CLASSIFICAZIONE]
[CLASSIFICAZIONE]
TRIBUTI (IN GENERALE) - TERRITORIALITA' DELL'IMPOSIZIONE (ACCORDI E CONVENZIONI INTERNAZIONALI PER EVITARE LE DOPPIE IMPOSIZIONI)
TRIBUTI (IN GENERALE) - "SOLVE ET REPETE" - TERRITORIALITA' DELL'IMPOSIZIONE (ACCORDI E CONVENZIONI INTERNAZIONALI PER EVITARE LE
DOPPIE IMPOSIZIONI) Dividendi azionari versati da una società figlia italiana a società madre residente in Gran Bretagna - Beneficio di cui all'art. 10 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Gran Bretagna - Benefici previsti dalla Direttiva madre-figlia n. 453 del 1990 attuata con l. n. 136 del 1993 - Cumulabilità - Ammissibilità - Condizioni.
[RIFERIMENTI NORMATIVI]
- Convenzione contro le doppie imposizioni tra l'Italia e la Gran Bretagna, stipulata il 21 ottobre 1988 (ratificata con l. n. 329 del 1990)
- Direttiva 453/90/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 luglio 1990
- art. 27-bis d.P.R. 600 del 1973
- Sentenza Corte di Giustizia dell’Unione Europea 19 dicembre 2019, in causa n. X-000/00, Xxxxxxxx Securities
[SENTENZA SEGNALATA]
Cass., Sez. V, 31.1.2020, n. 2313
Abstract
La sentenza affronta il problema della tassazione dei dividendi distribuiti da una società italiana ad una società nel Regno Unito, senza stabile organizzazione in Italia, laddove le due società sono legate da un rapporto di partecipazione qualificata, nel senso che la società italiana che distribuisce i dividendi è la società “figlia”, controllata da quella con sede nel Regno Unito (società “madre”).
La sentenza si segnala per la notevole impostazione eurounitaria, affermando che il credito d'imposta previsto dall'art. 10, par. 4, lett. b, della Convenzione contro le doppie imposizioni tra l'Italia e la Gran Bretagna, stipulata il 21 ottobre 1988 (ratificata con l. n. 329 del 1990), non è
escluso dal riconoscimento dei benefici (nella specie esenzione da ritenuta) della Direttiva madre- figlia n. 453 del 1990 (attuata con il d.lgs. n. 136 del 1993), atteso che detto riconoscimento, secondo l'interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia (causa C-389/18, del 19 dicembre 2019, Brussels Securities), non elimina, necessariamente, il rischio della doppia imposizione economica né della violazione del principio di neutralità fiscale. Sicché, deve verificarsi in concreto se il meccanismo di tassazione previsto dallo Stato membro elimini effettivamente detto rischio, dovendosi evitare non soltanto la tassazione diretta dei dividendi in capo alla società madre, ma anche quella indiretta intesa come conseguenza dell'applicazione di meccanismi che, sebbene accompagnati da deduzioni o esenzioni, possono causare alla società madre un trattamento deteriore rispetto a quello che spetterebbe qualora le due società fossero dello stesso Stato, dovendo la percezione dei dividendi essere fiscalmente neutra per la società madre.
Introduzione: la fattispecie e la doppia imposizione
Il problema di cui si occupa la sentenza in questione è spinoso, oltre che tecnicamente non semplice, e riguarda la tassazione dei dividendi distribuiti da una società italiana “figlia” ad una società che ne detiene una partecipazione qualificata, avente sede nel Regno Unito, senza stabile organizzazione in Italia (società “madre”).
In particolare, il tema che viene in rilievo in queste situazioni è quello della doppia imposizione, fenomeno che dovrebbe essere evitato perchè in contrasto con tutti i principi nazionali ed internazionali di fiscalità, che ricorre quando lo stesso reddito è assoggettato due volte, o più, a tassazione.
Se, infatti, secondo logica e diritto di ciascuno Stato, ogni nazione coinvolta in questa operazione di distribuzione di dividendi seguisse le proprie leggi nazionali, in un caso simile il reddito prodotto dalla società italiana “figlia” sarebbe tassato una prima volta in Italia, in quanto reddito imponibile ai fini ires della suddetta società, ma, in quanto distribuito alla società madre, diventerebbe anche imponibile nel Regno Unito, in quanto reddito da partecipazione di quest'ultima. A maggior ragione poi se, all'atto della distribuzione, la società “figlia” operasse sul dividendo una ritenuta alla fonte a titolo di imposta.
