Contratto in generale
COMMENTI
Caparra confirmatoria e non imputabilità dell’inadempimento: tutela restitutoria per il contraente deluso*
Commento a Cass., 31 luglio 2023, n. 23209
Xxxxxxxxx Xxxxxx**
Sommario: I. CASO. – II. QUESTIONE DI DIRITTO. – III. COMMENTO: 1. Il patto di caparra confirmatoria: struttura e pro- blemi applicativi (cenni). – 2. Funzione della caparra confirmatoria. – 3. Il recesso del contraente deluso. – 4. (se- gue): Gravità dell’inadempimento. – 5. (segue): Imputabilità dell’inadempimento. – 6. Inadempimento reciproco.
Il contributo analizza gli effetti del patto di caparra confirmatoria nel caso in cui il contratto principale cui questa accede venga risolto per impossibilità sopravvenuta delle reciproche prestazioni. Viene quindi analizzata la figura del recesso legale della caparra confirmatoria previsto dall’art. 1385, comma 2, c.c., delineando le caratteristiche dell’inadempimento che giustifica l’esercizio del recesso, che deve essere grave e imputabile al debitore. In caso con- trario, il contraente deluso che esercita il recesso non può esigere la restituzione del doppio di quanto versato, ma soltanto la restituzione della caparra. Da ultimo, ci si sofferma sul tema del reciproco inadempimento in presenza di un patto di caparra confirmatoria.
The paper analyses the effects of a down payment agreement («caparra confirmatoria») in the event the main contract to which it relates is terminated due to the supervening impossi- bility of the mutual performances. The figure of the legal termination of the down payment agreement provided for by Art. 1385(2) of the Civil Code is then analysed, pointing out the characteristics of the non-performance that justifies the exercise of the termination, which must be serious and imputable to the debtor. Otherwise, the party exercising the termina- tion is not entitled to the return of double the amount paid, but must be content solely with the return of the deposit. Lastly, we turn to the issue of the mutual non-performance in the presence of a down payment agreement.
Parole chiave: Caparra confirmatoria - Non imputabilità dell’inadempimento - Risoluzione per impossibilità sopravvenuta - Restituzione della caparra - Down payment agreement - No imputability of non-performance - Termination on grounds of supervening impossibility - Restitution of down payment
I. CASO
Due promissari acquirenti concludevano con i promit- tenti venditori un contratto preliminare per l’acquisto di un fabbricato e delle aree scoperte di pertinenza, ver- sando contestualmente la somma di lire 100 milioni a
titolo di caparra confirmatoria. L’immobile, già ristrut- turato, avrebbe dovuto essere consegnato il 30 giugno 2001 al prezzo di lire 300 milioni, tuttavia, decorso invano il termine pattuito, le parti avevano integrato in data 12 luglio 2001 il contratto preliminare, preve- dendo l’acquisto di un’ulteriore porzione di immobile
dello stesso compendio per ulteriori lire 300 milioni e
* Contributo pubblicato all’esito di valutazione.
** Dottore di ricerca, Università di Pavia, Avvocato in Milano,
il versamento di una nuova caparra confirmatoria di lire 50 milioni e procrastinando la data di consegna del bene. Nelle more, i promissari acquirenti avevano
messo in vendita la propria abitazione, promettendo di consegnarla entro il 15 novembre 2001.
Nel settembre 2001, sempre i promissari acquirenti avevano scoperto che non era stata mai rilasciata al- cuna concessione edilizia e che l’immobile promesso in vendita non era stato frazionato, né era fraziona- bile; pertanto, gli stessi avevano inizialmente chiesto la restituzione della somma di lire 200 milioni fino ad allora versata e successivamente valutato, invece, l’ac- quisto dell’intero compendio, con versamento di un’ul- teriore somma che avrebbe consentito di liberare il bene dall’ipoteca. Appreso poi della demanialità di una parte dell’immobile da acquistare, i promissari acqui- renti avevano chiesto di ridiscutere il prezzo, indicato dai promittenti venditori in lire 900 milioni; al rifiuto espresso dai primi, questi ultimi avevano loro comuni- cato il recesso per inadempimento.
Ciò premesso, con atto di citazione notificato in data 18 dicembre 2001, i promissari acquirenti convenivano in giudizio i promittenti venditori, onde ottenere la riso- luzione per inadempimento del contratto preliminare, il versamento del doppio della caparra e il risarcimento del danno.
Costituitisi in giudizio, i promittenti venditori adde- bitarono agli attori l’inadempimento, domandando lo scioglimento dei contratti per manifestazione dello ius variandi delle parti e l’accertamento dell’illegittima interruzione delle trattative, con condanna al risarci- mento dei danni.
Emesso, in corso di causa, il sequestro conservativo dei beni dei convenuti, il Tribunale di Venezia, con sen- tenza n. 2582/2007 del 7 settembre 2007, accertava e dichiarava l’impossibilità di esecuzione dei contratti preliminari (avendo medio tempore anche i promit- tenti venditori alienato l’immobile a terzi) e, in accogli- mento della domanda avente ad oggetto il versamento del doppio della caparra, condannava i convenuti, in solido, a pagare la somma di Euro 106.937,07, oltre in- teressi legali, decurtato l’importo già versato di Euro 48.000,00, oltre alle spese di lite.
I promittenti venditori impugnavano la predetta sen- tenza con atto notificato il 20 marzo 2008, domandan- do la sospensione della provvisoria esecutività della stessa, la dichiarazione che nulla era dovuto agli appel- lati e la restituzione dell’importo pagato, oltre a inte- ressi e rivalutazione e rifusione delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
Il giudizio d’appello, nel quale si costituivano i pro- missari acquirenti, chiedendo il rigetto dell’istanza di sospensiva e la conferma della sentenza, salvo appello incidentale e rifusione delle spese di secondo grado, si
concludeva con la sentenza n. 276/2017, pubblicata il 2 febbraio 2017, con la quale la Corte d’appello di Ve- nezia rigettava gli appelli principale e incidentale, con- dannando gli appellanti, in solido tra loro, a pagare agli appellati le spese del giudizio di secondo grado.
Avverso questa sentenza, i promittenti venditori pro- ponevano ricorso per cassazione censurando, inter alia, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1385, comma 2, c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere i giudici di merito confermato la sen- tenza di primo grado, che aveva dichiarato la risoluzio- ne dei contratti preliminari per impossibilità soprav- venuta della loro esecuzione e condannato i ricorrenti al pagamento del doppio della caparra, nonostante essi non avessero esercitato alcun diritto di recesso, né avessero chiesto l’accertamento della risoluzione per recesso, sostenendo che i resistenti non avessero di- mostrato i maggiori danni patiti. In tal modo, i giudici di merito avevano violato le norme in tema di caparra confirmatoria, in quanto non avrebbero potuto acco- gliere la condanna di pagamento della caparra in caso di declaratoria di risoluzione per impossibilità soprav- venuta o di mancata dimostrazione del maggior danno, pena lo snaturamento della funzione di prevenzione e di limitazione del contenzioso giudiziale propria della caparra stessa, stante l’incompatibilità strutturale e funzionale esistente tra azione di risoluzione e risar- cimento integrale, da una parte, e azione di recesso e ritenzione della caparra, dall’altra.
II. Questione di diritto
Il caso deciso con la sentenza 31 luglio 2023, n. 23209 prende le mosse dai rapporti tra i diversi rimedi pre- visti a vantaggio del contraente deluso basati sul patto di caparra confirmatoria accessorio al contratto prin- cipale, e quelli generalmente applicabili ai contratti di scambio, vale a dire la risoluzione e il risarcimento del danno. Più in particolare, la sentenza si sofferma sui tratti caratterizzanti del recesso ex art. 1385, comma 2, c.c., cui viene abbinato il diritto per la parte fedele di ritenere la caparra (se accipiens) o di richiederne in restituzione il doppio (se tradens). Sotto questo pro- filo, la Corte, valutando che nel caso di specie la man- cata realizzazione dello scambio pattuito fosse dipesa non da un inadempimento imputabile al debitore ma, piuttosto, da un’impossibilità (reciproca) ad eseguire la prestazione, conclude per l’estinzione delle obbliga- zioni in ragione dell’art. 1463 c.c., e dunque per l’inope- ratività dell’art. 1385, comma 2, c.c.
La sentenza coglie un condivisibile principio (già indi- viduato dalla dottrina specialistica in materia), secon-
do il quale la pronuncia di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta dell’esecuzione, in quanto fondata su un fatto estraneo alla sfera di imputabili- tà dei contraenti, dà luogo ai soli obblighi restitutori derivanti dallo scioglimento del vincolo contrattuale, essendo le prestazioni rese divenute indebite, ma non consente di condannare il debitore al pagamento del doppio della caparra, atteso che questa costituisce una forma risarcitoria limitata nel «quantum» e correlata al diritto di recesso, il quale, in quanto strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, presuppone l’i- nadempimento della controparte.
III. Commento
1. Il patto di caparra conflrmatoria: struttura e problemi applicativi (cenni).
La questione di diritto evidenziata impone in prima battuta la previa comprensione (seppure in termini es- senziali) della struttura negoziale del patto di caparra
c.d. confirmatoria.
Come è noto, la caparra confirmatoria ha natura di contratto (1) accessorio a un distinto negozio, neces- sariamente a prestazioni corrispettive (2). La caparra
rappresenta una somma di denaro o una quantità di altre cose fungibili che, al momento della conclusione del contratto, una parte dà all’altra allo scopo di raffor- zare l’impegno di garantire l’adempimento (3). Il patto di caparra viene definito come contratto reale, nel sen- so che la sua esistenza è subordinata alla consegna del denaro o della cosa fungibile; tuttavia, non è necessa- rio che la caparra sia data nel momento di conclusione del contratto principale, purché la consegna avvenga prima dei momenti in cui debbono essere eseguite pre- stazione e controprestazione (4). Peraltro, va qui solo aggiunto che, al pari di quanto avviene per altri con- tratti reali (come il mutuo), la realità della caparra è so- vente sostituita dalla promessa della parte alla dazione di una determinata somma a titolo di caparra (5). Ciò posto, se il contratto viene regolarmente adempiuto, la caparra «deve essere restituita o imputata alla presta- zione dovuta» (art. 1385, comma 1, c.c.). La sua fun- zione tipica si realizza però in caso di inadempimento,
cipale ne comporta esclusivamente la restituzione (salvo il risar- cimento del danno se la risoluzione avvenga per inadempimento imputabile); nel silenzio delle parti, il versamento del denaro o la consegna della cosa sono da considerare come anticipo e non come caparra: questa aggrava la posizione dell’inadempiente onde non
si può presumere che le parti vi si siano assoggettate tacitamente
(1) È pacifica la natura contrattuale della caparra: v. BAVETTA, La caparra, Xxxxxxx, 1963, 29 ss.; XXXXXXXXX, voce Caparra, in Enc. dir., VI, Xxxxxxx, 1960, 193; TARDIA, Caparra, in Comm. x.x. Xxxxx- singer, diretto da Xxxxxxxx, Xxxxxxx, 2016, 156; PROTETTÌ, voce Clau- sola penale e caparra, in Enc. Forense, II, Xxxxxxx. 1958, 233; MA- RINI, voce Caparra (dir. civ.), in Enc. giur., V, Xxxxxxxx, 1988, 2; CHERTI, La risoluzione mediante caparra, Cedam, 2012, 11-12. In giurisprudenza: ex multis, Cass., 23 maggio 1995, n. 5644, in Rep. Foro it., 1995, voce C0ntratt0 in genere, n. 367. C0ntra, XXXXXXX, Degli effetti del contratto. Della rappresentanza. Del contratto per persona da nominare, in Comm. x.x. Xxxxxxxx e Xxxxxx, Zani- chelli-Il Foro Italiano, 1993, 173, secondo il quale il patto relativo alla caparra è una clausola che fa parte integrante del contratto a cui inerisce e non già contratto a sé stante.
