DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO TRIBUTARIO EUROPEO - PH.D IN EUROPEAN TAX LAW
Alma Mater Studiorum - Università di Bologna
DOTTORATO DI RICERCA IN
DIRITTO TRIBUTARIO EUROPEO - PH.D IN EUROPEAN TAX LAW
Ciclo 33
Settore Concorsuale: 12/D2 - DIRITTO TRIBUTARIO
Settore Scientifico Disciplinare: IUS/12 - DIRITTO TRIBUTARIO
IL PLACE OF EFFECTIVE MANAGEMENT NEL DIRITTO NAZIONALE, CONVENZIONALE ED EUROPEO
Presentata da: Xxxxxxxx Xxxxxx
Coordinatore Dottorato
Xxxxxx Xxxxxxx
Supervisore
Xxxxxx Xxxxxxx
Esame finale anno 2021
Sommario
1. Gli obiettivi della ricerca 5
CAPITOLO I IL COLLEGAMENTO TERRITORIALE: IL PRINCIPIO DI TERRITORIALITÀ 13
2. L’origine e la funzione del principio di territorialità 14
3. Definizione e contenuto del principio di territorialità 19
4. Il fondamento della connessione territoriale 27
5. (Segue) la territorialità quale espressione della sovranità statale 35
6. Il principio di territorialità nella costituzione italiana 39
7. I confini della territorialità nel diritto italiano: la capacità contributiva 44
8. (Segue) i confini della territorialità nel diritto internazionale 50
9. La territorialità nel diritto europeo 55
10. I criteri di collegamento 60
11. (Segue) i criteri Soggettivi 61
12. (Segue) Il criterio di collegamento oggettivo: La Fonte del reddito 65
1. La sede sociale: fra diritto interno e diritto interazionale 71
2. Definizione e funzione della sede sociale nel diritto comparato 72
3. (Segue) il trasferimento della sede: fra incorporazione e amministrazione
4. La sede nel diritto tributario: un approccio comparato 84
5. Il collegamento formale: fra Place of Incorporation e sede legale 85
7. La sede amministrativa o place of effective management 94
8. L’origine del PoEM nella giurisprudenza inglese 98
9. Il Central management and control 111
10. La sede della direzione nell’ordinamento italiano 112
11. La presunzione di residenza 122
12. La sede di direzione effettiva nelle normative nazionali 130
13. La sede dell’amministrazione: considerazioni conclusive 139
CAPITOLO III Il PoEM nelle convenzioni contro le doppie imposizioni
....................................................................................................................141
1. La doppia imposizione internazionale 141
2. Le convenzioni contro le doppie imposizioni 145
3. L’origine della sede della direzione effettiva nel contesto internazionale
....................................................................................................................154
4. (Segue) il PoEM all’interno del modello OCSE 158
5. L’interpretazione del PoEM nelle convenzioni contro le doppie imposizioni 170
5.1. Le decisioni chiave. 172
5.2. il soggetto deputato alla formazione delle decisioni: organo amministrativo, socio di controllo e assemblea degli azionisti 175
6. Le osservazioni al Commentario OCSE apportate dall’Italia 189
7. Il progetto BEPS e le modifiche alla tie breaker rule 192
CAPITOLO IV Il PoEM nel diritto europeo 203
1. Il diritto UE e il divieto di doppia imposizione 203
2. Il “divieto” di doppia imposizione contenuto all’art. 293 TFUE 207
3. (Segue) la doppia imposizione alla luce delle libertà fondamentali 210
4. Residenza fiscale e PoEM nel diritto positivo dell’Unione europea 214
5. La residenza fiscale nella giurisprudenza della Corte di Giustizia 219
6. (Segue) Il PoEM alla luce della libertà di stabilimento 221
7. Le cause idonee a giustificare la restrizione delle libertà di stabilimento: il divieto di pratiche abusive 225
8. Il Rapporto fra PoEM e Libertà di stabilimento: il caso italiano 232
9. L’interdipendenza fra PoEM e Libertà di stabilimento 238
10. Le procedure amichevoli 244
11. Le MAP nel diritto italiano 250
12. Conclusioni 255
CAPITOLO V RIFLESSIONI CONCLUSIVE: PROBLEMATICHE ATTUALI E PROSPETTIVE EVOLUTIVE DEL PoEM 257
1. Le sfaccettature del PoEM 257
2. (Segue) l’interpretazione del PoEM 260
3. L’inquadramento delle problematiche attuali 263
4. L’importanza del PoEM alla luce delle convenzioni amichevoli 265
5. Il ruolo dell’Unione europea 267
6. La tassazione nell’era digitale e l’assenza di un collegamento fisico 272
7. Riflessioni conclusive 278
BIBLIOGRAFIA 285
Dottrina 285
Giurisprudenza 320
Prassi 326
Legislazione 330
INTRODUZIONE
1. Gli obiettivi della ricerca
La progressiva unificazione dei mercati globali, favorita dallo sviluppo tecnologico nei settori delle telecomunicazioni e della logistica, ha consentito alle imprese (multinazionali e non) di sfruttare le economie di larga scala nella produzione, distribuzione e commercializzazione dei prodotti, permettendo alle stesse di operare contemporaneamente all’interno di più ordinamenti statali.
Tuttavia, questa “internazionalizzazione economica” ha accentuato alcune significative problematiche tipiche della materia fiscale fra le quali, in primis, la necessaria determinazione di un valido e certo criterio di collegamento, a natura prevalentemente sostanziale, fra il contribuente e la comunità Statale di appartenenza, idoneo a legittimare il pieno ed assoluto esercizio della potestà impositiva da parte dello Stato.
Ebbene, in questo contesto, la nozione che viene tradizionalmente ritenuta più idonea ad evidenziare tale connessione è quella di residenza fiscale la quale, con riferimento alle società commerciali assume privilegia il criterio di sede dell’amministrazione (effettiva) definibile, in via di sommaria approssimazione, come il luogo dal quale provengono gli impulsi direttivi volti a guidare l’attività d’impresa.
L’interpretazione e l’implementazione di quest’ultimo concetto si deve però confrontare, oltre che con le evoluzioni del mercato globale, anche con la moltitudine di funzioni che lo stesso è chiamato a svolgere sia sul piano nazionale che su quello internazionale.
Questa considerazione consente di effettuare due importanti precisazioni preliminari.
In primo luogo, il generale accoglimento della sede dell’amministrazione determina, inevitabilmente, l’insorgere di più concetti che, sebbene riconducibili alla medesima nozione di place of effective management, assumono significato differente, a volte anche radicalmente.
Difatti, l’interpretazione di concetti giuridici come è, appunto, la sede della direzione effettiva, è il risultato dell’esperienza storica, culturale ed economica propria di ogni singola comunità statale.
A ciò si aggiunga, inoltre, che la materia tributaria e, a valle, la determinazione della residenza fiscale assume una connotazione inevitabilmente politica. I rapporti di forza fra i singoli Governi statali spingono i legislatori e le Amministrazioni finanziarie nazionali ad utilizzare nozioni in grado di garantire la massima espansione della soggettività passiva tributaria al fine di aumentare le entrate fiscali necessarie ad ampliare e mantenere i servizi pubblici.
Esempio emblematico di questa prima considerazione può essere rinvenuto nella nota contrapposizione fra sede dell’amministrazione intesa come top management e sede dell’amministrazione intesa come day to day management.
Ciò detto, la seconda considerazione attiene alle importanti modifiche alle quali si è di recente assistito al fine di far fronte alle nuove esigenze del mercato.
In questa prospettiva, basti ricordare la modifica apportata dal progetto BEPS al commentario nel 2017 la quale ha (o sembra aver) sostituito la sede della direzione effettiva con le procedure amichevoli.
E, allora, si è naturalmente spinti ad interrogarsi se il PoEM sia ancora oggi un criterio tendenzialmente idoneo a svolgere gli obiettivi originariamente perseguiti oppure se sia necessario un attento e ragionato ripensamento volto ad individuare un criterio alternativo.
In conclusione, gli obiettivi che il presente progetto si propone di raggiungere sono, essenzialmente, due.
In primo luogo, a seguito di un’attenta ricostruzione delle diverse concezioni della sede della direzione effettiva oggi adottate nel contesto nazionale, convenzionale ed europeo si vuole arrivare a determinare se esistano e, in caso affermativo, quali siano, i tratti comuni della nozione, sia da un punto di vista definitorio sia da un punto di vista funzionale.
In particolare, l’obiettivo finale sarà quello di comprendere, con il maggior grado di certezza possibile, quali siano i punti di contatto fra le varie concezioni di sede dell’amministrazione effettiva e come le eventuali divergenze interpretative impattino sull’applicazione di tale concetto.
In secondo luogo, l’elaborato mira a verificare se, ad oggi, il PoEM sia ancora idoneo a svolgere le funzioni per il quale è stato introdotto e, in caso negativo, se esistano criteri idonei a prenderne il posto.
2. Il criterio metodologico
Come appare evidente dalle considerazioni preliminari effettuate nel paragrafo precedente, la presente ricerca è caratterizzata da due direttive fondamentali.
L’idea di base è, infatti, quella di concentrarsi sulla sede della direzione effettiva, intesa come criterio di collegamento territoriale a carattere soggettivo, nel solo ambito delle imposte dirette, includendo nel
campo di analisi non solo il diritto convenzionale, ma anche quello nazionale ed europeo.
Una simile delimitazione dell’ambito di ricerca deve però essere adeguatamente motivata da un punto di vista metodologico.
La sede dell’amministrazione e, più in generale, il collegamento soggettivo fra Stato e contribuente, non solo assume rilevanza in svariati settori della materia tributaria ma, inoltre, presenta connotati e funzioni a volte anche significativamente differenti a seconda dell’ambito di riferimento.
Conseguentemente, ampliare o restringere il tema di ricerca potrebbe avere risvolti estremamente rilevanti in ordine ai possibili risultati e, pertanto, è quantomeno opportuno motivare adeguatamente le scelte metodologiche compiute.
Volendo analizzare le due questioni separatamente e procedendo secondo l’ordine logico sopra tracciato, è innanzitutto necessario dare conto delle ragioni che hanno portato a “restringere” la ricerca alle sole imposte dirette.
Come noto, l’imposizione fiscale costituisce non solo un obbligo al quale tutti i contribuenti sono assoggettati ma, nell’ambito dell’attività d’impresa, un vero e proprio costo della gestione che deve essere correttamente e adeguatamente considerato durante la fase di formazione del business plan, specialmente se di lungo periodo.
Di conseguenza, la corretta identificazione del collegamento soggettivo, inteso quale criterio per determinare non solo il quantum dell’obbligazione tributaria, ma anche il soggetto nei confronti del quale adempiere la stessa, assume una connotazione oltre che giuridica anche economica.
E, sotto questa prospettiva, l’identificazione della sede della direzione effettiva ai fini delle imposte dirette assume, nella maggior parte dei casi una rilevanza fondamentale. Ciò per due semplici ragioni.
In primo luogo, l’imposizione diretta rappresenta il “costo” fiscale più incisivo ai quali le imprese devono far fronte. Da un punto di vista quantitativo, i tributi reddituali, quali forma di imposizione sui redditi ovunque prodotti da un soggetto, sono certamente quelli più ampi, in grado di ricomprendere la maggior parte delle attività e delle passività dell’impresa. Da un punto di vista qualitativo, invece, la corretta individuazione dello Stato di residenza consente di applicare criteri di calcolo delle attività e delle passività, nonché agevolazioni fiscali che, in alcuni casi, possono determinare il successo o il fallimento dell’imprese.
In secondo luogo, mentre concetti come, ad esempio, quello di stabile organizzazione assumono significati a volte anche significativamente differente a seconda del relativo ambito di applicazione, la sede dell’amministrazione è, e rimane, un concetto tendenzialmente unitario. Ciò significa che, salvo casi eccezionali come può essere nel caso di imprese totalmente “digitali”, l’individuazione della sede dell’amministrazione nelle imposte dirette ha indubitabilmente delle significative ricadute anche con riferimento agli altri tributi, siano questi diretti o indiretti.
Ciononostante, questo concetto, a seguito della progressiva e inesorabile digitalizzazione del mercato, incoraggiata anche dal frequente utilizzo di mezzi di telecomunicazione a distanza, non ha subito alcun significativo mutamento.
Più precisamente, a fronte di alcuni significativi interventi in altri settori, soprattutto in materia di localizzazione di beni e servizi nel
commercio elettronico, la sede della direzione effettiva non ha ricevuto, salvo qualche limitato documento di soft law, alcuna modifica o precisazione.
In sintesi, le ragioni che richiedono di focalizzare l’attenzione sulle sole imposte dirette sono essenzialmente due, ovverosia, da un lato, la rilevanza trasversale dalla sede dell’amministrazione effettiva e, dall’altro lato, l’assenza di interventi dedicati idonei a chiarificare la portata del concetto nell’odierno contesto economico.
Ciò detto, passando ora al profilo “estensivo” della ricerca, ovverosia l’inclusione nel perimetro di analisi anche degli aspetti attinenti al diritto convenzionale europeo, occorre innanzitutto rilevare, come verrà meglio approfondito nel corso della trattazione, che le differenti funzioni assunte dalla nozione della sede della direzione effettiva a seconda dell’ambito disciplinare di riferimento.
Questa considerazione potrebbe quindi portare, ad una prima analisi, a dubitare della validità dell’ampliamento della ricerca anche al di fuori dei confini nazionali.
Tuttavia, nonostante le intrinseche differenze indubitabilmente riscontrabili fra i vari ordinamenti, la prassi operativa, così come innumerevoli documenti di soft law, hanno evidenziato una significativa sovrapposizione fra i vari concetti.
Basti pensare, a mero titolo esemplificativo, alle osservazioni apportate dagli Stati nazionali al Modello di convenzione contro le doppie imposizioni OCSE, le quali hanno tutt’altro che raramente influenzato l’interpretazione del concetto convenzionale.
Sebbene sia innegabile la differente funzione che il PoEM sia chiamato a svolgere a seconda del settore di riferimento, le possibili sovrapposizioni in ordine alla sua corretta interpretazione rendono necessario
estendere l’ambito di ricerca al fine di evidenziare non solo le differenze ancor’oggi esistente, ma anche i possibili punti di contatto.
Per tali ragioni, una corretta analisi del concetto di sede della direzione effettiva nelle imposte sui redditi deve necessariamente estendere l’ambito della ricerca non solo alla normativa nazionale, ma anche a quella convenzionale ed europeo.
Volendo sintetizzare quanto sopra evidenziato, la perimetrazione dell’ambito di analisi è dettato dall’esigenza di ricostruire una visione di insieme del concetto di place of effective management, valorizzando il suo attuale contenuto anche alla luce della sua rilevanza nell’ambito di una corretta pianificazione fiscale.
CAPITOLO I
IL COLLEGAMENTO TERRITORIALE: IL PRINCIPIO DI TERRITORIALITÀ
SOMMARIO: 1. Premessa; 2. L’origine e la funzione del principio di territorialità; 3. Definizione e contenuto del principio di territorialità; 4. Il fondamento della connessione territoriale; 5. (Segue) la territorialità quale espressione della sovranità statale; 6. Il principio di territorialità nella costituzione italiana; 7. I confini della territorialità nel diritto italiano; 8. (Segue) i confini della territorialità nel diritto internazionale; 9. La territorialità nel diritto europeo ; 10. I criteri di collegamento; 11. (Segue) i criteri Soggettivi; 12. (Segue) Il criterio di collegamento oggettivo: La Fonte del reddito.
1. Premessa
La ricostruzione del ruolo oggi rivestito dal Place of Effective Management (sede della direzione effettiva o, in breve, PoEM) nell’ordinamento tributario, impone, a parere di chi scrive, di iniziare il percorso di analisi dai limiti che il legislatore deve necessariamente rispettare nell’individuazione del presupposto d’imposta, riconducibili al generale concetto di “efficacia della legge tributaria nello spazio”.
Lo stretto rapporto fra economia e diritto, che caratterizza in particolare la materia tributaria, esige di identificare regole certe e prevedibili in grado di consentire agli operatori economici di determinare a priori non solo il proprio carico fiscale, ma anche il soggetto nei confronti del quale adempiere la propria obbligazione tributaria.
Sebbene il costante e inarrestabile sviluppo del mercato globale (significativamente incentivato dai rapidi sviluppi della rete internet) sia destinato ad erodere sempre più la linea di demarcazione fra le potestà
impositive dei singoli Stati, alcuni principi fondamentali conservano ancora oggi una portata decisiva.
In questo contesto, ruolo centrale è indubitabilmente rivestito dal c.d. principio di territorialità (o giurisdizione fiscale)1, il quale mira a limitare e determinare la validità e l’efficacia della “legge” 2 tributaria nello spazio.
2. L’origine e la funzione del principio di territorialità
Uno dei tratti essenziali del principio di territorialità è sicuramente individuabile nel suo aspetto dinamico.
Secondo la ricostruzione dottrinale maggioritaria, tale dinamismo trova la propria ragion d’essere nello stretto collegamento esistente fra il principio di territorialità e nozioni allo stesso necessariamente presupposte
1 Tuttavia, secondo X. XXXXXXXX, La territorialità nel diritto tributario, Milano, 2004, 49, nota 103, “I due ‘termini territorialità’ e ‘jurisdiction’ vengono spesso considerati sinonimi o, meglio, l’uno la corretta traduzione dell’altro. Ciò, in realtà, non pare del tutto esatto presentando ciascuno di essi un significato al tempo stesso più ampio e più ristretto. La territorialità, per un verso, indica solo la competenza del soggetto a compiere atti con determinati contenuti ma, al contempo non riguarda, a stretto rigore, solo gli atti normativi e, comunque, non è determinata da limiti di carattere necessariamente o esclusivamente territoriale”. Sul tema, si veda anche X. XXXXXXXX, Lo Stato, il territorio e la sovranità territoriale, in Com. e Studi, 1954, 12.
2 X. XXXXXXXX, La territorialità nel diritto tributario, cit., 6, secondo il quale “si deve innanzitutto riconoscere che il riferimento alla ‘legge’ costituisce una sineddoche (e, anzi, anche così inteso, il concetto resta sempre alquanto impreciso) (…). In un’accezione tecnicamente più precisa, quindi, lo spazio o il territorio dovrebbero essere presi in considerazione in quanto limiti all’efficacia o alla validità degli atti normativi in generale”.
fra le quali, in primis, quelle di popolazione3 e, soprattutto, di Stato4 le quali, a causa della costante evoluzione del contesto storico, politico ed economico, sono in costante mutamento.
Questo collegamento, a sua volta, trova la propria giustificazione nella funzione svolta dalla territorialità (intesa nel senso più ampio del termine). Questa, infatti, è finalizzata ad individuare l’ambito di efficacia spaziale della legge statale ovverosia il perimetro all’interno del quale la legge nazionale è obbligatoria e vincolante per i suoi destinatari. Di conseguenza, è evidente come il mutamento dei rapporti di forza fra Stati e delle prospettive economiche ad essi correlate finisca inevitabilmente per incidere anche sull’estensione della normativa statale.
In una prospettiva storico-evolutiva, volendo individuare il momento in cui il principio di territorialità ha fatto il proprio ingresso all’interno dell’odierno Stato di diritto, occorre fare riferimento alla concezione di Stato
3 C. SACCHETTO, L'evoluzione del principio di territorialità e la crisi della tassazione del reddito mondiale nel paese di residenza, in Riv. Dir. Trib. Int., 2001, 35 “il principio di territorialità (…) è strettamente collegato con il modo di intendere lo Stato, con il fondamento della potestà di imposizione e più specificamente sulle prevalenti concezioni finanziarie del momento. Nel momento in cui le due nozioni cominciano a modificarsi come conseguenza della variazione delle sue componenti strutturali, territorio, popolazione, governo (rictus, quando si modifica il modo di intenderle), comincia anche il diverso modo di intendere il principio di territorialità e potremmo anche dire il suo inarrestabile declino”. X. XXXXX, Commentaries on the conflict of laws, Boston, 1834, 18.
4 C. SACCHETTO, Voce, “territorialità” (dir. tribut.), in Enc. Dir., 1972, “La territorialità della legge è un'immediata conseguenza della concezione statuale manifestatasi nel XVII secolo nonché della forza storica con cui si è imposto il principio di sovranità territoriale nella coscienza giuridica del diritto europeo. Il principio di territorialità in quanto principio storico "aprioristico" era destinato a modificarsi con il diverso modo di intendere il fondamento dello Stato”.
emersa a metà del XVII secolo5, e, più precisamente, nella pace di Westfalia del 16486 ove si affermò espressamente, per la prima volta, la sovranità esclusiva degli Stati sul proprio territorio7, inteso come elemento “essenziale
5 Si rileva, però, che, secondo alcuni, la prima vera e propria definizione di territorialità deve essere attribuita allo xxxxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxx, secondo il quale questa identifica “un'obbligazione naturale che determina la soggezione degli individui alla potestà statuale in ragione dell'effettivo soggiorno dei primi nel territorio su cui lo Stato esercita la propria sovranità” (X. XXXXXX, Tractatus de legibus ac Deo legislatore, Coimbra, 1612). Pertanto, come rileva X. XXXXXX, Il principio di territorialità ed i limiti alla potestà tributaria, Milano, 2009, 4, “Il fatto che del principio di territorialità s’inizi a parlare solo dalla metà del XVII secolo, non va quindi spiegato in termini di creazione di un concetto rapportato ad una realtà completamente nuova, ma come esplicitazione di un concetto immanente in ogni sistema politico, pur se risalente alle epoche antiche”.
6 C. SACCHETTO, Voce, “territorialità”, cit. “Questo principio trova collocazione storica nelle teorie contrattualistiche dello Stato, di cui i maggiori rappresentanti nel XVII e XVIII secolo sono riconosciuti il Xxxxxx, l'Xxxxxx, il Xxxxxxxxx ed il Xxxxx: si delinea allora la tesi di un tacito accordo quale fondamento del legame degli stranieri alle leggi statali, legame che viene considerato un'estrinsecazione della sovranità territoriale”.
7 X. XXXXX, Introduzione al diritto internazionale contemporaneo, Padova, 2016, 8, “Il significato simbolico di questo evento è quello di segnare la fine di una distribuzione gerarchica del potere sulla scena internazionale, o meglio europea, che trovasse, quindi, il suo vertice nell’Impero o nel Papato. In alternativa a tale prospettiva verticistica, si è consolidato uno scenario di distribuzione del potere tra una pluralità di aggregati umani la cui sovranità nazionale non ammetteva autorità a essi superiore. Questi, gli Stati europei, dall’Inghilterra alla Russia, formalmente pari ordinati tra loro, mossi da interessi concorrenti, ma ispirati a valori e modelli di comportamento omogenei, si fornirono di un bagaglio assai limitato di regole giuridiche, basate sulla reciprocità, che assicurassero un regime di libera concorrenza politica, militare ed economica. Sostanzialmente, tali regole miravano a garantire la tutela della funzione diplomatica, uno standard minimo di trattamento dei rispettivi cittadini all’estero, soprattutto dei loro beni e diritti economici, la libertà dei mari e un minimo di regole di condotta nelle ostilità belliche, che ne contenessero per quanto possibile le atrocità”.
dello Stato (…) costituito, in via esclusiva, da quella parte del globo terrestre sulla quale (…) è legittimato ad esercitare la sua sovranità”.8
Secondo questa prima ricostruzione di territorialità, ancor’oggi prevalente nel diritto amministrativo e penale internazionale9, il “sovrano” (inteso quale soggetto dotato di poteri imperativi idonei ad obbligare un determinato gruppo di persone) è legittimato a regolare i rapporti attivi e passivi nei confronti di tutti i soggetti ubicati all’interno del territorio di propria competenza. Al contempo, in modo diametralmente opposto, è preclusa qualsiasi estensione della legge nazionale all’esterno del territorio nazionale10, fatta salva la sola ipotesi di “cortesia fra Stati”11.
