/2013 e Direttiva 2013/36/UE) che recepisce i principi emanati dal Comitato di Xxxxxxx
00 Xxx nota n.12
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Per quanto riguarda gli strumenti equity la novità è rappresentata dall’introduzione della trading obligation, che si sostanzia nell’obbligo di conclusione delle transazioni su azioni in un mercato regolamentato europeo o in una trading venue di un paese terzo riconosciuta ai sensi della MiFID II33.
Per gli strumenti finanziari equity-like e non-equity viene invece esteso il regime di trasparenza pre- trading (che è la messa a disposizione degli investitori di informazioni relative alle volontà negoziali dei partecipanti al mercato) e post-trading (che è la messa a disposizione delle informazioni relative alle transazioni realmente concluse) in tutte le sedi di negoziazione ad eccezione degli internalizzatori sistematici. Per un elenco completo delle novità divise per settore si veda la nota34.
4.Contratto di mutuo e connessione con derivati di tipo swap
Come descritto all’inizio di questo lavoro si ricorre ai derivati per tre motivi: a fini di copertura (hedging), per speculazione e per motivi di arbitraggio.
Gli strumenti finanziari derivati sono contratti il cui valore dipende dall’andamento di un’attività sottostante, quale ad esempio titoli azionari, tassi di interesse, tassi di cambio, o merci. L’art. 1325 c.c. indica tra i requisiti essenziali del contratto l’accordo tra le parti, la causa e l’oggetto.
33 Cfr. Consob, divisione mercati, Ufficio Vigilanza Infrastrutture di Mercato. (2014, giugno). Mappatura delle infrastrutture di negoziazione in Italia
34 Le novità divise per settore:
a) Struttura del mercato:
⮚ Ridefinizione dei “requisiti di ammissione al Trading”;
⮚ Rinnovamento ed estensione della definizione dei mercati di scambio organizzativi;
⮚ Rafforzamento della vigilanza su tutti i mercati di scambio organizzativi;
⮚ Rinnovamento ed ampliamento della definizione di trading automatizzato (incluso il trading ad alta frequenza).
b) Trasparenza prima e dopo la vendita:
⮚ Estensione dei requisiti di trasparenza prima e dopo il “trading”
⮚ Richiesta per le società che operano sui mercati OTC di segnalare gli scambi in specifici report di post trading;
⮚ Pubblicazione tempestiva dei dati di post trading.
c) Consolidamento dei dati di post trading:
⮚ Introduzione di specifici criteri per il consolidamento dei dati di post trading a livello Europeo;
⮚ Riduzione dei costi di accesso ai dati di post trading per gli investitori.
d) Derivati sulle materie prime:
⮚ Rafforzamento dei poteri dei Regolatori allo scopo di avere un controllo più rigoroso delle posizioni in derivati su materie prime;
⮚ Applicazione di MiFID II pure alle Commodity Firms;
e) Segnalazioni ed allineamento sulle transazioni finanziarie:
⮚ Allineamento dei requisiti MiFID e Market Abuse;
⮚ Estensione degli obblighi di segnalazione degli strumenti finanziari ammessi sul MTF e OTF;
f) Massima protezione per i Clienti/investitori:
⮚ Innalzamento del livello di informazione fornite ai clienti sui prodotti finanziari complessi;
⮚ Revisione della normativa sugli “inducements”;
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Ai sensi dell’art. 1418, comma 2 c.c. il contratto è nullo in mancanza di uno dei requisiti essenziali ed al difetto di causa consegue sempre la nullità del contratto.
Da parte dei grandi mutuatari35 è ‘uso frequente sottoscrivere interest rate swap (irs) per coprirsi da rischi di variazione dei tassi di interesse; in sostanza essi ricorrono a tale derivato per tentare di ridurre la propria esposizione alla fluttuazione in peggio dei tassi di interesse.
A questo punto è opportuno definire qual è lo schema contrattuale e quali sono le caratteristiche di un interest rate swap. Riferendosi alla forma più semplice di irs, quella definita plain vanilla, possiamo definire un contratto di irs letteralmente un scambio di posizioni debitorie, una a tasso fiso ed una a tasso variabile. Posto che il soggetto “A” abbia già in essere un finanziamento a tasso fisso (o variabile) con un intermediario finanziario, può accordarsi con un soggetto “B” riguardo al pagamento degli interessi riferiti allo stesso capitale (il c.d. capitale nozionale) per la vita residua del finanziamento, o per un altro definito lasso di tempo, scambiando il proprio tasso fisso (variabile) con un tasso variabile (fisso) che il soggetto “B” si impegna a versare contestualmente. In realtà non avviene mai lo scambio delle intere cedole, ma soltanto dei differenziali tra cedole a tasso fisso e cedole a tasso variabile ad ogni scadenza. Il capitale nozionale non è mai coinvolto nello scambio, ma è soltanto la base di calcolo delle cedole.
Nei contratti derivati – ed in particolare nei contratti di swap – la causa può essere individuata nello scambio di due rischi tra loro collegati che vengono assunti dalle due controparti. Ogni controparte si assume il rischio che il proprio parametro vari in termini a sé sfavorevoli, e favorevoli alla controparte.
Un contratto di irs, dunque, permette di trasformare agevolmente contratti di finanziamento da tasso fisso a tasso variabile e viceversa. È uno strumento finanziario estremamente flessibile, infatti, la libertà contrattuale che lo caratterizza consente di personalizzare la periodicità di ogni singola gamba, prevedere un piano di ammortamento del nozionale, pagare o riscuotere premi (up-front) e commissioni, gestire l’estinzione anticipata totale o parziale; nonché utilizzare anziché un solo tasso (solitamente l’Euribor) una combinazione di tassi in percentuali diverse con clausole barriera o minimo garantito.
Quindi fino a quando un derivato di tipo irs è collegato ad un’attività sottostante come ad esempio il tasso di interesse di un finanziamento in essere, non si rilevano problemi.
Ma può accadere che ci si trovi in una situazione in cui il mutuo di riferimento di un contratto swap, sia giunto a naturale scadenza prima dell'esaurirsi degli effetti del derivato oppure che venga estinto anticipatamente.36 Tale particolare situazione provoca una sopravvenuta mancanza di causa. Se lo
35 In tale circostanza intenderemo con il termine “mutuatari” tutti coloro che hanno ottenuto finanziamenti dal sistema creditizio. Nella fattispecie per “grandi mutuatari” intenderemo, altresì, tutte le società che ricorrono a grandi prestiti.
