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I DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NELL’AMBITO DEL D.LGS. 50/2016 – CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI: FATTISPECIE INCRIMINATRICI E LORO APPLICAZIONE
di Xxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxxxx Xxxxx - Consiglio nazionale delle ricerche
1. PREMESSA
Il diritto penale applicato agli appalti pubblici costituisce un ambito di disciplina che, per la rilevanza e la molteplicità degli interessi coinvolti, merita una specifica attenzione data anche la relativa scarsità di approfondimenti in materia.
1 X. XXXXXXX, Il “Diritto penale degli appalti pubblici”: profili sistematici, in Diritto penale degli appalti pubblici, a cura di X. XXXXXXXX - X. XXXXXXX, Padova, 2012, pp. 63 e ss.
Xxxxxxx, pertanto, affrontare in primis il problema definitorio, concernente la qualifica pubblicistica o meno dei “soggetti” degli appalti e dei contratti pubblici. Al riguardo va osservato che l’indiscutibile autonomia delle nozioni proprie del diritto penale, non significa certo contrapposizione o separatezza dello stesso diritto penale. Al contrario, risulta necessario individuare e riconoscere, in sede ermeneutica, il corretto legame giuridico che consente a quest’ultimo di adempiere nel modo migliore alla propria funzione di specifico strumento sanzionatorio di precetti peraltro molto spesso posti ed operanti in altri campi dell’ordinamento giuridico, ma bisognosi, comunque, di un adeguato presidio punitivo che ne assicuri l’effettività, nel rispetto del principio di estrema ratio: la pena, infatti, può essere prevista ed irrogata solo laddove misure di altra natura, meno limitative come ad esempio sanzioni di natura amministrativa o civilistica, contabile o disciplinare, che certamente vengono in rilievo in materia di appalti pubblici, non risultino idonee o sufficienti.
Se, dunque, è necessario operare un coerente raccordo fra il diritto punitivo ed i precetti da presidiare, le forme in cui tale rapporto può esprimersi sono molteplici, andando dal vero e proprio “rinvio”, contenuto nelle fattispecie incriminatrici ad un precetto di fonte extra penale, fino alla previsione di singoli elementi normativi, costitutivi della fattispecie penale, da interpretare alla stregua delle norme di riferimento di natura non penale, passando per i concetti che rimandano, in tutto o in parte, a categorie e nozioni di altri rami dell’ordinamento giuridico, diversi da quelli penali, da cui però sono richiamati.
Quest’ultimo è il caso delle nozioni di “pubblico ufficiale” e di
“incaricato di pubblico servizio” definite dagli artt. 3572
e 358 c.p.,
2 ROMANO, I delitti contro la Pubblica Amministrazione, IV edizione, Varese, 2019.
mediante espressi richiami a categorie e nozioni proprie del diritto pubblico, da interpretare e applicare in conformità ai principi e alle finalità proprie del diritto penale.
La disciplina giuridica che governa gli appalti pubblici è rappresentata, dal d.lgs. 50/2016 rubricato “Codice dei contratti pubblici”. Da questa normativa andranno ricavate le nozioni cui fanno rinvio gli artt. 357 e 358 c.p. per attribuire la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nella materia trattata.
Diversi sono i criteri ermeneutici cui potrebbe farsi astrattamente riferimento: il primo, di natura nominalistico formale, comporterebbe una trasposizione immediata delle qualifiche e definizioni usate dal Codice dei contratti pubblici al campo penale. La stessa denominazione degli appalti come “pubblici”, del resto, non può certo far estendere automaticamente una corrispondente qualifica pubblicistica “agli effetti penali” a tutte le attività, procedure ed in definitiva ai soggetti coinvolti, essendo le definizioni in esame espressamente enunciate e valide soltanto nell’ambito dello stesso Xxxxxx dei contratti pubblici.
Se non può seguirsi un criterio nominalistico formale, non può neppure accogliersi l’opposto criterio sostanzialistico, che si basa sulle finalità e sugli interessi materiali perseguiti o da salvaguardare con la regolamentazione in esame. Il criterio decisivo per risolvere la vexata quaestio non può allora che essere quello “oggettivo” della disciplina giuridica dell’attività svolta dai diversi soggetti che vengono in rilievo in successione.
