LA RESPONSABILITÀ
LA RESPONSABILITÀ
FRA REGOLE E CLAUSOLE GENERALI
Corso di Diritto civile A.A. 2013-2014
Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxx
INDICE
PARTE PRIMA.
LA RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE E I SUOI “CONFINI”.
1. Le questioni aperte …………………………………………………...........» p. 6
2. La responsabilità contrattuale dalla codificazione agli ’70 ………………..» p. 7
3. L’interpretazione dell’art. 1218 c.c. nella dottrina e nella giurisprudenza
attuale ……………………………………………………………………...» p. 10
4. Inadempimento e colpa in Italia e negli ordinamenti europei ……………..» p. 13
5. L’imputabilità dell’inadempimento nella giurisprudenza italiana ………...» p. 14 6. L’onere della prova ………………………………………………………..» p. 16
7. La Buona fede nella formazione e nell’esecuzione del contratto …………» p. 17
7.1. La buona fede nel sistema italiano ………………………………………...» p. 18
7.2. L’evoluzione della giurisprudenza italiana ………………………………..» p. 18
7.3. Sulla discrezionalità del giudice …………………………………………..» p. 19
7.4. Sui contenuti della discrezionalità ………………………………………...» p. 21
7.5. La buona fede nel diritto comunitario ……………………………………..» p. 21
7.6. Le conseguenze della violazione ………………………………………….» p. 26
7.7. La buona fede nella fase di trattative e conclusione del contratto ………...» p. 28
7.8. Tipologia della condotta …………………………………………………..» p. 31
7.9. Natura della responsabilità precontrattuale ……………………………......» p. 32
7.10. La buona fede nella esecuzione del contratto ……………………………..» p. 33
8. La responsabilità pre-contrattuale: la svolta giurisprudenziale e le resistenze dottrinali …………………………………………………….......» p. 34
8.1. Regole di responsabilità e di validità ……………………………………...» p. 34
8.2. La coesistenza fra contratto valido e la responsabilità per la violazione
della buona fede nelle trattative ……………………………………….......» p. 37
8.3. Le asimmetrie informative e la regola di buona fede ……………………..» p. 38
8.4. Natura della responsabilità contrattuale e onere della prova ……………...» p. 39
8.5. L’obbligo di informazione fra fattispecie e comportamento ……………...» p. 40
9. L’espansione della responsabilità contrattuale . Il contatto sociale ed altre
figure ..…………………………………………….......................................» p. 41
9.1. La distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale e gli obblighi di protezione ……………………………………………………...» p. 41
9.2. Le ipotesi di responsabilità da contatto sociale …………………………....» p. 45
9.3. La responsabilità medica …………………………………………………..» p. 45 9.3.1 Il nuovo D.L. 13 settembre 2012, n. 158 ……………………………….....» p. 49
9.4. La responsabilità dell’insegnante in caso di minore autolesionista ……….» p. 52
9.5. La responsabilità della banca per pagamento di un assegno a soggetto non legittimato ……………………………………………………………….....» p. 53
9.6. Mediazione tipica ………………………………………………………….» p. 55
9.7. La responsabilità dell’ex datore di lavoro nei confronti dell’ex dipendente
.......................................................................................................................» p. 56
9.8. Ulteriori ipotesi ……………………………………………………………» p. 57
9.9. Profili sistematici della responsabilità da contatto sociale ………………..» p. 58
PARTE SECONDA
LA RESPONSABILITÀ AQUILIANA
1. Il sistema della responsabilità aquiliana oggi » | p. 61 |
2. Antigiuridicità e danno ingiusto » | p. 61 |
2.1. Ingiustizia e selezione del danno nella sentenza delle Sezioni Unite della | |
Cassazione n. 500 del 1999 » | p. 61 |
2.2. Dalla lesione del diritto soggettivo alla lesione dell’interesse protetto » | p. 62 |
2.3. Ingiustizia del danno e discrezionalità dell’interprete » | p. 63 |
2.4. Il caso Xxxxxx e gli esiti della sentenza sul risarcimento degli interessi | |
legittimi » | p. 64 |
3. Il danno ingiusto nella dottrina e nei progetti di uniformazione europea …» | p. 65 |
4. Il fatto ed il nesso di causalità » | p. 67 |
4.1. La causalità penale » | p. 67 |
4.2. La causalità materiale come elemento sostanziale dell’illecito » | p. 68 |
4.3. L’imputazione per omissione colposa nel caso Franzese » | p. 69 |
4.4. L’imputazione per omissione colposa nella Cassazione a Sezioni unite | |
civili » | p. 71 |
4.5. Nesso causale e ipotesi di responsabilità oggettiva » | p. 72 |
4.6. La prova » | p. 72 |
5. La responsabilità extracontrattuale come azione a protezione del contratto, | |
delle relazioni familiari e del mercato » | p. 73 |
5.1. La doppia vendita immobiliare » | p. 73 |
5.2. La tutela aquiliana per “ indebolimento della posizione contrattuale”: il | |
caso CIR-Fininvest » | p. 75 |
5.3. I mercati finanziari e l’Offerta pubblica di acquisto » | p. 83 |
6. Responsabilità civile e danni endo-familiari » | p. 89 |
6.1. Sulla privatizzazione del diritto di famiglia » | p. 89 |
6.2. Rapporto fra coniugi e diritti dei singoli » | p. 90 |
6.3. Genitori e figli » | p. 93 |
6.4. Diritti danni e comunità familiare » | p. 95 |
7. La responsabilità civile a protezione del mercato. Il risarcimento del danno | |
per violazione della normativa antitrust » | p. 96 |
PARTE TERZA
IL RIMEDIO RISARCITORIO
1. Il danno patrimoniale e le teorie sul danno ……………………………….» p. 103
1.1. Il danno come regolatore delle attività sociali ……………………………» p. 103
1.2. La nozione unitaria di danno e di risarcimento ……………………………» p. 103
1.3. Il danno fra tipicità e atipicità ……………………………………………..» p. 105
1.4. La teoria dualista del danno …………………………………………….....» p. 106
2. I criteri di risarcimento del danno patrimoniale. Inquadramento sistematico. I rimedi del risarcimento per equivalente ed in forma specifica | |
……………………………………………………………………………...» | p. 108 |
2.1. L’art. 1223 x.x., xx xxxxxxxxx xx xxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxxxxx del danno ……» | p. 112 |
2.2. Art. 1224 c.c., i danni nelle obbligazioni pecuniarie » | p. 114 |
2.3. Art. 1225 x.x., xx xxxxxxxxxxxxx xxx xxxxx » | x. 000 |
0.0. Art. 1226 c.c., il risarcimento secondo equità » | p. 120 |
2.5. Art. 1227 c.c., il concorso del fatto colposo del creditore » | p. 122 |
2.6. Art. 2056 c.c., II co., il risarcimento secondo equità del danno da lucro | |
cessante: il danno futuro ed il problema dei danni permanenti alla persona | |
……………………………………………………………………………...» | p. 123 |
2.7. Art. 2057 c.c., danni permanenti » | p. 125 |
3. Il danno non patrimoniale » | p. 126 |
3.1. L’evoluzione del danno non patrimoniale » | p. 127 |
3.1.1. Gli antecedenti » | p. 129 |
3.1.2. La rilettura costituzionale del danno risarcibile, Cass., 11 novembre 2008, | |
n. 26972 » | p. 130 |
3.1.3. Concetto e autonomia del danno esistenziale » | p. 131 |
3.2. La ricerca della tutela più efficiente » | p. 133 |
3.2.1. Il rilievo costituzionale dell’interesse » | p. 133 |
3.2.2. Illecito e danno. I limiti della teoria del concorso ed il danno non | |
patrimoniale da inadempimento » | p. 135 |
3.2.3. Integralità e duplicazione del danno » | p. 138 |
3.2.4. La prova e la domanda » | p. 139 |
3.2.5. La liquidazione del danno, il criterio tabellare » | p. 140 |
3.2.6. Il rapporto tra disciplina generale e di settore. Il Codice delle assicurazioni | |
private » | p. 144 |
3.2.7. Le ultime pronunce in materia di danno non patrimoniale » | p. 146 |
3.3. Danno non patrimoniale e diritti inviolabili nel tempo presente. Il ruolo | |
dell’interprete » | p. 149 |
PARTE PRIMA
LA RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE E I SUOI “CONFINI”
1. Le questioni aperte.
La responsabilità è oggetto di un’evoluzione che è in atto in tutti gli ordinamenti nazionali1, ma i tratti delle novità legislative e giurisprudenziali non sono affatto univoci.
Le questioni aperte sono essenzialmente due2. Il rapporto fra contratto e illecito3 e la delimitazione del danno risarcibile4. Iniziamo dalla prima.
Il sistema del codice separa il contratto e l’illecito (1173 c.c.), parla di responsabilità del debitore (1218 c.c.) e di fatti che cagionano un danno ingiusto5. Le obbligazioni derivano quindi dal contratto e dalla legge che fissa negli articoli 1218 e 2043 le condizioni per il sorgere di un obbligo di risarcimento in presenza di determinati fatti.
E’ ingiusto un fatto o un atto contra legem che lede diritti e interessi protetti o viola un dovere (art. 2043 c.c.) E’ obbligato a risarcire il danno chi non esegue esattamente la prestazione salva l’impossibilità non imputabile.
La distinzione, com’è noto, affonda le sue radici nella storia e impegna per lungo tempo l’interprete in un’opera di qualificazione di fattispecie dannose che si rinvia ora all’uno ora all’altro settore, in un contenzioso particolarmente serrato, anche, per il diverso vantaggio che il danneggiato può trarre dall’una o dall’altra disciplina.
Non manca però, di recente, più di un sintomo che rende tale separazione concettuale assai meno esplicativa e probante di quanto la tradizione insegna.
Entrambe le discipline, sono caratterizzate da una costante tendenza ad un ampliamento di tutela per la parte danneggiata attraverso una erosione dei caratteristici tratti distintivi che si era soliti assegnare alle due aree.
Le diversità , fra contratto e illecito, si giustificavano tradizionalmente, osservando il diverso fondamento delle regole di responsabilità che era individuato ora nella violazione del rapporto fra creditore e debitore (contratto) ora nella generalità del dovere di non ledere che incombe indistintamente su tutte le persone( illecito); ma la revisione di tali presupposti sono già da tempo acquisite al dibattito dottrinale e legittimano ampi rinvii a quanto diremo nel proseguo.
La giurisprudenza teorica e pratica ha esteso l’ambito della responsabilità aquiliana almeno in un triplice senso: a) si sono ricompresi entro questa area le lesioni di diritti di credito, degli interessi legittimi e di ogni altro interesse giuridicamente protetto; b) si è riconosciuta l’esistenza di una pluralità di criteri di imputazione oggettivi e indiretti oltre la sola colpa e il dolo; c) si è ampliata l’area del danno risarcibile.
Sul versante opposto l’opera di revisione dottrinaria è stata ancora più stratificata. Si è ripensato a fondo il criterio della colpa, valorizzando la oggettiva violazione del titolo da cui trae origine il
1 G. ALPA, Diritto della responsabilità civile, cit., p. 291: «Distribuzione dei rischi e allocazione dei costi sono esito di un processo culturale che…si apre a una prospettiva per così dire “sociale” o collettiva, fermo il fatto che preoccupazione del legislatore non è più (soltanto) quella di individuare il responsabile e di stabilire a quali condizioni questi è obbligato a riparare il danno, ma diventa (anche) quella di istituire criteri di riparazione dei rischi che consentano, al tempo stesso, di assicurare la più ampia tutela dei danneggiati e di distribuire le perdite nel mondo economico. Il problema del danno, nei suoi riflessi economici, diviene così un problema di carattere sociale, e si tende perciò a studiare il modo di contenere anche gli effetti indotti sul piano dei costi sopportati dalla collettività ».
0 X. X. XXXXXXXXXX, Xx xxxxxxxxxxxxxx xxxxxx xx Xxxxxx al passaggio del millennio, in Europa dir. priv., 2003, 1, p. 123 ss.; X. XXXXXXXX, L’illecito civile nella stagione europea delle riforme del diritto delle obbligazioni, in Xxx. xxx. xxx., 0000, 0, x. 000 xx.
0 L’osservazione delle normative nazionali in atto o in itinere e i testi volti alla uniformazione adottano un criterio selettivo che sfuma dall’ingiustizia del danno del nostro art. 2043, verso i «fatti dannosi anormali» dell’Avant-projet francese, l’«interesse protetto» dei Principles sino all’«opinione comune» del nuovo codice olandese. Ciò determina una spiccata atipicità del rimedio e un primo problema che è alle radici del modello culturale della responsabilità. Il rapporto fra contratto e illecito.
4 X. XXXXXXXX, L’illecito civile nella stagione europea delle riforme, cit., p. 444.
5 V. sin d’ora X.xx Xxxx, Profili della responsabilità civile, Torino, 2010, p.3 ss.
rapporto che lega le parti e si sono comprese ipotesi di responsabilità ove è assente un dovere di prestazione ( le ipotesi di contatto sociale).
Non è dubbio che in tal modo la rigida contrapposizione fra le due aree di responsabilità appare sempre più oscillante: da un lato si tende ad assegnare sempre maggiore tutela ad interessi diversi da situazione assolute, dall’altro si include nell’area della responsabilità contrattuale ipotesi di responsabilità (da contatto sociale) di incerta qualificazione.
Tutto ciò richiede un’ attenta verifica e una riprova si ha nel diritto europeo in formazione ove fra i nodi essenziali del processo di uniformazione del diritto privato, l’attenzione è rivolta proprio al rapporto tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Un attento studioso nel porre l’esigenza, sacrosanta, di sottrarre dal chiuso delle burocrazie le scelte fondamentali di un futuro diritto comune in Europa enumera le domande su cui si dovrebbe incentrare l’attenzione dell’intera comunità scientifica e delle istituzioni politiche.
La prima di un lungo elenco di cinquanta è la seguente.
Se i « rapporti contrattuali (debbano essere trattati) esclusivamente con la responsabilità contrattuale o (debbano) essere permesse delle forme concorrenti di responsabilità (contrattuale, extracontrattuale, restitutoria) » 6.
Per procedere con la necessaria concretezza sarà seguita nel proseguo una precisa scelta di metodo. Saranno prima esaminati i presupposti della responsabilità contrattuale e extracontrattuale nella loro evoluzione. Si esamineranno poi i casi giurisprudenziali più rilevanti: dalle forme di violazione del contratto, alla responsabilità precontrattuale, dalla responsabilità endo-familiare alla tutela aquiliana della libertà contrattuale (il caso CIR –Xxxxxxxxx), sino alle ipotesi di responsabilità da contatto sociale.
2. La responsabilità contrattuale dalla codificazione agli anni ’70.
La disciplina positiva 7 ha oscillato nel tempo fra una valutazione oggettiva o soggettiva (basata sulla colpa) dell’inadempimento del contratto8 e su tale aspetto occorre fare un minimo di chiarezza. L’idea che la responsabilità abbia fondamento nella colpa ha radici chiare nel diritto comune9 e, nonostante le oscillazioni di Pothier10, è recepita poi nel Code civil e nel codice civile italiano del
6 X. XXXXXXXXX, La dimensione politica di un codice civile europeo, in Riv. crit. dir. priv., 2006, 3, 409-410. Che ciò abbia attinenza con una funzione deterrente delle regole di responsabilità risulta da diversi dati. Basta ricordare che l’azione collettiva risarcitoria disciplinata dal nuovo art. 140-bis del codice di consumo, si estende a tutti gli atti illeciti aquiliani o commessi nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti stipulati ai sensi dell’art. 1342 c.c. o in conseguenza di pratiche commerciali scorrette.
7 Sul punto le osservazioni contenute nella Presentazione di X. XXXXXXXX al volume di X. XXXXXXXXX, La responsabilità contrattuale, Napoli, 1979, p. XVI-XVII; ma ora anche C.-X. XXXXXXX, La riforma del diritto tedesco delle obbligazioni, cit., p. 23 il quale nell’osservare che la riforma tedesca “è in linea con l’evoluzione giuridica internazionale, quale si manifesta in particolare nella disciplina della Convenzione di Vienna sulla compravendita internazionale di beni mobili, nei Principi Unidroit e nei Principi di diritto europeo dei contratti elaborati dalla Commissione Lando,” osserva che “essa, inoltre risponde ai precetti di vincolatività del contratto e di giustizia contrattuale: chi non è pronto ad eseguire la prestazione cui è tenuto, o comunque non è in condizione di provvedervi, non può infatti attendersi che l’altra parte rimanga vincolata al contratto (divenuto per lei incomodo o addirittura privo di valore), ma deve farsi carico del rischio di uno scioglimento del contratto.”
8 Così X. XXXXXXXX, op. cit., p. XVI.
9 I. BIROCCHI e X. XXXXXXXX, voce Responsabilità contrattuale (dir. intern.), in Enc. dir., XXXIX, Milano,1988, p. 1064 ss.
10 XXXXXXX, Traité des obligations, I, cap. II, art. 1, § 1, n. 142, in Oeuvres complètes, I, Paris, 1821, p. 121-125. Si veda la diversa opinione espressa da XXXXXXX, Dai giuristi ai codici, dai codici ai giuristi: Le regole sulla responsabilità contrattuale da Xxxxxxx al codice civile italiano del 1942, in Legge, giudici, giuristi (Atti del Convegno di Cagliari 18-21 maggio 1981), Milano, 1982, p. 232 e in Riv. trim. dir. proc. civ., 1981, p. 995, e da I. BIROCCHI e U. PERONIO, op. ult. cit., p. 1068 che ravvisano la radice dell’art. 1147 del Code civil proprio in Xxxxxxx.
1865. Il codice austriaco segue tale tendenza anche se, attraverso un sottile gioco di presunzioni, la responsabilità per colpa si avvicina ad una forma di responsabilità oggettiva11.I segni dei tempi 12 influirono sulla codificazione italiana del 1942 e indussero a preferire una connotazione oggettiva dell’inadempimento, più idonea alla sicurezza del traffico, minacciata dalla instabilità della moneta e dall’economia di guerra13.
L’art 1218 c.c. dispone così che il debitore, il quale non esegue esattamente la prestazione dovuta, è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento e il ritardo è stato determinato da un’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
La formulazione oggettiva della regola è evidente.
Il debitore può liberarsi dall’obbligo assunto provando di aver adempiuto esattamente o dimostrando che vi è stata un’impossibilità di adempiere. Ne segue che sino a che la prestazione è possibile l’adempimento è sempre dovuto.
D’altra parte non si è mai sopita una tensione esegetica più attenta al comportamento dell’obbligato e alla sua diligenza14 nella dottrina anteriore e coeva alla nuova codificazione15.
11 I. BIROCCHI e X. XXXXXXXX, voce Responsabilità contrattuale, (dir. interm.), cit., p. 1063 ss. in particolare pp. 1065- 1067;
12 OSTI, Revisione critica della teoria sulla impossibilità della prestazione, in Riv. dir. civ., 1918, p. 222 e per una analitica e lucida ricostruzione storica e sistematica della giurisprudenza teorica e pratica sotto il codice abrogato e sotto il nuovo codice, X. XX XXXXXXX, Classificazioni dogmatiche e regole operazionali in tema di responsabilità contrattuale, Milano, 1981, p. 11 ss.; X. XXXXXXXXX, La responsabilità contrattuale, Napoli, 1979, p. 3 ss.
13 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. XVI.
14 L’analisi può partire dalle opere classiche di CHIRONI, La colpa nel diritto civile odierno. Colpa contrattuale, Torino, 1897, p. 685 ss.; GIORNI, Teoria generale delle obbligazioni nel diritto moderno, Firenze, 1903, p. 11 ss.; X. XXXXXXXX, Del caso fortuito in rapporto alla estinzione delle obbligazioni, Lanciano, 1895, p. 55 ss.; sino al bel libro di X. XXXXXXXXXX, L’inadempimento (corso di diritto civile), Milano, 1975, p. 196.
15 Rispetto agli artt. 1224, 1225, 1226 del codice del 1865 il mutamento apportato dall’art. 1218 è notevolissimo e può essere compresa la ragione esaminando le diverse opinioni espresse in quel tempo dalla dottrina.
a) Xxxxxx00 adotta una tesi rigorosamente soggettiva. Da un lato, si assegna prevalenza alla considerazione della diligenza cui il debitore è tenuto rispetto a quella delle circostanze che gli impediscono l’adempimento. Dall’altro, si riduce, in ogni caso, la rilevanza di quegli avvenimenti al metro della diligenza cui il debitore è in concreto tenuto. Il caso fortuito in questa costruzione è ciò che non può essere evitato con l’ordinaria diligenza. Unica eccezione si ha, per questo autore, nelle obbligazioni generiche perché il genus numquam perit. Tale eccezione però apre una falla larghissima nella tesi soggettiva, la quale varrebbe solo quando l’oggetto della prestazione è costituito da una cosa certa e determinata, la quale viene distrutta o danneggiata da un avvenimento a cui il debitore non avrebbe potuto sottrarla malgrado l’uso della diligenza cui era in concreto tenuto.
L’eccezione mette poi a nudo il vizio di origine di tale tesi.
Non si è tenuto conto che il concetto di impossibilità sopravvenuta, introdotto nella teorica della responsabilità del debitore dalla dottrina del secolo XIX, costituisce sostanzialmente la generalizzazione del concetto di “perimento della cosa” (interitus rei). Tale teoria si spiega con la prevalenza, nella economia meno recente, di rapporti obbligatori imperniati su cose specifiche. Prevalenza che comincia a mostrare le sue carenze con l’allargarsi della sfera dei rapporti obbligatori aventi per effetto cose generiche e obblighi di prestazione (l’espandersi delle industrie, i primi scioperi, e così via), che inducono taluno a tentare di sostituire al caso fortuito la colpa15.
b) Altri15 tenta di attenuare la tesi soggettiva argomentando dall’art. 1225 del codice del 1865 (cause estranee). Il debitore sarebbe liberato solo quando l’evento che gli ha impedito di adempiere sia estraneo alla sua persona o alla sua azienda. Cosicché si risponderebbe oltre i limiti della disciplina quando l’impedimento trova la sua causa proprio nella sua persona o nella sua azienda. Questa ricostruzione tenta anche di attenuare il principio genus numquam perit, ammettendo la liberazione del debitore quando, pur esistendo la cosa in natura, non è in grado di consegnarla al creditore per un impedimento di carattere generale. In tal modo si lascia fuori una serie di casi meritevoli di considerazioni e l’esempio cui si fa più ricorso è sempre lo sciopero.
c) Xxxx00 propone di risolvere il problema, in uno studio del 1918, con una tesi rigorosamente oggettiva. Il debitore può pretendere di essere liberato solo quando la prestazione è divenuta oggettivamente ed assolutamente impossibile per causa a lui non imputabile. L’autore si xxxxxx di dimostrare: da un lato, che l’art. 1224 nel sancire la diligenza era diretto a regolare solo l’esattezza e non già l’inadempimento; e dall’altro che il caso fortuito, le cause estranee e la forza maggiore (artt. 1225 e 1226) andavano intesi in senso oggettivo.
La tesi è stata accolta senza attenuazioni dal codice vigente.
a a a
Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, autore di un limpido volume ancora attuale, 16 muove la sua analisi da un robusta indagine storica e da un esame delle esperienze straniere. Per controllare se la formula legislativa si adatti a qualsiasi tipo di prestazione muove dalla varietà del possibile contenuto dell prestazione, ricordando che la impostazione prevalente e tradizionale, sulla scia del filone romanistico, teneva conto quasi esclusivamente delle obbligazioni di consegnare una cosa certa e determinata.
La prestazione indica, invece, il comportamento cui il debitore è tenuto al fine di soddisfare l’interesse del creditore e nell’ambito di essa è possibile scorgere una notevole diversità di situazioni.
1) La consegna – Il creditore può avere la cosa con l’esecuzione forzata e assume prevalenza l’aspettativa verso la res, rispetto a quella formale del diritto al comportamento; analoga è la considerazione sul comportamento volto a trasferire una cosa certa e determinata.
2) Il trasferimento di cose generiche – Non c’è adempimento in forma specifica e quindi occorre tener conto anche del comportamento. Con un’eccezione: l’obbligazione pecuniaria, ove l’esecuzione forzata fa raggiungere al creditore l’oggetto della prestazione.
Occorre ancora distinguere.
a) Se il debitore si obbliga a trasferisce una quantità di merci che egli dovrà procurarsi, occorrerà esaminare se ancora esiste il genus da cui doveva essere tratta la cosa dovuta. Sicché può essere rilevante la ricerca delle ragioni che hanno provocato il perimento.
b) Xxx le cose che il debitore deve ancora fabbricare occorre tenere in conto anche gli impedimenti incontrati in quella sua attività.
c) Obbligazioni in cui il comportamento prende decisamente il sopravvento rispetto alla cosa, come nell’appalto.
d) Il comportamento che non ha alcun riferimento a una cosa, come ad esempio il mandato o le prestazioni professionali.
Xxxxxxxxxx è scettico rispetto alla distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato per una ragione chiarissima: un comportamento del debitore è sempre un’obbligazione, mentre un risultato è sempre necessario. Varia però è la proporzione dei due elementi, perché vi sono rapporti in cui il comportamento prevale rispetto al risultato o viceversa. È la diversità del rapporto tra i due aspetti ad avere una grande rilevanza nella soluzione del problema della responsabilità.
La conclusione è netta.
L’art. 1218 c.c. prevede un’ipotesi di responsabilità oggettiva, ma si limita a disciplinare una sola ipotesi, quella in cui la prestazione è divenuta impossibile. Vi sono altre ipotesi in cui, pur permanendo la possibilità il debitore inadempiente, non può essere considerato responsabile. Da qui la conseguenza. La norma sconta l’equivoco di elevare l’impossibilità o la sopravvenienza a metro uniforme della responsabilità del debitore. Non si è tenuto conto che la sopravvenienza nel suo terreno originario aveva legittimamente il ruolo di presupposto di responsabilità, solo perché questa sorgeva precisamente quando si fosse verificata la perdita della res. La norma secondo Xxxxxxxxxx rappresenta l’annullamento dello sforzo millenario compiuto dalla dottrina per creare un metro
L’art. 1218 c.c. è interpretato in confronto con l’art. 1256 c.c., mentre all’art. 1176 si attribuisce rilievo in due ipotesi: nel precisare il concetto di imputabilità o meno dell’impossibilità sopravvenuta e nel risolvere il problema dell’esattezza dell’adempimento.
Al contrario, se la prestazione è possibile il debitore è sempre responsabile.
Unica eccezione si può avere quando l’adempimento metterebbe in conflitto il diritto del creditore con i diritti fondamentali della persona. In tali casi il debitore non sarebbe tenuto ad adempiere.
d) Alcuni autori15 attenuano la concezione oggettiva con alcuni correttivi. L’impossibilità deve essere assoluta, ma con riferimento al tipo di obbligazione di cui si tratta e al tipico impegno di cooperazione che esso richiede. Il limite quindi non è la possibilità né la diligenza del buon padre di famiglia, ma l’impegno che il tipo di obbligazione richiede. Per fondare tale concetto meno rigoroso di impossibilità Xxxxx argomenta dall’art. 1257, ma è dubbio che questa norma serva allo scopo.
16 XXXXXXXXXX, L’inadempimento, op. loc. cit.
soggettivo nella responsabilità del debitore. Il nuovo codice, secondo il suo pensiero, ha operato una commistione tra due serie di norme del codice abrogato le quali regolavano due distinte situazioni. Da un lato l’art. 1298 c.c. dall’altro gli articoli 1225 e 1226.
Da qui la proposta di una interpretazione correttiva dell’art. 1218; il quale, si osserva, va posto in relazione con gli articoli 1256 e 1463 c.c.
L’art. 1256 c.c. fissa il principio che l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, quando non dipenda da causa imputabile, libera il debitore ed estingue l’obbligazione. Ed è evidente che una impossibilità che produce l’estinzione dell’obbligazione non può che essere assoluta e obbiettiva.
D’altra parte l’art. 1218 c.c. contiene un solo modo con cui l’inadempimento si manifesta: quello costituito dalla impossibilità sopravvenuta della prestazione.
Occorre dunque diversificare le ipotesi di inadempimento.
a) Vi sono delle ipotesi in cui la impossibilità del debitore per inadempimento nasce quasi esclusivamente in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione. Sono i casi di obbligazione di trasferire o consegnare una cosa determinata. Esistono norme speciali che ripetono il contenuto dell’art. 1218 e norme che, pur riferendosi a tale norma, aggravano la posizione del debitore imponendogli la prova dello specifico avvenimento che ha reso impossibile la prestazione. Si pensi ai seguenti articoli: 1693 trasporto, 1784 albergatore, 1787 magazzini generali; 422 trasporto marittimo, 951 trasporto aereo, 1681 trasporto terrestre. A ben vedere il sistema fondato nell’art. 1218 riesce solo a regolare l’obbligo del debitore di impedire la sopravvenuta impossibilità della prestazione.
b) In altri casi, l’inadempimento si manifesta in una inazione del debitore o in una azione non idonea a soddisfare integralmente l’interesse del creditore. In queste ipotesi, la regolamentazione dell’inadempimento viene data attraverso l’indicazione dello sforzo che il debitore è tenuto a compiere. Come nell’art. 1218 è sancita la regola intesa a disciplinare l’obbligo di conservare la possibilità dell’adempimento, anche l’obbligo di soddisfare gli altri interessi del creditore diversi dalla conservazione della possibilità è disciplinato attraverso l’imposizione di una regola di condotta ( art. 1175 e 1176 c.c.)
c) Vi sono norme nelle quali la legge impone esplicitamente l’uso di una certa diligenza prevista in astratto o in concreto, come nel caso del mandato della gestione d’affari o del trasporto di persone.
La dottrina successiva approfondisce e conferma tale impostazione.
3. L’interpretazione dell’art. 1218 nella dottrina e giurisprudenza attuale.
Si ribadisce che il criterio di imputazione è da sempre discusso in dottrina, divisa fra la priorità della colpa e forme di responsabilità oggettiva, e si reputa un metodo puramente esegetico inadeguato. La lettera degli articoli 1218, 1176, 1375 non porta ad risultato semplice e univoco ed è inopportuna “ la ricerca di un criterio riassuntivo e unitario di responsabilità dove la varietà delle programmazioni e finalità contrattuali suggerisce l’idea che il criterio debba essere in qualche misura articolato”17
Lo stesso codice civile nelle discipline di settore tiene conto degli interessi delle parti, della finalità del contratto e dell’efficienza economica della disciplina legale.
E’ sufficiente qui un elenco delle disposizioni più significative.
L’art. 1474 e gli obblighi del venditore; 1477 e la consegna della cosa nello stato in cui si trova al momento della vendita; 1478 sulla vendita di cosa altrui; 1480 e la garanzia per evizione; 1490 e
17 X. Xxxxxxxxx, , in Riv. dir.civ. 2008, 3, p. 341 ss. Id., Il contratto: inadempimento e rimedi, Milano, Xxxxxxx, 2010
la garanzia per i vizi della cosa alienata; 1578 sui vizi della cosa locata; 1618 sull’affitto dei cosa produttiva; 1668 e 1673 sull’appalto; 1681 e 1693 sul contratto di trasporto; 1710 sul mandato;
1768, 1785 e 1787 sul deposito; 1804 sul comodato; 1821 sul mutuo; 1836 sul deposito bancario; 1839 sulle cassette di sicurezza; 1915 sul contratto di assicurazione; 2104 sul rapporto di lavoro; 2236 sulla prestazione d’opera.
D’altra parte non si può trascurare che “ con il contratto ciascuna parte può assicurarsi l’impegno dell’altra ad operare per farle conseguire un bene o renderle un servizio” ed entrambe possono distribuire fra loro i risultati delle difficoltà e degli imprevisti che possono turbare l’equilibrio negoziale”. Questi due aspetti “ cooperazione della controparte e ripartizione dei rischi” si presentano e si combinano in diversa misura nei diversi tipi di contratto” a seconda che si dia maggior peso al comportamento richiesto, al risultato da raggiungere, alla garanzia prestata da una parte.
Gli articoli 1218 e 1176 non possono essere intesi come disposizioni che esprimono i principi diversi della colpa o dell’impossibilità oggettiva ma appartengono a momenti diversi del giudizio di responsabilità e operano diversamente a seconda del tipo di rapporto che si instaura con il contratto.
a) La diligenza (1176) appartiene alla determinazione del comportamento dovuto e non esclude che le parti stabiliscano contrattualmente l’adozione di particolari misure di condotta. Si dovrà pertanto ciò che esse hanno stabilito nel contratto (1362 1366).
b) Una volta determinato il comportamento dovuto se esso è mancato si applica l’art. 1218 in base al quale il debitore non è liberato se non dalla impossibilità della prestazione.
E’ sufficiente una breve esemplificazione.
1) l’obbligo di pagare una somma di denaro.
La mancanza di mezzi finanziari non esonera perché il rischio grava sempre sul debitore, salvo ipotesi eccezionali. “ il rischio delle conseguenze dannose di queste crisi di liquidità è posto a carico del debitore in correlazione con la sua libertà di organizzazione finanziaria della propria attività”.
2) La consegna di una cosa determinata solo nel genere.
L’art.1178 detta una regola e il debitore non è liberato da un’impossibilità oggettiva ma solo nel caso di impossibilità sopravvenuta (1218).
3) Il trasferimento della proprietà.
La legge distingue e disciplina le diverse ipotesi della vendita di cosa altrui (1478-1479), della garanzia per evizione (1481) e la garanzia per vizi (1489- 1497).
4) Le obbligazioni di fare.
a) se riguardano una prestazione da eseguire mediante un organizzazione di uomini e mezzi come l’appalto la legge pone a carico dell’appaltatore “il rischio che l’attività non dia il risultato promesso o lo dia ad un costo più alto del previsto”. “ se il risultato promesso è possibile e non è raggiunto l’appaltatore non ha diritto al corrispettivo o deve sopportare il maggior costo. Se il risultato promesso è possibile l’appaltatore deve dimostrare l’impossibilità non imputabile.
b) Se la prestazione riguarda un fare infungibile come una prestazione artistica o professionale vale come regola di responsabilità il concetto di colpa oggettiva “ il debitore deve garantire perizia e diligenza non inferiori alla media o al superiore livello che si debba ritenere convenuto”
c) Le obbligazioni di custodia.
Significativa negli anni settanta del secolo scorso è stata una vicenda giurisprudenziale che ha indotto la giurisprudenza di merito e di legittimità, assieme alla migliore dottrina, a confrontarsi con il tema dell’inadempimento e della colpa in un caso singolare. Si trattava della perdita, in occasione dell’alluvione di Firenze del 1966, di una preziosa collezione di francobolli custodita nel caveau di una Banca. Il Tribunale giudicò l’evento straordinario per la sua incidenza sull’obbligazione contrattuale, ma ritenne che i rischi di allagamento dei locali erano prevedibili ed evitabili con
mezzi tecnici sicuri, quali ad esempio quelli impiegati nelle costruzioni navali. La Corte di Appello stabilì, invece, che il caso aveva tutte le caratteristiche del caso fortuito, considerando tale non solo l’accadimento che appare impossibile, ma anche quello che è estremamente improbabile, del tutto abnorme o anormale. Fu esclusa, dunque, la responsabilità della Banca sulla base di una riflessione sulla prevedibilità ed evitabilità dell’evento. In base al primo requisito, si osservò, la modalità ed efficienza tecnica dell’attività professionale accrescono l’area dell’obbligo di previsione e quindi il numero degli eventi prevedibili. Ma l’analisi sulla evitabilità è in tal caso decisiva. La Banca avrebbe dovuto predisporre locali per il deposito nelle cassette di sicurezza a tenuta stagna, ma si esclude che essa fosse tenuta ad avvalersi degli accorgimenti di indole tecnica richiesti per altri settori di attività, come le costruzioni navali. Si osservò, insomma, che seppur l’art. 1839 c.c. deve intendersi come un aggravamento della responsabilità non si può, dalla raggiunta perfezione tecnica dell’attività professionale esercitata in determinato settore, trarre la conseguenza che il debitore possa e debba conoscere ed utilizzare le tecniche di ogni altro settore dell’attività umana18.
La conclusione è dunque evidente.
a) “ Il criterio di imputazione non può riassumersi nel concetto di colpa o invece in quello di responsabilità oggettiva, ma si articola variamente in relazione alla natura e alla finalità dei diversi tipi di contratto e in relazione ai diversi aspetti della prestazione dovuta”19 in base al titolo contrattuale.
b) Centrale nella valutazione dell’interprete è l’analisi sulla prevedibilità ed evitabilità dell’evento, esaminato in relazione alla nozione di impossibilità sopravvenuta, caso fortuito o forza maggiore ricavabili dalle circostanze del caso e dal titolo negoziale da cui deriva l’obbligo.
Si ricorda a tal fine che la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di merci prevede all’art. 25 quanto segue: “una inosservanza del contratto commessa da una delle parti è essenziale quando causa all’altra un pregiudizio tale da privarla sostanzialmente di ciò che questa era in diritto di attendersi dal contratto, a meno che la parte in difetto non abbia previsto un tale risultato e che una persona ragionevole, di medesima qualità, posta nella medesima situazione non avrebbe anche essa potuto prevederlo”.
Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili
L. 11 dicembre 1985, n. 765
Traduzione italiana non ufficiale della Convenzione in Giorgio DE NOVA, Codice civile e Leggi collegate, Milano, 2003 predisposta con alcune varianti da X. XXXXXX, con la collaborazione di X. XXXXXX, X. DE CUPIS, X. XXXXXXX, in appendice a BIANCA e XXXXXX, Commentary on the Interntional Sales Law; Xxxxxxx, 1987.
Art. 25
18 Così X. XXXXXXXX, In tema di responsabilità della banca nel servizio delle cassette di sicurezza, in Giur. Xxxxxx, 1970, p. 267 ss.
19 X. Xxxxxxxxx, Il contratto: inadempimento e rimedi, cit. p.
Un inadempimento del contratto commesso da una delle parti è essenziale quando causa all’altra parte un pregiudizio tale da privarla sostanzialmente di ciò che essa aveva diritto di aspettarsi dal contratto, a meno che la parte inadempiente non abbia previsto tale risultato, e che neanche una persona ragionevole della stessa qualità nelle stesse circostanze avrebbe potuto prevederlo.
Fonti persuasive
Principles, Definition and Model Rules of European Private Law, DCFR outline Edition, 2009
III. – 3: 502 Termination for fundamental non-performance
(1) A creditor may terminate if the debtor’s non performance of a contractual obligation is fundamental
(2) a non – performance of a contractual obligation is fundamental if:
a) It substantially deprives the creditor of what the creditor was entitled to expect under the contract, as applied to the whole or relevant part of the performance, unless at the time of conclusion of the contract the debtor did not foresee and could not reasonably be expected to have foreste that result; or
b) It is intentional or reckless and gives the creditor reason to believe that the debtor’s future performance cannot be relied on.
4. Inadempimento e colpa in Italia e negli ordinamenti europei
L’attenuarsi del ruolo della colpa e la centralità dell’inadempimento (come presupposto dei rimedi) è una costante nelle fonti europee. La Convenzione di Vienna20 e la Direttiva sulla vendita dei beni di consumo, la riforma del BGB e l’elaborazione della dottrina in Francia e in Italia, si uniscono alla continuità espressa, sul punto, dal common law21.
Le due tendenze, soggettiva e oggettiva, non riflettono, in ogni caso, scelte diverse di giustizia distributiva ed è semplicistico dire che l’una (l’oggettivazione) rispecchia la logica del sistema capitalistico e l’altra (la diligenza) ha un più accentuato contenuto morale22. Vi sono ragioni più profonde della tendenza in atto, evidenti più o meno in ogni ordinamento.
“In Francia sembra acquisita la consapevolezza dei presupposti oggettivi della responsabilità, dalla quale il debitore è esonerato se prova la cause etrangére; nella common law la colpa non ha mai giocato alcun ruolo in materia contrattuale23”. La convenzione di Vienna prevede la esclusione di responsabilità per impedimento obbiettivo. I principi Unidroit e i PECL hanno adottato una soluzione simile, secondo la quale il debitore non risponde dell’inadempimento se prova che esso è dovuto a un impedimento che supera la propria sfera di controllo e del quale non ci si poteva aspettare che egli tenesse conto al momento della conclusione del contratto né che dovesse evitare o superare l’impedimento o le sue conseguenze.
Tali acquisizioni sono omogenee con la posizione di una parte significativa della dottrina italiana che ha sollecitato una precisa riflessione.
20 V. sul punto X. XXXXX, The European Principles in an integrated World, in European Review of contract Law, 2005, 1, p. 3 ss., in part. pp.11-13; X. XXXXXXXXX, Germany and the Schuldrechtsmodernisierung, 2002, ivi, p. 132 ss.
21 V. da ultimo X. XXXXX, Concordanze e contraddizioni in tema di inadempimento contrattuale (una veduta d’insieme), cit., p. 131 ss.; X. XXXXXXXX, Trattato della Responsabilità civile, a cura di X. XXXXXXXX, L’illecito, Milano, 2004, p. 1087 ss.; e X. XXXXXXXXX, Trattato breve della responsabilità civile, 3ª ed., Padova, 2005, p. 54 ss.
22 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. XVI.
23 X. XXXXXXXXXX-X. XXXXXXX: dalla dogmatica alla coscienza del metodo, in Jus, 2002, p. 74; ID., Principi di diritto europeo dei contratti, ed. it., a cura di X. Xxxxxxxxxx, Milano 2001, sub art. 8, par. 432.
“Quando esiste un rapporto e si tratta di liberarsene non è la prova della mancanza di colpa che può bastare a tal fine, perché questo presupporrebbe l’attribuzione alla colpa della funzione di fondamento della responsabilità, la quale invece quando nasce dall’inadempimento non è altro che la trasfigurazione del rapporto preesistente”24. La colpa casomai può essere fondamento della responsabilità quando non preesiste un rapporto ma, in caso contrario, è la forza e il contenuto del titolo che fonda la misura della responsabilità25.
Questa conclusione sembra coerente con la sentenza della Corte di Cassazione italiana che, a Sezioni Unite, ha elaborato un principio di diritto che si è poi consolidato26.
L’adempimento, risoluzione e risarcimento sono intrinseci al rapporto obbligatorio che ha struttura complessa. Con il contratto sorge il diritto alla prestazione che contiene il diritto alla risoluzione e al risarcimento27. Non è l’inadempimento il fatto costitutivo della domanda ma l’adempimento fatto estintivo dei diritti già sorti. Sicché, come vedremo, deve essere il debitore a provare di aver adempiuto28.
In sintesi, la colpa non può che assumere un ruolo diverso nella responsabilità contrattuale (rispetto alla extracontrattuale), perché essa non è il fondamento della responsabilità ma è espressione del contratto.
Non si atteggia in astratto come imperizia o negligenza; bensì come inosservanza del comportamento dovuto in forza del concreto rapporto risultante dalla sua fonte29.
5. L’imputabilità dell’inadempimento nella giurisprudenza italiana
Il problema se l’inadempimento debba essere imputabile è controverso in dottrina e giurisprudenza e si risolve nel quesito se il contraente leso debba provare, oltre all’inadempimento, anche la colpa.
La necessaria imputabilità è sostenuta con sicurezza da coloro che privilegiano una concezione sanzionatoria della risoluzione. Chi adotta una diversa giustificazione contesta tale costruzione30 e le diverse teorie sfociano in una differente idea dell’istituto.
Da un lato, l’imputabilità sarebbe il punto di discrimine fra due forme di responsabilità. Una decritta dall’art. 1463 c.c. che valorizza la impossibilità sopravvenuta della prestazione. L’altra appunto che richiede, ai sensi dell’art. 1453 c.c., l’inadempimento imputabile31. Complessità questa che non escluderebbe una serie di regole ispirate pur sempre al principio della colpa32.
24 X. XXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 74.
25 X. XXXXXXX, voce Responsabilità contrattuale, in Enc. dir., vol. XXXIX, Milano, 1988, p. 1091 ss.
26 X. Xxxx., Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533, commentata da X. XXXXXXXXX, Inadempimento e onere della prova, in
I contratti, 2002, p. 118; X. XXXXXXXXX, in Corr. Xxxx., 2001, p. 1569; X. XXXXXXXXX, in Contr. impr., 2002, p. 318.
27 Cass., 28 gennaio 2002, n. 982, in Foro it. On line.
28 V. già in tal senso X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 794.
29 Così X. XXXXXXX, voce Responsabilità contrattuale, in Enc. dir., cit., p. 1091 ss.
30 XXXXX, La risoluzione del contratto per inadempimento, Napoli, 1950, p. 20; X. XXXXXXXXXX, L’inadempimento, Milano, 1975, p. 312; X. XXXXXXXXXXXX, Contratti in generale, in Comm. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 269 ss.; X. XXXXXXXXX, Inadempimento e mora del creditore, in Commentario a cura di X. Xxxxxxxxxx, Milano 1987, p. 393 ss.; X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, Milano, 2000, p. 48 ss.
31 C.M. XXXXXX, La responsabilità, Milano, 1994, p. 278; X. XXXXX, Teoria generale delle obbligazioni, cit., p. 131; X. XXXXXXX, La risoluzione parziale, Napoli, 1990, p. 228.
32 X. XXXXXXXX in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento, I, in Commentario Scialoja e Branca, cit., p. 19 ss.
Dall’altro, il fondamento del rimedio non dovrebbe essere ricercato nella colpa, ma nell’interesse del creditore o in altro presupposto oggettivo33.
Non manca chi svaluta l’importanza pratica della disputa, notando che un inadempimento non imputabile troverebbe una conseguenza o nell’art. 1453 c.c. o nell’art. 1463 c.c.34. Altri invece ribadisce l’importanza della qualificazione non essendo affatto indifferente la scelta fra le due azioni, quantomeno per il profilo della tempestività della domanda che non potrebbe essere mutata nel corso dello stesso giudizio.
Anche tale quesito può trovare risposta se si riflette sul ruolo della colpa nella cultura giuridica europea e sul recente orientamento sull’onere della prova in Italia.
La verità, come si è accennato, è che la colpa non può che assumere un ruolo diverso nella responsabilità contrattuale (rispetto alla extracontrattuale), perché essa non è il fondamento della responsabilità; ma è espressione del contratto e si atteggia come inosservanza del comportamento dovuto.
Se si tiene conto di ciò, ogni consapevolezza sul punto non può che trarne le conseguenze. Come accade in molti ordinamenti europei e nei testi dei Principi.
È bene ricordare, però, che la giurisprudenza italiana prevalente è orientata, con alcune sfumature, per la necessaria imputabilità dell’inadempimento, ma le formule usate nelle motivazioni sono per lo più di stile e le soluzioni sono molto articolate.
Alcune sentenze si limitano a distinguere fra inadempimento colposo, che dà luogo a risoluzione, e imputabilità, che dà luogo alla risoluzione ai sensi dell’art. 1463. In tal modo si osserva che il contraente non adempiente non ha motivo per sostenere l’efficacia del contratto. Altre pronunzie parlano di una rilevanza dell’incolpevolezza, come arma di difesa del contraente inadempiente. Spesso il problema della colpa si trasforma in quello dell’esistenza o meno di cause di giustificazione del debitore, cioè dell’inesigibilità della prestazione, perché è mancata la necessaria cooperazione (cambio di indirizzo), oppure si è reso difficile l’adempimento impedendo di riparare al difettoso adempimento, o ancora il creditore ha tollerato la condotta del debitore.
Decisivo è comunque l’orientamento consolidato della Cassazione in tema di onere della prova, che semplifica la fattispecie e allinea la giurisprudenza alle tendenze più consapevoli del passato e più condivise oggi in Europa35.
Nelle pronunzie più recenti36 si osserva che l’inadempimento, la risoluzione e il risarcimento sono intrinseci al rapporto obbligatorio che ha struttura complessa. Sicché con il contratto sorge il diritto alla prestazione che contiene il diritto alla risoluzione e al risarcimento. Ne segue che i rimedi, come già la dottrina del secolo scorso aveva chiarito, “non nascono in seguito a violazione dell’obbligo ma sorgono assieme alla obbligazione37.
La costruzione è del tutto convincente ed occorre esaminarla da vicino.
33 V. Da ultimo per una prospettiva d’insieme X. XXXXXXXX, voce Risoluzione del contratto per inadempimento, in Enc. Dir., Milano, 1989, p. 1316 ss.; X. XXXXXXXXX, Trattato breve della responsabilità civile, op. loc. cit.
34 X. XXXXX, op. loc. ult. cit.
35 X. Xxxx., 00 gennaio 2002, n. 982, in Foro it. On-line.
36 V. sul tema X. XXXXXXXXX, Principi di diritto processuale civile, cit., p. 794, e da ultimo A. SEGRETO, La ripartizione della prova in tema di risoluzione per inadempimento, in Giust. Civ., 2000, II, p. 175 ss.