36 Cfr. Tribunale di Brindisi Ordinanza del 29 gennaio 2013 i Giudici brindisini hanno affermato il loro principio più significativo: tra un contratto di mutuo ed uno strumento derivato di tipo swap sussiste normalmente un collegamento
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scopo di una sottoscrizione di uno swap è quello di difendere la controparte dalla fluttuazione negativa dei tassi applicati al mutuo in corso, il venir meno del contratto di mutuo comporta come conseguenza la nullità degli stessi contratti di swap per mancanza di causa.
Al venir meno del contratto di mutuo per risoluzione anticipata del contratto viene anche meno la necessità di copertura, con il contratto swap che perde la sua giustificazione e la sua funzione economico – sociale meritevole di tutela.
E ‘risaputo come il collegamento negoziale non incida sull'autonomia strutturale dei contratti, i quali mantengono una loro causa autonoma, una loro specifica individualità giuridica e restano soggetti alla disciplina propria del rispettivo schema negoziale. Ciò nonostante, poiché le parti perseguono un risultato economico unitario e complessivo - che viene appunto realizzato attraverso una pluralità coordinata di contratti - questi sono, al contempo, finalizzati ad un unico regolamento dei reciproci interessi37 e sottostanno alla medesima sorte.
Il manifestarsi di una delle cause di invalidità, risoluzione o rescissione di uno dei negozi sull’altra deriva, appunto, dalla impossibilità di realizzazione dell'interesse perseguito dalle parti attraverso il coordinamento dei negozi collegati38.
In definitiva i contratti di swap di copertura esistono giuridicamente, fino a quando esistono i contratti collegati per i quali sono sorti; pertanto se la causa dei contratti di swap è legittima, tali contratti potranno ritenersi validi e produrre effetti sino a quando i mutui (cioè i contratti sottostanti), sono validi e producono effetti. E ‘perciò del tutto evidente che gli swap non possono sopravvivere ai contratti di mutuo per i quali sono sorti e per i quali esplicano la loro funzione economico sociale.
4.1Derivati e nullità per mancanza di causa39
Xxxxxxx detto che nei contratti derivati di tipo swap la causa può essere individuata nello scambio di due rischi tra loro collegati che vengono assunti dalle due controparti. Ogni controparte si assume il rischio che il proprio parametro vari in termini a sé sfavorevoli, e favorevoli alla controparte.
Il rischio, quindi, è parte del derivato a tal punto che la giurisprudenza lo definisce come “scommessa legalmente autorizzata”. Quindi, affinché si possa considerare efficace la causa aleatoria connaturata al derivato è doveroso che sia stata coscientemente accettata dalle controparti e distribuita non tanto in modo simmetrico ma quantomeno proporzionale.
funzionale stretto e inscindibile, tale per cui l’estinzione anticipata del mutuo determina di per sé il venir meno della causa dello swap
37 Cass. 10.7.2008, n. 18884
38 Cass. 5.6.2007, n. 13164; Cass. 21.11.2011, n. 24511; Cass. 8.10.2008, n. 24792; Cass. 27.3.2007, n. 7524; Cass. 28.6.2001, n.
2844; Cass. 12.7.2005, n. 14611,
39 Per confronto ed approfondimenti si legga: X. Xxxxxxxxxxx “La nullità per difetto di causa del contratto in strumenti finanziari derivati” Rivista di Diritto Bancario Tidona 22 novembre 2017; M Giampaolo “Contratti derivati (swap, credit default swap, asset swap” in xxx.xxxxxxx.xx, 29 ottobre 2018; X. Xxxxxxx, in xxx.xxxxxxxx.xxxx;
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La giurisprudenza in diverse sue pronunce40 si è espressa, infatti, in tal senso affermando che “Tutti gli elementi dell’alea e gli scenari ad essa conseguenti, quindi, costituiscono ed integrano la causa del contratto: ciò non equivale ad affermare la necessaria simmetricità dell’alea, potendo una parte accettare una scommessa improbabile. La mancata conoscenza dell’alea o del MtM producono la nullità del negozio, per mancanza di causa (soluzione che si preferisce) o per indeterminatezza dell’oggetto”41.
Il cliente, pertanto, prima di scegliere deve essere al corrente di tutti gli elementi del contratto tra cui anche il valore, i costi impliciti, gli elementi per determinare il valore ed il costo per il recesso anticipato. In difetto di tale conoscenza in capo al cliente, e della consequenziale sua assunzione consapevole dell’alea contrattuale, il contratto è passibile di nullità per difetto di causa ex art. 1418 c.c42.
Una successiva ipotesi di nullità per mancanza di causa concerne l’omesso riequilibrio nei contratti derivati di tipo “non par”; tali contratti sono caratterizzati, sin dalla sottoscrizione dello swap, dalla presenza di un differenziale negativo a carico del cliente.
In presenza di una fattispecie come quella annunciata la parte contrattuale avvantaggiata (che generalmente è quella più forte) ha l’obbligo di versare alla parte svantaggiata (o più debole) l’importo corrispondente all’esatto valore di mercato negativo al momento della sottoscrizione (up front)43 riequilibrando in tal senso il contratto.
La Corte d’Appello di Milano ha espresso il suo orientamento su tale obbligo, a pena di nullità dell’operazione nel modo seguente: “In questo caso i termini finanziari dell’operazione vengono riequilibrati attraverso la corresponsione, alla parte che accetta le condizioni più penalizzanti, di una somma definita up front sufficiente a riequilibrare le posizioni”44.
40 Corte d’Appello di Milano, sez. I, sent. n. 4303 dell’11/11/2015; Cfr. Tribunale di Torino, sentenza del 17gennaio 2014
41 In tema di necessità da parte dell’investitore di essere a conoscenza di tutti gli elementi dell’alea che caratterizzano l’operazione il Tribunale di Bologna del 29 novembre 2018 afferma che tutti gli elementi dell’alea, ivi inclusi gli scenari ad essa conseguenti, sia favorevoli che non, che costituiscono e integrano la causa del contratto derivato e, quindi, tutte le informazioni che attengono alla determinabilità del rischio, ivi inclusa l’asimmetria iniziale tra prestazioni, debbono necessariamente essere, ex ante, ben definiti e conosciuti con certezza dal cliente, indipendentemente dalle distinzioni fra scopo di copertura o speculativo tout court e fermo restando che l’alea non deve essere necessariamente simmetrica sul piano quali-quantitativo. In difetto di tali elementi, il contratto di IRS deve ritenersi nullo ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c., poiché il riconoscimento legislativo risiede nella razionalità dell’alea e quindi nella sua misurabilità. Tale nullità non rappresenta una nullità per violazione di regole di condotta dell’intermediario e non è incisa, pertanto, dai principi condivisibilmente statuiti dalle Sezioni Unite con le sentenze nn. 26724 e 26725 del 2007, dal momento che è oggetto di considerazione il fatto che non siano stati trasferiti all’interno della struttura del contratto i dati che ne caratterizzano l’alea e che contribuiscono a definirne la causa, secondo il giudizio di meritevolezza implicitamente formulato dal legislatore della materia (di X. Xxxxxxxx) in xxx.xxxxxx.xx
42 Conforme anche Tribunale di Pescara 31 marzo 2020
43 L'Up-front si può definire come la somma che la Banca riconosce alla controparte al momento della stipula di un contratto swap
44 Corte d’Appello di Milano, sentenza n. 4303/2015
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Se la corresponsione dell’up front non dovesse avvenire ci si troverebbe in presenza di costi impliciti a carico della parte più debole con la possibilità di caratterizzare il contratto con la nullità atteso che qualora la misura dell’up front non valga a ristabilire la condizione di parità tra le parti, l’operazione dovrà ritenersi affetta da squilibrio genetico e pertanto qualificarsi nulla per difetto di causa in concreto45.