Questa prima formulazione della territorialità evidenzia quindi la sua forma più pura, ove Stato e territorio finiscono quasi per sovrapporsi.
8 X. XXXXXXXX, Manuale di diritto costituzionale, Milano, 2007, 132.
9 C. SACCHETTO, Voce Territorialità, cit., “Deriva da tale impostazione un concetto di territorialità secondo il quale la legge dello Stato, e solo quella, si applica sul territorio e vincola i soggetti che si trovano sul territorio stesso. Esempi di questa affermazione sono la lex loci, che si applica ai contratti conclusi sul territorio dello Stato e la legge penale, cui sono sottoposti anche gli stranieri in transito sul territorio nazionale”.
10 R. AGO, Teoria del diritto internazionale privato, Padova, 1934, 35; X. XXXX, De Statutis eorumque concursu liber singularis, Xxxxxxxxx, 0000.
11 Secondo X. XXXXX, De jure civitatis, Leiden, 1647, da tali considerazioni discendono tre postulati e, più precisamente, ”1) le leggi di ogni Stato sovrano hanno vigore solo entro il confine della relativa comunità ed obbligano tutti i sudditi ma non oltre; 2) sono da considerare sudditi e quindi soggetti al potere dello Stato tutti coloro che si trovano entro il suo confine, sia che vi si fermino stabilmente sia che vi si fermino temporaneamente; 3) in questo i capi degli Stati sono l'uno contro l'altro per il fatto che i diritti di ogni popolo, che vengono applicati entro il proprio confine, conservano ovunque la propria efficacia, in quanto non siano pregiudicati il potere o il diritto di un altro sovrano e dei suoi cittadini”. Sul tema, si veda anche X. XXXXXX, Voce “Diritto internazionale privato”, in Enc. Dir., Milano, 1964.
Il successivo step nell’evoluzione del principio si sviluppò in parallelo con la formazione del concetto di Stato Nazione, formarsi in Europa nel XIX secolo e caratterizzato dai principi di personalità della legge e di assoggettabilità alla normativa nazionale in base all’appartenenza del soggetto alla comunità statale.
Conseguentemente, la dottrina del tempo ritenne che l’esercizio della sovranità statale non trovasse il proprio fondamento nella presenza fisica del soggetto nel territorio nazionale, ma, piuttosto, nell’appartenenza dello stesso alla comunità statale.
In altri termini, con le parole di Xxxxxxx00, “le leggi devono reggere in tutti i luoghi e per tutti i rapporti giuridici per le persone per le quali sono state fatte”.
Si tratta, come appare evidente, di una concezione della territorialità diametralmente opposta a quella emersa nella pace di Westfalia in quanto svincolata dagli stretti confini territoriali e potenzialmente illimitata.
Una concezione di territorialità svincolata da ogni collegamento materiale o personale non ha mai trovato accoglimento nel panorama internazionale.
Tuttavia, il connotato personalistico del principio portò ad un progressivo ridimensionamento della territorialità c.d. “pura” (efficacia della norma statale solo all’interno dei confini nazionali), spingendo, quindi, verso un sistema che, in linea di generale approssimazione, potrebbe essere definito “misto”, il quale richiede un collegamento fondato sia sulla presenza del
12 P. S. XXXXXXX, Della nazionalità come fondamento del diritto delle genti, Torino, 1851.
soggetto all’interno del territorio sia sulla sua appartenenza alla comunità statale di riferimento13.
Pertanto, volendo sintetizzare, il principio di territorialità oggi accolto, inteso nel senso più ampio del termine, ha la funzione di delimitare l’estensione spaziale della legge statale (ivi compresa quella tributaria) nei confronti dei soli soggetti sufficientemente collegato con lo Stato.
3. Definizione e contenuto del principio di territorialità
Secondo condivisa opinione dottrinale14, lo studio della materia oggetto del presente capitolo può essere approcciato utilizzando due possibili metodologie, ovverosia il c.d. “metodo giuridico” e il c.d. “metodo economico” 15.
L’impostazione giuridica si riferisce alla territorialità quale criterio di matrice giuridica per la determinazione dei fatti che lo Stato può assumere quali presupposti - materiali e soggettivi - di propri tributi e che, al contempo,
13 A tal proposito, celebre è l’affermazione di XXXXXX, secondo cui la norma vale “dovunque e sempre purché essa stessa non ponga limitazioni nel suo aspetto spaziale e temporale”.
14 C. SACCETTO, L'evoluzione del principio di territorialità e la crisi della tassazione del reddito mondiale nel paese di residenza, cit., 35.
15 Pare però utile ricordare che, secondo alcuni autori (G. A. XXXXXXX, Problemi attuali di diritto tributario nei rapporti internazionali, in DPT, 1, 1965, 222), le problematiche attinenti alla territorialità in ambito tributario potrebbero trovare una semplice soluzione nel diritto internazionale privato facendo ricorso alle c.d. norme di conflitto. Si tratta, però, di una posizione che non convince perché diritto internazionale privato e diritto internazionale tributario presentano alcune insuperabili differenze, le quali non consentono una mera applicazione analogica dei principi regolatori della materia.
legittima l’esercizio dei poteri connessi al prelievo del tributo16. In questa prospettiva si tende quindi a distinguere fra territorialità c.d. “materiale” e territorialità c.d. “formale”17.
Per quanto attiene alla prima concezione, questa ha ad oggetto all’aspetto sostanziale del concetto ed è volta all’individuazione degli elementi di collegamento (atti, fatti o accadimenti) idonei a giustificare la pretesa impositiva statale18. Di conseguenza, la territorialità materiale quindi,
16 C. SACCETTO, L'evoluzione del principio di territorialità e la crisi della tassazione del reddito mondiale nel paese di residenza”, cit., “La dottrina tributaria agli inizi di secolo e soprattutto di elaborazione tedesca, ha potuto rinvenire il contenuto del principio di territorialità - come si è rilevato più sopra - nella necessità di riscontrare un legame o meglio un criterio razionale tra la potestà tributaria ed un ambito territoriale di sua pertinenza, nel cui ambito spaziale la potestà tributaria può concretamente estrinsecarsi. Nella impostazione primitiva dello Spitaler, essa ha carattere territoriale in senso stretto come Gebietshoheit e personale come Personhalhoheit per i soggetti che l'ordinamento tributario configura come appartenenti alla comunità statale. In questa prima accezione teorica, il principio di territorialità finiva per condizionare l'esercizio in concreto della potestà tributaria perché gli Stati si ritenevano autorizzati a colpire quelle fattispecie che esaurivano i loro clementi nel presupposto, oggettivo e soggettivo, dello spazio del territorio dello Stato”. Si veda anche G. A. XXXXXXX, Corso di diritto tributario. Torino, 1989, 68.
17 La distinzione tra aspetto materiale e aspetto formale della territorialità in materia tributaria è da ascriversi primariamente a X. XXXXXXXX, Probleme des Internationalen Steuerrecht unter besonderer Berücksichtigung des Territorialitäts-problems und des Qualification problems, in Vierteljahresschrifts für Xxxxxx und Finanzrecht, Berlino, 1932, 441. Sul tema, si veda G. A. XXXXXXX, Corso di diritto tributario, cit.; X. XXXXX, La soggettività tributaria nel pensiero di
G.A. Xxxxxxx, in Rass. Trib., 3, 2009, 611.
18 Secondo A. D. XXXXXXXX, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 1956, 48, i limiti all’individuazione del presupposto non deriverebbero da alcuna regola giuridica quanto, piuttosto, da una mera decisione di stampo politico. Più precisamente, come ricorda C. SACCHETTO, Territorialità, cit., 324, non si potrebbe parlare di limite alla potestà impositiva, ma, più correttamente, di autolimitazione. Sul tema, si veda anche X. XXXXXXXX, Diritto Tributario, Torino, 2012, 9; G. A. XXXXXXX, Voce “Legge”, in Enc. Dir., Milano, 1973, 1092, X. XXXXX,
impedirebbe al legislatore statale di elevare a presupposto del tributo elementi caratterizzati da profili di “estraneità” rispetto alla comunità statale di appartenenza19.
Questa interpretazione della territorialità materiale è però tutt’altro che pacifica. Difatti, secondo alcuni autori, l’assenza di norme gerarchicamente superiori volte a definire quali siano gli elementi “estranei” all’ordinamento nazionale20, circostanza che si approfondirà meglio nelle pagine che seguono, non consentirebbe di parlare di limiti ma, piuttosto, di autolimiti che è lo stesso Stato ad imporsi21.
Indipendentemente dall’approccio seguito, ai fini qui di interesse è sufficiente sottolineare che la territorialità materiale si limita a richiedere, quale condizione necessaria e sufficiente per l’esercizio della sovranità statale, un collegamento fra soggetto e gruppo sociale di appartenenza tramite
Efficacia della norma tributaria nello spazio, Palermo, 1983, 19; X. XXXXXXX, L’imposizione delle imprese con attività internazionale, Padova, 1965, 27; X. XXXX, Jurisdiction to Tax and International Income, in Tax Law review, IV, 4, 1962, 341.
19 X. XXXXX, Il diritto tributario internazionale, in AA.VV., Trattato di diritto internazionale,
Padova, 1994, 691.
20 X. XXXXX, Diritto tributario europeo, Milano, 2015, 20, “in un assetto caratterizzato dalla equiordinazione dei vari ordinamenti non è possibile rinvenire una norma di grado superiore (una sorta di ‘meta-norma’) che regoli il contrasto tra le norme appartenenti a vari ordinamenti – e dunque il conflitto di fonti normative – secondo un criterio di tipo gerarchico. La logica deduttiva, che impone di risolvere i contrasti in base al principio della superiorità di una fonte rispetto alle altre, è infatti applicabile soltanto in sistemi di tipo verticale, nei quali cioè sia sancita la dipendenza di un ordinamento rispetto all’altro”.
21 X. XXXXX, Xxxxx tutela internazionale della pretesa tributaria, in Riv. dir. fin., 1, 1940, 248,
presupposti d’imposta idonei a realizzare gli interessi dell’ordinamento di appartenenza22.
Diversamente da quest’ultima nozione, la territorialità formale ha invece ad oggetto l’esercizio dei poteri coercitivi che presiedono la fase attuativa del tributo, fra i quali rientrano sia i poteri istruttori (ad esempio, accessi, ispezioni e verifiche) sia gli atti di recupero delle imposte23.
L’esercizio di tali poteri da parte dello Stato, intesi quali comandi e obblighi da cui deriva una compressione della libertà personale del soggetto passivo, presuppone un (tendenzialmente) illimitato potere di governo, il quale può realizzarsi esclusivamente all’interno del proprio territorio di competenza.
Pertanto, nonostante il significativo rafforzamento dei meccanismi di cooperazione internazionale24, la fase esecutiva del tributo non può
22 Come rileva X. XXXXXXXX, La territorialità nel diritto tributario, cit., 308, l’individuazione di detti limiti dovrebbe essere effettuata sulla base dell’esistenza di un effettivo collegamento fra il soggetto e la comunità a cui quest’ultimo è tenuto a contribuire. Detto legame, inoltre, non dovrebbe essere individuato in base a criteri di stampo “internazionale” quanto, piuttosto, sulla base di indici di collegamento ritenuti razionali all’interno della stessa comunità di appartenenza.
23 X. XXXXXX, Il principio di territorialità ed i limiti alla potestà tributaria, cit.; X. XXXXXXXXXX, Voce “Territorialità del tributo”, in Digesto Disc. Priv. Sez. Commerciale, 1998;
X. XXXX, Voce “Territorialità del tributo”, in Enc. giur., Xxxx, 0000; C. XXXXXXXXX, Tutela all'estero dei crediti tributari dello Xxxxx, Xxxxxx, 0000, 57; A. R. XXXXXXXX, The enforcement of taxation under international law, in British Yearbook Int’l Law, 30, 1953, 461.
24 X. XXXXX, Trattato di diritto internazionale, Padova, 1949, 57, secondo cui “Per quanto riguarda l'assistenza amministrativa, essa assume di solito due forme. In primo luogo, essa può consistere in uno scambio di informazioni, che sono sollecitate caso per caso o trasmesse d'ufficio, per certi elementi tassativamente elencati nelle varie convenzioni; in secondo luogo, essa può consistere in una collaborazione dei servizi amministrativi degli Stati interessati, che procedono l'uno per conto dell'altro a inchieste, verifiche, perizie o altri atti di procedura per l'accertamento dell'imponibile e la determinazione del tributo (...). Mentre nella forma finora esaminata l'una
prescindere da un potere di imperio sul territorio ove ha luogo la stessa esecuzione del tributo25.
La sommaria ricostruzione delle due concezioni di territorialità giuridica evidenzia chiaramente come questi due concetti altro non siano se non due facce della stessa medaglia.
Più precisamente, anche accogliendo la connotazione “autolimitativa” della territorialità materiale, la quale, quindi, non impedirebbe al legislatore nazionale di elevare a presupposto d’imposta qualunque elemento da questi ritenuto idoneo, la territorialità materiale finirebbe comunque per delimitare l’attività normativa statale, rendendo sostanzialmente impossibile procedere all’esecuzione del tributo.
Rimandando la trattazione specifica della questione al successivo paragrafo 4, è qui sufficiente ricordare che un tributo fondato su elementi estranei all’ordinamento Statale, seppur astrattamente legittimo, finirebbe, di fatto, per essere inesigibile stante l’impossibilità di procedere al recupero
amministrazione si limita a fornire all'altra gli elementi per l'esercizio della potestà tributaria, nell'altra forma di collaborazione l'amministrazione d'uno Stato si sostituisce all'amministrazione di un altro Stato nel compimento di atti inerenti alla potestà stessa”. Sul tema si veda anche X. XXXXXXXX, La imposizione delle imprese con attività internazionale, Padova, 1965; G. A. XXXXXXX, Problemi attuali di diritto tributario nei rapporti internazionali, cit., 217.
25 X. XXXXXX, La tassazione degli stranieri in Italia, Padova, 1955, 95, secondo il quale “Lo Stato che promuove un'azione giudiziaria anche di semplice esecuzione all'estero, in sostanza chiede che la sua pretesa abbia il riconoscimento da parte della Magistratura straniera e quindi "per la contraddizione che non lo consente" non esercita un potere di sovranità, ma si sottopone alle leggi e agli organi stranieri, come un privato qualsiasi”. X. XXXXXXXXXX, l’efficacia degli atti stranieri di imposizione, in Studi in onore di Xxxxx Xxxxxxxx, Milano, 1965, 75 secondo cui non sarebbe possibile dare esecuzione a un atto straniero a carattere impositivo in quanto ciò implicherebbe riconoscere il potere d’imperio dello Stato straniero nel territorio nazionale.
dell’imposta in assenza della collaborazione dello Stato in cui il soggetto passivo (e/o i suoi beni) è effettivamente ubicato.
3.1. (Segue) il metodo economico
La rilevanza dell’aspetto fiscale nell’orientare le scelte di mercato compiute dagli operatori economici ha alimentato un’ulteriore riflessione, incentrata su un approccio di stampo economico-finanziario (come, ad esempio, l’economical and political allegiance)26 la quale, a sua volta, ha dato vita al c.d. metodo economico27.
Prima di tracciare i contorni di questo approccio dogmatico, è però necessario sottolineare come questo metodo assuma un ruolo significativamente meno rigoroso rispetto al metodo giuridico.
Segnatamente, le argomentazioni economico-finanziarie, sebbene siano spesso alla base delle scelte di politica fiscale, non assumono rango costituzionale rimanendo meri indicatori esterni al sistema giuridico e, quindi, privi di una qualsiasi efficacia vincolante.
Ciò detto, a differenza del metodo giuridico, il quale guida l’attività legislativa da un punto di vista puramente normativo, il metodo economico impone al legislatore nazionale di svolgere alcune importanti considerazioni inerenti alle ricadute economico-finanziarie dell’apposizione del dovere tributario in capo al contribuente.
26 Per una completa ricostruzione dell’impatto delle teorie economiche in ambito tributario, si veda
R. A. XXXXXXXX, Effects of business taxes upon international commodity flows, in The roles of direct and indirect taxes in the federai revenue system, (a cura di) R. A. XXXXXXXX, Princeton, 1964, 239.
27 X. XXXXXXX, The impact of State sovereignty on global trade and international taxation, L'Aia - Londra - Boston, 1999, 3.
In altre parole, si tratta di una metodologia volta a coordinare, da un punto di vista economico, i vari sistemi tributari nazionali e ad orientare l’attività dei legislatori statali al fine di risolvere tre problematiche fondamentali: l’international tax neutrality, l’international tax equity e l’inter-country equity28.
In primo luogo, il sistema fiscale internazionale può definirsi “neutrale” solo qualora le scelte di investimento degli operatori economici non siano influenzate dal differente trattamento fiscale previsto nelle varie giurisdizioni nazionali. Ciò significa, da un lato, che ai soggetti “che producono reddito anche all'estero (o solo all'estero) deve essere accordato lo stesso trattamento tributario che è accordato ai soggetti che producono reddito esclusivamente entro lo Stato di residenza [capitai export neutrality]” e, dall’altro lato, “che ai soggetti residenti che producono reddito anche all'estero (o solo all'estero) deve essere riconosciuto lo stesso trattamento tributario stabilito dallo Stato entro il quale tale reddito è prodotto ai soggetti che producono reddito esclusivamente entro quel Paese [capital import neutrality]”29.
In un sistema idealistico, tale obiettivo sarebbe automatica conseguenza del principio del beneficio “puro”, in base al quale il contribuente è tenuto a adempiere all’obbligo tributario solo nel paese ove riceve un reale ed effettivo beneficio economico. L’impossibilità di raggiungere tale obiettivo richiede quindi al legislatore nazionale di fare leva
28 C. SACCHETTO, L’evoluzione del principio di territorialità, cit., 39.
29 C. SACCHETTO, L'evoluzione del principio di territorialità e la crisi della tassazione del reddito mondiale nel paese di residenza, cit., 35, R. A. XXXXXXXX, Effects of business taxes upon international commodity flows, cit., 239
su altri criteri come, ad esempio, il principio di proporzionalità ed il principio di non discriminazione.
Procedendo oltre, l’international tax equity opera, a differenza dell’international tax neutrality, non sul piano sistematico, ma sul piano soggettivo richiedendo che soggetti in situazioni differenti siano trattati in maniera differente (vertical equity), mentre soggetti in situazioni eguali siano trattati in maniera uguale (horizontal equity)30.
Sebbene la maggior parte degli ordinamenti costituzionali moderni tenda a parificare il trattamento fiscale riservato al cittadino a quello previsto per lo straniero, appare difficile individuare una perfetta sovrapponibilità delle due situazioni. Il vincolo soggettivo che lega il residente (o il cittadino) con lo Stato è ben diverso rispetto a quello esistente fra il medesimo Stato e il soggetto non residente.
La diversa intensità del prelievo fiscale trova quindi giustificazione nella diversa intensità del collegamento fra il contribuente e lo Stato in cui lo stesso produce il reddito. Si potrebbe quindi affermare che l’international tax equity miri ad imporre al legislatore nazionale l’individuazione di trattamenti differenziati in base alla residenza del soggetto solo qualora ciò sia giustificato da una maggior o da una minor intensità del rapporto economico fra Stato e soggetto.
In ultima battuta, il terzo problema economico, denominato inter- country equity attiene alla ripartizione del gettito fiscale tra gli Stati esportatori di capitali (normalmente il paese della residenza, dal quale proviene il capitale da investire) e gli Stati importatori di capitali (gli Stati della fonte, ove il capitale viene impiegato al fine di produrre il reddito). In
30 C. SACCHETTO, L’evoluzione del principio di territorialità, cit., 43.
quest’ultimo caso, obiettivo del metodo economico altro non sarebbe se non quello di garantire una adeguata ripartizione del reddito imponibile, valorizzando la pretesa fiscale sia dello Stato investitore sia dello Stato produttivo del reddito.
Emerge chiaramente come tutte queste problematiche sono però guidate da un unico filo conduttore individuabile nell’esigenza di consentire agli operatori economici di compiere le scelte economicamente più convenienti, indipendentemente dalla correlata leva fiscale.
4. Il fondamento della connessione territoriale
Sebbene, come poc’anzi ricordato, la territorialità materiale trovi il proprio limite naturale nella territorialità formale (esercizio dei poteri coercitivi che presiedono la fase attuativa del tributo), questo rapporto non è da solo sufficiente a delimitare i contorni del rapporto Stato-contribuente.
Un simile approccio, infatti, determinerebbe una eccessiva rilevanza dei rapporti di forza fra gli Stati coinvolti nell’attuazione del tributo, estendendo o restringendo la pretesa tributaria in base ai poteri di intervento riconosciuti all’amministrazione finanziaria in suolo straniero. Ciò non solo violerebbe espressamente principi di stampo economico come l’international tax neutrality e l’international tax equity, ma, inoltre, infrangerebbe anche il principio di uguaglianza, oggi accolto dalla maggior parte degli Stati contemporanei.
La questione in esame, allora, si arricchisce di un profilo ulteriore. Non solo bisogna individuare un criterio idoneo a garantire allo Stato il prelievo fiscale sulla “ricchezza che ha contribuito a creare”, ma è ulteriormente necessario che lo stesso legittimi l’esercizio dei poteri
coercitivi indipendentemente dai rapporti di forza esistenti fra gli Stati coinvolti nella fase attuativa del tributo31.
Il sistema internazionale attuale, però, non presenta alcuna norma imperativa vincolante in grado di far fronte a questa esigenza. Contrariamente a quanto avviene nel diritto tributario “interno”, il diritto tributario internazionale è caratterizzato da più soggetti (gli Stati) che operano su un piano equiordinato e, pertanto, il contrasto fra più norme imperative non può essere risolto facendo ricorso ad una regola gerarchicamente superiore.
Ciononostante, la dottrina ha individuato il criterio ritenuto potenzialmente idoneo ad individuare l’estensione della potestà impositiva territoriale nel c.d. principio di competenza, secondo il quale ogni ordinamento dispone di una propria sfera di competenza all’interno della quale può regolare e attuare, in via autonoma ed esclusiva, i rapporti tributari attivi e passivi32.
Naturalmente, la concreta applicabilità del principio in parola richiede però di individuare la “sfera di competenza” statale. A tal riguardo, devono
31 X. XXXXXXXX, Diritto tributario, cit., 9; X. XXXXX, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Milano, 2002, 82; R. M. M. XXXXXXX, international law: A Student Introduction, Londra, 1997, 111; F. A. XXXX, The Doctrine of Jurisdiction in International Law, in Collected Courses of the Hague Academy of International Law, L’Aia, 1964, 111, 9; X. XXXXXX, Elementi di diritto tributario, Padova, 1962, 71; X. XXXXXXXX, Sovranità territoriale, atti di disposizione di territori ed effettività in diritto internazionale, in Riv. Dir. Int., 1959, 409; A. D. XXXXXXXX, I concetti fondamentali del diritto tributario, Torino, 1956, 33; X. XXXXXXXX, Lo Stato, il territorio e la sovranità territoriale, cit.; X. XXXXX, Osservazioni sulla possibilità di uno Stato di esigere crediti tributari all'estero, in Rass. Avv. St., 1953, 80; D. J. XXXXXX, Xxxxx and materials on international law, Londra, 1983, 210; J. H. XXXXX, A treatise on the conflict of laws, New York, 1935, 308.