37 CHIOVENDA, Principi, cit., p. 794. e sul punto A. SEGRETO, La ripartizione della prova in tema di risoluzione per inadempimento, cit., p. 175 ss.
6. L’onere della prova
Il caso che dà origine alla pronunzia delle Sezioni Unite concerne un obbligo di insonorizzare una parete divisoria fra un appartamento, destinato ad abitazione e un locale adibito a Scuola di ballo. In presenza dell’inadempimento il Tribunale e la Corte di Appello si erano pronunziati in modo diverso. Il primo aveva condannato la scuola fondando la sua decisone sulla carenza di prova dell’adempimento. La seconda aveva riformato la sentenza proprio ritenendo errato tale reparto giacché, si sostenne, doveva gravare sull’attore, in presenza di una contestazione della controparte, l’onere di dimostrare il mancato adempimento.
La sentenza delle Sezioni Unite n. 13533/2001 prende atto di una diversità di posizioni nella dottrina e nella stessa giurisprudenza di legittimità.
Un primo orientamento, maggioritario, riteneva dovesse sussistere un regime probatorio diverso in caso di adempimento, di risoluzione e di risarcimento. In caso di adempimento si reputava sufficiente la prova da parte dell’attore del titolo, perché tale fatto è il solo fatto costitutivo della pretesa. Nella risoluzione e nel risarcimento, si era osservato, sono invece due gli elementi, il contratto e l’inadempimento, sicché l’attore doveva provare l’uno e l’altro.
Un secondo orientamento, minoritario, riconduceva ad unità il regime probatorio da applicare a tutte le azioni previste dall’art. 1453, sia perché dall’art. 2697 c.c. si trae un principio di persistenza del diritto che fa gravare sul debitore la prova del fatto estintivo; sia perché, in base al principio di vicinanza della prova, questa va posta a carico del soggetto nella cui sfera si è prodotto l’inadempimento e quindi sul debitore.
Le Sezioni unite hanno accolto le motivazioni dell’indirizzo minoritario enunciando un principio netto. Il creditore deve solo provare il titolo e allegare l’inadempimento della controparte. Ciò in base alle seguenti argomentazioni.
L’art. 2697 è espressione di un principio di persistenza del diritto in presenza di una fonte contrattuale, sicché grava sull’altra parte la prova del fatto estintivo.
L’omogeneità del regime dell’onere della prova per le tre azioni previste nell’art. 1453 risponde ad un criterio di ragionevolezza, perché tutte le azioni previste da quella norma servono a statuire che il debitore non ha adempiuto, mentre le ulteriori pronunzie sono consequenziali a questa. La stessa possibile sostituzione della domanda ai sensi dell’art. 1453 ha compreso l’uno e l’altro diritto sotto un’unica fattispecie, senza condizionare il mutamento della domanda all’accollo di un nuovo onere probatorio.
C’è poi un’esigenza ulteriore. Il creditore che deduca di non essere stato pagato avrà serie difficoltà di individuare, come oggetto di prova, fatti positivi contrari idonei a dimostrare il fatto negativo dell’inadempimento.
Anche in caso di inesatto inadempimento opera tale reparto probatorio perché esiste una identica
ratio: il debitore non è stato fedele al contratto.
Naturalmente, se il convenuto fa valere l’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 dovrà provare il titolo e potrà limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento. Xxxxxxx allora sul creditore la relativa prova.
Tutto quanto sostenuto vale per le obbligazioni positive e non per le obbligazioni negative, nel qual caso la prova dell’inadempimento è sempre a carico del creditore, anche qualora agisca per l’adempimento e non per la risoluzione o il risarcimento. Ciò perché il presupposto comune ai rimedi previsti dall’art. 1453 è l’inadempimento costituito da un fatto positivo. Diversamente, per le obbligazioni negative, non vige né il principio della persistenza del diritto insoddisfatto, “perché in tali obbligazioni il diritto nasce soddisfatto e viene in considerazione solo a sua successiva violazione; né vige il principio di vicinanza della prova, “dal momento che l’inadempimento dell’obbligazione negativa ha natura di fatto positivo” che il creditore può fornire senza eccessiva difficoltà.
Una sentenza successiva38 ha consolidato questo orientamento. Nel ribadire le precedenti conclusioni delle Sezione unite, la sentenza osserva quanto segue.
Il diritto alla risoluzione del contratto, come l’obbligo del risarcimento in caso di domanda autonoma e non accessoria conseguente all’inadempimento, attua una responsabilità del debitore coeva al sorgere del rapporto obbligatorio.
Il risarcimento del danno, la risoluzione per inadempimento e l’adempimento, sono intrinseci al rapporto obbligatorio, inteso come struttura complessa, costituito da un insieme funzionalmente unitario di effetti giuridici, i quali possono mutare senza che il rapporto perda la sua identità.
Ne segue che, nelle obbligazioni positive, con il contratto sorge sia il diritto alla prestazione sia, contemporaneamente, il diritto alla risoluzione ed al risarcimento del danno, tanto che la domanda di risoluzione e quella di adempimento possono essere proposte anche nel medesimo giudizio, la seconda subordinatamente alla prima.
Se è così, non è l’inadempimento che si pone come fatto costitutivo della domanda di risoluzione; ma è l’adempimento che si pone come fatto estintivo dei diritti sorti con il contratto in favore del creditore.
Tali considerazioni erano già state formulate in passato in modo chiarissimo.
Nelle obbligazioni di dare e di fare “l’attore non deve provare l’omissione dell’inadempimento; ciò che si deve dopo l’inadempimento è di solito ciò che si doveva prima: l’obbligazione perdura, onde all’attore basterà provare che è nata; e ciò vale anche per le conseguenze legali o convenzionali dell’inadempimento39”, quali la risoluzione o i danni.
Nelle obbligazioni di non fare invece “l’inadempimento consiste in una azione positiva, nel fare quello che non si doveva. L’azione tende ad ottenere la rimozione di ciò che si è fatto: in questo caso il fondamento del diritto di agire dell’attore sta anche nel fatto lesivo dell’obbligazione: l’attore dovrà provare quindi il fatto lesivo compiuto dal convenuto. Similmente nella rivendica dovrà provarsi il possesso attuale del convenuto”40.
7. La buona fede nella formazione e nella esecuzione del contratto
Gli articoli 1337 e 1375 c.c. contengono una regola fondamentale volta a disciplinare la fase di conclusione e di esecuzione del contratto. Per comprenderne il significato e per precisare il suo attuale ruolo occorre distinguere vari fasi di approfondimento. Si dovrà in particolare: precisare il contenuto della regola e la sua evoluzione, delimitare il suo ruolo nella fase di conclusione e formazione del contratto, precisare i rapporti con le norme di validità, chiarire la natura della responsabilità pre-contrattuale.
Sino agli anni ottanta del secolo scorso la giurisprudenza italiana aveva assunto uno posizione assai restrittiva. La buona fede era considerata fonte di responsabilità solo in presenza della violazione di un diritto altrui, riconosciuto in base ad altre norme. Con ciò si negava l’autonomia precettiva della regola che rappresenta invece uno delle fondamentali novità del nuovo codice.
Le sentenze degli ultimi venti anni hanno assunto piena consapevolezza del valore di clausola generale che crea diritti e obblighi per le parti del contratto, già nella fase delle trattative e della formazione. Utile è dunque un richiamo a queste nuove acquisizioni sul piano interno e comunitario.
38 Cass., 28 gennaio 2002, n. 982, in Giur. it., 2002, p. 1836.
39 CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1923, p. 787; v. altresì X. XXXXX, L’onere della prova nel processo civile, Napoli, 1974, p. 46; X. XXXXX, Prove. Disposizioni generali, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1987, p. 109 ss.; X. XXXXXXX, Onere della prova, in Dig. Disc. priv., Torino, 1995, p. 65 ss.
40 CHIOVENDA, op. cit., p. 794.
7.1. La buona fede nel sistema italiano
Occorre fare un minimo di chiarezza sul contenuto della regola e sulle conseguenze della sua violazione.
È noto che sono diversi i modi di precisare il contenuto della buona fede.
Per alcuni, essa può integrare il regolamento solo in modo rispettoso della volontà espressa nel testo41, salvo che la legge individui una diversa funzione. Per altri, la clausola generale filtra e realizza determinati fini dell’ordinamento42. Per altri ancora, essa ha funzione di riequilibrio delle posizioni delle parti e una funzione re-distributiva43.
Sono due in sintesi le posizioni.
Da un lato, il dovere di correttezza si reputa un limite interno ai diritti e obblighi delle parti con funzione auto-integrativa del regolamento privato. Dall’altro, è considerata una valutazione esterna all’atto in funzione di controllo e di etero-integrazione44.
La verità è che si ha difficoltà a «conciliare la buona fede con il modello tradizionale della fattispecie e dei suoi effetti». Ciò perché essa amplia gli obblighi delle parti e non si colloca fra gli effetti, ma attiene all’atto ed è espressione di un «ordine rimediale che si sovrappone al programma contrattuale»45. In questa dimensione operativa lo stesso dubbio, se il ruolo della clausola sia interno all’atto di autonomia o ad esso estraneo, si attenua nella considerazione che la «finalità privata dell’atto non può che uniformarsi ad una doverosità di contegni che la buona fede da sempre esprime»46.
7.2. L’evoluzione della giurisprudenza italiana
Già nel 199447, la Corte di Cassazione considera la clausola come «un limite interno di ogni situazione soggettiva» che «concorre alla relativa conformazione» «per modo che l’ossequio alla legalità formale non si traduca in sacrificio della giustizia sostanziale e non risulti disatteso quel dovere (inderogabile) di solidarietà, oramai costituzionalizzato». Dovere che applicato «ai contratti ne determina, integrandolo, il contenuto e gli effetti (art. 1374 c.c.) e deve ad un tempo orientarne l’interpretazione (1366 c.c.) e l’esecuzione (1375 c.c.c) ». Tali enunciati sono poi ripresi e sviluppati nelle sentenze in tema di riducibilità d’ufficio della penale ove si dà atto del pieno riconoscimento della costituzionalizzazione dei rapporti di diritto privato per effetto dell’art. 2 della Carta Costituzionale e della regola di buona fede da cui l’assetto pattizio non può ritenersi svincolato48.
41 X. XXXXXXXXXX, Un contratto per l’Europa, in Principi di diritto europeo dei contratti, a cura di X. XXXXXXXXXX, Milano, 2001, p. XXXV ss. e per una sintesi della varie posizioni G. VETTORI, Diritto dei contratti e costituzione europea, Milano, 2005, p.157 ss.
42 A. DI MAJO, Il linguaggio dei rimedi, in Europa dir. priv., 2005, p. 341 ss.
43 X. XXXXX, Buona fede contrattuale e gestione del conflitto sociale, in Buona fede e giustizia contrattuale, Torino, 2005, p. 75 ss.
44 Critico su entrambi gli orientamenti X. XXXXXXXXX, Equivoci e concettualismi nel diritto europeo dei contratti: il dibattito sulla vendita dei beni di consumo, in Europa e dir. priv., 2004, p. 1037 e per diverse posizioni sul tema X. XXXXXXX, La giustizia contrattuale in Europa, in Riv. crit. dir. priv., 2003, p. 659 ss.; X. XXXXXXX, Giustizia e rimedi nel diritto europeo dei contratti, in Europa dir. priv., 2006, p. 62 ss.
45 A. DI MAJO, Il linguaggio dei rimedi, op. cit., p. 354.
46 X. XXXXXXXXXXXX, L’integrazione, in I contratti in generale, a cura di X. Xxxxxxxxx, Trattato dei Contratti, a cura di X. Xxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 1020 ss.
47 Cass., 20 aprile 1994, n. 3775, in Foro it., 1995, p. 1296.
48 Cass., 24 settembre 1999, n. 10511, in Foro it., 2000, I, p. 1929, nota X. XXXXXXXX; Cass., sez. un., 23 giugno-13 settembre 2005, n. 18128, in Guida dir., 2005, 38, p. 34 ss.
Il collegamento fra buona fede e normativa costituzionale è chiaramente delineato da tali sentenze49 dalle quali si evince che:
a) la regola ha immediata valenza anche in forza della previsione dell’obbligo di solidarietà contenuto nell’art. 2 della Costituzione italiana. Sicché «buona fede e correttezza consentono al giudice di operare, nel caso concreto, l’indispensabile collegamento delle disposizioni particolari di legge con i fondamenti e le direttive etico-sociali di tutto l’ordinamento ».
b) il principio di solidarietà non è un obbligo morale ma «la base sulla quale devono fondarsi le soluzioni di tutti quei conflitti in cui si debba decidere a chi accollare le conseguenze negative di un comportamento dannoso». «In assenza di una norma espressa che valuti tale contegno il danno resterebbe a carico di chi lo subisce. La buona fede e il principio di solidarietà consentono di imputare il danno a chi non ha osservato la regola di correttezza, in presenza di un nesso di causalità».
7.3. Sulla discrezionalità del giudice
L’evoluzione degli ultimi decenni provoca una svolta netta rispetto al passato. Si abbandona l’idea che l’ordine giuridico debba solo assicurare un controllo procedurale sulla formazione del consenso (solus consensus obligat) e muta il rapporto contratto-legge-giudice50.
Il corollario del precedente assetto era chiaro: la volontà (integra) ha un effetto normativo limitato soltanto dalla legge. Solo ragioni di ordine pubblico (e quindi politiche) possono esigere correzioni materiali dell’accordo, mentre il giudice può accertare l’invalidità del contratto. Ciò perché l’assetto voluto può essere contraddetto solo da un’esigenza di giustizia sociale individuata e mediata in via esclusiva dalla legge che interviene per contrapporla al contratto51. Caduta la fiducia nell’intervento diretto dello Stato e acquisita la consapevolezza, nelle teorie della giustizia, di una maggiore attenzione ai diritti individuali rispetto all’utilità collettiva, mutano oggetto e soggetto del controllo. Le valutazioni sul contenuto del contratto sono affidate non solo e non tanto ad elementi strutturali come la volontà e la causa, quanto anche ad un controllo di razionalità tramite buona fede attuato dal giudice52.
Sui tratti di questa tendenza il giudizio può essere diverso.
Si può intravedere nella precedente superiorità della legge un rigoroso rispetto della separazione dei poteri legislativo e giudiziario e un argine ai poteri che si formano spontaneamente sul mercato, e si può individuare nella discrezionalità affidata al giudice un cedimento ad una logica individuale priva di un controllo effettivo sui grandi affari che sfuggono ad ogni valutazione offerta dal diritto dei contratti53, oppure, più realisticamente, si possono cogliere le ragioni del nuovo in fatti e mutamenti stratificati nel tempo. La crisi della sovranità popolare e dello Stato di fronte ai processi di mondializzazione e di uniformazione di regole e il diverso ruolo e funzione della legge rispetto al mercato esigono mutamenti profondi nel modo e negli strumenti per garantire un tendenziale equilibrio nel contratto54.
49 v. anche Cass., 13 gennaio 1993, n. 343, in Vita not., 1995, p. 674, nota PASQUINO.
50 v. M. BARCELLONA, La buona fede e il controllo giudiziale del contratto, in Il contratto e le tutele, a cura di X. Xxxxxxxxx, Torino, 2002, p. 305 ss.
51 v. X. XXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 7 (del dattiloscritto).
52 v. BRECCIA, Morte e resurrezione della causa: rimedi, op. cit., p. 5 segg.
53 M. BARCELLONA, op. ult. cit.
54 ID., op. loc. cit.
In tale contesto, il richiamo della buona fede e della correttezza ha una funzione di integrazione del giudizio sui contegni dei privati secondo una razionalità che può essere assicurata proprio da una clausola generale in grado di tener conto dell’assetto complessivo e di tutte le circostanze dell’affare55.
L’ampliamento dei poteri del giudice è anch’esso un esito logico del mutato assetto normativo. Prende atto dell’insufficienza della legge ed è una scelta necessitata considerando i due corni dell’alternativa. Lasciare alla norma il compito di colmare ogni lacuna nell’assetto privato56 o consentire al giudice di “integrarlo nella maniera che ritiene più conforme e più rispettosa dell’interesse delle parti” e del dovere di correttezza che grava su di esse. Come si è osservato, i timori di un aumento della sua discrezionalità sono in gran parte infondati se si tiene conto che il giudizio secondo buona fede e la valutazione giusto-ingiusto non crea preoccupanti novità rispetto
«al libero convincimento che al giudice gli ordinamenti moderni riconoscono in generale sul terreno della qualificazione vero-non vero relativamente ai fatti»57.
Un problema può essere la propensione di chi giudica a formulare convincimenti personali e non criteri di valutazione basati su di una razionalità obiettiva che la clausola ha la funzione di richiamare, ma ciò può essere esorcizzato sia con orientamenti precisi del legislatore e della dottrina, sia da un recente indirizzo giurisprudenziale della Cassazione italiana. La quale ha precisato le modalità con cui deve avvenire il giudizio che attua una norma elastica, un concetto indeterminato o una clausola generale, e ha precisato che tale decisione non appartiene alla valutazione del fatto incensurabile in sede di legittimità ma rappresenta anzi una decisione di diritto, soggetta ad impugnazione ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.58.
La Corte ritiene che, in tali casi:
a) «il giudice di merito compie un’attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della norma..in quanto dà concretezza a quella parte mobile (elastica) della stessa che il legislatore ha voluto tale per adeguarla ad un determinato contesto storico sociale»;
b) tale «giudizio valutativo – e quindi di integrazione giuridica – del giudice di merito deve ... conformarsi oltre che ai principi dell’ordinamento, individuati dal giudice di legittimità, anche ad una serie di standard valutativi esistenti nella realtà sociale che assieme ai predetti principi com- pongono il diritto vivente».
c) «la valutazione di conformità ... dei giudizi di valore espressi dal giudice di merito per la funzione integrativa che essi hanno delle regole giuridiche spetta al giudice di legittimità nell’ambito della funzione nomofilattica che l’ordinamento ad esso affida»59.
In tal modo, come si è osservato, la Cassazione ha ritenuto sindacabile attraverso un controllo di legittimità l’attività del giudice che applica una clausola generale «ritenendo tale giudizio di diritto e non di fatto» e dunque sottoposto alla verifica da parte della Cassazione sulla modalità con cui si riempie di contenuti il dovere di correttezza60. Il che costituisce limite preciso ad ogni decisione arbitraria e orientamento sicuro per l’interprete61.
55 ID., op. loc. cit.
56 Illuminanti le pagine di P. GROSSI, Mitologie giuridiche della modernità, Milano 2001, in part. p. 25 ss., e p. 85 ss.
57 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 22.
58 ID., op. loc. cit.
59 Tali osservazioni sono tratte testualmente da X. XXXXXXX, Sindacato della Corte di cassazione sulle norme elastiche e giusta causa di licenziamento, in Foro it., 1999, I, c. 1891, nota a Cass., sez. lav., 18 gennaio 1999, n. 434.
60 X. XXXXXXX, Sindacato della Corte di cassazione, ult. cit.
61 X. XXXXXXX, Sindacato della Corte di cassazione, ult. cit.
7.4. Sui contenuti della discrezionalità
Al di là del solo generico riferimento alla Costituzione che può rischiare di non fornire sempre un criterio di giudizio preciso è utile cogliere le correlazioni con le norme che attribuiscono rilevanza nuova a circostanze soggettive.
• Il Codice civile durante la fase della formazione dell’accordo reprime il dolo, la violenza, l’errore. Nelle leggi speciali si impongono ai contraenti obblighi specifici di informare, di non abusare del proprio potere da cui si devono trarre indicazioni nel concretizzare il contenuto della regola.
• Ancora il Codice protegge l’incapace naturale (428), l’insano di mente (414) il prodigo, chi fa uso di sostanze alcoliche o di stupefacenti (415), ma di recente si è introdotta una nuova disciplina che detta “Misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia” (Titolo XII capo I art. 404 ss.). Ciò da rilievo giuridico ad una serie di circostanze soggettive che arricchiscono i criteri di formulazione di un giudizio di correttezza o scorrettezza di chi contrae con tali soggetti.
• A ciò deve aggiungersi un valore precettivo ulteriore nelle leggi di settore che fissano limiti alla discrezionalità di un contraente in funzione di tutele differenziate62.
7.5. La buona fede del diritto comunitario
La regola di buona fede ha un ruolo preminente nei Principi di diritto europeo dei contratti, tanto da costituirne il vero esprit collectif63 capace di fissare tratti di comunanza e di dialogo fra tradizioni culturali molto diverse: il diritto continentale che da sempre crede e utilizza la clausola generale64 ed il mondo della common law che vede in essa, spesso, un “vago concetto” che può rendere le decisioni giurisprudenziali imprevedibili e di disturbare, perciò, le transazioni commerciali bisognose di certezze e di prevedibilità65.
La buona fede nei Principi Lando e nel CFR
L’affermazione che le parti sono libere di stipulare contratti e di determinarne il contenuto nel rispetto della buona fede può essere interpretata seguendo la logica interna dei Principi o nel contesto più ampio delle Direttive e della giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Nella prima prospettiva l’art. 1:102 va letto in connessione con la sua definizione di obbligo generale che grava sulle parti (art. 1:201) e con altre disposizioni particolari previste in ogni fase di
62 X. XXXXXXX, La giustizia contrattuale in Europa, op. cit., p. 659 ss.; X. XXXXXXX, Giustizia e rimedi nel diritti europeo dei contratti, op. cit., p. 53 ss.; ID., Libertà di contratto e disparità di potere, in Riv. dir. priv., 2006, p. 750 ss. 63 X. XXXXX, Lo spirito dei Principi del diritto contrattuale europeo, in Il codice civile europeo, Materiali dei seminari 1999-2000, raccolti da X. Xxxx e E. M. Buccico, Milano, 2001, p. 41.
64 X. XXXXXXXXXX, Un contratto per l’Europa, in Principi di diritto europeo dei contratti, ed. it. a cura di X. XXXXXXXXXX, Milano, 2001, p. XXX ss.; v. altresì l’ampia nota di commento all’art. 1:201, in Principi di diritto europeo dei contratti, op. cit., p. 119 ss., ove si descrivono due modelli diversi: la Germania che ha riconosciuto da tempo un obbligo generale di rispetto della buona fede e l’Inghilterra ove manca una tale previsione generale. Fra i due estremi gli altri ordinamenti “oscillano tra questi due opposti. Riconoscono la buona fede e la correttezza come un principio generale, ma tali principi non hanno attinto il medesimo livello di penetrazione nella disciplina del contratto” (p. 119). V. da ultimo X. XXXXXXXXXX XXXXXXXXX, L’interazione del diritto inglese con il diritto comunitario: l’esempio della Direttiva sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori ed il principio di buona fede, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 452 ss.
65 X. XXXXX, The concept of “Good Faith” in English Law, Xxxx, 0000; ID., Commercial Law, Penguin, 2004; X. XXXXXXX, The Law of contract, 9ª ed., 1995.
formazione, adempimento e attuazione del contratto o di esercizio di un diritto, ove il dovere di agire correttamente implica una pluralità di situazioni doverose.
In alcuni casi si impone di «non svolgere trattative contrattuali in mancanza di una reale volontà di raggiungere un accordo» (art. 2:301), di non «rivelare informazioni confidenziali fornite dall’altra parte» (2:302), di non trarre «vantaggio iniquo dalla dipendenza, dalle difficoltà economiche o altra debolezza dell’altra parte» (4:109). In altri si prevede che il dovere di correttezza fa «emergere clausole tacite dal contratto» (6:102). Crea per una parte il diritto a
«correggere una prestazione inesatta» (8:104). Esige altri tipi di prestazioni non tipizzate (9:102)66.
La regola, dunque, consente di valutare contegni ma anche di «rimediare alla incompletezza» del contratto (v. 6:111, ma anche 2.17, 3.10, 4.8, 6.2.3 del testo predisposto dall’Unidroit) con una funzione integrativa del contenuto, riconosciuta in modo diverso nei vari ordinamenti nazionali67 e accolta nei Principi con una disposizione che consente al giudice, in presenza di un’eccessiva onerosità della prestazione sopravvenuta e imprevedibile, di sciogliere il contratto o di modificarlo
«in maniera giusta ed equa» e di condannare al risarcimento dei danni se una parte ha rifiutato di
«intavolare trattative» o le ha iniziate «in maniera contraria alla buona fede e alla correttezza» (6:111, 3 a), b))68.
Interpretando assieme queste “disposizioni generali”, si è osservato che la buona fede, nel testo dei Principi, non ha una funzione eteronoma ma di autointegrazione del regolamento e dell’equilibrio suo proprio, posta in luce dal fatto che la clausola «coopera con la volontà delle parti per fare emergere l’assetto che avrebbero scelto se vi avessero potuto provvedere da sé»69. Una finalità che consente di «rimodellare il contratto» di fronte a situazioni non previste o in ipotesi di squilibrio (4:105, 6:111). Un modo di operare che espande la logica «impressa dalle parti al loro atto e la proietta su ciò che il contratto non risulta aver regolato»70, con un’operatività diversa dal criterio di ragionevolezza71.
Tutto ciò in una prospettiva che non si appiattisce sul modello europeo-continentale al fine di agevolare un raffronto con l’ambiente di common-law, ostile ad uno strumento che consente al giudice di sovrapporsi alla volontà delle parti72.
66 Utilissime, ancora, le limpide note di commento ai singoli articoli in Principi di diritto europeo dei contratti, cit.; e la ricca sintesi di X. XXXXXXXXXX, ivi, p. XIII ss.
67 V. sul punto in Italia X. XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 305 ss.; X. XXXXXXXXXXX, I contratti incompleti nel diritto e nell’economia, Xxxxxx, 0000; X. XXXXX, Xx xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 1025 ss.; X. XXXXXXXX, Buona fede ed equità tra le fonti di integrazione del contratto, in Contr. e impr., 1999,
p. 83 ss.; X. XXXXXXXXX, Regole di “default” e razionalità limitata: per un (diverso) approccio di analisi economica del diritto dei contratti, in Riv. crit. dir. priv., 1996, p. 451.
68 Per una preziosa prospettiva di sintesi v. ora: X. XXXX, La completezza del contratto: il ruolo della buona fede e dell’equità, in Le riforme dei codici in Europa e il progetto di codice civile europeo, Materiali dei seminari 2001, raccolti da X. Xxxx e E. M. Xxxxxxx, cit., p. 118 ss.; e sulla buona fede nell’integrazione del contratto, X. XXXXX, La buona fede contrattuale, Padova, 1988 e ancora X. XXXX, La cultura delle regole. Storia del diritto civile italiano, Roma-Bari, 2000.
69 X. XXXXXXXXXX, Un contratto per l’Europa, in Principi di diritto europeo dei contratti, cit., p. XL.
70 X. XXXXXXXXXX, op. ult. cit.
71 Sul criterio di ragionevolezza v. l’art. 1:302 e il commento, in Principi di diritto europeo dei contratti, cit., p. 131, ove esiste un utilissimo richiamo agli articoli che fanno riferimento alla regola e alle funzioni che essa svolge. Da un’analisi sistematica emerge che il principio non genera obblighi e diritti, ma «attiene alle modalità esecutive secondo le quali gli obblighi stessi trovano migliore attuazione» (X. XXXXXXXXXX, Un contratto per l’Europa, cit., p. XLII); in relazione ad un’attesa o affidamento di una parte (1:303, 4; 2:102; 2:202, 3; 3:205, 3; 3:206; 3:209, 3; 5:101, 3; 6:111, 2 a; 8:103, 2; 8:108, 1; 9:503) al tempo per agire (2:206, 2, 3; 3:203; 7:102, 3; 7:109, 2; 8:106, 3; 8:105, 2; 8:108, 3; 9:303, 2, 3; 9:506) o per comunicare la volontà (4:113, 1, 2; 6:109; 8:104, 3) alla valutazione in certi casi di una clausola o del prezzo giusto (4:105, 3; 4:115; 6:104; 6:105; 6:106, 2; 7:110, 2 a b; 9:101, 2 a; 9:506; 9:509, 2) dello sforzo richiesto ad una parte (7:110, 1; 9:102, 2 d; 9:505, 1) o della proporzione tra due esigenze (9:201, 1) o della probabilità del verificarsi di un evento (1:303, 2; 8:105, 1; 9:105, 2 b).
72 V. ancora X. XXXXXXXXXX, Un contratto per l’Europa, cit., p. XXXII; e XXXXX, The concept of “Good Faith”, in
English Law, Xxxx, 0000.
Tale confronto è difficile e ne sono una prova i segni di ambiguità presenti, ora, nell’articolo III 1:103 del DCFR che introduce una novità rispetto al testo dei Principi Lando.
Dopo aver ribadito nelle General provisions (I 1:102) il ruolo della clausola generale e la sua incidenza sulle Obligations and corresponding rights, si restringe la sua operatività. L’art. III 1:103 3 dispone che l’inadempimento dell’obbligo di buona fede non comporta un rimedio per l’ina- dempimento, ma può precludere alla persona inadempiente di esercitare o fare affidamento su un diritto, rimedio o difesa che essa avrebbe.
Questo inciso ha chiaramente il fine di porre un freno all’idea che la clausola sia uno strumento generale di controllo73 e si propone, certo, di limitare la possibilità per il giudice di trarre da essa nuovi diritti e doveri per i contraenti74. Ma il testo, proprio per la sua ambiguità, lascia spazio a diverse letture.
In esso si dice che la violazione della buona fede non comporta inadempimento, al contrario di quanto sostiene la giurisprudenza italiana, ma ciò non esclude affatto che dal dovere di good faith possano sorgere nuovi obblighi e diritti. Non fosse altro perché la disposizione riconosce al contraente in buona fede contro l’altro in mala fede, il diritto di impedire l’esercizio di un diritto, rimedio o difesa. Il che integra, con una formulazione a maglie larghe, la capacità integrativa della clausola che concerne, sempre, una valutazione procedurale sui contegni che arricchisce diritti e doveri delle parti del contratto.
Il vero è che nella formulazione dell’art. III 1:103 3 si nota chiaramente il diverso metodo di analisi dei giuristi di common law e di civil law. La cultura anglosassone tende naturalmente a ragionare in termini di rimedi e di limite ad esperire rimedi, mentre teme, da sempre, il proliferare di diritti, specie di fonte non ben definita. I giuristi continentali operano sempre sulla base della definizione delle posizioni soggettive e un ruolo autonomo della buona fede non può che determinare, secondo questa mentalità, il sorgere di nuovi diritti e doveri.
Se si va oltre il rispettivo orizzonte si può forse riuscire a concordare su di un punto essenziale. La buona fede è strumento procedurale di controllo dei contegni delle parti e come tale assume una funzione rimediale nel disporre una valutazione negativa e un conseguenza risarcitoria a carico di chi viola tale dovere.
La buona fede nel diritto comunitario (l’acquis)
Se ci spostiamo dal testo dei Principi al contesto in cui sono destinati ad operare emergono dal corpus delle Direttive alcuni elementi significativi su cui è opportuno soffermarsi.
Il confronto va eseguito con estrema cautela perché si tratta di provvedimenti eterogenei dove non è mai disciplinato il contratto in generale, formulati con ambiguità terminologiche, attuati in modo diverso nei vari ordinamenti nazionali75. Sicché da essi non è possibile costruire una disci- plina unitaria ma, casomai, una serie di orientamenti coerenti con i principi comunitari.
73 X. XXXXX, General clauses and specific rules in The Principles of European Contyract Law: the Good faith clause, in
X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxx (eds.), General Xxxxxxx and Standard in European Contract Law, Kluwer Law International, 2006, p. 205-218, il quale esclude che la buona fede possa essere uno strumento omnicomprensivo di conrollo e limita il suo contenuto ad un giudizio di ragionevolezza. In senso decisamente contrario v. X. XXXXX, Is good faith an Over-Arching General Xxxxxx in the Principles of European Contract Law?, in European Review of Private Law, 2007, 6, p. 841 ss.
74 M. W. HESSELINK, Common Frame of Reference & Social Justice, Centre for the Study of European Contract Law Working Paper Series No. 2008/04, in xxxx://xxxx.xxx; v. anche dello stesso autore The concept of Good Faith, in Xxxxxxxx et al. (eds.), Towards a European Civil Code, Kluwer Law International, 2004; e X.XXXXXXXXX & X. XXXXXXXXX, Good Faith in European contract law: surveying the legal landscape, in X.XXXXXXXXX & X. XXXXXXXXX (eds.), Good Faith in European Contract Law, Cambridge, 2000, p. 7-62.
75 X. XXXX, Il diritto dei consumatori, Roma-Bari, 1999, p. 3 ss., 128 ss.; X. XXXXXXXXXX, I principi di diritto europeo dei contratti e l’idea di codice, in Materiali e commenti sul nuovo diritto dei contratti, a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 1999, p. 854 ss.
Con questi limitati obbiettivi è possibile individuare da un lato modalità di intervento sull’atto che impongono un contenuto minimo essenziale, limitano il potere di modificare il contratto e introducono requisiti formali in funzione di protezione76; dall’altro, criteri di valutazione dei contegni con espresso riferimento alla buona fede.
Emblematica in questo ultimo senso la Direttiva 93/13/CEE che trattando dei contratti dei consumatori nel considerando n. 16, definisce la clausola come una valutazione globale sull’atto che deve tener conto di alcuni fattori determinati. La forza delle rispettive posizioni dei contraenti, l’esistenza di condizionamenti nel prestare il consenso, la presenza o meno di un ordine del consumatore, le modalità del contegno del professionista con la controparte di cui si deve tenere presenti i legittimi interessi77.
È chiara l’influenza del modello tedesco costruito dalla giurisprudenza sin dai primi decenni del ‘900 e recepito nella legge del 1966 solo novellata in attuazione della Direttiva, ma dal confronto con gli altri ordinamenti si ricava una differenza più formale che sostanziale.
In Francia, si elimina il riferimento all’abuso di potere economico del professionista per valutare l’abusività ma tale elemento era da tempo in giurisprudenza presunto nelle contrattazioni fra professionisti e consumatore. In Inghilterra, il quadro è più complesso: era già in vigore un controllo di tipo amministrativo e giudiziario e la Direttiva è stata recepita con un Regolamento che mantiene in vita anche la precedente legge del 1977. Fra i due provvedimenti vi è diversità: la legge del 1977 rimette la valutazione ad un controllo di ragionevolezza e il Regolamento di attuazione ad un giudizio di buona fede. Se però si analizzano le guide-line dei rispettivi allegati è facile constatare che si indicano dei criteri di valutazione in larga misura coincidenti con quelli della Direttiva Comunitaria, anche se con un ambito operativo diverso: la legge si riferisce ai contratti di impresa, il Regolamento ai contratti fra professionisti e consumatori78.
Una prospettiva di sintesi.
Se coordiniamo le norme generali previste nel codice, le leggi speciali e la giurisprudenza della Corte di Cassazione è possibile ricavare un significato costante della buona fede. Con essa si fa
76 V. tra le altre la Dir. 93/13/CEE, pubbl. in G.U. L. 095 del 21/04/1993, p. 29, sulle clausole abusive; Dir. 97/7/CE in G.U. L. 44 del 04/06/1997 sulle vendite a distanza, p. 191; Dir. 84/450/CEE in G.U. L. 250 del 19/09/1984, p. 17, modificata dalla Dir. 97/55/CE in G.U. L. 290 del 23/10/1997, p. 187, sulla pubblicità ingannevole e comparativa; Dir. 87/102/CEE, modificata dalla Dir. 97/7/CE in G.U. L. 101 del 01/04/1998, p. 17, sul credito al consumo; Dir. 93/22/CEE, in G.U. L. 141, del 11/06/1993, p. 27, modificata dalla Dir. 97/9/CE, in G.U. L. 84, del 26/03/1997, p. 22, sull’investimento nel settore dei valori mobiliari; Dir. 94/117/CE, in G.U. L. 280, del 29/10/1994, p. 73, sulla vendita in multiproprietà; Dir. 99/44/CE in G.U. L. 171, del 07/07/1999, p. 12, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo. Per alcuni approfondimenti v. Materiali e commenti sul nuovo diritto dei contratti, a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 1999; v. altresì Dir. 2000/35/CE del 29/06/2000, in G.U. 08/08/2000 sui termini di pagamento e al legge di recezione D.lgs. 20 settembre 2002.
77 Direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, nel considerando n. 16 si dice che “la valutazione del carattere abusivo di clausole ... deve essere integrata con uno strumento idoneo ad attuare una valutazione globale dei vari interessi in causa”, criterio che si esplica nel requisito della buona fede che implica “una particolare attenzione alla forza delle rispettive posizioni delle parti, al quesito se il consumatore sia stato in qualche modo incoraggiato a dare il suo consenso alle clausole e se i beni o servizi siano stati venduti o forniti su ordine speciale del consumatore”. Si osserva poi che il professionista può soddisfare il requisito della buona fede trattando in modo leale ed equo con la controparte, di cui deve "tenere presenti i legittimi interessi”.
78 V. sul punto X. XXXXX, La buona fede nei contratti dei consumatori, Napoli, 2001, p. 143 ss. e X. XXXXXXXXXX DEFLORIAN, L’interazione del diritto inglese con il diritto comunitario: l’esempio della Direttiva sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori ed il principio di buona fede, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, 000 x. 000 xx., xxx xxxxxxxx fra unfairness e buona fede, nonché sui criteri previsti dalla Schedule 2 delle Regulation del 1994 che richiama il considerando n. 16 della Direttiva.
riferimento ad un dovere che sorge indipendentemente dalla volontà delle parti, preesiste alla for- mazione del contratto e impone obblighi specifici di comportamento rilevanti sotto vari profili.
La clausola consente un giudizio di riprovazione dei contegni e su questa base va sperimentata una consonanza con la common law che reprime la scorretta procedurale e attribuisce rilevanza alle ragionevoli aspettative delle parti79. Fra le quali si deve considerare l’affidamento di un contraente a che l’altro osservi nei suoi confronti, non solo i contegni a cui è tenuto in virtù del rapporto ma anche di tutti gli altri contegni richiesti dalle norme o da doveri specifici presenti in settori determinati di attività80.
Giurisprudenza
«Una tale interpretazione, infatti, è in contrasto con i principi di buona fede e correttezza come ormai facenti parte del tessuto connettivo dell’ordinamento giuridico.
In questa ottica deve, infatti, – ancora una volta – ribadirsi che l’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale – la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica, proprio per il suo rapporto sinergico con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., che a quella clausola generale attribuisce forza nomativa e ricchezza di contenuti –, applicabile, sia in ambito contrattuale, sia in quello extracontrattuale.
In questa prospettiva, si è giunti ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo o integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi (v. S.U. 15.11.2007 n. 23726 ed i richiami ivi contenuti). Xxxxxx, poi, nell’ambito contrattuale, va affermato che il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all’esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase.
La buona fede, pertanto, si atteggia come un impegno od obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del neminem laedere, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte» (Cass., sez. III, 5 marzo 2009, n. 5348).
79 X. XXXXXXXXXX XXXXXXXXX, L’interazione del diritto inglese con il diritto comunitario, cit., p. 452 ss.
80 X. XXXXXXXXXX, (a cura di) Good faith in contract: concept and context, Dartmouth, 1999, reputa che la teoria delle aspettative ragionevoli possa essere utilizzata per recepire il concetto di buona fede nel diritto inglese; v. X. XXXXX, Autonomia privata ed equilibrio contrattuale, in www.jus.unitn/xxxxxxx/Review/Contract/Lordi1.html. Su uno dei pochi precedenti giurisprudenziali in tema di clausole abusive e di contrarietà alla buona fede v. ancora X. XXXXXXXXXX DEFLORIAN, op. cit., p. 461, ove si riferisce sul caso (Director General of Fair Trading - First National Bank) deciso (nel 2000) in primo grado dalla Chancery division della High Court e in secondo grado dalla Court of Appeal la quale applica il criterio di contrarietà alla buona fede tenendo conto della “gravità degli obblighi” della “sorpresa” e della “superiorità del potere contrattuale della banca” (p. 463). La pronuncia della House of Lords è improntata alla massima cautela sul requisito della buona fede. Si reputa non necessario un intervento chiarificatore della Corte di Giustizia e si mostra piena consapevolezza della emersione della clausola nel contesto europeo. La Corte tuttavia “non riesce a dissipare la sensazione che i giudici inglesi siano restii a sfruttare a fondo le potenzialità dello strumento”, così X. XXXXXXXXXX DEFLORIAN, op. cit., p. 466.
7.6. Le conseguenze della violazione
a) Buona fede e invalidità81. Da alcuni si è teorizzato che la violazione della regola di buona fede può comportare la nullità o comunque l’inefficacia del contratto82 e si è osservato, di recente, che la clausola è lo strumento prioritario per garantire la giustizia del contratto (attraverso l’azione prevista dall’art.1418 c.c.). Sono convinto che debba essere rettificato tale orientamento che è tratto, in Italia, da una interpretazione non convincente di alcuni precedenti giudiziari.
Anzitutto la sentenza di legittimità, in tema di abuso di voto di un socio di maggioranza, che reputa illegittima tale manifestazione di volontà ai sensi dell’art. 2377 e dell’art. 1375. La sentenza, a ben vedere, non dichiara l’invalidità della delibera in base alla violazione della buona fede, ma con riferimento alla norma che sanziona la contrarietà dell’atto alla legge o allo statuto. L’art. 1375 integra, nella motivazione, il giudizio sui contegni del socio ed ha, nel contesto della pronunzia, una funzione integrativa del precetto che prevede espressamente la invalidità dell’atto collegiale83. Più ambigua è una recente pronunzia sulla clausola del contratto di leasing che fa gravare sull’utilizzatore il rischio della mancata consegna84. Ma l’ambiguità è contenuta solo nella massima, ove si dice che tale clausola viola il principio di buona fede ed è pertanto invalida. Se si legge con attenzione la motivazione, si trae che la Corte valuta la causa e la meritevolezza di tale pattuizione entro il tipo sociale del leasing, dichiarando per tale carenza la nullità. Il riferimento alla buona fede è solo un obiter dictum, non determinante del giudizio. E la successiva sentenza85, sullo stesso tema, ripete il precedente giudizio senza aggiungere alcunché di nuovo. D’altra parte le recenti decisioni86 sulla riducibilità di ufficio della clausola penale non introducono elementi utili sul nostro problema. La prima riafferma il ruolo centrale della buona fede nella valutazione dell’atto di autonomia, ma entrambe collegano la riduzione ex officio ad un potere del giudice che ha la sua fonte nell’art. 1384 c.c., il quale garantisce l’adeguatezza e la proporzione della sola sanzione dell’illecito che la penale è destinata a prevenire o reprimere. Sicché è assai dubbia una sua estensione analogica87.
La verità è che la buona fede anche nelle motivazioni delle pronunzie della Corte di Cassazione italiana che si sono richiamate, integra le norme di validità e assume un ruolo, decisivo, nel coordinare la disciplina dell’atto e dei contegni e nel ripensare gli elementi strutturali dei nuovi rimedi. La sua violazione, di per sé, non comporta nullità del contratto, ma risarcimento dei danni, come si evince dall’art. 1338 del Codice civile italiano88 e da una recente sentenza della Cassazione italiana89. In essa si precisa che le norme di comportamento a carico di operatori del mercato
81 Riprendo qui alcune osservazioni già contenute nel saggio Giustizia e rimedi nel diritto europeo dei contratti, in
Europa e dir. priv., 2006, p. 62 ss.
82 v. X. XXXXXXX, Squilibrio contrattuale e mala fede del contraente forte, in Contr. e impr., 1997, p. 423: «non può suscitare scandalo che alla violazione della regola di buona fede possa conseguire, in base all’art. 1418 comma 1°, la nullità del contratto o, a norma dell’art. 1419, di singole sua clausole. Da quando la Cassazione ha equiparato il dolo omissivo al dolo commissivo può dirsi acquisito che la violazione della buona fede precontrattuale può produrre effetto invalidante del contratto»; dello stesso autore, Contratto e persona giuridica nelle società di capitali, ivi, 1996, p. 1 ss. Su questa scia si avviano ora alcuni giovani autori v. E. M. PIERAZZI, La giustizia del contratto, in Contr. e impr., 2005,
p. 654; X. XXXXXXX, Il governo giudiziario della discrezionalità contrattuale, in Contr. e impr., 2005, p. 519, il quale richiamando ancora X. XXXXXXX e l’idea della nullità per violazione della buona fede osserva: «quando manca una norma di legge che “disponga diversamente”, la violazione di una norma imperativa comporta nullità, quale forma generale di invalidità a norma dell’art. 1418, comma 1°».
83 x. Xxxx., 00 ottobre 1995, n. 11151, in Giur. comm., 1996, II, p. 329.
84 Cass., 2 novembre 1998, n. 10926, in Foro it., 1998, I, c. 3081.
85 Cass., 6 giugno 2002, n. 8222, in Danno e resp., 2002, p. 941.
86 Cass., 24 settembre 1999, n.10511, in Foro it., 2000, c.1929 ss.; e da ultimo Cass., sez. un., 23 giugno-13 settembre 2005, n. 18128, in Guida al Diritto, 2005, 38, p. 34 ss.
87 V. invece in questo senso X. XXXXXXX, Il governo giudiziario della discrezionalità contrattuale, cit., p. 524.
88 X. XXXXXXX, Buona fede e diritto europeo dei contratti, in Eur. Dir. priv., 2002, 4, p. 915, e ora in X. XXXXXXX, Diritto dei contratti e costituzione europea, cit., p. 166. ss., p. 181 ss.
89 x. Xxxx., 00 settembre 2005, n. 19024, con commento di X. XXXXX, La tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento (ovvero, l’ambaradan dei rimedi contrattuali), in Contr. e xxxx., 2005, p. 892 ss., confermata da Xxxx.,
possono avere natura di ordine pubblico, ma lo strumento di una loro ricezione non è la nullità virtuale. Per una ragione espressa in modo chiaro nella motivazione. L’art. 1418 1° comma “attiene ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, che riguardano la struttura e il contenuto del contratto (art. 1418 2° comma)”. Mentre “i comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l’esecuzione del contratto rimangono estranei alla fattispecie negoziale … e la loro eventuale illegittimità, quale che sia la natura delle norme violate, non può dar luogo alla nullità del contratto…; a meno che tale incidenza non sia espressamente prevista del legislatore”90. Tutto ciò esclude il richiamo della nullità91 la quale esprime sempre la necessaria “inidoneità dell’atto” alla produzione di effetti stabili e permanenti”.
b) Buona fede e inefficacia. Diverso è il problema della possibile inefficacia di una clausola per effetto della inesigibilità di un contegno in mala fede. In tal caso “la clausola negoziale è improduttiva di effetti non in quanto tale, ma ab-extrinseco, per la violazione dell’art.1375, ciò perché “avuto riguardo alle circostanze del caso concreto è contrario al dovere di esecuzione del contratto secondo buona fede, prestare attuazione a quella determinata clausola”92.
c) La correzione del regolamento. Più delicata è la possibilità di correzione o integrazione da parte del giudice, secondo il criterio suggerito dall’art. 4:119 dei Principi di diritto europeo dei contratti. In base a quel modello il giudice, su domanda della parte legittimata all’annullamento, può “modificare il contratto in modo da metterlo in armonia con quanto avrebbe potuto essere convenuto nel rispetto della buona fede e della correttezza”93. È noto che nei vari ordinamenti nazionali il problema è affrontato in modo diverso94, mentre la dottrina italiana si è divisa a lungo a seconda del valore che si riconosce alle fonti legali nella disciplina del contratto95. Anche se l’evoluzione del pensiero ha avvicinato molto le posizioni. Fra chi reputa che l’integrazione può far emergere “quelle conseguenze che appartengono alla normalità dell’operazione economica, in esso espressa”96 e chi ipotizza fonti concorrenti nella costruzione del regolamento contrattuale97, si teorizza uno “svolgimento coerente della logica impressa dalle parti … realizzato attraverso l’imposizione di atti e modalità esecutive conformi a quanto la prassi consolidata degli affari ritiene corretto e perciò dovuto”98.
Questo esito concettuale aiuta la soluzione del problema.
Se la buona fede è considerata nella giurisprudenza italiana99 ed europea100 una regola di governo della discrezionalità del potere dei contraenti101 e se essa, come si è detto, integra, in certi
sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724, con commento di X. XXXXXXX, Regole di validità e di responsabilità di fronte alle Sezioni Unite. La buona fede come rimedio risarcitorio, in Obb. contr., 2008, 2, p. 104 ss.
90 Vedila in X. XXXXX, La tutela del risparmiatore, cit., p. 910.
91 X. XXXXXXX, Invalidità e inefficacia: Modalità assiologiche della negozialità, in Xxx. xxx. xxx., 0000, 0, x. 000.
92 Così X. XXXXXXXX, Regole di efficacia e principio di correttezza nei contratti del consumatore, in Riv. dir. civ., 2006,
p. 131; X. XXXXXXX, Invalidità e inefficacia. Modalità assiologiche della negozialità, ivi, 2003, p. 214. V. anche Cass., 20 aprile 1994, n. 3775, in Foro it., 1995, I, c. 1296, nota di C.M. XXXXXX.