In particolare, in conformità alle definizioni di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio, si dovrà stabilire se ci si trovi difronte all’esercizio di una “pubblica funzione” ovvero di un “pubblico servizio” enunciati negli articoli sopra richiamati alla luce della disamina ricavabile dal Codice dei contratti pubblici.
Più agevolmente circoscrivibile appare la nozione di “pubblica funzione” che, accanto alla qualità di norme di diritto pubblico e di “atti autoritativi” che devono avere le proprie fonti di disciplina, deve esprimersi nell’esercizio di “poteri tipici” individuabili con relativa facilità.
L’ambito degli incaricati di pubblico servizio sembra, invece, emergere più propriamente nelle attività che, pur non manifestandosi con l’esercizio di poteri tipici, si configurano come legittimate e da svolgere in forza di un “titolo” di diritto pubblico, ossia riconosciuto o attribuito dalla Pubblica amministrazione in conformità a norme di diritto pubblico ed atti autoritativi.
Non solo nella fase dell’affidamento dei contratti pubblici ma anche in quella del controllo e della vigilanza sulla loro esecuzione, nonché in altre attività amministrative comunque connesse, vi è per tali soggetti l’obbligo di seguire determinate procedure tipizzate da disposizioni di natura pubblica e atti autoritativi. Per cui si deve attribuire una qualificazione pubblica, per gli effetti penali, ai soggetti responsabili dei relativi procedimenti e delle suddette attività, e questo a prescindere dalla natura pubblica o privata dell’ente cui detti soggetti appartengono o per cui conto formalmente agiscano.
Nella fase di scelta del contraente e di stipula del contratto, sono estremamente importanti i principi dell’imparzialità e del buon andamento enunciati dall’art. 97 della Costituzione, dovendosi escludere in queste attività situazioni di libera “disponibilità negoziale” di natura privata, come conferma il rinvio per tutto quanto non previsto dal Codice dei contratti pubblici alle regole del procedimento amministrativo di cui alla legge 241/1990. In tale ambito, seppur il novellato art. 1, comma 1-bis, contempli la possibilità per la pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, di agire secondo le norme di diritto privato, resta salvo il principio già enunciato nell’art. 97 della Costituzione in
combinato disposto con l’art. 12 della già richiamata legge 241/90 in tema di provvedimenti attributivi di vantaggi economici.
Accanto alla qualificazione soggettiva, appare opportuno porre attenzione anche alle fattispecie poste a tutela delle gare pubbliche nell’ambito delle quali rilevano alcune incriminazioni specifiche introdotte oppure la previsione di pene inasprite.
Nel seguito saranno delineati gli aspetti tipici che mettono in relazione, le fattispecie incriminatrici previste dal codice penale nell’ambito del Codice dei contratti pubblici.
2. I DELITTI DEI PUBBLICI UFFICIALI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: ABUSO D’UFFICIO
Passando ad una disamina di parte speciale dei delitti che vengono maggiormente in rilievo nella materia de qua, risulta opportuno muovere preliminarmente dai delitti commessi dai pubblici ufficiali nei confronti della P.A., che presentano il più forte impatto, anche sanzionatorio, nel “controllo penale” degli appalti pubblici. Iniziamo dall’abuso di ufficio.
In particolare, l'area penalmente rilevante non viene più ricondotta alle violazioni delle "norme di legge o di regolamento" ma viene adesso circoscritta all'inosservanza "di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge",
3 Art. 323 c.p., Abuso d’ufficio: Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità.
così escludendo che il reato in questione sia configurabile in caso di trasgressione di norme di rango secondario, regolamentare o sub- primario, ovvero finanche in ipotesi di norme di rango primario, tutte le volte che da queste ultime non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse per il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio. In aggiunta, si richiede in ogni caso, sempre ai fini dell'integrazione del delitto de quo, che dalla norma violata non debbano residuare "margini di discrezionalità" in capo al soggetto agente.