Per esaustività di trattazione vi è, però, da dire che, in tema, vi è anche presenza di giurisprudenza contraria in base alla quale la mancata corresponsione dell’up-front non configurerebbe la nullità del contratto. Il Tribunale di Torino, in merito, ebbe modo di pronunciare che “Nessuna norma, primaria o regolamentare, prevede che lo swap debba avere valore di mercato pari a zero; né vi è una disposizione di legge che imponga un obbligo di esplicitazione di tali costi a pena di nullità per carenza di causa. È, inoltre, acquisizione pacifica in giurisprudenza e dottrina che il valore iniziale del derivato, concluso tra un intermediario (dealer) e un cliente retail, incorpora un margine di intermediazione che riflette, tra l’altro, il rischio di credito che la banca assume per il caso di insolvenza del cliente, il margine di profitto (c.d. mark up) della banca, nonché il costo di copertura dell’operazione. I costi impliciti dei prodotti finanziari OTC dunque esistono, non snaturano la causa del contratto, non ne determinano la nullità per presunta carenza di causa, né obbligano la banca a compensare il cliente tramite erogazione di up front. Detti costi implicano soltanto un dovere di trasparenza informativa nei confronti del cliente, come sancito dalla Comunicazione Consob del 2 marzo 2009 n. 9019104” .
Con la sentenza del 22 aprile 2016 in tema di contratti derivati del tipo interest rate swap, i giudici della Corte d’Appello di Torino Iª sez. civile, hanno rafforzato quell’orientamento giurisprudenziale che negli ultimi anni, facendo riferimento al concetto di “causa concreta” del negozio, è da considerarsi precursore delle diverse pronunce di nullità radicale di questa tipologia di operazioni finanziarie46
I giudici d’Appello di Torino in linea con la tesi della sentenza di primo livello, convenendo circa la incapacità dello strumento finanziario ad adempiere effettivamente alla funzione di copertura, e ravvisando nello stesso negozio la carenza di una “causa concreta” oltre alla presenza di commissioni implicite non dichiarate al cliente, tali da inficiarne alla radice la validità, hanno affermato che “la causa sottostante ad un negozio giuridico bilaterale va individuata in concreto e non già solo su un piano astratto (…) non essendo sufficiente uno schema, di natura atipica, individuato a monte, per la verifica della validità del contratto”.
45 Tra gli altri: Tribunale di Orvieto, sentenza del 12/4/2012; Tribunale di Milano, sentenza del 14/4/2011
46 Cfr. tra gli altri, Xxxxx xx Xxxxxxx xx Xxxxxx 00 aprile 2018; Tribunale di Bari, ordinanza cautelare del 15 luglio 2010,; Tribunale di Orvieto, ordinanza collegiale del 12 aprile 2012; Corte Appello di Trento, sentenza n. 141 del 3 maggio 2013; in senso conforme, Corte d’Appello di Milano, sentenza 18 settembre 2013 n. 3459, con la distinzione che in quest’ultimo caso si fa riferimento al concetto generale di causa del contratto, anziché alla nozione di “causa concreta” di creazione giurisprudenziale).
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I giudici hanno pertanto precisato che per questo tipo di negozi atipici la causa possa essere individuata, su un piano generale ed astratto, nello scambio reciproco dei flussi differenziali connessi ai rispettivi tassi d’interesse assunti a riferimento da ciascuno dei contraenti, entrambi collegati ad un medesimo capitale nozionale. Ma i giudici di secondo grado hanno individuato un elemento decisivo la cui evenienza è stata ritenuta sufficiente ad escludere, ex art. 1418, comma 2 c.c., la presenza di una causa che, in concreto, potesse realizzare lo schema generale ed astratto sopra esposto.
Tale elemento decisivo è stato individuato nella circostanza che sin dal momento del perfezionamento dell’operazione finanziaria, l’irs presentava un valore di mercato negativo per il cliente, a tal punto che quest’ultimo, sin dall’inizio era stato costretto a versare all’istituto di credito un tasso d’interesse superiore all’Euribor a 6 mesi (pagato a sua volta dalla controparte)47 senza ottenerne alcun vantaggio in termini di copertura dai rischi ma, al contrario, subendo immediatamente delle perdite.
Quindi secondo i giudici di appello il contratto swap che presenta già al momento della sottoscrizione un differenziale negativo a carico del xxxxxxx00, determina la presenza di un negozio caratterizzato da uno squilibrio sinallagmatico che fa venire meno la presenza di una sua “causa concreta”. A questo si aggiunga poi che è rinvenibile un costo implicito/occulto a favore della banca, da cui discende altresì la violazione del fondamentale obbligo di informazione a cui è tenuto l’intermediario, incidendo senz’altro sulla “causa concreta sottostante al negozio giuridico l’occultamento di un valore negativo per il cliente stesso” e dovendo peraltro supporsi che quest’ultimo, in presenza di una corretta informazione di questo tipo, non avrebbe verosimilmente negoziato lo strumento finanziario in questione.
In tema di contratti derivati ed onere probatorio interessante risulta essere anche la sentenza n. 23409 del Tribunale di Roma del 3 marzo 2020 in base alla quale in mancanza della prova circa la funzione di copertura del derivato il contratto dovrà considerarsi nullo per mancanza di causa in concreto ai sensi e per gli effetti dell’art. 1322 comma 2° cod. civ49.