93 Principi di diritto europeo dei contratti, a cura di X. Xxxxxxxxxx, cit., p. 289 ss.
94 Principi di diritto europeo dei contratti, cit., p. 294 ove si rinvia all’art. 1161 del Code civil francese, all’art. 1118 del codice civile lussemburghese, all’art. 3:54 BW, al § 935 ABGB, al § 31 del codice civile portoghese, al § 36 della legge sui contratti dei Paesi nordeuropei e in Danimarca, al diritto giurisprudenziale belga, all’art. 1450 del codice civile italiano.
95 V. sul punto X. XXXXXXXXXXXX, L’integrazione, in I contratti in generale, a cura di X. Xxxxxxxxx, nel Trattato dei Contratti, a cura di X. Xxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 1020 ss.
96 G. B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., p. 281 ss.
97 X. XXXXXX, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969.
98 P. BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, Napoli, 1996, p. 360. X. XXXXXXXXXXXX (L’intergrazione, cit., p. 1022, nota 10), reputa che “l’evoluzione della posizione di questo Autore – rispetto a quella assunta in precedenza nel volume Gli Istituti fondamentali del diritto privato, Napoli, 1970, p. 257 ss. – sarebbe di per sé sufficiente a tracciare le coordinate evolutive del problema dell’integrazione nella recente dottrina civilistica italiana”.
99 X. Xxxx., 00 aprile 1994, n. 3775, in Foro it., 1995, I, c. 1296 (caso Fiuggi) e in particolare le sentenze sulla riduzione d’ufficio della clausola penale Cass., 24 settembre 1999, n. 105111, ivi, 2000, I, c. 1929 e Cass., sez. un., 13 settembre 2005, n.18128, in Guida al diritto, 1 ottobre 2005, n. 38, p. 34 ss.
casi, le stesse norme di validità, non è affatto azzardato affermare che il giudice possa, in alternativa o in conseguenza dell’annullamento di parte del contenuto, operare quelle modifiche conformi alla intrinseca razionalità dell’operazione voluta dalle parti e rese obbligatorie dalla necessità di un agire corretto in quel determinato contesto. Ancora, il dubbio102 se il ruolo della clausola sia interno all’atto di autonomia o ad esso esterno in funzione di controllo, si attenua in considerazione della concreta ratio delle norme103.
Queste considerazioni, tratte dalla disciplina generale del contratto, aiutano ad interpretare l’art. 140 del Codice di consumo ove al punto 1 lett. B, è riprodotto il testo dell’art. 3 della legge n. 281 del 1998, fissando il potere di richiedere al giudice di “adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate”. È noto che non si trae con certezza dalla legge se tale provvedimento possa essere chiesto solo dalle associazioni dei consumatori inserite nell’elenco di cui all’art. 137 o anche tramite le azioni individuali dei singoli consumatori. Il dubbio deriva dal testo del n. 9, ove si precisa che “fatte salve le norme sulla litispendenza, continenza, sulla connessione e sulla riunione dei procedimenti le disposizioni di cui al presente articolo non precludono il diritto ad azioni individuali dei consumatori che siano danneggiati dalle medesime violazioni”104. Il testo della norma potrebbe far pensare ad un doppio binario di tutela, con diversi contenuti, ma un’interpretazione sistematica della norma porta a una conclusione diversa che può seguire questi passaggi argomentativi.
L’art. 2 del Codice del consumo riconosce e garantisce i diritti anche e non solo in forma collettiva e associativa. L’art. 140 n. 1 consente alle associazioni di richiedere l’inibizione di atti e comportamenti lesivi, e l’adozione di misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate. L’art. 140 n. 9 fa salvo il diritto ad azioni individuali che va interpretato tenendo conto della evoluzione dottrinale e giurisprudenziale nazionale e del principio elaborato dalla Corte di giustizia ed espresso ora nell’art. 47 della Carta dei diritti. Come si è già detto, la norma e il principio che essa riafferma esigono che si dia attuazione, in Europa, alla pretesa di un rimedio efficiente, inteso come pretesa ad adeguati strumenti di tutela e idonee configurazioni processuali capaci di garantire la piena soddisfazione dell’interesse azionato105.
7.7. La buona fede nella fase di trattative e della conclusione
Occorre chiarire due aspetti.
• In quale momento sorge il dovere di condotta.
• Se l’azione di responsabilità è esperibile quando il contratto è già concluso.
La norma attribuisce rilevanza a qualsiasi condotta dell’agente “volta ad incidere su di un consenso contrattuale della vittima” e su una condotta finalizzata alla conclusione del contratto. Sicché per trattativa si deve intendere qualsiasi attività collegata ad un futuro contratto.
100 V. per il riferimento delle Corti francesi a forme di solidarismo contrattuale X. XXXXX, La bonne foi contractuelle éclipse e renaissance, in AA.VV., 1804-2004. Le Code civil. Un passé, un présent, un avenir, Xxxxx, 0000, p. 523 ss. Per le corti inglesi, High Court, 26 giugno 2003, e Court of Appeal, 21 maggio 2004, in esecuzione del caso Courage deciso da Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 settembre 2001, in Foro it., 2002, IV, c. 76.
000 X. X. XXXXXXX, Xxxxxxx di contratto e disparità di potere, in Riv. dir. priv., 2005, p. 750 ss.
102 X. XXXXXXXXXX, Prefazione, in Principi di diritto europeo dei contratti, cit., p. XXXVII; ID., Autonomia privata e costituzione, in Europa dir. privato, 2005, p. 49, nota 39, e X. XXXXXXX, Libertà di contratto e disparità di potere, cit., p. 758.
103 V. G. VETTORI, Diritto dei contratti e costituzione europea, cit., p. 136-140.
104V. il commento di X. XXXXXXX, sub artt. 139, 140, 141, in Codice del consumo, Commentario a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 2007.
105 X. XXXXXXX, Giustizia e rimedi nel diritto europeo dei contratti, cit., p. 60.
Più difficile è stabilire quale ruolo rivesta la regola dell’art. 1337 quando il contratto è già concluso.
Si può ritenere anzitutto che la slealtà, conosciuta dalla controparte, sia superata dall’accordo che è stato concluso successivamente. Ma ciò in mancanza di un accertamento specifico da svolgersi nel rispetto dell’onere della prova che incombe sulle parti non elimina il problema della compatibilità fra regola di responsabilità precontrattuale e contratto concluso.
Si è ritenuto sino ad un passato recente che la stessa configurabilità di un’azione ai sensi dell’art. 1337 sia preclusa dalla intervenuta conclusione del contratto106. Ma tale convincimento è stato contraddetto da una parte della dottrina e da una più recente e convincente giurisprudenza di legit- timità, oggi confermata da una pronuncia delle Sezioni Unite107.
La Cassazione108 si è pronunciata sulla mancata osservanza, da parte di intermediari finanziari, degli obblighi di informazione posti dalla legge 2.1.1991 n. 1. E il ragionamento svolto ha seguito le seguenti fasi:
a) tali regole attengono alla fase delle trattative e la loro inosservanza non può determinare nullità anche se hanno carattere imperativo. Ciò perchè “l’art. 1418 e il richiamo della contrarietà a norme imperative quale causa di nullità postula che esse attengano ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, che riguardino cioè la struttura o il contenuto del contratto (1418 2° comma)”. Mentre “i comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l’esecuzione del contratto rimangono estranei alla fattispecie negoziale” Sicché la loro “eventuale illegittimità, quale che sia la natura delle norma violata, non può dar luogo alla nullità del contratto a meno che tale incidenza non sia espressamente prevista dal legislatore”.
b) Si afferma inoltre che non è affatto vero che una volta concluso il contratto non vi sia più possibilità di ottenere un risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 1337. Tale idea, si osserva, si fonda sul presupposto che la rilevanza di tale norma si esaurisca nella sola ipotesi in cui il comportamento abbia impedito la conclusione del contratto o abbia determinato un contratto invalido o inefficace. “Da qui l’idea che la conclusione precluda ogni questione relativa all’osservanza degli obblighi imposti alle parti nel corso delle trattative, in quanto la tutela sarebbe affidata, a partire da quel momento, alle sole norme in tema di invalidità o inefficacia”.
c) In verità “la rilevanza dell’art. 1337 va ben oltre l’ipotesi dell’ingiustificata rottura delle trattative e assume il valore di una clausola generale il cui contenuto non può essere predeterminato in maniera precisa”. Essa implica “il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o anche solo reticenti e fornendo alle parti ogni dato rilevante conosciuto o conoscibile”. Ne deriva che “la violazione di tale regola non può non assumere rilievo anche quando il contratto posto in essere sia valido e tuttavia pregiudizievole per la parte vittima del comportamento scorretto” (1440).
d) Tale conclusione comporta una diversa valutazione del danno risarcibile. In caso di mancata conclusione del contratto sarà dovuto il solo interesse negativo (spese e occasioni perdute) per aver confidato senza colpa nella realizzazione dell’accordo (1338 c.c.). Quando invece il danno derivi “da un contratto valido ed efficace ma “sconveniente” il risarcimento deve essere individuato … nel minor vantaggio o nel maggior aggravio economico determinato dal contegno sleale di una delle parti, salvo la prova di ulteriori danni”.
Tale ragionamento è del tutto convincente ed è preferibile l’idea, non condivisa da tutti, che la conclusione di un contratto valido ed efficace non sia di ostacolo all’azione di responsabilità promossa ai sensi dell’art. 1337.
L’orientamento, come accennato, è stato confermato da una pronuncia a Sezioni unite della Corte di Cassazione109.
106 Cass., 16 aprile 1994, n. 3621, in Corr. giur., 1994, p. 986, nota VITTORIA.
107 Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724, con commento di X. XXXXXXX, Regole di validità e di responsabilità di fronte alle Sezioni Unite. La buona fede come rimedio risarcitorio, cit., p. 104 ss.
108 Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, cit.
Di fronte a norme che impongono obblighi senza precisare le conseguenze della violazione si trattava di indicare il rimedio consentito dal sistema. La Suprema Corte utilizza una semplificazione utilissima. La violazione determina nullità se l’obbligo incide sulla struttura e gli elementi essenziali dell’atto; genera responsabilità se incide su un comportamento delle parti. Ma la vera novità è un’altra.
Si precisa che le regole di validità non esauriscono ogni altra valutazione sui contegni posti in essere nella fase formativa e che la responsabilità precontrattuale o contrattuale può essere affermata anche in presenza di un contratto già concluso e valido.
Ciò significa riconoscere che, a fianco delle norme sui vizi del consenso e la rescissione, coesiste ed opera una regola duttile e primaria che impone di informare, di non approfittare, di non porre in essere pratiche sleali e ingannevoli. In tal caso, pur essendo il contratto concluso e valido ma pregiudizievole per effetto di tali contegni, è possibile richiedere il risarcimento dei danni sofferti. La novità rispetto al passato anche recente è chiara. Si riteneva e si ritiene che le norme di validità esauriscano e assorbano ogni altra valutazione e che sia dunque impossibile affermare il dovere di risarcire per fatti posti in essere prima di un contratto concluso e valido. Ciò sarebbe contrario ad un’esigenza di certezza e stabilità delle relazioni giuridiche. Ma il giudicato delle Sezioni Unite fa oggi chiarezza con una pronunzia che sottende una precisa ratio.
Si tende, in presenza di comportamenti scorretti, a conservare il contratto e a riequilibrare l’operazione economica con il risarcimento che può avere una precisione chirurgica secondo una linea coerente con il principio del cumulo dei rimedi affermato nelle fonti e nei principi europei. La Corte di Giustizia europea, nel caso Courage, in presenza della domanda di risarcimento di una parte di un contratto viziato da nullità ha ritenuto possibile cumulare le due azioni superando la tradizione di civil law ove “l’invalidazione è destinata a prevenire e sostituire il risarcimento”110. Ancora, nel testo di Common frame of reference si afferma con chiarezza la cumulabilità dei rimedi che non siano fra loro incompatibili (art. III- 3:102), secondo una logica che ammette,in caso di lesione di un interesse protetto, tutte le tutele che sia possibile esperire salvo le ipotesi di incompatibilità logica.
Certo un tale indirizzo necessita di correttivi che è già possibile prefigurare. Innanzi tutto contro il timore di un’ eccessiva discrezionalità del giudice occorre ricordare due aspetti.
Il giudice deve accertare su impulso di parte l’esistenza di un comportamento scorretto e ciò in base ad un giudizio, non di fatto ma di diritto secondo un procedimento e una motivazione che è censurabile sotto il profilo della legittimità. Sicché l’accertamento della buona o male fede è regola di diritto al pari di qualsiasi altro giudizio.
D’altra parte, la vicenda andrà esaminata in base alle circostanze specifiche e alla concreta condotta di entrambe le parti. Se la conclusione del contratto è avvenuta con la piena consapevolezza di entrambi i contraenti dell’esistenza di comportamenti scorretti non si potrà poi sollevare la violazione della buona fede senza venire contra factum proprium.
Queste ed altre accortezze sono del tutto idonee a consentire giudizi equilibrati e ragionevoli.
109 Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724, con commento di X. XXXXXXX, Regole di validità e di responsabilità di fronte alle Sezioni Unite. La buona fede come rimedio risarcitorio, cit., p. 104 ss. Vedi anche Cass., 8 ottobre 2008, n. 24795, in Foro it., 2009, 2, c. 440.
110 Così A. DI MAJO, Le obbligazioni, cit., p. 141.
Giurisprudenza
«I comportamenti illegittimi tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l’esecuzione del contratto, quale che sia la natura della norma violata, essendo estranei alla fattispecie negoziale, non danno luogo alla nullità del contratto, a meno che tale incidenza non sia espressamente prevista dal legislatore, come nel caso dell’inefficacia delle clausole vessatorie non oggetto di specifica trattativa nei contratti dei consumatori» (Cass., sez. I, 29 settembre 2005, n. 19024, cit.).
«La violazione del dovere di comportamento secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto rileva non solo nel caso di rottura ingiustificata delle trattative o di conclusione di un contratto invalido, ma anche quando il contratto concluso sia valido» (Cass., sez. I, 29 settembre 2005, n. 19024, cit.).
«Nel caso di conclusione di valido contratto il risarcimento del danno derivante da responsabilità precontrattuale va ragguagliato al minor vantaggio o al maggior aggravio economico determinato dal comportamento scorretto» (Xxxx., sez. I, 29 settembre 2005, n. 19024, cit.).
«La violazione dei doveri d’informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni, che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario, può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, ove tali violazioni avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto d’intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti. Può, invece, dar luogo a responsabilità contrattuale ed eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazioni riguardanti operazioni di investimento o disin- vestimento compiute in esecuzione del contratto d’intermediazione finanziaria in questione. In nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei suaccennati doveri di comportamento può, però, determinare la nullità del contratto d’intermediazione o dei singoli atti negoziali conseguenti, a norma dell’art. 1418, comma 1, c.c.» (Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit.).
7.8. Tipologia della condotta
Il recesso ingiustificato dalle trattative.
Esiste un orientamento consolidato in giurisprudenza che individua due aspetti per la valutazione di illegittimità del recesso.
a) la parte deve aver potuto contare su di un affidamento legittimo sulla conclusione del contratto. Sicché vi debbono essere stati elementi non equivoci di carattere obbiettivo tali da qualificare la legittimità dell’affidamento in base alla qualità e quantità dei rapporti intercorsi. Avrà rilievo dunque la frequenza dei contatti, l’aver preso in esame tutti gli elementi essenziali del contratto, l’aver redatto una minuta, l’aver consegnato la cosa o versato parte del prezzo e così via.
b) il recesso non deve essere conforme a buona fede e ciò si verificherà, ad esempio, “quando non è verificabile alla luce di circostanze oggettive” e si basi solo su di una diversa valutazione di convenienza che poteva essere operata prima di proseguire i contatti. Legittimo sarà invece il recesso giustificato da sopravvenienze esterne che non rendono più conveniente l’affare.
Dalle opere più significative sul contratto si trae la seguente casistica.
a) Doveri di informazione.
“La parte che conosce (o dovrebbe conoscere) dati rilevanti per la valutazione del contratto da parte dell’altro contraente e sa (o dovrebbe sapere) che questa invece li ignorava ha il dovere di informare la controparte”111. Occorre però delimitare tale doverosità perché non ogni reticenza è illecita.
Tra il dovere di informare sui soli fatti che siano capaci di incidere sulla validità o sull’efficacia (1338) e il dovere di fornire sempre e comunque ogni informazione occorre attribuire un ruolo alla buona fede nel selezionare ciò che deve essere oggetto di un’informazione. Il giudizio non è sempre facile ma esistono doveri speciali in determinati settori di attività (operatori finanziari, coloro che intendono e debbono proporre un OPA, i contratti dei consumatori).
b) Dovere di verità, che si specifica in un dovere di chiarezza, di segretezza, di custodia.
c) Conclusione di un contratto non conveniente perché frutto di inganno (1440) o di un errore anche non essenziale ma determinato da un’omessa o falsa informazione.
d) L’ambiguità.
7.9. Natura della responsabilità precontrattuale
È un problema controverso da sempre. In Francia, ove “si può estendere il campo della responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art.1382 e si restringe la colpa contrattuale all’inadempimento del contratto” si propende per la natura extracontrattuale.
In Germania, invece, “si restringe l’illecito alla lesione di un diritto assoluto e si estende la figura della colpa contrattuale all’inadempimento di qualsiasi obbligazione” sicché si fa discendere la responsabilità pre-contrattuale da un obbligo provvisorio assunto con il fatto di prendere parte ad una trattativa”.
La Corte di Giustizia112 si è pronunziata per la natura extracontrattuale.
La Cassazione italiana propende per la natura extracontrattuale e le Sezioni Unite113 hanno manifestato un preciso orientamento. Se la parte non ha qualificato l’azione di responsabilità, deve ritenersi proposta l’azione di responsabilità extracontrattuale tutte le volte che non sia emersa una precisa scelta del danneggiato in favore di quella contrattuale”. Sicché per aversi responsabilità contrattuale occorre che la domanda “sia fondata sull’inosservanza di una precisa obbligazione contrattuale”.
Si deve ricordare peraltro che le recenti sentenze in tema di distinzione fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale inducono a ripensare questo orientamento. Significativo è quanto affermato da una sentenza delle Sezioni unite della Cassazione114: “È opinione oramai quasi unanimemente condivisa dagli studiosi quella secondo cui la responsabilità nella quale incorre il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta (1218 c.c.) può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l’obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto … ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa dipenda dall’inesatto adempimento di un’obbligazione preesistente quale ne sia la fonte” … In base a tale ricostruzione la giurisprudenza ha ritenuto che sussista responsabilità contrattuale anche “in presenza di violazione di obblighi nascenti da situazioni (non già di contratto bensì) di semplice contatto sociale, ogni qual volta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere, in tali situazioni, un determinato comportamento”115. “Ne deriva che la
111 X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 180 ss.
112 CGCE, 17 settembre 2002, in Giur. It., 2003, p. 1321.
113 Cass., S.U., 12 marzo 2001, n. 99, in Danno e resp., 2001, p. 580, nota BONA.
114 Cass., 26 giugno 2007, n. 14712, in Corriere giur., 2007, p. 1706, nota X. XX XXXX.
115 Si pensi ad esempio al medico dipendente della struttura ospedaliera: Xxxx., sez. un., 15 gennaio 2006, n. 577, in
Resp. civ. e prev., 2008, n. 849; Cass., 19 aprile 2006, n. 9085, in Resp. e risarcimento, 2006, fasc. 6, 64; Cass., 24
distinzione fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale sta essenzialmente nel fatto che quest’ultima consegua dalla violazione di un dovere primario di non ledere ingiustamente la sfera di interessi altrui, onde essa nasce con la stessa obbligazione risarcitoria, laddove quella contrattuale presuppone l’inadempimento di uno specifico obbligo giuridico già preesistente e volontariamente assunto nei confronti di un determinato soggetto.”
Seconda tale ricostruzione, che è sicuramente condivisibile, fra le parti di una trattativa è possibile riconoscere l’esistenza di un rapporto qualificato da un obbligo di comportamento secondo buona fede (1337 c.c.). Xxxxxx è preferibile affermare la natura contrattuale di tale responsabilità.
Conclusione
La pronuncia del 2005 e la più recente sentenza a Sezioni Unite del 2007 che considerano esperibile un’azione ai sensi dell’art. 1337 c.c., anche quando il contratto sia già stato concluso (e purché si provi l’esistenza di un preciso nesso di causalità fra comportamento in mala fede del contraente e svantaggio dell’altra parte), vanno sottolineate con forza. Convincente, in base a quanto si è detto poc’anzi, è anche la natura contrattuale di tale forma di responsabilità.
7.10. La buona fede nella esecuzione del contratto
L’art. 1375 prevede che il contratto deve essere eseguito in buona fede.
Nella fase esecutiva del rapporto, la tendenza giurisprudenziale non è meno netta. Scorrettezze, eccezioni di dolo, abuso del diritto hanno un riconoscimento esplicito entro l’area della clausola di buona fede in esecutivis con funzione correttiva. La massima della Cassazione è ancora chiarissima ed è volta ad attribuire al rimedio efficacia generale.
È utile richiamare il contenuto di una recente pronuncia116.
La violazione del dovere di comportamento imposto dal principio di buona fede (art. 1375) è già di per sé inadempimento e può comportare l’obbligo di risarcire il danno cagionato a causa della violazione medesima. Esso opera, quindi, come un criterio di reciprocità che, nel nuovo quadro di valori introdotto dalla Carta costituzionale, costituisce specificazione degli “inderogabili doveri di solidarietà sociale” tutelati dall’art.2 Cost.: la sua rilevanza si esplica nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge; la buona fede, quindi, si pone come governo della discrezionalità nell’esecuzione del contratto nel senso che essa opera sul piano della selezione delle scelte discrezionali dei contraenti, assicurando che l’esecuzione del contratto avvenga in armonia con quanto emerge dalla ricostruzione dell’operazione economica che le parti avevano inteso porre in essere, filtrata attraverso uno standard di ragionevolezza.
Si distingue una figura di dolo commessa al tempo della conclusione del contratto (seu praeteriti) volta ad ottenere l’annullamento o il risarcimento del “danno prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell’obbligo di buona fede”117 da una figura diversa e generale. L’exceptio doli generalis (seu preasentis) che è indicato appunto come “rimedio generale,diretto a precludere l’esercizio fraudolento o sleale dei diritti di volta in volta attribuiti dall’ordinamento”, con un preciso fondamento. Contenere “azioni giudiziarie pretestuose o palesemente malevole, intraprese, cioè, all’esclusivo fine di arrecare pregiudizio ad altri o contro ogni legittima ed
maggio 2006, n. 12362, in Foro it. Online; Cass., 28 maggio 2004, n. 10297, in Foro it., 2005, I, 2479; Cass., 22 gennaio 1999, n. 589, in Foro it., 1999, I, 3332; o, ancora, al sorvegliante dell’incapace: Cass., 18 luglio 2003, n. 11245, in Nuova giur. civ., 2004, I, 49
116 Cass., 11 febbraio 2005, n. 2855, in Giur. it., 2005, p. 1810, nota XXXXXXXXXX.
117 Cass., 7 dicembre 2007, n.5273, in Guida al diritto, 2007, 20, p. 64.
incolpevole aspettativa altrui”. La casistica richiama il contegno di chi tace “nella prospettazione della fattispecie controversa situazioni sopravvenute alla fonte negoziale modificative o estintive del diritto fatto valere (Cass., 1 ottobre 1999, n. 10864, in Contratti, 2000, 139), richieste di pagamento risultanti prima facie abusive o fraudolente in caso di contratto autonomo di garanzia (Cass., 21 aprile 1999, n. 3964, in Riv. Not., 1999, 1271), divieti di venire contra factum proprium (Cass., 8 novembre 1984, n. 5639, in Foro it., 1985, I, 2050)118. L’ambito della clausola è dunque esteso con un unico limite ancora non varcato.
Si hanno ancora dubbi, forse giustificati, nell’ammettere l’eccezione in caso di diritto a lungo esercitato ma non prescritto e nell’ipotesi di eccezione di nullità di un atto che ha prodotto effetti di cui la parte si è giovata senza aver eccepito alcunché per un lungo periodo di tempo.
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Si può solo concludere che le clausole generali sono uno strumento utile e rigoroso la cu centralità è espressamente richiamata nella relazione annuale del Primo Presidente della Corte d Cassazione dell’anno 2007, ove si osserva che la buona fede non può non avere un’attenzion privilegiata in vari settori e con varie modalità:
• come valutazione dei contegni in tutta la fase antecedente e successiva all’atto di autonomi (Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724, in Foro it., 2008, I, 78);
• come mezzo di tutela rafforzata del cittadino nei confronti del gestore di servizi pubblici (Cass., 8 novembre 2007, n. 23304, in Foro it. Online).
• Come principio che può addirittura incidere sul reparto dell’onere probatorio. Nei contratti bancari (Cass., 10 maggio 2007, n. 10692 e Cass., 2 febbraio 2007, n. 2317, entrambe in Foro it. Online) in tema di validità della pattuizione di interessi ultralegali viene ribadita “una definizione rigorosa dell’onere della prova a carico della banca, fondata oltre che sulla necessità del rispetto del principio della buona fede, sul principio di prossimità della prova, che informa tutte le tipologie di contratti caratterizzate da una forte asimmetria informativa e documentale tra le parti”.
• Come regola di condotta non solo di diritto sostanziale ma anche “di diritto processuale capace di precludere condotte abusive del creditore nella fase di tutela giudiziale contrastanti anche con il principio del giusto processo”(Cass., 15 novembre 2007, n. 23726, in Foro it., 2008, I, 1514, nota di X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX)119.
8. La responsabilità precontrattuale: la svolta giurisprudenziale e le resistenze dottrinali.
8.1. Regole di responsabilità e di validità
La Corte di Cassazione, a sezioni unite, ha pubblicato alla fine del 2007120 due sentenze che debbono essere segnalate per il rigore e l’equilibrio nel tracciare i confini fra le vecchie categorie e i nuovi rimedi.
Il caso concerne i contratti di investimenti e la violazione degli obblighi di informazione 121posti a carico degli intermediari finanziari, ma la decisione va oltre tale vicenda e offre un ripensamento decisivo sul rapporto fra regole di responsabilità e di validità e sull’obbligo di buona fede nella fase pre-contrattuale.
Cerchiamo di cogliere gli aspetti più significativi cominciando dal primo.
Come è noto la legge pone a carico degli intermediari finanziari obblighi di informazioni sempre più accentuati e analitici ma non si è mai pronunziata espressamente sulla nullità dei contratti conclusi in violazione di tali doveri. Ciò a partire dall’art. 6 della legge n. 1 del 1991, poi sostituito
118 Vedi l’elenco dei precedenti in Cass., 7 marzo 2007, n. 5273, in Guida al diritto, 2007, 20, p. 64.
119 v. X. XXXXXXX, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2007, Roma, 25 gennaio 2008, p. 445-46.
120 Cass. sez. un. 19 dicembre 2007 n.6725 e 6724. Nel testo si farà riferimento in particolare alla prima.
121 V.sul punto in questa Rivista G.Xxxxxxx, Contratti di investimento e rimedi, in Obb.cont.,2007,10,785 ss.
dall’art. 23 del d.lgs n.58 del 1998, sino al recentissimo d.lgs n.164 del 2007 che attua le Direttive MIFID. Da qui la diversità di soluzioni in ordine al trattamento di tali contratti e la decisioni recenti che si aprono al futuro con una riflessione attenta sulle tradizionali categorie.
Sono note le opinioni diverse espresse di recente dai giudici di legittimità.
Una prima sentenza della Cassazione aveva privilegiato la responsabilità e il risarcimento perché
,si era detto, i comportamenti delle parti nel corso delle trattative o durante l’esecuzione del contratto rimangono estranei alla fattispecie negoziale e la loro eventuale illegittimità non può dar luogo a nullità122.
Una successiva ordinanza123 ha rilevato, invece, l’erosione costante, nella legislazione speciale, della netta distinzione fra regole di responsabilità e di validità e ha sottolineato come spesso la violazione di doveri di comportamento è sanzionata dalla legge con la nullità dell’ atto. Si è posto così in discussione il precedente e ha vacillato l’idea che la nullità non possa essere affermata per la violazione di un dovere di tenere un determinato contegno 124.
Le Sezioni Unite hanno inteso riaffermare la distinzione fra regole di comportamento e regole di validità. Con un correttivo importante.
Si osserva che la violazione delle norme di comportamento nella fase di formazione e di esecuzione del rapporto, ove non sia altrimenti stabilito dalla legge, non determina nullità ma responsabilità e può essere causa di risoluzione del contratto quando non siano correttamente adempiuti il dovere di protezione e gli specifici obblighi di prestazione gravanti sul contraente.
Ciò si ricava da un attenta ricognizione dei principi del codice civile e in particolare dell’ obbligo di buona fede, esaminato come vero prototipo delle regole di comportamento. Di tali norme ( 1337 e 1375 c.c.) si precisa il contenuto e le conseguenze. Si ribadisce il loro valore di “principio immanente dell’intero sistema giuridico” che ha base nel dovere di solidarietà fissato nell’art. 2 della Costituzione e si ricorda che la violazione di quella clausola generale si può riflettere in casi specifici sugli effetti dell’atto ( determinando annullabilità per dolo, rescissione o risoluzione), ma non produce mai nullità radicale pur avendo carattere imperativo.
La conclusione è che la violazione della correttezza determina , in ogni caso, responsabilità (contrattuale o pre-contrattuale ) ed eventuale risoluzione del contratto. Ed x ovvio , secondo la Corte, il perché .
“ Il dovere di buona fede ed i doveri di comportamento in generale, sono troppo ..legati alle circostanze del caso concreto per poter assurgere, in via di principio, a requisiti di validità che la certezza dei rapporti impone di verificare secondo regole predefinite”.
Né tale considerazione è vanificata, secondo i Giudici di legittimità, dalle novità legislative in base ad un argomento convincente. L’evoluzione della legislazione speciale che spesso ingloba nelle regole di validità la violazione della buona fede e dei doveri di comportamento non è di per sé decisiva per un motivo chiaro. Dalle norme speciali non si può ricavare un principio applicabile a settori diversi e nulla autorizza a trarre dalle nuove disposizioni , contenenti per lo più nullità speciali, regole generali in contrasto con la impostazione del codice civile.
Resta da rimarcare un aspetto decisivo della motivazione. Un chiarimento che supera la tradizionale partizione dogmatica se solo si ha la pazienza di dedicare una lettura attenta alla motivazione. Vediamola da vicino.
La sentenza ha piena consapevolezza che l’area delle “norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto ( art. 1418, comma 1,) è più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo”. Si osserva che vi sono comprese sicuramente anche “le norme che, in assoluto,oppure in presenza o in difetto di
122 Cass. 29 settembre 2005, n.19024, in Foro it., 2006,I,11005, con nota di Scxxxxxx.
123 Cass. (ord.) 16 febbraio 2007,n. 3683.
124 Per questa vicenda G.Xxxxxxx, Contratti di investimento e rimedi, cit,785 ss.
determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto ” e il lettore deve fare attenzione a questo passaggio.
Se la norma vieta di stipulare l’atto di autonomia, continua la Corte, siamo al “ di fuori di comportamenti afferenti alla fase di conclusione o di esecuzione ”, poiché in tal caso “ non è il comportamento in concreto tenuto dalla parte a provocare la nullità del contratto stesso bensì il tenore della clausola in esso prevista”.
Ebbene se si leggono controluce queste osservazioni si trae che la distinzione tradizionale fra norme di comportamento e di validità è utilizzata ma corretta (anche se in modo non chiarissimo). Dalla motivazione si può comunque trarre il seguente ragionamento.
La violazione di regole di comportamento nella fase di conclusione ed esecuzione del contratto genera ,di massima, una responsabilità. Può accadere che la legge vieti, senza disporre l’invalidità, un risultato negoziale attraverso la rilevanza di alcune circostanze soggettive e in tal caso occorre distinguere.
La clausola contraria al divieto può essere dichiarata nulla ai sensi dell’art. 1418 1 comma c.c. in base ad una valutazione da operare, caso per caso, confrontando la ratio della norma con il risultato programmato125 dalle parti. Il comportamento formativo o esecutivo di tale assetto va valutato, invece, in base al dovere di buona fede ( 1337 e 1375 c.c.) per accertare l’esistenza di una responsabilità e di un danno126.
Con questa chiave di lettura la motivazione è condivisibile perché fondata su di una premessa non espressa dalla sentenza ma logicamente necessaria.
Ogni assetto di interessi privato va esaminato come atto, in base ad una valutazione strutturale di validità e come insieme dei contegni formativi ed esecutivi in base ad una valutazione dinamica che può condurre ad una pronunzia di responsabilità . Ciò perchè la disciplina dell’ atto e dei contegni è diversa, come autonome e cumulabili sono le due valutazioni di validità e di responsabilità127.
Questa consapevolezza è del tutto innovativa, nelle pronunzie dei legittimità, come innovativo è il ruolo che si assegna alla responsabilità pre-contrattuale.
La sua coesistenza con la validità del contratto e dunque il suo cumulo con le regole di validità è una svolta radicale della giurisprudenza che si affianca alla dottrina che da tempo aveva sollecitato tale orientamento128.
8.2. La coesistenza fra contratto valido e la responsabilità per la violazione della buona fede nelle trattative.
La novità vera è dunque questa.
Le regole di validità non esauriscono ogni valutazione sui contegni della parti nella fase formativa del contratto. Anzi. A fianco delle norme rigide sui vizi del consenso, sulla incapacità e sulla rescissione coesiste e opera una regola duttile e primaria che impone di non approfittare , di
125 Tutto ciò sollecita l’abbandono di molti schemi logici del passato e pone al centro della riflessione la ratio della norma e l’adeguatezza del rimedio che essa configura. Per decidere sulla nullità o meno si dovrà accertare se la legge non disponga una conseguenza diversa (art.1418 1°comma), se in divieto rappresenta la finalità essenziale per la protezione dell’interesse, se vi è congruenza fra invalidità dell’atto e protezione degli interessi tutelati. Ne segue che la distinzione fra atto e comportamento, validità e responsabilità, deve essere adattata alla complessità delle fonti e egli interessi protetti. V. per tali aspetti X. Xxxxxxxxxx, Nullità speciali, Milano,1995,43; Filanti, Inesistenza e nullità del negozio giuridico, Napoli,1983;Id.Nullità (diritto civile), in Enc.giur.,XXI, Roma,1990;Xxxxxxx, Invalidità e inefficacia: Motalidà assiologiche della negoziazione, in Riv.dir.civ.,2003,,2,210; G.Xxxxxxx, Contratti di investimento e rimedi, cit.787,788.
126 G. Xxxxxxx, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese, cit., p.46-56; Id. Le asimmetrie informative tra regole di validità e regole di responsabilità, in Riv.dir.priv.,2003.
127 G. Xxxxxxx, Anxxxxx x tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese,cit.46.
128 Sul punto Scoditti,Regole di comportamento e regole di validità: i nuovi sviluppi della responsabilità precontrattuale, in Foro it.,2006,I,1105.
non usare pratiche sleali ingannevoli o aggressive129. Sicché la partizione tradizionale (fra regole di comportamento e di validità) esce innovata e potenziata.
Tutto ciò non è affatto un ritorno alla tradizione.
In passato , e in alcune opinioni recenti, non si giustificava altro controllo sui contegni formativi quando il contratto era già stato concluso. Ciò perché si diceva che le norme di validità avrebbero in tal caso assorbito ogni altro giudizio130.
Gli argomenti utilizzati erano sostanzialmente due. Da un lato si era osservato che la responsabilità per scorrettezze pre-negoziali, in presenza di un contratto valido, avrebbe eroso la certezza e stabilità dei rapporti spostando il controllo della libertà contrattuale, dalle fattispecie di validità al dovere di buona fede di incerta individuazione131. Dall’altro si era sostenuto addirittura che la coesistenza di un illecito in presenza di contratto di trasferimento valido avrebbe comportato “ un eclissi nella coscienza dei valori che si connettono alla libera circolazione dei beni”.132
Ma è proprio tale considerazione che è esclusa dalle Sezioni Unite.
Dalla sentenza emerge con chiarezza che è sempre possibile un rimedio risarcitorio ( ai sensi dell’art. 1337 c.c.) quando “ il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto”.
Con ciò si vuol ribadire due aspetti fondamentali.
La “risarcibilità del danno da scorrettezza”133 in “ funzione correttiva dell’equilibrio economico risultante dal contratto” è “ compatibile con il principio di certezza e stabilità dei fatti giuridici”, perché validità e responsabilità “operano su piani diversi e non possono entrare in contraddizione”134. Le prime regole concernono la struttura e dunque gli “effetti del titolo rilevante per l’ordinamento e per i terzi”135; stabiliscono, insomma, la validità e l’ efficacia immediata e prevalente di un acquisto compiuto nel rispetto della legge di circolazione136.
Le seconde, ai soli fini risarcitori, valutano un comportamento in mala fede dell’acquirente. Tale giudizio non incide sul controllo strutturale dell’atto di autonomia o sulla conformazione della proprietà e può essere considerato un “eclisse nella coscienza dei valori”137 solo da chi non era in sintonia, già allora, con il sistema e il diritto vivente affermato, ora, dalle Sezioni Unite della Cassazione138.
Ma seguiamo ancora la motivazione della Corte che “vuol dare continuità” ad una precedente pronunzia del 2005.
129 v. già Cass.7.3.2007 n.5273 e la massima riferita nella nota n.21
130 V. in particolare X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Dottrine generali del diritto civile,Napoli, 1983,171; Cariota-Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano,Napoli,1961,p.28; P.Barcellona, Profili della teoria dell’errore nel negozio giuridico,Milano,1962,p.209 ss.; X.Xxxxxxxxx, L’errore nella dottrina del negozio giuridico,Padova,1963,p.104 ss.
131 G. X’Xxxxx, “ Regole di validità” e principio di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996,245 ss.; Id., Buona fede “in contrahendo”, in Riv.dir.priv.,2003,351 ss.:
132 Così testualmente A. Xxxxxxx, Il diritto di proprietà ,in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni, Milano, 1995,p. 744-745.
133 E. Xxxxxxxx, Regole di comportamento e regole di validità: i nuovi sviluppi della responsabilità precontrattuale, op. cit.
134 E. Xxxxxxxx, op. cit.
135 E. Xxxxxxxx, op..cit.; e G.Xxxxxxx, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese, cit. p. 98 ss.
136 G. Xxxxxxx, voce “Opponibilità” ,in Enc. Giur. ,1999,p.11.
137 A. Xxxxxxx, Il diritto di proprietà, cit., p. 745.
138 Per quanto mi concerne avevo utilizzato la distinzione fra atto e comportamento nell’analisi degli strumenti di controllo della libertà contrattuale ( G.Xxxxxxx, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese, cit. p. 83 ss:) e lo stesso schema avevo impiegato per analizzare la responsabilità del secondo acquirente in mala fede ( G.Xxxxxxx, Efficacia ed opponibilità del patto di preferenza, Milano, 1986, 163; Id Voce Opponibilità, in Enc.giur.,1999,p.11). Tale metodo è stato oggetto di un perfido e scxxxxx xommento che considerava “la distinzione fra il regime dell’ atto e la valutazione del comportamento” una “trappola nominalistica”, meritevole di ogni riprovazione. (A.Xxxxxxx, Il diritto di proprietà, cit. p. 745 nota ). La sentenza delle Sezioni Unite è la migliore risposta a quelle velenose critiche.
8.3. Le asimmetrie informative e la regola di buona fede.
Nel caso di asimmetria di tipo informativo i problemi sono essenzialmente due: quando scatta l’obbligo di informazione e quali conseguenze sono ipotizzabili per la violazione139.
La soluzione del primo quesito dipende da alcune variabili dell’affare, dalla natura dell’informazione ( se questa concerne ,ad esempio, un profitto di chi deve informare o una perdita di chi deve essere informato) e dalla qualità delle parti ( se uno o entrambi sono professionisti)140, ma dipende anche dal ruolo che si riconosce alla buona fede.
Le Corti inglesi continuano a distinguere la violazione di un diritto dalla violazione di un obbligo morale, in ossequio alle legittime aspettative del mondo degli affari141. I giudici continentali sono invece sensibili al dovere di correttezza142 e la sentenza in esame attribuisce ad essa un compito primario .
Quanto alle conseguenze della violazione la Cassazione ha un’idea precisa ,come si è chiarito. Il contegno scorretto “assume rilievo non soltanto nel caso di rottura delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido o inefficace, ma anche se il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto; ed in siffatta ipotesi il risarcimento del danno deve essere commisurato al minor vantaggio, ovvero al maggior aggravio economico prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell’obbligo di buona fede”.
Nel leggere la motivazione si ha l’impressione di un felice sintesi fra passato e futuro in un ottica rimediale143.
Per capire che cosa intendo, con questa espressione, è necessario ricordare 144 che un tale approccio non incide sull’ an della protezione ma solo sulle modalità di applicazione della tutela più efficiente. Ciò significa che il rimedio non si sostituisce al diritto o all’obbligo sostanziale ma intende fornire un piano di tutela adeguata, in presenza di violazioni di interessi e diritti, specie in presenza di forme complesse e fondamentali e di nuovi beni da tutelare.
Proprio seguendo questo metodo la Cassazione in tema di responsabilità precontrattuale disciplinata dall’art.1337 c.c. ha recepito risultati indicati da una parte della dottrina145 foggiando
139 G.Xxxxxxx, Le asimmetrie informative fra regole di validità e regole di comportamento, cit.
140 X.Xxxxx,X’informazione precontrattuale: spunti di diritto italiano e prospettive di diritto europeo, in Riv.dir.priv.,2004,4,p.p.753-757. Il diritto comunitario si propone di eliminare ogni barriera conoscitiva fra professionista e consumatore e affida spesso al contratto il compito di trasmettere le informazioni indispensabili al corretto funzionamento del mercato e all’equilibrio dei rapporti.
000 X.Xxxxx, Xx diritto commerciale del terzo millennio,Milano,2003,p.23ss,51 ss.
142 v. da ultimo Cass.7.3. 2007 n.5273 che da rilievo ( parlando di exceptio doli generalis seu praesentis) al dolo “come rimedio di carattere generale utilizzabile anche al di fuori delle ipotesi espressamente codificate, e diretto a precludere l’esercizio fraudolento o sleale dei diritti ..paralizzando l’efficacia dell’atto che ne costituisce la fonte o giustificando il rigetto della domanda giudiziale fondata sul medesimo, ogniqualvolta l’attore abbia sottaciuto situazioni sopravvenute al contratto…ovvero abbia avanzato richieste di pagamento prima facie abusive o fraudolente, o ancora abbia contravvenuto al divieto di venire contra factum proprium”
143 v. X.Xxxxxx,X Rimedi, in I diritto soggettivo, nel Trattato di diritto civile ,dir.da R. Xxxxx,Xorino, 2001, p.105ss.;A. Di Majo, Il linguaggio dei rimedi, in Europa dir. priv.,2005,2,p.341 ss.;Id,Adempimento e risarcimento nella prospettiva dei rimedi, ivi, 2007, p 2 ss.;X. Xxxxxxxxxx, Sapere complesso e tecniche rimediali, ivi, 2005, p.605 ss.;P.G. Monasteri, Ripensare il diritto civile, Torino, 2006, p.
144 X.Xxxxxx, op. cit. ,p.108.
145 mi permetto di richiamare ancora G. Xxxxxxx, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese, cit. p. 83 ss ma in particolare x. Xxxxxxx, Culpa in contraendo, in Contratto e impr.,1987,298 , e Maxxxxxxx, “Vizi incompleti” del contratto e rimedio risarcitorio, Torino, 1995 a cui si deve la più compiuta ricostruzione concettuale sul punto Cass.29 settembre 2005,n. 19024 e il commento di X. Xxxxxxxx, La responsabilità pre-contrattuale: una nuova stagione, in La responsabilità civile ,2006, 4, p. 295 ss.
un nuovo ed efficiente rimedio contro la slealtà , l’abuso e la mala fede nella fase precedente la stipulazione del contratto.
Nella sentenza si stabilisce che il risarcimento è “ il mezzo per correggere il risultato lesivo dovuto al contegno scorretto”146. Da qui la conseguenza che il giudice deve ripristinare non solo l’interesse negativo, ma l’interesse positivo della parte vittima del comportamento in mala fede a non “ essere coinvolto nelle trattative di un contratto valido ma sconveniente”. Sicchè il danno deve essere commisurato al “minor vantaggio o al maggior aggravio economico determinato dal contegno sleale di una parte”147.
La ratio è chiara.
Si tende a conservare l’operazione economica e la validità dell’accordo e a riequilibrare il contratto attraverso il risarcimento che può avere, si è detto, una precisione chirurgica.
A ben vedere tale indirizzo è espressione della tendenza radicata alla espansione del rimedio per equivalente che esalta il valore economico dell’affare sino a prevalere sul controllo giuridico dell’atto. Ma passaggi ulteriori possono essere tracciati.
Superato il dogma dell’egemonia della fattispecie e attribuita autonoma rilevanza ai contegni formativi ed esecutivi del regolamento è in questa area che si devono valutare squilibri e scorrettezze . Resta da precisare la natura di questa responsabilità.
8.4. Natura della responsabilità contrattuale e onere della prova.
La natura della responsabilità è controversa da sempre.
La Corte di Giustizia si è pronunziata per l’area extracontrattuale148 ed anche la Cassazione italiana ha preso posizione, in passato, in tal senso.149 Con una conseguenza. Si era stabilito che l’onere di provare la corrispondenza del comportamento ai canoni della buona fede, gravasse non su chi era receduto dal contratto ma sull’altra parte. L’orientamento era in linea con la tradizione. Il fatto di cui si discuteva era il recesso ingiustificato dalle trattative e la natura della responsabilità non poteva che essere aquiliana perché, si era detto, il contratto non era concluso. La questione va ora affrontata alla luce delle novità giurisprudenziali più recenti.
Anzitutto la sentenza del 2005150, confermata dalle Sezioni Unite di cui si discute, ma non solo. Si deve ricordare che le recenti sentenze in tema di distinzione fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale inducono a ripensare questo orientamento. Significativo è quanto affermato da una recente sentenza 151 sulle ipotesi di contato sociale. Fra le quali è possibile comprendere la fase della conclusione del contratto, se si considera quanto segue. Le trattative creano un contatto
146 X.Xxxxxxxx,xp.cit.,p.299
147 Cass. 29 settembre 2005,n. 19024, cit.; V. anche X. Xxxxx, L’interesse negativo nella culpa in contraendo (verità e distorsioni della teoria di Xxxxxxx xel sistema tedesco e italiano), in Riv.dir.civ.,2007,194.
148 Corte di Giustizia, 17.9.2002, in Giur. It. 2003, 1321
149 Cass. 5 agosto 2004 ,n.15040, in Danno e resp.,2005,597 con nota di Paxxxxxxx.
150 Cass.29.9.2005 n. 19024 cit.
151 Cass. 26 giugno 2007 n14712“E’ opinione oramai quasi unanimemente condivisa dagli studiosi quella secondo cui la responsabilità nella quale incorre il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta (1218c.c.) può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l’obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto….ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa dipenda dall’inesatto adempimento di un’obbligazione preesistente quale ne sia la fonte”…In base a tale ricostruzione la giurisprudenza ha ritenuto che sussista responsabilità contrattuale anche “in presenza di violazione di obblighi nascenti da situazioni (non già di contratto bensì) di semplice contatto sociale, ogni qual volta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere, in tali situazioni, un determinato comportamento”. (medico dipendente della struttura ospedaliera Cass. n.9085 del 2006; Cass. 12362 del 2006; Cass. n.10297 del 2004; Cass. n.589 del 1999 ; sorvegliante dell’incapace Cass. n.11245 del 2003). “ Ne deriva che la distinzione fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale sta essenzialmente nel fatto che quest’ultima consegua dalla violazione di un dovere primario di non ledere ingiustamente la sfera di interessi altrui, onde essa nasce con la stessa obbligazione risarcitoria, laddove quella contrattuale presuppone l’inadempimento di uno specifico obbligo giuridico già preesistente e volontariamente assunto nei confronti di un determinato soggetto.”
qualificato e danno inizio ad un procedimento ove non esistono estranei o “passanti” ma due soggetti in una relazione qualificata volta alla conclusione di un contratto152. Quando questo si conclude la violazione della buona fede nella fase preliminare non può che rimanere assorbita” nella disciplina dello stesso contratto e nella connessa responsabilità per inadempimento, con conseguente identità” della situazione giuridica tutelata e del danno risarcibile che va oltre l’ interesse negativo.153 Secondo tale ricostruzione, che è sicuramente condivisibile, fra le parti di una trattativa è possibile riconoscere l’esistenza di un contatto sociale qualificato da un obbligo di comportamento secondo buona fede (1337 c.c.). Sixxxx x preferibile affermare la natura contrattuale di tale responsabilità. Ne segue una conseguenza importante sull’onere della prova. Se la violazione della correttezza, in questa fase, determina una responsabilità contrattuale l’ attore dovrà seguire il reparto probatorio fissato dai giudici di legittimità per la domanda di adempimento risoluzione o risarcimento154. Sarà sufficiente così provare la fonte dell’obbligo ( art. 1337 o 1375 ) e allegare l’inadempimento. Spetterà al debitore provare di aver adempiuto esattamente al dovere di buona fede155.