Sennonché l'eliminazione, ad opera del decreto “Semplificazioni”, dal novero delle fonti capaci di azionare l'abuso d'ufficio dei regolamenti, e la contemporanea previsione secondo cui le norme di rango primario invece sono tuttora idonee ad innescare la criminalizzazione del contegno dell'agente ma solo se disciplinano espressamente la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio senza lasciargli margini di discrezionalità, rischiano di essere paletti troppo alti, tali da determinare una depenalizzazione di fatto dell'abuso d'ufficio.
Difatti, se da un lato il riferimento a "specifiche regole di condotta espressamente previste" sembra inteso ad escludere che possano avere rilievo penale, come invece ritenuto da una parte delle giurisprudenza, violazioni di principi generalissimi come quelli di buon andamento ed imparzialità sancito dall’art. 97 della Costituzione, dall'altro lato, l'eliminazione del rimando ai "regolamenti" rischia di sottrarre ad ogni possibile intervento del giudice penale violazioni, anche gravi, proprie di quelle disposizioni in cui si rivengono normalmente le regole di condotta "specifiche" ed "espresse" che presiedono all'esercizio dei pubblici poteri, alla luce dell'ampio processo di delegificazione in atto da tempo nel nostro ordinamento (si pensi, tra i casi più recenti e rilevanti, alla previsione dell'art. 216, comma 27-octies, del vigente Codice dei contratti
pubblici aggiunto ad opera del D.L. n. 32/2019, convertito con modificazioni dalla legge n. 55/2019, per effetto del quale si demanda ad un emanando Regolamento unico la disciplina esecutiva, integrativa e attuativa di tante parti importanti del Codice stesso, tra cui quella relativa alle procedure di affidamento e realizzazione dei contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie).
La clausola di riserva fa soccombere la norma nel concorso apparente rispetto ai reati più gravi, a prescindere dal principio di specialità.
Con il nuovo impianto normativo il reato si configura sempre come un reato di evento, dove è richiesto il dolo generico, ma si modifica l’elemento oggettivo della fattispecie e si attribuisce rilevanza alle specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge, dalle quali non residuino margini di discrezionalità per il soggetto agente. Si elimina quindi il regolamento tra le fonti capaci di attivare l’abuso d’ufficio.
In sintesi, ciò che si modifica come detto e come si legge all’interno della relazione illustrativa del Senato della Repubblica è l’ambito oggettivo di applicazione della fattispecie che è circoscritto in quanto:
– non sono più sanzionati sul piano penale comportamenti in trasgressione di misure regolamentari, ma solo di specifiche regole di condotta previste da norme di rango primario (legge o atto avente forza di legge);
– ulteriore condizione per la configurazione del delitto che le regole di condotta violate non contemplino margini di discrezionalità in sede applicativa.
Alla luce di quanto esposto appare comunque chiara la motivazione delle suddette modifiche relative al reato previsto dall’art. 323 c.p.. L’idea del legislatore infatti è quella di un allentamento delle
Di conseguenza, non sono sindacabili nel merito le scelte operate dalla stazione appaltante o dall’ente aggiudicatore, e restano penalmente irrilevanti anche le eventuali violazioni sostanziali di criteri tecnici, ovvero che soddisferebbero meglio il buon andamento e l’imparzialità stessa della P.A., se non integrino violazioni “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge”.
In effetti, nella scelta del contraente, momento cruciale del sistema delle gare ad evidenza pubblica, va riconosciuta una sfera di discrezionalità amministrativa, quantomeno di natura tecnica, non sindacabile dal giudice penale. Senza ombra di dubbio, vi dovrà poi essere una valutazione di merito, spesso frutto di un bilanciamento di interessi concorrenti, alla stregua dei parametri sostanziali di competitività, economicità ed efficienza nel settore specifico, cui non può certo sostituirsi il giudice penale, fermo solo l’obbligo dell’ente aggiudicatore di formare ed esprimere la propria “volontà” nel rispetto delle modalità e dei termini delle procedure ad evidenza pubblica, quando prescritte dall’ordinamento.