Un ulteriore caso di nullità per assenza di causa si ha quando il cliente richiede esplicitamente di
sottoscrivere un derivato di copertura e tale finalità venga distintamente indicata in contratto, mentre il
contratto concluso abbia in realtà una finalità speculativa. All’uopo sono intervenuti diversi tribunali
di merito la cui posizione è riassumibile “L’operazione conclusa tra le parti deve essere dichiarata
nulla per carenza di causa qualora, difformemente dalla funzione di copertura del rischio di variazione
dei tassi di interesse indicata nel contratto quadro, non abbia alcuna finalità di copertura e non sia
possibile individuare alcun contratto di finanziamento collegato al contratto interest rate swaps, senza
il quale tale ultimo contratto non ha alcuna ragione di essere nella volontà manifestata dalle parti” 50
47 In base al contratto derivato in esame, ogni 6 mesi il cliente era tenuto a pagare alla banca un tasso d’interesse fisso del 4,72% nel mentre l’istituto si era contestualmente impegnato a pagare con identica periodicità al cliente il tasso euribor semestrale costantemente variabile (entrambi calcolati su un capitale nozionale di riferimento pari a € 100.000).
48 In questo caso si parla di derivati non par
49 Cfr redazione di xxx.xxxxxx.xx ; Cfr Xxxxx xx Xxxxxxx xx Xxxxxx 00 aprile 2018
50 Tribunale di Treviso, sez. II, sent. n. 1940 26-08-2015; Cfr. Corte d’Appello di Trento, sentenza n. 141 del 3/5/2013
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Anche su tale aspetto non può mancare il punto di vista di ulteriore giurisprudenza che sul tema afferma “Per potere ritenere sussistente la finalità di copertura di un contratto derivato, occorre che il medesimo sia coerente con le caratteristiche dell’esposizione del cliente: per quanto riguarda gli importi, la durata e le valute, […] Da ciò deriva che la diversa e opposta informazione fornita dalla Banca, secondo la quale il derivato era a copertura del rischio di tasso, costituisce violazione grave dei doveri di diligenza, correttezza, trasparenza e buona fede: violazione, questa, che determina la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1455 c.c., con xxxxxxx xxxxxxxxxxxx del danno (commisurato alla differenza tra differenziali positivi e negativi)”51
Le più recenti sentenze a favore del ricorrente vengono indicate in nota52.
5 All’applicazione della clausola di tipo “floor” al mutuo: presenza di derivato implicito Quando si ha l’intenzione di contrarre un mutuo presso una banca, ci si trova di fronte alla possibilità di stipularlo a tasso fisso o a tasso variabile. Può accadere che all’interno di un contratto di mutuo sia presente una clausola di questo tipo: “In ogni caso il tasso che regolerà il mutuo non dovrà essere
inferiore al “x”%.” . Tale clausola, che pone un limite al di sotto del quale il tasso di interesse
corrispettivo, dovuto dal finanziato alla banca, non può scendere, evidenzia la presenza di un interest rate swap di tipo floor.
La clausola floor è una clausola ricorrente nei contratti di mutuo a tasso variabile stipulati dalle banche con la propria clientela. Essa prevede, come detto, che l’interesse dovuto dal mutuatario non possa scendere al di sotto di una certa soglia, indipendentemente dal variare del valore dei parametri (notoriamente l’Euribor) a cui è legato l’interesse dovuto.
L’utilizzo di tali clausole garantisce il mutuante da eventuali flessioni significative del tasso Euribor: infatti, questi riceverà dal mutuatario interessi almeno pari al valore percentuale individuato dalle clausole floor, anche nell’ipotesi in cui la somma del tasso Euribor e dello spread sia inferiore a tale percentuale.
In contratto di mutuo incorpora pertanto un contratto finanziario in particolare un contratto derivato senza che il cliente ne abbia contezza.
Considerata la natura strutturata dell’operazione (mutuo più opzione floor) a parare di scrive si devono evidenziare due profili di contestazione: 1) la carenza di trasparenza e di adeguata informazione da parte della banca che non ha debitamente informato i clienti circa l’acquisto del contratto derivato interest rate swap di tipo floor, rientrante nella categoria degli investimenti ex D.Lgs 58/98 (Tuf), 2)
51 Tribunale Milano, sentenza del 18/5/2015
52 Tribunale di Roma 3 marzo 2020 n. 4658 per nullità del contratto per mancanza di causa in concreto ex art. 1322 comma 2° c.c; tribunale di Torino 14 gennaio 2020 n. 185 per difetto di alea; Tribunale di Mantova 24 maggio 2019 n. 398; Tribunale di Terni 28 marzo 2019
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l’assoluta assenza di qualsiasi riferimento al cd. “premio” dell’operazione, oppure al “costo” per il cliente dell’operazione di copertura.
La clausola floor, per quanto si scriverà, è una previsione pattizia sicuramente legittima e funzionale al soddisfacimento di una giustificata necessità dell’intermediario finanziario di ricavare, con la concessione del finanziamento, un lucro minimo predeterminato, in un periodo storico connotato dall’abbassamento dei tassi. In tal senso il Tribunale di Trento, sent. del 6/7/2017 afferma: “La pattuizione di un tasso floor deve ritenersi valida, non vedendosi alcun contrasto con norme imperative, né essendo meritevole di seguito la tesi secondo cui la clausola darebbe luogo ad un derivato implicito. La clausola, infatti, non dà luogo ad un’operazione a sé stante correlata a valori che restano esterni al rapporto tra le parti (cd. sottostante; cfr. art. 1, co. 3 Tuf). Al contrario, la clausola resta legata da un nesso di stretta inerenza rispetto allo svolgimento del rapporto contrattuale e al suo stesso oggetto (onerosa messa a disposizione di denaro), inserendo in punto di interessi un elemento di rigidità che funge da limite – in favore della banca finanziatrice – alla variabilità del tasso”.
C’ è da sottolineare che risulta cospicuo il contenzioso in materia.
Il dibattito sulle questioni giuridiche connesse alle clausole floor è di grande attualità ed il contenzioso si sviluppa principalmente sulla vessatorietà delle clausole in virtù dell’art.33 del D.Lgs n 206/2005
c.d. Codice del Consumo secondo il quale ”le clausole di un contratto tra consumatore e professionista sono vessatorie se comportano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” .
Quindi se nel contratto sia prevista solo una clausola floor e non una corrispondente speculare clausola tetto (cd. clausola cap) che tuteli il mutuatario, è legittimo pensare che si sia in presenza di uno squilibrio contrattuale.
Inoltre, si sostiene anche che la clausola floor inserita in un finanziamento, sarebbe un derivato implicito assimilabile ad un interest rate floor.