32 X. XXXXX, Il Sistema tributario, Torino, 2008, 21.
essere approfondite quattro possibili teorie fra loro alternative ovverosia: la teoria reale, la teoria retributiva o etica, la teoria contrattuale e la teoria della sovranità.
In primo luogo, secondo la c.d. “teoria reale”, dovrebbero essere assoggettati al prelievo impositivo i soli soggetti nei confronti dei quali lo Stato detiene un “reale potere fisico”, idoneo a consentirgli di agire per il recupero del tributo dovuto anche tramite azioni esecutive33. Di conseguenza, in assenza di tale “contatto”, nessuna potestà impositiva potrebbe essere riconosciuta anche nel caso in cui esista un legame personale a carattere soggettivo (es. cittadinanza)34. Tuttavia, per le medesime ragioni sopra
33 Sul tema, si rinvia a E. S. XXXXXXX, Jurisdiction to Tax income, in Xxxxxxx Law review, XXII, 4, 1937, 487, “As a matter of physical power, this would be equally true of a property tax, for the tax can be regarded as one imposed on an individual subject to the physical power of the state and measured by the value of his property wherever situated." When a person in one state owns property situated in another state, both states, in the absence of a supervening constitutional limitation, have the physical power to exact a tax, the one by seizing the property and the other by physical suasion of the owner. In this respect, income taxes are not different from property taxes. The state having power over the property which is the source of the income or over the payor of the income can, by seizure of the property or corporeal suasion of the payor, withhold a portion of the income; and the state having power over the person receiving the income can force him to pay. If it is unfair and a violation of the due process clause of the Fourteenth Amendment for two states, each having physical power to do so, to impose a property tax, then, likewise, it is unfair and contrary to due process for two states, each having corporeal power to do so, to exact an income tax”: ID., Jurisdiction & Power of Taxation, Xxxxxx, 1933, 111.
34 Questa teoria è stata sostenuta anche dalla giurisprudenza americana in Xxxxxx x. Xxxxxx, 13 marzo 1933, in cui la Corte Suprema ha approvato un'imposta sugli immobili situati negli Stati Uniti, quando il deceduto era un Cittadino britannico e residente a Cuba sulla base del fatto che la proprietà era: “within the reach of the power which the United States by nature of its sovereignty could exercise as against other nations and their subjects without violating any established principle of intemational law”.
osservate in relazione alle limitazioni derivanti dalla territorialità materiale35, detta teoria non ha mai trovato alcun seguito36.
Possibile alternativa alla teoria reale è rappresentata dalla c.d. “teoria retributiva” o “etica”, basata sul rilievo che il dovere contributivo, oltre ad essere un obbligo politico-economico, assume anche evidenti connotati a natura etico-sociale.
Più precisamente, secondo i sostenitori di detta teoria, l’estensione della potestà impositiva statale deve essere determinata in base ai vantaggi generali che un soggetto riceve dalla sua semplice appartenenza ad una comunità politico-sociale, dai vantaggi particolari che derivano dall’attività sociale della collettività e dall’attitudine dello stesso soggetto passivo a fornire il proprio contributo alla medesima comunità37.
Anche questo secondo approccio ha ricevuto scarso seguito per due ordini di ragioni. Da un lato, sebbene il dovere contributivo presenti indubitabilmente una componente solidaristica, questa costituisce solo una conseguenza indiretta del prelievo tributario, inidonea, di per sé, a fondarne l’esistenza. Dall’altro lato, invece, la natura metagiuridica della teoria etica rende impossibile determinare con certezza chi sia “eticamente” tenuto a
35 Come ricorda J. H. XXXXX, A Treatise on the Conflict of Laws, Cit., 518, accogliendo questa teoria si finirebbe per sovrapporre la potestà impositiva alla mera fase attuativa del prelievo tributario, svilendo la portata di questo principio generale.
36 Per un critica dettagliata si veda C. E. MCLURE, Globalization, Tax Rules and National Sovereignty, in Bulletin of International Fiscal Documentation, LV, 8, 2001, 336; R. A. GREEN, The Future of Source-Based Taxation of the Income of Multinational Enterprises, in Xxxxxxx Law Review, 11, 1993, 29.
37 X. XXXXXXXXX, L’imposition Fiscale des Etrange, in Recuile de course, in Collected Courses of the Hague Academy of international Law, L’Aia, 1926, 5, secondo cui “'Plus encore que comme un phènoméne juridique et politique l'impot doit etre considéré comme une règle générale de caractère éhique”, X. XXXXXXXX, The Taxation of aliens under international law, cit. 145.
contribuire alle spese della collettività rendendo la debenza del tributo (e il suo relativo ammontare) incerta38.
Ulteriore possibile criterio di delimitazione della sfera di competenza statale è stato individuato nella c.d. “teoria contrattuale” 39 secondo la quale la potestà impositiva altro non sarebbe se non il risultato di un rapporto contrattuale fra Stato e contribuente40. In altre parole, a fronte della fornitura dei servizi essenziali da parte dello Stato, il contribuente si obbliga a versare un corrispettivo (il tributo) a titolo di controprestazione negoziale. Conseguentemente, la competenza statale dovrebbe estendersi nei confronti
38 X. XXXXX, Worldwide vs. Source Taxation of Income - A Review and Re-evaluation of Arguments (Part I) in Intertax, XVI, 8/9, 1988, 395, “Above all, equity is not a concept from which conclusions can be derived by logical or mathematical implication. Nor is it possible to prove or disprove that something is equitable in the same way in which empirical facts can be proved. The attempt to formulate a definition of equity which is operational in the way in which definitions in exact sciences are, would be futile. What 'equity' means cannot be defined (like in the case of 'efficiency'), it can only be explained, paraphrased”.
39 Secondo X. XXXXXXXXX, L’imposition Fiscale des Etrange, in Recuile de course, cit. questa teoria trova le proprie radici nelle opere sul diritto internazionale di Xxxx Xxxxxx e nel Triaté des Lois di Xxxxxxxx Xxxxxx. Per una ricostruzione attuale della teoria del contratto sociale si veda X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, Electronic Commerce and International Taxation, in Suffolk Transnat'l L. Rev., 24, 1999, 233; X. XXXXX, Worldwide vs. Source Taxation of Income - A Review and Re-evaluation of Arguments (Part III), in Intertax, XVI, 11, 1988, 395; R. S. J. XXXXXX, The Jurisdiction to Tax in International Law. Theory and Practice of legislative Fiscal Jurisdiction, Deventer-Boston, 1989.
40 Una possibile ricostruzione alternativa di detta teoria prendendo le mosse sempre dalla natura negoziale dell’obbligazione tributaria, giunge ad affermare che, stante la peculiare natura di tale rapporto obbligatorio, la relazione fra Stato e contribuente non dovrebbe essere regolata dalle ordinarie regole di diritto privato quanto, piuttosto, dalle speciali regole dettate in materia di imposte, considerate quale lex specialis in materia contrattuale. Si tratterebbe, quindi, di una obbligazione negoziale “speciale” a carattere non contrattuale.
delle sole controparti negoziali in qualità di debitori di un’obbligazione contrattuale.
Giurisprudenza41 e dottrina42 sono però unanimi nel ritenere il rapporto tributario non sussumibile nell’ambito dei rapporti contrattuali. Ciò in quanto, a fronte di una parziale estensibilità di alcune regole di natura
41 Nella giurisprudenza estera, State of Colorado x. Xxxxxxx, 17 ottobre 1921. Nel caso esaminato, avente ad oggetto una questione in tema di imposta sulle successioni nella quale lo Stato del Colorado agiva per il riconoscimento della giurisdizione fiscale nei confronti dei beni detenuti da un proprio residente nello Stato di New York la Corte Suprema dello Stato di New York affermò che “It is urged that the legatee becomes liable to pay the tax as upon an implied contract when he accepts the legacy under the will of a resident of Colorado and that he may be sued in the courts of another state wherever jurisdiction of the person may be obtained. But taxes are not debts or contracts. No contractual or quasi contractual obligation to pay arises out of the assessment of a tax. (City of Rochester v. Bloss, 185 N.Y. 42, 47; Xxxxxxxxxx x. Xxxxxxx, 000 U.S. 472, 513.) The enforcement of revenue laws rests not on consent but on force and authority. Liability to pay is a consequence imposed by fiat. A transfer tax is a tax on the succession or the right to receive the bequest based on the value of the succession, but it is assessed against and paid by persons, and it may not be collected from persons or out of property beyond the state's jurisdiction. (Xxxxxxx x. Xxxxxx, supra.) No personal liability based upon the receipt of a legacy arises except under the provisions of the Colorado statute (§ 1) that the person to whom the property is transferred shall be personally liable for the tax until its payment and that liability is purely local and statutory”
42 X. XXXXXXXX, The Taxation of aliens under international law, cit., secondo cui “In fact, a contract of taxation between the taxpayer and the state is impossible in most cases because there is no real freedom not to contract. The alien taxpayer must pay his taxes whether he has agreed to do so or not. Furthermore, there could be nothing even approaching a bargain between the parties as to the terms of the 'contract': how much the taxpayer must pay and how much he will get in return. The terms are variable at the will of the state, which may alter or abolish existing taxes and introduce new ones, spending the proceeds as it likes without any obligation to consult the alien taxpayer. If the alien believes that a disproportionately small share of the state revenues is devoted to his benefit, he may feel aggrieved, but he has no remedy”.
privatistica all’obbligazione fiscale43, quest’ultima è, e rimane, un’obbligazione di diritto pubblico44; al contempo, il rapporto fra Stato e contribuente è carente di alcuni degli elementi fondamentali richiesti per la validità dei negozi contrattuali45 fra i quali, in primis, il libero consenso fra le parti46 (sia in relazione all’identità della controparte, sia con riferimento alla scelta se contrarre o meno47).
43 X. XXXXXXXX, The Taxation of aliens under international law, 94, “Vi è concordia nel ritenere che le obbligazioni tributarie appartengono al genus delle obbligazioni di diritto pubblico. La struttura dell’obbligazione tributaria si rivela omogenea a quella delle obbligazioni disciplinate dal codice civile, pur distinguendosi per la natura legale della fonte che si riflette nella rigida disciplina della fase attuativa. Il che determina l’applicabilità delle disposizioni di cui agli artt. 1173 ss. c.c. all’obbligazione tributaria, previa valutazione di compatibilità. L’adempimento della obbligazione tributaria richiede lo svolgimento di un iter procedimentale che assume i caratteri, come si vedrà, del procedimento amministrativo”.
44 X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Manuale di diritto tributario, Milano, 2019, 4, l’obbligazione tributaria è “un’obbligazione pecuniaria che sorge in capo al singolo per effetto di un intervento autoritativo dello Stato o di un altro ente territoriale, avente la funzione di reperire entrate pubbliche attraverso cui realizzare il riparto delle spese tra i consociati”.
45 Inoltre, l’obbligazione tributaria, a differenza di quella contrattuale, è carente anche di un ulteriore elemento fondamentale, ovverosia la fase della contrattazione. Difatti, al soggetto passivo non è data la possibilità di scegliere né di quali e quanti servizi usufruire, né di modificarne il contenuto della controprestazione.
46 Come rileva X. XXXXXXXX, The origin principle, Xxxxxxx, 0000, 18, “The assumption that taxation is the payment for goods and services received from the taxing state on the basis of a (presumed) contract between the state and the fiscal subject must be rejected because the most fundamental aspect of a contract, the consensus, is absent”.
47 Se, da un lato, in relazione alle imposte dirette possano essere individuati alcuni elementi paragonabili ad un’espressione di un consenso tacito (a mero titolo esemplificativo, si pensi al trasferimento della propria residenza nel paese o all’esercizio di un’attività d’impresa all’interno dei confini territoriali), altrettanto non può essere affermato con riferimento ad altre tipologie impositive come, ad esempio, le imposte sui trasferimenti mortis causa.
Ultima possibile giustificazione teorica, ad oggi preferita dalla dottrina48, è data dalla c.d. “teoria della sovranità” 49 secondo cui la potestà impositiva e sovranità si pongono in un rapporto di genere a specie50,.
In altre parole, la territorialità dell’imposta altro non sarebbe se non l’esercizio della sovranità51 in ambito fiscale52.
48 X. XXXXXXXX, The Main Characteristics of State's Jurisdiction to Tax in International Dimension, Athens (Georgia), 2003, “Fiscal jurisdiction is an attribute of statehood and sovereignty. Jurisdiction is based on a state’s sovereignty and can be exercised only when a sovereign (i.e., a state) has the sovereign right to realize appropriate competence under international law (…) without sovereignty jurisdiction does not exist. Limits of sovereign power determine limits of jurisdiction”. Con altre parole anche R. J. S. XXXXXX, Extraterritorial Taxation in International Law, in Extraterritorial Jurisdiction in Theory and Practice (a cura di) K.
M. XXXXXXX, Xxxxxx, 0000; D. W. XXXXXXXX, Trends in Xxxxxxxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxxx, 0000, 101; K. XXX XXXX, Nondiscrimination in International Tax Law, Alphen aan den Rijn, 1986, 20.
49 R. S. J. XXXXXX, The Jurisdiction to Tax in International Law. Theory and Practice of legislative Fiscal Jurisdiction, cit. 22.
50 X. XXXXXXXX, Basic problems in international fiscal law, Berlino, 1979, 34, “writers such as Xxxxxx argues that fiscal jurisdiction is only a specie of the genus 'sovereignty' and jurisdiction should be distinguished from sovereignty because the doctrine of jurisdiction deals with the question of whether and under what circumstances a state has the right of regulation, while the sovereignty is the concept by virtue of which jurisdiction is exercised”.
51 X. XXXXXXXX, Origin principle, cit., 18, “The legal justification for the right to impose taxes and, therefore, the assignment of tax jurisdiction amongst states is generally considered to be the principle of sovereignty, i.e., jurisdiction, and therefore also fiscal jurisdiction, is an attribute of statehood or sovereignty”; F. A. XXXX, The Doctrine of Jurisdiction in International Law, cit., 30. 52 X. XXXXXXXX, The Taxation of aliens under international law cit., 148, “it [the right to tax] is justified in international tax law essentially as an attribute of statehood sovereignty, limited by international law (…) and exercised in varying manners according to the policies of the states possessed of it”; X. XXXXX, Diritto Tributario, Milano, 2019, 3, “Da un lato, si pone l’interesse della collettività alla acquisizione dei tributi al fine di garantire la vitalità e lo sviluppo della comunità e comunque di perseguire la massimizzazione degli obiettivi generali, che può essere
E, allora, la sfera di competenza del singolo Stato deve essere individuata sulla base dell’estensione della sovranità personale e territoriale dello Stato53.
5. (Segue) la territorialità quale espressione della sovranità statale
Senza voler addentrarsi in un’analisi dettagliata sulla natura giuridica della sovranità in ambito tributario54, ai fini qui di interesse pare sufficiente ricordare che, secondo l’opinione attualmente prevalente, questa individua il potere dello Stato di regolare i rapporti attivi e passivi all’interno della comunità statale, scegliendo i mezzi e le modalità ritenuti più opportuni a tale scopo55.
denominato “interesse fiscale” proprio per esprimere la connotazione assiologica del valore di matrice comunitaria. Dall’altro lato, invece si collocano i valori protettivi della sfera individuale, riconducibili tanto all’area delle libertà personali (rispetto all’esercizio del potere pubblico di imposizione), quanto alla capacità contributiva (intesa come diritto individuale ad un riparto razionale dei carichi pubblici tra i consociati)”.
53 X. XXXXX, Manuale di diritto internazionale, Milano, 2015, 169.
54 X. XXXXX, Voce “Sovranità”, in Enc. Dir., 2007 “Secondo la tradizione culturale dello Stato nazional-territoriale di diritto, la sovranità è un flusso che prorompe dal vertice organizzativo dello Stato e si distribuisce fra le varie funzioni che questo svolge verso la società e verso gli uomini che la compongono. È «l'espressione dinamica della statalità». Così la sovranità conferisce contenuti ed efficacia alle leggi che compongono l'ordinamento normativo, ma allo stesso tempo, adattandosi e quindi modificandosi, conferisce impulsi e giustificazioni agli atti del potere esecutivo, anzi allo stesso potere nella sua complessità, ripresentandosi come forza imperativa dei provvedimenti, esenti da obblighi di consenso o accettazione. Uguale vicenda si ripropone per la parte giudiziaria, ovvero per i meccanismi attraverso i quali si costruisce e si palesa la corporeità della giustizia: anche questa viene impartita dallo Stato attraverso l'emanazione di pronunce che si sovrappongono ai rapporti della vita quotidiana e ne definiscono i tratti giuridicamente validi ed effettivi. Insomma, la sovranità definisce insieme lo Stato come unità politica, come organizzazione e come ordinamento giuridico”.
55 X. XXXXXXX, X. XXXXXX, Corso di diritto pubblico, Bologna, 2001, 47.
Più semplicemente, la sovranità è la facoltà dello Stato di assumere liberamente e autonomamente la titolarità di posizioni giuridiche attive di diritto pubblico, regolandone il contenuto, nei confronti di tutti i soggetti “appartenenti” alla comunità statale56.
Come precedentemente osservato, la dottrina57 tende a distinguere fra sovranità personale (anche detta sovranità tout court) e sovranità territoriale.
La prima individua il potere dello Stato di imporre obblighi (prevedendone anche le relative conseguenze in caso di “inadempimento”) e riconoscere diritti in capo ai soggetti appartenenti alla comunità statale (siano essi persone fisiche o giuridiche) in ragione di un legame a carattere soggettivo (espresso da elementi come, ad esempio, la nazionalità, la residenza o la cittadinanza) ed insuscettibile di mutamento nel caso in cui il contribuente muti la propria ubicazione fisica58.
A ben vedere, si tratta di una concezione di sovranità strettamente connessa al principio di diritto internazionale della c.d. fedeltà politica o, dall’inglese, “political allegiance”59 in base al quale il “cittadino”, inteso
56 A tal proposito, si ricorda la definizione fornita da X. XXXXX, nel trattato les six livre de la republique, secondo cui la sovranità altro non sarebbe se non il potere assoluto dello Stato che attribuisce allo stesso la facoltà di imporre comportamenti ai propri soggetti senza essere a sua volta assoggettato ad alcun potere superiore.
57 X. XXXXXXXX, Diritto Internazionale, Napoli, 2018, 199.
58 A. M. XXXXX, General principle of law, as applied by International tribunals to Disputes on Attribution and Exercise of State Jurisdiction, Berlino, 1946, 96 “[a] legal retaliation exists between that state and individuals (its populations) by virtue of their ‘nationality’ conferred on them by the State according to its domestic law. This legal relation continues even if the ‘nationals’ (citizens or subjects) of a given State leave the territory of that state”.
59 X. XXXXXX, Political Allegiance, in Encyclopedia of Global Justice (a cura di) D. K. XXXXXXXXXX, Berlino, 2011, afferma che “To express allegiance to something is to affirm its authority and evince a deep sense of respect for that authority. Political allegiance is often
come soggetto appartenente alla comunità statale, deve allo Stato la propria fedeltà e, pertanto, lo Stato ha il diritto di richiedere allo stesso il rispetto delle proprie leggi60.
Al contrario, la c.d. “sovranità territoriale” identifica, come già sopra ricordato, la facoltà dello Stato di esercitare il potere di governo, imponendo obblighi e riconoscendo diritti, esclusivamente all’interno del proprio ambito
assimilated to political obligation. But political obligation is tightly focused upon the individual's duty to obey the law – it is deontological. Political allegiance concerns the individual’s more encompassing loyalty to the polity – a larger personal fidelity, a matter of virtuous sentiment (unless political allegiance is considered vicious, as in anarchism). We speak of owing allegiance to a particular nation in much the same way that we speak of owing allegiance to a close friend or spouse. In part, the personal and affective elements of political allegiance reflect the personal relation of vassal and lord, subject and monarch found in feudal polities”. Sul tema si veda anche
X. XXXXX, Political Allegiance After European Integration, Londra, 2011, 5; C. E. XX XXXXX, X. XXX XXXXXXXXXX, Interests, Identity and Political Allegiance in the European Union, in Acta Polit, 42, 2007, 307; K. XXX XXXXXXXXXX, Political allegiance and European integration, in European Journal of Political Research, XXXVII, 1, 2000, 1; T. R. XXXXX, X. X. XXXXXX, X. XXXXXX, Maintaining Allegiance toward Political Authorities: The Role of Prior Attitudes and the Use of Fair Procedures, in American Journal of Political Science, XXXIII, 3, 1989, 629.
60 Sotto questo punto di vista, emblematica è la decisione della Corte internazionale di Giustizia, 8 novembre, 1929, Xxxxxx Xxxx Xxxxx. Nel caso esaminato, avente ad oggetto una contestazione circa la nazionalità di un soggetto di nazionalità inglese, la Corte affermò che “a man’s nationality is a continuing legal relashionship between the sovreign State on the one hand and the citizen on the other. (…) If the citizen leaves the territory of his sovereign State and goes to live in another country, the duties and rights which his nationality involves do not cease to exist, although such rights and duties may change in their extent and character”. Sul tema si veda anche R. J. S. XXXXXX, The Jurisdiction to Tax in International Law. Theory and Practice of legislative Fiscal Jurisdiction, cit., 44.
di competenza spaziale61, nel rispetto della sovranità territoriale degli altri Stati62.
Da ultimo, pare utile rammentare l’esistenza di un’ulteriore concezione di sovranità che ha recentemente assunto particolare rilievo nel contesto internazionale: la c.d. sovranità “funzionale”.
Volendo definirne il contenuto, questa identifica le situazioni in cui, in base al diritto internazionale, lo Stato esercita il proprio potere sovrano su base funzionale in collegamento con specifici diritti derivanti da fonti extra- nazionali come, ad esempio, trattati internazionali63.
61 Corte Permanente internationale di Giustizia, 7 settembre 1927, R.S. Lotus, “The principle of absolute and exclusive jurisdiction within national territory apply to foreigners as well as to citizen or inhabitants, and the foreigners can claim no exemption from the exercise of such jurisdiction, except so far as he may be able to show either: 1) that he is, by reason of some special immunity, not subject to local law, or 2) that the local law is not in conformity with international law”.
62 X. XXXXXXXX, Diritto Internazionale, cit., 200, “Si tratti della forza internazionale o della forza interna, ciò che è delimitato dal diritto internazionale è sempre l'azione esercitata dallo Stato su persone o cose. Si dice che certi fenomeni, essendo incoercibili, svolgendosi in spazi e con modalità che non possono essere colpite o intercettate, sfuggono al potere di governo dello Stato: lo si è detto per le comunicazioni xxx xxxxx (x. § 00.0), poi per le attività spaziali (v. § 36.2); lo si dice oggi per le comunicazioni · in rete, con prese di posizione da parte degli utenti che suonano addirittura come una sfida agli Stati a non tentare di penetrare nel ciberspazio. A noi sembra che, anche in questi casi, punto di riferimento della disciplina internazionalistica restano le persone e le cose; i diritti e gli obblighi internazionali di cui lo Stato è titolare presuppongono sempre la sua possibilità di governare, magari soltanto nei luoghi di partenza o di arrivo, le attività umane (si pensi alle regole che uno Stato emana per disciplinare il commercio elettronico, ed i mezzi relativi ai detti fenomeni)”
63 X. XXXXXXXX, Some reflexions on 'Functional Sovereignty’, in Netherlands Yearbook of International Law, Cambridge, 6, 1974, 227, “A sovereign state being traditionally considered to be composed of a "government", "subjects" and a "territory", one is naturally inclined to look for application of a concept of "functional sovereignty" in those cases where there is said to be stateless "domain", and in situations where there seems to be some form of "government" but no territory, i.e, in the case of international organizations enjoying a measure of "independence". Indeed, in both
In ambito tributario, tipico esempio di sovranità funzionale attiene alla “potestà impositiva” attribuita all’Unione Europea, la quale è legittimata a regolare determinate fattispecie (fra le quali, in primis, dogane e I.V.A.) in funzione dei poteri alla stessa riconosciuti da parte degli Stati membri.