E’ facile intuire la novità e l’utilità di tale possibile evoluzione.
8.5. L’obbligo di informazione fra fattispecie e comportamento.
Le sentenze del 2005(n.19024) e del 2007 (n.26724) della Corte di Cassazione hanno esteso l’obbligo di informazione e di buona fede oltre la fase pre-contrattuale e al di là della conclusione di un contratto invalido, come indica invece l’art. 1338 del codice civile.
La conclusione di un contratto valido ma sconveniente per la presenza di un contegno in mala fede dell’altra parte implica responsabilità e risarcimento dei danni.
Con ciò i giudici di legittimità hanno preso chiara percezione dell’autonomo rilievo del comportamento anche in presenza della fattispecie legale o negoziale, come la dottrina aveva indicato da tempo.
La fattispecie dunque non azzera il comportamento. La dichiarazione negoziale che contrasta con elementi noti o conoscibili all’altra parte non esonera da responsabilità.
E’ evidente l’importanza di un tale indirizzo.
Il comportamento indirizza l’analisi e la valutazione su una circostanza concreta e non astratta. Non implica il richiamo di una qualità astratta come quella di consumatore, investitore cliente o professionista, ma impone di esaminare il singolo rapporto e la posizione concreta del contraente.
D’altra parte l’obbligo di informazione reso effettivo dalla regola di buona fede arricchisce i rimedi e incontra la fattispecie e la sua regolazione. Ciò perché il dovere di raccogliere un consenso informato rende autonomo e visibile un diritto costituzionalmente garantito all’autodeterminazione consapevole in ogni ambito patrimoniale e non patrimoniale di ogni relazione fra privati 156.
Le conseguenze di tale sviluppo teorico sono chiaramente tracciate e resistono alle critiche recenti di una parte dei Giudici e della dottrina che sollecitano l’intervento delle Sezioni unite sul punto e,più in generale, sulla concretizzazione della clausola generale di buona fede157.
152 X. Xxxxxxx, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in Riv.dor.comm.,1956,II,p.360. e da ultimo E.Xxxxxxx, La responsabilità per danni da clausola abusiva, in Riv.dir.priv.,2007,2,p.20 (dell’estratto)
153 v. G. Xxxxxxx, Contratti di investimento e rimedi, cit.,790 e X.Xxxxx, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale,Milano, 1990, p.179 ss.;Id.,L’interesse negativo nella culpa in contraendo ( verità e distorsioni della teoria di Xxxxxxx xel sistema tedesco e italiano), in Riv.dir. civ., 2007, p.194
154 Sul principio di vicinanza della prova x. xx xxxxxxx Xxxx.xxx.xx. 00 .0.0000 x.000 in Xxxx xx.0000,X,000.
155 v.sul punto Scxxxxxx, La responsabilità per danni da clausola abusiva, cit,20 .
156 Cass. 29 settembre 2005 ,n.19024; Cass.sez.un. 19 dicembre 2007 n.26724 entrambe in Foro it.2006, I,1105 ed ivi 2008,I,784.
157 Così E.Xxxxxxxx, Responsabilità precontrattuale e conclusione di contratto valido: l’area degli obblighi di informazione, nota a Cass.8 ottobre 2008,n.24795 in Foro it.2009,I, 440, ma v. già G.X’xxxxx, Regole di validità e
Gli argomenti utilizzati dai critici come si vedrà sono i seguenti: a) la concretizzazione della clausola di buona fede deve rimanere coerente con il sistema normativo, sicchè” non può essere rilevante sul piano del rapporto che precede la conclusione dell’affare una circostanza che sia irrilevante sul piano del contenuto negoziale e dell’adempimento; b) il criterio della responsabilità deve essere commisurato sempre alla fattispecie negoziale perché “ la struttura di essa rappresenta pur sempre il limite” delle possibilità funzionali del rapporto158.
Tale impostazione rigidamente formalista ha due difetti. Esaurisce la valutazione giuridica alla sola conformità ad una struttura, contro le acquisizioni della dottrina maturate dagli anni settanta in poi159 e vanifica il valore autonomo della clausola generale che dovrebbe essere concretizzata entro i confini già dettate dalle norme esistenti. Il che è smentito sin dagli anni sessanta dalla prevalente giurisprudenza di legittimità160 .
La replica migliore può essere affidata ad una recente pronunzia che intende dare continuità al ruolo e alla funzione della responsabilità precontrattuale in ordine ai doveri di informazione161. In essa si precisa che l’obbligo risarcitorio per violazione della buona fede a prescindere dalla conclusione e validità stessa del contratto fa parte oramai del diritto vivente in coerenza anche con “i principi attestati in ambito europeo”( art. 2.301 comma 2 dei Principles of European Contract Law)
9 . La responsabilità da contatto sociale ed altre figure
9.1. La distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale e gli obblighi di protezione.
Il continuo sorgere di esigenze di tutela e la spinta verso la ricerca di un rimedio efficiente spesso producono come effetto il trasferimento di alcune ipotesi di responsabilità dall’ambito contrattuale a quello aquiliano, rendendo incerto il confine tra le due aree.
Sono noti i tratti distintivi tra i due modelli di responsabilità.
a. L’onere della prova. Nel caso di responsabilità contrattuale è limitato alla prova della fonte dell’obbligazione ed all’allegazione dell’inadempimento (c.c. 1218). Nella responsabilità extracontrattuale, invece, il danneggiato dovrà provare oltre all’elemento soggettivo (dolo o colpa) tutti gli elementi oggettivi dell’illecito: condotta, causalità materiale, evento e causalità giuridica.
b. Prescrizione. La durata del termine di prescrizione per far valere l’azione contrattuale è decennale mentre in ipotesi di responsabilità extracontrattuale è quinquennale (c.c. 2947).
c. Danno risarcibile. Nel caso della responsabilità contrattuale, salvo il dolo, risulta limitato ai soli danni prevedibili riconducibili al tempo in cui è sorta l’obbligazione (c.c. 1225), mentre nel caso della responsabilità aquiliana è esteso anche a quelli imprevedibili.
Sotto un profilo strutturale, invece, il rapporto obbligatorio non si pone più come una struttura elementare ma rivela i tratti della complessità. Vale a dire, il vincolo nascente da un’obbligazione non è più letto in termini di antitesi di una o più pretese contrapposte. Piuttosto, si configura come una struttura complessa organizzata intorno all’obbligo principale di prestazione, in corrispondenza
principio di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996, 245 Id., Buona fede “in contraendo”, in Riv.dir.priv.,2003, 351 ss.
158 Così E.Xxxxxxxx, op. loc.cit.
159 v. da ultimo X. Xxxxxxxxx, La rescissione,
160 v. solo per i riferimenti giurisprudenziali citati G. Xxxxxxx, Regole di validità e di responsabilità di fronte alle Sezioni Unite. La buona fede come rimedio risarcitorio, in Obb. cont., 2008, 104;Id. Centralità del giudice e filtro in Cassazione, ivi,2010, 486 ss; Id: L’abuso del diritto, ivi, 166.
161 Cass. 11 giugno 2010, n. 14056 ( esxxxxxxx Xxxxxxx), in Foro it., 2010
ed in dipendenza del quale sorgono ulteriori obblighi finalizzati a condurre il rapporto verso un risultato utile per i soggetti che vi prendono parte.
Si tratta dei c.d. obblighi di protezione che gravano su tutte le parti del rapporto obbligatorio e sono preposti alla tutela della integrità personale e patrimoniale dei contraenti162.
In altri termini, il contenuto del contratto non è determinato solamente dall’accordo delle parti, ma anche da altri elementi che vi entrano ex lege.
Ciò che preme portare all’attenzione è il seguente dato: nonostante alcuni di questi obblighi siano posti a protezione di un dovere generale di neminem laedere e dovrebbero trovare tutela nell’ambito dell’azione extracontrattuale, questi entrano a far parte del contratto ed alla disciplina contrattuale sono sottoposti163.
Spiegando diversamente, si assiste ad un incontro tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in cui la condotta del debitore lede altri interessi, diversi da quello alla prestazione, i quali sarebbero tutelati comunque anche al di fuori del rapporto obbligatorio, secondo lo schema indicato dall’art. 2043 c.c.
In tali ipotesi, il tema non riguarda tanto la possibile sovrapposizione della responsabilità contrattuale a quella extracontrattuale; al contrario, riguarda la possibilità di adottare il modello contrattuale, relativamente a fatti che di per sé costituiscono illecito, fondando la responsabilità su un rapporto obbligatorio preesistente tra danneggiante e danneggiato164.
Del resto la distinzione fra le aree di responsabilità contrattuale e extracontrattuale è oggetto di un confine labile in Italia e in Europa ove emergono varie ipotesi costruttive. Qualche cenno può essere utile prima di calarci nella nostra realtà nazionale. Vediamoli in breve.
L’Avant-projet di riforma del diritto francese delle obbligazioni progetta una vera rivoluzione dell’impianto del Code.
Secondo i redattori il Titolo III del Libro III non si aprirebbe più con un richiamo al contratto e alle obbligazioni convenzionali, ma semplicemente alla disciplina Des Obbligations , suddivisa in sottotitoli, disposizioni comuni e disposizioni relative alle due forme di responsabilità165..L’esito è chiaro. Si unifica le due aree e si differenzia la disciplina del danno privilegiando il danno alla persona .
La recente riforma del BGB è altrettanto significativa sotto un altro profilo.
La nuova disciplina lambisce solamente la responsabilità secondo una tradizione che privilegia la disciplina e la costruzione raffinata del rapporto obbligatorio e ammette il cumulo di
162 Xxxxx figura degli obblighi di protezione in dottrina cfr. Cfr. XXXXXXXXXX, La nuova responsabilità civile, III ediz., Xxxxxxx, Milano 2006, p.556; BALDASSARRI, Concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in CENDON, La responsabilità civile, vol I, Xxxxx e risarcimento in generale, Utet, Torino, 2001, p. 326; MONATERI, Il concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in CENDON, I danni risarcibili nella responsabilità civile, Vol. VIII aspetti processuali ed applicativi, Utet, Torino, 2005, p. 302; DI MAJO, La responsabilità contrattuale, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 1997, p. 20; ROSSELLO, Responsabilità contrattuale ed aquiliana: il punto sulla giurisprudenza, in Contatto e impresa, 1996, p. 644.
163 La teorizzazione degli obblighi di protezione nasce in Germania, secondo cui il rapporto obbligatorio è articolato in un obbligo di prestazione (Leistungspflichten) e in uno di comportamento (Verhaltenspflichten) collaterale alla prestazione. Lo svilupparsi di questa impostazione fu favorita dalla natura tipica della responsabilità extracontrattuale. Viene, quindi, individuato un rapporto preparatorio, con carattere di accessorietà rispetto alla vendita, in base al quale ciascuna delle parti è tenuta ad osservare la diligenza necessaria al fine di evitare pregiudizio alla persona o ai beni dell’altra. Da qui, nacque lo spunto di pensare ad una figura di obbligazione costituita soltanto da doveri secondari ed accessori, la c.d. obbligazione senza prestazione. Per una bibliografia cfr. XXXXXXXX, La responsabilità da contatto sociale, Cedam, Padova, 2004, p. 6
La riforma del 2001 del BGB ha espressamente preso in considerazione tali obblighi, modificando il § 241, Doveri derivanti dal rapporto obbligatorio. (1) Il rapporto obbligatorio legittima il creditore a pretendere dal debitore l’esecuzione di una prestazione. La prestazione può anche consistere in una omissione. (2) Il rapporto obbligatorio può, in relazione al suo contenuto, obbligare ciascuna delle parti ad avere riguardo per i diritti, i beni giuridici e gli interessi dell’altra parte.
164 Cfr. X. XXXXXXXXXX, op. cit., 2006, p. 567
165 F. D. Xxxxxxxx, L’illecito nella stagione europea delle riforme, cit., p.440 ss. e il riferimento al progetto di revisione del codice civile svizzero,argentino, e al nuovo codice civile della Repubblica Ceca.
responsabilità anche se, per alcuno, esistono alcune modifiche recenti verso un “percorso di progressiva uniformazione del concetto di responsabilità civile”166.
Sia i Principi Lando ( art. 8:102) che il Common Frame of reference (3:102) ammettono il cumulo dei mezzi di tutela che non sono incompatibili precisando che una parte può domandare il risarcimento del danno anche quando faccia ricorso ad altra forma di tutela167.
Nel nostro diritto interno sono diverse le opinioni. La dottrina si divide.
Alcuni autori ribadiscono la netta separazione delle due aree fissando il discrimine nella violazione di un diritto, tipica della responsabilità aquilina, e nella violazione di un obbligo tipico della responsabilità contrattuale. Altri tendono ad avvicinare le due aree168. La giurisprudenza applica il concorso fra regole di responsabilità in molti settori dei rapporti privati. Dal diritto societario e finanziario169 ai rapporti di famiglia170, dai rapporti di lavoro171 alla risarcibilità dei danni non patrimoniali172.
166F.X. Xxxxxxxx, op. cit., p. 443: “la norma connotante il genus è il nuovo § 280, Abs.1” che “implicitamente vale a qualificare come species le residue regole risarcitorie riferite esclusivamente alla disciplina (degli effetti) dell’atto illecito (arg. ex § 253, Abs. 2, che mutuando il contenuto dell’abrogato § 847, Abs.1, intende ricondurre al genus una regola nata come species relativa all’atto illecito).” Significativa è la nuova disposizione sui danni da informazioni inesatte ( § 241, Abs. 2 ) e sul danno non patrimoniale derivante da una “menomazione del corpo, da una lesione della salute,da una violazione della libertà o della autodeterminazione sessuale”, illecito che si libera dal legame con la colpa del danneggiante “ per aprirsi ad una rilevanza che va dalla responsabilità soggettiva a quella oggettiva, dalla responsabilità extracontrattuale a quella contrattuale ( passando attraverso la Vertrauenshaftung,) dalle categorie civilistiche di responsabilità alle figure speciali di responsabilità previste dalle leggi di settore”.
167 Queste tendenze lasciano tracce evidenti nelle due più accreditate ipotesi di uniformazione i Principles redatti dall’
European Group of tort Law (European Group of Tort Law,Principles of european Tort Law and Commentary, Vienna
–NewYork,2005 e dallo Study Group on a European Civil Code (c.d. Progetto von Bar) Study Group on a European Civil Code ( Book V) Principles of European Tort Law ( European Principles of Non-contractual Obligations Arising out Damage Caused to Another), prepared by Professor Xxx. xxx Xxx. In entrambi si parte dal danno superando il dogma della centralità della colpa senza privilegiare in assoluto le ipotesi di responsabilità oggettiva. Si rivolge particolare attenzione al nuovo rapporto fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale e all’ipotesi selettiva della lesione rilevante che non utilizza il termine ingiustizia, (pensato nel codice italiano come modello mediano fra l’assenza francese e la tipizzazione tedesca), ma utilizza, invece, un approccio diverso dai singoli ordinamenti. Con un esito comune. I Principles partono dalla necessità di un interesse protetto come elemento della responsabilità. Il testo redatto dal gruppo di von Xxx, al contrario, muove dalla tipizzazione per arrivare alla formula di apertura. Anche se in entrambi i casi è comunque chiara l’esigenza del un criterio selettivo dell’interesse protetto. Certo è che , in entrambi progetti, è essenziale la disciplina del danno non patrimoniale e il pregiudizio alla persona, recependo i vari modelli che in Europa si sono formati con l’apporto del legislatore e della giurisprudenza teoria e pratica.
168 X.Xxxxxxxx, L’illecito civile nella stagione europea delle riforme, cit. p. 449
169 Le disposizioni in tema di OPA disciplinano i comportamenti che i soci devono assumere in presenza di mutamenti degli assetti proprietari di società quotate. L’esigenza di tutela degli investitori azionisti è compresa nella finalità di tutela del mercato finanziario e dei capitali (prevista nell’art. 92 del t. u. f ) e si articola secondo una ricostruzione scandita in giurisprudenza secondo il seguente schema. “L’obbligo di lanciare l’OPA si configura…come un obbligo contrattuale che ope legis si inserisce nel contratto sociale, ma la norma non prevede come sanzione, in caso di violazione, “il potere del singolo azionista pretermesso di ottenere coattivamente il risultato” bensì solo l’obbligo a carico dell’inadempiente di rivendere il pacchetto acquisito in eccedenza. Da qui l’esigenza di un’attenta interpretazione, la quale reputa che la disciplina “non esaurisca gli strumenti di autotutela accordati dall’ordinamento a chiunque vanti una posizione giuridicamente rilevante” e non esclude affatto la risarcibilità di un danno ingiusto. Ciò perché, si dice nella sentenza, “il principio del neminem laedere sancito dall’art. 2043 rappresenta il cardine dei diritti soggettivi contrattuali e non” incorporati nel nostro caso nella azioni dei soci di minoranza. Ne segue la risarcibilità del danno in presenza di una responsabilità contrattuale169. Il groviglio teorico è evidente. L’apparato sanzionatorio della legge è completato dal principio del neminem laedere. Non si parla di concorso di azioni o di cumulo di danni ma di una responsabilità contrattuale per la violazione della regola aquiliana . Senza contare la difficoltà della liquidazione del danno “correlata a titoli per loro natura destinati alla fluttuazione169”. (Trib. Milano 9 giugno 2005,in Foro it.,2005,n.3211 con osservazione di X.Xxxxxxxx)La Corte di Appello ha di recente ribaltato il ragionamento169. Si è sostenuto che la disciplina dell’ OPA esclude l’esistenza di un diritto soggettivo degli azionisti a ricevere un’offerta di acquisto e dunque anche il diritto al risarcimento da inadempimento di un obbligo contrattuale. L’unico danno, ipotizzabile, si osserva ancora, è l’interesse negativo tipico della responsabilità precontrattuale e non l’utilità derivante da un contratto concluso. Resta dunque il dubbio sul danno dovuto in presenza di un comportamento scorretto
Sempre più spesso si applica e si estende l’area del “contatto sociale” per attrarre nell’area contrattuale una serie di rapporti e per invertire l’onere probatorio in presenza di una posizione soggettiva del danneggiato ritenuta meritevole di particolare protezione. I tratti sono noti. E’ solo il caso di ricordarli in breve.
9.2. Le ipotesi di responsabilità da contatto sociale.
Gli obblighi di protezione, sebbene legati alla prestazione principale, risultano avere una struttura ed una funzione autonoma rispetto a questa. Ne deriva che l’area di responsabilità contrattuale che consegue alla violazione di tali obbligazioni può andare anche oltre lo specifico rapporto cui ineriscono.
Vedremo, appunto, come si sia arrivati ad offrire tutela contrattuale anche a prescindere dalla’esistenza di un accordo nelle c.d. figure di responsabilità da contatto sociale173.
In questa situazione, si possono ipotizzare obblighi di protezione anche al di fuori di uno specifico rapporto obbligatorio. Ciò accade nei casi in cui, rispetto al comportamento dannoso, le vittime di un’azione lesiva si trovino in una posizione diversa rispetto al quisque de populo: vale a dire, in una situazione di prossimità qualificata rispetto all’agente.
Come anticipato, in tali casi si parla di contatto sociale qualificato174.
imputabile alla controparte in presenza di un obbligo legale di comportamento.( App. Milano,15 gennaio 2007,Jurisdata,2007)
170 Sul danno endo-familiare la Cassazione ha segnato, di recente, un punto di svolta significativo. Acquista concretezza il rilevo della dignità e della responsabilità di ogni componente del nucleo familiare ed è prevista la fonte e la misura del danno risarcibile per la lesione di tali situazioni soggettive. Si osserva che i singoli “conservano le loro essenziali connotazioni e ricevono tutela prima ancora che come coniugi e figli come persone in attuazione dell’art. 2 della Costituzione”. Sicché il rispetto della dignità e della personalità nella sua interezza assume i connotati di un diritto inviolabile la cui lesione è il presupposto logico della responsabilità170. E’ evidente come questo indirizzo incida sulla rilevanza giuridica delle posizioni soggettive all’interno della Comunità familiare.
171 La specificità del rapporto di lavoro, nel nostro tema, deve essere riconosciuta proprio per la sua “speciale attitudine a metabolizzare” i diritti della persona nelle relazioni obbligatorie. Dove il carattere assoluto e indisponibile delle situazioni esistenziali si salda con il carattere imperativo e inderogabile delle norme di quel rapporto171. Qui il dovere formale di astensione si specifica, di recente, in un obbligo di protezione sino a creare un diritto a vedersi assegnate mansioni professionalmente adeguate pena il risarcimento di un danno esistenziale su cui si sofferma la Corte di Cassazione a sezioni unite.
172 D’altra parte la tipologia del danno alla persona si arricchisce sempre più nell’area dei rapporti contrattuali.
Basta pensare alla riforma del BGB, al testo dei Principi di diritto europeo dei contratti (PECL) al nostro Codice del Consumo( artt.94,95,96) che nel disciplinare il “danno da vacanza rovinata” nella violazione del contratto turistico rende palese la rilevanza, nel nostro sistema, del danno non patrimoniale da inadempimento su cui si è molto discusso in dottrina. Le soluzioni ipotizzabili sono note. La giurisprudenza utilizza la tecnica del concorso di azioni o del cumulo dei danni; espediente utile, che assicura, in molti casi, decisioni ragionevoli: dal medesimo fatto possono nascere diritti diversi, azionabili assieme o in concorso, a scelta del danneggiato172. A ben vedere è possibile una diversa qualificazione che prescinda dall'art. 2059 e ss. c.c. e xxxxxxx la risarcibilità di un interesse non patrimoniale violato all’inadempimento di un contratto o di un obbligo legale. La giustificazione teorica è già stata indicata dalla dottrina più attenta che sollecita una nuova disciplina del danno contrattuale non patrimoniale per porre un argine all’estensione dell’illecito acquiliano che ha avuto una espansione amplissima e tende a entrare e, talora, a scardinare altri istituti con regole pensate per i rapporti fra terzi estranei, le quali non sempre sono pienamente compatibili con altre norme. Se le parti sono legate da un rapporto debbono e possono, in molti casi, trovare piena operatività i criteri speciali di protezione che si conformano a quel determinato rapporto.
173 X. XXXXXXXXXX, L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in Scritti in onore di Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx, Milano, 1995, p. 147 e ss. Di recente v. la monografia di XXXXXXXX, La responsabilità da contatto sociale, Cedam, Padova, 2004.
174 Cfr. X. XXXXXXXXXX, op. ult. cit. Tale ricostruzione trova le proprie origini in Germania ed ha trovato una specifica previsione nella nuova riforma del 2001, § 311, in particolare al terzo comma.
§311 Rapporti obbligatori derivanti da negozi o da atti simili ai negozi. (1) Per instaurare un rapporto obbligatorio mediante negozio giuridico o per modificare il contenuto di un rapporto obbligatorio è necessario che coloro che vi prendano parte concludano un contratto a tal fine, se ed in quanto la legge non disponga diversamente. (2) Un rapporto
La giurisprudenza della Cassazione riconduce tale figura principalmente ad alcuni casi: la responsabilità del medico dipendente di una struttura nei confronti del paziente che a questi si affida; il minore che cagiona un danno a sé stesso; la banca trattaria che paga a soggetto non legittimato; la mediazione tipica.
9.3. La responsabilità medica.
a) le origini.
La responsabilità da contatto sociale ha fatto la sua prima apparizione nella giurisprudenza della Cassazione in un caso di malpractice medica: l’attore -ricoverato d’urgenza in pronto soccorso per essere operato alla mano- aveva rivolto una domandava di risarcimento del danno al medico che aveva eseguito l’operazione175.
Si badi, l’unico rapporto contrattuale intercorreva tra paziente ed ospedale176 mentre nessun rapporto di tipo contrattuale intercorreva tra paziente e chirurgo.
In tale circostanza la Cassazione affermò il seguente principio di diritto: “l’obbligazione del medico dipendente nei confronti del paziente, ancorchè non fondata sul contratto ma sul “contatto sociale” ha natura contrattuale. Consegue che relativamente a tale responsabilità i regimi di ripartizione dell’onere della prova, del grado della colpa e della prescrizione sono quelli tipici delle obbligazioni da contratto d’opera intellettuale e professionale”177.
L’affermazione era già allora motivata.
La Cassazione muove dal presupposto che il medico non è un quisque de populo semplicemente sottoposto ad un obbligo generale di neminem laedere che vale nei confronti di chiunque ma la sua prestazione si caratterizza per i seguenti tratti:
a. la professione medica richiede una particolare abilitazione da parte dello Stato;
b. il destinatario della prestazione non è la collettività ma il singolo e specifico paziente;
c. la prestazione che il medico è chiamato a svolgere ha sempre il medesimo contenuto e deve essere svolta secondo i canoni della diligenza indicati dall’art. 1176, II co., c.p.c., a prescindere che alla base vi sia un contratto o meno.
Pertanto -prosegue la Cassazione nel suo iter argomentativo- un’obbligazione può nascere anche da un rapporto di fatto e tale obbligazione può essere sottoposta alle regole proprie dell’obbligazione contrattuale pur se il fatto generatore non è un contratto ma un contatto.
obbligatorio con gli obblighi di cui al comma 2 del §241 sorge anche in virtù:1. Dell’avvio di trattative precontrattuali.
2. Della prefigurazione di un contratto, che ricorre quando, in vista di un’eventuale relazione negoziale, una parte accorda all’altra la possibilità di incidere sui propri diritti, beni ed interessi, o gliene affida la protezione, oppure 3. di contratti negoziali similari. (3) Un rapporto obbligatorio con gli obblighi del comma 2 del § 241 può sorgere anche nei confronti di persone che non sono destinate a divenire parti del contratto . In particolare, un rapporto obbligatorio siffatto sorge quando il terzo induce le parti a riporre fiducia in misura notevole nella sua persona, e in forza di detto affidamento riesce ad influire sullo svolgimento delle trattative o sulla stipulazione del contratto.
175 Cfr. Xxxx., 22 gennaio1999, n. 598 con i commenti di CARBONE, La responsabilità del medico ospedaliero come responsabilità da contatto, in Danno e resp., 1999, p. 294; XXXXXXXXX, La responsabilità del medico dipendente del servizio sanitario nazionale: contrattuale, extracontrattuale o transtipica, in Giust. civ., 1999, I, p. 1003; XXXXXXXX, La responsabilità contrattuale del medico dipendente: il contatto sociale conquista la Cassazione, in Resp. civ. e prev., 1999, p.679 ss; DE ROSA, Responsabilità del medico dipendente del servizio sanitario: una nuova tipologia di obbligazioni?, in Giur. merito, 1999, p. 1152; DI CIOMMO, Note critiche sui recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilità del medico ospedaliero, in Foro it., 1999, p. 3332; DI MAJO, L’obbligazione senza prestazione approda in cassazione, in Corr. Giur., 1999, p. 446; FRACCHIA, Osservazioni in tema di responsabilità del dipendente pubblico e attività contrattuale, in Foro it., 1999, I, p. 1194; THIENE, La Cassazione ammette la configurabilità di un rapporto obbligatorio senza obbligo primario di prestazione, in NGCC, 2000, p. 334; XXXXXXXX, La responsabilità del medico dipendente come responsabilità contrattuale da “contatto sociale”, in Giur. it., 2000, p. 740.
176 Si tratta del c.d. contratto di spedalità.
177 Cass., 22 gennaio1999, n. 598, cit.
Peraltro, sarebbe ingiustificatamente discriminatorio sottoporre l’obbligo di risarcire il danno derivante da malpractice medica a differenti regimi -contrattuale ed aquiliano- solo perché sul piano della fattispecie un soggetto ha concluso un contratto mentre un altro soggetto è stato casualmente operato dal medico di turno.
Per tali motivi, la Cassazione ricorre al concetto di contatto sociale.
Con tale espressione si riassume una duplice valutazione del fatto, sia in ragione della fonte (il fatto idoneo a produrre l’obbligazione in conformità dell’ordinamento, art. 1173 c.c.) sia in ragione del rapporto che ne scaturisce (e diviene allora assorbente la considerazione del rapporto, che si atteggia ed è disciplinato secondo lo schema dell’obbligazione da contratto)178.
In questa prospettiva, quindi, si ammette che le obbligazioni possano sorgere da rapporti contrattuali di fatto, nei casi in cui taluni soggetti entrino in contatto, senza che tale contatto riproduca le note ipotesi negoziali. Tuttavia a tale contatto si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso179.
Secondo una delle ultime sentenze sul punto180 “ le obbligazioni possono sorgere da rapporti contrattuali di fatto, in quei casi in cui taluni soggetti entrano tra loro in una relazione….a cui si collegano obblighi di comportamento di varia natura”.
L’ipotesi del medico dipendente, si osserva, è emblematica di una responsabilità che non può essere (solo) responsabilità aquiliana, ma di tipo contrattuale, per non avere fatto ciò a cui si era tenuti in forza di una professione c.d. protetta che incide sul bene della salute, tutelato dall’art. 32 Cost.
b) Le conferme e le novità.
Una recente sentenza della Cassazione181, a sezioni unite, torna in modo puntuale sulle fonti della responsabilità medica, con alcune significative novità. Vediamole.
Il caso concerne il contagio da epatite a seguito di trasfusioni in occasione di un intervento chirurgico in una casa di cura. I giudici di merito avevano respinto la domanda ritenendo che l’attore non avesse provato il nesso di causalità tra la trasfusione e l’ epatite poichè “dalla documentazione prodotta tempestivamente”182 non risultava che alla data del ricovero l’attore non fosse già affetto da tale patologia.
Da qui la necessità di fissare ancora questioni essenziali sulla responsabilità della struttura sanitaria e sull’onere probatorio.
Sul primo aspetto è noto che la responsabilità dell’Ente pubblico o privato era ritenuta di natura contrattuale in base al “rilievo che l’accettazione del paziente in ospedale ..comporta la conclusione
178 Cass., 22 gennaio1999, n. 598, cit.
179 Sempre in tema di colpa medica, la stessa Cassazione è andata oltre la semplice qualificazione della responsabilità, individuando specificamente il riparto dell’onere probatorio179. Il paziente danneggiato che chiede il risarcimento deve limitarsi a provare (a) il contratto con la struttura sanitaria o il “contatto sociale” con il medico, (b) l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di un’affezione ed (c) allegare un inadempimento del debitore che sia qualificato, cioè astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato. Starà poi al debitore dimostrare che l’inadempimento non c’è stato o che, pur esistendo, esso non è stato rilevante sotto il profilo eziologico.
180 Cass. 19 aprile 2006 n.9085 in Foro it. On line,2, 2008 “Rispetto all’operatore professionale la coscienza sociale, prima ancora che l’ordinamento giuridico, non si limita a chiedere un non facere e cioè il puro rispetto della sfera giuridica di colui che gli si rivolge fidando nella sua professionalità, ma appunto quel facere nel quale si manifesta la perizia che ne deve contrassegnare l’attività in ogni momento”
181 Cass. sez. un. 11 gennaio 2008 n. 577, in Diritto & Giustizia, 15.1.2008. 2. Il Presidente è Xxxxxxx e l’estensore Segreto due protagonisti di grandi svolte giurisprudenziali che meritano grande attenzione. Vediamola da vicino.
182 la documentazione era stata prodotta dopo i termini dell’art 184 c.p.c. e riprodotta in appello.
di un contratto”183 mentre l’ obbligazione del medico dipendente aveva la stessa natura sulla base della teoria del contatto sociale184.
Entrambi i rapporti erano disciplinati per analogia con le norme del contratto di prestazione d’opera intellettuale.. con il conseguente riduttivo appiattimento della responsabilità della struttura su quella del medico.
Un indirizzo più recente ha qualificato il rapporto paziente struttura come un “autonomo e atipico contratto (di spedalità) al quale si applicano le regole ordinarie sull’inadempimento con due conseguenze importanti.
• La responsabilità prescinde dall’accertamento di una condotta negligente del medico ed ha invece la propria fonte nell’inadempimento delle obbligazioni direttamente riferibili all’ente.185
• Sicché l’obbligo derivante da tale contratto complesso riguarda oltre l’alloggio,le prestazioni ospedaliere di carattere medico, paramedico e assistenziale la cui violazione può comportare la responsabilità dell’ente per fatto del dipendente sulla base dell’art. 1228 c.c..
La sentenza condivide e conferma tale indirizzo distribuendo in modo innovativo l’onere probatorio in ordine al nesso causale .
E’ noto come la precedente giurisprudenza ripartiva l’onere probatorio.
Il paziente doveva provare l’esistenza del contratto, l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie e il nesso di causalità tra l’azione e l’omissione, mentre doveva solo allegare l’adempimento del sanitario. D’altra parte il debitore aveva l’ onere di provare di aver tenuto un comportamento diligente186.
Ciò che viene messo in discussione ,appunto , è la prova del nesso causale.187
Come è noto nelle obbligazioni di mezzi il creditore doveva provare la carenza di diligenza ( che ha impedito di conseguire il risultato) e nelle obbligazioni di risultato il debitore doveva dimostrare che il mancato risultato era dipeso da causa a lui non imputabile. Tale distinzione dogmatica si reputa superata per almeno tre ragioni.
1) In ciascuna obbligazione si richiede, seppur in modo diverso un “ risultato pratico da raggiungere attraverso il vincolo” e “ l’impegno del debitore per ..ottenerlo”.
2) la responsabilità del professionista comprende una serie di “doveri ..accessori ma integrativi dell’obbligo primario di prestazioni ancorati al dovere di buona fede, quali obblighi di protezione, indispensabili per il coretto adempimento della prestazione professionale in senso proprio”188
3) la distinzione fra obbligazioni di mezzi e di risultato urta, secondo i Giudici di legittimità, con il criterio unico di reparto fissato dalla Corte per ogni richiesta conseguente ad una responsabilità contrattuale.
Da qui la svolta anche in merito alla prova del nesso di causalità.
Il creditore deve allegare e non provare l’inadempimento e il nesso di causalità fra questo e il danno con un unico aggravio.
“ L’allegazione non può limitarsi ad indicare un generico inadempimento, ma deve far riferimento ad un inadempimento, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è proprio stato ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno.”189
183 V. da ultimo Cass. n. 1698 del 2006.
184 da ultimo Cass. n. 9085 del 2006.
185 Cass. sez. un. 1 luglio 2002 n. 9556 e Cass. n. 571 del 2005 e 1698 del 2006.
186 Da ultimo Cass. n. 12362 del 2006.
187 Cass. sez.un. 13533 del 2001 e Cass. sez.un. 28 luglio 2005 n. 15781
188 Così Cass. sez. un. 11 gennaio 2008 n. 577 cit. e il richiamo a Cass. 19.5.2004 n. 9471.
189 Cass, sez.un. 11 gennaio 2008, n.577 : “nella fattispecie.. avendo l’attore provato il contratto relativo alla prestazione sanitaria ed il danno assunto (epatite) allegando che i convenuti erano inadempienti avendolo sottoposto ad emotrasfusione con sangue infetto, competeva ai convenuti fornire la prova che tale inadempimento non vi era stato,
Ciò è tanto più rilevante se si consideri che, secondo un orientamento recente della Cassazione, “ i criteri di accertamento del nesso causale adottati dalla Cassazione penale ( alto grado di probabilità logica e di credibilità razionale ) trovano applicazione nel solo diritto penale e nelle fattispecie omissive; mentre nelle ipotesi di responsabilità civile, soprattutto se si versa in casi di illecito (anche) commissivo, la verità probabilistica si può fermare su soglie meno elevate” 190.
La svolta è netta e coinvolge non solo il medico ma ogni obbligazione professionale precisando che il creditore non deve più provare il nesso causale ma semplicemente allegare un inadempimento tale da determinare in concreto il danno subito.
Con ciò la Corte delinea una responsabilità del professionista secondo un modello di particolare rigore e ribadisce la centralità del giudice nel precisare il reparto dell’onere probatorio secondo un indirizzo consolidato.
Basta ricordare che la Cassazione a sezioni unite ha precisato di recente che, in assenza di indicazioni univoche del legislatore, l’interprete nella “ricostruzione della fattispecie sostanziale e nella conseguente ripartizione dell’onere della prova”.. deve “utilizzare il criterio della maggiore vicinanza o disponibilità della prova”. Ciò in base a principi desumibili dall’art. 24 della Costituzione. 191
Si tratta di un modo razionale amministrazione del danno anche nel nostro caso perché il professionista può con più facilità fornire la prova sull’inesistenza del nesso di causalità. Si può solo avanzare qualche osservazione sul ruolo della giurisprudenza in questo settore e sulla funzione della responsabilità.
Come si è osservato i giudici hanno completato e innovato il sistema con un mezzo spesso diverso dall’analogia.
Molte volte si è applicata la norma “ come se da sempre contenesse la previsione che consentiva l’applicazione nuova”192. In tal modo “ si è trasformato un sistema di legge scritta” in uno diverso nel quale questa.. non ha più in sé un senso compiuto senza il diritto applicato. Sicché “l’aggiunta di senso del diritto giurisprudenziale” si è ormai consacrata come pura fonte che concorre con quella primaria 193 creando la regola.
Ciò non deve stupire affatto perché sempre più spesso si adotta un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma ordinaria, con un metodo di lavoro che potremo definire inconsapevolmente rimediale194.
Provo a spiegare perché muovendo da due corollari indiscussi.
Il rimedio presuppone l’esistenza di un interesse protetto195 . Ciò significa che tale strumento non si sostituisce al diritto o all’obbligo sostanziale ma intende fornire un piano di tutela adeguata in presenza di forme complesse e di nuovi beni da tutelare. In questa area assumono particolare
poiché non era stata effettuata una trasfusione con sangue infetto, oppure che, pur esitstendo l’inadempimento esso non era eziologicamente rilevante nell’azione risarcitoria proposta, per qualunque ragione, tra cui quella addotta dall’affezione patologica già in atto al momento del ricovero.”
190 Cass. 19 maggio 2006 n. 11755.
191 Cass. 10 gennaio 2006 n.141 in Foro it., 2006,I, 704.
192 X. Xxxxxxxxxx, lc. cit.
193 X. Xxxxxxxxxx, La responsabilità civile in Italia al passaggio del millennio, cit., p.168-169.
194 v. X. Xxxxxx, I Rimedi, in Il diritto soggettivo, nel Trattato di diritto civile ,dir.da X. Xxxxx,Torino, 2001, p.105ss.;A. Di Majo, Il linguaggio dei rimedi, in Europa dir. priv.,2005,2,p.341 ss.;Id,Adempimento e risarcimento nella prospettiva dei rimedi, ivi, 2007, p 2 ss.;X. Xxxxxxxxxx, Sapere complesso e tecniche rimediali, ivi, 2005, p.605 ss.;P.G. Monateri, Ripensare il diritto civile, Torino, 2006.
195 X.Xxxxxx, op. cit. ,p.108.
rilievo i principi costituzionali. “La necessaria corrispondenza tra interesse protetto e rimedio”196 esige la costruzione di una regola che sia rispettosa delle norme ordinarie e dei principi ordinatori della materia che debbono, nella sentenza , essere rigorosamente individuati e precisati come premessa di una soluzione controllabile in base ai parametri offerti dalla legge e dalla Carta costituzionale.
D’altra parte non è dubbio che siamo in presenza di una nuova stagione della responsabilità civile. Dopo l’inversione metodologica degli anni settanta del secolo scorso cha ha spostato l’attenzione dall’illecito al danno e ai criteri di imputazione più efficienti per ripararlo, l’evoluzione sociale sta sollecitando una diversa preminenza di alcune finalità rispetto ad altre. La riparazione della vittima e la finalità deterrente nei confronti del danneggiante sono oggi prevalenti secondo un’evoluzione che è in atto in tutti gli ordinamenti nazionali. Anche tale evoluzione non deve impensierire. Si tratta solo di trovare un equilibrato piano d’intesa tra punizione e riparazione in modo che la funzione riparatoria e deterrente della responsabilità civile possano coesistere senza invasioni di campo.
9.3.1. Il nuovo D.L. 13 settembre 2012, n. 158.
Con il nuovo art. 3 del c.d. Decreto Balduzzi, rubricato “Responsabilità professionale dell’esercente professioni sanitarie”, sono state introdotte importanti novità.
La norma disciplina non solo la responsabilità civile e penale del medico connessa al rispetto delle linee guida ma anche la liquidazione del danno biologico, l’assicurazione professionale e l’aggiornamento dell’albo dei consulenti tecnici.
L’ampio raggio occupato dall’intervento fornisce le prime indicazioni su quale sia l’intento del legislatore, ripensare la funzione del risarcimento del danno in considerazione dell’emergere di un problema non più individuale (fra medico e paziente) ma sociale.
Si tende ad un equilibrio nuovo fra valori da bilanciare: dignità e salute, efficienza del sistema sanitario, regolazione del rischio scientifico, contenimento dei costi.
Circoscrivendo l’analisi al solo tema della responsabilità del medico, il primo periodo del primo comma detta una norma penale, “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”.
Il secondo ed il terzo periodo, invece, riguardano la responsabilità civile ed il danno risarcibile, “in tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”197.
196 V. da ultimo X. Xxxxxxxxxx, La complessità del rapporto fra interessi e rimedi nel diritto europeo dei contratti, Intervento, al Convegno svolto a Firenze il 30 marzo 2007 ,dal titolo Remedies in contract. The common rules for a european law, di prossima pubblicazione nella Collana Persona e Mercato, dir. da X.Xxxxxxx; ed ivi il richiamo di Xxx Xxxxxx, Of rights, remedies and procedures, in Common Market Law Review, 2000, p. 526.
197 Diversa era la formulazione contenuta nel decreto prima dell’intervento della legge di conversione (L. 8 novembre 2012, n. 189). Il primo comma specificava un precetto generale, dando rilievo alle linee guida ospedaliere: “fermo restando il disposto dell’art. 2236 del codice civile, nell’accertamento della colpa lieve nell’attività dell’esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell’articolo 1176 c.c. del codice civile, tiene conto in particolare dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale.”
La norma si apriva distinguendo tra interventi sanitari che comportano “la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà” (c.c. 2236), ove la regola di responsabilità rimaneva invariata, ed accertamento della colpa lieve.
In quest’ultima ipotesi, il parametro della diligenza, cui doveva uniformarsi l’operato dell’esercente una professione sanitaria, veniva fatto coincidere con il rispetto dei protocolli e delle procedure indicate dalla Comunità medica. Con due precisazioni.
L’obbligo di rispettare le linee guida ed il riferimento all’art. 2043 c.c. sono due aspetti su cui è opportuno soffermare l’attenzione.
Le linee guida. La diffusione delle linee guida è iniziata negli anni ’70; ha una accelerazione negli anni ’90 con l’avvento della evidence based medicine ed è “paragonata per importanza per il numero di vite salvate alla diffusione di antibiotici e vaccini”198.
Le linee guida sono definite (dall’Institute of Medicine) “asserti (statements) sviluppati in modo sistematico allo scopo di aiutare le decisioni del medico e del paziente riguardo alle cure sanitarie più adatte nelle specifiche circostanze cliniche”199.
I protocolli, meno diffusi, sono più specifici e prevedono “rigidi schemi di comportamento diagnostico e terapeutico, tipici di un programma di ricerca clinica sperimentale elaborato per assicurarne la riproducibilità e quindi l’attendibilità scientifica”200.
Nella prassi, “le linee guida vengono utilizzate nel peculiare meccanismo di interazione che si stabilisce fra giudice ed esperto nel trasferimento di conoscenza, da scientifico a giuridica, attraverso la mediazione del medico legale”201.
La valutazione del sanitario tramite questi parametri era già consolidata nella giurisprudenza penale202-203.
Con il decreto Xxxxxxxx, il loro rispetto esclude la responsabilità penale per colpa lieve204 ma, in sede civile, può incidere sulla determinazione del danno risarcibile.
La norma utilizzava l’espressione “in particolare”, volendo probabilmente significare che, sebbene la valutazione in ordine al rispetto delle linee guida e delle buone pratiche occupi un’area preponderante, è salvaguardata la discrezionalità del giudice che, nello svolgimento dell’incarico, dovrebbe considerare anche altri elementi.
Da qui, la seconda precisazione.
La valutazione in ordine al rispetto dei protocolli non doveva avere muoversi su criteri astratti. L’inciso “in concreto” sembrava imporre una valutazione non solo sulla correttezza delle modalità adottate per svolgere l’intervento ma anche se queste, in relazione alle condizioni del paziente, fossero le più efficienti per la cura della patologia.
Esaminando il dossier allegato ai lavori preparatori (DdL AC5440), la norma, nella sua formulazione originaria, si voleva porre in continuità con la tradizione giurisprudenziale, “si configura la responsabilità professionale del medico anche per la colpa lieve, ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, cod. civ., ove, di fronte ad un caso ordinario, non abbia osservato, per inadeguatezza od incompletezza della preparazione professionale, ovvero per omissione della media diligenza, quelle regole precise che siano acquisite, per comune consenso e consolidata sperimentazione, alla scienza ed alla pratica, e, quindi, costituiscano il necessario corredo del professionista che si dedichi ad un determinato settore della medicina” (Cass., 22 agosto 1988, n. 1847).
198 Cfr. X. XX XXXXXX, Linee guida e colpa professionale, in Foro it., 2011, II, c. 424.
199 Così riportato da X. XX XXXXXX, Linee guida e colpa professionale, cit. 200 Così riportato da X. XX XXXXXX, Linee guida e colpa professionale, cit. 201 A. DI XXXXXX, Linee guida e colpa professionale, cit.
202 Tra le più recenti cfr. Cass. pen., 11 luglio 2012, n. 35922, in Foro it. on-line, la quale fa una rassegna delle sentenze penali più significative in materia di linee guida. Sul punto v. anche Cass. pen., 22 novembre 2011, n. 4391, in Cass. pen., 2012, p. 2069; Cass., 23 novembre 2010, n. 8254, in Foro it., 2011, II, c. 416; Cass. pen., 14 novembre 2007, n.
10795, in Foro it., 2008, II, c. 279
203 Cass. pen., 30 gennaio 2013, esclude la rilevanza penale al comportamento del sanitario che operi nel rispetto dell’area segnata da linee guida o da virtuose pratiche mediche, purchè esse siano accreditate dalla comunità scientifica. La pronuncia, in base alla considerazione che il Decreto Xxxxxxxx è legge penale più favorevole rispetto alla precedente e che quindi può trovare applicazione anche ai processi pendenti, rinvia gli atti alla Corte d’Appello affinchè il Giudice valuti se le linee guida siano state rispettate.
Di avviso parzialmente differente sembra essere Cass. pen., 18 giugno 2013, n. 39165 laddove ammette l’esclusione della responsabilità penale anche qualora le linee guida siano state rispettate, “La responsabilità del personale sanitario, anche in seguito al d.l. Xxxxxxxx, può escludersi anche laddove siano violate le linee guida dettate dalla letteratura scientifica. L'eterogeneità delle fonti e l'opinabilità delle best practices impediscono a queste di assurgere a strumenti di precostituita e ontologica affidabilità, per cui l'osservanza o meno delle stesse non è mai causa automatica di assoluzione o condanna”.
204 La norma non è scevra di aspetti problematici. Il diritto penale e, più segnatamente, il codice penale non prende in considerazione, ai fini della esclusione della responsabilità, la colpa lieve.
L’art. 2043 c.c. Il riferimento all’art. 2043 c.c. -e non all’art. 1218- ha generato interpretazioni contrastanti nella giurisprudenza di merito, la quale si è interrogata se al danno cagionato dal medico debbano essere applicate le regole contrattuali o aquiliane205.
La tesi preferibile, anche per continuità con la precedente tradizione giurisprudenziale, dovrebbe essere la prima ed è quella avanzata anche in un obiter dictum di una pronuncia del febbraio 2013 della Cassazione civile.
Secondo la Suprema corte, l’intento del legislatore è dettare una norma penale al fine di evitare pretestuose azioni ed agevolare l’esercizio della professione medica, “senza modificare tuttavia la materia della responsabilità civile che segue le sue regole consolidate, non solo per la responsabilità aquiliana del medico, ma anche per la cosiddetta "responsabilità contrattuale" del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale”206.
Il passo riportato potrebbe essere fonte di alcune ambiguità207 ma il principio sotteso affermato è chiaro: il richiamo all’art. 2043 c.c. non modifica le regole delineate negli ultimi anni dalla giurisprudenza; esso deve essere interpretato con esclusivo riferimento alla clausola generale ed al sistema ‘responsabilità civile’.