La clausola floor sarebbe qualificabile come derivato di copertura con cui la banca si protegge dal rischio che il tasso d’interesse del finanziamento scenda al di sotto dello strike price (ovvero l’interesse minimo garantito), violando i doveri di diligenza, correttezza e trasparenza posti a carico dell’intermediario di cui all’art. 21 del Tuf.
La qualificazione della clausola floor come derivato implicito, comporta la nullità della stessa perché determina un’alea unilaterale a danno del cliente il quale non riceverebbe alcun corrispettivo in cambio della sottoscrizione del derivato, non beneficiando neppure della mera possibilità di utilità future connesse alla fluttuazione del tasso d’interesse nel caso in cui il tasso oscillasse in rialzo.
In considerazione del fatto che il floor è un derivato di tipo opzionale, si può sostenere che l’operazione è affetta da nullità se si commercializza un derivato senza però richiedere nel contratto le informazioni previste per legge sulla vendita degli strumenti finanziari, dei quali solo in modo non esaustivo si
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possono richiamare il mancato rispetto dell’art. 21 del TUF (dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza e nell’interesse del cliente) e degli articoli che vanno dal 27 al 32 del Regolamento Consob del 1998, così come modificato a seguito delle Direttive MiFID.
Inoltre, stabilire la sola opzione floor appare fortemente penalizzante per i mutuatari in quanto non controbilanciata dalla previsione di una opzione c.d. cap (tetto per la revisione in aumento delle rate di mutuo) a favore degli stessi mutuatari.
Un floor, predisposto a vantaggio unilaterale della concedente, senza cap a tutela del cliente, implica una evidente sbilanciamento dell’alea, con la conseguente nullità, qualificandosi il contratto come ad alea unilaterale, con la conseguenza che gli interessi perseguiti non potrebbero essere tutelati ex art. 1322 c.c. per causa illecita.
La conseguenza della nullità comporterebbe che la clausola floor non potrebbe più gravare il rapporto per quanto attiene agli interessi, con la conseguenza che i mutuatari potrebbero richiedere indietro tutte quelle somme eccedenti rispetto al tasso variabile intervenute per effetto della fissazione di un tasso minimo e della violazione della normativa sulla trasparenza bancaria.
Non a caso il tribunale di Udine, con sentenza n. 850 del 14 giugno 201753, in una causa che aveva ad oggetto un leasing con applicazione della clausola floor ebbe a dire “è elemento essenziale del contratto di leasing che incorpora una clausola floor il requisito di forma-contenuto dell’evidenziazione della caratteristica evidente di derivato embedded54 nonché l’accordo sugli scenari futuri”
La motivazione è da ricondurre alla trasparenza. Il tribunale friulano, infatti, chiarisce nella sentenza che “il cliente deve comprendere la funzione specifica di tale clausola (finanziaria e non legata al contratto base), ed il suo corretto valore; solo così egli saprà quali sono i costi, anche impliciti o differiti, associati alla più ampia operazione di finanziamento” ed in più sottolinea che “non è sufficiente una sola riga, nascosta nel testo di una più ampia clausola di indicizzazione e senza alcuna illustrazione degli elementi costitutivi, a legittimare una pattuizione del genere”.
L’istituto di credito che in contratto impone un derivato con opzione floor per evitare che il tasso di interesse scenda al di sotto del livello fissato proteggendosi, in tal senso, da future oscillazioni negative, ma al contempo non propone un’opzione cap che permetterebbe ai mutuatari di proteggersi da aumenti del tasso d’interesse superiori al tasso fissato evidenzia un palese squilibrio contrattuale tra le parti. Tale situazione sottopone i mutuatari a dei costi impliciti generati in primo luogo dal dover pagare interessi superiori a quanto dovrebbero pagare e nel non vedersi restituire, alle diverse scadenze, la differenza che si manifesterebbe tra l’indice/prezzo di riferimento ed il limite fissato. Per questo motivo un mutuo con la presenza di un floor risulta essere più oneroso di un mutuo senza la presenza di un
53 Già con le sentenze del Tribunale di Udine n. 711 del 13/05/2015 e n.1036 del 20/7/2015, il tribunale disponeva che, in presenza di un derivato implicito, la banca dovesse rispettate non soltanto la disciplina dei contratti di finanziamento (Testo Unico Bancario, TUB) ma anche la normativa sugli strumenti finanziari (Testo Unico della Finanza, TUF);
54 Il termine embedded sta per incorporato, implicito.
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tasso con soglia minima. Infatti, confrontando le strutture di due mutui identici, entrambi a tasso variabile (Euribor), uno con un tasso minimo ad esempio del 3.250% e l’altro privo di un limite, si intuisce facilmente la maggior gravosità economica del primo che “obbliga” il sottoscrittore a pagare comunque il 3.250%, quando l’Euribor dovesse scendere al di sotto di tale soglia impedendogli di beneficiare della sua riduzione.
L’applicazione della clausola determinerebbe, quindi, un significativo squilibrio di diritti ed obblighi tra la banca ed il cliente, soprattutto quando non adeguatamente pubblicizzata. In tal caso, sono molte le sentenze che hanno ammonito le banche riconoscendo l’illegittimità delle clausole floor ai sensi dell’art. 1341 c.c..55
Un floor, predisposto a vantaggio unilaterale della concedente, senza cap a tutela del cliente, implica una evidente sbilanciamento dell’alea, con la conseguente nullità, qualificandosi il contratto come ad alea unilaterale, con la conseguenza che gli interessi perseguiti non potrebbero essere tutelati ex art. 1322 c.c. per causa illecita.
Pertanto si evince che se non contrattualizzata e non adeguatamente pubblicizzata sotto il profilo della trasparenza (ex art 21 Tuf) la clausola floor può essere considerata chiaramente vessatoria. Questo comporta che l’applicazione di essa nei mutui a tasso variabile, deve quindi essere esplicitamente indicata tanto nel foglio informativo, quanto nel documento di sintesi dove vengono riportate le condizioni economiche del finanziamento e il tasso minimo di ammortamento globale. Le conseguenze di una sua accertata nullità comportano, per l’istituto di credito, anche eventualmente in sede di giudizio, l’obbligo di ricalcolo e la restituzione degli interessi ingiustamente maggiorati e pagati in eccesso dal mutuatario.
Secondo la tesi opposta non è però corretto configurare la clausola floor né quale clausola vessatoria e tantomeno quale possibile derivato finanziario.