Tuttavia, si tratta di una nozione di sovranità “derivata” la quale non prescinde dalla presenza di un legame a natura soggettiva o territoriale.
Alla luce di queste considerazioni, si deve quindi ritenere che rientrino nella sfera di competenza all’interno della quale lo Stato è legittimato regolare i rapporti tributari attivi e passivi tutti quei soggetti “appartenenti” alla comunità statale in base ad un legame di tipo soggettivo o ubicati all’interno del territorio nazionale 64.
6. Il principio di territorialità nella costituzione italiana
Prima di valorizzare il dettato normativo contenuto nella Carta fondamentale, pare opportuno soffermarsi brevemente sul percorso evolutivo che ha portato all’odierna formulazione del principio di territorialità all’interno della Costituzione.
Nel sistema anti-costituzionale, lo Statuto Albertino, in forza del combinato disposto degli artt. 24 e 25, stabiliva che “Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge” e
cases, there are all sorts of legal phenomena which could be covered by the notion of "functional sovereignty.”
64 X. XXXXXXXX, Origin princple, cit., 21.
“contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato” 65.
Prima facie, sembrerebbe, dunque, che le due disposizioni richiamate delimito l’ambito applicativo della potestà impositiva statale ai soli regnicoli, termine tradizionalmente ritenuto sinonimo di “cittadini”.
Tuttavia, A seguito dell’espansione del Regno d’Italia e dell’annessione dei territori coloniali di Somalia ed Eritrea, la dottrina dell’epoca elaborò la distinzione fra cittadini coloniali e cittadini metropolitani, precisando che solo questi ultimi potessero essere qualificati alla stregua di regnicoli66. Si trattava, però, di una distinzione dai contorni estremamente incerti.
Il pacifico riconoscimento, in capo ai cittadini coloniali, di alcuni significativi diritti politici (ad esempio, il diritto di voto) doveva, infatti, comportare l’estensione dei relativi obblighi ai quali erano assoggettati i cittadini metropolitani, fra i quali, primo fra tutti, l’obbligo contributivo. Inoltre, i cittadini coloniali godevano di una protezione statale non differente da quella dei cittadini metropolitani, fondamento del loro dovere contributivo.
65 La concezione di Stato Nazione che ha caratterizzato la maggior parte degli stati pre-costituzionali basava l’assoggettamento ai poteri pubblici sull’appartenenza dell’individuo allo Stato, la quale poteva essere individuata solo sulla base del possesso di un preciso status, ovverosia quello di cittadino. Sul tema, P. COSTA, Lo Stato di diritto: un’introduzione storica, in Lo stato di diritto. Storia, teoria, critica, (a cura di) X. XXXXX, X. XXXX, Xxxxxx, 0000, 121.
66 X. XXXXX, Cittadinanza e sudditanza coloniale nell’ordinamento odierno, in Atti del terzo congresso di studi coloniali, 12‐17 aprile 1937, Firenze, II; Firenze, 1937, 57; X. XXXXXXX SALIS, Cittadinanza e sudditanza coloniale, in Nuovo Digesto, Torino, 1937 X. XXXXXX, Appunti di diritto costituzionale, Padova, 1925, 4.
Conseguentemente, l’apposizione del dovere contributivo esclusivamente in capo ai cittadini metropolitani avrebbe determinato una chiara violazione del principio di eguaglianza sancito dall’art. 24, al quale l’art. 25 faceva espresso rinvio67.
Inoltre, l’estensione dei diritti civili anche ai soggetti privi della cittadinanza, operata dal Codice civile del 186568, determinò un ulteriore ravvicinamento fra la posizione dei “regnicoli” e quella degli stranieri tale da rendere ingiustificata l’applicazione del dovere contributivo solo nei confronti dei primi.
In virtù di queste considerazioni, la dottrina del tempo riconobbe l’estensibilità del dovere tributario anche in capo agli stranieri, spingendosi fino ad affermare come il dato letterale dall’art. 24 (imposizione dei soli regnicoli) costituisse non la regola, quanto, piuttosto, l’eccezione69.
L’incertezza applicativa determinata dalla formulazione della norma statutaria, congiuntamente alla perdita di rilevanza del concetto di status al fine del riconoscimento di diritti e doveri, condussero quindi l’Assemblea
67 X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, Commento allo Statuto del Regno, Torino, 1909, 53, “La parola
«essi» con cui s'inizia quest' articolo, sembra restringere la disposizione ai soli «regnicoli ~ mentovati nell'articolo precedente. Ma, come la tendenza moderna è di repudiare sempre più le viete discriminazioni a carico degli stranieri, anche il non regnicolo nel nostro paese non può essere escluso del beneficio dell’obiettivo trattamento di fronte alle imposte, come alle leggi in genere. Invero il principio che lo Statuto proclama è di così elementare giustizia distributiva, da estendersi, per virtù propria e spontanea, oltre la ragione della nascita e dell’appartenenza statuale”.
68 Art. 1, Cod. Civ. 1865, “1. Ogni cittadino gode dei diritti civili, purché non ne sia decaduto per condanna penale. (…) 3. Lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti ai cittadini”. 69 In tema, si veda X. XXXXXXXX, Istituzioni di diritto finanziario, Padova, 1937.
costituente, dietro la spinta della sinistra e del gruppo Democristiano70, ad abbandonare ogni riferimento al concetto di cittadino71.
Tuttavia, nonostante questa scelta consentì a superare le problematiche derivanti da una stretta applicazione dell’ideologia politica ottocentesca, la quale individuava l’appartenenza del soggetto alla comunità statale in base alla cittadinanza o alla nazionalità, al contempo.
Ciononostante, si rendeva comunque necessario definire criteri idonei ad evidenziare l’appartenenza del singolo alla collettività.
La soluzione a questo interrogativo fu allora rinvenuta, ancora una volta, nel concetto di sovranità e, più precisamente, in quello di sovranità popolare di cui all’art. 1, co. 2 della costituzione secondo cui “La sovranità appartiene al popolo”. Partendo dall’ampio concetto di popolo l’assemblea costituente ritenne appartenente alla comunità statale chiunque “partecipi alla collettività”. L’esercizio dei diritti sociali, economici e politici a cui è connessa la sovranità popolare determina dunque il collegamento Stato- individuo, indipendentemente dal possesso o meno dello status di cittadino.
70 Le ragioni di ciò erano però ben diverse. Mentre il gruppo guidato da Xxxxxxxx sostenne la centralità della persona e delle formazioni sociali intermedie, indipendentemente dall’attribuzione dello status di cittadino, la sinistra caldeggiò, invece, per una mera sostituzione di tale qualifica con il termine “lavoratore”.
71 Come rilevano X. XXXXXXXXX, Libertà e diritti di libertà nella giurisprudenza costituzionale, in JUS, 2, 1986, 187 e X. XXXXXXXX, «Status civitatis» e norme costituzionali, in Riv. Trim. Dir Proc. Civ., 1977, 1317, l’unica disposizione di rango costituzionale contenente limiti alle condizioni di titolarità della cittadinanza è costituita dall’art. 22, secondo cui “Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”.
Tali considerazioni spinsero quindi l’Assemblea costituente ad utilizzare un termine volutamente ampio, ovverosia il “tutti” 72 con cui si apre oggi l’art. 53, Cost., idoneo a ricomprendere sia cittadini che stranieri73 in ragione del rapporto fra individuo e comunità organizzata.
L’interposizione utilizzata ha quindi dato vita una duplice concezione della territorialità: una positiva ed una negativa. Sotto il primo punto di vista, l’art. 53 Cost. consente al legislatore, fermi i limiti di diritto internazionale di cui si dirà in seguito, di estendere la propria potestà impositiva nei confronti di qualsiasi soggetto, senza riguardo per il suo status personale74. Al contempo, il collegamento fra “tutti” e il successivo termine “loro”, riferito alla capacità contributiva individuale, vieta l’estensione del dovere contributivo in assenza di una idonea manifestazione di forza economica.
72 Nell’ottica dell’Assemblea costituente, la scelta lessicale compiuta era dettata, seppur in maniera significativamente meno incisiva, anche da due ulteriori rilievi. In primo luogo, i lavori preparatori, evidenziano un’iniziale preferenza, successivamente abbandonata per un sistema territoriale e, pertanto, un riferimento alla cittadinanza sarebbe stato in diretto contrasto con gli obiettivi perseguiti. In secondo luogo, l’assenza di una espressa contrapposizione fra cittadino e straniero sarebbe irrilevante anche sotto un profilo di tecnica impositiva, in quanto la formulazione volutamente ampia adottata consente quindi di modulare il tributo sia da un punto di vista qualitativo imposizione solo nei confronti di alcuni soggetti), sia da un punto di vista quantitativo (portata dell’obbligo contributivo). Sul tema, X. XXXXXX, Diritto all’imposta e formazione delle leggi finanziarie, in Opere giuridiche (a cura di) X. XXXXX, X. XXXXXXXXXX, Milano, Vol. I, 1961, 475.
73 Tale circostanza risulta evidenziata già in sede di lavori preparatori, ove l’On. Ruini affermo che “quel ‘tutti’ riguarda anche gli stranieri, come risulta dall’intero testo costituzionale che agli altri articoli distingue quando vuol riferirsi ai cittadini, od a ‘tutti’ ove sono inclusi anche gli stranieri che potranno essere assoggettati a tributo, in quanto ve ne siano le ragioni obiettive, e lo consentano le norme internazionali” (Resoconti dell’Assemblea costituente, 4206).
74 XXXXXXX X., MELIS G., L’evoluzione del sistema fiscale e il principio di capacità contributiva, Padova, 2014.
7. I confini della territorialità nel diritto italiano: la capacità contributiva
Come appare evidente già da una prima lettura della disposizione contenuta all’art. 53 Cost., la norma, tramite l’utilizzo del termine tutti, introduce un termine potenzialmente idoneo ad estendere la potestà impositiva statale ben oltre i confini statali, includendovi anche soggetti astrattamente classificabili come “stranieri”.
Al fine di evitare una tale interpretazione, la quale sarebbe certamente contraria anche ai precetti provenienti dal diritto internazionale, la dottrina ha cercato di individuare alcuni criteri potenzialmente idonei a delimitare la portata della locuzione tutti75.
Una prima e risalente interpretazione tendeva a delimitare la potestà impositiva statale nei confronti dei soli soggetti, cittadini o stranieri, che godono dei servizi pubblici forniti dallo Stato76. Tale soluzione deve essere certamente scartata sia per le motivazioni sopra rilevate in relazione alla
75 Vi è però una autorevole, seppur isolata, dottrina (X. XXXXXXX, L’attitudine alla contribuzione, Milano, 1969, 228) secondo la quale le restrizioni alla platea dei soggetti destinatari del prelievo tributario troverebbe fondamento in mere circostanze fattuali e non nelle norme costituzionali. In altre parole, la restrizione all’estensione della territorialità non deriverebbe da un limite costituzionale, ma dalla mera impossibilità materiale di esigere il prelievo fiscale nei confronti dei soggetti non residenti ubicati al di fuori del territorio nazionale. Si tratta però di una obiezione che finisce inevitabilmente per scontrarsi con quanto sopra affermato in materia di territorialità formale. Pertanto, a parere di chi scrive, non merita accoglimento.
76 F. MAFEZZONI, Il principio di capacità contributiva nel diritto tributario, Torino, 1960, 12.
teoria del beneficio, sia perché concetti come quello di “godimento dei benefici” sono troppo vaghi ed indeterminati77.
Di conseguenza, la dottrina più moderna focalizza la propria attenzione non sulla funzione del tributo quanto, piuttosto, sulla sua giustificazione, individuabile nell’art. 53 Cost. quale espressione del più generale principio di capacità contributiva78.
77 X. XXXXXXXXX, Il principio di capacità contributiva, Padova, 1973, 213; I. XXXXXXX, Il principio della capacità contributiva nell’ordinamento costituzionale italiano, cit., 29, X. XXXXXXX, Principi di diritto tributario, II, Milano, 1957, 200. X. X'XXXXX, Nesso costituzionale fra imposizione e spese pubbliche, in Contributi in omaggio a G.U. Papi, Milano, 1964; X. XXXXXXXX, Problemi costituzionali in materia tributaria, in Temi tribut., 1961, 320; X. XXXXXXXX, Le basi teoriche del principio di capacità contributiva, Milano, 1961, 412.
78 Come rileva C. SACCHETTO, L'evoluzione del principio di territorialità e la crisi della tassazione del reddito mondiale nel paese di residenza, cit., 55, “Non sono tenuti alla contribuzione alle spese pubbliche solo i cittadini, ma tutti coloro, che sono legati in qualche maniera al gruppo sociale. Il godimento dei servizi dello Stato quale criterio di ripartizione della spesa pubblica è stato "spazzato via" dal concetto di "solidarietà" introdotto dalla Costituzione del 1948. Altrimenti detto obbligo tributario non sorge sulla base di un rapporto commutativo Stato-individuo, ma sulla base di un rapporto di appartenenza ad una comunità, che è individuato nella residenza. Vi è cioè una inconciliabilità di fondo tra una auspicata disciplina che faccia salve le istanze di maggior efficienza e neutralità internazionali e i sistemi costituzionali nazionali che, come quello italiano, si ispirano ad una idea di attività impositiva di tipo redistributivo, solida rizzante ecc.”.
Nonostante tale concetto svolga diverse funzioni79 e sia privo di una chiara e precisa definizione80, si potrebbe affermare che il principio di territorialità contenuto all’interno dell’art. 53, Cost. legittimi il legislatore a sottoporre al prelievo tributario tutti coloro che manifestino una idonea forza economica.
Tuttavia, anche una simile ricostruzione, basata sul solo principio di capacità contributiva, presenta alcune significative problematiche. Sotto un primo punto di vista, è innegabile come una siffatta interpretazione sarebbe comunque in grado di estendere la potestà tributaria ben al di là dei confini nazionali poichè anche un soggetto non appartenente alla comunità statale ben potrebbe dimostrare un’idonea forza economica. Sotto una seconda prospettiva, invece, gli indici rilevatori di capacità contributiva non
79 X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Manuale di diritto tributario, cit., 55 “In primo luogo, il principio individua il necessario collegamento tra prelievo tributario e finanziamento delle spese pubbliche, (…) In secondo luogo, il principio fissa il criterio in base al quale le spese pubbliche debbono essere ripartite tra i singoli: il carico fiscale deve essere determinato “in ragione” della “capacità contributiva” di ognuno (…) l’art. 53, comma 1, Cost. esprime una componente solidaristica le cui fondamenta sono da individuarsi nell’art. 2 Cost. L’attuazione dell’obbligo tributario risulta essere adempimento di “doveri inderogabili” di solidarietà “economica e sociale”, essendo strutturato per comportare un maggior sacrificio economico in capo a coloro che manifestano una maggiore forza economica (…) Il principio di capacità contributiva assolve ad una fondamentale esigenza di tutela del singolo consociato nel rapporto con lo Stato, delineando un forte vincolo per il legislatore tributario (…) Un’ultima dimensione del principio di capacità contributiva è quella che possiamo definire di tipo relazionale. Se la componente di garanzia del principio, nel rapporto Stato- consociato, fa emergere un limite di carattere assoluto (dal punto di vista del singolo) rispetto all’intervento autoritativo ablatorio, la componente relazionale esprime invece un limite di carattere relativo”.
80 Si tratta, a ben vedere, di un criterio volutamente vago, privo di una espressa connotazione a carattere soggettivo o oggettivo. Ciò deriva principalmente dalla considerazione che i presupposti impositivi sono differenti e non è possibile individuare un'unica forza economica valevole per ogni tipologia di tributo.
garantiscono l’effettiva e materiale capacità dell’ente impositore di soddisfare la propria pretesa tributaria81. Si pensi, a mero titolo esemplificativo, all’ipotesi in cui, nonostante il soggetto manifesti un’effettiva forza economica ex art. 53, Cost., questi non detenga, all’interno del territorio nazionale, beni patrimoniali suscettibili di esecuzione coattiva82.
In questa prospettiva, occorre quindi includere nel campo di analisi anche il dovere di solidarietà politica, economica e sociale ex art. 2, Cost., di cui lo stesso art. 53, Cost. è espressione83.
Ebbene, la tesi preferibile è quindi quella che delimita l’obbligo contributivo in base all’intensità della partecipazione personale alla comunità
81 Inoltre, come rileva X. XXXXXXXX, La territorialità del diritto tributario, cit., 269, “La scarsa praticabilità di una simile soluzione non costituisce, l’elemento decisivo di critica. Ciò che ci pare avere una minor persuasività è l’aver anteposto, nella scelta del limite, la relazione del ‘fatto’ con il territorio rispetto a quella propria del soggetto. (…) se si assume che il soggetto avente una relazione con i fatti verificatisi nel territorio dello stato stia anche e necessariamente in una precisa relazione con la collettività alle cui spese egli è chiamato a concorrere, ciò impone di selezionare solo i fatti idonei a fungere da indice indiretto, appunto, della ‘appartenenza’ del soggetto alla collettività e, in questo modo, risulta preminente la preminenza del soggetto rispetto al fatto; se, invece, non si tiene in alcuna considerazione la relazione fra la collettività ed il soggetto, ma solo fra questi ed il fatto avente il requisito di territorialità, si corre il rischio di imputare il dovere contributivo a soggetti privi di qualsiasi relazione con la comunità statale”.
82 Tale problematica risulta particolarmente accentuata con riferimento ai tributi c.d. periodici ove, nell’arco temporale sussistente fra realizzazione del presupposto e applicazione del tributo, il contribuente “trasferisca” gli elementi patrimoniali suscettibili di esecuzione coattiva dall’Italia all’estero.
83 I. XXXXXXX, Il principio della capacità contributiva nell’ordinamento costituzionale italiano, Torino, 1965, 31, secondo cui occorre “considerare rilevanti, ai fini contributivi, solo quei fatti o situazioni di fatto che nel territorio dello stato si verifichino, o che in qualche modo ad esso si ricolleghino, individuando, di conseguenza, i destinatari del dovere tributario sulla base di un rapporto di relazione con i fatti o situazioni, ed esclusivamente nei limiti di una tale relazione”.
statale in virtù del dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost84. In altre parole, la partecipazione del soggetto (cittadino o straniero) alla vita dello Stato legittima l’apposizione di un dovere contributivo il quale sarà più ampio o più limitato a seconda dell’intensità di detta partecipazione.
Di conseguenza se, con riferimento ai cittadini, non appare dubitabile un tale collegamento, in relazione agli stranieri occorre che esista un differente legame personale, individuabile in elementi fra i quali, in primis, la residenza oppure una fonte reddituale.
Ciononostante, non ogni partecipazione alla comunità statale è idonea a giustificare l’esigibilità del xxxxxxx00, ma è necessario che questa sia “duratura” ed “economica” 86.
Più precisamente, il concetto di “durevolezza”, sebbene non richieda l’individuazione di una durata temporale minima predeterminabile, considera illegittimo il prelievo fiscale nei confronti dei soggetti il cui legame con la comunità statale sia inesistente o del tutto trascurabile.
A ben vedere, tale requisito altro non sarebbe se non una conseguenza implicita del concetto di “partecipazione” 87, poiché, a prescindere
84 X. XXXXXXXX, Manuale di diritto tributario. Parte Generale, Padova, 2005, 25.
85 F, XXXXXXXXX, Il principio di capacità contributiva, cit., 215.
86 X. XXXXXXXXX, Il principio di capacità contributiva, Padova, cit., 215.
87 X. XXXXXXXX, La territorialità del diritto tributario, cit., 272, “è difficile determinare la soglia di durata minima e, tuttavia, non per questo il criterio della durevolezza deve essere abbandonato in quanto esso consente almeno di escludere la legittimità del prelievo a carico dei soggetti il cui legame sia inesistente, ovvero del tutto trascurabile. Così configurato, però, il carattere della durevolezza non qualifica ulteriormente il criterio, in apparenza più vago, del legame del soggetto con l’ordinamento (…). È evidente, infatti, che la conseguenza di ritenere inesistente l’obbligo tributario a cario di soggetti il cui rapporto di appartenenza sia nullo o non assolutamente insignificante si perviene anche se non si connota il legame con il carattere della durevolezza (…)
dall’intensità del vincolo solidaristico, è difficile immaginare una vera e propria partecipazione derivante da un contatto istantaneo o pressoché trascurabile.
Sotto il secondo punto di vista, l’appartenenza alla comunità statale non può ridursi al solo esercizio o godimento delle libertà politiche88, ma deve manifestarsi anche da un punto di vista economico. Di conseguenza, l’obbligo contributivo è esigibile solo da coloro che si trovano in una posizione di vantaggio materiale89 a prescindere che questo derivi dall’esercizio di libertà economiche o altre libertà.
Da ultimo, la determinazione dell’estensione della territorialità dell’imposta così come recepita dalla costituzione deve tenere in
appare necessario escludere l’esistenza del vincolo stesso in presenza di rapporti del singolo con la collettività non sufficientemente durevoli”.
88 Si rileva, però, quanto affermato da X. XXXXXXXX, La territorialità del diritto tributario, cit, 273, secondo il quale “mentre il fondamento del vincolo può avere indubbiamente carattere economico, tuttavia il legame in sé ha sempre carattere politico (…) Se anche si volesse sostenere che la solidarietà economica si riconnette alle sole situazioni in cui l’agire dei soggetti incide sulla distribuzione delle risorse economiche, non si potrebbe da ciò dedurre l’irrilevanza, in quanto ‘neutrali’, dell’esercizio delle libertà diverse da quelle economiche in senso stretto. In ogni caso, sembrerebbe da preferirsi l’idea per cui la solidarietà economica, (…) sia esigibile da tutti coloro che si trovano in una posizione di vantaggio materiale, a prescindere dalla circostanza se siffatta posizione si riconnette, ad esempio, al godimento delle libertà economiche riconosciute dalla collettività medesima in cui il dovere è imposto, oppure in altre collettività. Detto altrimenti, non sembra che il dovere di solidarietà sia minore a carico di chi abbia solo la proprietà all’estero, ma viva in Italia esercitando ivi ogni altra libertà civile e politica”.
89 La posizione di vantaggio non può e non deve essere confusa con il concetto di beneficio, la quale deve essere distinta dalle cause giustificative dell’estensione della potestà impositiva statale. Più precisamente, mentre quest’ultimo termina individua un vantaggio inteso in sensi economici e concretamente valutabile, la posizione di vantaggio esprime semplicemente la possibilità del soggetto di esercitare i tradizionali diritti e doveri riconosciuti a favore dei cittadini.
considerazione anche di un terzo ed ultimo principio, ovverosia il principio di eguaglianza, contenuto all’interno dell’art. 3, Cost90.
Più precisamente, il legislatore, nel determinare l’estensione del campo applicativo del tributo, deve tenere in considerazione anche il fondamento del principio di parità di trattamento. Ciò, tuttavia, non significa che i soggetti passivi devono essere trattati differentemente a seconda della loro qualifica di cittadino o straniero.
Infatti, occorre leggere tale principio alla luce del principio di capacità contributiva ex art. 53, Cost., il che comporta che, indipendentemente dallo status personale del soggetto, si ha uguaglianza di situazioni quando vi sia parità di capacità contributiva, per cui è costituzionalmente illegittima ogni arbitraria discriminazione non inquadrabile nel sistema dell'ordinamento giuridico e alla quale non corrisponda una corretta diversità di capacità contributiva91.