3. RIVELAZIONE ED UTILIZZAZIONE DI SEGRETI DI UFFICIO Accanto alle figure principali di delitti contro la Pubblica Amministrazione, va prestata specifica attenzione anche al delitto di rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio previsto dall’art. 326 c.p.4, che appartiene, invece, ai reati meramente “funzionali”, quali
4 Art. 326 c.p. - Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio:
1. “Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
2. Se l'agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno.
3. Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé
l’appena analizzato abuso di ufficio e l’omissione di atti d’ufficio che analizzeremo nel seguito.
La fattispecie si trova oggi nel mezzo di un contrasto fra le tradizionali esigenze di segretezza che connotavano l’operato della
P.A. - tanto da essere punita eccezionalmente a titolo di colpa anche la semplice “agevolazione” della violazione del segreto, ex art. 326, comma 2, c.p. - e quelle invece di trasparenza e possibilità di ampio controllo, non solo pubblico, ma anche da parte dei privati cittadini, proprie di una concezione più moderna e democratica, quasi partecipativa, dell’amministrazione e operato pubblico.
In tale assetto, non sparisce però del tutto l’esigenza di tutela penale del segreto d’ufficio, che va al contrario valorizzata per determinate ipotesi tassative, poste a garanzia di particolari esigenze di riserbo, legate all’oggetto dei contratti pubblici, ovvero dell’imparzialità e del buon andamento delle procedure pubbliche in specifiche fasi in cui serve ad assicurare la stessa parità di trattamento, ai fini concorrenziali, fra i partecipanti agli appalti ed alle relative procedure di affidamento.
In tale contesto, si inserisce quanto disciplinato dal d.lgs. 50/2016
che, da un lato riconosce il generale diritto di accesso5
dei
partecipanti e dei terzi interessati agli atti del procedimento, rinviando ai principi espressi dalla legge 241/1990; dall’altro prevede specifiche eccezioni per gli appalti c.d. “segretati” o “la cui esecuzione necessiti di speciali misure di sicurezza”, nonché un più ampio potere-dovere di differimento dell’accesso nei seguenti casi:
a) nelle procedure aperte, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la
o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni”.
5 NICOSIA F.M., Principio di trasparenza dell’azione amministrativa ed obbligo di motivazione. Il diritto di accesso, Napoli, 1992; X. XXXXX, Trasparenza della pubblica amministrazione e tutela giurisdizionale, in nuova rassegna, 1989; X. XXXXXXXXX, La trasparenza dell’azione amministrativa tra tutela del diritto di accesso e tutela del diritto alla riservatezza: alla ricerca di un equilibrio; in CHITI M.P. – XXXXX X. (a cura di), I principi generali dell’azione amministrativa, Xxxxxx, Xxxxxx, 0000.
presentazione delle medesime; b) nelle procedure ristrette e negoziate, e in ogni ipotesi di gara informale, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno segnalato il loro interesse, e in relazione all’elenco dei soggetti che sono stati invitati a presentare offerte e all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte medesime; ai soggetti la cui richiesta di invito sia stata respinta, è consentito l’accesso all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno segnalato il loro interesse, dopo la comunicazione ufficiale, da parte delle stazioni appaltanti, dei nominativi dei candidati da invitare; c) in relazione alle offerte, fino all’approvazione dell’aggiudicazione; c-bis) in relazione al procedimento di verifica della anomalia dell’offerta, fino all’aggiudicazione definitiva.
Si deve, in conclusione, riconoscere che la sfera della segretezza penalmente protetta è, in concreto, definita dalla relativa disciplina extra penale che, abbandonata una sua concezione assoluta, ne abbraccia una relativa riaffermandone la necessità nei soli limiti fissati dalla normativa stessa.