La pretesa natura vessatoria della clausola floor è in primis esclusa dall’art. 1341, comma 256. L’art. 1341, comma 2 c.c. contiene un elenco di clausole vessatorie, che è considerato “tassativo” dalla giurisprudenza57
55 Al secondo comma esse stabilisce che “ non hanno effetto se non sono specificatamente approvate per iscritto tutte quelle condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria”
56 Cfr nota n. 52 per il contenuto del comma 2 art. 1341 cc.
57 La Cass. civ., sez. III, sent. n. 12044 del 29 maggio 2014, afferma appunto la natura tassativa dell’elencazione contenuta nel 2º dell’art 1341 e specifica tra le altre le sentenze conformi a tale orientamento Tribunale di Monza, sentenza del 24/11/2016; Tribunale Parma, sent. n. 618 del 2/5/2016; Tribunale Modena, sez. I, sent. n. 136 del 14/2/2014; Cass. civ., sez. I, sent. n. 3011 dell’8/2/2008; Cass. civ. sez. II, sent. n. 9646 del 27/4/2006
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Sulla stessa linea l’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) che ha rafforzato la tassatività sancita dalla cassazione di cui all’elenco delle clausole vessatorie contenuto nell’art. 1341 c.c. con la Decisione n. 2735 del 5 maggio 2014 in quanto la clausola floor non è riconducibile a nessuna di quelle individuate nell’art. 1341 c.c. Per un approfondimento circa la posizione dell’ABF si veda nel prosieguo del presente paragrafo.
Secondo tale pensiero la clausola floor non può neanche considerarsi vessatoria ai sensi dell’art. 33 e dell’art. 34 del Codice del consumo (D. Lgs. 206/2005) sopra indicato.
Se l’art 33 stabilisce che: “Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” al successivo art 34 dispone che delimita la possibile vessatorietà delle clausole, chiarendo: “La valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile”.
La valutazione sulla vessatorietà non può cioè riguardare il contenuto economico del contratto, salvo il caso in cui le clausole presentino un difetto di chiarezza e di comprensibilità. A tal riguardo l’ABF, Collegio di Roma, Decisione n. 8867 del 6 ottobre 201658 il quale ha sottolineato che “Né detta clausola può ritenersi vessatoria, atteso che il “carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile” (art. 34, comma 2, D.lgs. 206/2005). Del resto, se, per un verso, si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, per altro verso detto squilibrio non può derivare, per ciò solo, dalla previsione di una clausola floor non accompagnata da una clausola c.d. cap, ossia un limite massimo in favore del cliente (ABF, Coll. Napoli, Dec. n. 2735/2014). Clausole del genere possono essere sindacate, nel nostro ordinamento giuridico, sotto il profilo della vessatorietà, solo a condizione che risultino formulate in modo oscuro e poco comprensibile”.
Più di recente, in data 6 marzo 2018 con sentenza 20222 il Tribunale di Bologna ha negato la natura vessatoria della clausola floor che non può essere valutata in forza della determinazione dell’oggetto o dell’adeguatezza del corrispettivo, richiamando il chiaro disposto dall’art. 34 del Codice del Consumo, dovendosi limitare la valutazione alla chiarezza e comprensibilità della clausola: “In ogni caso, anche se così non fosse, la nostra giurisprudenza ha da tempo negato che, nei contratti rogati da parte di notaio, soggetto particolarmente qualificato, obbligato nei confronti di entrambe le parti, in virtù del mandato professionale ricevuto, dal dovere di confezionamento, ovvero di predisporre uno strumento contrattuale che rispecchi le esigenze rispettivamente esposte, oggetto di negoziazione tra le stesse, possa venire in applicazione la disciplina delle clausole vessatorie o abusive, che peraltro, da parte
58 Conf. ABF, Collegio di Milano, Decisione n. 668 dell’1/4/2011
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della giurisprudenza di merito ormai prevalente, con riferimento alla clausola floor, possono essere riguardate solo “esclusivamente con riferimento alla chiarezza e comprensibilità della formulazione della stessa, e non già in relazione all’adeguatezza del corrispettivo pattuito”, il tutto ai sensi dell’art. 34 C. Cons. (…) In proposito, soprattutto alla luce dei criteri dettati dallo stesso art. 33 cit. (rectius: 1469 bis c.c. testo abr.) e dall’art. 34, 2° co. (rectius: art.1469 ter abr. c.c.) emerge come il legislatore abbia escluso un qualsiasi intervento avente consistenza di sindacato di “giustizia” della clausola in punto oggetto ed adeguatezza del corrispettivo, soprattutto laddove si statuisce che la clausola non può essere considerata vessatoria nell’ipotesi in cui attenga alla determinazione dell’oggetto o all’adeguatezza del corrispettivo limitandosi ad imporre la chiarezza e la comprensibilità della clausola”.
La clausola floor nei contratti bancari, come già anticipato, è inserita in una semplice frase secondo la quale il tasso di interesse applicato al contratto non potrà mai essere inferiore ad una soglia percentuale prestabilita. Su tale presupposto si basano le pronunce dell’ABF confortate, peraltro, dalla normativa contenuta sia nell’art 33 sia nell’art. 34 del codice del consumo.59
Quindi, secondo tale orientamento, se la clausola floor è formulata in modo chiaro e semplice è legittimamente pattuita ed efficace; non riscontrandosi perciò, alcuna vessatorietà.
Anche sul versante del mancato equilibrio contrattuale tra le parti, derivante da mancata previsione di una corrispettiva clausola cap che compensi un ipotetico squilibrio determinato dalla clausola floor60 la giurisprudenza nega la presenza di tale squilibrio finanziario. Secondo il tribunale di Ferrara n. 1131 del 16 dicembre 2015 ha precisato che “Quanto alla denuncia di squilibrio contrattuale, trattasi di affermazione infondata: l’ordinamento non prescrive infatti che i contratti di mutuo prevedano oltre a soglie minime di tasso corrispondenti soglie massime”.