Xxxxx stesso reddito, quindi, vi sarebbe una pluralità di imposizioni, per quanto a carico di due soggetti distinti: una in Italia a carico della “figlia”, una nel Regno Unito a carico della “madre”, la quale subirebbe anche, in Italia, la ritenuta sulla distribuzione del dividendo. Il diverso titolo in base al quale esso sarebbe tassato (in Italia come reddito dall'esercizio di impresa da parte della persona
giuridica e nel Regno Unito come reddito da partecipazione), non esclude che si tratti sempre dello stesso reddito, e che su di esso vi sia una doppia tassazione.
E' una situazione che a livello internazionale, ed innanzi tutto dell'Unione Europea (ed ovviamente stiamo parlando di fatti avvenuti ben prima della Brexit) non può essere tollerata, perchè contrasta con alcuni dei principi fondamentali di quello che era il mercato comune prima, ed oggi l'Unione Europea: il principio di concorrenza, di libero stabilimento, di libera circolazione delle imprese e dei capitali.
Il quadro normativo
Da qui il sorgere di strumenti internazionali, legislativi o anche convenzionali – multilaterali o bilaterali – per evitare, per quanto possibile, la doppia imposizione in casi simili.
Nei rapporti con il Regno Unito vi è una convenzione bilaterale; all'epoca dei fatti della presente causa era la convenzione stipulata il 21 ottobre 1988, e ratificata dal nostro Paese con l. n. 329 del 1990.
Accanto ad essa, l'Unione Europea, per i casi in cui la distribuzione del dividendo avvenga tra società legate tra loro da un rapporto di partecipazione qualificata (società “madre e figlia”) ha messo in campo uno strumento legislativo, la direttiva del 23 luglio 1990 n. 90/435/CEE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società “madre e figlia” di Stati Membri diversi (questa è la direttiva applicabile ratione temporis ai fatti di causa – che riguardano il periodo dalla fine degli anni '90 ai primi anni 2000 - in quanto ad essa è poi succeduta un'altra direttiva nel 2011), recepita in Italia con l'introduzione dell'art. 27-bis nel d.P.R. 600 del 1973.
Questa norma prevede, per contribuire a fronteggiare il problema della doppia imposizione, due sistemi: la non applicazione della ritenuta alla fonte all'atto della distribuzione del dividendo, oppure, qualora essa sia stata effettuata, il diritto al rimborso in capo alla società madre che la ha subita.
La stessa, peraltro, fa salva l'applicazione di convenzioni bilaterali.
La Convenzione Italia – Regno Unito del 1988 prevede, all'art 10 paragrafo 4 – sintetizzando ai minimi termini e semplificando un poco per non entrare in dettagli estremamente tecnici – che il beneficiario residente nel Regno Unito (in questo caso, la società madre) che riceve dividendi dall'Italia abbia diritto ad un credito di imposta, per eliminare la doppia imposizione che deriverebbe dall'assoggettamento del reddito a tassazione nel Regno Unito, dopo che lo stesso è già stato soggetto a tassazione in Italia; il tutto, a condizione, appunto, che sia soggetto all'imposta del Regno Unito.
La giurisprudenza della Cassazione si è da tempo assestata nel senso che l'espressione “soggetto ad imposta” debba intendersi in senso concreto, cioè di soggetto che è stato effettivamente sottoposto ad imposizione nel Regno Unito, e lì ha corrisposto degli importi all'erario a titolo di imposta, e non in senso astratto, quale soggetto passivo di imposta, indipendentemente dal fatto che, poi, l'imposta sia stata in concreto applicata o meno.
La decisione
Nel caso in questione, la ritenuta alla fonte al momento della distribuzione del dividendo non era stata applicata, in osservanza della direttiva.
La società chiedeva il riconoscimento del credito di imposta, affermando che lo stesso reddito era stato assoggettato a tassazione sia in Italia che nel Regno Unito.
L'Agenzia delle Entrate e la CTR ritenevano che, in mancanza di ritenuta all'atto della distribuzione del dividendo, non vi fosse rischio di doppia imposizione.
La sentenza, in primo luogo, pone in luce la differenza tra doppia imposizione «economica», quando due Stati sottopongono a imposizione contribuenti diversi per lo stesso reddito, e
«giuridica», quando due Stati sottopongono a imposizione lo stesso contribuente per lo stesso reddito.
Quindi, la decisione è tutta impostata sul rispetto dei principi eurounitari di neutralità e di non discriminazione nella tassazione. Sono i principi eurounitari, in sostanza applicati direttamente, a determinare la decisione del caso.