(2) XXXXXXXX, La caparra, in Dir. civ. Lipari e Xxxxxxxx, coordi- nato da Zoppini, III, Obbligazioni, Il contratto in generale, Giuf- frè, 2009, 691; MARINI, voce Caparra (dir. civ.), cit., 2.; DELLACASA, La caparra confirmatoria, in Tratt. contr. Xxxxx, V, Xxxxxx, 2, Xxxxxxx, 2022, 350, che al riguardo sottolinea come il recesso pre- visto dall’art. 1385 c.c. sia un rimedio sinallagmatico equivalente alla risoluzione. Pertanto, se contestualmente alla conclusione di un contratto preliminare unilaterale che obbliga solo il promit- tente alienante il promissario acquirente gli consegna una somma di denaro, la stessa non costituisce una caparra, ma un semplice acconto sul prezzo del bene. Per la medesima ragione si ritiene un acconto, e non una caparra, la somma versata a seguito della stipulazione di un patto di opzione, ma anteriormente all’accet- tazione. Sul punto, va rammentato che la somma di denaro o la quantità di cose fungibili data a titolo di acconto (o anticipo), ha esclusivamente la finalità di soddisfare parte della prestazione dovuta, con la conseguenza che la risoluzione del contratto prin-
(Cass. 22 agosto 1977, n. 3833, in Dejure; Cass. 22 giugno 2000,
n. 8488, in Dejure. Né al giudice di merito è dato di scindere la funzione della somma versata dal debitore al momento della na- scita dell’obbligazione, considerandone una parte quale caparra e un’altra parte quale acconto sul prezzo, cfr. Cass. 28 agosto 1977,
n. 7935, in Italgiure). In giurisprudenza, sulla necessaria natura sinallagmatica del contratto cui accede la caparra confirmatoria ex multis Cass., 22 giugno 2000, n. 8488, in Rep. Foro it., 2000, voce C0ntratt0 in genere, n. 500.
(3) XXXXXXX, Il contratto in generale, in Tratt. dir. priv. Xxxxxxx, XIII, 5, Clausola penale e caparra, Xxxxxxxxxxxx, 2002, 461.
(4) XXXXXXXXX, Caparra confirmatoria a mezzo di assegno ban- cario e mancato incasso: un esempio di abuso della regola di buo- na fede, in Riv. dir. civ., 2023, IV, 811-812. In giurisprudenza, xxx. Xxxx., 00 xxxxxx 0000, x. 0000, xx Xxxxxxxxx.
(5) Cfr. sul punto le riflessioni di XXXXXXXXX, op. cit., 822, il quale ritiene che nell’ambito della loro autonomia privata, i contraenti sono liberi di concepire la consegna del denaro non già come elemen- to originariamente formativo del patto, ma semplicemente come il contenuto di una delle successive obbligazioni che da esso sorgono, con la conseguenza che l’eventuale dazione di un assegno bancario non riscosso non impedisce il realizzarsi della fattispecie se concepita dalle parti come consensuale. La consegna non costituisce perciò un elemento sempre necessario ai fini della validità o dell’esistenza del- la figura, né segna tassativamente il suo momento genetico. La sua mancanza impone piuttosto di verificare, caso per caso, la presenza di un accordo volto a costituire una caparra consensuale a effetti ob- bligatori, in cui la successiva dazione del denaro costituisca adem- pimento del patto e presupposto (eventuale) del diritto a ritenere la caparra, in caso di inadempimento del tradens, o dell’obbligo di resti- tuirne il doppio, qualora risulti inadempiente l’accipiens.
legittimando il contraente fedele a far valere il recesso di autotutela ex lege accordatogli dalla norma (6). In- vero, se inadempiente è la parte che ha dato la capar- ra, l’altra parte può recedere e trattenere la caparra; se inadempiente è invece chi l’ha ricevuta, chi l’ha data può recedere e pretendere il doppio della caparra (art. 1385, comma 2, c.c.). Il danno per l’inadempimento viene così forfetariamente liquidato nella misura della caparra. Ma se chi subisce l’inadempimento preferi- sce, può chiedere la liquidazione del danno secondo i criteri generali (dovendone quindi provare esistenza e ammontare): in tal caso non recederà, ma chiederà la risoluzione per inadempimento. E se nonostante l’ina- dempimento resta interessato all’esecuzione del con- tratto, chiederà questa, oltre eventualmente al danno: in questo caso né recederà né chiederà la risoluzione (art. 1385, comma 3, c.c.).
La scelta tra le due coppie di rimedi previsti dalla nor- ma (recesso-caparra e risoluzione-risarcimento) è orientata da un giudizio prognostico relativo all’entità del danno che il creditore è in condizione di provare. La preferenza è destinata a ricadere sulla ritenzione o sulla restituzione del doppio della caparra, in abbina- mento con il recesso, quando il pregiudizio che il credi- tore è in grado di provare risulta inferiore alla somma versata al momento della conclusione del contratto (7). Peraltro, va aggiunto che allorquando la caparra acce- da ad un contratto preliminare di compravendita im- mobiliare (ciò che rappresenta la maggioranza dei casi nella prassi), il danno provocato dall’inadempimento del promissario acquirente risulterà superiore alla ca-
Ma il creditore spesso non agisce in modo razionale (non favorendo così una gestione efficiente dell’ina- dempimento di controparte), e sovente domanda la risoluzione e il risarcimento anche se non può provare di aver subito un pregiudizio superiore all’ammontare della caparra, per poi (in fase di impugnazione della sentenza di rigetto di primo grado) richiedere l’accer- tamento del recesso e il conseguente diritto a ritenere la caparra o a esigerne il doppio. Oppure, sovvertendo lo schema rimediale previsto dall’art. 1385, commi 2 e 3, c.c., chiede in giudizio l’accertamento dei rimedi conseguenti alla caparra pur domandando solo la ri- soluzione del contratto (ciò che richiede di valutare se questi siano compatibili con la risoluzione giudiziale o necessitino obbligatoriamente del recesso per essere attivati); o ancora, domanda la risoluzione del contrat- to e il risarcimento del danno e chiede in via cumulati- va (come nel caso di cui alla sentenza in commento) o subordinata il diritto a ritenere la caparra o la condan- na di controparte a corrispondergliene il doppio. Evi- dentemente, si tratta di comportamenti opportunistici del creditore tesi a ottenere un risarcimento integrale, fatto salvo il proprio diritto a incamerare in ogni caso la caparra o il doppio della stessa. La giurisprudenza ha nel tempo individuato alcuni punti fermi, richiama- ti anche dalla sentenza in commento (8), mantenendo tuttavia ancora una certa instabilità soprattutto relati- vamente ai rapporti con il risarcimento del danno, con
parra realisticamente solo quando si sia verificata una
sensibile riduzione del valore di mercato dell’immobi- le, divenuto notevolmente inferiore al prezzo pattuito, ciò che indurrà il creditore razionale ad attivare il mec- canismo rimediale previsto dalla caparra, piuttosto che chiedere il danno nella sua misura piena.
(8) Il riferimento è alla nota Cass., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 553, in Giur. It., 2009, 1113 ss. con nota di SICCHIERO, Indisponibi- lità dell’effetto risolutivo stragiudiziale (artt. 1454, 1456 e 1457 c.c.), la quale ha affermato che risarcimento e caparra sono alter- nativi e incompatibili. Tra i due rimedi compensativi non sussiste una relazione di continenza, in quanto la caparra non costituisce la misura minima del risarcimento: quest’ultimo può ben essere inferiore alla caparra, o addirittura non essere accordato se l’atto-
re non riesce a dimostrare il pregiudizio subito. Ne consegue che
proposta in prima istanza domanda di risoluzione del contratto e
(6) XXXXX, Il C0ntratt0, in Tratt. dir. priv. Iudica e Xxxxx, 2a ed., Xxxxxxx, 2011, 519-520, il quale osserva, definendo la figura del recesso di autotutela, come in alcuni casi la legge dia alla parte la facoltà di recesso, per consentirle di reagire contro eventi sopravve- xxxx che minacciano i suoi interessi contrattuali: la liberazione dal vincolo è il mezzo con cui la parte si tutela; e siccome la liberazio- ne consegue automaticamente all’iniziativa della parte, tali recessi sono definiti come recessi di autotutela. È coerente con questa rati0 che i recessi di autotutela (a differenza di quelli di liberazione) non siano rimessi alla pura valutazione del recedente, ma siano eserci- tabili solo in presenza di determinati presupposti giustificativi. Pre- supposto giustificativo può essere l’inadempimento di controparte; ciò accade quando sia stata data una caparra confirmatoria.
(7) DELLACASA, La caparra confirmatoria, cit., 468.
risarcimento del danno (art. 1385, comma 3, c.c.), è inammissibile in quanto nuova l’azione volta ad ottenere l’accertamento del di- ritto di recedere e ritenere la caparra esercitata in sede di gravame o in una fase più avanzata dello stesso giudizio di primo grado.
Si vedano anche i commenti sempre a Xxxx., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 553, di LUCCHINI GUASTALLA, Risoluzione del contratto e irrinunciabilità dell’effetto risolutorio, in Resp. civ. e prev., 2009, 1089 e ss.; DELLACASA, Caparra confirmatoria e disponibilità dell’effetto risolutorio, in Obbl. contr., 2009, 633 e ss.; D’XXXXXXX, Sulla novità della domanda nei rapporti tra le azioni di recesso e di risoluzione del contratto previste dall’art. 1385 x.x., xx Xxx. xxx. xxxx., 0000, 0000 x xx. Xx veda altresì Cass., 17 dicembre 2013,
n. 28204, in Giur. It., 2014, 2422 e ss., con nota di XXXX, I rapp0rti tra caparra e risarcimento del danno.
riferimento al cumulo e subordinazione di domande appena menzionato (9).
(9) Per la cui analisi si rimanda interamente alla esaustiva e luci- da trattazione di DELLACASA, La caparra confirmatoria, cit., 526 e ss. Valga qui solo evidenziare che, come sottolineato dall’A., il contegno dell’attore che richiede la ritenzione della caparra o la dazione del suo doppio in via cumulativa o subordinata rispetto al risarcimento del danno è analogo a quello che alimentava il mutamento della doman- da (da risarcimento del danno a ritenzione o restituzione del doppio della caparra) nella fase di appello, a seguito di rigetto della doman- da di risarcimento danno in primo grado, come visto ora negato da Xxxx., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 553, cit.: il contraente deluso tenta di ottenere un risarcimento superiore alla caparra senza rinunciare al diritto di avvalersi di essa qualora non riesca a provare di aver su- bito un danno maggiore. Una domanda così congegnata tende però a configurare la caparra come «misura minima del risarcimento» (ciò che non è, cfr. infra, nel testo), non diversamente da quanto si verifica quando è pattuita una penale ed è espressamente convenuta la risarcibilità del danno ulteriore (art. 1382, comma 1, c.c.); la sua ammissibilità contrasterebbe quindi con la previsione dell’art. 1385, comma 3, c.c., che prevede la possibilità per il contraente deluso di agire domandando il risarcimento integrale del danno, dovendolo
Pur in presenza di domande contestuali di risoluzione, risarcimento e corresponsione del doppio della capar- ra formulate dall’attore nel caso di specie, la sentenza in commento ha però escluso tout court l’applicazione del meccanismo rimediale previsto dalla caparra, in ra- gione della mancanza dei presupposti di imputabilità dell’inadempimento in capo al debitore. Sicché, non pare utile in questa sede indagare a fondo le proble- matiche applicative dell’istituto evidenziate (giacché nemmeno la sentenza in esame se ne occupa).