Addirittura si arriva ad affermare che la clausola floor non sia configurabile come derivato finanziario. Secondo parte della giurisprudenza la clausola floor inserita in un contratto puramente bancario non possa essere classificata quale contratto derivato, non avendo la caratteristica di realizzare un investimento, di gestire un rischio di cambio o di speculare sul tasso di cambio di una valuta estera61
59 Tra le altre ABF, Collegio di Roma, Decisione n. 8867 del 6/10/2016; ABF, Collegio di Napoli, Decisione n. 2735 del 5/5/2014; ABF, Collegio di Milano, Decisione n. 668 del 1/4/2011; ABF, Collegio di Milano, Decisione n. 858 del 2/8/2010; ABF, Collegio di Milano, Decisione n. 140 del 18/1/2011; ABF, Collegio di Roma, Decisione n. 2688 del 13/12/2011; ABF, Collegio di Napoli, Decisione n. 305 del 1/2/2012; ABF, Collegio di Roma, Decisione n. 2833 del 3/9/2012
60 ABF Collegio di Napoli, Decisione n. 2735 del 5/5/2014; ABF Collegio di Milano, Decisione n. 688/2011; ABF Collegio di Napoli, Decisione n. 395/2012; ABF Collegio di Roma, Decisione n. 2688/2011
61Tribunale di Bologna, sez. III, sent. n. 20087 del 31 gennaio 2018; Tribunale di Lanciano, sent. n. 142 del 4/4/2018; Tribunale di Trento, sent. del 6 luglio 2017; Tribunale di Monza, sent. n. 196 dell‘8 febbraio 2017; Tribunale di Treviso, sent. n. 1809 del 6 luglio 2016.
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La clausola floor non vive di luce propria ma è inserita all’interno di un contratto di credito; ciò premesso occorre investigare se il contratto sottoscritto abbia finalità speculative oppure no.
Conformemente a ciò, nel contratto in cui l’istituto di credito finanzi il mutuatario, con l’obbligo da parte di quest’ultimo, di rimborsare nel tempo la somma prestata con l’aggiunta di una remunerazione, non è raffigurabile l’ipotesi di realizzare un investimento finanziario. Il derivato si caratterizza principalmente per trasferimento di un rischio; nel contratto di mutuo con clausola floor ciò non è rinvenibile62. In merito a quest’ultimo aspetto il Tribunale di Roma in una recente sentenza del 2018 in tema di irs, come contratto atipico, al fine di capire se possa considerarsi un’operazione di copertura o se abbia aumentato il rischio di “subire perdite”, ha disposto la consulenza tecnica d'ufficio chiedendo, inoltre, la verifica in concreto dell'applicazione di commissioni implicite ed occulte.
Ma anche qualora fosse ipotizzabile ritenere un contratto di mutuo con clausola floor quale “prodotto composto”, la finalità dell’operazione rimarrebbe sempre il trasferimento di denaro, con obbligo di restituzione da parte del mutuatario e con la previsione contrattuale, chiara e comprensibile, di una remunerazione minima del tasso di interesse rappresentata appunto dalla presenza della clausola floor.
A tale punto di arrivo è giunto anche la Banca d’Italia nelle Disposizioni in materia di “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari” del 29 luglio 2009 stabilendo che, in caso di prodotti composti, il Testo Unico Bancario ed il Provvedimento sulla Trasparenza si applicano:
“ all’intero prodotto se questo ha finalità, esclusive o preponderanti, riconducibili a quelle di servizi o operazioni disciplinati ai sensi del titolo VI del T.U. (ad esempio, finalità di finanziamento, di gestione della liquidità, ecc.); – alle sole componenti riconducibili a servizi o operazioni disciplinati ai sensi del titolo VI del T.U. negli altri casi. In caso di prodotti composti la cui finalità esclusiva o preponderante sia di investimento, si applicano le disposizioni del T.U.F. sia al prodotto nel suo complesso sia alle sue singole componenti, a meno che queste non costituiscano un’operazione di credito ai consumatori (alle quali si applica quanto previsto dalle presenti disposizioni)”.
Si deve, però, ricordare in tale contesto che le disposizioni della Banca d’Italia sono regolamenti secondari e perdi più emessi da un organo che non è legislativo, come più volte disposto dalla Suprema Corte di Cassazione.
6.Usura nei derivati: cenni.
Come negli altri prodotti finanziari, anche nei derivati di tipo interest rate swap è possibile individuare l’usura benché risulti più complesso il procedimento da sviluppare per analizzare la presenza o meno di tale anomalia.
Alla luce di ciò si procederà alla trattazione solo teorica dell’argomento in oggetto senza procedere alla parte tecnica matematica che esulerebbe da tale presente contesto giuridico.
62 Tribunale Roma, 02 Febbraio 2018
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Per poter porre in essere tali analisi e verificare il superamento del tasso, è opportuno iniziare con la interpretazione del concetto di “finanziamento implicito” che sovente si individua all’interno dei contratti derivati. Tale concetto rappresenta il punto di partenza su cui esercitare l’analisi della presenza o meno della criticità rappresentata appunto dal superamento del tasso soglia usura (tsu).
L’art. 47, comma 2, Reg. Consob n. 11522/98, raffigura come finanziamento qualsiasi operazione avente come obiettivo l’acquisizione, da parte dell’investitore, di somme di denaro o strumenti finanziari contro il pagamento di un interesse. Partendo da tale concetto di finanziamento, così come inserito nella normativa Consob, si può concludere che anche attraverso la stipula ed in particolare attraverso la rimodulazione di strumenti finanziari derivati, l’istituto di credito può concedere al cliente dei finanziamenti impliciti soggetti alla normativa in ambito di usura. Diverse sono le metodologie tramite le quali è possibile individuare la presenza o meno di un finanziamento implicito ed eventualmente il superamento del tasso soglia di usura, ex L. 108/96, nell’ambito di un contratto derivato.
Il primo metodo/esempio di finanziamento implicito si ha in caso di prestito erogato dalla Banca al cliente in occasione della rimodulazione di un contratto derivato anticipatamente estinto il cui valore negativo viene azzerato per poi procedere alla stipula di un nuovo contratto con la conseguente erogazione di una somma di denaro, denominata “up-front”, a titolo di finanziamento. Tale ulteriore finanziamento non può essere ovviamente inteso come un utile per il cliente, in quanto viene integralmente utilizzato per azzerare il precedente derivato in perdita. Operando con tale modalità il cliente ha maturato63 un debito con l’istituto di credito, finanziato poi dalla stessa attraverso l’erogazione dell’up-front64. A conferma che l’up- front rappresenta a tutti gli effetti un finanziamento erogato dalla banca al cliente per coprire il precedente derivato in perdita si osservi come la sua concedibilità comporta, per l’istituto finanziatore la delibera di una specifica linea di credito di pari importo.
Il secondo esempio, ma più complesso, sul quale la più accreditata dottrina ha fornito indicazioni precise, è quello in cui, in assenza di flussi di cassa all’atto della sottoscrizione del derivato, si individua il finanziamento erogato dalla banca al cliente attraverso una scomposizione delle componenti del derivato che consente di riconoscere il capitale finanziato dalla banca stessa.