In particolare, la sentenza fa diretta applicazione di una decisione della Corte di Giustizia intervenuta nel frattempo, nel dicembre del 2019.
Si tratta della decisione nella causa X-000/00, Xxxxxxxx Securities, del 19 dicembre 2019, in cui la Corte esprime un principio di valore generale affermando che: «L'articolo 4, paragrafo 1, della Direttiva 90/435/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, come modificata dalla Direttiva 2003/123/CE del Consiglio, del 22 dicembre 2003, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa di uno Stato membro ai sensi della quale i dividendi che una società madre percepisce dalla sua società figlia debbano essere, in un primo tempo, inclusi nella base imponibile della società madre, prima di poter fare, in un secondo tempo, oggetto di una deduzione, nella misura del 95% del loro importo, la cui eccedenza può essere riportata agli esercizi successivi senza limiti nel tempo, deduzione che è prioritaria rispetto ad un'altra deduzione fiscale il cui rinvio sia limitato nel tempo».
La sentenza della Corte di Giustizia specifica:
«Inoltre, risulta precisamente dal terzo considerando della Direttiva 90/435 che essa mira ad eliminare, instaurando un regime fiscale comune, qualsiasi penalizzazione della cooperazione tra società di Stati membri diversi rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro e a facilitare in tal modo il raggruppamento di società a livello dell ' Unione. Tale Xxxxxxxxx tende così ad assicurare la neutralità, sotto il profilo fiscale, della distribuzione di utili da parte di una società figlia con sede in uno Stato membro alla sua società madre stabilita in un altro Stato membro (sentenze del 1° ottobre 0000, Xxx xx Xxxxxx - Berliner Investissement, C-247/08, EU:C:2009:600, punto 27 e giurisprudenza ivi citata, e dell ' 8 marzo 2017, Wereldhave Belgium e a., C-448/15, EU:C:2017:180, punto 25)». Indi chiarisce, al punto 36), che: «Al fine di assicurare I' obiettivo della neutralità, sotto il profilo fiscale, della distribuzione di utili da parte di una società figlia con sede in uno Stato membro alla sua società madre stabilita in un altro Stato membro, la Direttiva 90/435 mira ad evitare, in particolare, mediante la regola prevista al suo articolo 4, paragrafo 1, primo trattino, una doppia imposizione di tali utili, in termini economici, vale a dire ad evitare che gli utili distribuiti siano colpiti, una prima volta, a carico della società figlia, e, una seconda volta, a carico della società madre (v., in tal senso, sentenze del 3 aprile 2008, Banque Fèdèrative du Crèdit Mutuel, C-27/07, EU:C:2008:195, punti 24, 25 e 27, nonché del 12 febbraio 2009, Xxxxxxxxx, C-
138/07, EU:C:2009:82, punti 29 e 30)».
La sentenza non si riferiva ad una vicenda tra Italia e Regno Unito, ma esprime il principio di divieto di doppia imposizione economica, anche se temperato da sistemi di compensazione, quali deduzioni dall'imponibile, all'interno dello Stato del beneficiario.
La decisione della Corte di Cassazione fa, quindi, applicazione di questo principio, tale per cui la non applicazione della ritenuta non elimina necessariamente il rischio di imposizione economica, avendo la Corte di Giustizia ricordato che ogni forma di doppia tassazione deve essere eliminata, giuridica od economica, diretta od indiretta.
Secondo quanto afferma la Corte di Giustizia, infatti, è ipotizzabile che la stessa abbia voluto signficare che, in linea teorica, anche in mnacanza di ritenuta alla fonte, se l'inserimento dei dividendi nella base imponibile della società “madre” determinasse – in un sistema di tassazione progressiva con aliquote a scaglioni - il passaggio ad un'aliquota maggiore, non è necessariamente detto che il meccanismo di deduzione o agevolazione sia sufficiente a compensare la maggiore imposta dovuta.
La questione diventa, quindi, di mero fatto, quasi di calcolo aritmetico, e per questo la decisione non ha potuto che rinviare al giudice di merito, ma resta il fatto che ha voluto affermare il principio
per cui la doppia imposizione deve essere vista in concreto, tenendo conto di tutti quei meccanismi che, in realtà, anche se apparentemente idonei ad evitarla, non ne eliminano il rischio.
Si tratta di una sentenza in cui l'applicazione dei principi eurounitari ha avuto, quindi, un peso essenziale.