Occorre qui solo puntualizzare che, come sancito dalla cassazione a sezioni unite (e richiamato dalla sentenza qui commentata), i rimedi sinallagmatici del recesso (art. 1385, comma 2, c.c.) e della risoluzione (art. 1385, comma 3, c.c.) sono tendenzialmente fungibili, così che se il contraente deluso chiede la risoluzione del contratto e l’accertamento del suo diritto di ritenere la caparra (o di riceverne il doppio), il giudice può acco- gliere la prima domanda riqualificandola come azione di accertamento della legittimità del recesso (10). Tale
però provare, con la conseguenza che all’esito del giudizio se questi
non prova il danno non avrà diritto ad alcuna compensazione eco-
nomica. Ne discende che a fronte della proposizione delle due do- mande in via cumulativa o subordinata è preferibile ritenere che il giudice debba considerare nel merito la sola azione di risarcimento dichiarando inammissibile quella inerente alla caparra proposta in via cumulativa o subordinata. La giurisprudenza è prevalentemente orientata in questo senso: quando oltre alla risoluzione, il contraen- te deluso chiede cumulativamente l’accertamento del suo diritto di ritenere la caparra (o la condanna della controparte a restituirne il doppio) e il risarcimento del danno, il petitum viene identificato con quest’ultimo (cfr. Cass., 16 aprile 2021, n. 10178, in DeJure; Cass. 12
ottobre 2020, n. 21971, in One Legale; Cass. 27 marzo 2019, n. 8571, in DeJure). Il danno conseguente alla risoluzione deve, dunque, esse- re dimostrato, sicché se l’accipiens non soddisfa l’onere della prova è tenuto a restituire la caparra: si ammette, tuttavia, che in pendenza del giudizio la somma possa essere ritenuta a garanzia della corre- sponsione del risarcimento (cfr. Cass., 8 settembre 2017, n. 20957, in Italgiure). Altra giurisprudenza, facendo leva sull’assunto in base al quale l’identificazione del petitum (in quanto fondata sull’interpre- tazione della domanda) è riservata al giudice di merito, sicché non può essere censurata in sede di legittimità se congruamente motiva- ta, riconosce al contraente deluso il diritto di ritenere la caparra o di esigerne il doppio benché abbia contestualmente domandato oltre alla risoluzione del contratto anche il risarcimento del danno (Cass. 15 ottobre 2021, n. 28298, in DeJure; Cass. 23 aprile 2020, n. 8048, in DeJure; Cass. 8 agosto 2019, n. 21209, in One Legale). Tuttavia, come rilevato dall’A., la definizione dell’oggetto del processo costitu- isce una questione di diritto, sulla quale la Cassazione è tenuta a pro- muovere l’adozione di un orientamento uniforme. Quando vengono domandati cumulativamente la ritenzione o la restituzione del dop- pio della caparra e il risarcimento del danno, il petitum va identificato con quest’ultimo; potrebbe giungersi a una conclusione differente allorquando dalla formulazione della domanda risulti evidente che il contraente deluso abbia chiesto, oltre alla ritenzione della caparra o alla restituzione del doppio, il risarcimento di un pregiudizio diffe- rente e ulteriore rispetto a quello conseguente allo scioglimento del rapporto. Se è infatti vero che caparra e risarcimento sono incompati- bili quando si tratta di compensare il c.d. danno da risoluzione, non si
può escludere che l’inadempimento cagioni pregiudizi ulteriori: e sic- come rispetto ad essi la caparra non offre alcun ristoro, si può ammet- tere che il risarcimento intervenga a integrarla (ad es. nel caso il pro- mittente alienante che abbia consegnato l’appartamento promesso in vendita nella ragionevole aspettativa di ottenere tempestivamente il saldo del prezzo da impiegare nell’acquisto di un altro appartamento domandasse, oltre alla ritenzione della caparra e alla restituzione del valore di godimento dell’immobile, il risarcimento del danno deri- vante dalla prolungata indisponibilità di un alloggio). Ugualmente, si ritiene inammissibile la domanda avente ad oggetto la ritenzione o la restituzione del doppio della caparra subordinata a quella di risar- cimento (cfr. Cass. 30 novembre 2015, n. 24337, in DeJure; Cass. 6 marzo 2012, in One Legale), in quanto, anche in questa configurazio- ne, la caparra costituirebbe la misura minima del risarcimento, atteso che il creditore potrebbe avvalersi di essa qualora non fosse riuscito a dimostrare di aver subito un pregiudizio superiore.
(10) Cass., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 553, cit. Allo stesso modo sempre la citata Cassazione a sezioni unite ha affermato che una domanda (principale) di risoluzione contrattuale correlata ad una richiesta risarcitoria contenuta nei limiti della caparra non è altro che una domanda di risoluzione avanzata senza il corredo di una ulteriore richiesta risarcitoria, rapportata o meno all’entità della caparra, e avrà il solo scopo di caducare in via giudiziale il contrat- to senza ulteriori conseguenze economiche per la parte inadem- piente (si veda sul punto anche Cass., 1 agosto 2022, n. 23820, in One Legale, che ha escluso, in tal caso, il vizio di ultrapetizione allorché, a fronte della domanda di risoluzione del contratto e con- seguente restituzione dell’acconto versato, si adotti la statuizione restitutoria in relazione alla diversa fattispecie del legittimo reces- so della parte, trattandosi pur sempre di pronuncia consequen- ziale all’accertamento dell’avvenuto scioglimento del rapporto, fondato sulle circostanze di fatto originariamente dedotte, senza che sia stato introdotto un nuovo tema di indagine), senza che, nel corso del giudizio, sia lecito introdurre complementari domande
«risarcitorie» collegate (che risulterebbero del tutto nuove e per- tanto inammissibili), per tali rilievi v. la sentenza in commento, Cass., 31 luglio 2023, n. 23209, in DeJure.
rilievo è utile a sottolineare che nel caso di specie l’atto- re avrebbe dunque avuto comunque diritto a ottenere il doppio della caparra richiesto, pur avendo domanda- to la risoluzione del contratto (e non il recesso ex art. 1385, comma 2, c.c.). Tuttavia, come visto, la Corte ha però escluso l’applicazione dei rimedi previsti dalla ca- parra, in luogo di quello conseguente alla declaratoria di inefficacia ex tunc del contratto (discendenti dalla risoluzione per impossibilità sopravvenuta del contrat- to): vale a dire la ripetizione dell’indebito. Per giunge- re a tale soluzione, la Corte si è soffermata (anche se brevemente), e al precipuo fine di escluderne l’appli- cazione, sulle caratteristiche del recesso che la norma di cui all’art. 1385, comma 2, c.c. accorda al contraen- te deluso. Seguendo questa direttrice verranno quindi esaminati di seguito i tratti fondamentali di tale figura di recesso (legale), non prima di aver però enucleato la funzione della caparra, ciò che consente in ultima ana- lisi di capire perché l’ordinamento preveda il recesso abbinato alla liquidazione forfetaria del danno subito in presenza di un patto di caparra confirmatoria, e per- ché preveda anche la scelta in capo al creditore di agire domandando la risoluzione del contratto e chiedendo, dovendolo però provare, il risarcimento del danno nel- la sua integralità.
2. Funzione della caparra conflrmatoria.
Sotto il profilo funzionale, prevalente è la tesi che rico- nosce alla caparra carattere c.d. «eclettico», variabile a seconda della conformazione del patto e delle vicende relative all’esecuzione (o meno) del contratto principale cui accede. In particolare, è volta a garantire l’esecuzione del contratto, venendo incamerata in caso di inadempi- mento della controparte (sotto tale profilo avvicinandosi alla cauzione) (11); consente, in via di autotutela, di rece- dere dal contratto stragiudizialmente; forfettizza il dan- no derivante dal recesso cui la parte è stata costretta a causa dell’inadempimento della controparte (è tuttavia escluso dalla forfetizzazione il pregiudizio riconducibile ad un illecito diverso dall’inadempimento, ad esempio l’occupazione abusiva dell’immobile da parte del pro- missario acquirente) (12).
(11) La cauzione, più volte menzionata nel codice civile (artt. 381, 515, 647, 1002, 2387, 2535 c.c.) anche se sprovvista di una specifica disciplina, ha per oggetto una somma di denaro, e ha la funzione di garantire un credito, attuale o futuro (come quello risarcitorio per un eventuale inadempimento). Se sorge il credito, il creditore lo compensa in tutto o in parte con il debito di restituzione verso colui che ha versato la cauzione, cfr. XXXXXXX, Claus0la penale, cit., 461.
(12) Cass., 30 settembre 2016, n. 19043, in Giur. It., 2017, 315 e ss, con nota di GALLO, Inadempimento reciproco e caparra confirma- toria nel prisma della giurisprudenza. Quindi, nel caso in cui sia
È possibile tuttavia giungere a una precisa caratteriz- zazione funzionale del patto di caparra se si considera lo stesso alla stregua di un rimedio accordato al con- traente deluso.
Tale indagine consente di contestualizzare parte della motivazione della sentenza in commento, laddove que- sta afferma che «la caparra […] costituisce una forma risarcitoria limitata nel “quantum” e correlata al di- ritto di recesso» (13).
È utile a tal fine un paragone con la clausola penale. Differentemente dalla clausola penale (art. 1382 c.c.), la caparra confirmatoria non costituisce la misura mi- nima del risarcimento, in quanto ex art. 1385, comma 3, c.c. il contraente deluso ha il diritto di chiedere il risarcimento del danno nella sua integralità, esponen- dosi tuttavia al rischio di ottenere una somma inferiore a quella oggetto di caparra, o addirittura di non con- seguire nulla, se non dimostra il danno subito in con- seguenza allo scioglimento del rapporto (14). Mentre in presenza di una penale concordata ai sensi dell’art. 1382 c.c., il contraente che subisce l’inadempimento non può in alcun caso ottenere un risarcimento su- periore alla somma pattuita a titolo di penale (aven- do questa l’effetto tipico di «limitare il risarcimento della prestazione promessa»), a meno che nel patto non sia stata convenuta l’espressa risarcibilità del dan- no ulteriore. In tale ipotesi, il creditore potrà dunque ottenere il danno ulteriore eccedente la penale, se in grado di provarlo, fermo il proprio diritto a incamerare l’ammontare minimo già pattuito: sotto questo profilo, allora, la penale costituisce la misura minima del risar- cimento. La penale manifestamente eccessiva può poi essere ridotta ad equità dal giudice (art. 1384 c.c.), ciò che invece non è previsto per la caparra.
prevista una caparra confirmatoria, la parte fedele ha la facoltà di recedere dal contratto trattenendo la caparra in luogo di chiedere la risoluzione giudiziale del contratto ed il risarcimento del dan- no; il che preclude in linea di principio la possibilità di chiedere il risarcimento del danno ulteriore conseguente all’inadempimento, ma non anche del danno conseguente all’occupazione senza titolo del bene di cui il promissario acquirente ha goduto prima della risoluzione del contratto.