Effettuando la scomposizione del derivato nelle sue componenti elementari65 è possibile, infatti, riconoscere ed inquadrare il finanziamento implicito sul quale analizzare l’eventuale superamento del
63 Senza neppure comprendere, all’atto della anticipata estinzione del contratto e nella assoluta convinzione che il passaggio da un contratto ad un altro non avesse nessun costo.
64 Comunemente considerato come una forma di indebitamento da parte del cliente rispetto alla Banca.
65 Operazione denominata “unbundling”.
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tasso soglia. Ogni derivato contiene delle “componenti positive” per il cliente66, che vengono implicitamente acquistate sottoscrivendo il derivato e formano il portafoglio di copertura del cliente stesso.
In assenza del pagamento materiale del premio iniziale dovuto per l’acquisto delle componenti positive67 il derivato viene completato con delle “componenti negative”68 che rappresentano il modo in cui la banca sovvenziona al cliente la quantità di denaro necessaria all’acquisto delle componenti positive.
Ed è in ciò che si concretizza fattivamente il finanziamento implicito da parte dell’istituto di credito a favore del cliente. E´ tramite la scomposizione delle componenti del derivato che si coglie come la banca abbia costruito, nel derivato, tale finanziamento implicito. Le componenti positive del derivato, anziché essere pagate alla banca, vengono finanziate dalla stessa al cliente attraverso componenti per lui negative.
Peraltro le componenti positive del derivato risultano, sempre o quasi sempre inferiori alle componenti negative; tale squilibrio matematico complessivo del valore delle componenti porta alla quantificazione di un “fair value” negativo per il cliente. Affinché l’equilibrio dell’operazione possa essere ricostruito all’atto della stipula del derivato la banca dovrebbe versare al cliente il citato “fair value”, definito anche “up front matematico”. Tale eventualità raramente si ravvisa nella realtà; le banche, sovente, usano riconoscere al cliente solo una parte dell’up-front matematico fondamentale per riequilibrare il rapporto; operando in tal senso, però, la differenza tra l’up-front matematico e quello concretamente riconosciuto, (cd il mark – up) mantiene, lo stato di squilibrio iniziale del contratto che identifica la commissione occulta.
In ogni caso, sia che ci si trovi in una situazione in cui l’istituto di credito non versi interamente il fair value sia che ci si trovi in presenza di mark-up o meglio di erogazione di up-front, il soggetto finanziatore matura e blocca presso di se una commissione definita “implicita” oppure “occulta” che rappresenta l’interesse del finanziamento.
Confrontando le commissioni occulte (cioè i tassi applicati) al finanziamento implicito (up- front/componenti positive) del derivato con il tasso soglia di riferimento per la categoria “anticipi, sconti commerciali e altri finanziamenti delle imprese effettuati dalle banche, è possibile rilevare l’eventuale superamento del tasso soglia usura così come dettato dalla Legge n. 108/96 determinando la fattispecie di reato di usura di cui all’art. 644 c.p., e la contestuale applicazione dell’art. 1815 c.c. che prevede la gratuità del contratto.
66 Sono così definite quelle componenti che costituiscono l’obbiettivo reale del derivato e che di solito rappresentano o dovrebbero rappresentare la copertura di un rischio.
67 Situazione, questa, assai rara.
68 Così definite quelle componenti che di fatto vengono vendute dal Cliente alla Banca, in quanto ad essa favorevoli
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In conclusione è opportuno affrontare un’ulteriore fattispecie tipica. Può accadere, infatti, che l’istituto di credito proponga al cliente la sottoscrizione di un irs contestualmente alla concessione di un mutuo, talvolta addirittura subordinando la delibera sul mutuo alla stipula del contratto derivato.
Se ciò dovesse accadere allora tutti i costi derivanti dal contratto di irs dovranno essere considerati nella verifica del superamento del tsu in quanto trattasi di costi accessori al contratto di mutuo (così come ad esempio avviene per l’assicurazione, i costi di istruttoria, costi di perizia sull’immobile ecc…) tra cui, appunto, anche quanto riconosciuto dal cliente alla banca sugli effetti negativi del contratto, i differenziali negativi.
Un’ultima postilla in merito alla posizione della Cassazione Penale la cui posizione in merito ai derivati invece risulta essere più chiara e decisa rispetto alla posizione dei colleghi della Sezione Civilista.
Il punto di partenza del loro orientamento ha come base il collocamento dei derivati che sovente è contraddistinto da una importante asimmetria informativa. Lo squilibrio informativo fra l’intermediario e l’operatore economico/cliente riguarda non solo alla conoscenza del prodotto e dei parametri finanziari in esso contenuti, ma si estende anche e soprattutto all’ andamento dei mercati e al connesso rischio implicito nel derivato. L’importante conflitto di interesse e degli obblighi di diligenza, informazione, trasparenza e adeguatezza, previsti dall‟art. 21 del T.U.F., inducono a pensare che anche una condotta solo omissiva può celare il proposito di cogliere un indebito profitto dall’errore di valutazione dell’operatore/cliente.
Nel derivato si può ravvisare il reato di truffa ogni qual volta che, non fornendo una chiara rappresentazione del rischio, si mira a trarre vantaggio dall’inesperienza e ignoranza del cliente. “Integra il reato di truffa contrattuale la condotta del funzionario di banca il quale, minimizzando i rischi e non rivelando con completezza tutti gli elementi dell'operazione finanziaria proposta al cliente
(nella specie: vendita di prodotti finanziari atipici, cosiddetti s"waps"), consapevolmente tragga
vantaggio per conto dell'istituto di credito, ai fini della vendita medesima, dall'inesperienza e dalla ignoranza in materia del compratore.” 69
Il dolo proprio del reato di truffa non è solo quello diretto ma anche quello eventuale: così che gli elementi costitutivi del reato ancorché solo possibili, in assenza di una consapevole assunzione di rischio da parte dell’operatore economico/cliente per fatti omissivi dell’intermediario, possono configurare un comportamento, pertanto, ingannevole70.
Affinché ciò non accada è importante, da un lato, la presenza di un operatore economico che intenda sottoscrivere il derivato, pienamente consapevole delle proprie conoscenze tecniche tali che possano
69 Cassazione Pen., 15 ottobre 2009, n. 43347
70 Cassazione Pen. Sez. VI, 7 novembre 1991, n. 470.
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comprendere il rischio che sta per assumersi ma soprattutto, dall’altro lato, un intermediario, che agendo sotto l’obbligo della trasparenza (ex art 21 Tuf), espliciti in modo netto e chiaro al cliente tutti gli elementi del contratto, gli outlook del mercato e, quindi, i rischi che sta per assumersi.
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