Pertanto, volendo sintetizzare i ragionamenti sopra effettuati, si deve ritenere che la Carta fondamentale consenta al legislatore di estendere la propria potestà impositiva nei confronti di tutti i soggetti (cittadini o stranieri), economicamente e durevolmente collegati alla comunità statale, ma nei limiti della forza economica da questi ultimi dimostrata.
8. (Segue) i confini della territorialità nel diritto internazionale
90 Una prospettiva alternativa, incentrata sul rispetto del diritto di proprietà e della libertà di iniziativa economica privata, vede invece la capacità contributiva come un limite “oggettivo” e assoluto, il quale impone al legislatore di fondare ogni pretesa tributaria su presupposti a contenuto patrimoniale o economico. Sul tema, si veda X. XXXXXXXXX, Il principio di capacità contributiva, cit., X. XXXXXXX, Il senso della capacità contributiva, in AA.VV., Diritto tributario e Corte costituzionale, Napoli, 2006, 25.
91 C. SACCHETTO, Voce, “territorialità”
Ai sensi dell’art. 11, Cost., “L’Italia (…) consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
Nonostante la funzione fondamentale di tale disposizione, ad opinione della dottrina maggioritaria, sia quella di legittimare l’adesione dell’Italia alle organizzazioni internazionali, l’art. 11 consente, al tempo stesso, anche l’introduzione di limitazioni a carattere sovranazionale all’esercizio dei poteri statali, fra i quali deve essere certamente ricompresa anche la potestà impositiva.
Sulla base di questo assunto, è quindi necessario verificare se sia possibile individuare regole di diritto internazionale idonee a delimitare l’estensione territoriale della pretesa tributaria.
Secondo la ricostruzione dottrinale prevalente, il principio di territorialità, inteso, in questo caso, come divieto apposto ad un ente sovrano di esercitare i propri poteri nel territorio di un altro Stato, deve essere considerato alla stregua di un “principio generale riconosciuto dalle nazioni civili”92(ossia fonte residuale o sussidiaria applicabile in caso di assenza di
92 Secondo X. XXXXX, Introduzione al diritto internazionale contemporaneo, cit., 114, “si ritiene che i principi generali vadano considerati come assorbiti nella categoria del diritto consuetudinario (…) La tesi dell’assimilazione dei principi generali del diritto alla consuetudine trova conferma nel linguaggio della giurisprudenza italiana in tema di rilevazione e applicazione del diritto internazionale generale «trasformato» in diritto interno per il tramite dell’art. 10 della Costituzione. Ad esempio, nel 1987, nella causa Marcinkus ed altri – relativa al coinvolgimento in illeciti finanziari internazionali da parte di alti prelati vaticani organi della Santa Sede, in cui quest’ultima veniva equiparata a uno Stato sovrano – la Cassazione penale si è riferita alla consuetudine in materia di immunità dalla giurisdizione degli Stati esteri nei seguenti termini:
trattati o consuetudini93), riconosciuto dall’art. 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia94.
In questo contesto, si ritiene che l’esercizio delle prerogative statali, ivi compresa quella fiscale, richieda la previa individuazione di un nesso sufficiente (genuine link) volto ad evidenziare l’appartenenza del soggetto alla comunità di riferimento95.
Costituisce un principio di diritto internazionale consuetudinario quello per cui uno Stato deve astenersi dall’esercitare i suoi poteri sovrani quando ciò implichi ingerenza sugli organi di rilevanza internazionale di un altro ente sovrano che operino nell’ambito del territorio di tale Stato (nella specie, il principio viene enunziato in riferimento agli enti centrali della Chiesa Cattolica)”. Sul tema si veda anche X. XXXX, Voce Trattati internazionali, in Digesto delle discipline pubblicistiche, Milano, 1999, 344; F. SALERNO, Voce Principi generali di diritto (diritto internazionale), in Digesto delle discipline pubblicistiche, 1996, 524; ID. Voce Princìpi generali del diritto (diritto internazionale), in Enc. Dir., 1986.
93 X. XXXX, Voce “Territorialità del tributo”, cit., X. X. XXXXX, Differences in tax treatment of foreign investors: Domestic subsidiaries and domestic branches, Berlino, 1984, 20; A. BERLIRI, Principi di diritto tributario, cit., 52; X. XXXXXX, Le droit des gens où principes de la loi naturelle appliqués à la conduite et aux affaires des nationes et des souverans, (a cura di) PRADIER- FODÉRÉ, II, Parigi, 1863, 106.
94 “La Corte, cui è affidata la missione di regolare conformemente al diritto internazionale le divergenze che le sono sottoposte, applica: a. le convenzioni internazionali, generali o speciali, che istituiscono delle regole espressamente riconosciute dagli Stati in lite; b. la consuetudine internazionale che attesta una pratica generale accettata come diritto; c. i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili; d. con riserva della disposizione dell’articolo 59, le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più autorevoli delle varie nazioni, come mezzi ausiliari per determinare le norme giuridiche”.
95 Tuttavia, come osserva X. XXXXXXX, La imposizione delle imprese con attività internazionale, cit., 45, “il constatare la sussistenza di un comportamento uniforme da parte degli Stati non consente di affermare la esistenza di un limite di diritto internazionale consuetudinario alla potestà tributaria, perché a tal fine è necessario dimostrare che la limitazione non è posta dagli Stati in modo autonomo, ma che essa è osservata dagli Stati in quanto considerata un obbligo di diritto
Tuttavia, non pare possibile qualificare detto principio alla stregua di un vero e proprio limite, ma di una mera conseguenza dell’attuale assetto della comunità statale internazionale il quale, in via di principio, è inidoneo a vietare e sanzionare comportamenti contrari. Sul piano internazionale, infatti, ogni Stato è dotato dello stesso potere d’imperio, il quale trova inizio e fine dove comincia il potere degli altri enti sovrani. Dunque, più correttamente, si deve parlare, ancora una volta, di auto limite, ovverosia di una restrizione che lo Stato si autoimpone per assicurare il coordinamento e la cooperazione all’interno della medesima comunità internazionale96.
internazionale... Appare pertanto fondato ritenere che nella fattispecie si tratti di autolimitazione da parte degli Stati e non di una limitazione imposta dal diritto internazionale”.
96 X. XXXXX, X. XXXXXXXXXX, X. XX’ XXXXXXXX XX XXXXXXXXX, Diritto tributario internazionale, Padova, 2009, XVIII, “Il grande ostacola alla evoluzione del diritto tributario internazionale è consistito essenzialmente nella resistenza politica, quasi gelosia degli Stati Nazioni
– di origine ottocentesca ma che ancora oggi non è stata del tutto smantellata – di considerare la imposizione fiscale un attributo della sovranità con una libertà assoluta, anche di sopraffare altri ordinamenti, ritenendosi che non sussista alcun limite di diritto internazionale, Ciò ha influenzato anche la dottrina che in gran parte disconosce un diritto tributario internazionale tributario, se non minimale: l’unica connessione per anni ed anni è stata il riconoscimento della consuetudine di escludere dalla tassazione i diplomatici di altri Stati. Vi sono ancora oggi segni evidenti di tale retaggio storico, come l’esclusione, di massima del diritto di uno Stato di far valere all’estero il proprio credito d’imposta (anche se accertato al.; traverso un due process of law, e si tratti di un tributo con caratteristiche universalmente riconosciute, come una imposta sul reddito), o la resistenza alla previsione di procedure arbitrali (nonostante il ribadito impegno della International Chamber of Commerce «to encourage government to aceept compulsory arbitration in iniemalional tax conflictss») o di una Corte indipendente per le controversie internazionali, o la previsione della necessità di assumere da Parte del Consiglio dell'Unione Europea deliberazioni in materia fiscale con voto unanime, anziché a maggioranza in tutte Ie altre materie. Ma la forza dell'economia spesso è superiore a quella della politica, così che l'atteggiamento, ormai anacronistico, è stato in parte superato grazie agli interventi ed alle sollecitazioni di organismi soprannazionali. Sono stati stipulati trattati di portata generale che limitano la sovranità nella imposizione (si pensi al Genéral
Una seconda fonte di diritto internazionale potenzialmente idonea a limitare l’estensione della potestà impositiva statale è individuabile, sempre in base all’elencazione effettuata dall’art. 38 dello Statuto della Corte internazionale di Giustizia, nelle convenzioni internazionali fra le quali, in primis, le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni stipulate in base al modello predisposto dall’Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica (OCSE).
Rimandando la trattazione dettagliata del tema al Capitolo III, in questa sede è sufficiente limitarsi ad effettuare due rilievi.
In primo luogo, si tratta di atti pattizi a carattere prevalentemente bilaterale, in relazione ai quali l’ente sovrano non ha alcun obbligo a contrarre con la conseguenza che anche le convenzioni assumono natura di auto limite. Tuttavia, a differenza di quanto sopra affermato in relazione ai principi generali, la ratifica delle convenzioni, la quale attribuisce alle stesse forza di legge, conferisce a questa fonte normativa, limitatamente ai soli Stati contraenti, un effetto vincolante maggiormente incisivo.
In secondo luogo, sebbene le convenzioni contribuiscano a delimitare la potestà impositiva statale, queste non hanno alcuna diretta efficacia in ordine alla territorialità97. Tali accordi non solo hanno una valenza limitata
Agreement on Tariffi and D-ade con le Integrazioni conseguenti all’Uruguay Round), sono state sottoscritte oltre 2000 convenzioni «bilaterali» (ben poche sono le plurilaterali: ricordo storico è la convenzione sottoscritta nel 1927 dall'Italia con gli Stati successori dell’impero austro-ungarico; ma alla fine ridotto ad un accordo bilaterale fra l'Italia e l'Austria) che limitano la sfera di imposizione, sono state istituite comunità (dall'Unione Europea, al Mercosur, al Nafta), intese ad istituire mercati comuni attraverso limitazioni fiscali specialmente con riguardo ai movimenti di persone, merci, servizi e capitali”.
97 Tuttavia, come sottolinea X. XXXXXXXX, The Origin principle, cit., 17, “It should be noted, however, that a bilateral tax convention is generally considered to serve more purposes than the
solo ad alcune fattispecie impositive (imposte sui redditi e, in maniera assai più limitata, imposte sulle successioni e donazioni98) ma, al tempo stesso, si limitano a prevedere criteri volti ad eliminare una duplicazione del prelievo impositivo senza incidere sulla facoltà del legislatore nazionale di assumere quale presupposto d’imposta elementi esterni al territorio nazionale.
Pertanto, allo stato attuale, non esiste alcun limite esterno vincolante all’estensione territoriale della territorialità della normativa tributaria nazionale espressamente regolato dal diritto internazionale. Tuttavia, sono gli stessi Stati che, al fine di assicurare un efficace coordinamento e cooperazione fra loro, autolimitano l’esercizio dei propri poteri così da non sconfinare all’interno del territorio di altri enti sovrani.
9. La territorialità nel diritto europeo
prevention of international juridical double taxation. It also covers prevention of tax avoidance and tax evasion, elimination of discriminatory taxation, and sharing tax revenues between contracting states. It does not only affect the position of the relevant states but also the position of individual taxpayers. Legal certainty for the individual taxpayer should be increased and burdensome administrative procedures might be reduced”. X. XXXXX, X. XXXXXXXX, Interpretation of Double Taxation Conventions, General report, in Cahiers de Droit International, Vol. LXXVIIIa, IFA, 1993, 72, D. L. FORST, The U.S. International Tax Treatment of Partnerships: A Policy-Based Approach, in Berkeley Journal of international Law, 1996, 250.
98 A fronte di più di 100 accordi stipulati in materia di imposizione reddituale, l’Italia ha stipulato solo 7 accordi in materia successoria. Più precisamente, gli unici accordi di cui è parte l’Italia sono quelli stipulati con Danimarca, Francia, Grecia, Israele, Regno Unito, Stati Uniti e Svezia, Sul tema si rinvia a X. XXXXX, Il regime fiscale per i “neo residenti” e la convenzione in materia di imposte sulle successioni e donazioni tra Italia e Francia, in DPT int., 4, 2018, 1082; X. XXXXXXXXXXX, Aspetti fiscali internazionali nelle successioni mortis causa: il "treaty network" italiano, in Fisc. Int., 6, 2006, 491.
Ai sensi del successivo art. 117 Cost., nell’affermare che “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
Come noto, i trattati istitutivi dell’Unione europea hanno trasferito in capo al legislatore europeo alcune specifiche competenze statali (principio di attribuzione)99, imponendo che le stesse siano esercitate al solo fine di raggiungere gli obiettivi perseguiti dalla stessa Unione (principio di proporzionalità)100.
Pertanto, occorre domandarsi se il diritto europeo preveda una propria nozione di territorialità e se il diritto eurounionale apponga limiti alla territorialità italiana compatibili con la disposizione costituzionale.
Sotto il primo punto di vista, data l’assenza di una “potestà impositiva” dell’UE, si deve ritenere inesistente una territorialità di matrice europea.
99 Xxxxx Xxxx., 00 luglio 1976, n. 206, “Con l’adesione ai trattati si è inserito un meccanismo di ricezione automatica (efficacia diretta) in base al quale nell’ordinamento italiano valgono anche le norme comunitarie emanazione di una fonte di produzione autonoma propria di un ordinamento distinto da quello interno”. Sul tema si veda anche X. XXXXXX, Indebito comunitario e sistema tributario interno, Milano, 2008.
100 X. XXXXX, Diritto tributario europeo, cit., 328, secondo cui si tratta di un “criterio essenziale per garantire che il perseguimento degli obiettivi di diritto interno produca il minor pregiudizio possibile rispetto alle finalità comunitarie(…) è da notare che il principio di proporzionalità mostra una notevole contiguità con il principio di effettività, in quanto esprime il bisogno di assicurare una concreta tutela ai cittadini in ordine ai diritti di fonte comunitaria, evitando che le norme nazionali pongano oneri ed adempimenti tali da rendere eccessivamente oneroso l’esercizio dei diritti medesimi”. In giurisprudenza si rimanda a CGUE, 5 luglio 1977, C-114/76, Beta-Mhle; CGUE, 18 dicembre 1997, cause riunite C-286/95, C-340/95, C-401/95, Xxxxxxxxxx; CGUE, 21 marzo 200, cause riunite C-110/98 e C-147/98, Galbafrisa.
A fronte di ciò, è però necessario sottolineare che, in relazione ad alcune fattispecie affidate alla competenza esclusiva dell’Unione, il legislatore europeo fa espresso riferimento a tale concetto, limitandosi, però, a rinviare alla nozione di territorialità adottata dagli Stati membri.
A mero titolo esemplificativo si può ricordare l’imposta sul valore aggiunto, regolata dal Titolo V del TFUE e dalla Direttiva 112/2006 e recepita nell’ordinamento nazionale dal Dpr 633/1972101 il quale, agli artt. 7 ss., disciplinata la territorialità dell’imposta.
Si tratta, però, di un concetto differente rispetto al principio di territorialità fino ad ora ad analizzato. Difatti, mentre la territorialità di cui all’art. 53 Cost. ha la funzione, come sopra esaminato, di evidenziare il collegamento fra contribuente e comunità statale, la territorialità nell’imposta sul valore aggiunto è, insieme ai presupposti oggettivi e soggettivi, un mero requisito applicativo del tributo.
101 X. XXXXXXXX, Il principio di territorialità nell’imposta sul valore aggiunto, in DPT, 5, 2016, 2180; D. XXXXX, X. MANCA, IVA: Il presupposto della territorialità, Milano, 2013.
Venendo ora al secondo interrogativo, il diritto eurounionale, anche in virtù del combinato disposto degli artt. 4102 e 5103 TUE104, tende, al fine di
102 “1. In conformità dell'articolo 5, qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri. 2. L'Unione rispetta l'uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell'integrità territoriale, di mantenimento dell'ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro. 3. In virtù del principio di leale cooperazione, l'Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai trattati. Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell'Unione. 5. Gli Stati membri facilitano all'Unione l'adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione”.
103 “1. La delimitazione delle competenze dell'Unione si fonda sul principio di attribuzione. L'esercizio delle competenze dell'Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità. 2. In virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri. 3. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo la procedura prevista in detto protocollo. 4. In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di proporzionalità conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità”.
104 Sul rapporto fra le due disposizioni, si veda X. XXXXXX, Gli effetti del diritto dell'Unione europea sul sistema interno delle fonti, in Dir. Un. Eur., 4, 2013, 725, F. XXXXXX, M. C. XXXXXXX, Commentario breve ai Trattai dell’Unione Europea, Padova, 2014.
raggiungere gli obiettivi enunciati nel trattato, a comprimere la potestà legislativa degli Stati membri. Si tratta, però, di una compressione relativa, la quale rileva nelle sole materie lasciate alla competenza esclusiva dell’Unione (o a quelle allo stesso espressamente attribuite dagli Stati membri) fra le quali, in primis, la materia doganale, la politica monetaria dei paesi dell’area euro e la politica commerciale comune. Oltre a ciò, in materia fiscale, pare utile ricordare i vincoli derivanti dal divieto di applicare tributi discriminatori o protezionistici di cui all'articolo 110, TFUE e dalla c.d. armonizzazione fiscale105, disciplinata dagli artt. 113 ss., TFUE.
Similmente a quanto affermato in relazione ai limiti derivanti dal diritto internazionale, anche il diritto europeo è quindi carente di una norma generale e astratta volta a delimitare la territorialità dell’imposta.
Pertanto, il legislatore nazionale può liberamente individuare il presupposto d’imposta, a condizione che questi rispetti, come si vedrà meglio nel Capitolo IV, il divieto di trattamenti discriminatori ed il principio di proporzionalità.
In sintesi, anche il diritto europeo non solo è privo di una propria autonoma nozione di territorialità ma, inoltre, omette di fissare di veri e propri limiti alla territorialità statale, demandando la questione, in via indiretta, ai principi generale del sistema eurounionale. Di conseguenza, fermo il rispetto di principi fondamentali come, ad esempio, il principio di proporzionalità e di parità di trattamento, gli organi europei, fra i quali, in
105 Con tale termine si intende il procedimento con cui “i vari paesi effettuano di comune accordo, o l’Autorità preposta al Trattato impone, la modifica di una determinata norma o di un dato tributo
o l’adeguamento della struttura essenziale (tasso, base imponibile, ecc.) di una imposta, in conformità ad un modello unico”. X. XXXXXXXX, Problemi fiscali del mercato comune, Milano, 1958, 89; ID., La politica di armonizzazione fiscale della Comunità Economica Europea, in Quaderni Assonime, Roma, 1952.
primis, la Corte di Giustizia, non possono sindacare l’estensione spaziale della potestà impositiva statale.
10. I criteri di collegamento
Premessa la necessità di subordinare l’imposizione fiscale ad un ragionevole criterio di collegamento fra Stato e soggetto passivo, occorre ora chiederci in cosa consista detto collegamento.
Più semplicemente, ci si deve domandare quali siano i criteri di collegamento idonei a manifestare un’appartenenza alla comunità politica ed economica statale.
I “criteri di collegamento” (termine mutuato dal diritto internazionale privato106) svolgono, secondo la dottrina dominante107, una duplice funzione.
In primis, questi individuano quelle situazioni di fatto e di diritto idonee ad evidenziare l’appartenenza del soggetto alla comunità statale 108, legittimando la pretesa impositiva da parte dell’ente impositore.
In secundis, stabiliscono le modalità con cui il soggetto esprime la propria capacità contributiva in relazione alla più o meno intensa partecipazione alla medesima comunità e, conseguentemente, delimitano
106 In questo contesto, il termine individua le condizioni al ricorrere delle quali risultano applicabili nell’ordinamento nazionale norme derivanti da un altro ordinamento statale.
107 X. XXXXXXX, L’imposizione delle imprese con attività internazionale, cit., X. XXXX, Voce “Territorialità del tributo”, cit.
108 X. XXXXXX, Imposte reali ed imposte personali nel sistema tributario italiano, in Riv. Dir. Fin.,
1, 2002, 450.
l’estensione dell’obbligo tributario, anche in considerazione della tipologia di tributo109.
Entrambe le funzioni evidenziano come la connotazione oggettiva o soggettiva del criterio di collegamento prescelto non è del tutto indifferente, ma ha una diretta ricaduta sull’estensione dell’obbligo tributario a cui è assoggettato il soggetto che produce il reddito110.
L’obiettivo finale di questo capitolo è quindi quello di individuare le differenze strutturali fra le due forme di connessione fra Stato ed individuo, al fine di comprendere la ragione che spingono ad interrogarsi circa le modalità di determinazione del PoEM.
11. (Segue) i criteri Soggettivi
I criteri soggettivi, o a natura personale, individuano la partecipazione del soggetto alla comunità statale in base alla sua posizione personale rispetto alla medesima.
Tale integrazione fra soggetto e Stato è idonea a giustificare l’assoggettamento del contribuente all’obbligo tributario e, al contempo, a determinarne l’estensione.
Difatti, il collegamento personale, evidenziando un maggior grado di partecipazione alla comunità statale, giustifica un’imposizione reddituale più
109 A mero titolo esemplificativo, benché sia legittimo assumere quale criterio di collegamento in relazione ad un tributo a natura personale un criterio oggettivo, il carattere del prelievo impositivo impone determina necessariamente una pretesa impositiva differente a seconda del collegamento fra Stato e soggetto.
110 X. XXXXXXXX, La territorialità del diritto tributario, cit., 302.
estesa, volta a ricomprendere i redditi ovunque prodotti dal contribuente (c.d.
Worldwide taxation).
Ciò detto, il collegamento personale può derivare dall’applicazione di due criteri alternativi, ovverosia la cittadinanza (o nazionalità) o la residenza. Il primo criterio, abbandonato dalla maggior parte degli Stati costituzionali di civil law, trova ancor’oggi accoglimento in alcuni Paesi di
common law fra i quali, in primis, gli Stati Uniti d’America.
L’elaborazione statunitense, infatti, ricorrendo alla richiamata teoria del beneficio, sostiene che i “benefici” riconosciuti al contribuente non verrebbero meno in caso di trasferimento della residenza all’estero111, circostanza inidonea a spezzare il legame soggettivo fra Stato e contribuente- cittadino112.
111 Xxxx x Xxxx, 5 maggio 1924, “the principle was declared that the government, by its very nature, benefits the citizen and his property wherever found, and therefore has the power to make the benefit complete. Or, to express it another way, the basis of the power to tax was not and cannot be made dependent upon the situs of the property in all cases, it being in or out of the United States, nor was not and cannot be made dependent upon the domicile of the citizen, that being in or out of the United States, but upon his relation as citizen to the United States and the relation of the latter to him as citizen. The consequence of the relations is that the native citizen who is taxed may have domicile, and the property from which his income is derived may have situs, in a foreign country and the tax be legal-- the government having power to impose the tax”.
112 A supporto di questa tesi si pensi, ad esempio, a quanto previsto all’art. 22, par. 1731 e 1732 del
U.S. code secondo cui “Whenever it is made known to the President that any citizen of the United States has been unjustly deprived of his liberty by or under the authority of any foreign government, it shall be the duty of the President forthwith to demand of that government the reasons of such imprisonment; and if it appears to be wrongful and in violation of the rights of American citizenship, the President shall forthwith demand the release of such citizen, and if the release so demanded is unreasonably delayed or refused, the President shall use such means, not amounting to acts of war and not otherwise prohibited by law, as he may think necessary and proper to obtain or effectuate the release; and all the facts and proceedings relative thereto shall as soon as practicable be
A tal riguardo, sebbene siano innegabili i vantaggi garantiti da tale collegamento personale (fra i quali devono essere annoverati la facile individuazione del legame soggettivo e la sua tendenziale immutabilità), altrettanto innegabili sono le problematiche dallo stesso derivanti.