(13) Cass., 31 luglio 2023, n. 23209, cit., 11.
(14) L’opinione è largamente condivisa. In giurisprudenza, x. Xxxx., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 553, cit, Cass., 20 settembre 2004, n. 18850, in One Legale; Cass. 13 maggio 2004, n. 9091, in One Legale; Cass. 11 marzo 2003, n. 3555, in DeJure. In dot- trina, XXXXXX, Sulle clausole “di uscita” dal contratto. Contributo allo studio della risoluzione di diritto, Xxxxxxxxxxxx, 2020, 75 e ss.; XXXXXXXX, La caparra, cit., 693; XXXXXXXXX, voce Caparra, cit., 200; BAVETTA, La caparra, cit., 165.
Come è stato notato, allora, risulta evidente come l’in- teresse protetto da quest’ultima non coincida affatto con quello tutelato dalla clausola penale e dal risarci- mento del danno. Invero, anziché predeterminare il pregiudizio conseguente alla mancata attuazione dello scambio programmato tra le parti, vale a dire l’inte- resse positivo (art. 1223 c.c.), la caparra confirmatoria rappresenta il danno subito dalla parte delusa a causa dell’affidamento riposto nell’attuazione del rapporto. La somma di denaro consegnata a titolo di caparra pre- determina convenzionalmente l’interesse negativo, ed in particolare quella componente di esso che si identi- fica con gli affari alternativi trascurati a causa dell’affi- damento deluso (15).
Tale ricostruzione si attaglia perfettamente alla fat- tispecie negoziale a cui con più frequenza nella pras- si accede il patto di caparra confirmatoria, e cioè il contratto preliminare di vendita immobiliare, peral- tro oggetto anche della sentenza in commento. Sotto questo profilo, la caparra compensa l’affidamento del promittente alienante che ricevendo una somma di denaro si impegna a tenere fermo l’affare, astenendosi dall’alienare il bene a terzi. In quanto consegnata con- testualmente alla conclusione del contratto principale, la caparra non solo remunera la rinuncia a concludere affari alternativi a quello programmato dal contrat- to preliminare, ma alimenta e realizza l’affidamento dell’accipiens (che potrà in ogni caso ritenere la som- ma, o quale acconto sul prezzo o a seguito del recesso). Anche il tradens dimostra di confidare nell’attuazio- ne del rapporto privandosi della disponibilità di una risorsa economica che rappresenta l’intensità del suo affidamento: maggiore la somma versata, più inten- so l’affidamento nella realizzazione dell’affare. Al pari dell’accipiens confida nella disponibilità della somma ricevuta e su questa base si astiene dal contrarre con terzi. Così il tradens acconsente a privarsi di essa in ragione del fatto che il suo affidamento nell’attuazione dell’affare è protetto dalla legge.
Ne discende che la caparra confirmatoria compensa l’affidamento del contraente deluso, nella cifra del suo interesse negativo che sorge contestualmente alla for- mazione del contratto principale: per tale ragione la caparra viene consegnata al momento della conclusio- ne del contratto. Viceversa, la clausola penale mira a riprodurre (con inevitabile approssimazione) il pregiu- dizio conseguente alla mancata attuazione del rappor-
(15) DELLACASA, Inadempimento e affidamento del contraente de- luso: una riflessione su risarcimento e caparra, in Riv. dir. priv., 2013, 232 ss.
to, assumendo quale riferimento l’interesse del credi- tore all’adempimento. Questa viene promessa da una parte all’altra (e non consegnata), in linea con il fine di soddisfacimento dell’interesse positivo cui mira, in via forfettaria, il ristoro.
Conclusivamente, la caparra non limita la misura del risarcimento esigibile dal contraente deluso proprio perché protegge un interesse diverso da quello del ri- medio legale. Nel contesto dell’art. 1385 c.c., al credito- re viene quindi accordata la scelta tra la protezione del suo interesse negativo, predeterminato nella misura della caparra (comma 2), e il risarcimento dell’interes- se positivo pregiudicato in conseguenza dell’inadempi- mento (comma 3) (16).
3. Il recesso del contraente deluso.
Ciò posto, è ora possibile analizzare i tratti caratte- rizzanti del recesso accordato al contraente deluso in presenza di un patto di caparra. Il recesso previsto dal secondo comma dell’art. 1385 c.c. appartiene alla cate- goria dei recessi legali, c.d. di autotutela (cfr. già, su- pra, nt. 6), e trova la propria giustificazione nell’altrui inadempimento. Attraverso tale recesso si concede al contraente fedele di liberarsi da un vincolo che non ha più interesse a mantenere. Tale meccanismo integra una forma stragiudiziale di risoluzione del contratto (17), per la quale è sufficiente una semplice manifesta- zione di volontà da parte del contraente adempiente (18), la cui efficacia retroattiva tra le parti non è inficia- ta dal principio di esecuzione del contratto principale;
(16) DELLACASA, op. cit., 232 ss.
(17) XXXXXXXXX, Dei contratti in generale, in Comm. x.x. Xxxx, IV, 2, Torino, 1980, 348; C. M. BIANCA, Diritto civile, 5, La responsa- bilità, Xxxxxxx, 1994, 369; XXXXXXX, Degli effetti del contratto, cit., 173; in giurisprudenza, Cass. 14 marzo 1988, n. 2435, in Rep. Foro it., 1988, voce C0ntratt0 in genere, n. 319. Dottrina e giurispru- denza concordano nel ritenere che il recesso di cui all’art. 1385, comma 2, c.c. costituisce, in realtà, un modo per risolvere il con- tratto: «il recesso previsto dal 2° comma dell’art. 1385 configura uno strumento speciale di risoluzione del contratto, collegato alla pattuizione di una caparra confirmatoria, […] di cui [il contraen- te] non inadempiente può avvalersi in luogo dell’azione di adem- pimento o di quella generale di risoluzione previste dall’art. 1453, 1° comma, c.c.: ne consegue che, in mancanza di contestazioni del contraente asserito inadempiente circa la sussistenza o l’impor- tanza dell’inadempimento, l’esercizio del recesso comporta l’ef- fetto risolutivo indipendentemente dall’adesione del contraente inadempiente» (Cass. 14 marzo 1988, n. 2435, cit.).
(18) Tale volontà di recedere può essere manifestata mediante un atto non formale di natura recettizia, v. XXXXXXX, La caparra, cit., 162; oppure tacitamente, qualora possa inequivocabilmente desu- mersi dal comportamento tenuto dal contraente fedele, cfr. XXXXXX, Efficacia, condizione e termine, esecuzione, penale e caparra, in C0mm. Cendon, XXV, Utet, 2000, 352.
essendo il recesso unilaterale in parola di natura legale non trova, infatti, applicazione l’art. 1373, comma 1, c.c., che riguarda esclusivamente quello di tipo con- venzionale (19).
La realità del patto di caparra confirmatoria e la liqui- dità della stessa sono le principali ragioni in base alle quali il legislatore ha accordato al contraente fedele la legittimazione a recedere, anziché quella ad esperire un’azione giudiziale (20). Il recesso in parola scioglie immediatamente il vincolo contrattuale, precludendo al debitore di adempiere tardivamente alla propria prestazione. Tale situazione coincide con quella previ- sta dall’art. 1453, comma 3, c.c. a mente del quale dalla data di proposizione della domanda di risoluzione per inadempimento, l’inadempiente non può più adempie- re la propria obbligazione.
Non stupisce allora che il recesso legale della caparra confirmatoria riproduca nei suoi tratti essenziali la fi- sionomia della risoluzione giudiziale, ciò che si osserva in particolare in relazione: i) alle caratteristiche dell’i- nadempimento che giustifica l’esercizio del recesso, che deve essere grave e imputabile al debitore; nonché
ii) al trattamento dell’inadempimento reciproco (oltre al rapporto con l’azione di adempimento). È in relazio- ne al primo aspetto evidenziato che nel caso di cui alla sentenza in commento la Corte di Cassazione ha esclu- so l’applicabilità dell’art. 1385 c.c. (e quindi la condan-
na dell’accipiens alla restituzione del doppio della ca- parra ricevuta), ravvedendo l’assenza di imputabilità nell’inadempimento del debitore.
4. (segue): Gravità dell’inadempimento. Procedendo con ordine, va anzitutto trattato il tema della rilevanza dell’inadempimento ai fini della pro- duzione degli effetti della caparra. Come si è detto, si reputa applicabile la disciplina prevista in tema di riso- luzione: salvo contraria volontà (21), l’inadempimento deve essere grave avuto riguardo all’interesse della con- troparte (22). Diversamente opinando, si finirebbe con il contraddire l’essenza dell’istituto, comprometten- done la funzione di rafforzamento dell’accordo prin- cipale cui accede, giacché uno dei contraenti potrebbe profittare dell’inadempimento lieve dell’altro per non eseguire la propria prestazione e recedere dal contrat- to (23). La caparra invece che consolidare il negozio principale finirebbe col disgregarlo in presenza di un qualsiasi inadempimento, ponendosi in contrasto pure con la necessità dell’ordinamento di proteggere l’affi- damento riposto nella serietà del vincolo contrattuale (24). La necessaria gravità dell’inadempimento del de- bitore inadempiente è anche richiesta, al fine di evitare abusi, dal fatto che il creditore adempiente, al fine di trattenere la caparra o esigerne il doppio, è esonerato dalla prova del danno.
(19) XXXXXXXXX, Dei contratti in generale, cit., 348; DE NOVA, Le clausole penali e la caparra confirmatoria, in Sacco e De Nova, Obbligazioni e contratti, in Tratt. dir. priv. Xxxxxxxx, 10, II Utet, 1995, 458; in giurisprudenza, cfr. Cass., 28 dicembre 1993, n. 12860, in Rep. Foro it., 1993, voce C0ntratt0 in genere, n. 358; Cass., 1 dicembre 1994, n. 10300, in Vita n0t., 1995, 739. C0ntra, TRIMARCHI, voce Caparra, cit., 203.
(20)In particolare, se l’inadempimento è imputabile alla parte che ha dato la caparra, l’altra può autotutelarsi ritenendo la somma rice- vuta: non essendo necessario che eserciti un’azione di condanna per essere compensata dal pregiudizio conseguente allo scioglimento del rapporto, lo stesso può essere sciolto «economicamente» me- diante atto stragiudiziale. Quando invece l’inadempimento è impu- tabile alla parte che ha ricevuto la caparra, la parte che l’ha data può vedersi costretta ad agire in giudizio, per esercitare un’azione di condanna volta a conseguire il pagamento del doppio di essa. È an- che vero, però, che la liquidità del relativo credito agevola l’applica- zione stragiudiziale del rimedio, giustificando così anche in questo caso la previsione del recesso. Il rilievo trova riscontro, in giurispru- denza, nell’indirizzo favorevole ad ammettere che la pretesa avente ad oggetto la restituzione del doppio della caparra possa essere fatta valere mediante ricorso per decreto ingiuntivo (cfr. inter xxxx, Xxxx., 6 settembre 2011, n. 18266, in Resp. civ. e prev., 2012, 584, con nota di XXXXX, Recesso con diritto alla caparra, risoluzione del contratto e tutela del contraente in bonis): un procedimento che proprio in ragione della liquidità della prestazione configura il contraddittorio tra le parti come successivo ed eventuale; cfr. per tali considerazioni DELLACASA, La caparra confirmatoria, cit., 497.