Tale realtà collima, tuttavia, con la funzione di garanzia dell’imparzialità e della parità di posizioni concorrenziali che deve avere il segreto nell’ambito delle regole procedimentali da rispettare in materia di appalti pubblici. Funzione di garanzia che già trapelava dalla scelta del legislatore del 1990 quando, aggiungendo un terzo comma all’art. 326 c.p., ha voluto punire il comportamento del pubblico ufficiale che “per procurare a sé o agli altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete”, con una severità sanzionatoria addirittura maggiore (reclusione da due a cinque anni) dell’ipotesi base (reclusione fino a due anni) prevista per il reato di abuso d’ufficio secondo la medesima novella del 1990, alla cui
Viceversa oggi la situazione dell’abuso d’ufficio “patrimoniale” risulta addirittura inferiore a quella della fattispecie in esame, pur trattandosi di un’incriminazione rispetto alla mera “utilizzazione” del segreto che possa favorire concorrenti nelle procedure di gara o danneggiarne altri, ad esempio grazie all’apertura anticipata delle buste in cui si presentano le offerte. Appare, dunque, evidente come, anche rispetto a tale profilo sanzionatorio, risulti necessaria una revisione razionale dei diversi limiti edittali delle pene e dei rapporti dei diversi delitti fra loro.
Un’ultima riflessione con riferimento all’art. 326 c.p., è che quest’ultimo può operare in qualsiasi tipologia di affidamento o aggiudicazione, non facendosi menzione, all’interno della fattispecie, di particolari modalità, come al contrario avviene negli artt. 353 e 354 c.p., di cui si dirà in seguito.
L’incriminazione opera, quindi, in qualsiasi tipo e fase dei procedimenti regolati dal Codice dei contratti pubblici, anche non necessariamente ad “evidenza pubblica”, essendo predominante l’esigenza di protezione della notizia e delle informazioni, in quanto il riserbo è strumentale al buon andamento e imparzialità delle procedure stesse, che devono condurre ad una formazione per così dire “neutra” e “terza” della volontà della Pubblica amministrazione.
4. RIFIUTO DI ATTI D’UFFICIO: OMISSIONE
6 Ai sensi e per gli effetti dell’art. 328 c.p., il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo
Si deve osservare che la fattispecie incriminatrice in esame, con la formulazione inserita nella riforma dell’articolo introdotta nel 1990, include al suo interno due autonome fattispecie incriminatrici. Nell’ipotesi di cui al primo comma, il bene giuridico tutelato è il buon andamento della Pubblica amministrazione, il cui presupposto immancabile è l’effettività (la tempestività) dell’assolvimento delle pubbliche funzioni o dell’erogazione di un pubblico servizio. Il termine “rifiuto” indica un’espressione, una manifestazione di volontà di non compiere l’atto legalmente richiesto ed implica, pertanto, una previa richiesta di adempimento. Inoltre, gli elementi oggettivi della condotta criminosa del delitto in oggetto sono i seguenti: la doverosità e l’indifferibilità che deve rivestire l’atto di ufficio; le ragioni di giustizia, sicurezza pubblica o di ordine pubblico oppure quelle di igiene e di sanità.
Rispetto al reato contemplato dal secondo comma dell’art. 328 c.p., invece, la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza, aderendo alla tesi dottrinaria prevalente ante riforma (la quale riteneva che la norma tutelasse, sia pure in via mediata, anche le situazioni giuridiche dei cittadini che sono parte del rapporto con la P.A.), sono per lo più concordi nel ritenere che la fattispecie incriminatrice abbia natura pluri-offensiva. Essa, infatti, è idonea a ledere non soltanto l’interesse, pubblico, al buon andamento e alla trasparenza della P.A., ma anche l’interesse privato del soggetto interessato al compimento dell’atto e che ne abbia fatto concreta richiesta. Questi è titolare di una situazione giuridica tutelata, sub specie di diritto soggettivo o di interesse legittimo, nonché di una legittima aspettativa ad ottenere il provvedimento richiesto ovvero la comunicazione dei motivi del ritardo o del mancato accoglimento
ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a 1.032 euro. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa.
La soluzione proposta, tanto per la prima quanto per la seconda fattispecie, non è di poco momento, atteso che qualificare le fattispecie incriminatrici in parola quali reati pluri-offensivi porta con sé la necessità di qualificare, oltre alla P.A., anche il privato interessato come persona offesa dal reato e, come tale, tutelata dalle garanzie procedimentali di cui agli artt. 408 - 410 c.p.p. (es. opposizione alla richiesta di archiviazione).