Più precisamente, oltre ai rilievi avanzati al paragrafo 6 con riferimento alla diretta correlazione fra leva fiscale e servizi forniti113, la cittadinanza, quale criterio di collegamento politico-sociale, è priva di una dimensione economico-produttiva poiché inidonea ad evidenziare la capacità contributiva del soggetto tenuto all’obbligo tributario.
Ciò detto, il criterio della residenza, anch’esso idoneo ad individuare un rapporto (tendenzialmente) stabile e duraturo114, evidenzia, al contrario della cittadinanza, uno specifico profilo economico, collegando il tributo alla forza economica del soggetto.
Se ciò è sicuramente vero per quanto riguarda i criteri c.d. sostanziali (es. domicilio, sede della direzione effettiva, ecc.), una parte della dottrina ha negato una simile conclusione anche con riferimento ai criteri c.d. formali fra cui, in primis, l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente per le persone fisiche e la sede legale per le persone giuridiche.
Nello specifico, il primo criterio previsto dall’art. 2, co. 2 TUIR opera a prescindere dalla volontà del soggetto, circostanza che potrebbe condurre
communicated by the President to Congress. All naturalized citizens of the United States while in foreign countries are entitled to and shall receive from this Government the same protection of persons and property which is accorded to native-born citizens”.
113 In questi casi, inoltre, si tratterebbe di una tutela residuale, destinata a trovare applicazione solamente in risposta a situazioni emergenziali come può essere, ad esempio, un grave disastro naturale.
114 X. XXXXXXXX, La tassazione del reddito derivante da attività internazionale nel quadro della riforma tributaria, in DPT, 1971, 10.
ad un assoggettamento al prelievo fiscale anche in assenza di un reale ed effettivo collegamento con la comunità statale, similmente a quanto avviene in applicazione del criterio della cittadinanza115.
A tale posizione interpretativa si è però obiettato che non solo l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente è atto volontario posto in essere dal contribuente ma, inoltre, la richiesta può essere avanzata solo dai soggetti aventi la propria dimora abituale nel comune, concetto, quest’ultimo, ad evidente connotazione sostanziale.
Similmente, la sede legale per gli enti collettivi è espressione dell’autonomia negoziale dei soci, consentendo agli stessi di scegliere liberamente dove costituire la società; allo stesso tempo, essa rappresenta anche l’assetto normativo idoneo a determinare, sia a livello nazionale cha a livello internazionale, i poteri dell’ente in ordine al compimento degli atti produttivi di redditi116.
Da ultimo, come già rilevato, la natura stabile e duratura del collegamento consente di assoggettare a tassazione il reddito ovunque prodotto dal contribuente. Si potrebbe addirittura sostenere che solo la tassazione dell’utile globale sarebbe una vera e propria “imposta sul reddito”. Difatti, se si intende il reddito come l’insieme delle variazioni positive e negative subite dal patrimonio di un soggetto in un dato periodo, solo la tassazione su base mondale sarebbe idonea ad incidere sul reddito, mentre la tassazione dovrebbe essere qualificata come imposta sul capitale, imposta sugli immobili, ecc.
115 X. XXXXX, La nozione di residenza fiscale delle persone fisiche nell’ordinamento fiscale italiano,
in Rass. Trib. 1995, 1074, X. XXXXXX, La residenza nel diritto tributario, Padova, 1999, 307.
116 X. XXXXXXXX, La territorialità nel diritto tributario, cit., 363.
12. (Segue) Il criterio di collegamento oggettivo: La Fonte del reddito
La tassazione su base oggettiva, denominata anche tassazione alla fonte, comporta, contrariamente alla tassazione su base personale, l’assoggettamento del contribuente al tributo in base al luogo di produzione del reddito e solamente per la materia imponibile ivi prodotta (Source taxation).
La normativa italiana è carente, a differenza di quanto avviene con riferimento alla residenza, di una vera e propria definizione di “fonte” del reddito117, limitandosi a prevedere, all’art. 23 TUIR, criteri differenti a seconda della tipologia di reddito, del luogo di ubicazione del bene, del luogo di residenza del debitore o dela sede di svolgimento dell’attività.
A ciò si aggiunga, per i soli redditi d’impresa, un terzo e fondamentale criterio: la stabile organizzazione, definita, ai sensi dall’art. 162 TUIR, come la “sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato”118.
117 Sebbene la dottrina nazionale ed internazionale non abbia mai dedicato particolare attenzione alla definizione del concetto di “fonte”, dando lo stesso per scontato, questo può essere definito come il luogo in cui si genera il reddito derivante dall’attività economica svolta. Sul tema, R. A. XXXXXXXX, Criteria for Foreign Tax Credit, in Tusatioit and Operatioils Abrocitl. Symposium, 1960, 83.
118 L’espressione traduce la nozione di permament establishment adottata nel diritto internazionale. Ai sensi dell’art. 5, Model tax convention on income and capital, 2017, “For the purposes of this Convention, the term “permanent establishment” means a fixed place of business through which the business of an enterprise is wholly or partly carried on”. L’adozione del concetto di “organizzazione” si spiega, secondo quanto affermato da X. XXXXXXXX, La stabile organizzazione, in Riv. Dir. trib., 2, 2013, 100, nella volontà del legislatore nazionale di attribuire maggior
In altre parole, si tratta di una articolazione territoriale, priva dei caratteri di stabilità e continuità propri della residenza fiscale, volta a collegare l’attività d’impresa con il territorio ove la stessa viene esercitata al fine di attribuire allo Stato territorialmente competente il diritto di assoggettare a tassazione i redditi ivi prodotti119.
Nonostante sia oggi indiscusso un concomitante operare fra criterio della fonte e criterio della residenza, secondo alcuni autori120, la Source taxation sarebbe l’unico collegamento territoriale in grado di assicurare una corretta applicazione del principio dell’economic allegiance.
Difatti, sebbene la produzione del reddito non sia idonea a spezzare il legame personale e soggettivo con lo Stato di residenza, quest’ultimo concetto evidenzierebbe un collegamento basato non sulla produzione della
importanza al profilo organizzativo rispetto a quello produttivo. Sul tema si rinvia a X. XXXXXXX,
Xxxxxxx xxxxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 45.
000 X. XXXXXXXXX, Xxxx “stabile organizzazione”, in Enc. Giur., 2016; X. XXXXXXX, La stabile organizzazione, in Rass. Trib., 2, 2004, 796.
120 X. XXXXX, Worldwide vs. Source Taxation of Income - A Review and Re-evaluation of Arguments (Part I), cit., “Economic allegiance to a State can be based on mere consumption or it can be based on business activities, including investment activities. To the extent economic allegiance is founded on consumption, residence would constitute a suitable criterion, but it could not be the only controlling principle. Where a person is economically bound not only to the state of his or her residence, but also to another state through business activities or by way of income arising in the other state, Xxxxxx deems the allegiance to this other state, the source state, to be more important than that to the state of residence. The state of residence to which the taxpayer is connected through consumption, he argues, should get its share, but it should get less than the source state where the income is produced. Consequently, Xxxxxx recommends a division of the tax base. Three-fourths of the income in question should be taxed in the state of source, and one-fourth in the state of residence. In other words, the source State should xxxx three-fourths of the tax that it ordinarily would xxxx on residents and the State of residence should xxxx one-fourth of the tax it ordinarily would xxxx on domestic source income of nonresidents”.
ricchezza, ma sul suo consumo. In quest’ottica, quindi, sarebbe solo lo Stato della fonte ad essere competente a tassare la maggior parte del reddito in quanto luogo di sua effettiva produzione.
A ciò si aggiunga, inoltre, come un sistema impositivo basato esclusivamente o prevalentemente sul criterio della fonte121 sarebbe maggiormente idoneo ad assicurare l’equità e l’eguaglianza fra residenti e non residenti.
Tali tesi non appaiono condivisibili poiché omettono di prendere in considerazione due elementi fondamentali.
In primo luogo, la territorialità è, come sopra rilevato, un conetto che trova il proprio fondamento nella sovranità statale. Pertanto, attribuire rilevanza al solo legame oggettivo significherebbe adottare una concezione di Stato (e, quindi, di sovranità statale) prevalentemente ancorata al territorio, concezione ormai superata e non più applicabile nell’odierno sistema giuridico e politico.
121 Come rileva X. XXXXXXXXXX, Voce “territorialità d’imposta, cit., “Nonostante la maggior parte degli Stati assoggetti ad imposizione il reddito mondiale dei propri residenti (o dei propri cittadini, come avviene negli Stati Uniti), vi sono tuttora molti Stati che presentano un sistema impositivo su base rigidamente territoriale. Tra questi i più importanti sono: Argentina, Hong- Kong, Kenia, Uruguay ed in generale i Paesi dell'America Latina. Il principio di tassazione del reddito mondiale subisce poi ulteriori eccezioni in Paesi come la Francia ed il Brasile, che assoggettano ad imposizione solo il reddito di fonte interna prodotto dalle imprese (le persone fisiche sono invece considerate soggetti passivi per il reddito ovunque prodotto). Qualche altro Paese esenta solo determinate categorie di reddito prodotto all'estero: così la Svizzera non colpisce il reddito d'impresa prodotto all'estero mediante una stabile organizzazione e il reddito derivante dal possesso di immobili situati all'estero; l'Australia prevede l'esenzione del reddito estero qualora esso sia soggetto ad imposta nello Stato in cui è prodotto; alle medesime condizioni l'Olanda esenta il reddito prodotto all'estero attraverso stabili organizzazioni, i dividendi distribuiti alle holding e altre categorie di reddito di fonte estera”.
In secondo luogo, un sistema basato interamente sul criterio della fonte comporterebbe uno svilimento dei principi costituzionali sopra delineati poiché non solo la partecipazione alla comunità statale diverrebbe un fattore pressoché ininfluenze ma, inoltre, si vieterebbe al legislatore la creazione di fattispecie impositive realmente collegata alla capacità contributiva del soggetto, data la stringente limitazione territoriale.
una restrizione ingiustificata alla capacità contributiva del soggetto rilevante ai fini del prelievo fiscale.
Da ultimo, pare utile rilevare come l’evoluzione del mercato abbia portato ad una progressiva crisi del criterio in parola.
Più nello specifico, da un lato, la contemporanea presenza di più elementi idonei ad attribuire la competenza territoriale rischia di creare l’insorgere di possibili di conflitti di doppia imposizione (si pensi ad esempio, all’ipotesi in cui Xxxxx, residente nello Stato A, acquisti un bene, ubicato nello Stato B, da Caio, residente nello Stato C).
Dall’altro lato, invece, la progressiva digitalizzazione del mercato rende particolarmente complessa l’individuazione dell’effettivo luogo di produzione della ricchezza, problematica evidenziata anche dai tentativi di introduzione di una stabile organizzazione digitale.
13. Riflessioni conclusive
Le riflessioni sopra svolte evidenziano chiaramente come una precisa individuazione del collegamento Stato-soggetto passivo sia un’esigenza alla quale occorre ancor’oggi far fronte.
Da un punto di vista applicativo, infatti, l’assenza di una simile analisi determinerebbe un inevitabile sovrapposizione della potestà impositiva fra
gli Stati i quali, in assenza di una precisa sfera di competenza, potrebbero astrattamente estendere la valenza spaziale della propria legge anche nei confronti di soggetti privi di qualsiasi tipo di connessione con la comunità statale di appartenenza.
Ciò non solo farebbe insorgere alcuni significativi problemi derivanti dal principio di uguaglianza ma, inoltre, creerebbe anche alcune incisive problematiche sotto l’aspetto politico.
Al contempo, da un punto di vista quantitativo, una imprecisa collocazione della residenza fiscale poterebbe estendere o ampliare il dovere contributivo del soggetto passivo, il quale si troverebbe costretto a soddisfare ampie pretese fiscali nei confronti di più giurisdizioni fiscali.
Da queste constatazioni appare quindi evidente che una eccessiva incertezza circa il significato di uno dei criteri fondamentali ai fini di individuare il collegamento soggettivo, come è, appunto, la sede dell’amministrazione effettiva, comporterebbe una serie di significative problematiche idonee ad incidere sui rapporti economici e politici fra gli Stati coinvolti.
CAPITOLO II
IL PLACE OF EFFECTIVE MANAGEMENT ALL’INTERNO DEGLI ORDINAMENTI NAZIONALI: UN APPROCCIO COMPARATO
SOMMARIO: 1. La sede sociale: fra diritto interno e diritto interazionale; 2. Definizione e funzione della sede sociale nel diritto comparato; 3. (Segue) il trasferimento della sede: fra incorporazione e amministrazione; 4. La sede nel diritto tributario: un approccio comparato; 5. Il collegamento formale: fra Place of Incorporation e sede legale; 6. L’oggetto principale; 7. La sede amministrativa o place of effective management; 8. L’origine del PoEM nella giurisprudenza inglese; 9. Il Central management and control; 10. La sede della direzione nell’ordinamento italiano; 11. La presunzione di residenza; 12. La sede di direzione effettiva nelle normative nazionali; 13. La sede dell’amministrazione: considerazioni conclusive;
1. La sede sociale: fra diritto interno e diritto interazionale
Addentrandoci ora nel cuore della trattazione, prima di ricostruire il concetto di sede dell’amministrazione negli ordinamenti nazionali, si rende innanzitutto opportuno effettuare una rapida ricostruzione dei possibili criteri adottati dagli Stati nazionali al fine di individuare quel collegamento soggettivo idoneo a fondare la più ampia potestà impositiva nei confronti del contribuente.
Questa ricostruzione deve però essere preceduta da una importante premessa. Segnatamente se, con riferimento alle persone fisiche, è sempre possibile rintracciare un collegamento soggettivo basato su una presenza fisica del soggetto passivo, altrettanto non si può dire con riferimento alle persone giuridiche.
Queste ultime, infatti, sono entità astratte, create dal diritto e prive di una vera e propria “consistenza fisica” la quale richiede un collegamento fondato anch’esso su una nozione puramente normativa.
Questa nozione è stata oggi individuata nel concetto di “sede dell’impresa.”
Si tratta di una nozione ampiamente utilizzata sia dai singoli legislatori nazionali sia dalla normativa sovranazionale la quale, tuttavia, assume differenti connotati a seconda della funzione che è chiamata a svolgere e dell’intensità del collegamento (sostanziale piuttosto che formale e viceversa).
Di conseguenza, per poter comprendere appieno i risvolti di una sua applicazione in ambito tributario, anche al fine di inquadrare correttamente il concetto di PoEM, è opportuno prendere le mosse proprio dal concetto di sede e del ruolo dalla stessa svolto nei singoli ordinamenti nazionali e, soprattutto, nel diritto internazionale privato.
2. Definizione e funzione della sede sociale nel diritto comparato
Da un punto di vista esclusivamente terminologico, la sede può essere genericamente definita come il “domicilio” dell’ente collettivo. Tuttavia, questa nozione può assumere diversi significati a seconda degli obiettivi che l’ordinamento si prefigge di raggiungere ricorrendo a tale termine.
Innanzitutto, la sede è l’elemento principale che consente di determinare la c.d. lex societatis, ovverosia quel complesso di norme che regolano la nascita, la vita e l’estinzione degli enti commerciali.
Come già sopra accennato, a differenza di quanto avviene per le persone fisiche122, le quali nascono ed operano indipendentemente da un
122 Sul tema si veda P. PIANTAVIGNA, La funzione della nozione di residenza fiscale nell’IRPEF, in Riv. Dir. Fin., 3, 2013, 275; X. XXXXXXXXX, Il trasferimento della residenza fiscale all’estero
espresso riconoscimento da parte dell’ordinamento giuridico, le persone giuridiche e, in particolar modo, le società commerciali presuppongono un necessario intervento da parte della legislazione nazionale.
Più precisamente, l’imputazione di situazioni giuridiche attive e passive in capo ad un ente collettivo presuppone il previo riconoscimento dell’ente da parte dell’ordinamento giuridico di costituzione123.
Difatti, come pacificamente riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza, le società non sono soggetti naturali, ma mere forme di esercizio di attività d’impresa in forma collettiva con le quali due o più persone mettono in comune risorse proprie per la realizzazione di un obiettivo lucrativo comune124.
delle persone fisiche: un’ipotesi di compliance normativa, in Fisco, 22, 2016, 2157; X. XXXXXXX,
X. XXXXX, Profili elusivi del trasferimento all’estero della residenza fiscale delle persone fisiche, in Fisco, 36, 2010, 5839; X. XXXXXXX, Il “centro degli interessi vitali” - Note sulla disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche, in Fisco, 49, 2009, 6742.
123 X. XXXXXX, Diritto internazionale privato delle società e riconoscimento di "Anstalten" e "Treuunternhemen" nell'ordinamento italiano, in AA.VV., Comunicazioni e Studi dell’Istituto di diritto internazionale e straniero dell’Università di Xxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, 85.
124 Nel sistema italiano, tale considerazione emerge chiaramente dal testo dell’art. 2247, Cod. Civ., secondo cui “Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili”. Come rileva X. XXXXX, Art. 2247, in X. XXXXXX XXXXXXX, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2016, 3, “Le società sono, nel sistema del codice civile, strutture organizzative soggettivizzate in funzione dell’esercizio di un’attività economica tramite la segregazione di patrimoni. Il fenomeno societario si manifesta a livello normativo sotto diversi profili: a) quale contratto, atto giuridico unilaterale o fatto giuridico, momento genetico-costitutivo e regola di azione nello svolgimento dell’attività economica; b9 quale struttura organizzativa destinata a tracciare i rapporti tra i protagonisti dell’attività economica: soci, gestori, altri fornitori di fattori della produzione, terzi; c) quale soggetto cui sono imputati un patrimonio autonomo, l’attività economica ed il risultato di questa”.
Le persone giuridiche, dunque, non sono soggetti autonomi legittimati ad agire in base alla lex societatis dello Stato di costituzione, ma sono esse stesse a costituire l’assetto normativo idoneo a regolare i rapporti interni (fra i soggetti che concorrono alla formazione della volontà dell’ente come, ad esempio, soci, detentori di altri titoli partecipativi, organo amministrativo, organo di controllo, ecc.) ed esterni (le modalità tramite le quali tale volontà interagisce con l’esterno con particolare riguardo alla responsabilità nei confronti dei creditori sociali e alla titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi, ecc.) 125.
In altre parole, la società è la lex societatis.
Tali considerazioni, confermate anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, secondo cui “diversamente dalle persone fisiche, le società sono enti creati da un ordinamento giuridico e, allo stato attuale del diritto comunitario, da un ordinamento giuridico nazionale. Esse esistono solo in forza delle diverse legislazioni nazionali che ne disciplinano costituzione e funzionamento” 126, portano quindi a ritenere che la sede sociale, oltre a determinare l’ubicazione spaziale dell’ente, funge anche da parametro di individuazione delle regole in base alle quali la società esiste e opera.
125 X. XXXXXX, Diritto internazionale privato delle società e riconoscimento di "Anstalten" e "Treuunternhemen" nell'ordinamento italiano, cit., 85.
126 CGUE, 27 settembre 0000, X-00/00, Xxxxx Xxxx. Xx dottrina, X. XXXXXXXXX, Il trasferimento della sede della società nel diritto societario europeo, in Riv. Soc., 2003, 4, 723; X. XXX XXXXX, The Daily Mail Case. Tax Planning and the European Right of Establishment. A Setback, in European Taxation, 1988, XXVIII, 11, 357; S. N. FROMMEL, EEC Companies and Migration: A Setback for Europe?, in Intertax, 1988, XVI, 12, 409; C. C. CARLI, Diritto tributario europeo e "paradisi fiscali": abuso del diritto... di stabilimento o lacuna del sistema fiscale comunitario?, in Riv. Dir. Eur., 1988, 2-4, 128; D. R. XXXXXXXXXXX, “A matter of definition: “Foreign” and “Domestic” Taxpayers”, in Int.l Tax & Bus. Law., 1984, II, 2, 239.
Una seconda peculiarità del concetto di sede deriva dalla sua stessa natura “polivalente”. La sede, infatti, è un collegamento territoriale che, oltre a determinare le conseguenze a cui si è sopra accennato, assume diversi significati a seconda dell’ambito disciplinare all’interno del quale la medesima viene impiegata. Si pensi, ad esempio, alla sede di cui all’art. 2296 cod. civ.127 ove questa funge da criterio di determinazione della circoscrizione del Registro delle Imprese competente o, ancora alla normativa fallimentare, in cui essa è volta ad individuare giudice competente della procedura128.
Da ultimo, come si vedrà meglio nelle pagine che seguono, la sede assume un differente contenuto a seconda dell’elemento a cui il legislatore decide di dare rilievo prioritario. Così, ad esempio, si può parlare di sede legale o di sede amministrativa o, ancora, di sede principale e di centro degli interessi principali129.
127 Art. 2296, Cod. civ., “L'atto costitutivo della società con sottoscrizione autenticata dei contraenti, o una copia autenticata di esso se la stipulazione è avvenuta per atto pubblico, deve entro trenta giorni essere depositato per l'iscrizione, a cura degli amministratori, presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale”.
128 Art. 9, L.F., “Il fallimento è dichiarato dal tribunale del luogo dove l'imprenditore ha la sede principale dell'impresa. Il trasferimento della sede intervenuto nell'anno antecedente all'esercizio dell'iniziativa per la dichiarazione di fallimento non rileva ai fini della competenza. L'imprenditore, che ha all'estero la sede principale dell'impresa, può essere dichiarato fallito nella Repubblica italiana anche se è stata pronunciata dichiarazione di fallimento all'estero. Sono fatte salve le convenzioni internazionali e la normativa dell'Unione europea. Il trasferimento della sede dell'impresa all'estero non esclude la sussistenza della giurisdizione italiana, se è avvenuto dopo il deposito del ricorso di cui all'articolo 6 o la presentazione della richiesta di cui all'articolo 7”.
129 X. XXXXXXXXXXXX, Sul trasferimento della sede sociale all’estero, in Riv. Soc., 6, 2010, 1251, “Con il termine centro principale degli affari ovvero oggetto principale della società si intende invece il luogo in cui la società conduce prevalentemente la propria attività imprenditoriale,
3. (Segue) il trasferimento della sede: fra incorporazione e amministrazione
Fra gli aspetti sopra brevemente delineati, quello che assume maggior rilevanza è certamente il rapporto fra sede sociale e regolamentazione normativa di riferimento. Pur senza voler analiticamente approfondire la questione, ai fini qui di interesse pare opportuno analizzare, dal punto di vista del diritto internazionale privato, quali siano le conseguenze derivanti dal trasferimento della sede sociale da uno Stato all’altro.
entrando in rapporto con i terzi (lavoratori dipendenti, fornitori, clienti, finanziatori, controparti contrattuali in genere) e quindi manifestando all'esterno ed attuando quella volontà che si è (internamente) formata nella sede amministrativa, localizzata eventualmente altrove (…) Nozione ancora diversa è poi quella di centro degli interessi principali del debitore (o "COMI", dall'acronimo inglese della definizione), che il regolamento del Consiglio 30 giugno 2000 n. 1346 ("Reg. 1346/2000") sulle insolvenze transfrontaliere utilizza a diversi fini ma senza darne una precisa definizione, limitandosi a porre una presunzione relativa di coincidenza con la sede statutaria dei debitori-persone giuridiche (art. 3, par. 1) e ad affermare che esso dovrebbe essere individuato nel "luogo in cui il debitore esercita in modo abituale, e pertanto riconoscibile dai terzi, la gestione dei suoi interessi" (considerando n. 13). La Corte di giustizia è intervenuta già due volte in tema, precisando che si tratta di una nozione autonoma, da interpretare in modo uniforme indipendentemente da quanto disposto dalle legislazioni nazionali, dando rilievo al luogo, riconoscibile dai terzi, in cui il debitore amministra i propri interessi in modo regolare. La Corte ha peraltro "rafforzato" la menzionata presunzione, dichiarando che la stessa può essere superata solo in presenza di elementi obbiettivi e, appunto, verificabili dai terzi, in particolare che il COMI di una società controllata può essere localizzato presso la sede della controllante solo quando la controllata sia una "letterbox company" che non svolga alcuna attività sul territorio dello Stato membro in cui è collocata la propria sede, non essendo sufficiente a tal fine che le sue scelte gestionali siano determinate dalla controllante stabilita in un altro Stato membro”. Sul tema si veda anche ID., "Centro degli interessi principali" del debitore e forum shopping nella disciplina comunitaria delle procedure di insolvenza transfrontaliera, in RDIPP, 2004, 499.