(21) Ciò si verifica, ad esempio, nel caso in cui i contraenti abbia- no fatto ricorso ad una clausola risolutiva espressa che, ex art. 1456 c.c., preclude al giudice l’accertamento della gravità dell’inadem- pimento, cfr. Trib. Firenze, 26 maggio 2003, in DeJure. Tuttavia, si è più recentemente affermato che «il preventivo e consensuale apprezzamento automatico della “gravità” dell’inadempimento, conseguente alla pattuizione di un termine essenziale (come an- che di una clausola risolutiva espressa), viene meno se la parte […] rinuncia ad avvalersi della risoluzione del contratto e preferisce recederne, per ottenere la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, anziché l’integrale risarcimento del danno subito», cfr. Cass., 25 ottobre 2010, n. 21838, in Vita n0t., 2011, 366.
(22) La gravità dell’inadempimento è un concetto distinto dall’en- tità del danno, il quale potrebbe essere del tutto assente, rilevan- do piuttosto la «misura (il quantum) della violazione del pro- gramma contrattuale»; sia nella risoluzione che nella caparra «il contratto si può sciogliere anche se l’inadempimento non abbia causato un danno risarcibile: […] il risarcimento è un effetto ul- teriore che non dipende dalla risoluzione né è ad essa collegato»,
v. CHERTI, L’importanza dell’inadempimento nel recesso mediante caparra, in C0ntratti, 2015, 453.
(23) TARDIA, Caparra, cit., 231.
(24) XXXXXXX, La caparra, cit., 130; contra, XXXXXXXXX, voce Capar- ra, cit., 195 e ss, per il quale, in assenza di una specifica volontà degli interessati, è sufficiente che si verifichi un inadempimento anche lieve: del resto, l’art. 1385 c.c. non richiama in modo espres- so il disposto dell’art. 1455 c.c.
L’inadempimento «grave» è quello che integra un pre- giudizio concreto al complesso dei rapporti economi- ci costituiti tra le parti (25). In particolare, la gravità dell’inadempimento deve essere accertata non solo in relazione all’entità oggettiva dell’inadempimento, ma anche con riguardo all’interesse che l’altra parte inten- de realizzare e sulla base, quindi, di un criterio che con- senta di coordinare il giudizio sull’elemento oggettivo della mancata prestazione, nel quadro dell’economia generale del contratto, con gli elementi soggettivi, in- vestendo le modalità e le circostanze del concreto svol- gimento del rapporto (26).
Al fine della produzione degli effetti di cui all’art. 1385, comma 2 (ma anche comma 3), c.c., non basta il mero ritardo nell’adempimento del negozio: la temporanea violazione del vincolo contrattuale da parte di uno dei paciscenti non legittima il recesso, giacché non impe- disce l’adempimento tardivo fino a quando persista l’interesse del creditore alla prestazione o il creditore non abbia chiesto la risoluzione del contratto (27). Ne discende che il ritardo acquista valore ai fini della pro- duzione degli effetti tipici della caparra confirmatoria solo quando è tale da far venir meno l’interesse dell’al- tra parte a ricevere la prestazione, costituendo così vero e proprio inadempimento, che diverrà rilevante allorquando ricorrano i presupposti dell’imputabilità e gravità (28). In tutti gli altri casi, ci si troverà sempli- cemente in presenza di un fatto che, pur interferendo con il normale dispiegarsi delle vicende contrattuali,
(25) Cfr. Cass., 11 febbraio 2014, n. 3089, in DeJure «Ai fini del- la legittimità del recesso ex art. 1385 c.c., come della risoluzione, non è sufficiente l’inadempimento, ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c., doven- do il giudice tenere conto della effettiva incidenza dell’inadempi- mento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considera- zione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l’utilità del contratto alla stregua dell’economia complessiva dello stesso».
(26) XXXXXX, Xxxxxxx, cit., 231; Cass., 6 marzo 2012, n. 3477, in Giust. Civ., 2013, 2580. In tale caso, relativo all’esecuzione di un preliminare per la vendita di un immobile, la Corte ha ribaltato la decisione dei giudici del merito, che avevano ritenuto di scarsa importanza l’inadempimento del promittente acquirente, in ragio- ne dell’elevata somma versata a titolo di caparra e del breve lasso temporale intercorso tra la diffida ad adempiere e la richiesta di stipulazione del contratto definitivo. A detta della Corte, infatti, tale inadempimento non poteva considerarsi oggettivamente di scarsa importanza, in quanto aveva coinvolto le obbligazioni es- senziali che lo stesso aveva assunto, e cioè la stipulazione entro una data certa ed il pagamento del prezzo residuo.
(27) Cass., 19 febbraio 1993, n. 2032, in Vita n0t., 1993, 778.
(28) Cass. 11 febbraio 2014, n. 3089, cit.; Trib. Torino, 25 febbraio 2022, n. 798, in DeJure; Trib. Roma, 4 gennaio 2019, in One Le- gale.
in nessun modo incide sul meccanismo effettuale della caparra (29).
5. (segue): Imputabilità dell’inadempimento. Laddove si verifica l’inadempimento di un’obbligazione, occorre che lo stesso sia imputabile al debitore affinché il creditore sia legittimato a recedere ritenendo la capar- ra ricevuta o esigendo la restituzione del doppio di quel- la versata (30). Quando, invece, il debitore non tiene il comportamento dovuto per causa a lui non imputabi- le, il contratto si risolve per impossibilità sopravvenuta della prestazione, con la sola conseguenza che il tradens è legittimato ad ottenere esclusivamente la restituzione della caparra, in quanto lo schema dell’art. 1385, comma 2, c.c. non è più applicabile.
Se dunque nel regime ordinario di risoluzione del con- tratto, in costanza di un inadempimento non imputa- bile al debitore, il contratto si risolve ugualmente (per impossibilità sopravvenuta), ma al creditore non spetta alcun risarcimento (art. 1463 c.c.), parimenti nell’ipotesi di dazione di una caparra, questa è destinata ad essere restituita, senza che il creditore possa però avvalersene per ottenere compensazione del pregiudizio subito.
Nel caso di specie, il Tribunale del primo grado di giu- dizio aveva dichiarato l’impossibilità dell’esecuzione dei contratti preliminari sottoscritti in quanto i pro- mittenti venditori avevano alienato l’immobile a terzi e i promissari acquirenti acquistato nel frattempo altro immobile. Tale statuizione non era stata investita da specifico motivo di gravame, essendosi gli appellanti (promittenti venditori) limitati a chiedere che venisse dichiarato che nulla era dovuto agli appellati (promis- sari acquirenti) e che venisse disposta la restituzione dell’importo da essi pagato. Secondo la Corte «ciò si- gnifica che, essendo anche tale statuizione parimenti passata in giudicato, la condanna dei ricorrenti [pro- mittenti venditori] al pagamento del doppio della ca- parra non può che reputarsi giuridicamente scorretta e affetta da intrinseca contraddittorietà» (31).
Invero, in aderenza a quanto poc’anzi ricordato, nel caso sottopostole la Corte di Cassazione ha corret- tamente ritenuto come «una volta affermata, come nella specie, l’impossibilità sopravvenuta dell’esecu- zione del contratto, il relativo accertamento non può
(29) BAVETTA, La caparra, cit., 132 e ss.
(30)CHERTI, Sulle clausole “di uscita” dal contratto, cit., 92; TAR- DIA, Xxxxxxx, cit., 230; X. X. XXXXXX, Diritto civile, cit., 394; MARI- NI, voce Caparra (dir. civ.), cit., 3; XXXXXXX, La caparra, cit., 127. In giurisprudenza, oltre alla sentenza in commento, v. già Cass., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 553, cit.
(31) Cfr. Cass., 31 luglio 2023, n. 23209, cit., 7, qui commentata.
che assumere valore decisivo e assorbente di tutte le domande, costitutive e di condanna, proposte» de- terminando così il «superament0» delle questioni di inadempimento colpevole poste da entrambe le parti al fine di domandare la risoluzione del contratto per fatto e colpa della controparte e la conseguente condanna al risarcimento dei danni, «mentre residuano i soli ob- blighi restitutori generati dal venir meno del vincolo contrattuale, essendo divenuta indebita la ritenzione delle prestazioni eseguite […], con la conseguenza che, nel caso in cui vi sia stato versamento della caparra confirmatoria, la condanna non può che vertere sulla sola restituzione della stessa e non anche del suo dop- pi0».
Residua tuttavia il problema relativo alla ripetibilità della prestazione a seguito della dichiarata risoluzione per impossibilità sopravvenuta. Invero, limitandosi a chiedere la risoluzione del contratto (ai sensi dell’art. 1385, comma 3, c.c., come nel caso di specie) o l’accer- tamento della legittimità del recesso (ai sensi dell’art. 1385, comma 2, c.c.), la parte che agisce per ritenere la caparra o esigerne il doppio, o quella che resiste con i medesimi rimedi ad una domanda di risoluzione o di recesso avanzata dalla sua controparte, non ha di fatto in alcun modo proposto in giudizio la domanda specifica di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, né, ancora più evidentemente, quella di ripetizione dell’indebito a questa conseguente.
La giurisprudenza (anche richiamata dalla sentenza in commento) tuttavia sul punto ritiene che, proposta in primo grado una domanda di risoluzione per ina- dempimento e di conseguente condanna dell’accipiens alla restituzione del doppio della caparra ricevuta, non pronunzia ultra petita il giudice il quale ritenga che il contratto si sia risolto non già per inadempimento del convenuto, ma per impossibilità sopravvenuta dell’ese- cuzione (ad es. derivante dalle scelte risolutorie di en- trambe le parti ex art. 1453, comma 2, c.c. (32), ancor- ché le due contrapposte manifestazioni di volontà non configurino un mutuo consenso negoziale risolutorio) (33), e condanni il promittente venditore accipiens alla restituzione della sola caparra (la cui ritenzione è divenuta sine titul0) e non del doppio di essa (34). Ciò in ragione del fatto che non sussisterebbe alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.), in quanto il giudice, in ra-
gione dei suoi poteri decisori, qualifica giuridicamente in modo diverso rispetto alla prospettazione della par- te i fatti da questa posti a fondamento della domanda, attribuendo alla stessa un bene della vita omogeneo, ma ridimensionato, rispetto a quello richiesto.
In termini più generali, si è pure sottolineato come, nel caso in cui il debitore convenuto in giudizio dimostri che l’inadempimento non gli è imputabile, il giudice potrà accogliere ugualmente l’azione volta ad ottenere l’accertamento della legittimità del recesso, riqualifi- candola come azione di risoluzione per impossibilità sopravvenuta, e rigettando la corrispondente domanda volta ad ottenere l’accertamento del diritto di ritenere la caparra o esigerne la restituzione del doppio (35).