A sorreggere questa interpretazione, vi possono essere ulteriori argomenti.
La norma si compone di una fattispecie e di un effetto. Anche in ossequio al principio che la qualificazione del fatto spetta al Giudice, il Decreto Xxxxxxxx non incide sulle fattispecie del 2043 o del 1218, ma si è piuttosto operato sull’effetto: esclusa la responsabilità penale si è detto “resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.”.
Si richiama dunque l’effetto, l’obbligo di risarcire, e su di esso si incide in modo pesante. Basta uno sguardo al passato ed un attento esame della norma:
- Il giudice nella determinazione del danno tiene conto delle linee guida e delle buone pratiche
- Nei commi successivi si rinvia agli articoli 138 e 139 cod. ass., norme che prevedono la risarcibilità del danno biologico secondo un criterio tabellare208.
205 Secondo il Tribunale di Varese, 26 novembre 2012, “il Legislatore sembra (consapevolmente e non per dimenticanza)
suggerire l’adesione al modello di responsabilità civile medica come disegnato anteriormente al 1999, in cui, come noto, in assenza di contratto, il paziente poteva richiedere il danno iatrogeno esercitando l’azione aquiliana. E’ evidente che l’adesione ad un modulo siffatto contribuisce a realizzare la finalità perseguita dal legislatore (contrasto alla medicina difensiva) in quanto viene alleggerito l’onere probatorio del medico e viene fatto gravare sul paziente anche l’onere (non richiesto dall’art. 1218 c.c.) di offrire dimostrazione giudiziale dell’elemento soggettivo di imputazione della responsabilità. L’adesione al modello di responsabilità ex art. 2043 c.c. ha, anche, come effetto, quello di ridurre i tempi di prescrizione: non più 10 anni, bensì 5”.
Di diverso avviso, invece il Tribunale di Arezzo, 14 febbraio 2012, “L'art. 3, comma 1, d.l. 158/2012, conv. dalla l. 189/2012, cosiddetto "decreto Balduzzi" non impone alcun ripensamento dell'attuale inquadramento contrattuale della responsabilità sanitaria, ma si limita (nel primo periodo) a determinare un'esimente in ambito penale (i cui contorni risultano ancora tutti da definire), facendo salvo (nel secondo periodo) l'obbligo risarcitorio e sottolineando (nel terzo periodo) la rilevanza delle linee-guida e delle buone pratiche nel concreto accertamento della responsabilità (con portata sostanzialmente ricognitiva degli attuali orientamenti giurisprudenziali)”.
206 Cass., 19 febbraio 2013, n. 4030, in DeJure.
207 Da un lato si parla di responsabilità aquiliana e contrattuale del medico. Dall’altro la figura del contatto sociale sembra essere estesa tanto alla responsabilità del medico quanto a quella della struttura sanitaria (nello stesso errore è caduta anche Xxxx., 30 giugno 2011, n. 14405). In realtà, per descrivere il rapporto tra paziente e casa di cura non è necessario il richiamo al contatto sociale; il legame tra questi due soggetti si fonda su un contratto che, sebbene atipico, ha tutti i requisiti indicati dall’art. 1325 c.c. Trattasi del c.d. contratto di spedalità, sul punto cfr. Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577.
208 La norma estende l’applicazione delle tabelle contenute nel Codice delle assicurazioni, inizialmente dettate esclusivamente per l’infortunistica stradale.
Con riferimento alle lesioni micro-permanenti, circa il 90% dei casi (ove rientrano anche la perdita di un dito o dell’olfatto), le tabelle di Milano erano quelle finora maggiormente utilizzate dai giudici e garantivano risarcimenti più alti (X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Malasanità, indennizzi tagliati, in Il Sole 24 Ore. Norme e Tributi, 30 settembre 2012) Peraltro, la nuova legge si pone in discontinuità con un precedente intervento della Cassazione, la quale aveva negato la possibilità di estendere le tabelle di cui al Codice delle assicurazioni anche a settori differenti dall’r.c.a. (Cass., 30 giugno 2011, n. 14402).
- Le modifiche dell’art. 139 cod. ass. (nella L. 24 febbraio 2012, n. 27) escludono il risarcimento del danno per le lesioni di lieve entità che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo.
- Si prevedono disposizioni in tema di assicurazioni e di CTU.
A ciò si aggiunga che l’art. 2043 non detta quelle regole specifiche che distinguono la responsabilità contrattuale dall’aquiliana. Per quanto la norma costituisca il cardine della responsabilità risarcitoria da fatto illecito, la concreta disciplina è contenuta altrove: i criteri di riparto dell’onere della prova sono dettati dall’art. 2697 c.c.; la prescrizione quinquennale è introdotta dall’art. 2947 c.c.; il regime di solidarietà è quello dell’art. 2055 c.c.
In conclusione, non può affermarsi che il richiamo ad una clausola generale ed al generale obbligo del neminem laedere equivalga a rinviare ad un'intera disciplina.
Xxxxxxxxx, è da ritenersi più convincente che il legislatore abbia voluto evocare il sistema della responsabilità civile: il riferimento all'art. 2043 c.c. è del tutto neutro rispetto alle regole applicabili e consente di continuare ad utilizzare i criteri propri della responsabilità contrattuale, salvo le deroghe introdotte in punto di danno risarcibile.
9.4 La responsabilità dell’insegnante in caso di minore autolesionista.
Un ulteriore settore di incidenza della responsabilità da contatto sociale è la responsabilità dell’insegnante per la condotta autolesiva dell’allievo.
Il parallelismo con l’ipotesi del medico-dipendente è evidente: entrambi svolgono la propria attività a favore di terzi in esecuzione del contratto con la struttura in cui operano, pubblica o privata che sia.
In un obiter dictum del 2002, la Cassazione prende posizione sulla vexata quaestio209 dei danni cagionati dall’allievo a se stesso: “Tra precettore ed allievo si instaura pur sempre, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell’ambito del quale il precettore assume, nel quadro complessivo dell’obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e di vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona”210.
Solamente nel 2005 si configurerà espressamente tale fattispecie come forma di responsabilità contrattuale da contatto sociale211.
È richiamato anche l’art. 138 cod. ass. in materia di lesione non di lieve entità. In questa ipotesi, in mancanza di una tabella nazionale non ancora emanata, continueranno ad essere applicate le tabelle dei vari Tribunali, specialmente quelle di Milano.
209 Nonostante fino a poco tempo addietro la giurisprudenza preferisse adottare un’interpretazione estensiva dell’art. 2048 c.c., facendo confluire nella norma sia il caso del minore che cagioni un danno a sé stesso sia quella del minore che cagioni un danno a terzi(cfr. Cass., 26 giugno 1998, n. 6331, in Foro it., 1999, I, p. 1574; Cass. 10 dicembre 1998,
n. 12424, in Foro it. rep., 1998, voce Responsabilità civile, n. 180; Cass. 11 agosto 1997, n. 7454, in Xxxxx e resp., 1998, p. 260; Cass. 26 giugno 2001, n. 8740, in Foro it., 2001, I, 3098; Cass. 03 marzo 0000, x. 0000, xx Xxxxx. xxx., 0000, X, 0000. Cass., 01 agosto 1995, n. 8390, in Foro it. rep., 1995, voce istruzione pubblica, n. 110), la dottrina aveva sottolineato che un’interpretazione così estensiva fosse fuori dalla sistematica codicistica in quanto provocherebbe uno scambio del tutto ingiustificato di ruoli tra norme: col risultato che una norma speciale, quale l’art. 2048 c.c., diventerebbe una norma generale, estendendo indiscriminatamente l’agevolazione probatoria.
210 Cfr. Xxxx., sez. un., 27 giugno 2002, n. 9346, in Foro it., 2002, I, p. 2635. Cfr. i commenti di DI CIOMMO, La responsabilità contrattuale della scuola (pubblica) per il danno che il minore procura a sé: verso il ridimensionamento dell’art. 2048 c.c., in Foro it., 2002, I, p. 2635; MOROZZO DELLA ROCCA, Le sezioni unite sul danno cagionato al minore da se stesso, in Corr. Giur., 2002, p. 1293; FACCI, Minore autolesionista, responsabilità del precettore e contatto sociale, in Resp. civ. e prev, 2002, p. 1022; XXXXXXX, Condotta autolesiva dell’allievo: non risponde l’insegnante, in Danno e resp., 2003, p. 51; XXXXXXXXX, In tema di responsabilità degli insegnanti statali, in NGCC, 2003, I, p. 273 ss
211 Cass. 18 novembre 2005, n. 24456, in foro it. on-line. L’orientamento è stato anche recentemente confermato da Cass., 26 aprile 2010, n. 9906, in La resp. civile, 2010, XII, p. 844.
Grazie a tale soluzione, i genitori del minore ed il minore stesso potranno ottenere un ristoro patrimoniale, dimostrando esclusivamente il danno subito dal proprio figlio durante l’orario scolastico; diversamente, la scuola -privata o pubblica che sia- potrà liberarsi dall’obbligo risarcitorio attraverso la prova dell’adempimento del dovere di vigilanza. Infatti, i genitori, spesso impossibilitati a dimostrare nel corso del giudizio la negligenza del personale docente in relazione ai danni patiti dai minori loro affidati, saranno tenuti a provare solamente che l’evento dannoso si è verificato nel corso dell’orario scolastico.
E’ opportuna l’osservazione che tale dovere di sorveglianza non è da considerarsi assoluto; piuttosto, deve essere valutato relativamente, in base all’età ed al grado di maturazione del sorvegliato212.
Anche in questa ipotesi, come nella precedente, ci troviamo di fronte ad un caso in cui -seguendo la logica della fattispecie- tale danno dovrebbe essere risarcito secondo le regole della responsabilità aquiliana. Infatti, se pur esiste un contratto tra allievo ed istituto scolastico, questo non sussiste tra allievo ed insegnante.
Tuttavia, osta alla configurabilità di una responsabilità extracontrattuale il rilievo che tra precettore ed allievo si instaura pur sempre, per contatto sociale, un rapporto giuridico i cui doveri nascenti non sono solo istruire ed educare, ma anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza rivolto non erga omnes ma nei confronti dell’allievo con cui il precettore è entrato in contatto.
9.5. La responsabilità della banca per pagamento di un assegno a soggetto non legittimato
La struttura della responsabilità da contatto sociale non è stata utilizzata solamente per la tutela di un danno biologico alla persona ma è altresì riferibile alla riparazione di un pregiudizio patrimoniale.
È il caso della responsabilità della banca che, in violazione dell’art. 43 del X.X. 00 dicembre 1933, n. 1736 (c.d. legge assegni)213, paghi a soggetto non legittimato214.
Secondo la norma richiamata, sia l’assegno bancario che l’assegno circolare215 possono essere emessi con la clausola “non trasferibile”. Mediante l’apposizione di questa clausola l’assegno potrà essere pagato esclusivamente al prenditore o accreditato nel suo conto corrente. Per converso, esso non potrà neppure essere girato, se non ad un banchiere per l’incasso.
In questo modo, vietando in pratica la circolazione dell’assegno, la clausola riesce a tutelare adeguatamente sia il beneficiario contro i rischi che possono derivare dallo smarrimento o dalla
212 In ordine, poi, alla responsabilità degli insegnanti di scuole statali, la l. 11.7.1980, n. 312, art. 61, 2º co. - nel prevedere la sostituzione dell’Amministrazione, salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi - esclude in radice la possibilità che gli insegnanti statali siano direttamente convenuti da terzi nelle azioni di risarcimento danni da culpa in vigilando, quale che sia il titolo - contrattuale o extracontrattuale - dell’azione.
213 Art. 43. L'assegno bancario emesso con la clausola "non trasferibile" non può essere pagato se non al prenditore o, a richiesta di costui, accreditato nel suo conto corrente. Questi non può girare l'assegno se non ad un banchiere, per l'incasso, il quale non può ulteriormente girarlo. Le girate apposte nonostante il divieto si hanno per non scritte. La cancellazione della clausola si ha per non avvenuta.
Colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l'incasso risponde del pagamento.
La clausola "non trasferibile" deve essere apposta anche dal banchiere su richiesta del cliente. La stessa clausola può essere apposta da un girante con i medesimi effetti.
Le disposizioni del presente articolo si applicano soltanto agli assegni pagabili nel territorio della Repubblica o nei territori soggetti alla sovranità italiana
214 In dottrina cfr. X. XXXXXXX, Notarelle su un tema controverso: l’art. 43 legge assegni, in Riv. dir. impr., 2005, 3 ss.;
X. XXXXX, Appunti sulla responsabilità della banca per il pagamento di assegno non trasferibile al falso legittimato, in Foro it., 1999, I, 800; A. PATRONI GRIFFI, Banca emittente, banca girataria e richiedente nel pagamento dell’assegno circolare “non trasferibile” al non legittimato, in Banca borsa tit. cred., 1980, I, 358.
215 L’art. 43 è applicabile anche all’assegno circolare in base all’art. 86 della medesima legge assegni.
sottrazione del titolo, sia il traente sulla sicurezza del pagamento. Ne è così risultata, proprio per queste rigorose ed efficaci garanzie, una grande diffusione pratica di questa clausola nell’utilizzazione dei titoli di credito.
In questo panorama, la giurisprudenza si è trovata ad affrontare la questione sulla natura della responsabilità della banca che paghi l’importo indicato nell’assegno a soggetto non legittimato.
In particolare, il problema della responsabilità per aver erroneamente pagato un assegno non trasferibile si pone frequentemente a carico della banca girataria per l’incasso: di prassi è proprio un istituto bancario estraneo al rapporto tra traente, banca trattaria e prenditore, anziché la stessa banca trattaria ad effettuare la concreta negoziazione del titolo.
Su questo tema si riscontrava un contrasto in giurisprudenza216, la quale si era divisa in tre orientamenti contrastanti.
Secondo un primo orientamento, maggioritario217, il caso configurava un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale; secondo un diverso orientamento, minoritario218, bisognava parlare, invece, di responsabilità aquiliana; secondo un altro orientamento ancora trattavasi di responsabilità derivante dalla violazione di un’obbligazione ex lege219.
Sul punto sono intervenute le Sezioni unite della Cassazione220. Queste precisano che la distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale risiede essenzialmente nella circostanza che la seconda “consegue dalla violazione di un dovere primario di non ledere ingiustamente la sfera di interessi altrui”. Diversamente, la prima “presuppone l’inadempimento di uno specifico obbligo giuridico già preesistente e volontariamente assunto nei confronti di un altro soggetto”221.
Muovendo da tale assunto, ne deriva che la responsabilità contrattuale non sorge esclusivamente quando rimanga inadempiuta la prestazione oggetto del contratto; bensì anche ogni volta che si verifichi “l’inesatto inadempimento di un’obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte”.
Ebbene, l’art. 43 della legge assegni postula uno specifico obbligo operante nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse le regole sono dettate. Più concretamente, tale obbligo opera nei confronti di tutti i soggetti che entrano in contatto con la banca e che sulla sua professionalità fanno affidamento. Da ciò nasce il contatto sociale e l’applicazione della disciplina sulla responsabilità contrattuale.
L’analogia tra la responsabilità medica e la responsabilità per indebito pagamento di assegni non trasferibili è correttamente invocata dai Supremi giudici. Infatti, nella responsabilità del medico dipendente da struttura sanitaria, è con quest’ultima che il paziente intrattiene il rapporto contrattuale, mentre il solo contatto sociale fa sorgere la responsabilità del medico negligente. Parimenti, nell’ambito bancario il contratto intercorre tra il traente e la banca trattaria od emittente.
Invece, nessun contratto lega il vero beneficiario alla banca trattaria, ovvero il traente degli assegni bancari alla banca negoziatrice. Tuttavia, l’operatore economico ripone il proprio affidamento circa il puntuale espletamento del servizio bancario e sul banchiere grava “un obbligo professionale”, “preesistente, specifico e volontariamente assunto”, dalla cui violazione deriva quindi una responsabilità contrattuale da contatto sociale.
216 Per una panoramica generale sui singoli orientamenti giurisprudenziali cfr. A. P. XXXXXXXXX, Xxxxxxx non trasferibile, banca girataria e contatto sociale: responsabilità contrattuale, in La resp. civile, 2008, p. 165
217 Di recente x. Xxxx. 00 dicembre 2005, n. 27378 e Cass. 1 dicembre 2005, n. 26210, in Foro it., 2007, I, 255, con nota di X. XXXXXXXXX; Cass. sez. un. 20 novembre 1992, n. 12388, in Banca borsa tit. cred., 1994, II, 10
218 Cass. 16 novembre 2001, n. 14359, in Dir. fall., 2002, II, 404, con nota di X. XXXXXXXXXX. Tra le non molte decisioni in questo senso si veda anche Xxxx. 11 ottobre 1978, n. 4525, in Resp. civ. prev., 1979, 326.
219 Cass. 6 ottobre 2005, n. 19512, in Foro it., 2006, I, 1091, con nota di X. XXXXXXXXX; Cass. 25 agosto 2006, n. 18543, in Banca borsa tit. cred., 2007, II, 285, con nota di X. XXXXXX.
220 Sul punto sono intervenute le Sezioni unite della Cassazione, Cfr. Xxxx., sez. un., 26 giugno 2007, n. 14712, in
Danno e resp., 2008, p. 160.
221 Cass., sez. un., 26 giugno 2007, n. 14712, cit.
9.6. Mediazione tipica.
Una recente pronuncia della Cassazione ha introdotto la figura della responsabilità da contatto sociale anche nell’ipotesi della mediazione tipica di cui all’art. 1754 c.c.
Ai sensi di tale norma è mediatore il soggetto che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza222.
La circostanza che il mediatore agisca senza che vi sia un legame di tipo contrattuale tra lui e le parti che mette in relazione, ha posto l’interrogativo sulla natura della responsabilità nel caso in cui costui violi alcuni doveri specifici a lui imposti.
Anche in questa ipotesi si è fatto ricorso alla responsabilità da contatto sociale.
Facendo sempre riferimento ad un caso concreto, la Cassazione si è recentemente pronunciata in una fattispecie di omessa informazione da parte del mediatore in ordine alla proprietà di un bene immobile223: al momento della stipula del rogito notarile, risultava che l’immobile in questione fosse intestato per 1/8 ad una donna deceduta da anni e della quale non erano reperibili gli eredi. Tale informazione non era mai stata data alla acquirente interessata all’acquisto.
Pertanto, l’acquirente rinunciò ad acquistare la proprietà per intero, ottenendo la restituzione della caparra versata, e chiedendo al mediatore il rimborso della provvigione, oltre al risarcimento dei danni.
La domanda trovava fondamento nella violazione del dovere di informare del mediatore indicato nell’art. 1759 c.c.. In base a tale norma il mediatore deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione ed alla sicurezza dell’affare, che possono influire sulla conclusione di esso.
Secondo la Cassazione, tra queste informazioni vi rientrano necessariamente anche quelle sulla eventuale contitolarità del diritto di proprietà224.
Per arrivare a tale affermazione, la Cassazione affronta preliminarmente il tema della natura della responsabilità del mediatore tipico.
L'art. 1754 c.c. poco sopra ricordato nel descrivere l’attività del mediatore pone in rilevo tre aspetti: a) l'attività di mediazione prescinde da un sottostante obbligo a carico del mediatore stesso, perché posta in essere in mancanza di un apposito titolo (costituente rapporto subordinato o collaborativo); b) “la messa in relazione” delle parti ai fini della conclusione di un affare è dunque qualificabile come di tipo non negoziale ma comunque giuridica; c) detta attività si collega al disposto di cui all'art. 1173 c.c., in tema di fonti delle obbligazioni, e, specificamente, al derivare queste ultime, oltre che da contratto, da fatto illecito, o da “ogni altro atto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico” .
Pertanto, nonostante la responsabilità del mediatore tipico prima facie possa sembrare di tipo extracontrattuale -stante la mancanza di un rapporto alla base tra le parti, risulta preferibile il richiamo alla figura del contatto sociale.
Tale situazione -prosegue la Cassazione- è riscontrabile nei confronti dell'operatore di una professione sottoposta a specifici requisiti formali ed abilitativi.
Il richiamo è evidentemente alla disciplina dettata dalla l. n. 39 del 1989 la quale ha subordinato l’esercizio dell’attività di mediazione all’iscrizione in un apposito ruolo, in presenza di determinati requisiti di cultura e competenza (art. 2).
222 Qualora, invece, il mediatore agisse su incarico delle parti ci troveremmo innanzi ad un’ipotesi di mediazione atipica la quale costituisce in realtà un mandato. Sulla distinzione tra mediazione e mandato cfr. Cass. 24333/2008.
223 Cass., 14 luglio 2009, n. 16382, in Xxxxxxxxx, 2009, 1085, x. XXXXXX XXXXXXXXXX; Resp. civ., 2009, 2281, x. XXXXX; Giur. it., 2010, 1065 (m), x. XXXXXXX; Xxxxx e resp., 2010, 264, x. XXXXXXXXXXX; Giur. it., 2010, 61, x. XXXXX; Xxxx. it., 2010, 816 (m), x. XXXXXXXX; Obbligazioni e contratti, 2010, 755, x. XXXXXXXXXX.
224 Cass., 14 luglio 2009, n. 16382, cit. Per un filone giurisprudenziale in senso diametralmente opposto cfr. Cass., 7 luglio 2009, n. 15926.
Con tale legge il mediatore viene investito di una professionalità che impone una valutazione della condotta esigibile da parte della persona che con lui viene in contatto, improntata al criterio di diligenza professionale di cui all’art. 1176, co. 2, c.c.
Pertanto, in virtù del contatto sociale che si crea tra il mediatore e le parti, in una eventuale controversia è il primo a dover “dimostrare di aver fatto tutto il possibile nell'adempimento degli obblighi di correttezza ed informazione a suo carico (mentre spetta alle seconde fornire prova esclusivamente dell'avvenuto contatto ai fini della conclusione dell'affare)” ed “il termine di prescrizione per far valere in giudizio detta responsabilità del mediatore è quello ordinario decennale”225.
9.7. La responsabilità dell’ex datore di lavoro nei confronti dell’ex dipendente
Nel 2011 la Cassazione ha esteso il novero delle ipotesi di responsabilità da contatto sociale, facendovi rientrare anche la responsabilità dell’ex datore di lavoro per informazioni inesatte226.
Nel caso concreto, per poter conseguire la pensione, l’attore si era determinato a rassegnare le dimissioni dal nuovo impiego sulla base di errate informazioni rilasciategli dal precedente datore di lavoro227.
Secondo la Cassazione, “rileva quella responsabilità che giurisprudenza e dottrina qualificano da contatto sociale, venendo in rilievo una richiesta di informazioni che, in quanto rivolta da un ex dipendente ad un ex datore di lavoro, si connota per una vicinanza qualificata giuridicamente da obblighi e aspettative che trovano la loro origine nel pregresso vincolo contrattuale.”
Come nelle ipotesi precedentemente esaminate, è fuori questione che anche qui manchi un vincolo contrattuale, essendo questo già cessato da molti anni.
Tuttavia, al fine di non ricadere nella responsabilità aquiliana, bisogna valutare come si strutturi il contatto e se questo sia qualificato.
La sentenza muove da una considerazione di carattere generale che mette in luce il tratto maggiormente significativo dell’istituto, la fonte da cui origina l’obbligazione: “fonte della prestazione risarcitoria non è nè la violazione del principio del neminem ledere, nè l'inadempimento della prestazione contrattualmente assunta, ma la lesione di obblighi di protezione, di comportamento, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi esposti a pericolo in occasione del contatto stesso. Il rapporto che scaturisce dal "contatto" è ricondotto allo schema della obbligazione da contratto.”
Sulla base di questa premessa228, il ragionamento si sposta all’esame del caso concreto.
Secondo la Cassazione, il contatto “trova il proprio fondamento nel pregresso rapporto contrattuale ed è a tutela dell'affidamento che l'ex dipendente ripone nell'ex datore di lavoro, quale detentore qualificato delle informazioni relative ad un rapporto contrattuale ormai concluso, in un contesto che ha sullo sfondo la tutela costituzionale apprestata al lavoro (art. 35 Cost.)”.
225 Cass., 14 luglio 2009, n. 16382, cit.
226 Cfr. Cass., 21 luglio 2011, n. 15992
227 Con riferimento al rapporto causale tra le erronee informazioni e le dimissioni, “secondo la regola l'id quod plerumque accidit, non può dubitarsi del nesso causale tra quanto affermato dal Comune nel certificato e il conseguente comportamento del S. che, facendo affidamento sulla pensione anticipata in presenza di un periodo contributivo di otto anni presso il Comune, presentò le dimissioni dall'ENASARCO. Nè può ipotizzarsi una concorrenza causale del danneggiato, non rilevando, alla luce del consolidato criterio della cosiddetta causalità adeguata - secondo il quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiono, secondo una valutazione ex ante, del tutto inverosimili - l'omessa richiesta di verifica all'INPDAP. Infatti, sarebbe inverosimile ipotizzare che, in presenza di un certificato proveniente dal proprio (ex nella specie) datore di lavoro il comportamento dell'uomo medio, avrebbe potuto essere più accorto e richiedere la verifica.”
228 È significativo notare come nelle ipotesi viste in precedenza, ad eccezione di Xxxx., 22 gennaio 1999, n. 589 ove l’istituto fa la sua prima comparsa, manchi una premessa sistematica simile. Probabilmente, stanti i tratti peculiari della fattispecie, la funzione è dimostrare continuità.
Vale a dire, il contatto tra le parti è generato dal precedente vincolo contrattuale e si perfeziona nel momento in cui il vecchio dipendente si rivolge all’ex datore di lavoro per conseguire informazioni inerenti il loro precedente rapporto.
Però, per giustificare l’affidamento che il richiedente ripone sulla correttezza delle informazioni fornite229, è necessario che il contatto sia qualificato. Da qui la singolarità della fattispecie.
Parafrasando la motivazione, il contatto si instaura con il detentore qualificato delle informazioni relative allo svolgimento di un determinato rapporto lavorativo, persona che, di fatto, coincide con il datore di lavoro, a prescindere che il rapporto sia o meno in corso.
Questo comporta che l’affidamento riposto dal dipendente si fonda sul loro precedente rapporto lavorativo, e quindi sul contratto ormai cessato, e non sullo svolgimento da parte del datore di lavoro di una professione protetta per cui è necessaria una particolare abilitazione da parte dello Stato.
Rispetto alle precedenti ipotesi, il caso non configura un’anomalia se si è disposti ad accettare che la caratteristica di operatore qualificato possa essere attribuita tanto dalla legge a seguito di un abilitazione quanto da un rapporto contrattuale estinto.
Naturalmente, accettare questa posizione comporta come conseguenza la possibilità che l’ambito di operatività dell’istituto possa essere ampliato verso nuove aree, ancora inesplorate.
9.8. Ulteriori ipotesi.
Il panorama di indagine si estende ulteriormente, prendendo in considerazione le professioni legali.
Cass. 23 ottobre 2002, n. 14934230 -pur non applicandola alla fattispecie concreta- in linea di principio, configura la responsabilità da contatto sociale anche per i notai in un caso riguardante la cancellazione delle ipoteche. Afferma, infatti, che l’attività professionale del notaio rientra tra quelle protette, creando un affidamento nel soggetto che riceve la prestazione.
Anche per l’avvocato è stato affermato che, nonostante l’attività concretamente svolta non attenga all’esercizio forense231, “appare, infatti, coerente con le esigenze di tutela del prestigio dell'ordine professionale che siano osservate le norme di deontologia nei rapporti in genere, anche da contatto sociale, nei quali l'avvocato, in ragione della spendita di tale sua qualità, ottenga fiducia ed ingeneri affidamento nel terzo”232.
A completare il panorama della giurisprudenza della Cassazione, residuano due ulteriori ipotesi che potremmo definire improprie, nel senso che viene utilizzata tale locuzione in termini strettamente sociologici: l’avvicinamento tra le due parti si forma per contatto sociale il quale, a differenza delle ipotesi prima esaminate, trova il suo epilogo e concretizzazione in un vero e proprio accordo. Ad esempio, è il caso del contratto di parcheggio in cui “ il vincolo contrattuale si realizza attraverso il contatto sociale, giacché all’offerta della prestazione di parcheggio corrisponde l’accettazione dell’utente, manifestata attraverso l’immissione dell’auto nell’area messa a disposizione”233.
Lungo la stessa direttiva si muove anche Xxxx. 30 luglio 2003, n. 11704, in tema di diritto del lavoro. “Il credito del lavoratore nei confronti del proprio datore di lavoro, volto al risarcimento del danno biologico e morale, derivatigli in occasione di un infortunio sul lavoro, non ha natura
229 E la conseguente violazione da cui scaturisce la responsabilità.
230 Cass., 23 ottobre 2002, n. 14934, in NGCC, 2004, p. 112
231 Il caso riguardava la consegna di una somma ingente di denaro ad un avvocato destinata all’investimento nel mercato americano, la quale, invece, veniva utilizzata per scopi personali.
232 Cass., sez. un., 23 marzo 2005, n. 6216, in foro it. on-line
233 Cass. 26 febbraio 2004, n. 3863, in Resp. civ. e prev., 2004, p. 717
giuridica di credito di lavoro, trovando nel rapporto di lavoro soltanto l’occasione di un contatto sociale che ha determinato la sua insorgenza, ma ha natura di credito risarcitorio”234.
9.9. Profili sistematici della responsabilità da contatto sociale.
Dall’esame delle fattispecie appena indicate si può trarre qualche considerazione di carattere generale.
L’art. 1173 c.c. individua tra le fonti dell’obbligazione, oltre al contratto ed al fatto illecito, anche ogni altro atto o fatto idonee a produrle in conformità all’ordinamento giuridico.
Pertanto, se fonte dell’obbligazione può anche essere un fatto, il problema che si pone nello studio della responsabilità da contatto sociale è attribuire una valenza giuridica ad un fatto o, meglio, ad una relazione di fatto.
Ciò che emerge dalla disamina dei casi esaminati è l’esistenza di uno specifico rapporto tra le parti che sebbene non abbia la stessa forza di un contratto è idoneo a fondare un vincolo di natura giuridica.
La giuridicità di tale vincolo è data dal legittimo affidamento che un soggetto ripone nell’attività di un altro soggetto che svolge una professione qualificata.
Due, quindi, sono i presupposti idonei ad attribuire valenza giuridica ad una relazione di fatto e, al contempo, idonei a configurare una responsabilità contrattuale da contatto sociale: da una parte lo svolgimento di una professione qualificata per la quale è richiesta una specifica abilitazione; dall’altra, il legittimo affidamento che un soggetto ripone nei confronti di chi svolge tale professione.
Coordinando i due concetti tra loro, nell’ambito della relazione di fatto che si instaura tra le parti, è opportuno rilevare che i destinatari dei doveri derivanti da una professione qualificata non sono soggetti indeterminati; bensì, un determinato individuo -il singolo paziente, il singolo alunno, il singolo prenditore, il singolo acquirente- che, proprio perché entra in relazione con un soggetto che per compiere una determinata attività ha avuto una specifica abilitazione statale, su questo ripone un legittimo affidamento sul corretto svolgimento dell’attività per cui è stato abilitato.
Pertanto, questi due caratteri fanno assumere una dimensione giuridica al rapporto, il quale è in grado di produrre obbligazioni ai sensi della terza parte dell’art. 1173 c.c. La relazione che a questo punto si crea è molto più prossima ad una relazione di stampo contrattuale -la cui pretesa è fatta valere nell’ambito del rapporto di fatto- anziché extracontrattuale (che impone un dovere erga omnes di neminem laedere).
In questi termini, si può ricostruire la responsabilità contrattuale da contatto sociale.
Tentando una definizione, il contatto sociale è un rimedio che trova la propria fonte nell’art. 1173 c.c. e genera responsabilità di natura contrattuale; è volto a tutelare un interesse giuridico del soggetto che ha subito un danno e si fonda su due presupposti: un contatto sociale qualificato e la lesione dell’affidamento che il soggetto ripone in chi svolge una professione per cui è richiesta una particolare abilitazione”.
Si badi, tale ricostruzione non è scevra da perplessità.
Prima fra tutte, la categoria mette in luce una possibile dissociazione tra la fonte -individuata secondo lo schema dell’art. 1173 c.c.- e l’obbligazione che ne scaturisce. Quest’ultima può essere sottoposta alle regole proprie dell’obbligazione pur se il fatto generatore non è il contratto.
In secondo luogo, sorge l’interrogativo sui limiti cui sottoporre la responsabilità da contatto sociale. Nello specifico, cosa si intenda con l’espressione “contatto sociale qualificato” e quale significato debba essere riconosciuto al termine.
Quando tale figura ha fatto il suo ingresso nella realtà giuridica, l’aggettivo si identificava con l’esercizio di una professione protetta, quale il medico o l’insegnante e successivamente, si è estesa
234 Cass. 30-07-2003, n. 11704, in Notiz. Giur. lav., 2004, p. 170
anche in capo all’avvocato per attribuzioni di responsabilità differenti rispetto all’attività per cui è stata ottenuta l’abilitazione; fino ad arrivare anche alle ipotesi di contratto di parcheggio.
Pertanto, ci si chiede se, allo stato attuale, sia sufficiente un mero contatto sociale affinché derivi la responsabilità ex contracto, oppure si voglia qualcosa in più. La questione è di natura esegetica: letteralmente, si tratta di “tirare fuori da” qualificato un significato coerente con la ratio che informa l’istituto di origine giurisprudenziale.
Tuttavia, nonostante queste problematiche siano allo stato ancora aperte, meritano di essere portati all’attenzione anche gli effetti favorevoli che scaturiscono da tale ricostruzione.
Attraverso il contatto sociale, danni che tradizionalmente rientravano nell’alveo della responsabilità aquiliana vengono traghettati in ambito contrattuale: secondo il pensiero tradizionale, il rischio è ingenerare confusione. Diversamente, mutando prospettiva, l’istituto giurisprudenziale in esame si delinea quale sintomo di una più generale rivoluzione intellettuale che si sta diffondendo in tutta Europa. Si abbandona la logica della fattispecie e si individua un nuovo punto di messa a fuoco del diritto: la lesione di un interesse protetto al quale l’ordinamento deve offrire la tutela più efficiente235.
Per cogliere meglio il significato, non si può tralasciare la considerazione secondo la quale il diritto deve necessariamente fare i conti con la complessità del mondo e tradurre le esigenze manifestate dalla società nel suo linguaggio, dando a queste attuazione. Distinguendo tra ambiente e sistema, è stato sostenuto che il primo impone esigenze, mentre il secondo deve sviluppare strategie per far fronte ad esse236.
In questa dialettica tra ambiente e sistema, la responsabilità da contatto sociale riduce la differenza tra realtà materiale e realtà giuridica nonché, applicando la disciplina sul contratto, si rivela una tutela efficiente nei confronti del soggetto che ha subito un danno.
Peraltro, ciò non comporta come contropartita una eccessiva penalizzazione del soggetto che tale danno ha cagionato. Ciò perché, nella maggior parte delle ipotesi, a tutela di chi svolge una professione vi è sempre una compagnia di assicurazione la cui funzione è tenere indenne l’assicurato del danno da lui prodotto, naturalmente entro i limiti convenuti nel contratto.
235 Sul punto cfr. Cfr. il volume di X. XXXXXXX (a cura di), Remedies in contract. The common rules for a european law,
Xxxxxx, 0000.
236 X. XXXXXXX, Sistema giuridico e dogmatica giuridica, Bologna, 1978
PARTE SECONDA
LA RESPONSABILITÀ AQUILIANA
1. Il sistema della responsabilità aquiliana oggi.
La disciplina di questa area della responsabilità è in movimento sotto ogni profilo. Dalla evoluzione della nozione di danno ingiusto, dagli anni 70 sino alla svolta della Corte di Cassazione del 1999. All’espansione dell’area della risarcibilità dei danni non patrimoniali alla persona con le sentenze della Corte del 2003 e del 2008. Sino al consolidarsi di un sistema bipolare di responsabilità ( contrattuale ed extracontrattuale) e di danno ( patrimoniale e non patrimoniale) che riesce come si è detto a compensare “ valori patrimoniali alterati e a offrire rimedi alternativi di soddisfazione a vittime di illeciti, la cui risonanza sociale è fortemente avvertita”. Sicchè “ la tutela risarcitoria ha avuto un ruolo e una funzione primaria per attribuire rilevanza a interessi, anche atipici, collegati al patrimonio e ad esigenze esistenziali”237.
Tutto ciò pone alcuni problemi.
La tutela risarcitoria pur essendo elastica e flessibile non può essere precisata volta a volta dal giudice, ma deve essere espressione di un ordine precostituito da attuare con un certo grado di certezza e di effettività, il che esige per ognuno dei suoi elementi (danno ingiusto, danno risarcibile, regole di responsabilità) una attenta individuazione delle regole e delle clausole generali fissate dalla legge.
2. Antigiuridicità e danno ingiusto.
2.1. Ingiustizia e selezione del danno nella sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 500 del 1999
L’evoluzione storica del criterio dell’ingiustizia del danno è da decenni caratterizzato da rotture con il passato e da faticose ricerche di criteri di selezione dell’area dei danni risarcibili. La sentenza sugli interessi legittimi si colloca in questa linea di continuità, con molti meriti e qualche discrasia.
È stato sottolineato in ogni commento la svolta netta operata dai giudici nella valutazione dei rapporti fra il cittadino e l’amministrazione, nella selezione e nella tutela giurisdizionale degli interessi. Si è sottolineato giustamente come il diritto nasce da una sentenza che recepisce e cristallizza quanto la legge e la dottrina da tempo avevano indicato come soluzione preferibile.
L’esito sta nell’aver affermato con decisione che la formula dell’ingiustizia del danno è «una clausola generale primaria» in grado di selezionare da sé i danni risarcibili senza necessità di un preventivo filtro di altre norme, con funzione primaria nel discriminare fra diritti soggettivi, risarcibili, e semplici interessi, non risarcibili238.
Si abbandona una prospettiva strutturale nell’analisi della realtà sociale. Il Xxxxxxx non deve più chiedersi prima di decidere se un interesse è protetto nella forma del diritto soggettivo, ma deve valutare, in base al criterio dell’ingiustizia, la rilevanza e la meritevolezza della posizione del privato sia esso o meno portatore di un interesse legittimo, il quale come ogni interesse deve sottostare ad un analisi preliminare rispetto al passato.
La scelta è chiara. Ci si libera della convinzione che una valutazione strutturale possa garantire maggiore certezza e neutralità dell’interprete; si pone fine all’esigenza di inventare nuovi diritti per consentire la risarcibilità della situazione lesa; si impone al giudice di operare, senza finzioni, un’attività di valutazione e comparazione degli interessi che era elusa o mascherata dal rifugio nella categoria rassicurante del diritto soggettivo239.
237 Cosi X. Xx Xxxx, Profili della responsabilità civile, cit. p.
238 Cass. 22 luglio 1999, n. 500, cit.
239 Su tale vicenda è ancora di grande interesse il saggio di X. XXXXXXXX, Diritti soggettivi e diritti senza soggetto, in Jus, 1960, ora in Azione, Diritti soggettivi, Persone giuridiche, Bologna, p. 115 ss.; ma x. xxxxx X. XXXXXX, Xxxxxxxxxx xx xxxx xxxxxx, Xxxx-Xxxx, 0000; ID., Tecnologie e diritti, Bologna, 1995; e per una posizione diversa sulla funzione del
2.2. Dalla lesione del diritto soggettivo alla lesione dell’interesse protetto
Può essere utile ripercorrere l’evoluzione della giurisprudenza con un richiamo ai famosi casi "Superga" e "Meroni", che hanno costituito un momento di riflessione importante.
I Il caso "Superga" trae origine dal disastro aereo che trasportava il "grande Torino".
Vi era stata la richiesta di risarcimento nei confronti della compagnia aerea da parte dei congiunti delle vittime ma anche della società di calcio che lamentava la lesione del diritto relativo alla prestazione dei calciatori. La Cassazione escluse, una prima volta, nettamente la possibilità di una tale richiesta, in quanto, si disse, solo i diritti assoluti sono risarcibili . La motivazione, seppur non espressa, era chiarissima : ammettere il risarcimento di diritti di credito avrebbe significato riconoscere un generico dovere di astensione nei confronti di ogni diritto. Dovere non previsto dalla norma (art. 2043 ), che si riferisce,dunque si disse, solo ai diritti assoluti. La verità era che si temeva una eccessiva proliferazione dei risarcimenti e un eccessivo potere discrezionale del giudice.
Erano da tempo evidenti i limiti ideologici e logici dell’utilizzo di tale categoria in funzione di selezione dei danni risarcibili. Basta ricordare che nel caso Superga si nega la tutela aquiliana di posizioni creditorie in base alla diversa struttura dei diritti assoluti e relativi che non figura affato nell’art. 2043 del codice, ma la ribadita assenza di protezione del credito nei confronti dei terzi trovava un chiaro sostegno in esigenze presupposte dalla Corte.
La protezione del credito si reputava dannosa perché imponeva ai terzi una serie di doveri di astensione giustificati nei diritti assoluti ma che si ritenevano di ostacolo, se estesi ad ogni diritto, alla libera circolazione dei beni e al libero intrecciarsi dei rapporti commerciali. Si preferì, insomma, tollerare il sacrificio di interessi creditori per consentire a tutti i terzi di operare senza rigide restrizioni alla condotta240.
Tutto ciò in spregio alla coerenza giacché si ritenne risarcibile l’aspettativa di credito dei familiari di natura sicuramente relativa, ma non quella di altri debitori qualificati, ed il freno che operava sui giudici è evidente. Si temeva che superato il capo del diritto assoluto si sarebbero posti sullo stesso piano situazioni soggettive di grado diverso e vi sarebbe stata incertezza del diritto e arbitrio del giudice241.
Da allora la giurisprudenza teorica e pratica ha preso consapevolezza che il diritto soggettivo dava prove sempre meno convincenti come condizione di risarcibilità, via via che le esigenze dei privati si sono formate e contrapposte in un sistema complesso242.
II. Il caso "Meroni"243 si riferisce ancora ad un calciatore del Torino, investito e rimasto vittima di un incidente stradale. La medesima società di calcio ripropose, circa dieci anni dopo il caso Xxxxxxx, la stessa richiesta risarcitoria, nei confronti dell'investitore.
Il caso offrì alla Cassazione l'occasione per operare una svolta: si affermò, infatti, che l'art. 2043
c.c. non discrimina tra diritti assoluti e relativi. Sicchè è ammissibile la risarcibilità di qualsiasi lesione di una situazione riconosciuta e protetta da una norma giuridica. Tutto ciò, però, con una limitazione, costituita da un criterio selettivo di cui agli artt. 2056 e 1223 c.c.: la risarcibilità è ammessa, quando il creditore non possa rivolgersi verso altri per ottenere prestazioni uguali o equivalenti. Pertanto, affermata in astratto, la risarcibilità del diritto di credito fu esclusa in concreto
diritto soggettivo X. XXXXXXXXXX, Personalità (diritti della), in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, 359 ss.; X. XXXXXXXX, Personalità (diritti della), in Enc. giur.; v. anche da ultimo X. XXXXXXX, Carta europea e diritti dei privati, in Persona e Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 51 ss.
240 X. Xxxx. 0 luglio 1953, n. 2085 (caso Superga), in Il danno risarcibile, a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 2004, p. 30 ss.
241 Timore, è noto, che si supera solo in parte con il caso Xxxxxx (Xxxx. 26 gennaio 1971, n. 174 e Cass. 29 marzo 1978,
n. 1459, in Il danno risarcibile, cit., p. 34 ss.).
242 X. XXXXXX, Tecnologie e diritti, cit.
243 Cass. 26 gennaio 1971, n. 174 e Cass. 29 marzo 1978, n. 1459.
perché – si osservò – che gli incassi della società di calcio in questione non avevano subito flessioni.
Dunque, la giurisprudenza continuò a ritenere risarcibili soltanto i diritti soggettivi e non gli interessi legittimi ma la distinzione fra le diverse situazioni soggettive finì per diventare artificiosa. La Cassazione pur non abbandonando il principio di fondo, si è dimostrata sensibile alla richiesta di tutela di situazioni di incerta valutazione Tuttavia si è preferito per molto tempo elevare al rango di diritti soggettivi interessi particolarmente significativi ma difficilmente ricollegabili alla fattispecie del diritto soggettivo. Si è avvertito così la necessità di ampliare il giudizio di responsabilità per tutelare nuovi interessi, ma si è preferito inventare nuovi diritti.
Con questo escamotage la giurisprudenza ha garantito una evoluzione dell’area del danno risarcibile, senza correre il rischio di aumentare o diminuire l’area della responsabilità aquiliana.
Il prezzo di questo indirizzo è stata una scarsa coerenza da parte della giurisprudenza.
Basta pensare che si è riconosciuta in quegli anni la tutela del possesso (che non è certo un diritto soggettivo) o del danno derivato dalla morte del convivente (che non può vantare un diritto al mantenimento, derivante soltanto da un rapporto di coniugio). In tal modo la giurisprudenza finiva per inventare o costruire una situazione di diritto difficilmente ricollegabile ad un diritto soggettivo sempre meno utilizzabile per la selezione dei danni risarcibili.
Come si è osservato esattamente, al di là dell’aspetto ideologico è lo schema logico del diritto soggettivo che ha mostrato tutti i suoi limiti in molte valutazioni. Quando si riconduce alla norma la individuazione di ogni situazione soggettiva rilevante si sceglie un dato estrinseco all’interesse che riduce l’individuo e le sue esigenze ad oggetto di uno schema che sacrifica ogni altra «rilevanza giuridica della sua humanitas».
Ciò pone almeno il dubbio che si debba ricorrere necessariamente ad «un principio unico capace di ricondurre sotto di esso ogni aspetto della complessa fenomenologia giuridica». La quale sempre meno tollera strutture «aprioristicamente presupposte» in presenza «di una pluralità di situazioni e soluzioni, eterogenee ... nelle ragioni e nelle finalità» e non riducibili facilmente ad unità.
Da qui l’affermarsi di «una sempre maggiore insofferenza per le forme chiuse dell’antico dogmatismo e una sempre più spiccata tendenza verso costruzioni aperte, nelle quali il diritto entra come storia, cioè con tutte le particolarità e le implicazioni dell’esperienza»244.
In questa linea si inserisce il revirement della Cassazione in virtù del quale «è risarcibile il danno che presenta le caratteristiche dell’ingiustizia e che sia quindi non giustificato e lesivo di un interesse rilevante per l’ordinamento (non iure e contra ius)».
Chiaro è l’abbandono di un giudizio determinato a priori dalla norma ed evidente è la sollecitazione di una valutazione autonoma del giudice certamente delicata perché il rigore e la modalità del suo svolgimento determineranno l’importanza e i limiti del nuovo corso.
2.3. Ingiustizia del danno e discrezionalità dell’interprete
Si è detto che il riferimento al diritto positivo nella selezione dell’interesse è importante ma ambiguo perché si presta ad essere superato da un’attività interpretativa che, affrancata dalla ricerca di un diritto soggettivo, può rinvenire in un tessuto ramificato e frantumato indici di rilevanza desunti da segni poco significativi. Senza che giovi più di tanto il riferimento alla «comparazione degli interessi in conflitto» o la «rottura del giusto equilibrio intersoggettivo» che non costituiscono orientamenti sicuri per l’interprete245.
Tale obbiezione può essere ridimensionata ricordando che il giudizio di rilevanza indica sempre
«la forma iuris in virtù della quale un’entità exrtragiuridica penetra nel sistema del fenomeni giuridici». È giuridico il fatto che è riconosciuto da una norma che lo ipotizzi, ma la presenza di un
244 V. ancora le limpide pagine di X. XXXXXXXX, Diritti soggettivi e diritti senza soggetto, op. cit., p. 179 ss.
245 V. i commenti di CARANTA, FRACCHIA, ROMANO e SCODITTI, in Foro it., 1999, I, c. 3201.
generico riferimento non è idoneo a dimostrare la sua meritevolezza246. Una motivazione che si limitasse a rinvenire qualche riferimento normativo rivolto ad una posizione soggettiva non è certo sufficiente per isolare una posizione soggettiva rilevante. Che è tale se l’ordinamento manifesta un’esigenza di protezione non piena ma pur sempre idonea ad isolarlo in modo chiaro da una posizione di mero fatto247.
La dottrina aveva ipotizzato una «valutazione sociale degli interessi in gioco» orientata da un criterio di solidarietà costituzionale248.
La sentenza di cui ci occupiamo va oltre, lasciando prefigurare una necessaria graduazione della rilevanza in funzione dell’attività del danneggiate o della peculiarità della fattispecie concreta. Afferma che non «assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto». Esclude un’«indiscriminata risarcibilità degli interessi legittimi come categoria generale» e formula rigorosi criteri di identificazione dell’interesse leso dall’Amministrazione e di imputazione della responsabilità.