Per far ciò è però necessario introdurre due teorie che caratterizzano ancor’oggi la materia, ovverosia la teoria dell’incorporazione (incorporation theory) e la teoria della sede reale (real seat theory)130. A tal proposito si deve però rilevare che se in passato tale bipartizione esprimeva esigenze tipiche della realtà giuridica del tempo, oggi non sembra più possibile individuare una netta linea di demarcazioni fra le due teorie. Difatti, nonostante sia innegabile l’utilità scientifica che ancor’oggi riveste la distinzione fra teoria dell’incorporazione e teoria della sede reale, fattori quali, ad esempio, norme speciali di diritto nazionale e accordi bilaterali hanno determinato un progressivo ravvicinamento fra le due teorie. Pertanto, ferma la validità scientifica di quanto sarà di seguito rilevato, occorre tenere a mente che l’effettiva identificazione del collegamento legislazione statale-ente collettivo non può prescindere da un’attenta analisi fattuale131.
130 X. XXXXXXX, Il trasferimento transnazionale della sede sociale, in Contr. Impr., 3, 2006, 755 “In linea di principio la possibilità, o meno, che un ordinamento ammetta il trasferimento della sede delle sue società, è subordinata al principio di collegamento territoriale che quello Stato adotta. Da questo collegamento dipende sia il riconoscimento stesso delle società nell’ambito di quell’ordinamento, che la relativa legge applicabile (cd. lex societatis)”.
131 In questo senso X. XXXXXXXXXXX, Società di capitali, trasferimento all'estero della sede sociale e arbitraggi normativi, Milano, 2010, 47, secondo cui “La ragione risiede nel fatto che le società vengono a esistenza solo qualora un ordinamento giuridico ritenga soddisfatti presupposti, da esso stabiliti, per l’esistenza di un ente distinto dai soci e retto dalla propria legge. Di conseguenza, la ricerca della legge applicabile alla società dovrebbe implicare anche una valutazione fattuale su quale ordinamento abbia presidiato alla costituzione dell’ente e si ritenga competente a disciplinarlo. Questa circostanza rende problematico assoggettare la società a classiche norme di conflitto bilaterali, le quali selezionano la legge applicabile in base ad un criterio di collocamento collocato spazialmente e determinato unilateralmente lege fori”. X. XXXXXX, Les méthodes de coordinations entre odres juridiquee en droit international privé: Course général de droit international privé, in Collected courses of The Hague Academy of International Law, 9, 1999,
Partendo dalla teoria dell’incorporazione, questa stabilisce che il collegamento territoriale fra società ed ordinamento giuridico deve essere individuato facendo riferimento esclusivo al momento genetico e, pertanto, la legge applicabile sarà quella dello Stato di costituzione.
La giustificazione di tale approccio deve essere rinvenuta, secondo la ricostruzione dottrinale prevalente, nell’intento dell’ordinamento di attribuire la massima rilevanza alla volontà dei soci, i quali, al momento dell’atto costitutivo, stabiliscono, tramite l’indicazione della sede sociale, scegliendo, quindi, la legge applicabile al costituendo ente commerciali132.
Sul tema, benché la dottrina tenda a ricollegare la teoria dell’incorporazione al concetto di sede legale133, si deve dar conto di due contrapposte correnti di pensiero.
Da un lato, alcuni ordinamenti, specialmente quelli di common law134, attribuiscono importanza decisiva al c.d. domicile of origin, ovverosia il luogo di originaria costituzione della società. La giustificazione di questa scelta interpretativa deriva dal ruolo svolto dal Registered office e dalla più volte richiamata teoria del beneficio.
Difatti, mentre negli ordinamenti continentali il Registered office è individuato dalla legge in funzione della sede legale enunciata dai soci
276; X. XXXXXXXXXXXX, La legge regolatrice delle persone giuridiche dopo la riforma del diritto internazionale privato, in Riv. soc., 1, 1997, 39.
132 X. XXXXXXXXXXXX, Sul trasferimento della sede sociale all’estero, cit.
133 Sul tema si veda, A. SANTA XXXXX, Le società nel diritto internazionale privato, Milano, 1973, 140; X. XXXXXX, X. XXXXXXX, Diritto internazionale privato e comunitario, Padova, 2004, 205; X. XXXXXXXXXXXX, Sul trasferimento della sede sociale all’estero”, cit., 1251.
134 In particolare, massimi esponenti di questa teoria sono Inghilterra e Stati Uniti.
nell’atto costitutivo135, negli ordinamenti di common law il Registered office è liberamente dichiarato dalle parti all’ufficio del registro, non essendo prevista la sua specifica indicazione all’interno del memorandum e degli articles of association136. In secondo luogo, sempre secondo i sostenitori di questa tesi, l’ordinamento di originaria costituzione sarebbe il solo idoneo a riconoscere le tutele e i benefici necessari a raggiungere gli interessi sociali. Seconda possibile interpretazione della teoria dell’incorporazione, adottata dalla Svizzera, sostiene che “Le società sono regolate dal diritto dello Stato giusta, il quale sono organizzate, se ne adempiono le prescrizioni in materia di pubblicità o registrazione o, in mancanza di tali prescrizioni, si sono organizzate giusta il diritto di questo Stato”137. In altre parole, il paese
135 Nel diritto italiano, si veda l’art. 2330 cod. civ., secondo cui “Il notaio che ha ricevuto l'atto costitutivo deve depositarlo entro dieci giorni presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, allegando i documenti comprovanti la sussistenza delle condizioni previste dall'articolo 2329”.
136 L’adozione di tale teoria da parte dell’Inghilterra, la quale ha cominciato a farvi riferimento a partire dal XVII secolo, trova la propria giustificazione nella circostanza che tale Stato ha da sempre svolto il ruolo di “esportatore di diritto”, consentendo alle società inglesi di modulare l’atto costitutivo come meglio credono. Di conseguenza, la diversa formulazione del corpo normativo alla base della private company risulta ininfluenza rispetto al funzionamento del sistema. Sul tema si rinvia a X. XXXXXXX, Corporation in private international law, Oxford, 2001, 128. Al contrario, negli Stati Uniti d’America, la teoria dell’incorporazione ha assunto il nome di “internal affairs doctrine” secondo cui le regole attinenti al funzionamento della società e ai suoi rapporti con i terzi sono di esclusiva competenza dello Stato di costituzione, indipendentemente dal luogo in cui viene effettivamente svolta l’attività d’impresa. La ratio di tale scelta trova il proprio fondamento, ancora una volta, nella teoria del beneficio in base alla quale il collegamento territoriale viene giustificato in base ai vantaggi e alla protezione garantiti dall’ordinamento statale. Per una ricostruzione integrale della materia si rinvia a X. XXXXXXX, United States, in Residence of Companies under Tax Treaties and EC Law, (a cura di) X. XXXXXX, Amsterdam, 2009; X. XXXX, Before Competition: Origins of the Internal Affairs Doctrine, in Jour. Corp. Law, 7-8, 2007, 102.
137 Art. 154, l. 18 dicembre 1987 sul diritto internazionale private.
di costituzione (e, quindi, la legge regolatrice dell’ente) è lo Stato di registrazione 138.
È quindi di tutta evidenza che, in caso di trasferimento della sede da uno Stato all’altro, qualora ciò sia consentito sia dall’ordinamento di partenza sia da quello di arrivo, la società continuerà ad essere regolata dalla normativa dello Stato di incorporazione, ad eccezione dell’ipotesi in cui i soci preferiscano procedere allo scioglimento seguito dalla ricostituzione dell’ente nel paese di destinazione139.
Contraria e opposta alla teoria dell’incorporazione è la teoria della sede reale, tendenzialmente privilegiata da parte degli Stati di civil law, secondo la quale la legge regolatrice della società deve essere individuata attribuendo rilievo prioritario alla c.d. sede amministrativa (o sede reale), definibile come il “cervello” della persona giuridica.
138 X. XXXXX, E. B. ROCK, Symbiotic Federalism and the Structure of Corporate Law, in
Vanderbilt Law Review, 58, 2005, 1573.
139 Tuttavia, come rileva X. XXXXXXXXXXX, Società di capitali, trasferimento all'estero della sede sociale e arbitraggi normativi, cit., “In realtà, l’analisi comparata potrebbe smentire quest’assunto perché molti ordinamenti di “teoria dell’incorporazione” pongono dei limiti alle società costituite all’estero ma operanti soltanto sul territorio nazionale (c.d. “pseudo-foreign corporations”). Tra gli Stati membri della UE, peraltro, dopo la sentenza Inspire Art (…) lo spazio residuo per normative “anti pseudo-foreign corporations” pare alquanto limitato (…). Se allarghiamo il campo di osservazione al di fuori dell’Unione Europea, inoltre, notiamo altri esempi importanti di leggi “anti pseudo-foreign corporations” adottate da paesi di “teoria dell’incorporazione”. Meritano di essere menzionati lo Stato di New York e la California, i quali estendono parte delle regole societarie alle società costituite all’estero e operanti sul proprio territorio”. Sul tema si veda anche X. XXXXXXXX. Libertà di stabilimento e diritto societario degli Stati membri: Europa vs. Usa, in La competizione tra ordinamenti giuridici. Mutuo riconoscimento e scelta della norma più favorevole nello spazio giuridico europeo (a cura di) X. XXXXX, Milano, 2007, 1; X. XXXX, La scelta del diritto, Milano, 2004, 99.
La sede dell’amministrazione è, secondo i sostenitori di questa teoria, un criterio maggiormente oggettivo ed empirico rispetto al luogo di costituzione, potendo la stessa essere determinata a prescindere dalla volontà dei soci. Sotto un certo punto di vista, quindi, si potrebbe affermare che, mentre la teoria dell’incorporazione trova il proprio fondamento nella società come modello organizzativo per l’esercizio d’impresa, la teoria della sede reale prioritizza la società come ente giuridico autonomo e distinto rispetto alle persone dei soci140.
In sintesi, si tratta di una teoria volta a valorizzare la reale ubicazione degli interessi della società, inteso come ente autonomo e distinto rispetto ai soci.
Il pieno accoglimento di questa teoria ha però una rilevante conseguenza all’atto del trasferimento di sede. Difatti, lo spostamento “di fatto” della sede sociale all’estero potrebbe comportare, in alcuni casi, uno scioglimento della società, circostanza contraria all’interesse dei soci e della società141.
140 Il Lussemburgo, pur non affermando espressamente di privilegiare la sede dell’amministrazione, dà priorità a criteri di collocazione spaziale a carattere sostanziale. Si dà però atto che, che utilizzando esclusivamente criteri di natura sostanziale, si potrebbe consentire una facile “fuga dalla legislazione statale, ben potendo l’Organo amministrativo assumere le decisioni al di fuori del territorio nazionale esclusivamente al fine di sottrarsi alla lex societatis.
141 Tipico esempio di questa teoria è individuabile nella Germania, la quale considera il mutamento della sede legale alla stregua della perdita della nazionalità con conseguente scioglimento dell’ente collettivo (in tema si veda Corte d’Appello della provincia Bavarese, III camera civile, 7 maggio 1992, n. 3Z BR 14/92). In Belgio, invece, seppur trovi applicazione la teoria dell’incorporazione, la soluzione muta in quanto risulta possibile operare per trasferimenti in soluzione di continuità giuridica, sempre qualora questo sia possibile anche nello stato di destinazione. Per un’analisi comparatistica dei due criteri si veda X. XXXXXXXX, Lo stabilimento delle società comunitarie in
Si pensi, ad esempio, alla recente emergenza epidemiologica da COVID-19 la quale ha costretto amministratori e altri organi dirigenziali ad operare da remoto. Ebbene, in questo caso, non pare difficile immaginare un mutamento della sede amministrativa per circostanze di forza maggiore.
Alcuni importanti spunti di riflessione possono però essere rinvenuti nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e, nello specifico, nella richiamata sentenza “Daily mail”142 secondo la quale il trasferimento della sede deve essere valutato alla luce del diritto nazionale, con l’unico limite del rispetto delle libertà fondamentali dell’Unione e, in particolare, della libertà di stabilimento143. Quindi, ad esempio, una normativa nazionale che imponesse lo scioglimento della società anche
Italia, in Il notaio tra regole nazionali ed europee, a cura del Consiglio Nazionale del Notariato, 2003, 77.
142 C-81/87, Daily Mail, cit. La vicenda aveva ad oggetto una società costituita nel Regno Unito intenzionata a trasferire la propria residenza fiscale nei Paesi Bassi. La normativa vigente nel paese di partenza al momento dei fatti richiedeva l’autorizzazione da parte dell’autorità britannica che, nel caso di specie, era stata negata.
Il giudice europeo concluse di non poter attribuire ad una società costituita e registrata in base all’ordinamento di uno Stato membro il diritto di trasferire la propria sede centrale di gestione e controllo in altro Stato, mantenendo, al contempo, il proprio status attribuito dal paese di partenza. venne quindi negata, nel caso di specie, la facoltà di avvalersi della libertà di stabilimento primario, dovendo ricorrere allo scioglimento e ricostituzione nello stato di destinazione. Sul tema si vedano anche X. XXX XXXXX, Daily Mail Case. Tax Planning and the European Right of Establishment. A Setback, cit.; S. N. FROMMEL, EEC Companies and Migration: A Setback for Europe, cit.; X. XXX XXXXX XX., Il trasferimento di sede di società alla luce del diritto comunitario, in Dir. Prat. Trib. 3, 1989, 377; F. CAPELLI, Trasferimento della sede amministrativa in altro stato, in Soc., 3, 1990, 297; E. WYMEERSCH, Il trasferimento della sede della società nel diritto societario europeo, cit.
143 Occorre sottolineare che vi è pieno riconoscimento della sola libertà di stabilimento c.d. “secondaria”, ossia la facoltà di aprire succursali e sedi secondarie in altri Stati membri. Sul tema X. XXXXXXXXX, Il trasferimento della sede e della residenza fiscale dall’estero all’Italia. Profili sistematici, in Riv. Dir. Trib., 2, 2014, 353.
qualora il trasferimento della sede avvenga mediante “cambiamento del diritto nazionale applicabile”, realizzerebbe un’ingiustificata restrizione della libertà di stabilimento144.
L’ordinamento nazionale disciplina la materia all’art. 46 cod. civ.145 e, soprattutto, all’art. 25, comma 1 della L. 218/1995146 (Legge di riforma del diritto internazionale privato).
In questa sede è sufficiente rilevare come la normativa italiana adotti un criterio dell’incorporazione c.d. “temperato”, in base al quale l’ente estero
144 CGUE, 16 dicembre 2008, C-210/06, Cartesio commentata da X. XXXX, Transfert du siège social sans changement de loi applicable, in Europe 2009 Février Comm, 89, 2009, 33; X. XXXXX, X. XXXXXXXXX, Freedom of Establishment for Companies: the European Court of Justice confirms and refines its Daily Mail Decision in the Cartesio Case C-210/06, in European Company and Financial Law Review, VI, 1, 2009, 125; X. XXXXXXX, X. XXXXXXXXXXX, Rivoluzione cartesiana? La fine del "vincolo necessario" tra società e legislazione nazionale, in Giur. Com., 2, 2009, 614; X. XXXXXXX, The Cross-border Mobility of Companies within the European Community after the Cartesio Ruling of the ECJ, in Journal of Business Law, 2010, 311.
145 Art. 46 cod. civ., “Quando la legge fa dipendere determinati effetti dalla residenza o dal domicilio, per le persone giuridiche si ha riguardo al luogo in cui è stabilita la loro sede. Nei casi in cui la sede stabilita ai sensi dell'articolo 16 o la sede risultante dal registro è diversa da quella effettiva, i terzi possono considerare come sede della persona giuridica anche quest'ultima”.
146 Art. 25, L. 218/1995, rubricato, “Società ed enti”, “Le società, le associazioni, le fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione. Si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell'amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l'oggetto principale di tali enti. In particolare sono disciplinati dalla legge regolatrice dell'ente: a) la natura giuridica; b) la denominazione o ragione sociale; c) la costituzione, la trasformazione e l'estinzione; d) la capacità; e) la formazione, i poteri e le modalità di funzionamento degli organi; f) la rappresentanza dell'ente; g) le modalità di acquisto e di perdita della qualità di associato o socio nonché' i diritti e gli obblighi inerenti a tale qualità; h) la responsabilità per le obbligazioni dell'ente; i) le conseguenze delle violazioni della legge o dell'atto costitutivo. I trasferimenti della sede statutaria in altro Stato e le fusioni di enti con sede in Stati diversi hanno efficacia soltanto se posti in essere conformemente alle leggi di detti Stati interessati”.
ha facoltà di mantenere il proprio carattere straniero a condizione che il Paese d’origine non imponga lo scioglimento in caso di trasferimento147. Pertanto, in caso di trasferimento c.d. “trasformativo”148, questo deve essere valutato anche alla luce della normativa applicabile nello Stato d’origine149.
4. La sede nel diritto tributario: un approccio comparato
Come sottolineato nel capitolo precedente, una delle esigenze a cui il legislatore tributario deve far fronte in sede di determinazione del collegamento soggetto-territorio è data dalla tendenziale prevedibilità sia del carico fiscale sia del soggetto titolare della potestà impositiva, circostanza
147 A. SANTA XXXXX, Spunti di riflessione sulla nuova norma di diritto internazionale privato in materia di società ed altri enti, in Riv. Soc., 5, 1996, 1102.
148 Con tale termine si intende ogni tipologia di trasferimento della residenza che comporti, unitamente al mutamento della sede, anche il cambiamento del tipo sociale al fine di adottare un modello giuridico previsto dallo stato di “arrivo”.
149 Nel caso lo stato di partenza adotti la teoria dell’incorporazione si possono evidenziare due problematiche fondamentali all’atto del trasferimento della residenza. In primo luogo, dal punto di vista del diritto civile, il mutamento della sede legale, essendo ancorato alla lex societatis di costituzione, la società in questione rimarrebbe comunque soggetta al diritto dello Stato di costituzione. Da un punto di vista più rilevante per il diritto tributario, affermare che la localizzazione territoriale muta solo al mutare della sede legale, l’unica soluzione possibile sarebbe quella di costringere la società allo scioglimento, con conseguente liquidazione, per poi riformarsi nel territorio di destinazione prescelto. Se, nel caso in cui il paese di destinazione adotti l’incorporation theory, non sussistono particolari problemi in merito a tale riconoscimento (a patto, ovviamente, che la società in questione sia validamente costituita ai sensi della legge nazionale), più problematica risulta essere la questione in alcuni paesi che adottano la real seat theory, come accade in Austria, dove non essendo riconosciuta la soggettività giuridica della società trasferitasi sul territorio, occorre che quest’ultima operi una (ri)costituzione.
indispensabile per orientare le scelte imprenditoriali degli operatori economici.
Questa considerazione rende del tutto evidente come un generico rinvio al concetto di sede, così come sopra delineato, sia inidoneo a costituire l’unico criterio volto a dimostrare l’appartenenza del soggetto alla comunità politica ed economica di riferimento. Più semplicemente, l’esigenza di certezza non consente di utilizzare un concetto dai contorni notoriamente incerti.
Per far fronte a questa problematica, la maggior parte degli ordinamenti statali contemporanei ha quindi deciso di utilizzare un criterio volutamente più ampio, ovverosia quella di residenza fiscale, idonea a ricomprendere più sfaccettature della nozione di sede.
Nonostante la netta preferenza per il collegamento basato sulla sede dell’amministrazione, criterio sostanziale maggiormente in grado di evidenziare una piena ed effettiva partecipazione alla comunità statale, è però indispensabile, al fine di comprendere le ragioni di tale preferenza, tratteggiare brevemente gli elementi essenziali dei criteri a questa alternativi.
5. Il collegamento formale: fra Place of Incorporation e sede legale
Prima concezione di “sede” rilevante ai fini tributari, storicamente più antica ed oggi privilegiata soprattutto dai Paesi di common law, è il c.d. place of incorporation (o, in breve, POI), ovverosia il luogo di formale costituzione dell’ente commerciale.
Come appare evidente, questo criterio attribuisce prevalenza alla forma rispetto alla sostanza (form over substance approach) assicurando una maggior certezza al contribuente, il quale potrebbe essere in grado di
conoscere con certezza quale sarà lo Stato nei confronti del quale adempiere la propria obbligazione tributaria.
Al contempo, il POI consente anche una significativa riduzione del carico amministrativo in capo all’ente impositore, il quale può facilmente individuare la residenza fiscale del contribuente facilmente.
Fra gli Stati che privilegiano questo criterio vale sicuramente la pena di ricordare l’esperienza satunitense150 ove, ai sensi paragrafo 770, lett. a), n. 4, dell’Internal Revenue Code (IRC), “The term “domestic” when applied to a corporation or partnership means created or organized in the United States or under the law of the United States or of any State unless, in the case of a partnership, the Secretary provides otherwise by regulations”.
Tale criterio, originariamente introdotto dal Tariff Act del 1909151, viene giustificato in base alla natura federale dell’ordinamento statunitense,
150 Gli USA adottano, a livello federale, anche una particolare classificazione di società, la quale si è evoluta nel corso del tempo. Più nello specifico, fino al 1996, in applicazione da quanto stabilito dalla Suprema Corte nel caso Xxxxxxxxx v. Commissioner (U.S. Supreme Court 16 dicembre 1935), l'Internal Revenue Service (IRS) utilizzava il c.d. resemblance test, secondo cui erano considerate società solo gli enti caratterizzati dai seguenti elementi: i) l'esistenza di associati o membri; ii) se un obiettivo per cui esercitare un'attività il profitto esisteva; iii) se l'entità avesse continuità di vita separata da quella dei suoi membri; iv) l'esistenza di gestione centralizzata; v) l'esistenza di responsabilità limitata; e vi) se gli interessi nell'entità fossero liberamente trasferibile. Tuttavia, a causa del pesante onere probatorio che tale criterio poneva in capo all’Amministrazione finanziaria, nel 1996 questo è stato sostituito con il c.d. check the box criteria (CTB) secondo cui alcune entità specificatamente enumerate sono trattate come società per motivi fiscali, mentre altre entità possono eleggere la loro classificazione (ovvero "selezionare la casella" su un modulo inviato con l'IRS), se sono "idonei".
151 La prima vera e propria definizione positiva del criterio deve però essere attribuita al War Revenue Act del 1917. Per una ricostruzione completa dell’origine storica del criterio nel contesto statunitense si rinvia a O. Y. XXXXXX, The Function of Corporate Tax Residence in Territorial Systems, in Chap. Law. Rev., 157, 2014, 157.
la quale, fra fine XIX e inizio XX secolo, ha significativamente influenzato la normativa societaria statale.