Conclusivamente, si può così affermare che in presenza di un inadempimento non imputabile al debitore, nel caso siano state avanzate domande di risoluzione del contratto (art. 1385, comma 3, c.c.) o di accertamento del diritto di recesso (art. 1385, comma 2, c.c.), le stesse debbano essere riqualificate come azioni di risoluzione per impossibilità sopravvenuta, le quali, una volta ac- colte, rendono automaticamente indebite tutte le pre- stazioni eseguite in forza dell’accordo così risolto. Ne discende che, se il creditore della prestazione inesegui- ta è l’accipiens, verrà accolta la domanda riconvenzio- nale di restituzione proposta dal tradens; se invece è il tradens (come nel caso di specie), la domanda di resti- tuzione può ritenersi compresa, in quanto più limitata, in quella avente ad oggetto il pagamento del doppio della caparra (36). Tale soluzione soddisfa quindi in ultima analisi il diritto del tradens a vedersi restituito l’importo versato a titolo di caparra, e ora trattenuto indebitamente dall’accipiens in ragione della dichiara- ta risoluzione per impossibilità sopravvenuta del con- tratto, istanza che viene ritenuta prevaricante rispetto alla corretta formulazione della domanda caducatoria del vincolo negoziale, e che travalica i caratteri tipici dell’azione di ripetizione di indebito, che come noto deve essere necessariamente esperita in via autonoma
(35) DELLACASA, La caparra confirmatoria, cit., 502.
(36) L’accipiens può quindi essere condannato a restituire la ca- parra al tradens anche se quest’ultimo si è limitato a chiedere il pagamento del doppio, senza proporre una domanda subordinata di ripetizione dell’indebito volta ad ottenere la restituzione della
somma versata; tale domanda viene ritenuta compresa in quella
(32) Cass., 5 novembre 2009, n. 23490, in DeJure.
(33) Cass., 19 marzo 2018, n. 6675, in One Legale.
(34) Cass., 15 giugno 2020, n. 11466, in One Legale; Cass., 19 mar- zo 2018, n. 6675, in DeJure.
avente ad oggetto il pagamento del doppio della caparra, sicché la sentenza che la accoglie non viola il diritto di ultrapetizione (art. 112 c.p.c.), cfr. Cass., 5 ottobre 2020, n. 21262, in DeJure; Cass. 15
giugno 2020, n. 11466, in One Legale; Cass., 5 novembre 2009, n.
23490, cit.
dalla parte accanto alla domanda demolitoria del con- tratto (art. 1422 c.c.) (37).
6. Inadempimento reciproco.
Come visto, nel caso di specie il Tribunale adito ave- va accertato l’impossibilità di esecuzione dei contratti preliminari sottoscritti, in quanto i promittenti vendi- xxxx avevano alienato l’immobile promesso in vendita a terzi e i promissari acquirenti avevano acquistato nel frattempo altro immobile, optando così per la declara- toria di risoluzione del contratto per impossibilità so- pravvenuta delle reciproche prestazioni.
Nelle loro prospettazioni, le parti si erano tuttavia addebitate reciproci inadempimenti a corredo delle proprie domande di scioglimento del contratto, di ri- soluzione per inadempimento da parte dell’attore, per manifestazione dello ius variandi delle parti da parte del convenuto.
Come accennato, anche l’inadempimento reciproco, laddove si verifichi in presenza di un patto di caparra confirmatoria, viene trattato con le medesime regole applicabili alla risoluzione per inadempimento. Può infatti accadere, come del resto concretamente avve- nuto nel caso di specie, che i contraenti si addebitino vicendevolmente l’inadempimento risolutorio chie- dendo l’accertamento della legittimità del recesso (an- che se in concreto era stata qui chiesta la risoluzione del contratto, come visto riqualificata in domanda di accertamento della legittimità del recesso) e facendo valere il conseguente diritto di ritenere la caparra rice- vuta o esigere il doppio di quella data.
In presenza di un reciproco inadempimento allegato dalle parti, se il giudice accerta che entrambe le parti sono in effetti inadempienti, procede a una valutazio- ne comparativa dei rispettivi adempimenti, nel quadro di una considerazione globale dell’andamento del rap- porto. Tale valutazione comparativa può peraltro esse- re esperita dal giudice solo in caso di domanda ricon- venzionale o di eccezione di inadempimento sollevata dal convenuto (38).
La valutazione in esame poggia su vari criteri. Anzi- tutto, un criterio cronologico, teso a individuare chi delle due parti ha incominciato a non adempiere, o ad adempiere male. Un criterio di causalità: l’inadempi- mento di una parte consegue a quello dell’altra, verso cui rappresenta una precisa reazione e risposta, oppu-
(37) Cfr. in argomento, per tutti, XXXXXXXX, Ripetizione d’indebito, a cura di Xxxxxxxx, in Nuova giurispr. di dir. civ. e comm., fondata da Bigiavi e diretta da Xxxx, Bonilini, Breccia, Cagnasso, Carinci, Confortini, Cottino, Jannarelli, Xxxxx, Utet, 2014, 21 e ss.
(38) Cass., 17 agosto 1990, n. 8344, in DeJure.
re ne è del tutto slegato? Un criterio di adeguatezza: ammesso che l’inadempimento di una parte reagisca causalmente a quello dell’altra, occorre poi valutare la proporzione o sproporzione della reazione della stessa. Dalla combinazione di questi criteri, il giudice decide chi è «più» inadempiente, a chi risale in definitiva la responsabilità (o la maggiore responsabilità) per il fallimento del rapporto contrattuale: respinge la do- manda di questa parte, e accoglie la domanda dell’altra (39).
Ma il giudizio può avere in più rari casi un esito di- verso. Il giudice può infatti accertare che entrambe le parti sono inadempienti in uguale grado: se entrambe instano per la risoluzione del contratto, si ritiene giu- stamente in dottrina (40) che non vi sia nessun osta- colo a pronunciarla per inadempimento di entrambe (anche se in giurisprudenza lo si è negato) (41); se una chiede la risoluzione e l’altra l’adempimento, prevale la domanda della prima.
Ancora, può accadere che il giudice accerti che nes- suna delle parti è inadempiente, rigettando quindi le reciproche contestazioni. Nel caso le parti abbiano entrambe chiesto la risoluzione, risulta però evidente l’inequivoca volontà delle stesse di porre fine al con- tratto. In queste condizioni, potrebbe ritenersi impli- cita nella prospettazione della domanda di risoluzione il consenso allo scioglimento del contratto, che se bi- laterale potrebbe condurre allo scioglimento del vin- colo per mutuo dissenso (42), o ancora prendere atto dell’impossibilità reciproca di chiedere l’adempimento del contratto ai sensi dell’art. 1453, comma 2, c.c., con conseguente risoluzione del medesimo (43). Tuttavia, mancando un inadempimento, manca in realtà anche
(39) XXXXX, Il contratto, cit., 915. (40)ROPPO, op. cit., 915.
(41) Xxxxxxx Xxxx., 3 gennaio 2002, n. 27, in Giur. It., 2002, 920, non sarebbe infatti possibile pronunciare la risoluzione a favore di entrambe le parti, ma occorrerebbe pur sempre individuare l’ina- dempimento che ha dato causa alla catena successiva di inadem- pimenti reciproci, con conseguente esclusione della possibilità di pronunciare la risoluzione del contratto nel caso in cui l’inadempi- mento sia imputabile in misura pari a entrambe le parti. Cfr. anche App. Roma, 18 maggio 1998, in Foro It., 1988, I, 1994.
(42) Trib. Napoli, 5 maggio 2001, in Dir. Ind., 2002, 31; Trib. Ivrea, 16 dicembre 2004, in Giur. di Merito, 2005, 1319; RADICE, Domande di risoluzione contrapposte e mutuo dissenso, in C0n- tratti, 1993, 527; in senso contrario: Cass., 6 novembre 1981, n. 5865, in Italgiure.
(43) Cass. 5 ottobre 2020, n. 21262, in DeJure; Cass. 15 giugno 2020, n. 11466, in DeJure; Cass. 5 novembre 2009, n. 23490, in DeJure; Cass., 18 maggio 2005, n. 10389, in DeJure; Cass., 24 no- vembre 2000, n. 15167, in Italgiure; Cass., 4 aprile 2000, n. 4089, in DeJure.
il presupposto stesso della risoluzione ex art. 1453 c.c.; inoltre, come sottolineato dalla giurisprudenza, tali prospettate soluzioni violano anche il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (44). Xxxxxx- samente parlando il giudice dovrebbe pertanto limitar- si a respingere le domande in oggetto, per carenza dei presupposti; lasciando libertà alle parti di scegliere se adempiere il contratto, scioglierlo per mutuo dissenso, o altro ancora (45). A componimento delle menzionate criticità è stato opportunamente osservato come anche qualora all’atto della notificazione entrambe le doman- de siano infondate il giudice possa nondimeno pronun- ciare la risoluzione del contratto per inadempimento, senza dover argomentare l’esistenza di un mutuo con- senso o ravvisare una sorta di impossibilità di attuare il rapporto. In altri termini, se si assume il punto di vista del giudice chiamato a decidere sulle contrappo- ste domande di risoluzione l’ipotesi non si differenzia da quella che le vede entrambe fondate: il contratto si risolve per inadempimento, ma a nessuna delle parti spetta il risarcimento del danno. Ed allora, sebbene le domande proposte da entrambe le parti siano infonda- te alla data della notificazione, l’inadempimento pro- trattosi nel corso del giudizio, divenuto nel frattempo certamente grave, ne giustifica l’accoglimento (46).
(44) Cass., sez. un., 15 gennaio 1983, n. 329, in Foro It., 1983, I, 654.
(45) In ogni caso la volontà negoziale diretta allo scioglimento del contratto per mutuo consenso non può essere desunta dal com- portamento di chi non si costituisca in giudizio per contrastare la domanda avversaria, cfr. Cass., 8 luglio 1983, n. 4600, in DeJure.
V. per la ricostruzione del dibattito GALLO, Inadempimento reci- proco e caparra confirmatoria, cit., 318.
(46) Cfr. DELLACASA, La caparra confirmatoria, cit., 323, che os- serva come ai sensi dell’art. 1453, comma 3, c.c. (in base al quale
«dalla data della domanda di risoluzione, l’inadempiente non
Il contratto si risolve, dunque, in quanto al momento della decisione i destinatari di entrambe le domande risultano essere gravemente inadempienti (47).
Analoghe considerazioni valgono anche per il caso in cui siano presenti contrapposte domande di accerta- mento della legittimità del recesso laddove la conclu- sione del contratto sia stata accompagnata dalla dazio- ne o dalla promessa di una caparra confirmatoria.