Emerge un «giudizio di comparazione degli interessi in conflitto» «condotto alla stregua del diritto positivo» che deve condurre ad accertare la consistenza ed intensità della tutela dell’interesse del danneggiato tenendo conto anche di norme che prendono in considerazione l’interesse per profili diversi da quelli risarcitori e che possono indicare al giudice se si sia verificata una rottura del «giusto» equilibrio inter-soggettivo da ristabilire mediante il risarcimento249.
2.4. Il caso Xxxxxx e gli esiti della sentenza sul risarcimento degli interessi legittimi
L’esito del giudizio di merito che ha dato impulso alla sentenza della Cassazione è ancora più significativo250.
In presenza di una convenzione di lottizzazione, non recepita senza alcuna giustificazione in un piano regolatore annullato e poi riadottato con una corretta motivazione, il primo giudice ha riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni per la violazione di un interesse oppositivo. La Corte di Appello ha negato invece il risarcimento affermando che l’atto del Comune non conteneva alcun profilo di illegittimità sostanziale, ma solo un vizio di forma, eliminato con la nuova approvazione del Piano regolatore. Sicché «l’interesse del privato sarebbe stato egualmente sacrificato pur se le regole fossero state rispettate» e non vi sarebbe stato spazio per un danno risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c.251.
La Corte di cassazione ha censurato questa ultima ricostruzione affermando che il privato vantava una «posizione di vantaggio connessa alla proprietà fondiaria, derivante dal conferimento dell’edificabilità, in virtù della convenzione di lottizzazione». Interesse che è ricostruito in base ad indici normativi (art. 5 l. 8 agosto 1992 e art. 11 l. 7 agosto 1990, n. 241) e giurisprudenziali (Cass.
23 aprile 2001, n. 172, Cass. 11 giugno 1998, n. 5021) come situazione soggettiva volta alla conservazione del bene o del vantaggio che nella nuova lettura dell’art. 2043 implica, in caso di lesione, un danno ingiusto252.
246 V. sul punto per le varie opinioni sul tema X. XXXXXXX, voce «Opponibilità», in Enc. giur., 2000, p. 1 ss.
247 Così Cass. 22 luglio 1999, n. 500, cit.
248 V. le diverse posizioni espresse a suo tempo da X. XXXXXX, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964, p. 79 ss.; F.D. BUSNELLI, La lesione del credito da parte dei terzi, Milano, 1964, 73 ss.; e ora la ottima sintesi di X. XXXXXXXX, Dei fatti illeciti, sub artt. 2043-2059, in Commentario del Codice civile Scialoja e Branca, a cura di Xxxxxxx, Bologna-Roma, 1993.
249 Cass. 22 luglio 1999, n. 500, cit.
250 Sui due giudizi di merito relativi al caso Xxxxxx v. X. XXXXXXX, Risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi: due pronunzie a confronto, in Riv. dir. priv., 2002, I, p. 5 ss.
251 App. Firenze, 20 maggio 2001, in Foro it., 2002, I, c. 1211 ss. con nota di XXXX, L’illecito per x.x. xxxxxxx di interessi legittimi, delineato da Xxxx. S.U. 99 alla (ulteriore) prova di applicazione concreta.
252 Cass. 10 gennaio 2003, n. 157, in Foro it., 2003, I, c. 78 ss. con nota di FRACCHIA, Risarcimento del danno causato da attività provvedimentale dell’amministrazione: la cassazione effettua un’ulteriore (ultima?) puntualizzazione.
La sentenza ha analizzato la posizione del privato seguendo l’emergere di interessi differenziati nell’esercizio e nel godimento del diritto dominicale ove è possibile individuare «fasi non definitive ed intermedie, anche connesse ad azioni amministrative nelle quali possono riconoscersi interessi non solo evolutivi ma anche conservativi delle posizioni acquisite» per i quali, nella legislazione vigente, esiste un chiaro riferimento alla risarcibilità (l. n. 241/90, art. 13 l. 19 febbraio 1992, n. 142, art. 35 d. lg. 31 marzo 1998, n. 80 nella riedizione operata con l’art. 7 l. 21 luglio 2000, n.
205).
Ma la novità della pronunzia non si esaurisce qui. Il giudice di legittimità ha qualificata come aquiliana la responsabilità dell’amministrazione con riferimento ai fatti accaduti oltre trenta anni orsono, e avverte che l’evoluzione normativa scandita in particolare dalla legge sul procedimento amministrativo del 1990 induce a considerare quel tipo di illecito «assai più vicino alla responsabilità contrattuale». Ciò perché l’essenza dell’interesse legittimo consiste nel rispetto di regole del procedimento con cui si esercita il potere pubblico e perché, appunto, questa essenza è stata espressamente recepita in testi normativi idonei ad attribuire piena rilevanza ad un interesse (procedimentale) al rispetto dei doveri di correttezza e legalità dell’azione amministrativa, anche a prescindere dalla lesione di un bene della vita253.
Si conferma così l’orientamento di altre pronunzie di legittimità circa una forma di responsabilità ai confini fra contratto e illecito che connota questo settore di attività al pari di altri ed emerge una linea di tendenza precisa254. L’espandersi di doveri di comportamento a carico di un soggetto rafforza la posizione giuridica del destinatario di tali contegni e accresce la rilevanza giuridica del rapporto sicché le regole di responsabilità si avvicinano progressivamente al modello contrattuale ponendo a carico «dell’obbligato» l’onere di dimostrare il rispetto delle situazioni doverose che gravano sulla sua posizione255.
In sintesi. L’ingiustizia del danno, nel nuovo indirizzo giurisprudenziale, è una clausola generale primaria e non secondaria ed è ingiusto il danno:
• non iure, ossia non giustificato (violazione obiettiva);
• contra ius, in presenza di una lesione non più esclusivamente di un diritto soggettivo, ma anche di un interesse giuridicamente rilevante.
Per accertare la rilevanza assumono rilievo tutta una serie di circostanze, indicate dalla sentenza,
• deve esistere una norma o altri indici precettivi che proteggano l’interesse.
• è necessaria una comparazione degli interessi in conflitto per accertare:
• la consistenza e l’intensità della tutela accordata dalla legge agli interessi del danneggiante e del danneggiato;
• la prevalenza di un interesse sull’altro in base alla rottura del giusto equilibrio che viene ristabilito con il risarcimento.
3. Il danno ingiusto nella dottrina e nei progetti di uniformazione europea.
La dottrina più autorevole ribadisce che “ l’ingiustizia è l’elemento che traghetta l’illecito dalla rilevanza all’efficacia, ponendosi come il vero criterio arbitratore dell’obbligo risarcitorio e di
253 V. sul punto le osservazioni critiche di FRACCHIA, op. cit., c. 83 ss.
254 V. E. XXXXXXXX, La responsabilità della pubblica amministrazione, in questo Quaderno, p. 1213; e le sentenze raccolte e commentate da X. XXXXXXX, in Il danno risarcibile, cit., p. 25 ss., fra cui le pronunzie del Consiglio di Stato, in part. 6 agosto 2001, n. 4239.
255 Su tale vicenda concettuale v. X. XXXXXXXX, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: Significato attuale di una distinzione tradizionale, Milano, 1993; P.G. MONATERI, Cumulo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, Padova, 1989, p. 183 ss.; ID., La Responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, dir. da X. Xxxxx, Torino, 1998, p. 672 ss.; F. D. XXXXXXXX, Itinerari europei nella «terra di nessuno» tra contratto e fatto illecito: la responsabilità da informazioni inesatte, ora in BUSNELLI e PATTI, Xxxxx e responsabilità, Torino, 1997, p. 215 ss.; X. XXXXXXXXXX, La nuova responsabilità civile, Milano, 1997, p. 177 ss.
conseguenza il reale principio fondativo della regola di responsabilità civile”256. Ma le ricostruzioni sono diverse.
Occorre ribadire anzitutto due aspetti.
Anzitutto manca in ogni sistema di Civil Law e di Common Law un generico dovere di arrecare danni ad altri e ciò per almeno due motivi. Un tale principio è in contrasto con l’esigenza di garantire “( la libertà di) iniziative”257 dannose per taluni soggetti ma non illecite (basta pensare al sistema concorrenziale che incoraggia comportamenti competitivi ,potenzialmente pregiudizievoli per chi opera sullo stesso mercato, purchè non illeciti), e urta anche con la disciplina della responsabilità che presuppone una valutazione comparativa degli interessi in conflitto e non protegge, in ogni caso, la sfera del soggetto pregiudicato, ma solo in presenza di un danno che abbia connotati di ingiustizia258.
I modelli presenti nei sistemi europei sono sostanzialmente due.
Una indicazione specifica dei fatti illeciti simile alle fattispecie penali come la Common law e il codice tedesco ( § 823 preoccupato dell’eccessivo potere discrezionale del giudice) o l’uso di una clausola generale, da concretizzare nel momento applicativo del precetto secondo il modello francese (art.1382 c.c. fr.) che obbliga al risarcimento in presenza di qualsiasi fatto che causa ad altri un danno.
Come è noto il codice italiano del 1865 seguì il modello francese mentre quello attuale ha fissato come requisito di risarcibilità la presenza di un danno ingiusto collocandosi in una posizione mediana fra il sistema tedesco e quello francese259. E’ bene ricordare anche che i progetti di uniformazione del diritto europeo sfociati nel Common Frame of Reference hanno effettuato una scelta ancora diversa basandosi sul requisito del danno “giuridicamente rilevante”.
Premesso ciò si tratta di precisare i contorni del requisito dell’ingiustizia e le ricostruzioni sono diverse.
Per alcuno la “determinazione e il senso della natura giuridica dell’interesse leso” si avrà quando si consente la realizzazione della situazione soggettiva in presenza di un diritto soggettivo, un potere , uno status e le corrispondenti facoltà, le aspettativa e l’ interesse legittimo, oltre ai doveri e obblighi connessi alle singole fattispecie. Ma non solo. Esiste, si osserva, una serie di interessi rilevanti perché oggetti di una tutela solo conservativa che non consente in pieno la loro realizzazione e non attribuisce loro la qualità di una situazione soggettiva ma attribuisce pur sempre meritevolezza di protezione secondo l’ordinamento giuridico e come tale giuridica rilevanza. Giudizio questo da trarre dal singolo caso con riferimento al “sistema inteso.. come insieme di significati e corrispondenti direttive pratiche di azione.. tratte non solo dalla Costituzione e dal diritto dell’Unione europea.. ma anche da quello uniforme, come pure dall’universo normativo di formazione spontanea costituito dagli usi e dalla lex mercatoria”260
Altri si preoccupano di attenuare il riferimento dell’ingiustizia come clausola generale, precisando che tale requisito rimanda comunque “ad una situazione soggettiva della quale si tratti di accertare la lesione261” o a modelli standardizzati nella coscienza sociale262, o a una integrazione con altre norme più specifiche263 Altri, ancora, vanno alla ricerca di criteri ulteriori, secondo una conclusione su cui occorre soffermarsi264.
000 X. Xxxxxxx. Illecito civile e responsabilità:fondamento e senso di una distinzione, in Riv.dir.civ.,2009,6, p.670
257 A.di Majo, op. cit. p. 19.
258 A.di Majo, op.cit. p.20.
259 X. Xxxxxxxxxx, La nuova responsabilità civile, 3 ed.,Milano, 2006,p.11.
000 X. Xxxxxxx, op. cit. p. 661.
261 X.Xxxxxxxxxx, La nuova responsabilità civile, op. cit.,p. 11. v. anche X. Xxxxxxxxx, Spunti in tema di danno ingiusto e di danno meramente patrimoniale, in Eur.dir.priv.,2008,p 392.
262 X.Xxxxxxxxxx, Danno giuridico, in Enc.dir. Agg., I,Roma,p. 500.
263 X.Xxxxxxxxxx, in Lipari-Xxxxxxxx ( a cura di), Diritto civile, Xxxxxx 0000.
264 X.xx Xxxx, Profili della responsabilità civile, Torino, 2010, p. 19 ss.
Ci si chiede se esistano “indici di rilevanza dell’ingiustizia del danno altri e diversi dalla consistenza e natura dell’interesse stesso colpito dall’illecito”, e la risposta è positiva “ove l’indice di rilevanza dell’ingiustizia possa essere rinvenuto nella stessa violazione di norme che, di per sé, non sono destinate ad attribuire diritti al soggetto né a proteggere in via diretta l’interesse ma che comunque tale interesse in qualche modo contemplano e/o presuppongano e che quindi possono essere richiamate ove, in sede di risarcibilità, si lamenti che quel interesse è stato leso”265. Ciò può accadere, secondo l’autore, in presenza di una norma che secondo il modello espresso dal § 823 2 comma del codice tedesco “ pur proseguendo altri fini ( ad es. norme penali o amministrative o il codice della strada) ed essendo dotata di effetti diversi (rispetto a quello risarcitorio) possono nondimeno essere richiamate per tutelare sub specie damni interessi di soggetti determinati incisi dalla violazione”. Tali norme insomma “ finalizzate ad es. alla tutela di interessi generali ( ad es. le norme penali) e/o comunque non direttamente del singolo danneggiato ( si pensi a norme del diritto societario), possono essere richiamate anche a tutela dello interesse del singolo, ove si debba ritenere che detto interesse è anch’esso nella “area di protezione della norma”266.
Secondo questa tesi è dunque legittima la ricerca di diversi indici rispetto all’interesse o diritto leso. “Ove ,alla base del conflitto vi siano solo atti vietati rispetto all’agere licere del titolare, l’ingiustizia del danno è nel dovere violato. Ove invece alla base vi siano comportamenti entrambi “permessi”, è nella rottura delle regole di coesistenza e cioè nelle particolari modalità del comportamento che va ricercato l’indice di ingiustizia del danno” ( art.2598 c.c.)267
Fonti persuasive
DCFR, VI. – 1:101: Basic rule
(1) A person who suffers legally relevant damage has a right to reparation from a person who caused the damage intentionally or negligently or is otherwise accountable for the causation of the damage.
(2) Where a person has not caused legally relevant damage intentionally or negligently that person is accountable for the causation of legally relevant damage only if Chapter 3 (Accountability) so provides.
4. Il fatto ed il nesso di causalità.
4.1. La causalità penale.
La causalità nell’illecito è stata a lungo ricostruita in piena aderenza ai criteri fissati per l’illecito penale negli articoli 40 e 41 del codice penale, i quali espressamente sanciscono che :
Questa impostazione è stata giudicata progressivamente insufficiente sino ad arrivare ad un orientamento forte delle Sezioni Unite della Cassazione268 che deve essere esaminato da vicino.
Il primo chiarimento si ha nel precisare la diversità fra illecito civile e reato.
265 A.di Majo, op.cit.p. 27.
266 A di Majo, op.cit. p.31
267 A. di Majo , op. cit. p. 34.
268 Cass.Sez. Un. 11 gennaio 2008,n 581.
Ai fini della “sanzione penale si imputa al reo il fatto-reato ( il cui elemento materiale è appunto costituito da condotta, nesso causale, ed evento naturalistico o giuridico) mentre ai fini della responsabilità civile ciò che si imputa è il danno e non il fatto in quanto tale”. Ma anche nella responsabilità civile un fatto è sempre necessario “perché l’imputazione di un danno presuppone l’esistenza di una delle fattispecie “ descritte nel codice (2043 -2054 ) “ le quali si risolvono nella descrizione di un nesso che lega ..un evento o ad una condotta o a cose o a fatti di altra natura, che si trovino in una particolare relazione con il soggetto chiamato a rispondere”.
Da ciò si tra una prima netta conclusione.
Il danno rileva sotto due profili diversi: come evento lesivo disciplinato da un criterio di causalità materiale e come insieme di conseguenze risarcibili disciplinato da un criterio di causalità giuridica. Sicchè “ il danno oggetto della obbligazione risarcitoria aquiliana è ..esclusivamente il danno conseguenza del fatto lesivo ( di cui è un elemento l’evento lesivo), mentre se sussiste solo il fatto lesivo senza una conseguenza dannosa , non vi è obbligazione risarcitoria.”
Il che significa per quanto attiene al nesso causale esistono due momenti della responsabilità civile: “ la costruzione del fatto idoneo a fondare la responsabilità “ ove la causalità materiale o di fatto ha evidenti analogie con la causalità penale ( artt. 40 e 41 c.p.) e la determinazione del danno subito, disciplinata dai criteri posti dall’art. 1223 richiamato dall’art. 2056 c.c.
Tale distinzione è ricavabile direttamente dall ’art. 1227. Il primo comma disciplina il contributo causale del debitore nella produzione dell’evento dannoso e il secondo comma il rapporto fra l’evento e il danno rendendo non risarcibili alcuni di essi.
Manca nell’area contrattuale una disposizione sul danno ingiusto “ perché in tal caso il soggetto responsabile è ,per lo più, il contraente rimasto inadempiente o il debitore che non ha effettuato la prestazione dovuta” Xx è per questo che la giurisprudenza non dovendo identificare il soggetto responsabile si è spesso limitata a dettare alcune indicazioni pratiche “ senza optare per una precisa scelta di campo, tesa a coniugare il “risarcimento del danno”, cui è dedicato l’art.1223 c.c., con il rapporto di causalità.”
Premesso tutto ciò la Suprema Corte muove la sua analisi dal sistema di valutazione e determinazione dei danni contrattuali o extracontrattuali, (art. 2056 c.c.), composto dagli articoli 1223,1226,1227 , dall’art. 1225 e dall’art. art. 1221 “che si fonda sul giudizio ipotetico di differenza tra la situazione quale sarebbe stata senza il verificarsi del fatto dannoso e quella effettivamente avvenuta”
4.2. La causalità materiale come elemento sostanziale dell’illecito.
Per la precisazione di tale elemento la giurisprudenza teorica e pratica prevalente reputa che “ un evento è da considerare causato da un altro se , ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo ( c.d. teroia della condictio sine qua non )”, ciò in applicazione dei principi degli articoli 40 e 41 del codice penale.
Il rigore dell’equivalenza delle cause posto dall’art. 41 che riconosce ad ognuna delle concause dell’evento efficienza causale è temperato dal “ principio di causalità efficiente” contenuto nell’art. 41 “in base al quale l’evento dannoso deve essere attribuito all’autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto”.
“ Nel contempo non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all’interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l’evento causante non appaiono del tutto inverosimili ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile, secondo il principio della c.d. causalità adeguata o quella similare della c.d. regolarità causale”.
Secondo la teoria della regolarità causale “ ampiamente utilizzata anche negli ordinamenti di common law, ciascuno è responsabile soltanto delle conseguenze della sua condotta,attiva o omissiva, che appiano sufficientemente prevedibili al momento nel quale ha agito, escludendosi in tal modo la responsabilità per tutte le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili”.
“Sulle modalità con le quali si deve compiere il giudizio di adeguatezza, se cioè con valutazione ex ante, nel momento in cui la condotta, o ex post, al momento del verificarsi delle conseguenze dannose, si è interrogata la dottrina tedesca più di quella italiana, giungendo alle prevalenti conclusioni secondo le quali la valutazione della prevedibilità obbiettiva deve compiersi ex ante , nel momento in cui la condotta è stata posta in essere, operandosi una “prognosi postuma”, nel senso che si deve accertare se, al momento in cui è avvenuta l’azione, era del tutto imprevedibile che ne sarebbe potuta discendere una data conseguenza.
La teoria della regolarità causale, pur essendo la più seguita dalla giurisprudenza, sia civile che penale, non è andata esente da critiche da parte della dottrina italiana, che non ha mancato di sottolineare che il giudizio di causalità adeguata, ove venisse compiuto con valutazione ex ante verrebbe a coincidere con il giudizio di accertamento delle sussistenza dell’elemento soggettivo. Ma la censura non pare condivisibile, in quanto tale prevedibilità oggettiva va esaminata in astratto e non in concreto ed il metro di valutazione da adottare non è quello della conoscenza dell’uomo medio ma delle migliori conoscenze scientifiche del momento (poiché non si tratta di accertare l’ elemento soggettivo, ma il nesso causale).
In altri termini ciò che rileva è che l’evento sia prevedibile non da parte dell’agente ma delle regole statistiche e/o scientifiche, dalla quale prevedibilità discende da parte delle stesse un giudizio di non improbabilità dell’evento.”
La conseguenza che si trae da queste osservazioni è chiarissima.
“Il principio della regolarità causale diviene la misura della relazione probabilistica in astratto ( e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra comportamento ed evento dannoso ( nesso causale) da ricondursi anche sulla base dello scopo della norma violata, mentre tutto ciò che attiene alla sfera dei doveri di avvedutezza comportamentale andrà più propriamente ad iscriversi entro l’elemento soggettivo ( la colpevolezza) dell’illecito. Inoltre se l’accertamento della prevedibilità dell’evento, ai fini della regolarità causale fosse effettuato ex post, il nesso causale sarebbe rimesso alla variabile del tempo intercorrente fra fatto dannoso ed il suo accertamento, nel senso che quanto maggiore è quel tempo tanto maggiore è la possibilità di sviluppo delle conoscenze scientifiche e quindi dell’accertamento positivo del nesso causale ( con la conseguenza illogica che della lunghezza del processo, segnatamente nelle fattispecie a responsabilità oggettiva, potrebbe giovarsi l’attore, sul quale grava l’onere della prova del nesso causale).
4.3. L’imputazione per omissione colposa nel caso Xxxxxxxx.
Di grande rilievo sul punto è la sentenza della Cassazione penale a Sezioni Unite sul caso Franzese 269.
Nel reato omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi esistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicchè esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significatamene posteriore o con minore intensità lesiva.
In presenza di comportamenti omissivi e di un elevato dubbio sull’esistenza del nesso causale, tenuto conto del peculiare valore del bene protetto, si giustificava in precedenza un affievolimento
269 Cass., Sezioni Unite penali, 10 luglio 2002, n. 30328, in Foro it., 2002, II, c. 601.
dell’obbligo del giudice di pervenire ad un accertamento rigoroso della causalità. La sentenza delle Sezioni Unite Penali della Cassazione intende superare tale orientamento perché l’attenuazione finirebbe, si osserva, per esprimere coefficienti di probabilità indeterminati, manipolabili dall’interprete e si finirebbe per aderire ad una nozione debole di causalità in violazione del principio di legalità e del principio di tipicità e tassatività della pena.
La direzione che si indica è segnata da un giudizio basato su di un alto grado di credibilità razionale, vicino alla certezza processuale, con un forte richiamo ad un rigoroso accertamento della causalità contro semplificazioni probabilistiche e soluzioni discutibili 270.
La sentenza indica un metodo e un’esigenza precisa e condivisibile.
Afferma che non è consentita una deduzione automatica o proporzionale del coefficiente di probabilità statistica; ma che ad essa va sempre aggiunta una evidenza logica ricavabile in concreto. Passaggio importante questo, che congiunge strettamente il profilo sostanziale e processuale e concentra l’attenzione sul rigore della motivazione. Ove i fatti debbono essere ricostruiti ed analizzati in base ad una corretta sequenza che li colleghi in una consequenzialità logica espressa in una ricostruzione che utilizzi i dati della scienza tecnica ma che affermi la peculiarità del discorso giuridico fondato necessariamente su una rigorosa giustificazione, come unico criterio di salvaguardia e di controllo dell’argomentazione giuridica.
Il giudizio deve fornire risposta ai problemi di vita, ed è essenziale a tal fine il rigore e lo spessore del ragionamento. L’integrazione tra ermeneutica e dogmatica che esige conoscenza del fatto e stabilizzazione del risultato in base a un discorso razionale e verificabile. Se l’argomentazione giuridica usa schematismi o semplificazioni si sottrae al controllo e fa emergere solo le pre-comprensioni soggettive dell’interprete. Di più se ci si contenta di una nozione debole di causalità si ottiene un bilanciamento degli interessi e dei valori altrettanto deboli e l’una e l’altra conseguenza sono due mali da evitare con grande fermezza.
La Corte di cassazione prende le distanze da queste due conseguenze negative ed esprime un monito forte al giudice, alle parti e agli operatori271.
Sono tre gli aspetti fondamentali della pronunzia.
a) La nozione di causa che deve essere intesa come condizione necessaria senza la quale non si sarebbe verificato il fatto dannoso. Sicché “la verifica della causalità postula il ricorso al “giudizio controfattuale” articolato sul condizionale congiuntivo “se ….allora”. La condotta umana è condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente dal novero dei fatti realmente accaduti, l’evento non si sarebbe verificato”.
b) Il rigore nell’accertamento della causalità che deve essere accertata al di là di ogni ragionevole dubbio. Si precisa che il giudice deve anzitutto rintracciare le leggi scientifiche che possano ricostruire l’esistenza di un nesso di causalità fra fatto ed evento. Fra queste si distingue fra criteri universali che danno sufficiente certezza e criteri statistici che possono essere utilizzati purchè il giudice possa escludere, con certezza, l’esistenza di fattori causali alternativi.
c) L’utilizzo delle massime di esperienza che può avvenire solo purchè queste abbiano un fondamento scientifico.
Questi criteri di accertamento della causalità (alto grado di probabilità logica e di credibilità razionale) si reputano applicabili di recente nel solo diritto penale e nella fattispecie omissive. Nelle ipotesi di responsabilità civile, soprattutto se si sia in presenza di illeciti anche commissivi si reputa
270 V. altresì Cass. 23 gennaio 2002, in Foro it., 2002, II, c. 420 con nota di richiami di X. XXXXXXXX.
271 X. Xxxx., Sezioni Unite penali, 10 luglio 2002, cit., c. 602, con note di udienza del procuratore generale presso la Corte di Cassazione e con nota di DI GIOVINE, La causalità omissiva in campo medico-chirurgico al vaglio delle sezioni unite.
che la verifica probabilistica può arrestarsi su soglie meno elevate di accertamento controfattuale272. Ciò si trae con chiarezza dalla recente sentenza delle Sezioni Unite civili.
4.4. L’imputazione per omissione colposa nella Cassazione a Sezioni unite civili
La pronunzia inizia ricordando come in tale caso “ il giudizio causale assume come termine iniziale la condotta omissiva del comportamento dovuto: rilievo che si traduce a volte nell’affermazione dell’esigenza, per l’imputazipne della responsabilità, che il danno sia una concretizzazione del rischio che la norma di condotta violata tendeva a prevenire”. In tal caso si parla di “mancanza di nesso causale di antigiuridicità” ai sensi dell’art. 40 secondo comma c.p.. Si capisce bene il perché.
L’omissione di un certo comportamento rileva “ soltanto quando si tratti di omissione di un comportamento imposto da una norma giuridica specifica (omissione specifica)..,ovvero, in relazione al configurarsi della posizione del soggetto cui si addebita l’omissione, siccome implicante l’esistenza a suo carico di particolari obblighi di prevenzione del’evento poi verificatosi e ,quindi, di un generico dovere di intervento (omissione generica) in funzione dell’inadempimento di quell’evento, il giudizio relativo alla susssistenza del nesso causale non può limitarsi alla mera valutazione della materialità fattuale, bensì postula la preventiva individuazione dell’obbligo specifico o generico di tenere la condotta omessa in capo al soggetto”. Ciò perché “ la causalità nell’omissione non può essere di ordine strettamente materiale poiché ex nihilo nihil fit”.
D’altra parte “ anche coloro ( corrente minoritaria) che sostengono la causalità materiale nell’omossione e non la causalità normativa (basata sull’equiparazione disposta dall’art. 40 c.p.) fanno coincidere l’omisssione con una condizione negativa perché l’evento potesse realizzarsi. La causalità, in questa prospettiva, è tuttavia accertabile attraverso un giudizio ipotetico:l’azione ipotizzata, ma omessa, avrebbe impedito l’evento?
In altri termini , continua la Corte, “ non può riconoscersi la responsabilità per omissione quando il comportamento omesso, ove anche fosse stato tenuto, non avrebbe comunque impedito l’evento prospettato: la responsabilità non sorge non perché non vi sia stato un comportamento antigiuridico (l’omissione di un comportamento dovuto è di per sé un comportamento antigiuridico), ma perché quell’omissione non è causa del danno lamentato. Il giudice è pertanto tenuto ad accertare se l’evento sia ricollegabile all’omissione( causalità omissiva) nel senso che esso non si sarebbe verificato se ( causalità ipotetica) l’agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli, con esclusione di fattori alternativi. L’accertamento del rapporto di causalità ipotetica passa attraverso l’enunciato controfattuale che pone al posto dell’omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato”.
La conclusione è netta.
“I principi genarli che regolano la causalità di fatto sono anche in materia civile quelli delineati dagli articolo 40 e 41 del codice penale e della regolarità causale, in asenza di altre norme nell’ordinamento in tema di nesso eziologico ed integrando tali principi di tipo logico e conformi a massime di esperienza”. Ciò vale sia in caso di condotta commissiva o omissiva seconda la norma generale dell’art. 2043 c.c. e si deve solo specificare che tali criteri vanno adeguati alle peculiarità delle singole fattispecie normative di responsabilità civile che esprimono una varietà di forme giuridiche di imputazione del danno.
Nei casi di responsabilità oggettiva in cui si imputa il danno a chi ha una determinata esposizione al rischio, ovvero a chi ha la possibilità di evitarlo nel modo più conveniente “il verificarsi del danno discende da un’opzione del medesimo, assunta in alternativa alla decisione
272 Così Cass. 19 giugno 2006, n.11755.
contraria”. “Sennonché il criterio di imputazione della fattispecie (con le ragioni che lo ispirano) serve solo ad indicare quale è la sequenza causale da esaminare e può anche costituire un supporto argomentativi ed orientativo nell’applicazione delle regole proprie del nesso eziologico, ma non vale a costituire autonomi principi della causalità. Sostenere il contrario implica riportare sul piano della causalità elementi che gli sono estranei e che riguardano il criterio di imputazione della responsabilità o l’ingiustizia del danno”.
4.5. Nesso causale e ipotesi di responsabilità oggettiva.
“La responsabilità oggettiva non può essere pura assenza o irrilevanza dei criteri di imputazione, bensì sostituzione di questi con altri di natura oggettiva, i quali svolgono nei confronti del rapporto di causalità la medesima funzione che da sempre è propria dei criteri soggettivi di imputazione nei fatti illeciti”. Mentre nella responsabilità per colpa è fondamentale il nesso tra evento e condotta , nella responsabilità oggettiva sono “ i criteri di imputazione ad individuare il segmento della sequenza causale, tendenzialmente infinita, alla quale fare riferimento ai fini della responsabilità”. Anzi sono decisivi nella determinazione del responsabile perché in tali casi “il nesso causale non si identifica nel nesso eziologico tra evento e condotta..,bensì o si riferisce alla condotta di altri o addirittura non coincide con una condotta , bensì con una concatenazione tra fatti di altra natura, inidonea a risolvere la questione della responsabilità: Tale questione la norma di volta in volta risolve mediante qualcosa di ulteriore che è costituito da una qualificazione, espressiva appunto del criterio di imputazione. Esso in questo caso non si limita a stabilire quale segmento di una certa catena causale debba ritenersi rilevante ai fini della responsabilità, ma addirittura serve ad individuare la catena causale nella quale fare riferimento e ,attraverso tale riferimento, la sfera soggettiva sulla quale deve gravare il costo del danno.”
“Resta il problema di quando e come rilevi giuridicamente tale “concatenazione causale”tra la condotta di altri e l’evento ovvero fra il fatto di altra natura e l’evento di cui debba rispondere il soggetto gravato dalla responsabilità oggettiva”. La risposta della Sezioni Unite è chiara.
“ In asenza di norme civili che specificatamente regolino il rapporto causale, occorre ancora fare riferimento ai principi generali di cui agli articoli 40 e 41 del codice penale, con la particolarità che in questo caso il nesso eziologico andrà valutato non tra la condotta del soggetto chiamato a rispondere, ma tra l’elemento individuato dal criterio di imputazione e le’evento dannoso. In altri termini ,mentre nella responsabilità penale il rapporto ezilogco ha sempre come punto di riferimento iniziale la condotta dell’agente, in tema di responsabilità civile extracontrattuale il punto di partenza del segmento causale può essere anche altro, se in questi termini la norma fissa il criterio di imputazione, ma le regole per ritenere sussistente, concorrente, insussistente o interrotto il nesso causale tra tale elemento e l’evento dannoso, in assenza di altre disposizioni normative, rimangono quelle fissate dagli articoli 40 e 41 c.p.. Il rischio o il pericolo, considerati eventualmente dalla ratio dello specifico paradigma normativo ai fini dell’allocazione del costo del danno, possono sorreggere la motivazione che porta ad accertare la causalità di fatto, ma restano categorie di mero supporto che da sole non valgono a costruire autonomamente una teoria della causalità nell’illecito civile.”
4.6. La prova
“Ciò che muta sostanzialmente tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova “ oltre il ragionevole dubbio” ( caso Xxxxxxxx) mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”, stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa e l’equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti, come rilevato da attenta dottrina che ha
rilevato l’identità di tali standard delle prove in tutti gli ordinamenti occidentali, con la predetta differenza tra processo civile e penale . Anche la Corte di GiustiziaCE è indirizzata ad accertare che la causalità non possa che poggiarsi su logiche di tipo probabilistico ( CGCE 13.7.2006 n.295 che ha ritenuto susstente la violazione delle norme sulla concorrenza in danno al consumatore se “appaia sufficientemente probabile” che l’intesa tra compagnie assicuratrici possa avere un’influenza sulla vendita delle polizze).
Tale “ standard di “certezza probabilistica”in materia civle non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa –statistica delle frequenze di classi ed eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana ), che potrebbe anche mancare o essere in conferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma ( e nel contempo di eslusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana). Nello schema generale della probabilità come relazione logica va determinata l’attendibilità dell’ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma ( c.d. evidence and inference nei sistemi anglosassoni).
5. La responsabilità extracontrattuale a protezione del contratto, delle relazioni familiari e del mercato
5.1. La responsabilità extracontrattuale e la violazione del contratto
La responsabilità per violazione da parte di un terzo di situazioni soggettive costituite per effetto di un contratto o di un’attività negoziale è una tipica ipotesi di illecito di creazione giurisprudenziale che riveste interesse per vari motivi 273.
Fino agli anni ’70 si escludeva che il primo acquirente che non aveva trascritto potesse pretendere un risarcimento dal secondo che aveva trascritto in mala fede traendo argomento dall’art. 2644. La norma, si osservava, attribuisce tutela al secondo acquirente, prevede l’inefficacia della prima vendita non trascritta, attribuisce legittimità al secondo atto e non riconosce effetti giuridici alla conoscenza della prima vendita. Sicché non potrebbe ipotizzarsi un danno ingiusto perché la trascrizione dell’atto non è che l’esercizio di un diritto da parte del secondo acquirente ed il danno non deriva dal compimento del secondo atto, ma dalla trascrizione del primo che è consentita dalla legge 274.
La revisione di questa impostazione scaturisce dalla volontà di non lasciare senza sanzione
«l’innegabile violazione della correttezza da parte del secondo acquirente in malafede» ed è scandita dall’affermarsi di alcune consapevolezze. Si osserva anzitutto che non esiste un diritto a servirsi incondizionatamente della trascrizione la quale mira alla protezione dell’interesse generale alla sicurezza della circolazione. Di tal che non si può separare nella condotta del secondo acquirente il fatto della trascrizione dalla stipulazione del suo atto di acquisto e non si può trascurare che il terzo comincia a porre in essere una condotta dannosa con la conclusione del secondo acquisto. Senza contare che il primo trasferimento produce effetti reali od obbligatori che il secondo acquirente non può, comunque, violare275.
270 X. X. XXXXXXXXXX, Xx xort of interference nei rapporti contrattuali: le esperienze nordamericana e italiana a confronto, in Quadrimestre, 1989, p. 69 ss.; X. XXXXXXX, Xxxxx lesione del credito alla responsabilità extracontrrattuale da contratto, in Contratto e impresa, 1987, p. 126 ss.; X. XXXXXXX, La violazione del contratto, in La responsabilità civile, a cura di Xxxx e Xxxxxxx, 1987, p. 308 ss.; X. XXXXXXXXXX, La nuova responsabilità civile, op. cit., p. 108 ss.; e da ultimo P.G. MONATERI, La responsabilità civile, op. cit., p. 621 ss.
274 X. XXXXXXX, La violazione del contratto, op. cit., p. 311.
275 Cass. 8 gennaio 1982, n. 76, in Rep. Foro it., 1984, Trascrizione, n. 24. La tendenza è stata successivamente confermata anche da Cass., 15 giugno 1988, n. 4090, in Foro it., 1989, I, p. 307; Cass., 18 agosto 1990, n. 8403, in Foro it., 1991, I, c. 2473; Cass., 17 dicembre 1991, n. 13573, in Rep. Foro it., Trascrizione, n.. 27; Cass., 13 gennaio 1995, n.
Individuata la fattispecie la sua espansione è stata amplissima. La responsabilità del terzo è stata riconosciuta in presenza di una doppia concessione di un diritto personale di godimento, per la violazione del preliminare di vendita e di una prelazione legale o volontaria, nell’ipotesi dello storno e del patto di esclusiva o di segretezza, in molte ipotesi di lesione della libertà positiva o negativa di contrarre 276. Non sono mancati eccessi che inducono a riflettere sull’evoluzione o involuzione della nozione di danno ingiusto, come l’ipotesi di complicità o induzione a commettere adulterio che consente di affermare la responsabilità dell’amante di una donna coniugata senza alcuna prova del danno arrecato e del nesso causale dell’attività amatoria ad arrecarlo 277.
La fattispecie è stata valutata sotto diversi profili e sono diverse le possibili ricostruzioni. a)Xxxxxx ha trovato contraddittoria la necessaria presenza di un inadempimento come fattispecie
della responsabilità con la natura extracontrattuale dell’illecito del terzo. Il ragionamento segue i seguenti passaggi. Il comportamento del terzo complice diviene rilevante unicamente in concorso con quello del debitore e comunque mai senza che il debitore non adempia. L’unico modo per dare ad esso una forma giuridica è di iscriverlo nel cerchio della relazione obbligatoria. La inattuazione del rapporto è dovuta all’inadempimento del debitore, sicché è questo fatto la fonte della responsabilità. Risponde dell’inadempimento non soltanto il debitore ma l’eventuale terzo che concorra con il debitore nell’illecito. Tutto ciò comporta il superamento di una visione dell’obbligazione come rapporto a struttura semplice ed il suo ampliamento da punto di vista oggettivo. Nel nostro caso si rileva che l’art. 2644 dispone in modo inequivoco in ordine all’irrilevanza del comportamento del terzo che per primo trascrive e ne segue che solo l’intenzione prava di nuocere (e non la mala fede) può consentire di affermare una responsabilità 278.
Tale ricostruzione suscita dubbi sotto vari profili. Una responsabilità ex contractu per un soggetto estraneo al rapporto può suscitare perplessità. D’altra parte l’ampliamento del rapporto obbligatorio e la individuazione di doveri di protezione non sono elementi recepiti con sicurezza nel nostro ordinamento. Infine occorre precisare che l’art. 2644 non esaurisce ogni valutazione ma prevede l’efficacia dell’atto trascritto e non esclude un giudizio di responsabilità per l’autore dell’atto.
b) Una seconda teoria riconosce una responsabilità extracontrattuale del terzo ma nella sola ipotesi di partecipazione dolosa, con una motivazione che si basa su di una razionalità metapositiva
279. Il ragionamento si basa su di un’analisi dei costi e dei benefici che permette di stabilire il modo in cui debbono essere sopportate le conseguenze di azioni dannose nel nostro caso. Si osserva che la valutazione di illiceità non può svolgersi al di fuori di un interesse generale. La libera circolazione dei beni è un valore generale sicché non si possono ammettere soluzioni capaci di intralciarla anziché favorirla. È evidente che si fa uso nel ricostruire la formula danno ingiusto di un’interpretazione orientata alle conseguenze che è del tutto legittima in astratto. In una società che non si riconosce in un sistema di valori stabili e coerenti non è facile giustificare oggettivamente la prevalenza di una od un’altra valutazione. Occorre allora ridurre la questione dei valori alle conseguenze sociali delle scelte esaminando le quali è più agevole il controllo di razionalità 280.
Tale procedere ha un limite nella considerazione che l’analisi economica è un metodo di ricerca di soluzioni possibili, amplia la possibilità di decisione ma non è un criterio di verifica delle soluzioni, non foss’altro perché l’economicità non è l’unico parametro di valutazione. La verifica va
383, in Corr. giur., 1995, p. 601; Cass., 9 gennaio 1900, x. 00, xx XXXX, 0000, I, p. 343; Cass., 25 ottobre 2004, n. 20721, in NGCC, 2005, I, p. 631. Per approfondimenti sulla fattispecie v. X. XXXXXXXXXX, La responsabilità del secondo acquirente nella doppia alienazione immobiliare, in Resp. civ., 2006, 11, p. 870.
276 V. per una ampia disamine di queste fattispecie la Rassegna di X. XXXXXXX, in questo Quaderno, p. 56 ss.
277 V. P. XXXXXX, Non desiderare la donna d’altri, in Contratto e impresa, 1990, p. 607 ss.
278 Così, X. XXXXXXXXXX, in La nuova responsabilità civile, op. cit., p. 117 ss.
279 X. XXXXXX, Il dolo nella responsabilità extracontrattuale, Torino, 1976; XXXXXX e XXXXXXX, Il dolo, in La responsabilità civile, a cura di Xxxx e Xxxxxxx, op. cit., p. 96; X. XXXXXXX, Il diritto di proprietà, in Trattato di diritto civile e commerciale, dir. da Mengoni, Milano 1995, p. 745.
280 X. XXXXXXX, Ermeneutica e dogmatica, Milano, 1996, p. 86 ss., 91 ss.
eseguita in base ad bilanciamento fra principi e diritti fondamentali riconosciuti e garantiti nel sistema. E se così è si deve concludere che la sicurezza della circolazione non è l’unico principio guida nella materia dato che lo stesso Trattato di Roma consente limitazion alla libera circolazioni delle merci per ragioni di moralità pubblica 281.
c) La soluzione adottata nella giurisprudenza prevalente è ancora diversa. Si afferma la responsabilità contrattuale dell’alienante che dispone due volte, la responsabilità extracontrattuale del secondo acquirente e si da rilievo alla buona fede come elemento di una figura speciale di fatto illecito. Il terzo a conoscenza di un contratto si comporta non iure se coopera all’inadempimento e viola così la situazione da esso sorta e la buona fede integra i presupposti della fattispecie 282.
La soluzione deve essere attentamente verificata, ma sembra accettabile per una serie di motivi. Non basta evocare il mito della ragione per fronteggiare la complessità della società, né si può identificare giustizia ed efficienza economica. Occorre che il riferimento valutativo dell’interprete e l’elaborazione delle informazioni tratte dall’ambiente sociale si ispiri a punti di vista e modelli giustificati nel sistema. È necessario, infine, un controllo di razionalità che verifichi i punti di vista valutativi e concili i principi di economicità, giustizia sociale, e libertà individuale. La soluzione giurisprudenziale sembra conciliare in particolare sicurezza e moralità della circolazione e formula pertanto un bilanciamento corretto fra i diversi principi 283.
5.2. La tutela aquiliana per “indebolimento della posizione contrattuale”: il caso CIR Fininvest.
Un caso giudiziario, ancora pendente davanti alla Corte di Cassazione, ha segnato la storia finanziaria e politica degli ultimi venti anni ed ha posto al centro della decisione dei giudici di merito la rilevanza di un comportamento illecito nella fase precedente un contratto concluso e non impugnato dalla parte che ha ritenuto di essere stata danneggiata. Vediamolo da vicino.
a) Il caso.
La fattispecie è riassunta benissimo in una lucida nota di commento alla sentenza della Coxxx xx Xxxxxxx xx Xxxxxx000.
“In un arbitrato che aveva ad oggetto il controllo del Gruppo Mondatori la CIR era contrapposta alla famiglia Xxxxxxxxx. In pendenza di codesto procedimento arbitrale, che era stata preceduto da un rastrellamento di azioni del Gruppo Mondatori da parte di Fininvest, CIR rifiutò una soluzione di spartizione societaria predisposta da una nota banca d’affari: CIR preferì assumersi il rischio processuale connesso alla pronunzia del lodo. Il lodo (Presidente Pratis) reso in via rituale e pronunziato secondo equità, fu deciso a maggioranza con la dissenting opinion di uno dei membri del Collegio, e diede ragione a CIR. Il lodo fu impugnato dai soccombenti, con l’intervento in giudizio di Xxxxxxxxx, innanzi alla Corte di Appello di Roma. Questa , con decisione unanime, ritenne di annullare il lodo arbitrale. CIR allora promosse ricorso per Cassazione. Poi le parti, tutto considerato, preferirono sedersi attorno ad un tavolo per cercare un accordo transattivo: La transazione dopo un lungo negoziato, venne finalmente stipulata il 29 aprile 1991, con conseguente abbandono del ricorso per Cassazione.
La transazione poneva così fine alla complessa e combattuta lite intercorsa.
281 X. XXXXXXX, op. cit., p. 312.
282 V. ancora la rassegna di X. XXXXXXX, in questo Quaderno, p. 56 ss.
283 X. XXXXXXX, op. cit., p. 85 ss.
284 X.Xxxxxx, Efficacia dela transazione e responsabilità extracontrattuale per indebolimento di posizione negoziale, in Resp.civ.prev.,9, 2011, p. 1807 ss.
Successivamente venne accertato che uno dei membri della Corte di Appello di Roma che aveva annullato il lodo Pratis era stato corrotto. Di tale fatto, obbiettivamente gravissimo, anzi abominevole, si è occupato il giudice penale che ha condannato il corrotto e il corruttore.
CIR come abbiamo detto, aveva abbandonato il ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Corte di Appello di Roma preferendo la soluzione transattiva. Scoperta la corruzione del giudice Xxxxx, CIR da un lato aveva evitato di coltivare la via della revocazione della sentenza della Corte di Appello romana e dall’altro aveva pure evitato di impugnare la transazione.
La pietra tombale della transazione, non rimossa, presidiava dunque la “legge” che le parti si erano date.
Senonchè la difesa di CIR ebbe un’idea tanto geniale quanto giuridicamente ardita di aggirare il macigno della transazione giocando la carta della responsabilità extracontrattuale.”285
b) La sentenza di primo grado
Il Tribunale di Milano286 decise, nel primo grado di giudizio che:
• La corruzione del giudice Xxxxx aveva influito in modo rilevante sulla sentenza di annullamento del lodo.
• Il fatto illecito aveva determinato un contenuto della transazione ben diverso da quello che le parti avrebbero programmato in assenza della corruzione.
• La lite iniziata da CIR davanti al Tribunale di Milano, ai sensi dell’art. 2043 c.c. era diversa da quella oggetto della transazione, sicché non poteva essere invocato il giudicato della Corte di Appello di Roma che aveva deciso sulla impugnazione del lodo.
• Non poteva essere preclusiva dell’azione di responsabilità aquiliana la validità o efficacia del contratto di transazione che era stato concluso a seguito della decisone della Corte di Appello di Roma.
• Non era decorso alcun termine di prescrizione perché CIR si era costituita parte civile nei processi penali promossi contro chi aveva agito per conto del gruppo Fininvest.
Come si è osservato esattamente la sentenza risente della elaborazione giurisprudenziale che reputa possibile esperire l’azione aquiliana per “proteggere una parte (contrattuale)verso l’altra” secondo lo schema ipotizzato nell’art. 1440 c.c. che lascia intatta la validità di un contratto, oggetto di un comportamento in mala fede di una parte, compensando la vittima con un risarcimento pari allo svantaggio subito per effetto del contegno illecito. L’utilizzo in via analogica o indiretta di tale rimedio è stato possibile allorché la Corte di Cassazione ha ritenuto , in modo innovativo rispetto al passato che la responsabilità precontrattuale prevista nell’art. 1337 sia esperibile anche in presenza di un contratto già concluso e perfetto.287
La motivazione della sentenza del 2005 ( n. 19024) con cui si reputa possibile per il giudice correggere il risultato lesivo di un comportamento sleale che ha inciso sul contenuto del contratto, è chiaro e confermato poi da sentenze del 2007( n. 26724) e del 2010 ( n. 14056):
• “l’art. 1337 c.c. assume il valore di una clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in maniera precisa, ma certamente implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o anche solo reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o anche solo conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto”.
285 X.Xxxxxx, op. cit. p. 1819-1820.
286 Si veda il testo in Resp. civ. prev., 2010, p. 586 con commento di X. Xxxxxxxxxxxx, Ingiustizia e quantificazione del danno da sentenza frutto di corruzione di uno dei componenti del collegio; ma v. anche X. Xxxxxxxx, La chance, il danno non patrimoniale e il caso Mondatori, in Cont.imp., 6. 2009, p. 1169 ss.