In questo frangente temporale, infatti, non solo le società potevano essere costituite e operare solo in base alle singole legislazioni statali, ma, inoltre, non era raro che la medesima normativa domestica consentisse l’esercizio dell’attività d’impresa esclusivamente all’interno dei confini dello Stato di costituzione.
A ciò si aggiunga che la natura prevalentemente “locale” del mercato statunitense del tempo, caratterizzato dall’impiego di mezzi, capitale e lavoro raramente ubicati “out of state”, contribuì a giustificare il legame fra prelievo impositivo e Stato di costituzione, in quanto era solo all’interno dei suoi confini che il contribuente riceveva la protezione e i vantaggi riconosciuti dall’ordinamento152.
Nonostante i significativi mutamenti del mercato sia nazionale che globale, gli U.S.A., salvo alcune significative aperture153, continuano
150 X. XXXXXX, Xxxxxx Xxxxxx, in Corporate Tax residence and mobility, (a cura di) E. XXXXXXXX, Xxxxxxxxx, 0000.
153 A seguito dell’ampia internazionalizzazione del mercato, la quale ha trovato un’ampia spinta proprio all’interno del sistema statunitense, la legislazione fiscale sia nazionale che convenzionale ha cominciato ad accogliere alcuni “correttivi” a carattere sostanziale, finalizzati ad ancorare la residenza fiscale dell’ente al luogo in cui lo stesso produce effettivamente il proprio reddito. Basti pensare, a mero titolo esemplificativo alla c.d. Limitation of Benefits Clause (in breve, LoB), finalizzata a prevenire il c.d. treaty shopping, limitando l’ambito applicativo delle convenzioni ai soli soggetti in possesso di un sufficiente livello di connessione (c.d. sufficient nexus) con la giurisdizione di appartenenza (o, più precisamente, di residenza). Sul tema, si veda X. XXXXXXX, Beneficiario effettivo e treaty shopping, Ipsoa, Milano, 2016, 73; ID., Lotta all’evasione fiscale internazionale nel modello statunitense di convenzione contro le doppie imposizioni del 2016, in Fisco, 1, 2016, 1860; J. C. XXXXXXX, Searching for the Uncertain Rationale Underlying the US Treasury's Anti-treaty Shopping Policy, in Intertax, XL, 4, 2012, 245
ancor’oggi ad utilizzare, sia in ambito nazionale che convenzionale154, il POI quale principale criterio di determinazione della residenza fiscale.
Un ulteriore interessante esempio del POI, questa volta in ambito europeo, è quello irlandese ove, a seguito delle modifiche apportate dal Finance Act del 2014, il POI è stato elevato a principale criterio di collegamento155.
Senza addentrarsi nell’analisi delle ragioni di tale modifica156, ci si limita ad evidenziare come la scelta operata dal legislatore irlandese si pone nettamente in linea di controtendenza rispetto a quanto fatto dagli altri Stati continentali. Difatti, mentre in questi ultimi si rileva una progressiva espansione dei criteri di collegamento a carattere sostanziale, l’Irlanda ha preferito prediligere un approccio prettamente formale.
154 Il POI ha svolto un’importante funzione anche nel modello di convenzione contro le doppie imposizioni U.S.A. Più nello specifico, ai sensi dell’art. 4 del modello di convenzione del 2006, il POI non solo fungeva da criterio volto alla determinazione della residenza fiscale ma questo, inoltre, assumeva anche la vesta di tie breaker rule. Come sarà nel seguito meglio analizzato, questa impostazione si dimostra in netto contrasto con quanto previsto dal modello OCSE il quale attribuisce rilevanza decisiva ad un criterio di matrice sostanziale, ovverosia il PoEM. Tale impostazione, tuttavia, ha subito un radicale mutamento a seguito delle modifiche apportate al modello nel 2016 ove, il riferimento al POI è stato totalmente eliminato. Tale conclusione, a parere dei primi commentatori, altro non sarebbe che una delle misure introdotte a seguito dell’Action 6 del progetto BEPS, finalizzata, quindi, ad evitare fenomeni abusivi154. Sul tema si rinvia a J. C. XXXXXXX, Searching for the Uncertain Rationale Underlying the US Treasury’s Anti-treaty Shopping Policy, cit.; X. XXXXXXX, Convenzione Italia-Usa Rassegna delle principali novità, in Fisco, 35, 2010, 5678.
155 In precedenza, l’Irlanda tendeva a replicare la soluzione inglese, facendo quindi ricorso, in via esclusiva, al solo Central Management and Control.
156 La ragione di questa modifica normativa deriva, fondamentalmente, dall’esigenza di assicurare che la forte mobilità delle imprese costituite in Irlanda (dovuta anche al trattamento fiscale particolarmente vantaggioso per le società ivi costituite) non determini una progressiva perdita di gettito imponibile.
Difatti, ai sensi del paragrafo 23A, lett. a) del Tax Consolidation Act (TCA), così come modificato dal paragrafo 43 del Finance Act del 2014, “a company which is incorporated in the State shall be regarded for the purposes of the Tax Acts and the Capital Gains Tax Acts as resident in the State”157.
Si tratta, però, di una normativa meno stringente rispetto a quella statunitense, poiché i paragrafi successivi della disposizione sopra richiamata continuano ancor’oggi a fare espresso riferimento al Central Management and Control il quale, quindi, assume un importante ruolo sussidiario.
Il legislatore italiano, nonostante all’interno del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, (c.d. testo unico delle leggi sulle imposte dirette o, in breve, TUID) facesse espresso riferimento al luogo di costituzione, ha oggi eliminato ogni riferimento a tale criterio sostituendolo con un altro criterio di natura formale, ovverosia la sede legale.
Questa scelta, al tempo criticata da parte della dottrina158, viene giustificata dalla volontà del legislatore di dare rilevanza alla società come
157 Tale regola è però soggetta ad alcune importanti eccezioni per le società costituite prima del 2015 e per tutto il periodo di transazione, recentemente scaduto il 31 dicembre 2020. In primo luogo, il criterio di incorporazione non si applica alle c.d. “società rilevanti” (società assoggettate, alternativamente, al controllo di soggetti residenti nell'Unione Europea o in un paese con cui l'Irlanda ha concluso un trattato, o è collegata una società la cui principale categoria di azione è negoziata in una borsa regolamentata nell’Unione Europea o in un paese con il quale l'Irlanda ha concluso un trattato) che svolgono attività commerciale in Irlanda o che sono connessa ad una società che esercita tale attività (c.d. “trading exemption”). In secondo luogo, il POI non trova applicazione nei confronti di società costituite in Irlanda considerate fiscalmente residenti in un altro Stato ai sensi di un trattato contro le doppie imposizioni (c.d. "Treaty exemption").
158 G. OPPO, Categorie commercialistiche e riforma tributaria, in AA.VV., Riforma tributaria e diritto commerciale: le fattispecie, in Atti del convegno di Macerata del 12-13 novembre 1976, Milano, 1978, 28.
rapporto in luogo della società come contratto159 e si pone in linea di continuità con la maggior parte degli odierni ordinamenti di civil law.
Tuttavia, la sede legale, ossia il luogo in cui dall'atto costitutivo la società risulta avere il centro dei propri xxxxxx000, assume, sia nell’ordinamento nazionale sia negli altri ordinamenti europei, una funzione prevalentemente sussidiaria. Segnatamente, in caso di “conflitto di sedi”, ovverosia qualora la sede legale sia differente rispetto alla sede amministrativa, sarà quest’ultima a prevalere data la sua attitudine ad evidenziare l’effettiva partecipazione del soggetto alla comunità statale.
6. L’oggetto principale
Un ulteriore criterio sostanziale volto a valorizzare la partecipazione del soggetto passivo alla comunità statale è individuabile nel c.d. oggetto principale, criterio adottato dall’ordinamento nazionale e regolato dall’art. 73, co. 4 TUIR161.
Questo concetto, sconosciuto alla maggior parte degli ordinamenti sia europei che extra europei, colloca la residenza fiscale nel luogo in cui viene
159 X. XXXXXX, Residenza di società ed enti nell’imposizione personale sui redditi, in Boll. Trib.,
1, 1990, 18.
160 X. XXXXX, Xx xrasferimento della residenza fiscal nell’imposizione sui redditi, Roxx, 0000, 226.
Contra, G. OPPO, Categorie commercialistiche e riforma tributaria, in cit.
161 Art. 73, co. 4 e 5 TUIR “4. L'oggetto esclusivo o principale dell'ente residente è determinato in base alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall'atto costitutivo o dallo statuto. 5. In mancanza dell'atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l'oggetto principale dell'ente residente è determinato in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato; tale disposizione si applica in ogni caso agli enti non residenti.”.
effettivamente esercitata l’attività necessaria per raggiungere lo scopo sociale, definita come “l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto”162.
Nonostante i riferimenti alla legge, all’atto costitutivo e allo statuto possano, ad una prima lettura, spingere a considerare l’oggetto sociale alla stregua di un criterio a matrice prevalentemente formale, il successivo comma 5 dell’art. 73, TUIR attribuisce all’oggetto principale natura indubitabilmente sostanziale affermando come questo deve essere determinato in base all’attività “effettivamente esercitata nel territorio dello Stato”163.
Pertanto, l’individuazione dell’oggetto sociale non può fermarsi al solo dato indicato nello statuto sociale, ma occorre compiere una vera e propria analisi empirica volta a valorizzare l’attività essenziale svolta dall’impresa, ovverosia quella che consente di raggiungere gli scopi sociali164.
162 C. SACCHETTO, La residenza fiscale delle società, in Gazzetta Valutaria e del Commercio Internazionale, 2, 1988, 123; X. XXXX, X. XXXXXX, Sede dell’amministrazione, oggetto principale e residenza fiscale delle società, in Dial. Dir. Trib., 10, 2005, 927.
163 Nonostante l’art. 73, co. 5 faccia riferimento al criterio dell’effettiva dell’oggetto sociale solo “In mancanza dell'atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme [atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata]”, l’Amministrazione finanziaria ha avuto modo di sottolineare, con la Circ. 4 agosto 2006, n. 28/E, che la “la localizzazione dell'oggetto principale o l'esistenza della sede dell'amministrazione devono essere valutati in base ad elementi di effettività sostanziale e richiedono - talora – complessi accertamenti di fatto del reale rapporto della società o dell'ente con un determinato territorio, che può non corrispondere con quanto rappresentato nell'atto costitutivo o nello statuto”.
164 Circ. Guardia di Finanzia 29 dicembre 2008, n. 1/2008, secondo la quale il concetto di oggetto è una “definizione estremamente ampia, per circoscrivere la quale si ritiene in genere necessario prendere in considerazione lo svolgimento dell’attività per il cui esercizio la società è stata
In quest’ottica, dovranno quindi essere valorizzati elementi come, ad esempio, l’ubicazione degli impianti e del personale, la sede degli uffici amministrativi o la localizzazione degli investimenti165.
Non si tratta, però, di un’analisi meramente quantitativa (avente ad oggetto solo il luogo in cui sono ubicati la maggior parte degli asset), ma l’individuazione dell’oggetto sociale richiede necessariamente di coinvolgere anche gli aspetti qualitativi dell’attività di impresa, al fine di valorizzare “l’essenzialità” dell’oggetto.
Così, a mero titolo esemplificativo, la Suprema Corte ha affermato che l’oggetto principale non coincide con il luogo di mera ubicazione della maggior parte degli asset sociali ma, al contrario, è necessario dare rilievo centrale alla vera e propria attività di gestione ed utilizzazione di detti assets166.
Si tratta, in quest’ultimo caso, di un’analisi particolarmente complessa con riferimento alle società la cui attività principale consiste esclusivamente nella sola gestione passiva di asset (c.d. “holding passive”)167 dovendosi,
costituita, nonché gli atti produttivi e negoziali ed i rapporti economici che la stessa pone in essere con terzi”.
165 Per un’analisi approfondita dei possibili fattori che possono assumere rilevanza nell’individuazione dell’oggetto principale, si rinvia a X. XXXXX, Italy, in Corporate tax residence and Mobility, cit.
166 Cass. 23 febbraio 2012, n. 7080; Cass. 17 gennaio 2014, n. 6995, secondo cui “per identificare la nozione di principalità necessita fare riferimento a tutti gli atti produttivi e negoziali, nonché ai rapporti economici, che lo stesso ente pone in essere con i terzi, e per individuare il luogo in cui viene a realizzarsi l'oggetto sociale rileva, non tanto quello dove si trovano i beni principali posseduti dalla società, quanto la circostanza che occorra o meno una presenza in loco per la gestione dell’attività dell'ente”.
167 Un particolare caso che merita attenzione è quello di una holding di gestione partecipazioni (o holding statica) estera abbia nel proprio asse patrimoniale solamente partecipazione in una società
pertanto, adottare un approccio completo facendo riferimento, se del caso, anche all’attività svolta da eventuali società controllate o collegate.
A ciò si aggiunga, inoltre, che la nozione di oggetto principale, basata, appunto, sulla localizzazione di asset produttivi e sulla loro gestione, potrebbe comportare una potenziale sovrapposizione con un altro criterio di collegamento territoriale, ovverosia la stabile organizzazione168.
Tanto premesso, si deve però rilevare come il profilo di maggior criticità risiede nella sua scarsa diffusione nel panorama tributario internazionale. Difatti, in assenza di un ampio utilizzo dello stesso, il criterio dell’oggetto sociale finisce per essere, nella maggior parte dei casi, un criterio di attrazione della residenza fiscale degli investitori esteri in Italia, circostanza evidentemente problematica sotto il profila della doppia imposizione internazionale.
Per un’analisi dei profili inerenti alle ricadute di questo criterio di collegamento sul piano convenzionale, si rinvia al successivo capitolo III.
residente in Italia. La domanda che ci si deve porre è se tale holding possa essere considerata quale residente in quanto il suo unico scopo è la gestione di partecipazioni in Italia, ivi collocandovi il proprio oggetto principale. La soluzione che emerge tende ad escludere l’estensione della residenza fiscale italiana alla holding estere, perché, a ben guardare l’oggetto principale non è il possesso di tale azione, questo, deve essere più correttamente qualificato quale bene della società, mentre, l’oggetto principale, consiste nella gestione di tali partecipazioni, attività che può ben essere svolta fuori dal territorio italiano.
168 M. R. XXXXXXX, La stabile organizzazione del non residente in Italia, Napoli, 2007, 63; U. LA COMMARA, A. VALENTE, La mera detenzione di un immobile da parte di un soggetto non residente non configura stabile organizzazione, in Fisco, 9, 2008, 437. A tal proposito, la Corte di cassazione (Cass. 27 novembre. 1987, n. 8820) ha avuto modo di affermare che non si avrà stabile organizzazione qualora l’attività consista in una mera gestione dei beni. Di conseguenza, si avrà la presenza dell’oggetto principale all’interno del territorio qualora l'attività sia svolta attraverso la dismissione dei beni stessi immobile ed il bene stesso sia, quindi, l’oggetto stesso dell’attività commerciale.
7. La sede amministrativa o place of effective management
La ricostruzione dei criteri di identificazione della residenza fiscale sopra delineato deve ora necessariamente chiudersi con il concetto di sede dell’amministrazione, cuore dell’analisi del presente lavoro.
Si tratta, similmente all’oggetto sociale, di un criterio a natura sostanziale incentrato, quindi, su una verifica concreta e fattuale della presenza del soggetto nel territorio.
In linea con quanto visto in relazione alla nozione di sede legale, anche la sede dell’amministrazione trova origine, da un punto di vista terminologico, nel diritto internazionale privato ove viene definita come il luogo nel quale è ubicata la direzione e l’organizzazione amministrativa della società, al quale i terzi fanno riferimento per instaurare un rapporto con l’ente collettivo169.
In altre parole, la sede amministrativa altro non è se non il criterio tramite il quale gli Stati che adottano la teoria della sede reale determinano l’applicabilità della propria lex societatis170.
Questo iniziale definizione della nozione consente di effettuare una prima considerazione preliminare a carattere generale. Difatti, mentre nel diritto internazionale privato l’utilizzo della sede amministrativa esclude automaticamente la possibilità di fare ricorso anche al criterio della sede legale, altrettanto non avviene nel diritto tributario.
169 X. XXXXXXXXX, Società costituite all’estero od operanti all’estero (artt. 2498-2510, in Commentario del codice civile (a cura di) A. XXXXXXX, X. XXXXXX, Xxxxxxx-Xxxx, 0000, 221. 170 X. XXXXXXXXXXX, Società di capitali, trasferimento all'estero della sede sociale e arbitraggi normativi, cit. X. XXXXXXXXXXXX, Sul trasferimento della sede sociale all’estero, cit.
Più precisamente, se, da un lato, non pare possibile immaginare la contestuale e simultanea adozione della real seat theory e della incorporation theory, stante la loro tendenziale incompatibilità, non è raro che la normativa tributaria assuma quali validi criteri di collegamento, seppure alternativi fra loro, sia la sede legale sia la sede amministrativa come avviene, ad esempio, nell’ordinamento italiano.
Ebbene, tale sovrapposizione rende più complicata un’univoca identificazione della reale ubicazione dell’ente collettivo, circostanza che ha portato dottrina e giurisprudenza dominanti a ridurre significativamentela rilevanza dei fattori di collegamento formali attinenti, appunto, alla sede legale.
Tanto premesso, è però doveroso effettuare due necessarie premesse. In primo luogo, è fondamentale rammentare che il concetto di sede dell’amministrazione adottato dagli ordinamenti nazionali e quello di place of effective management presente all’art. 4(3) del modello di convenzione contro le doppie imposizioni OCSE, sebbene presentino alcuni punti di contatto, sono due nozioni che devono essere tenute, per quanto possibile,
separate e distinte.
Da un punto di vista “funzionale”, la sede della direzione contenuta nelle normative nazionali funge da vero e proprio criterio di collegamento finalizzato a determinare la residenza fiscale dell’ente collettivo e, conseguentemente, il grado di partecipazione di tale soggetto alla comunità statale. Al contrario, il PoEM di cui all’art. 4(3) del modello OCSE mira, in via di sommaria approssimazione, a risolvere i conflitti di doppia imposizione derivanti da una “duplicazione” della residenza fiscale.
Significativamente differente è anche il contenuto sostanziale di due criteri. Difatti, come più volte espresso dal Commentario al Modello OCSE
relativo all’articolo 4(3), il PoEM convenzionale deve essere interpretato in base a criteri e linee direttrici differenti rispetto alla sede dell’amministrazione di cui alla normativa nazionale. La circostanza che, nel corso degli ultimi anni, gli Stati contraenti abbiamo frequentemente ignorato simile raccomandazione non è idonea a sovrapporre le due nozioni.
Pertanto, volendo sintetizzare, i due concetti di sede dell’amministrazione, seppure diretti al raggiungimento di obiettivi similari (individuazione dello Stato dotato della giurisdizione fiscale sul contribuente), finiscono per operare in maniera radicalmente differente, circostanza che rende quindi necessario procedere ad una distinta e separata analisi.
Un secondo ed ulteriore rilievo preliminare su cui occorre soffermare l’attenzione discende dall’ampio consenso della comunità nazionale nell’utilizzo della sede dell’amministrazione la quale, ad oggi, è impiegata dalla maggior parte delle normative tributarie nazionali.
Prima facie, sembrerebbe, quindi, che una simile diffusione del criterio consenta una facile individuazione dell’ubicazione spaziale degli enti collettivi, stante l’assenza di un contrasto fra criteri radicalmente differenti. Tuttavia, a ben vedere, ciò non è così.
Da un punto di vista analitico, l’introduzione della sede effettiva da parte del singolo ordinamento è il risultato del percorso storico e politico proprio del singolo Paese sicché non pare possibile individuare un unico punto di origine del criterio.
Al contempo, in una prospettiva più operativa, ogni ordinamento è caratterizzato da profili economici, politici e culturali che si riflettono nell’assetto di valori in base ai quali giurisprudenza e prassi nazionali applicano ed interpretano la nozione. Pertanto, le ineliminabili differenze fra
gli Stati portano ad attribuire alla sede della direzione un contenuto ed un significato differente da Paese a Paese. Rimandando la trattazione nel dettaglio alle pagine che seguono, ai fini qui di interesse si possono ricordare, a mero titolo esemplifico, le rilevanti conseguente che esistono fra la sede dell’amministrazione intese come luogo di gestione centrale e sede dell’amministrazione intesa come luogo della gestione giornaliera.
Si tratta, però, di due concezioni di sede dell’amministrazione che non possono essere ritenute totalmente separate. Difatti, se, da un lato, la prassi nazionale ed internazionale ha evidenziato una significativa compenetrazione fra le due (contrariamente, come si vedrà, alle raccomandazioni OCSE), dall’altro lato, la sede della direzione nazionale e quella convenzionale si pongono in un rapporto che potrebbe essere astrattamente definito come “di genere a specie”. Tuttavia, data la concreta probabilità che i conflitti di doppia residenza ai quali il PoEM è chiamato a far fronte derivino proprio da una differente interpretazione della sede della direzione da parte degli Stati coinvolti, è indispensabile stabilire quale sia il contenuto e il portato che tale concetto assume nelle varie legislazioni statali.
Tanto premesso, volendo ricondurre ad unità l’analisi che sarà compiuta nelle pagine che seguono, nella consapevolezza delle innumerevoli differenti ancor’oggi esistente fra i vari ordinamenti in ordine all’interpretazione del place of (effective) management, punto di partenza fondamentale è dato dall’evoluzione della giurisprudenza britannica fra fine ‘800 ed inizio ‘900.
Ciò, non in quanto il test elaborato dall’House of Lords rappresenti l’antecedente storico della sede della direzione effettiva in ogni ordinamento nazionale, ma in quanto l’Inghilterra dei secoli scorsi fu la prima ad essere chiamata a confrontarsi con le problematiche relative alla delocalizzazione
societaria e fu proprio lo Stato britannico a suggerire, per la prima volta, di attribuire rilievo prioritario al centro decisionale.
In altre parole, se, da un lato, la soluzione britannica non può essere elevata ad unico ed unitario punto di origine delle varie sedi dell’amministrazione effettiva nazionali, dall’altro lato, il percorso logico- argomentativo seguito può ritenersi quantomeno condiviso fra tutti gli Stati.
8. L’origine del PoEM nella giurisprudenza inglese
La dottrina maggioritaria ritiene che l’origine del “PoEM” inglese debba essere collocata fra fine Ottocento ed inizio Novecento171 quale conseguenza dei mutamenti storici, politici, culturali ed economici caratterizzanti l’Inghilterra detto periodo.
In una prospettiva politico-economica, l’esigenza di individuare criteri di collegamento basati su un approccio sostanziale deriva certamente dalla dimensione e dal ruolo assunto dall’Impero britannico durante il c.d. secolo imperiale.
La significativa espansione britannica, sia da un punto di vista geopolitico, sia da un punto di vista economico consentì alla monarchia inglese di raggiungere un quasi assoluto dominio del commercio marittimo, guidato soprattutto dalla Compagnia delle Indie orientali.
171 Vi è però chi sostiene che un primo tentativo di ancorare la residenza fiscale dagli enti al luogo dove avviene la gestione degli stessi sia da ricondurre a Xxxxxxxxxx Xxx Xxxxxxx, il quale per primo afferma che la residenza fiscale degli enti doveva essere collocata nel “xxxxxx xxxxx xxxxxx”. Xxx xxxx, xx veda X. XXXXXXX, Riflessioni sul concetto di Place of Effective Management: prospettive di ricerca ed attuali tendenze di sistema, in Riv. Dir. Fin., 3, 2019, 328.