Va solo precisato che in presenza di un patto di caparra confirmatoria, nella situazione in esame in cui nessuna delle parti risulta inadempiente (o «più» inadempien- te dell’altra), al pari di quanto accade in presenza di contrapposte domande di risoluzione, ove il contratto si scioglie senza la contestuale attribuzione di un risar- cimento, al recesso effettuato dalle parti non consegue il diritto di ritenere la caparra o di esigerne il doppio. La risoluzione risultante dai due convergenti atti di recesso non comporta quindi conseguenze latu sensu risarcitorie (ritenzione della caparra o esigibilità del doppio), ma produce esclusivamente effetti di caratte- re restitutorio: la caparra consegnata contestualmente alla conclusione del contratto dovrà essere restituita al tradens (48). La giustificazione della risoluzione non accompagnata dalla ritenzione della caparra (o dalla condanna a pagarne il doppio) è in linea con la bila- teralità degli inadempimenti ed è conseguenza dell’as- senza di squilibrio nella produzione degli stessi, ciò che avrebbe altrimenti portato il giudice ad imputare la non attuazione dello scambio contrattuale ad una sola delle parti contraenti, con conseguente riconosci- mento del relativo rimedio (ritenzione della caparra, pagamento del suo doppio).
può più adempiere la propria obbligazione»), in presenza di una
domanda di risoluzione fondata alla data della notificazione, il de- bitore non potrebbe evitarne l’accoglimento eseguendo od offren- do la prestazione nel corso del giudizio. Qualora invece la doman- da non sia fondata, il giudice non decide sulla base della situazione cristallizzata al momento della notificazione, ma dello scenario che si delinea quando pronuncia la sentenza. Ciò posto, ne conse- gue che il tempo intercorrente tra il momento della notificazione della domanda e quello in cui viene pronunciata la sentenza può contribuire ad integrare il requisito della gravità dell’inadempi- mento e a giustificare la risoluzione del contratto (art. 1455 c.c.); se poi la domanda originariamente infondata ha indotto il debitore ad interrompere l’attuazione del rapporto, contribuendo alla sua risoluzione, il risarcimento del danno che ne deriva può essere ri- dotto o escluso (art. 1227, comma 1, c.c.). Ora, quando entrambe le domande di risoluzione sono ritenute infondate si deve supporre che nessuna delle due parti abbia offerto la prestazione nel corso del giudizio prima che il suo inadempimento raggiungesse la so- glia della gravità: se lo avesse fatto l’equilibrio si sarebbe rotto, con
la conseguenza che risoluzione e risarcimento sarebbero stati ad- debitati alla controparte. Se questo è vero, quando il giudice pro- nuncia la sentenza (mesi o anni dopo l’avvio del processo) l’ina- dempimento di entrambe le parti è molto probabilmente divenuto grave: benché le contrapposte domande fossero originariamente infondate, al momento della decisione il sinallagma è gravemente alterato. Anche in tale ipotesi, dunque, la risoluzione del contrat- to può essere fondata sull’inadempimento di entrambe le parti, e questo consente di superare le obiezioni (incentrate sul principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, art. 112 c.p.c.) rivolte all’orientamento che ricava dalle domande di risoluzione un mu- tuo consenso o ravvisa nei loro effetti preclusivi l’impossibilità di attuare il rapporto. Il giudice pronuncia la risoluzione sulla base di quello stesso inadempimento che le parti deducono a fondamento delle rispettive domande.
(47) DELLACASA, op. cit., 504.
(48) DELLACASA, op. cit., 502.
Corte di Cassazione, sez. II, sentenza 31 luglio 2023, n. 23209; Pres. Xx Xxxxxxxx – Est. Pirari.
Cassa App. Venezia n. 276/2017.
Caparra confirmatoria – Non imputabilità dell’inadempimento – Risoluzione per impossibilità sopravvenuta – Restituzione della caparra
«La pronuncia di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta dell’esecuzione, in quanto fondata su un fatto estraneo alla sfera di imputabilità dei contraenti, dà luogo ai soli obblighi restitutori derivanti dallo scioglimento del vincolo contrattuale, essendo le prestazioni rese divenute indebite, ma non consente di condannare il debitore al pagamento del doppio della caparra, atteso che questa costituisce una forma risarcitoria limitata nel
«quantum» e correlata al diritto di recesso, il quale, in quanto strumento di risoluzione nego- ziale per giusta causa, presuppone l’inadempimento della controparte» (mass. uff.).
Fatti di causa
1. Come si legge nella sentenza impugnata, con atto di citazione notificato il 18 dicembre 2001, C.S. ed Z.E., premesso che avevano stipulato con N.M.N. e T.G. un contratto preliminare per l’acquisto di un fabbricato in [Omissis] e delle aree scoperte di pertinenza, che, a termini dell’accordo, l’immobile, già ristrutturato, avrebbe dovuto essere consegnato il 30 giugno 2001 al prezzo di lire 300 milioni, che, alla firma del pre- liminare, avevano versato la caparra confirmatoria di lire 100.000.000, che, decorso invano il termine pattuito, avevano integrato, in data 12 luglio 2001, il contratto preliminare, prevedendo l’acquisto di un’ul- teriore porzione di immobile dello stesso compendio per ulteriori lire 300 milioni e il versamento di una caparra confirmatoria di lire 50 milioni e procrasti- nando la data di consegna del bene, che, nelle more, avevano messo in vendita la propria abitazione, pro- mettendo di consegnarla entro il 15 novembre 2001, che, nel settembre 2001, avevano scoperto che non era stata mai rilasciata alcuna concessione edilizia e che l’immobile non era stato frazionato, né era fra- zionabile, che, pertanto, avevano inizialmente chiesto la restituzione della somma di lire 200 milioni fino ad allora versata e successivamente valutato, invece, l’acquisto dell’intero compendio, con versamento di un’ulteriore somma che avrebbe consentito di liberare il bene dall’ipoteca, che, appreso della demanialità di una parte dell’immobile, avevano chiesto di ridiscute- re il prezzo, indicato dai T. in lire 900 milioni, e che, al loro rifiuto, questi ultimi avevano loro comunicato il recesso per inadempimento, convennero in giudizio
i promittenti venditori, onde ottenere la risoluzione per inadempimento del preliminare, il versamento del doppio della caparra e il risarcimento del danno. Costituitisi in giudizio, i coniugi T. addebitarono ad essi l’inadempimento, domandando lo scioglimento dei contratti per manifestazione dello ius variandi delle parti e l’accertamento dell’illegittima interruzio- ne delle trattative, con condanna al risarcimento dei danni.
Emesso, in corso di causa, il sequestro conserva- tivo dei beni dei convenuti, il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 2582/2007 del 7 settembre 2007, dichiarò l’inammissibilità della domanda di accerta- mento della nullità dei contratti preliminari, accertò e dichiarò l’impossibilità di esecuzione degli stessi e condannò i convenuti, in solido, a pagare la somma di Euro 106.937,07, oltre interessi legali, decurtato l’im- porto già versato di Euro 48.000,00, oltre alle spese di lite.
N.M.N. e T.G. impugnarono la predetta sentenza con atto notificato il 20 Marzo 2008, domandando la so- spensione della provvisoria esecutività della stessa, la dichiarazione che nulla era dovuto agli appellati e la restituzione dell’importo pagato, oltre a interessi e ri- valutazione e rifusione delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
Il giudizio d’appello, nel quale si costituirono i coniugi
C. e Z., chiedendo il rigetto dell’istanza di sospensiva e la conferma della sentenza, salvo appello incidenta- le e rifusione delle spese di secondo grado, si concluse con la sentenza n. 276/2017, pubblicata il 2 Febbraio 2017, con la quale la Corte d’appello di Venezia rigettò gli appelli principale e incidentale, condannando gli
appellanti, in solido tra loro, a pagare agli appellati le spese del giudizio di secondo grado.
2. Avverso questa sentenza, N.M.N. e X.X. xxxxx pro- posto ricorso per cassazione, affidandolo a sette mo- tivi, illustrati anche con memoria. C.S. ed Z.E. sono rimasti intimati.
Ragioni della decisione
– Omissis.
4. Col quarto motivo, si lamenta la violazione-falsa applicazione dell’art. 1385, comma 2, c.c., in relazio- ne all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici di merito confermato la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato la risoluzione del contratto per im- possibilità sopravvenuta della sua esecuzione e con- dannato i ricorrenti al pagamento del doppio della ca- parra, nonostante essi non avessero esercitato alcun diritto di recesso, né avessero chiesto l’accertamento della risoluzione per recesso, sostenendo che i coniugi
Z. C. non avessero dimostrato i maggiori danni patiti. In tal modo, i giudici di merito avevano violato le nor- me in tema di caparra confirmatoria, in quanto non avrebbero potuto accogliere la condanna di pagamen- to della caparra in caso di declaratoria di risoluzione per impossibilità sopravvenuta o di mancata dimo- strazione del maggior danno, pena lo snaturamento della funzione di prevenzione e di limitazione del con- tenzioso giudiziale propria della caparra stessa, stan- te l’incompatibilità strutturale e funzionale esistente tra azione di risoluzione e risarcimento integrale, da una parte, e azione di recesso e ritenzione della capar- ra, dall’altra.
– Omissis.
10. È, invece, fondato il quarto motivo, con assorbi- mento delle restanti censure.
Come si legge nella sentenza impugnata, il Tribunale di Venezia, una volta affermata l’inammissibilità del- la domanda di nullità dei contratti preliminari, ave- va dichiarato l’impossibilità della loro esecuzione in quanto, come asserito nella relativa pronuncia, i pro- mittenti venditori avevano alienato l’immobile a ter- zi e i promissari acquirenti acquistato nel frattempo altro immobile, senza che tale statuizione fosse stata investita da specifico motivo di gravame, essendosi gli appellanti limitati a chiedere che venisse dichiarato che nulla era dovuto agli appellati e che venisse dispo- sta la restituzione dell’importo da essi pagato.
Ciò significa che, essendo anche tale statuizione pari- menti passata in giudicato, la condanna dei ricorrenti al pagamento del doppio della caparra non può che
reputarsi giuridicamente scorretta e affetta da intrin- seca contraddittorietà.
Sul punto, occorre prendere le mosse dalla norma in tema di caparra confirmatoria, la quale è contenuta nell’art. 1385, comma 2, c.c., a mente del quale “se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l’ha ricevuta, l’al- tra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra”, e dal successivo comma 3 della predet- ta disposizione, il quale contempla il diverso caso in cui la parte non inadempiente preferisca domandare l’esecuzione o la risoluzione del contratto, rispetto al quale è stabilito che il risarcimento del danno sia re- golato dalle norme generali.
Come sostenuto da questa Corte, “il diritto di reces- so è una evidente forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone pur sempre l’inadem- pimento della controparte avente i medesimi carat- xxxx dell’inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale: esso costituisce null’altro che uno speciale strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, alla quale lo accomunano tanto i presupposti (l’ina- dempimento della controparte) quanto le conseguen- ze (la caducazione ex tunc degli effetti del contratto)”, sicché il recesso è legittimamente esercitato, in uno con la ritenzione della caparra, allorché sussista un inadempimento di non scarsa importanza ex art. 1455
c.c. e gravemente colpevole, ossia un inadempimento imputabile ex artt. 1218 e 1256 c.c., venendo altrimen- ti meno il presupposto, sancito da quest’ultima nor- ma, per l’insorgere dell’obbligo, in capo al debitore, del risarcimento del danno del quale la caparra costi- tuisce liquidazione anticipata convenzionale e forfe- taria (Cass., Sez. Un., 14/1/2009, n. 553).
Ciò significa che, “nell’indagine sull’inadempienza contrattuale da compiersi al fine di stabilire se ed a chi spetti il diritto di recesso, i criteri da adottarsi sono quegli stessi che si debbono seguire nel caso di con- troversia su reciproche istanze di risoluzione per ina- dempimento, nel senso che occorre in ogni caso una valutazione comparativa del comportamento di en- trambi i contraenti in relazione al contratto, in modo da stabilire quale di essi abbia fatto venir meno, con il proprio comportamento, l’interesse dell’altro al man- tenimento del negozio” (Xxxx., Sez. Un. 14/1/2009, n. 553).