287 X.Xxxxxxxx, op. cit. p. 1174 ss.
• Quando “il danno deriva da un contratto valido ed efficace ma “sconveniente”, il risarcimento, pur non potendo essere commisurato al pregiudizio derivante dalla mancata esecuzione del contratto posto in essere ( il c.d. interesse positivo), non può neppure essere determinato, come nelle ipotesi appena considerate, avendo riguardo all’interesse della parte vittima del comportamento doloso ( o, comunque, non conforme a buona fede) a non essere coinvolta nelle trattative, per la decisiva ragione che, in questo caso, il contratto è stato validamente concluso, sia pure a condizioni diverse da quelle alle quali esso sarebbe stato stipulato senza l’interferenza del comportamento scorretto”.
• “ non vi è motivo di ritenere che la conclusione di un contratto valido ed efficace sia di ostacolo alla proposizione di un’azione riarcitoria fondata sulla violazione della regola posta dall’art 1337 c.c. o di obblighi più specifici riconducibili a detta disposizione, sempre che, s’intende, il danno trovi il suo fondamento( non già nell’inadempimento di un’obbligazione derivante dal contratto, ma) nella violazione di obblighi relativi alla condotta delle parti nel corso delle trattative e prima della conclusione del contratto”288
• In tal caso “ il titolo dell’azione risarcitoria fatta valere può fondarsi sull’art. 1440 c.c., così come sull’art. 1337 o sull’art. 2043”.
• di questo avviso è stato anche l’estensore della sentenza del Tribunale di Milano nel caso CIR –Fininvest perchè, pur senza propendere per una precisa soluzione, la decisione sembra orientarsi verso l’art. 2043 c.c., modellando il danno ingiusto sulla base di tali articoli.
• In buona sostanza, secondo il Tribunale, “ tanto l’art. 1440 quanto l’art. 1337 possono essere letti in chiave di protezione dell’esercizio dell’autonomia privata di ciascuna parte, la cui lesione costituisce un danno ingiusto ai sensi dell’art. 2043c.c., a prescindere dalle vicende del contratto concluso e dalle regole che gli sono applicabili secondo l’art. 1321 ss. Così la parte che induce l’altra a concludere un contratto, carpendone la buona fede con raggiri causa di un pregiudizio per il deceptus, così come la parte che corrompe qualcuno per conseguire un risultato contrattuale che altrimenti non avrebbe ottenuto, commette un fatto illecito fonte di danno.”289
E’ solo il caso di ricordare che la sentenza di primo grado, una volta accertata la responsabilità, liquidò il danno sulla base dei seguenti parametri e criteri:
• la posizione di CIR nei confronti di Xxxxxxxxx era stata indebolita dalla corruzione del giudice Xxxxx e dalla conseguente sentenza che aveva annullato il lodo favorevole a CIR. Ciò aveva determinato la conclusione della transazione a condizioni diverse da quelle che sarebbero state sottoscritte in assenza del fatto illecito. Il danno fu stimato in E 284.051.294,49.
• Le spese di lite ( per E. 8.207.892,77) dovevano essere imputate a Fininvest.
• La sconfitta di CIR aveva prodotto un danno all’immagine che venne calcolato in E. 20.658.276,00.
La somma così realizzata rivalutata e con l’aggiunta degli interessi sfiorava i 900 milioni di Euro ma il giudice ritenne di dover limitare il danno alla perdita di chance di contrattare in modo libero i privo di condizionamenti illeciti e l’importo fu ridotto del 20%. A ciò si doveva aggiungere il danno non patrimoniale , da liquidare in separata sede su richiesta dell’attore, che il Tribunale ritenne dovuto per la violazione del diritto costituzionalmente garantito ad avere un giudice terzo ed imparziale ( art.24 e 111 cost.) e la lesione dell’onore e reputazione della CIR.
288 le tre osservazioni sono contenute nella motivazione di Xxxx., 29 settembre 2005, n.19024. v. sul punto le osservazioni di X.Xxxxxxxx, op. cit. p. 1175-1176.
289 Così X.Xxxxxxxx, op. cit. p. 1176.
c) La sentenza della Corte di Appello di Milano.
La Corte di Appello di Milano con un’articolata motivazione:
• Ha respinto l’eccezione di Xxxxxxxxx sull’effetto tombale della transazione conclusa il 29 1aprile 1991 e ha ribadito che “ il contenuto della transazione era relativo a rapporti contrattuali intercorrenti fra le parti, mentre l’oggetto del giudizio riguardava pretese di CIR aventi natura extracontrattuale basate sulla corruzione del giudice Metta”. Sicchè “ non poteva essere condiviso il riferimento di Fininvest all’art. 1972 c.c. ( transazione su titolo nullo: è nulla la transazione relativa a un contratto illecito, ancorché le parti abbiano trattato della nullità di questo..), in quanto nel caso di specie non era addotta alcuna invalidità riferita ad un contratto illecito, ma si agiva ai sensi dell’art.2043 c.c.” 290
• Ha precisato che “uno stesso accadimento può configurare, ad un tempo, illecito contrattuale ed extracontrattuale, addirittura con relativo concorso delle pretese ( si citano: Cass. sez.un. 2001 n. 99, Cass. 2000 n. 6356; cass. 1995 n.2577; Cass. 2005 n. 27713).
• Sul nesso di causalità fra la corruzione del giudice e il danno lamentato da CIR, la Corte ha ritenuto che la presenza di un giudice corrotto rende di per sé tamquam non esset la sentenza collegiale ed ha accertato, comunque in fatto, che il giudice Xxxxx aveva condizionato la determinazione degli altri due componenti.
• Da ciò si trae che “ il danno sofferto da CIR era conseguenza immediata e diretta della corruzione perchè se la sentenza non fosse stata frutto della corruzione, essa sarebbe stata favorevole a CIR, che si sarebbe seduta al tavolo delle trattative finali in una condizione di forza e non nella condizione di debolezza nella quale si trovava”.
• La Corte ha considera errata la conclusione del Tribunale che aveva espresso un dubbio su quale sarebbe stata la sentenza in assenza della corruzione e aveva pertanto liquidato il danno come perdita di una chance di ottenere una sentenza favorevole. Ciò perché l’applicazione del criterio di accertamento del nesso causale ( basato sul parametro del “più probabile che non” x. Xxxx. n.2119/2007) “rendeva ampiamente provata l’esistenza di un nesso di causalità immediato, diretto e non interrotto fra la corruzione dl giudice Xxxxx e l’annullamento del lodo”. Da qui la conclusione che “ la corruzione ha privato CIR non tanto della chance di una sentenza favorevole, ma senz’altro, della sentenza favorevole, nel senso che , con “Metta non corrotto”, l’impugnazione del lodo sarebbe stata respinta”291.
• Sempre sul nesso di causalità la Corte ha esaminato anche l’incidenza che la corruzione ebbe sulla rinunzia al ricorso per Cassazione di CIR contro la sentenza “comprata”. Ciò perché la controparte aveva eccepito che la Cassazione avrebbe potuto annullare la sentenza. Si è reputato così che la rinunzia al ricorso fu conseguenza”doverosa e inevitabile della transazione” che “ non poteva essere ritardata neppure per pochi mesi”, stante anche le pressioni politiche che “erano diventate concretamente irresistibili”.
• Sul punto decisivo della scelta di CIR di non chiedere la revocazione della sentenza della Cote di Appello di Roma e la conseguente invalidità della transazione (ai sensi degli artt.1972, 1973,1974,1975) la Corte ha osservato quanto segue.
• “la revocazione della pronunzia della Corte di Appello non costituisce né logicamente, né giuridicamente, il presupposto necessario o una condizione di procedibilità per l’azione risarcitoria proposta da CIR” la quale “ ha legittimamente scelto di agire ai sensi dell’art. 2043 cc. e di richiedere “il danno da interesse positivo determinato da deteriori condizioni economiche della transazione” determinate dal fatto illecito riferibile a Fininvest. Un danno che “ comunque lo si voglia descrivere nella fenomenologia degli eventi ( indebolimento della posizione negoziale ), non costituisce certo una inedita ipotesi
290 V. il testo in X.Xxxxxx, op.cit. p. 1809 ss e in xxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxx/xxxx
291 X.Xxxxxx, op. ci.p 1814.
di responsabilità; ci si trova viceversa dinanzi ad una lineare richiesta di risarcimento che troverà di seguito la sua quantificazione”.
La Corte ha accertato dunque la responsabilità di Xxxxxxxxx e liquidato il danno, anche a seguito di una CTU, in modo di poco inferiore a quello fissato dal giudice di primo grado.
d) Le reazioni dottrinarie.
Un’ autorevole nota di commento reputa errata la sentenza della Corte di Appello di Milano per una pluralità di motivi. Si reputa che sia siano trascurati gli effetti preclusivi della transazione rispetto all’ azione aquiliana, si imputa di aver ricostruito in modo inesatto il nesso causale fra corruzione del giudice e collegialità della sentenza, ma soprattutto si considera inammissibile l’inedito danno da interesse positivo determinato da indebolimento della posizione negoziale. 292 Su questa ultima critica , che più interessa il nostro tema, occorre soffermarsi.
La figura si reputa peculiare per una serie di considerazioni.
• La posizione indebolita ( di CIR) ,si osserva, “ non è che la posizione di forza o di debolezza di una parte nell’ambito di una trattativa conclusasi con la stipulazione di un contratto. E tanto la disciplina del contratto e della responsabilità contrattuale, quanto la disciplina della responsabilità precontrattuale, contemplano e riconoscono sì la rilevanza della “debolezza” di una parte rispetto all’altra, ma non sempre e comunque bensì entro precisi limiti”. Basta pensare alle figure dei vizi del consenso e alla responsabilità precontrattuale che limita il danno all’interesse negativo ( spese ed occasioni perdute e non l’utilità che può derivare dal contratto).
• Tale indicazione sistematica sembra all’autore della critica superato dalla sentenza della Corte milanese, per una serie di motivi precisi che inducono a respingere le conclusioni dei Giudici di Appello.
• In primo luogo si osserva che “il riconoscimento della posizione di debolezza negoziale alla stregua di una situazione soggettiva qualificata ai sensi dell’art. 20043 c.c. sembra incompatibile con la tipicità e la ratio stessa dei rimedi conosciuti”. Siamo anzi al cospetto, si afferma, “di un uso libertino e disinvolto, oltre che tecnicamente non corretto, della responsabilità civile, impiegata proprio per aggirare quei limiti che il legislatore ha posto alla tutela delle situazioni di debolezza contrattuale”.
• Si precisa poi che “ la Corte si astiene dal delineare i tratti costitutivi di questa nuova fattispecie di danno ingiusto che sotto l’egida rassicurante di un’affermata linearità pretende di introdurre nell’ordinamento”.
• Resterebbero non chiariti “ quali sono la misura, la soglia di rilevanza, la natura, il carattere dell’indebolimento che consentirebbero di qualificare come ingiusto il danno, cioè meritevole in se stesso di essere risarcito in via aquiliana in quanto costituente lesione di una situazione soggettiva qualificata”. Ne sarebbe una riprova la mancanza nella sentenza di una specifica trattazione della ingiustizia del danno in questione.
• La nota termina con un fermo monito “C’è da augurarsi, per la tenuta stessa dell’ordinamento dei rapporti contrattuali, che questa decisione milanese resti un infortunio isolato e che non sia presa a modello dalla giurisprudenza a venire, sia di merito che di legittimità”.
A ben vedere anche altra parte della dottrina si è dichiarata critica sulla tendenza giurisprudenziale che considera esperibile un’azione di responsabilità precontrattuale per la presenza di una fatto illecito verificatosi nella fase precedente un contratto che sia poi validamente concluso.
292 X.Xxxxxx, op. cit. p.1819 ss.
Le sentenze ( n.19024 del 2005, n. 26724 del 2007, n.3773 del 2009, n.14056 del 2010) sono sottoposte ad una critica di sistema che giustificherebbe, secondo taluni, l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione sui “modi di concretizzazione della clausola generale”293.
Secondo tale teoria l’obbligo di informazione previsto dall’art. 1337 non può oltrepassare i limiti fissati dalle fattispecie legali dell’art. 1338 e dalle norme sui vizi del volere e della rescisione. Ciò perché “ La concretizzazione giudiziale del principio di cui alla clausola generale deve rimanere coerente al sistema normativo, pena la rottura della coerenza interna dell’ordinamento giuridico”. Né può reputarsi rilevante, si osserva, sul piano del rapporto che precede la conclusione di un affare, una circostanza che invece, sia sul piano del contenuto negoziale, che su quello dell’adempimento (e dunque del rapporto che segue la stipulazione del contratto) è irrilevante”294
Altra dottrina reputa, invece, che l’art. 1337 attribuisce rilevanza a scorrettezze non considerate nelle regole di validità secondo il parametro offerto dall’art.1440 c.c.295 o giustifica l’autonomia delle due disposizioni in base alla differenza disciplinare dell’atto e dei comportamenti soggetti a regole di validità gli uni e di responsabilità gli altri, sicchè una pronunzia di responsabilità per un contegno scorretto risulta compatibile con il persistere della validità del contratto che risponde a regole ed esigenze diverse.296
La giurisprudenza di legittimità “ in riferimento a fattispecie emerse nel diritto dei mercati finanziari a tutela degli investitori ha adottato, come si è riferito, un orientamento a cui intende dare continuità”.
In base a tale convincimento “ la violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase anteriore alla conclusione di un qualsiasi rapporto contrattuale espone all’obbligo di risarcire i danni a prescindere dal fatto che il contratto sia poi stato concluso o meno e che la violazione del dovere di buona fede possa o meno aver inciso sulla validità stessa del contratto”297.
Pronunciandosi su una richiesta di danni subiti dal sottoscrittore di azioni offerte in base ad un prospetto infedele al vero la Corte precisa quanto segue.
• “Il richiamo della disciplina della responsabilità preconrattuale ( ricondotta per lo più nel genus della responsabilità aquiliana) è scarsamente utile in settori come quello in esame ove “ nessuna trattativa è concepibile e l’aderente all’oferta è in grado di determinare la propria scelta contrattuale non già sulla base di un’interlocuzione diretta con la controparte, bensì unicamente alla luce delle informazioni reperibili sul mercato. Ragione per cui la disciplina di settore .. già all’epoca dei fatti di causa .. poneva a carico del offerente l’obbligo di predisporre un prospetto informativo redatto secondo criteri ben determinati, soggetto a controllo da parte dell’a autorità di vigilanza e destinato appunto a consentire al pubblico di compiere le proprie scelte d’investimento o disinvestimento in maniera consapevole”.
• “Nulla vieta di ricondurre la violazione del’obbligo di (corretta) redazione del prospetto ad una più ampia nozione di responsabilità precontrattuale, ove per ciò si intenda qualsiasi responsabilità derivante da comportamenti antigiuridici posti in essere nella fase
293 v.E. Xxxxxxxx, Responsabilità precontrattuale e conclusione di contratto valido:l’area degli obblighi di informazione, nota a Cass.8 ottobre 2008,n.24795 in Foro it., 9, 2011, c 1987; Id., Teoria e prassi nel diritto italiano su fattispecie e rapporto contrattuale, in Contratti, 12, 2010, p. 1155ss; ed altresì X.X’Xxxxx, Regole di validità e principio di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996, p. 245 ss; Id., Xxxxx fede in contraendo, in Riv. dir.civ.,2003,p.351 ss.
294 X.Xxxxxxxx, Responsabilità precontrattuale e conclusione del conratto valido:l’area egli obblighi di informazione, cit. p. 1987 .
295 X.Xxxxxxxxx, Vizi incompleti del contratto e rimedio risatrcitorio, Torino, 1995; e già X.Xxxxxxx, Culpa in contraendo, in Contr.impr., 1987,p.298; X.Xxxxxxx, Anomalie e tutele nei contratti di distribuzione fra imprese, Milano, 1983, p. ; Id.
296 X.Xxxxxxx, Anomalie e tutele nei contrati di distribuzione fra imprese, op. cit. p. ; Id., Efficacia ed opponibilità del patto di preferenze, Milano, 1988, . ;Id. Consenso traslativo e circolazione dei beni. Analisi di un principio, Milano,
199 p. ; voce Opponibilità , in Enc. Xxxx. , p. ; Asimmetrie informative
297 Cass. 11 giugno 2010, n. 14056 ( est. Rordof)
che precede il perfezionamento di un rapporto contrattuale; ma resta il fatto che si tratta di un obbligo diverso da quello cui più specificatamente allude l’art.1337, al cui disposto, pertanto è lecito far riferimento, in situazioni come quella in esame, solo nella misura in cui si rinviene in esso un’applicazione del generale dovere di buona fede, che enza alcun dubbio deve improntare anche il comportamento di chi proprone un’offerta pubblica di vendita di strumenti finanziari sul mercato.
• “Ove ,quindi , vi sia stata violazione delle regole destinate a disciplinare il prospetto informativo che correda l’offerta, trattandosi di regole volte a tutelare un insieme ancora indeterminato di soggetti per consentire a ciascuno di essi la corretta percezione dei dati occorrenti al compimento di scelte consapevoli, si configura un’ipotesi di violazione del dovere del neminem laedere e ,per ciò stesso, la possibilità che colui al quale tale violazione è imputabile sia chiamato a rispondere del danno da altri subito a cagione della violazione medesima secondo i principi della responsabilità aquiliana”.
• “La responsabilità non è esclusa dal fatto che il contratto di sottoscrizione delle azioni offerte pubblicamente in vendita o in sottoscrizione sia stato comunque concluso e che ,pertanto, le azioni siano state comprate o sottoscritte dal destinatario dell’offerta male informato dal prospetto non correttamente redatto.”
e) La sentenza della Corte di Cassazione (sez. Terza) del 27 giugno 2013 n. 21255.
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte di Appello, ad eccezione del capo relativo al danno non patrimoniale, con una articolata e limpida sentenza di cui si pongono in luce gli aspetti che più interessano la nostra indagine.
• Si è respinto il ricorso sull’ eccezione di prescrizione ritenendo esatta la sentenza di appello che fa decorrere l’inizio del termine dalla notifica alla CIR ( 15.12.1999) della richiesta di rinvio a giudizio degli imputati del reato di corruzione in atti giudiziari. Ciò perché solo in tale momento si erano realizzati i “necessari presupposti di sufficiente certezza in ordine agli elementi costitutivi del diritto azionato”.
• Ha ritenuto la Corte che non vi fosse alcuna “preclusione da giudicato conseguente alla mancata impugnazione della sentenza “corrotta” con il rimedio della revocazione”, per una pluralità di motivi. 1) In primo luogo perché con la transazione del 29 aprile 1991 le parti avevano risolto tutte le controversie insorte sicchè tale fatto, intervenuto quando ancora la sentenza della Corte di Appello non era passata in giudicato (neanche formale), aveva un effetto preclusivo rispetto “ai diritti ed ai rapporti oggetto dei precedenti accertamenti (arbitrali) e giudiziari in quanto sopravvenuto ad essi e tale da escludere tout court l’idoneità ad acquistare autorità di cosa giudicata ( non soltanto) sostanziale”. 2) In secondo luogo perché “era sopravvenuta la giuridica impossibilità – per sopravvenuta inesistenza dell’oggetto della lite (i titoli azionari)- di veder accolta l’originaria domanda in sede di giudizio di revocazione. Sicchè difettava nel nostro caso l’interesse ad agire in revocazione ed era possibile per il danneggiato dalla sentenza ingiusta esercitare un’autonoma azione risarcitoria in base ai principi costituzionali di effettività della tutela e del giusto processo, su cui occorre soffermarsi, per il particolare interesse della motivazione.
• La sentenza si sofferma sul principio di effettività, qualificato esattamente come regola-cardine dell’ordinamento costituzionale, volta ad assicurare il diritto “ad un rimedio adeguato al soddisfacimento del bisogno di tutela di quella ..unica e talvolta irripetibile situazione sostanziale di interesse giuridicamente tutelato”. Il che significa riconoscere la “facoltà di beneficiare di strumenti idonei a garantire la piena soddisfazione dell’interesse azionato”, in forza di “un itinerario di pensiero” indicato da precise norme. L’art. 8 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, l’art.13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (v. Corte di Giustizia a partire dal caso Xxxxxxxx del 1986), e l’art. 47 della Carta
dei diritti fondamentali. Le quali tutte indicano non solo un diritto di “accesso al giudizio” ma “un diritto alla misura appropriata alla soddisfazione del bisogno di tutela”.
• La Corte respinge anche il ricorso basato sulla “eccezione di transazione” con cui Xxxxxxxxx ha sostenuto che esistevano mezzi di impugnazione di tale atto che non furono esperiti, sicché la composizione transattiva della lite copriva il dedotto e il deducibile. Nella motivazione si affronta l’interrogativo “sulla funzione della responsabilità civile nella sua moderna dimensione di rimedio generale, ed i suoi rapporti concorrenti e/o alternativi con la sfera della libertà contrattuale” e la sentenza conferma, correggendola parzialmente, la decisione della Corte di Appello. I passaggio fondamentale è il seguente. La Corte di Cassazione reputa che non “esistano ostacoli di sistema alla proposizione di un autonoma azione di risarcimento del danno” sia nel caso che la transazione fosse stata annullabile per errore sia nel caso in cui non si potesse ipotizzare alcun vizio della volontà nel caso di specie. Ciò per due motivi.
• Sotto un primo aspetto perché l’eventuale impugnativa “sarebbe stata destinata ad una pronunzia di rigetto per difetto di interesse…(perché) l’eventuale impugnazione avrebbe condotto ad un risultato non soltanto oggettivamente impossibile (stante la sopravvenuta inesistenza dei titoli azionari scambiati 13 anni prima dell’introduzione della domanda), quanto e soprattutto radicalmente contrario all’interesse della CIR di veder riconosciuto i propri diritti così come originariamente consacrati nel lodo Pratis. Si osserva peraltro che in precedenza (Cass. n. 20260 del 2006) si é ritenuto che il contraente vittima del dolo dell’altro può esperire la richiesta di risarcimento ex art. 2043, anche “senza proporre contemporaneamente domanda di annullamento del contratto ai sensi dell’art. 1439 c.c.”.
• Sotto un secondo aspetto l’autonomia della azione risarcitoria deve essere ammessa anche in presenza di un contratto concluso e valido. Ciò tenendo conto del principio oggi espresso nell’art. 30 del codice del processo amministrativo, ma anche di ulteriori considerazioni. a)Si esclude che in tal modo sia possibile una riscrittura dei contenuti economici del contratto “attraverso il ricorso indebito alla responsabilità civile” per un motivo chiaro. Tale considerazione è prigioniera di una obsoleta concezione del contratto giustificato da un astratta funzione economico-sociale quando invece occorre considerare lo “specifico negozio oggetto di esame in sede di giudizio” ( v. sulla causa concreta Cass. n.29672 del 2008). b) si riconosce che oramai nel nuovo diritto dei contratti è ammessa un’azione di risarcimento del danno nella fase delle trattative pur in presenza di un contratto valido o di un impugnativa in difetto dei presupposti concreti e su questo occorre soffermarsi.
• Sulla buona fede come rimedio risarcitorio la Corte richiama la dottrina e la giurisprudenza di legittimità ( Cass., sez. un., 26724 e 26725 del 2007, Cass. n. 24795 del 2008, Cass. n.16937 del 2006, Cass. n. 2479 del 2007). Affronta il tema della teoria dei vizi incompleti e le critiche mosse in dottrina ad un uso incontrollabile del rilievo giurisdizionale del difetto della libertà contrattuale, lesa da un fatto diverso da quelli tipicamente indicati nel codice civile. Fininvest aveva osservato che in tal modo sarebbe possibile un controllo del contenuto contrattuale al di là di specifiche previsioni normative in virtù della clausola generale di buona fede di difficile concretizzazione. Né sarebbe possibile utilizzare ,sempre secondo tale tesi, la responsabilità aquiliana come “cerotto universale” di qualsiasi insoddisfazione equitativa” perché le ipotesi di invalidità assorbirebbero ogni valutazione diversa da quella indicata nelle diverse fattispecie. La Corte replica a tale argomentazioni aderendo ad un’impostazione dottrinaria che reputa la responsabilità aquiliana (2043 c.c.) e pre-contrattuale (1337 c.c.) espressiva della “dimensione funzionale del rapporto” autonoma rispetto alla struttura negoziale. Come si è osservato esattamente le regole di comportamento e il rapporto obbligatorio precede e segue l’integrazione della vicenda negoziale “ed è integrato nella sua più intima essenza da doveri di comportamento che trovano la loro fonte tanto nel sistema della responsabilità contrattuale quanto in quella della responsabilità
precontrattuale, quanto ancora, se del caso, in quella extracontrattuale: queste ultime, pur in presenza di un contratto valido, non sono necessariamente destinate a “compensare” eventuali lacune di sistema delle regole di validità, ma appaiono funzionali a governare secondo buona fede i differenti aspetti della complessa vicenda interpersonale… operando (nella diversa e più ampia) logica del rapporto e (della complessità) della fattispecie”. Un rimedio di questo tipo, secondo la Corte, non è in contrasto con le esigenza di stabilità e certezza dei rapporti giuridici per un motivo chiaro. La slealtà che “altera i presupposti della trattativa precontrattuale attraverso la commissione di un illecito penale” non può non avere conseguenze sul piano risarcitorio di natura riparatoria e compensativa. Non solo.
• L’art. 30 del Codice della giustizia amministrativa, “pur esprimendo un principio di settore” ha confermato “l’indipendenza del rimedio risarcitorio rispetto a quello demolitorio”.
• L’ampliamento della regola di buona fede è coerente con la responsabilità da contatto sociale riconosciuta prima “come un’ipotesi affine a quella contrattuale e comunque distinta da quella extracontrattuale (Cass. 21 novembre 2011 n. 24438 ) e poi ricostruita in guisa di contatto sociale qualificato dallo stesso legislatore, con la previsione specifica di un obbligo di buona fede, caratterizzato da tutti gli elementi dell’art. 1173 c.c. (Cass. 20 dicembre 2011, n. 27648).
• La buona fede nella trattative insomma instaura “un’ipotesi peculiare di momento relazionale avente ad oggetto la reciproca pretesa a che quella fase non sia inquinata da comportamenti sleali”, con il conseguente ricorso, in caso di violazione, al risarcimento dei danni.
• Da qui la Corte trae il convincimento che la pretesa della CIR, ricollegata alla violazione della buona fede, debba trovare tutela come rimedio autonomo rispetto alla validità o invalidità della transazione conclusa e conferma l’inquadramento di tale azione nell’area della responsabilità aquiliana di cui si individuano, nella specie, gli elementi costitutivi nel modo seguente.
• “il dipanarsi dell’atto doloso (il comportamento del giudice Xxxxx) che cagiona ad altri (la Cir) un evento di danno (la sentenza corrotta) ingiusto (conseguente alla ingiusta alterazione delle posizioni contrattuali) da cui scaturisce una conseguenza dannosa risarcibile (la transazione stipulata a diverse pregiudizievoli condizioni) in costanza del doppio e necessario nesso di causalità materiale (che lega la condotta all’evento) e giuridico (che lega l’evento di danno alla conseguenza dannosa risarcibile) volto a ledere un interesse giuridicamente rilevante del danneggiato (il diritto a stipulare una transazione priva di condizionamento scaturente dalla sentenza corrotta, il cui aspetto speculare si identifica nell’indebolimento della posizione contrattuale in corso di trattative e di stipula della convenzione negoziale)”.
5.3. I mercati finanziari e l’Offerta pubblica di acquisto.
Le disposizioni in tema di OPA disciplinano i comportamenti che i soci devono assumere in presenza di mutamenti degli assetti proprietari di società quotate. L’esigenza di tutela degli investitori azionisti è compresa nella finalità di tutela del mercato finanziario e dei capitali (prevista nell’art. 92 del T.U.F.) e si articola secondo una ricostruzione scandita in giurisprudenza secondo il seguente schema.
« L’obbligo di lanciare l’OPA si configura ... come un obbligo contrattuale che ope legis si inserisce nel contratto sociale», ma la norma non prevede come sanzione, in caso di violazione, « il potere del singolo azionista pretermesso di ottenere coattivamente il risultato», bensì solo l’obbligo a carico dell’inadempiente di rivendere il pacchetto acquisito in eccedenza. Da qui l’esigenza di un’attenta interpretazione, la quale reputa che la disciplina « non esaurisca gli strumenti di
autotutela accordati dall’ordinamento a chiunque vanti una posizione giuridicamente rilevante » e non esclude affatto la risarcibilità di un danno ingiusto. Ciò perchè, si dice nella sentenza, « il principio del neminem laedere sancito dall’art. 2043 rappresenta il cardine dei diritti soggettivi contrattuali e non», incorporati nel nostro caso nelle azioni dei soci di minoranza. Ne segue la risarcibilità del danno in presenza di una responsabilità contrattuale298.
Il groviglio teorico è evidente. L’apparato sanzionatorio della legge è completato dal principio del neminem laedere. Non si parla di concorso di azioni o di cumulo di danni ma di una responsabilità contrattuale per la violazione della regola aquiliana. Senza contare la difficoltà della liquidazione del danno « correlata a titoli per loro natura destinati alla fluttuazione »299 (16).
La Corte di Appello ha di recente ribaltato il ragionamento300. Si è sostenuto che la disciplina dell’OPA esclude l’esistenza di un diritto soggettivo degli azionisti a ricevere un’offerta di acquisto e, dunque, anche il diritto al risarcimento da inadempimento di un obbligo contrattuale. L’unico danno, ipotizzabile, si osserva ancora, è l’interesse negativo tipico della responsabilità precontrattuale e non l’utilità derivante da un contratto concluso. Resta dunque il dubbio sul danno dovuto in presenza di un comportamento scorretto imputabile alla controparte in presenza di un obbligo legale di comportamento.
Sul punto è stata depositata di recente la sentenza della Corte di cassazione (n.14400 del 2012) di cui si riproducono i passaggi più significativi.
I ricorrenti pongono la questione della configurabilità del diritto al risarcimento del danno in capo al socio di società quotata in borsa che non si sia visto proporre un'offerta pubblica d'acquisto delle proprie azioni in una situazione nella quale, viceversa, per il disposto dell'art. 106 del tuf, quell'offerta era obbligatoria.
A tal riguardo giova anzitutto ricordare che l'art. 106 del tuf, nel caso in cui taluno a seguito di acquisti a titolo oneroso venga a detenere una partecipazione superiore al 30% delle azioni di una società quotata, prevede che (fatte salve alcune situazioni di esenzione che qui non rilevano), egli debba promuovere un'offerta pubblica di acquisto avente ad oggetto la totalità delle restanti azioni della medesima società. Se l'acquisto di azioni oltre detta soglia sia stato operato da più soggetti, che abbiano agito di concerto, il successivo art. 109 pone l'obbligo di offerta pubblica solidalmente a carico di tutti costoro. E' poi lo stesso legislatore a stabilire il prezzo dell'offerta pubblica obbligatoria, che, in base alla disposizione vigente al tempo dei fatti di causa, era misurato sulla media aritmetica fra il prezzo medio ponderato di mercato degli ultimi dodici mesi e quello più elevato pagato dall'offerente per acquistare azioni nel medesimo periodo (il vigente secondo comma del citato art. 106 prevede ora, invece, che il prezzo dell'offerta non sia inferiore a quello più elevato pagato dall'offerente e da persone che agiscono di concerto con lui nei dodici mesi anteriori). Ma il legislatore si è fatto anche carico di sanzionare l'eventuale violazione di siffatto obbligo, stabilendo che, ove l'offerta pubblica non sia promossa, il diritto di voto inerente all'intera partecipazione detenuta da colui che vi avrebbe dovuto provvedere non può essere esercitato e che i titoli eccedenti l'indicata percentuale del 30% devono essere alienati entro dodici mesi (art. 110 del tuf). Sono poi altresì previste altre possibili sanzioni amministrative e penali.
La giustificazione logica di tale disciplina è discussa in dottrina, con argomenti tesi talvolta anche a mettere in dubbio l'efficienza economica ed il fondamento etico-sociale dell'istituto, peraltro ormai diffuso su tutti i più importanti mercati internazionali. Non compete al giudice prendere posizione su un simile dibattito, ma è impossibile non registrare che la normativa in esame muove palesemente dal rilievo per cui chi acquista una partecipazione superiore alla soglia
298 Trib. Milano, 9 giugno 2005, in Foro it., 2005, I, 3210.
299 X. XXXXXXXX, Osservazione a Trib. Milano 9 giugno 2005, in Foro it., 2005, I, 3210.
300 App. Milano, 15 gennaio 2007, in Giur. It., 2007, 1707; in Corr. Giur., 2007, 2578 con nota di X. XXXXX ed in
Banca, borsa tit. cred., 2007, II, 572 con nota di X. XXXXXX.
sopra menzionata si pone, di regola, nella condizione di controllare la società quotata e che tale vantaggio - il cosiddetto premio di maggioranza - è normalmente rispecchiato nel prezzo di acquisto, per ciò stesso superiore a quello corrente di mercato. L'obbligo di offerta pubblica totalitaria, che ne consegue, fa sì che del plusvalore lucrato dal venditore del pacchetto azionario di maggioranza siano posti in condizione di beneficiare (almeno in parte, nel regime normativo vigente al tempo dei fatti di causa) anche gli altri soci, i quali, pur essendo titolari soltanto di partecipazioni minoritarie, hanno pur sempre contribuito col loro investimento alle sorti della società quotata. Non si tratta di fare applicazione del principio di parità di trattamento dei soci da parte della società, enunciato dall'art. 92 del tuf, che ha un ambito di applicazione diverso, bensì di cogliere il fondamento logico insito nella stessa disciplina dell'offerta pubblica obbligatoria di cui si sta parlando: quello, appunto, in forza del quale il legislatore vuole che, in caso di monetizzazione dei benefici inerenti ad una partecipazione che normalmente consente di detenere il controllo sulla società, del plusvalore così realizzato dal socio o dai soci alienanti possano in tutto o in parte beneficiare anche i rimanenti soci. Nè varrebbe obiettare che la lettera del citato art. 106 sembra imporre l'obbligo di offerta totalitaria a carico di chi acquisisce la partecipazione superiore alla soglia del 30% indipendentemente dall'avere egli o meno davvero pagato, per tale acquisizione, un sovraprezzo corrispondente al premio di controllo. Ove non vi sia stata alcuna remunerazione del prezzo di controllo da parte dell'acquirente, com'è evidente, il promuovimento di un'offerta pubblica di acquisto non avrebbe alcun significato, perchè il prezzo d'offerta non sarebbe superiore a quello corrente di mercato, ed a quel pezzo gli azionisti di minoranza potrebbero comunque già vendere le loro azioni in borsa senza che l'offerta pubblica ne modifichi in alcun modo le condizioni.
Ciò premesso, appare innegabile che il descritto meccanismo legale, pur se concepito anche per la realizzazione di finalità pubblicistiche inerenti al buon funzionamento del mercato finanziario (che giustificano il regime sanzionatorio dal quale la disciplina in esame è corredata), nell'immediato è destinato a realizzare il soddisfacimento di un interesse facente capo ai soci di minoranza, cui il legislatore vuole che l'offerta d'acquisto sia rivolta affinchè essi possano scegliere se conservare la titolarità delle loro azioni, confidando in un futuro aumento del valore e della redditività delle stesse, o se monetizzarle per beneficiare anch'essi in qualche misura del premio di maggioranza.
3.2. Stando così le cose, due considerazioni preliminari s'impongono.
3.2.1. La prima è che la proposizione dell'offerta pubblica d'acquisto, nei casi sopra ricordati, non configura un mero onere per l'acquirente del pacchetto azionario che superi la soglia del 30%, ma integra invece un vero e proprio obbligo. Ne fa fede non solo la terminologia adoperata dallo stesso legislatore, ma anche il carattere manifestamente sanzionatorio (sia pure in termini di sanzioni civili) della previsione contenuta nel citato art. 110 del tuf, per non dire delle ulteriori sanzioni amministrative e penali previste, rispettivamente, dai successivi artt. 192 e 173.
Deve altresì escludersi che la sterilizzazione del diritto di voto e l'obbligo di rivendita azionaria contemplati dal citato art. 110 a carico di chi non abbia promosso un'offerta pubblica di acquisto cui era tenuto assumano i connotati di un'obbligazione alternativa, rispetto a quella avente ad oggetto il precedente obbligo di promuovere l'offerta. L'alternatività presupporrebbe trattarsi di due obblighi posti sul medesimo piano, tra i quali il destinatario del precetto possa optare, ed invece il dettato normativo è chiarissimo nel prescrivere inderogabilmente l'obbligo di offerta pubblica, quando ne ricorrano le condizioni indicate dal legislatore.
Le conseguenze derivanti dal mancato rispetto di tale obbligo (conseguenze rilevanti, come accennato, anche sul piano amministrativo e penale) costituiscono la reazione sanzionatoria dell'ordinamento, non già un'alternativa rimessa alla facoltà di scelta dell'obbligato. Di alternatività, semmai, può parlarsi a proposito dell'offerta pubblica tardiva, che il novellato art. 107 del tuf (peraltro non applicabile, ratione temporis, nella presente causa) consente ora alla Consob d'imporre al trasgressore in luogo dell'obbligo di rivendita azionaria sopra ricordato,
quando le condizioni del mercato lo consiglino; ma si tratta dell'alternativa tra due sanzioni, tra le quali è l'autorità di vigilanza a dover scegliere, non certo l'obbligato.
3.2.2. La seconda considerazione è che l'obbligo di cui si tratta, pur non sembrandone possibile l'esecuzione in forma specifica ope iudicis perchè difficilmente conciliabile con il meccanismo sanzionatorio legale sopra descritto, non sorge genericamente nei riguardi dell'ordinamento o verso soggetti indeterminati, bensì nei confronti di coloro i quali siano, in quel momento, titolari di azioni emesse dalla società quotata del cui capitale l'obbligato ha acquistato la partecipazione superiore al 30%.
Lungi dall'essere incompatibile con la configurazione di situazioni soggettive individuali, tutelate in quanto tali dall'ordinamento, il perseguimento da parte del legislatore dell'interesse pubblico ad un più efficiente funzionamento delle dinamiche del mercato sovente si realizza proprio attraverso la salvaguardia di quelle specifiche situazioni soggettive. E' sempre più evidente come, in settori come questo, vi sia una costante interazione tra interessi individuali e l'interesse generale del mercato, l'integrità ed il buon funzionamento del quale sono inscindibilmente connessi con l'adeguata tutela delle posizioni soggettive che in esso si confrontano. La presenza di strumenti di salvaguardia del mercato non implica perciò, di per sè sola, che dalla relativa sfera di tutela siano esclusi gli interessi individuali eventualmente coinvolti nella vicenda. Al contrario, come ben dimostra anche l'evoluzione del diritto della concorrenza e l'ormai acquisito principio della tutelabilità delle posizioni soggettive "a valle" delle intese anticoncorrenziali vietate, (cfr. per tutte Cass., sez, un., 4 febbraio 2005, n. 2207), è da considerare ormai normale che la normativa del mercato ospiti forme di private enforcement, cioè che il perseguimento di interessi pubblici possa realizzarsi anche mediante l'effetto deterrente di strumenti di tutela azionati dai privati nel loro personale interesse.
In siffatto quadro non può ignorarsi, d'altronde, che la Direttiva 2004/25/Ce (successiva ai fatti di causa, ma evidentemente ispirata da principi preesistenti) fa espressamente riferimento alle offerte pubbliche d'acquisto come a "misure necessarie per tutelare i possessori di titoli, in particolare quelli con partecipazioni di minoranza (così il nono considerando). Ed anche in campo nazionale la più attenta dottrina non ha mancato di osservare come, sul piano sistematico, l'espresso riconoscimento legislativo dell'idoneità dell'offerta pubblica di acquisto a surrogare il diritto di recesso del socio, nelle ipotesi contemplate dall'art. 2491-quater c.c., lett. c), sia retrospettivamente significativo del fatto che, quando ricorrono le condizioni cui la legge ricollega l'obbligo di simili offerte pubbliche, la posizione giuridica dei destinatari dell'offerta si configura quale diritto soggettivo, non diversamente da come lo è il diritto di recesso.
L'obbligo che vi corrisponde - si badi - non consiste però nel pagare ai soci minoritari il prezzo delle azioni, determinato secondo la previsione legale già ricordata, giacchè un obbligo siffatto potrà eventualmente sorgere solo dopo che l'offerta sia stata promossa e nei confronti di coloro che avranno deciso di accettarla;
si tratta, invece, di un obbligo che viene prima e che in null'altro consiste se non, appunto, nel formulare l'offerta pubblica d'acquisto nei termini e con le modalità prescritte dalla legge.
3.3. Muovendo da tali premesse, appare difficile, in via di principio, negare che l'inadempimento dell'obbligo di promuovere un'offerta pubblica di acquisto sia idoneo a determinare la responsabilità dell'inadempiente nei confronti di coloro cui l'inadempimento abbia recato danno.
La circostanza che l'ordinamento, come s'è visto, abbia predisposto anche un sistema di sanzioni civili, consistente nella sterilizzazione del voto e nell'obbligo di rivendita entro l'anno delle azioni eccedenti la soglia del 30% del capitale, non basta di per sè sola ad escludere l'applicazione dei principi generali vigenti in tema di inadempimento e risarcimento del danno. Quelle sanzioni hanno, in primo luogo, una valenza deterrente, giacchè unitamente alle sanzioni penali ed amministrative cui pure dianzi s'è fatto cenno mirano a scoraggiare l'acquisizione di un controllo azionario che, ove l'obbligo di offerta pubblica non sia rispettato, rischierebbe di rivelarsi per l'acquirente inutile ed addirittura svantaggioso. Ma è evidente che il diritto al risarcimento del danno spettante a chi abbia visto illegittimamente pregiudicato un interesse soggettivo tutelato
dalla normativa, pur se di fatto può anch'esso concorrere ad esercitare una funzione deterrente, si pone su un piano diverso: perchè è nel risarcimento e non nelle sanzioni che la lesione di quell'interesse trova riparo.
Se taluno, incurante del rischio d'incorrere nelle sanzioni sopra menzionate, o confidando nella possibilità di eluderle in qualche modo, viola l'obbligo di promuovere l'offerta pubblica, pur versando in una situazione che glie lo imporrebbe, non v'è dunque ragione per negare il diritto al risarcimento in favore di coloro nei confronti dei quali la prestazione inadempiuta avrebbe dovuto essere resa. Nè la circostanza che, come prima accennato, quell'obbligo possa non esser suscettibile di esecuzione forzata in forma specifica basta a precludere l'esistenza del diritto al risarcimento del danno.
Questo, naturalmente, non impedisce che, in determinate situazioni, l'applicazione delle sanzioni cui s'è fatto cenno, ed in particolare l'obbligo di alienazione azionaria previsto dal citato art. 110, possa in concreto avere dei riflessi anche sulla posizione soggettiva degli azionisti che si sono visti in precedenza negare l'offerta di acquisto cui avrebbero avuto diritto, e che, per le conseguenti vicende del mercato, il pregiudizio da essi sofferto ne possa magari risultare ridotto o eliso. Ma è questione di fatto, da affrontare e risolvere in base all'andamento di ciascuna singola vicenda, senza che se ne possa ricavare un'incompatibilità di ordine logico tra la pretesa risarcitoria degli azionisti orbati dell'offerta e l'attuazione delle misure previste dal menzionato art. 110.
3.4. Si osserva però nell'impugnata sentenza, e lo ribadiscono con ampie argomentazioni le controricorrenti, che la sterilizzazione del diritto di voto e la necessità di rivendere entro l'anno le azioni acquistate oltre la soglia del 30% comportano (o dovrebbero di regola comportare) l'impossibilità per l'acquirente di conseguire l'effettivo controllo della società quotata; il che farebbe venir meno la ragione per la quale il legislatore ha voluto, attraverso la prescrizione dell'obbligo di offerta pubblica rivolta agli altri azionisti, assicurare anche a costoro una qualche partecipazione al premio di maggioranza cui xxxxxx s'è fatto cenno. Richiedere un risarcimento per il mancato conseguimento di tale premio, in una siffatta situazione, si tradurrebbe perciò nella pretesa di un indebito arricchimento.
Pur se indubbiamente suggestiva, tale obiezione non persuade.
Non è l'effettivo conseguimento del controllo della società a costituire il presupposto perchè sorgano l'obbligo di promuovere l'offerta pubblica ed il correlativo diritto degli interessati a vedersela proporre, bensì il mero fatto che taluno abbia acquistato azioni in misura superiore all'anzidetta soglia del 30%, in presenza delle condizioni indicate nel citato art. 106, ed abbia pagato per tali azioni un prezzo superiore a quello corrente di mercato. Come s'è già ricordato, nella sua discrezionalità il legislatore ha ritenuto che di questo maggior prezzo anche gli altri azionisti debbano potere (almeno in qualche misura) beneficiare, e ciò si realizza appunto dando loro l'opportunità di vendere le azioni di cui sono titolari a condizioni migliori di quelle che il mercato altrimenti consentirebbe. Non vi è corrispettività tra acquisizione del controllo azionario, da parte dell'acquirente delle azioni tenuto all'offerta pubblica, e diritto di exit per i soci di minoranza, perchè in una società quotata la possibilità di dismettere (come anche di riacquisire) la qualità di socio comperando o vendendo azioni sul mercato in qualsiasi momento è da considerare normale.
Quel che rileva è il prezzo al quale l'azionista può vendere le proprie azioni: la maggiorazione di tale prezzo, per effetto dell'offerta pubblica obbligatoria, è, come detto, conseguenza unicamente del surplus pagato dall'offerente per acquistare un pacchetto azionario che, al momento in cui l'acquisto avviene, il legislatore presume idoneo al conseguimento del controllo. Le circostanze sopravvenute che possano eventualmente aver frustrato lo scopo di un tale acquisto - salvo eventualmente per i profili di quantificazione del danno di cui si parlerà dopo - non hanno perciò alcun rilievo.
3.5. S'è già osservato che quello previsto dal citato art. 106 del tuf non è un obbligo che discenda da un contratto intercorso tra l'acquirente della partecipazione sociale e gli azionisti di
minoranza della società, bensì un obbligo a contrarre con loro, a determinate condizioni, se lo vorranno.
Sarebbe però errato dedurne che dal relativo inadempimento derivi una responsabilità di tipo precontrattuale, che secondo la tradizionale (benchè controversa) impostazione della giurisprudenza avrebbe natura aquiliana; e sarebbe arbitrario ricondurre tale responsabilità alla previsione dell'art. 1337 c.c., non foss'altro perchè, in una fattispecie di questo tipo, non si danno nè le trattative nè la formazione del contratto cui detta norma allude.
Come è stato già affermato altre volte da questa corte (si veda, in particolare, la pronuncia di Xxxx., sez. un., 26 giugno 2007, n. 14712), la responsabilità nella quale incorre "il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta" (art. 1218 c.c.) può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l'obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto, nell'accezione che ne da il successivo art. 1321 c.c., ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa dipenda dall'inesatto adempimento di un'obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte. In tale contesto la qualificazione "contrattuale" non vale a circoscriverne la portata entro i limiti che il significato letterale di detta espressione potrebbe altrimenti suggerire, ma, in un quadro sistematico peraltro connotato da un graduale avvicinamento dei due tradizionali tipi di responsabilità, essa può discendere anche dalla violazione di obblighi nascenti da situazioni (anche non di contratto, bensì) di semplice contatto sociale, ogni qual volta l'ordinamento imponga ad un soggetto di tenere, in tali situazioni, un determinato comportamento.
Ne deriva che la distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale sta essenzialmente nel fatto che quest'ultima consegue dalla violazione di un dovere primario di non ledere ingiustamente la sfera di interessi altrui, onde essa nasce con la stessa obbligazione risarcitoria, laddove quella contrattuale presuppone l'inadempimento di uno specifico obbligo giuridico già preesistente e volontariamente assunto nei confronti di un determinato soggetto o di una determinata cerchia di soggetti. In quest'ottica deve esser letta anche la disposizione dell'art. 1173 c.c., che classifica le obbligazioni in base alla loro fonte ed espressamente distingue le obbligazioni da contratto (da intendersi nella più ampia accezione sopra indicata) da quelle da fatto illecito. Si potrebbe in verità anche sostenere - ed è stato sostenuto - che la nozione di obbligazione contrattuale contenuta in detto articolo ha una valenza più ristretta, e che le obbligazioni derivanti dalla violazione di specifiche norme o principi giuridici preesistenti ricadono nell'ulteriore categoria degli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico, cui pure la medesima norma allude. Piuttosto che obbligazioni di natura contrattuale le si dovrebbe insomma definire obbligazioni ex lege, ma la questione sembra avere un valore essenzialmente terminologico, giacchè in linea generale il regime cui sono soggette le obbligazioni ex lege non si discosta da quello delle obbligazioni contrattuali in senso stretto.