Il recesso e la risoluzione costituiscono, dunque, se- condo quanto già affermato da questa Corte, due strumenti alternativi di tutela, modellati dal secondo e comma 3 dell’art. 1385 c.c., sicché, costituendo il re-
cesso una forma di risoluzione stragiudiziale del con- tratto presupponente l’inadempimento della contro- parte, le interazioni rilevanti da esaminare sul piano normativo non sono tanto quelle tra il recesso stesso e le varie forme di risoluzione, ma “tra l’incamerare la caparra (o il suo doppio), così ponendo fine alla vicen- da negoziale, e l’instaurare un apposito giudizio per conseguire una più cospicua locupletazione, un più pingue risarcimento, una più congrua quantificazione di danni dei quali egli si riserva (fondatamente) di of- frire la prova”, sussistendo, perciò, la vera antinomia non tra risoluzione risarcimento recesso ritenzione della caparra, bensì tra azione di risarcimento ordi- naria e domanda di ritenzione della caparra, stante l’assenza di autonoma rilevanza giuridica sostanziale delle problematiche afferenti ai rapporti tra le (sole) domande di risoluzione e di recesso (Cass., Sez. Un., 14/1/2009, n. 553).
Alla stregua di ciò, si è, dunque, detto che una doman- da (principale) di risoluzione contrattuale correlata ad una richiesta risarcitoria contenuta nei limiti della caparra non è altro che una domanda di accertamen- to dell’avvenuto recesso, così come una domanda di risoluzione avanzata senza il corredo di una ulterio- re richiesta risarcitoria, rapportata o meno all’entità della caparra, avrà il solo scopo di caducare in via giu- diziale il contratto senza ulteriori conseguenze econo- miche per la parte inadempiente (si veda sul punto Cass., Sez. 3, 1/8/2022, n. 23820, che ha escluso, in tal caso, il vizio di ultrapetizione allorché, a fronte del- la domanda di risoluzione del contratto e conseguen- te restituzione dell’acconto versato, si adotti la statu- izione restitutoria in relazione alla diversa fattispecie del legittimo recesso della parte, trattandosi pur sem- pre di pronuncia consequenziale all’accertamento dell’avvenuto scioglimento del rapporto, fondato sul- le circostanze di fatto originariamente dedotte, senza che sia stato introdotto un nuovo tema di indagine), senza che, nel corso del giudizio, sia lecito introdurre complementari domande “risarcitorie” collegate (che risulterebbero del tutto nuove e pertanto inammissi- bili) (Cass., Sez. Un., 14/1/2009, n. 553).
Per contro, è la finalità di liquidazione immediata, forfetaria, stragiudiziale, posta nell’interesse di en- trambe le parti – in ciò sostanziandosi la pretesa della sola caparra – a venire irrimediabilmente esclusa dal- la pretesa giudiziale di un maggior danno da risarcire (e provare), poiché la semplificazione stragiudizia- le del procedimento di ristoro conseguente alla sola ritenzione della caparra tramonta, inevitabilmente e definitivamente, al cospetto delle barriere processuali
sorte per effetto di una domanda dalla natura stretta- mente risarcitoria, e perciò solo del tutto alternativa (Cass., Sez. Un., 14/1/2009, n. 553).
Ne consegue che il creditore che abbia optato per il risarcimento integrale del danno non può, alla luce dei principi generali, modificare l’originaria pretesa, costituendo lo stesso, alla luce del disposto di cui al comma 3 dell’art. 1385 c.c., rimedio tutt’affatto alter- nativo rispetto alla richiesta della caparra confirmato- xxx e consentendosi, altrimenti, al creditore di riatti- vare il meccanismo legale di cui all’art. 1385, comma 2, c.c. ormai definitivamente caducato per via delle preclusioni processuali definitivamente prodottesi a seguito della proposizione della domanda di risolu- zione sic et simpliciter, così come, una volta che si sia avvalso del rimedio del recesso, non può richiedere la risoluzione giudiziale, giacché con tale trasforma- zione si cercherebbe surrettiziamente di ampliare l’ambito risarcitorio in sede processuale, dopo aver incamerato la caparra, indirizzandolo verso una più pingue (ma ormai intempestiva) richiesta di risarci- mento integrale (Cass., Sez. Un., 14/1/2009, n. 553). Il cosiddetto “recesso” del contraente non inadem- piente è, infatti, pur sempre basato su di un inadem- pimento della controparte legittimante la risolu- zione del contratto e tende, sia pure con particolari modalità, allo scioglimento del medesimo, mentre l’elemento caratterizzante l’esercizio della facoltà di recesso è dato dalla volontà, inequivocamente mani- festata dall’adempiente, di contenere l’obbligazione risarcitoria dell’inadempiente nei limiti (della perdita della caparra data o) della restituzione, nel doppio, della caparra da lui ricevuta (Cass., Sez. 2, 1/3/1994,
n. 2032, confermata da Xxxx., Sez. 2, 27/9/2017, n. 22657), restando rilevante, tanto in caso di recesso, quanto in quello di risoluzione per inadempimento, l’accertamento dell’inadempimento che giustifica lo scioglimento del rapporto e la condanna al risarci- mento del danno, da liquidarsi, nell’un caso, entro i limiti della caparra e, nell’altro caso, secondo la sua entità integrale.
Dalla risoluzione del contratto per inadempimen- to (anche stragiudiziale in seguito a recesso) va, in- vece, tenuta distinta la risoluzione per impossibilità sopravvenuta ex artt. 1256 e 1463 c.c., configurantesi allorché l’adempimento della prestazione da parte del debitore o l’utilizzazione della stessa ad opera della controparte diventi impossibile per fatto non imputa- bile al debitore, la quale comporta il venir meno della possibilità di conseguire la finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto (Cass., Sez.
3, 29/3/2019, n. 8766) e incide, paralizzandola, sulla domanda di adempimento, determinando, nei con- tratti con prestazioni corrispettive, l’estinzione della relativa obbligazione e la risoluzione di diritto degli stessi ai sensi degli artt. 1463 e 1256, comma 1, c.c. (Cass., Sez. 2, 28/1/1995, n. 1037).
Risoluzione per inadempimento (anche nella forma stragiudiziale da recesso, come si è visto) e risolu- zione per impossibilità sopravvenuta hanno, infat- ti, presupposti e natura diversi, atteso che la prima, avente carattere sanzionatorio, tende ad una pronun- cia costitutiva ed è fondata sul comportamento dolo- so o colpevole di una parte (Cass., Sez. 3, 14/1/1992,
n. 360), mentre la seconda tende ad una pronuncia di accertamento e si fonda su un fatto estraneo alla sfera di imputabilità dei contraenti (Cass., Sez. 2, 14/2/1996, n. 1104; Cass., Sez. 3, 14/1/1992, n. 360 cit.; Cass., Sez. L, 17/4/1987, n. 3865).
Così, è stato ritenuto che in caso di domanda di risolu- zione per inadempimento, che non sia stata modifica- ta nel rispetto del regime delle preclusioni processua- li, il giudice non può pronunciare la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, pena la vio- lazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (Cass. Sez. 3, Sentenza 2073/2018, n. 6866).
È la non imputabilità al debitore dell’impossibilità so- pravvenuta della prestazione a comportare l’estinzio- ne dell’obbligazione, mentre l’imputabilità determina la conversione dell’obbligazione di adempimento in quella di risarcimento del danno e, se costituisce l’og- getto di un contratto a prestazioni corrispettive, dà luogo, altresì, all’azione di risoluzione per inadempi- mento (Cass., Sez. 1, 22/12/1983, n. 7580).
Ciò significa che, una volta affermata, come nella spe- cie, l’impossibilità sopravvenuta dell’esecuzione del contratto, il relativo accertamento non può che assu- mere valore decisivo e assorbente di tutte le doman- de, costitutive e di condanna, proposte, determinan- do il superamento delle questioni di inadempimento colpevole poste da entrambe le parti al fine di doman- dare la risoluzione del contratto per fatto e colpa della controparte e la conseguente condanna al risarcimen- to dei danni, mentre residuano i soli obblighi resti- tutori generati dal venir meno del vincolo contrat- tuale, essendo divenuta indebita la ritenzione delle prestazioni eseguite (vedi Cass., Sez. 2, 5/10/2020,
n. 21262), con la conseguenza che, nel caso in cui vi sia stato versamento della caparra confirmatoria, la condanna non può che vertere sulla sola restituzione della stessa e non anche del suo doppio.
E come già sostenuto da questa Corte, non sussiste violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato allorché il giudice, qualificando giuridi- camente in modo diverso rispetto alla prospettazione della parte i fatti da questa posti a fondamento della domanda, le attribuisca un bene della vita omogeneo, ma ridimensionato, rispetto a quello richiesto, sicché, proposta in primo grado una domanda di risoluzio- ne per inadempimento di contratto preliminare e di conseguente condanna del promittente venditore alla restituzione del doppio della caparra ricevuta, non pronunzia ultra petita il giudice il quale ritenga che il contratto si sia risolto non già per inadempimen- to del convenuto, ma per impossibilità sopravvenu- ta di esecuzione derivante dalle scelte risolutorie di entrambe le parti ex art. 1453, comma 2, c.c. (Cass., Sez. 2, 5/11/2009, n. 23490), ancorché le due con- trapposte manifestazioni di volontà non configurino un mutuo consenso negoziale risolutorio (Cass., Sez. 3, 19/3/2018, n. 6675), e condanni il promittente venditore alla restituzione della sola caparra (la cui ritenzione è divenuta sine titul0) e non del doppio di essa (Cass., Sez. 2, 15/6/2020, n. 11466; Cass., Sez. 2, 5/11/2009, n. 23490; Xxxx., Sez. 3, 19/3/2018, n.
6675).
Alla stregua di tali principi, non può allora che rite- nersi erroneo il ragionamento decisorio dei giudici d’appello, i quali, pur a fronte della pronuncia di riso- luzione dei due contratti preliminari per impossibilità sopravvenuta della prestazione, ormai passata in giu- dicato, hanno nondimeno confermato la statuizione di condanna dei promittenti venditori al pagamento del doppio della caparra, la quale, avendo natura ri- sarcitoria sia pure limitata nel quantum, postula, in- vece, l’accertamento dell’inadempimento della parte e, dunque, lo scioglimento del vincolo per motivi ad esso conseguenti.
Deve perciò affermarsi il seguente principio di di- ritto: “La pronuncia di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta dell’esecuzione, in quanto fondata su un fatto estraneo alla sfera di imputabili- tà dei contraenti, dà luogo ai soli obblighi restitutori derivanti dallo scioglimento del vincolo contrattuale, essendo le prestazioni rese divenute indebite, ma non consente di condannare il debitore al pagamento del doppio della caparra, atteso che questa costituisce una forma risarcitoria limitata nel “quantum” e cor- relata al diritto di recesso, che, in quanto strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, presuppone l’inadempimento della controparte”.
11. In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo motivo, l’inammissibilità del quinto e la fondatezza del quarto, con assorbimento dei restanti, la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.
– Omissis.