Se si aderisce a tale impostazione - e non si ha qui motivo per non farlo -, è agevole intendere come la responsabilità per inadempimento dell'obbligo di promuovere l'offerta pubblica d'acquisto, di cui si sta discutendo, sia da ricondurre non già al generale principio del neminem laedere, bensì nell'alveo della responsabilità da contratto (o eventualmente ex lege), nell'ampia accezione dianzi richiamata: perchè essa deriva dalla violazione di un obbligo preesistente, che la legge fa scaturire da un comportamento volontario (l'acquisto di azioni di società quotata che porta a detenere una partecipazione superiore alla soglia prevista dalle legge) con cui taluno entra in contatto con una cerchia ben definita di soggetti (gli azionisti di minoranza) nell'interesse specifico dei quali la prestazione rimasta inadempiuta (consistente nel promuovere l'offerta) era dovuta.
3.6. L'azionista di minoranza che si sia visto illegittimamente privato della possibilità di aderire ad un'offerta di acquisto delle sue azioni - offerta in realtà non proposta - ha quindi il diritto di ottenere il risarcimento del danno subito. Danno che, peraltro, pare arbitrario far coincidere in modo necessario ed automatico con il risultato economico della vendita azionaria che si sarebbe verificata se l'offerta vi fosse stata e fosse stata accettata, perchè un conto è la possibilità di stipulare un contratto altro conto è l'averlo effettivamente stipulato.
La lesione subita, in simili casi, consiste nell'aver perso una possibilità (o, come potrebbe anche dirsi con terminologia forse più vicina al mondo dei mercati finanziari, un'opzione d'acquisto) che l'offerta pubblica avrebbe dovuto assicurare e che, proprio in quanto l'offerta non v'è stata, non è mai invece venuta ad esistenza. Si tratta, per le ragioni già ampiamente illustrate, non di una mera aspettativa di fatto, ma di un interesse giuridicamente protetto che ha ad oggetto un'entità patrimoniale a sè stante, suscettibile di autonoma valutazione economica, fermo restando che grava sul danneggiato l'onere di provare gli elementi in base ai quali possa riconoscersi a quell'opzione un valore economico effettivo, in relazione ai diversi fattori che possono aver influenzato l'andamento della quotazione di borsa delle azioni di cui si discute nel periodo considerato, tenendo conto dei criteri di determinazione del prezzo dell'offerta pubblica obbligatoria che avrebbe dovuto esser promossa.
Giova solo ribadire, anche richiamando quanto già sopra osservato, che poichè le sanzioni civili di cui s'è detto ed in particolare l'obbligo di rivendita azionaria stabilito dal citato art. 110 hanno la medesima radice causale del diritto al risarcimento del danno spettante agli azionisti di minoranza, defraudati dell'offerta pubblica di acquisto dei loro titoli, è almeno astrattamente possibile ipotizzare un'incidenza di quegli eventi successivi sul valore di borsa dei titoli rimasti nel portafoglio di detti azionisti, in termini di compensatici lucri cum danno ove se ne diano le condizioni.
La valutazione della sufficienza delle prove offerte e la concreta individuazione del danno risarcibile competono, ovviamente, al giudice di merito.
3.7. Sulla base delle considerazioni svolte è allora possibile enunciare il seguente principio di diritto: "In caso di violazione dell'obbligo di offerta pubblica di acquisto della totalità delle azioni di una società quotata in un mercato regolamentato da parte di chi, in conseguenza di acquisti azionari, sia venuto a detenere una partecipazione superiore al 30% del capitale sociale, compete agli azionisti cui l'offerta avrebbe dovuto esser rivolta il diritto di ottenere il risarcimento del danno patrimoniale da essi sofferto, ove dimostrino di aver perso una possibilità di guadagno a causa della mancata promozione di detta offerta".
6. I danni endo-familiari
6.1. Sulla privatizzazione del diritto di famiglia
Se la riforma del 1975 ha segnato una svolta nella disciplina dei rapporti familiari la legge e alcune recenti sentenze della Cassazione consolidano le scelte compiute trenta anni fa ed evocano scenari nuovi, tutti da ripensare301. Provo a indicare alcuni aspetti di questa riflessione . Due su tutti. L’emergere dei diritti e delle tutele nella comunità familiare302 e i criteri di individuazione del danno risarcibile.
E’ noto il significato dell’evoluzione di questi decenni. Si parla di privatizzazione per affermare una diversa dialettica fra il gruppo, la persona e il contratto che esige un intervento del legislatore per garantire un'individualità o un valore. Il passaggio è netto. Dalla gerarchia alla parità, dalla legge al giudice in mancanza di accordo sull’indirizzo familiare. Dalla tutela rigida dell’unità al divorzio. Da qui le radici per l’espandersi di una casistica dominata da passioni e drammi nell’affrontare i conflitti familiari da cui emergono interessi di fatto, diritti, doveri. Tutti da
301 V. su tali aspetti da ultimo X. Xxxxx, Diritto di famiglia,II ed. ,Padova, 2005, p. 30 ss.
302 X. Xxxxx, Diritti inviolabili della persona e rapporti familiari: la privatizzazione “arriva” in Cassazione, in Famiglia e diritto, 2005/4, p.370; e solo per un ricordo di un mio primo e ingenuo scritto sul tema X. Xxxxxxx, L’unità della famiglia e la nuova disciplina della separazione giudiziale fra coniugi, in Riv.trim.dir.proc.civ., 1978, p.711 ss.
esaminare con grande attenzione303. Non fosse altro perché si tratta di un settore difficile da qualificare. Lo stesso legislatore, spesso, non domina la materia ma ne è dominato e la dogmatica può scadere a tecnicismo o, peggio, a gioco dialettico.
Non mancano esempi famosi.
La disputa fra Xxxxxxxxxx e Xxxxxx sulla natura reale o di credito del diritto di un coniuge sul corpo dell’altro, fornì occasione a Xxxxxxxx di scrivere un famoso libretto 304, che è un manifesto contro l’uno distorto dalla dogmatica e un richiamo alla peculiarità della disciplina giuridica della famiglia. L’ analisi culmina con un monito : «non è con elucubrazioni siffatte che si custodisce il diritto e si mantiene viva la coscienza della sua funzione fra gli uomini»; e l’autore rivolge un’ accorata critica a certi giuristi e al loro metodo in un ora tragica della storia d’Italia martoriata dalla guerra: «all’avvilimento … che coincide con il tramonto sanguigno della nostra civiltà, forse non è estranea del tutto l’opera di certa dogmatica degli ultimi tempi».
Vorrei tener ben presente questo ammonimento per calarmi nel presente ed esaminare i due temi indicati . Iniziamo dal primo.
6.2. Rapporto fra coniugi e diritti dei singoli.
Sono note le scelte positive contenute nel codice civile prima della riforma del 1975. Il marito è il capo della famiglia, fissa la residenza e dirige la vita del nucleo familiare. L’obbligo di coabitazione cessa per consenso o in rigide ipotesi determinate per legge. La famiglia legittima è rigidamente tutelata. L’indissolubilità del matrimonio assicura una forzata persistenza del vincolo. Sicché l’ordine giuridico della comunità è chiaro. L’unità della famiglia ha una rilevanza preminente e l’individuo trova tutela nei limiti di quel valore che si fissa per legge305 .
La riforma introduce novità importanti. Rinunzia a strumenti normativi per la definizione del concetto di unità che non è formalmente imposta, ma sostanzialmente salvaguardata. Attribuisce al giudice e non alla norma il potere di risolvere molti conflitti fra individuo e gruppo che trovano nei principi di solidarietà e responsabilità una misura nuova di espressione del limite posto al coniuge dalla vita associata306.
Non sempre e non subito le nuove norme hanno avuto piena attuazione e sono state due le linee interpretative meno condivisibili. L’una volta a sminuire i dati positivi di rilievo innovativo, l’altra propensa ad una privatizzazione totale del rapporto di coniugio equiparato a qualsiasi relazione obbligatoria.
Esempio della prima tendenza è stata l’idea che non fosse possibile una valutazione soggettiva dell’intollerabilità della convivenza nel giudizio di separazione perché ciò avrebbe introdotto, coordinando le diverse normative, una forma di divorzio unilaterale contrario al principio di unità della famiglia307. Tendenza questa che ha trovato ampia accoglienza nella dottrina coeva alla riforma ma che non ha resistito ad una interpretazione sistematica e corretta dell’art. 151 c.c.
Ancor meno convincente è stata l’altra tendenza , frutto di una visione assai poco convincente della disciplina del rapporto di coniugio e del ruolo, in caso di violazione dei doveri, della
303 X. Xxxxx, Famiglia e responsabilità, Milano, 1984, p. 32 ss.;Id. Il declino della immunità doctrine nei rapporti familiari, in Danno e responsabilità civile, a cura di X. Xxxxxxxx x X. Xxxxx, Xxxxxx, 0000,x. 299 ss.
304 X. Xxxxxxxx, Del ius in corpus del debitum coniugale e della servitù d’amore ovverosia la Dogmatica ludrica, Forni editore 1944, ristampato nel 1981 dallo stesso editore, in Momenti del pensiero giuridico moderno Testi a cura di Xxxxxx Xxxxxxxx.
305 Per alcuni profili X. Xxxxxxx, L’unità della famiglia , cit. p.720 ss.
306 X. Xxxxxxx, Il dovere coniugale di contribuzione, in Il diritto di Famiglia, Trattato dir. da X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino 1997,II,p. 1 ss.
307 x. Xxxx.Xxxxxx 00 aprile 1991, in Dir. eccl. 1992,II,p.90. e le osservazioni contenute in X.Xxxxxxx. L’unità della famiglia e la nuova dicpilina della separazione giudiziale fra coniugi, cit. p.731, e in particolare X. Xxxxx, I diritti e diveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato di dritto privato, diretto da X. Xxxxxxxx, Torino 1996, p. 201.
responsabilità civile. Una breve cronaca può trarre spunto da una sentenza del Tribunale di Roma chiamato a decidere su una storia di ordinaria infedeltà. Lei, lui, l’amante , dipendente del marito.
Scoperta la tresca il fedifrago è allontanato dal luogo di lavoro ma il licenziamento è annullato dal pretore. Da qui una causa civile, per danni morali e patrimoniali. L’amante si difende sostenendo che l’ adulterio non è più reato sicché non esiste il danno morale, e sostiene che la violazione dell’obbligo di fedeltà rileva come addebito della separazione e non come illecito aquiliano. Ciò per il peculiare regime di rilevanza dei doveri coniugali e della comunità familiare.
La sentenza segue una via contorta e singolare applicando istituti e principi del rapporto obbligatorio. Gli obblighi matrimoniali non hanno natura pubblica, ma privata; la violazione della fedeltà può essere fonte di un danno che può derivare anche da un contegno di cooperazione o induzione di un terzo. Il quale può aver tenuto un contegno positivo dell’amante o aver subito invece le «profferte amorose» della moglie infedele. In assenza di prova sul punto si rigetta la domanda, lasciando intravedere che era la moglie parte attiva del rapporto adulterino ed il convenuto solo una vittima «delle voglie sessuali di una donna inquieta».
L’aspetto più criticabile non è la decisione ma la sua motivazione perché i problemi di responsabilità e di danno nella famiglia, si risolvono in base ai principi generali delle obbligazioni ed emerge il disagio di affrontare la sessualità e gli affetti con la categoria dell’inadempimento e dell’interferenza nel rapporto coniugale equiparato a qualsiasi altro contratto.
D’altra parte il problema del risarcimento da parte di un coniuge del danno causato dalla violazione del dovere coniugale è affrontato nelle sentenze di legittimità con incertezze e oscillazioni.
Un lontana pronunzia( 2468/75), coeva alla riforma del 1975, non escludeva, in certe circostanze, la possibilità di un illecito a carico di un coniuge infedele, ma due sentenze più recenti avevano negato , a priori, la esistenza di un danno ingiusto in presenza della violazione dell’obbligo coniugale ( 3367/1993) e il risarcimento nel caso di separazione imputabile( 4108/1993), sulla base della autonomia e autosufficienza della disciplina familiare in ordine ai doveri coniugali.
Pochi anni dopo l’inversione di tendenza è stata netta. Si è ammesso, in linea teorica, la piena risarcibilità di una lesione e di un danno cagionato da un coniuge all’altro che integri i presupposti dell’art. 2043 ( 5866/1995) e si è affermato la responsabilità di un genitore per violazione degli obblighi di assistenza del figlio evocando la categoria discussa del danno esistenziale(7713/2000)308.
Una sentenza della Cassazione del 2005309 segna un punto di svolta significativo sotto vari profili. Si delinea il giusto equilibrio fra comunità familiare e diritti dei singoli. Acquista concretezza il rilievo della dignità e della personalità di ogni componente del nucleo familiare. E’ precisata la fonte e la misura del danno risarcibile per la lesione di tali situazioni soggettive.
Il passaggio dalla famiglia-istituzione alla famiglia-comunità è recepito pienamente come rilevanza giuridica di un modello delineato dal legislatore e dalla giurisprudenza teorica e pratica sicchè si afferma con molta precisione che i singoli componenti del nucleo familiare “ conservano le loro essenziali connotazioni e ricevono riconoscimento e tutela, prima ancora che come coniugi, come persone, in adesione al disposto dell’art.2 della Costituzione” in virtù del quale “ il rispetto della dignità e della personalità nella sua interezza assume i connotati di un diritto inviolabile … la cui violazione costituisce il presupposto logico della responsabilità civile”. Né si può eccepire al riguardo la “specificità e completezza del diritto di famiglia” in ordine alla violazione di obblighi e diritti nascenti dal matrimonio. Ciò perché separazione, divorzio e relative discipline hanno “funzioni e limiti” che non sono “ strutturalmente incompatibili con la tutela generale ei diritti costituzionalmente garantiti”310.
308 Per la sintesi di tali precedenti giurisprudenziali x. Xxxx.10 maggio 2005,n.9801 in Famiglia e diritto, 2005/2 p.366.
309 Cass. 10 maggio 2005, n.9801 cit. p.365 ss.
310 Cass. 10 maggio 2005, n.9801 cit. p368.
Ne segue un principio pienamente condivisibile. Non la violazione in sé del dovere coniugale è fonte di danno ma quelle “ condotte che per la loro intrinseca gravità si pongano come fatti di aggressione ai diritti fondamentali della persona” e fonte del risarcimento di quei danni di cui si provi l’entità patrimoniale e non patrimoniale. Nella specie si discuteva del contegno omissivo del coniuge che aveva dolosamente taciuto il suo stato di impotenza coeundi e tale omessa informazione, si è considerata della sessualità intesa come uno degli essenziali modi di espressione della persona umana da ricomprendere tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ”311.
Una recente pronuncia della Cassazione312 si allinea a questa tendenza, sancendo che non esiste alcun automatismo tra violazione dei doveri matrimoniali ed eventuale addebito della separazione, da una parte, e responsabilità civile, dall’altra.
La decisione riguarda un’ipotesi di infedeltà, ove la relazione extraconiugale era ampiamente pubblica e, quindi, particolarmente frustrante per il coniuge.
Secondo i giudici, “i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio non sono di carattere esclusivamente morale ma hanno natura giuridica, come si desume dal riferimento contenuto nell’art. 143 c.c., alle nozioni di dovere, di obbligo e di diritto e dall’espresso riconoscimento nell’art. 160 c.c., della loro inderogabilità, nonché dalle conseguenze di ordine giuridico che l’ordinamento fa derivare dalla loro violazione, cosicchè deve ritenersi che l’interesse di ciascun coniuge nei confronti dell’altro alla loro osservanza abbia valenza di diritto soggettivo”.
Ne consegue, ricalcando le linee argomentative contenute già nella pronuncia del 2005, che la violazione di questi doveri non trova necessariamente la propria sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia. “Discende, infatti, dalla natura giuridica degli obblighi su detti che il comportamento di un coniuge non soltanto può costituire causa di separazione o di divorzio, ma può anche, ove ne sussistano tutti i presupposti secondo le regole generali, integrare gli estremi dell’illecito civile”.
Da qui, il problema sul rapporto tra i rimedi tipici del diritto di famiglia e la struttura dell’illecito civile: pur ravvisandone la compatibilità, non si può inferire un rapporto di pregiudizialità tra i due.
In termini concreti, l’addebito della separazione non è necessario ai fini di una condanna a risarcimento del danno per violazione del dovere di fedeltà.
Secondo la Cassazione, la volontà di separarsi o di divorziare si configura come esercizio di un diritto o di una libertà riconducibile all’art. 2 Cost.
“Con il matrimonio, infatti, secondo la concezione normativamente sancita del legislatore, i coniugi non si concedono un irrevocabile, reciproco ed esclusivo "ius in corpus" - da intendersi come comprensivo della correlativa sfera affettiva - valevole per tutta la vita, al quale possa corrispondere un "diritto inviolabile" di ognuno nei confronti dell'altro, potendo far cessare ciascuno i doveri relativi in ogni momento con un atto unilaterale di volontà espresso nelle forme di legge.”
Naturalmente, se questa decisione è cagionata dalla violazione dell’obbligo di fedeltà, le conseguenze saranno quelle della separazione con addebito, con gli effetti che questa comporta.
Quanto alla responsabilità per danni non patrimoniali, “la relativa azione deve ritenersi del tutto autonoma rispetto alla domanda di separazione e di addebito ed esperibile a prescindere da dette domande, ben potendo la medesima "causa petendi" dare luogo a una pluralità di azioni autonome contrassegnate ciascuna da un diverso "petitum". Ne deriva, inoltre, che ove nel giudizio di separazione non sia stato domandato l'addebito, o si sia rinunciato alla pronuncia di addebito, il giudicato si forma, coprendo il dedotto e il deducibile, unicamente in relazione al "petitum" azionato e non sussiste pertanto alcuna preclusione all'esperimento dell'azione di risarcimento per
311 V. il commento alla sentenza di X. Xxxxx, L’illecito endofamiliare al vaglio della Cassazione, in Famiglia e diritto, 2005/2, p.372 ss.
violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, così come nessuna preclusione si forma in caso di separazione consensuale”313.
In altri termini, la violazione del dovere di fedeltà può comportare una duplice conseguenza: da una parte, la pronuncia della separazione con addebito; dall’altra, integrare gli estremi del danno ingiusto e dare luogo a conseguenze anche non patrimoniali314.
Sotto quest’ultimo profilo, la pronuncia, allineandosi a quanto statuito dalle Sezioni Unite nel 2008, sottolinea che non basta la semplice violazione del dovere ma “sarà inoltre necessaria la prova del nesso di causalità fra detta violazione ed il danno, che per essere a detto fine rilevante non può consistere nella sola sofferenza psichica causata dall'infedeltà e dalla percezione dell'offesa che ne deriva - obbiettivamente insita nella violazione dell'obbligo di fedeltà - di per sè non risarcibile costituendo pregiudizio derivante da violazione di legge ordinaria, ma deve concretizzarsi nella compromissione di un interesse costituzionalmente protetto”.
Questo aspetto è in continuità con quanto già indicato nella pronuncia del 2005. Questa, pur facendo leva sulla natura dolosa della condotta e non sulle modalità di lesione del bene giuridico protetto, esclude la rilevanza di comportamenti caratterizzati da una minima efficacia lesiva e subordina la risarcibilità “unicamente [a] quelle condotte che per la loro intrinseca gravità si pongono come fatti di aggressione ai diritti fondamentali della persona”315.
6.3. Genitori e figli.
Ciò che accade nel rapporto di filiazione è ancor più significativo
Superato con molti dubbi e divisioni il referendum abrogativo della legge sulla fecondazione assistita restano le critiche ad alcuni aspetti di quella legge ed è “ da più parti auspicata una qualche disciplina della famiglia ricomposta” sino ad ipotizzare una revisione della stessa partizione tra filiazione legittima e naturale.316
La recentissima legge sull’affidamento congiunto, modifica profondamente il regime precedente317.
La giurisprudenza sugli illeciti endo-familiari assicura “ risarcimenti importanti” e in alcuni casi “clamorosi” alla violazione da parte del genitore degli obblighi previsti dagli articoli 147 e 148318 sino a coprire i danni arrecati per “ aver condotto ..un’esistenza, dal punto di vista sociale e lavorativo, del tutto diversa e assolutamente deteriore, rispetto a quella che il rapporto di filiazione avrebbe consentito”.319
Di grande interesse, non solo in Italia, è il tema della nascita indesiderata e dei conseguenti diritti dei genitori e del figlio per alcuni titolare di un diritto a non nascere320.
313 Probabilmente diverso è il profilo della responsabilità per danni patrimoniali che la Cassazione non prende in considerazione.
314 La pronuncia non incide sul tema del risarcimento del danno patrimoniale, non essendo questo stato oggetto di impugnazione.
315 Per una rassegna di condotte intrinsecamente dannose cfr. X. Xxxxx, Il danno endofamiliare, in Fam. e diritto, 2011, 12, p. 1147.
316 X.Xxxxx, Diritti inviolabili della persona e rapporti familiari: la privatizzazione “arriva” in Cassazione, in Famiglia e diritto, 2004/4, p.370.
317 v. il contributo in questo Quaderno di I. Masini
318 da ultimo per una sintesi efficace X. Xxxxx, L’illecito endofamiliare al vaglio della Cassazione, in Famiglia e diritto,2005/4, p.372 Id. I nuovi danni nella famiglia che cambia, in Nuovi percorsi di diritto di famiglia, collana diretta da X. Xxxxx, Milano, 2004, p.5 ss.;e in particolare Cass. 7 giugno 2000,n.7713, in Resp. Civ. prev.,2000, 923 con nota di X.Xxxxx, Continua il cammino del danno esistenziale.
000 X. Xxx. Xxxxxxx 10 febbraio 2004, n.307 richiamtra da G: Xxxxx, L’illecito endofamiliare al vaglio della Cassazione, cit. p.377 nota 53.
320 V. ampi riferimenti sul punto di X. Xxxxxxx, in Il danno risarcibile, a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 2004, p.847 ss.
Sono noti i dubbi sull’esistenza di un diritto all’aborto. Lo nega una sentenza del 1994 in presenza di un intervento di interruzione volontaria della gravidanza non riuscito. Ciò perchè la legge 194 tutela la salute e non riconosce diritti, non c’è danno ingiusto, né biologico (perché manca la patologia), né morale (in assenza di un reato). D’altra parte emerge in dottrina ed in giurisprudenza un convincimento diverso. La legge 194 e, più ancora, l’art. 13 Cost., consentono di riconoscere un interesse protetto ad una procreazione cosciente e responsabile. Da qui il riconoscimento di un danno biologico, per il pregiudizio all’integrità psico-fisica dei genitori, dovuto alle alla nascita non desiderata; del danno morale, per essere stati costretti a scelte esistenziali non volute; e un danno patrimoniale, per il mantenimento al figlio.321
Questa opinione si rafforza in presenza di una diagnosi prenatale errata e di un feto nato con gravi handicap: la responsabilità del medico deriva da inadempimento di dell’ obbligazione contrattuale di rilevare le condizioni del feto, di operare una corretta diagnosi e di informare i genitori. Accertata la colpa si liquida, in cifre molto alte, il danno alla vita di relazione per la nascita del figlio e il danno biologico per il trauma subito.
Il risarcimento è esteso anche al padre in base al contesto dei diritti e doveri che scaturiscono dalla legge sull’interruzione della gravidanza dalla Costituzione e dal codice civile322ma non si riconosce al figlio nato malformato un diritto a non nascere se non sano. E’ nota la vicenda d’oltralpe. Nel famoso caso Perruche la Cassazione francese323 aveva riconosciuto tale diritto ma il legislatore ha stabilito poco dopo che “ nessuno può pretendere il risarcimento di un danno derivente dal solo fatto della propria nascita”324.
La Cassazione italiana affronta con molta attenzione la vicenda ricostruendo diritti e doveri dei coniugi e interessi del nato nella fase anteriore al parto. Nega tale diritto che sarebbe “adespota”per la carenza di capacità giuridica dell’embrione e perché non esiste nel nostro ordinamento un “principio di eugenesi o di eutanasia prenatale che è in contrasto con i principi di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione nonché con i principi di indisponibilità del proprio corpo di cui all’art. 5 del codice civile.” “ L’aborto si osserva è consentito nell’ambito di uno stato di necessità ( sia pure attenuato o sui generis) per la salute o per la vita della donna e non vi è spazio per la tutela di un diritto a non nascere da parte del concepito325.
Rimanendo nell’ambito del rapporto genitori-figli, una recente sentenza della Cassazione decide sull’omesso riconoscimento e l’obbligo di mantenere il figlio.
Secondo questa pronuncia, la responsabilità del genitore nei confronti della prole per non aver ottemperato ai propri doveri può prescindere dall’intervenuto riconoscimento formale.
Il caso muove dalla domanda di risarcimento danni promossa da un figlio, per la condotta omissiva del padre, posta in essere in un periodo anteriore rispetto all’accertamento della paternità326.
Secondo la Suprema corte, il riconoscimento della paternità non costituisce il presupposto della responsabilità aquiliana scaturente dalla violazione dei doveri inerenti il rapporto di filiazione.
È, infatti, principio consolidato quello per cui l’obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio insorge per il solo fatto di aver generato la prole e prescinde da qualunque domanda327, “atteso che la sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento e quindi, ai sensi dell’art. 261 c.c., implica per il genitore tutti i doveri propri della
321 v. X. Xxxxxxx, op. cit. p.916.
322 Cass. 29 luglio 2004,n.14488, in Foro it. On-line
323 Cour de Cassatio,17 novembre 2000, in Gazette du Palais, 2001, p. 37. v. su tale vicenda X. Xxxxxxxxx, Xxxxxxx di un figlio malformato, errore diagnostico del medico e regola diresoponsabilità civile, in Riv. dir. civ.,II,2002, p.849.
324 art.1 della legge francese n. 203 del 2002 nota come “ legge anti-Perruche” v.L.V.Xxxxxxxxx, Riflessioni sulla risarcibilità del danno per violazione del diritto a non nascere, in Famiglia,2005,2,p.205.
325 x. Xxxx. 29 luglio 2004,n.14488 cit.
326 Cass., 10 aprile 2012, n. 5652
327 Sul punto v. anche Cass., 20 dicembre 2011, n. 27653 e Cass, 3 novembre 2006, n. 23596
procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ai sensi dell’art. 148 c.c., ricollegandosi tale obbligazione allo status genitoriale e assumendo di conseguenza, efficacia retroattiva”.
Tuttavia, è opportuno metterlo chiaramente in luce, il riconoscimento del figlio naturale non si pone come pregiudiziale rispetto alla richiesta di risarcimento danni. Nel nostro ordinamento esiste un principio “secondo cui l’obbligo dei genitori di mantenere i figli sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsivoglia domanda”.
Sulla base di questa affermazione, il passaggio per dimostrare la risarcibilità del danno a seguito di violazione dell’art. 148 c.c. è piuttosto facile. Infatti, essendo la norma posta a protezione di diritti primari della persona, costituzionalmente garantiti, la sua violazione fa sorgere un’obbligazione risarcitoria ai sensi dell’art. 2043 c.c.
A ben vedere, mantenendo ferma l’affermazione sul piano sistematico, appare difficile sul piano fattuale che la responsabilità per omissione dei doveri di mantenere il figlio possa prescindere dall’accertamento di un rapporto di filiazione328.
6.4. Diritti danni e comunità familiare.
Le tematiche affrontate evocano il problema eterno del rapporto fra individuo e comunità ma si confrontano con problemi concretissimi come la rilevanza delle situazioni soggettive e dei danni nell’ambito della famiglia su cui è opportuno dire ancora qualcosa. In breve.
Anzitutto sulla necessaria consapevolezza che il linguaggio dei diritti cela sempre convinzioni molto diverse ,anche e soprattutto nella famiglia.
Come si è osservato benissimo c’è un’idea antica secondo cui i diritti hanno la funzione di ripristinare un assetto violato come pretese di ordine. Si pensi all’interesse tutelato nel reato di adulterio che non era la fedeltà, ma l’ordine giuridico matrimoniale, appunto . Xx era per questo che la legge puniva anche il terzo.
C’è poi un’idea moderna dei diritti come pretese di libertà, frutto di un potenziale disordine ma espressione della secolare contrapposizione tra il primato dell’individuo e del gruppo.
Il compito del giurista è chiaro. Oggi più che in passato occorre promuovere modi e strumenti per una possibile coesistenza di entrambe le visioni (pretesa di libertà e di ordine) nel precisare la disciplina della famiglia che è comunità e sistema positivo autonomo che convive con i diritti della persona e con altre istituzioni.
Impensabile è la prevalenza assoluta di una delle due istanze che non è desiderabile, se solo si pensi alle epoche e ai momenti storici in cui una di esse è prevalsa, e non è giustificabile nell’ordinamento costituzionale interno e comunitario.(art. 2; 29-30; 9-33; 24-25-26; Cost. di Nizza)
Singolare è quanto sta accadendo nel delimitare il danno risarcibile anche all’interno del nucleo familiare. Il passaggio dal sistema precedente basato su una pluralità di voci329 al nuovo ordine delineati dalle sentenze dell’estate 2003330 contrappone due soluzioni alternative . Per
328 Una sentenza del 18 aprile 2006 emessa dal Tribunale di Venezia ha riconosciuto al padre un vero e proprio danno patrimoniale da lesione di chance riguardante la perdita dell’occasione di curare adeguatamente la propria istruzione e proseguire gli studi, così da poter raggiungere una posizione sociale e professionale idonea a garantirgli maggiori guadagni. La pronuncia è citata da G. XXXXX, Il danno endofamiliare, cit.
329 Il danno biologico inteso come danno evento dopo la pronuncia della Corte Costituzionale del 1986, riconducibile alla fonte dell’art. 2043. Il danno non patrimoniale in presenza di un reato nell’accezione del danno morale soggettivo ( danno conseguenza). Un danno patrimoniale puro.
330 Il danno non patrimoniale può essere accertato anche in caso di responsabilità presunta (7281 - 7282 - 7283) ed il limite non è il fatto reato ma la lesione di un valore della persona costituzionalmente protetto. Si frena la moltiplicazione dei diritti e dei danni; se il pregiudizio è non patrimoniale, vi è un solo rimedio che ricomprende ogni danno: non solo il danno morale soggettivo, ma tutte le violazioni di valori inerenti alla persona. Assume rilevanza decisiva la configurazione delle situazioni violate sicchè «il futuro dell’art. 2059 c.c. dipende dalla situazione soggettiva costituzionalmente qualificata».
alcuni il danno non patrimoniale è risarcibile solo in caso di lesione di un diritto inviolabile ( art. 2 della Costituzione) e il compito dell’interprete sarà dunque di individuare queste nuove situazioni all’interno del nucleo familiare (artt. 29-30 Cost.) che ha solo una garanzia di istituto. Sicchè solo una grave offesa li colpisce nella loro essenza più profonda che lede l’inviolabilità.
Altri propone di ricercare, volta a volta, la rilevanza costituzionale dell’interesse leso, che determina un disagio socialmente intollerabile espresso da un’ampia serie di ipotesi ove la lesione determina: stress, timore, disagio.
E’ certo difficile individuare il margine fra desideri e diritti e si avverte l’esigenza di precisi indici di rilevanza delle situazioni lese e del danno risarcibile ma se si vuol contenere e orientare tale tendenza senza l’ ossessione dei paletti, si dovrà tener conto di due dati in particolare .
Anzitutto il riferimento al valore costituzionale della persona non implica uno status unitario, ma grappoli di conclusioni da trarre in relazione al tipo di problema da risolvere (embrione - rapporti di filiazione e di coniugio) alla rigorosa ricerca ed allegazione degli indici formali di rilevanza e tutela di quello specifico interesse. Ma ciò comporta di rimanere entro lo schema concettuale dell’art. 2059 e della responsabilità aquiliana.
Si potrebbe invece riflettere sul fatto che gli obblighi che gravano sui componenti del gruppo familiare instaurano una relazione legale la cui violazione può comportare una responsabilità di tipo non aquiliana ma contrattuale . Sicchè la violazione del dovere implica un risarcimento del danno non patrimoniale per la violazione di un rapporto e non per la violazione di un diritto. Se è così l’area della risarcibilità si può ampliare oltre la soglia dei diritto e specificarsi nella violazione del rapporto e dell’interesse in esso leso.
Tutto ciò implica la costruzione di nuovi modelli. I giuristi dei primi decenni del secolo nuovo, in pieno positivismo, qualificavano il soggetto come fattispecie ricostruita in base alla norma ,il costituzionalismo impone di intrecciare fatti e valori per costruire su tale confronto nuove regole. Ciò in particolare per la famiglia ove la individuazione e la tutela dei diritti è un’attività difficile e complessa a cui tutti dovremmo prestare in futuro la massima attenzione.
7. La responsabilità civile a protezione del mercato. Il risarcimento del danno per violazione della normativa antitrust.
Occorre distinguere sul punto due ipotesi poste in luce dalla casistica recente. La possibilità per una parte del contratto (restrittivo della concorrenza) di invocare il risarcimento dei danni per essere stata costretta ad accettare la clausola. La legittimazione attiva ai sensi dell'art. 33 delle legge italiana331.
a)Sul primo aspetto la tesi della necessaria separazione fra contratto e concorrenza lamenta un intreccio inammissibile. Si osserva che in presenza di un accordo non si può attribuire ad un contraente ciò che è fatto proprio anche dall'altro; che l'emersione della diversità del potere contrattuale fa vacillare la stessa idea di un'intesa restrittiva della concorrenza; che è inammissibile la coesistenza di un illecito e di un contratto.
331 V. in particolare, Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 2002, n. 2199, in Foro it., 2002, III, p. 482 con nota redazionale di
X. XXXXX x note di X. XXXXXXXXX, Brevi note sui procedimenti amministrativi che si svolgono dinanzi alle autorità garanti e sui loro controlli giurisdizionali; X. XXXXXXXX – X. XXXXXXX, La tecnica come potere; X. XXXXXXXXX, Sul nuovo che avanza in antitrust: l’illiceità oggettiva dello scambio di informazioni; C. OSTI, Brevi puntualizzazioni in tema di collusione oligopolistica; v. altresì Cass., 9 dicembre 2002, n. 17475, in Foro it., 2003, I, p. 1121 e ss. ed ivi le note di A. XXXXXXXX, Intese restrittive della concorrenza e azione risarcitoria del consumatore finale: argomenti “extravagntes” per un illecito inconsistente; E. SCODITTI, Il consumatore e l’antitrust, c. 1127; v. sul punto per alcune opinioni diverse X. XXXXXXXXX, Autonomia privata e concorrenza nel diritto italiano, in Riv. dir. comm. e dir. gen. obbl., 2002, p. 450 e ss.; G. XXXXXX, Mercato concorrenziale e teoria del contratto, ivi, 1999, p. 67 e sui “contratti a valle” da TAR Lazio, 10 marzo 2003, in Trib. amm. reg., 2003, 1, p. 27.
La verità è che una clausola restrittiva della concorrenza deve essere valutata come ogni clausola in base ai criteri fissati dalla disciplina generale del contratto. Spetta alla legge antitrust stabilire quando l'intesa è illecita e al diritto dei contratti precisare le azioni e i rimedi relativi all'inserimento delle pattuizione nel contratto. L'asimmetria di potere contrattuale fra le parti di un accordo è oggetto, da tempo, di un'attenzione forte della legislazione e della giurisprudenza europea. Le nuove idee e le nuove fattispecie devono essere ordinate ma si è prodotta una legalità nuova che assegna rilievo giuridico alla diversità di potere delle parti prima dell'accordo. Il passato non torna.
La coesistenza fra illecito e contratto è scritta nel codice.
Le norme di validità non costituiscono la reazione in forma specifica di ogni comportamento scorretto compiuto nella fase di formazione del contratto. Saxxx xndividua nell'art. 1337 del codice una norma che consentirebbe di eliminare tutta la disciplina sui vizi del volere e l'incapacità ``senza modificare la protezione del contraente che si trova a disagio''. Mengoni riconosce in tale norma la fonte per disciplinare le turbative atipiche della libertà del consenso imputabili a comportamenti dell'altra parte contrari a buona fede. In essa, si osserva, è possibile graduare la sanzione del risarcimento del danno. Se si accerta che senza le circostanze che hanno turbato la libertà di decisione il contratto non sarebbe stato concluso la condanna al risarcimento può rimuovere, in concreto mediante il meccanismo della compensazione, gli effetti del contratto. Alla vittima del contegno in mala fede il giudice potrebbe attribuire un controcredito a titolo di responsabilità in contrhaendo dell'altra, con un risultato pratico non lontano da una dichiarazione di nullità.
b)Sul secondo aspetto le opinioni sono alquanto discordi.
Dopo la nota vicenda giudiziaria che ha coinvolto gran parte delle società di assicurazione, i giudici di merito sono stati chiamati a decidere sulla validità dei contratti derivati dalle intese restrittive della concorrenza e sulla domande di risarcimento dei consumatori.
Di fronte alle eccezioni delle compagnie, alcuni Giudici di Pace hanno ribadito la propria competenza sostenendo l'inapplicabilità nel caso in esame dell'art. 33 della legge n.287 del 1990 e, sul punto, in sede di regolamento di competenza, si è pronunziata una prima volta la Corte di Cassazione, con una decisione da cui traspare la consapevolezza delle conseguenze che la sentenza può avere sulla tutela delle situazioni soggettive dei privati e sulle ``forme di espansione dell'economia di mercato'' nel nostro paese332.
La scelta è comunque netta. Secondo tale impostazione il consumatore è il destinatario finale dei contegni imprenditoriali svolti sul mercato, ma la sua protezione dipende dagli strumenti di tutela adottati in ogni singolo ordinamento. La legge italiana richiama il primo comma dell'art. 41 della Costituzione, limita la libertà di iniziativa e non attua l'utilità sociale prevista nel secondo comma. Insomma la disciplina, di natura pubblicistica, sarebbe rivolta solo alle imprese per assicurare le migliori condizioni di esercizio della concorrenza. Ne segue l'irrilevanza, in tale contesto, degli interessi dei consumatori che possono attivare i controlli dell'Autorità garante e chiedere un eventuale risarcimento in presenza di violazioni di uno specifico diritto soggettivo, da far valere davanti al giudice competente per valore e per territorio333.
L'ordinanza interlocutoria della Terza Sezione civile ha seguito un altro percorso interpretativo. Si è osservato che la legge italiana a tutela della concorrenza fissa la competenza della Corte di
Appello per le azioni di nullità e di risarcimento dei danni. La materia individua un giudice e può far riferimento, come potenziali destinatari, ai concorrenti delle imprese, ai fornitori e ai consumatori finali danneggiati da atti e fatti contrari alla legge334. Ciò perché l'illecito concorrenziale è astrattamente idoneo a “propagarsi secondo lo schema della reazione a catena”, anche se in concreto dovranno applicarsi le categorie generali in materia di causalità e di danno. Nel provvedimento si ricorda, infine, che la Corte di Giustizia europea335, ribadisce l'efficacia diretta
332 Cass., 9 dicembre 0000, x. 00000, cit., c. 1131-1132
333 Cass., 9 dicembre 0000, x. 00000, cit., c. 1135
334 Cass., 3 luglio 2003, ordinanza interlocutoria
335 Corte di giustizia 20 settembre 2001, C-453/99, in foro it., 2002, IV, c. 75 ss. ed ivi le note di A. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX, Intesa illecita e risarcimento a favore di una parte: “chi è causa del suo mal...si lagni e chieda i danni"; E.
delle norme dei Trattati e sottolinea che tale efficacia sarebbe elusa “se chiunque non potesse richiedere il risarcimento del danno causato da un contratto o da un comportamento idoneo a restringere o falsare il gioco della concorrenza”.
È noto che la sentenza 500 del 1999336, nel precisare la nozione di danno inxxxxxx, afferma che non è rilevante la qualifica formale dell'interesse, ma la sua rilevanza giuridica, tratta da un osservazione attenta del sistema delle fonti. La necessità di abbandonare forme chiuse e di adottare criteri selettivi rigorosi, induce a diversificare gli interessi umani in base a due parametri in particolare: il collegamento con una norma sostanziale o processuale e l'esistenza di un certo grado di intensità della tutela accordata dall'ordinamento337.
Ne segue che le posizioni soggettive assumono rilievo in presenza di una pluralità di indici positivi diversi e che la posizione del consumatore è destinataria di norme e principi da richiamare alla memoria prima di valutare se la sua tutela sia o meno compresa nel contesto della legge del 1990.
E’ sufficiente richiamare qui il diritto, riconosciuto dalla legge del 1998, all'equità, trasparenza e correttezza dei rapporti contrattuali338 e la recente modifica dell'art. 1469-bis che estende, su sollecitazione degli organi comunitari339, la tutela collettiva nei confronti di clausole abusive che non siano state utilizzate in concreto, ma solo raccomandate o minacciate340.
L'art. 169 TFUE dispone che “la Comunità contribuisce a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori” e tale indicazione è potenziata, ora, con il riconoscimento alla Carta di Nizza della stessa efficacia dei trattati (art. 6TUE), ove si prevede la garanzia di un'elevata protezione di tali soggetti (art. 38)341.
D'altra parte la Corte di Giustizia, come ricordato nell'ordinanza, ha formulato una serie di principi che possono riassumersi in queste proposizioni. Il Trattato ha istituito un “ordinamento integrato nei sistemi giuridici degli Stati membri” che si impone ai giudici e ai soggetti. Il diritto comunitario crea diritti direttamente o tramite l'imposizione di obblighi agli Stati. L'art. 101 vieta le intese restrittive e ne dispone la nullità che ogni singolo può far valere in giudizio. È compito dei giudici nazionali applicare le norme di diritto comunitario tutelando “i diritti da esse attribuiti ai singoli”. Le sentenze dei giudici nazionali di condanna al risarcimento dei danni, causati da un contratto o da un comportamento illecito potenziano il divieto degli articoli 101 e 102 e contribuiscono sostanzialmente al mantenimento di un'effettiva concorrenza nella Comunità342.
Resta da precisare se il consumatore debba far valere le sue pretese nei modi e davanti al giudice indicato dall'art. 33 della legge 287 del 1990 o se invece la sua azione sia soggetta ad una diversa competenza. Credo che a questo punto sia chiara la mia posizione che cercherò di esporre schematicamente.
Il diritto comunitario considera il risarcimento ad ogni soggetto danneggiato un elemento essenziale della disciplina del mercato e tale orientamento, tratto da norme e concetti espressi nei Trattati e ripresi dalla Giurisprudenza comunitaria, deve essere utilizzato come criterio ermeneutico della nostra legge nazionale che rinvia, espressamente, ai ``principi dell'ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza'' (art. 1, comma 4, L. 287/90).
SCODITTI, Daxxx xa intesa anticoncorrenziale per una delle parti dell'accordo: il punto di vista del giudice italiano; X. XXXXX, Take Courage! La Corte di giustizia apre nuove frontiere della risarcibilità del danno da illeciti antitrust.
336 Cass., 22 luglio 1999, n. 500, in Foro it., 1999, I, c. 2487 e su di essa G. XXXXXXX, Persona e responsabilità civile, in
Il danno risarcibile, Padova, 2004, p. 3 e ss.
337 Mi permetto di richiamare G. XXXXXXX, Carta europea e diritti dei privati, in Riv. dir. civ., 2002, p. 694
338 X. XXXXXXX, La disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, in Squilibrio e usura nei contratti, a cura di G. Xxxxxxx, Padova, 2002, p. 113 e ss.
339 CGCE, 24 gennaio 2002, C-372/99 citata in A. XXXXXXXX – G. XXXX, La legge comunitaria 2002: tutela del consumatore (art. 6), OICVM (art. 222) e contratti di garanzia finanziaria (art. 31), in Nuove leggi civ. comm., 2003, 3, p. 496
340 Legge 3 febbraio 2003, n. 14
341 V. Carta europea e diritti dei privati, a cura di G. Xxxxxxx, Padova, 2002, p. 33 e ss.
342 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 settembre 2001, C-453/99, in Foro it., 2002, IV, c. 75 e ss.
D'altra parte il carattere pubblicistico della nostra legge non può essere utilizzato per escludere la protezione diretta dei consumatori, per una serie di ragioni. Tutte note al dibattito teorico e pratico da diversi decenni343.
L'autonomia dell'azione di risarcimento rispetto alla finalità della legislazione sulla concorrenza ipotizza un unico fine di questo sistema di norme. L'aumento del benessere e della ricchezza collettiva344. Ogni altra finalità ed ogni prospettiva diversa dovrebbe essere rimessa ad altre branche del diritto, ma tale conclusione non è affatto coerente con l'ordinamento comunitario e nazionale. Si è già ricordato come altri siano gli obbiettivi dei Trattati e della Costituzione europea.
Queste considerazioni, nel loro complesso, escludono un carattere solo pubblicistico delle fattispecie concorrenziali e consentono di identificare i destinatari di tali norme in ogni soggetto interessato al rispetto delle finalità espresse nei Trattati europei e nelle norme costituzionali interne. I lavori preparatori della legge non smentiscono queste considerazioni. Per superare il contrasto fra chi sosteneva la centralità della tutela dei consumatori e chi anteponeva ad essa altri obbiettivi, fu varata l'attuale disciplina approvata da tutti come soluzione compromissoria, ma coerente con le finalità generali del sistema nazionale, integrato in quello comunitario345.
D'altra parte escludere i consumatori dalla disciplina della legge interna complica e confonde ogni prospettiva. Sarebbe competente non la Corte di Appello come organo specializzato, ma altri giudici diffusi sul territorio che dovrebbero individuare il diritto leso, senza una adeguata specializzazione e al di fuori di un contesto valutativo reso coerente dalla legge speciale. Come si è accennato le competenze in materia sono il punto più fragile della nostra disciplina a tutela del mercato346.
Gli atti dell'Autorità sono soggetti alla giurisdizione amministrativa che esercita un ``controllo debole'' sulle valutazioni economiche. I Tribunali applicano l'antitrust comunitario e le Corti di Appello le fattispecie previste dalla legge nazionale, qualche Tribunale, assecondato da parte della dottrina347, si reputa competente per gli abusi minori che non ``riguardano parti rilevanti del mercato nazionale''. Le imprese dovrebbero richiedere i danni davanti alla Corte di Appello mentre i consumatori al giudice di primo grado.
Tutto ciò necessita di un ordine più coerente e si giunge così alla pronunzia delle Sezioni Unite. La sentenza contribuisce a far chiarezza per la tutela sostanziale e processuale di ogni posizione soggettiva coinvolta nella dinamica dei rapporti di mercato348.
Ai consumatori è riconosciuto il diritto di chiedere il risarcimento del danno subìto a seguito di una condotta anticoncorrenziale e l’autorità competente a conoscere di queste domande è la Corte
343 V. per un’efficace sintesi A. TOFFOLETTO, Il risarcimento del danno nel sistema delle sanzioni per la violazione della normativa antitrust, Milano, 1996, p. 87 e ss.
344 X. XXXXXXX, Norme efficienti. L’analisi economica delle regole giuridiche, Milano, 2002, p. 19 e ss.; X. Xxxxx, Il potere e l’antitrust, Bologna, 1998, p. 13 e ss.
345 A. XXXXXXXXXX, Il risarcimento del danno nel sistema delle sanzioni per la violazione della normativa antitrust, op. cit., p. 159 e ss.
346 V. A. P. XXXXXXXXX, L’antitrust in cerca di regole più chiare, in Il sole 24 ore, 19 ottobre 2003, p. 19
347 X. XXXXXXXXX, Autonomia privata e concorrenza nel diritto italiano, op. cit., p. 145
348 Cass., sez. un., 4 febbraio 2005, n. 2207, in Foro it., 2005, I, c. 1014 con note di A. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX, L’antitrust per il benessere (e il risarcimento del danno) dei consumatori; E. SCODITTI, L’antitrust dalla parte del consumatore. Tra i vari commenti si segnalano X. XXXXXXXXXX, Sezioni sempre più unite che antitrust, in Europa e Diritto privato, 2005, p. 444; X. XXXXXXXXX, Le azioni civili del consumatore contro gli illeciti antitrust, in Corr. giur., 2005, p. 1093; I. XXXXX, La tutela civile antitrust dopo la sentenza 2207/05: la Cassazione alla ricerca di una difficile armonia nell’assetto dei rimedi del diritto della concorrenza, in Corr. giur., 2005, p. 337; X. XXXXXXXX, Abuso da intesa anticoncorrenziale e legittimazione aquiliana del consumatore per lesione alla libertà negoziale, in Danno e resp., 2005, p. 498; X. XXXXXX, Intese anticoncorrenziali e tutela del consumatore, in Riv. dir. priv., 2005, p. 907; A. XXXXX, La difficile integrazione fra diritto civile e diritto della concorrenza, in Riv. dir. civ., 2005, II, p. 495; X. XXXXXX XLMI, Antitrust, contratti a valle e risarcimento del danno, in Obbl. e contr., 2005, p. 40. Per una monografia cfr. M.R. XXXXXXX, Violazione della disciplina antitrust e rimedi civilistici, Catania, 2006.