Il reato di cui all’art. 328, comma 1, c.p., è un reato di pericolo che si perfeziona ogni qual volta venga denegato un atto non ritardabile, incidente su beni di valore primario tutelati dall’ordinamento, indipendentemente dal nocumento che in concreto possa derivarne.
Riconducendo la fattispecie de qua alla materia degli appalti pubblici, il delitto sembra configurabile soprattutto con riferimento al secondo comma, cioè nell’omessa risposta all’apposita richiesta dell’operatore economico (ad esempio di accesso ai documenti ovvero diretta a sollecitare il compimento di determinati atti nel corso del procedimento di gara) non debitamente motivata dalle ragioni del ritardo. Solo in casi più rari si potrà realizzare un diretto “rifiuto” dell’atto di fronte a situazioni di “urgenza” nelle materie specificate dalla norma che potrebbero comunque ipotizzarsi anche nella fase di stipula del contratto.
5. FATTISPECIE PENALI POSTE A TUTELA DELLE GARE PUBBLICHE
Nell’ambito dei delitti dei privati contro la Pubblica amministrazione rilevano alcune incriminazioni specifiche caratterizzate da livelli sanzionatori che erano in origine estremamente bassi, non solo per l’assenza di investitura pubblica o, comunque, di esercizio di funzioni o di servizi pubblici in capo ai privati autori dei reati in
questione, ma anche per l’evidente sottovalutazione dell’importanza della materia all’epoca del Codice Xxxxx e, più in generale, per la propensione, fino a tempi recenti, a non considerare con il dovuto rigore le manifestazioni della criminalità economica d’impresa.
Xxxxxxxx il contesto storico e politico è intervenuta la legge 13 agosto 2010, n. 136, recante un “piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia”. Essa ha innalzato, come si evidenzierà in seguito, i limiti della pena detentiva portata ora da un minimo di sei mesi ad un massimo di cinque anni, oltre alla multa da 103 euro a 1.032 euro, ed ha al contempo introdotto la fattispecie di “Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente”, ai sensi dell’art. 353-bis c.p., che prevede la medesima sanzione ma prende in considerazione le fasi prodromiche del “procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto” nonché procedure di affidamento non contemplate nel delitto di cui all’art. 353 c.p., nel chiaro intento di adeguare la disciplina penale a quella del Codice dei contratti pubblici, che, come detto, prevede una ricca molteplicità di procedure.
6. TURBATA LIBERTÀ DEGLI INCANTI
Secondo prevalente dottrina7, l’oggetto giuridico si identificherebbe con la tutela della libertà e del regime di concorrenza nello svolgimento degli incanti (rectius: gare), improntata alla massima trasparenza delle procedure che realizzi un risultato equo e conveniente per la Pubblica amministrazione.
7 X. XXXXXXXX - X. XXXXX, Diritto penale. Parte speciale, op. cit., p. 331 e ss.
Una diversa impostazione minoritaria, invece, ritiene che tali oggetti siano solo potenzialmente ed eventualmente tutelati dalla norma, che avrebbe riguardo alla protezione del solo regolare svolgimento della procedura, riconducendolo, quindi, al buon andamento della Pubblica Amministrazione.
La giurisprudenza, tuttavia, tende a coniugare entrambe le impostazioni configurando nell’oggetto giuridico sia l’interesse della Pubblica Amministrazione alla regolarità della gara, sia l’interesse delle imprese concorrenti alla tutela della concorrenza, alle libere condizioni di accesso alla procedura e all’imparzialità nella scelta del concorrente aggiudicatario. Trattasi, in quest’ottica, di un reato pluri-offensivo, tutelando la norma non solo la libertà di partecipare alle gare ma anche la libertà di chi vi partecipa ad influenzarne l’esito, secondo il principio di libera concorrenza ed il sistema della pluralità delle offerte. Peraltro, secondo l’opinione oggi prevalente, si tratta di un reato di pericolo, che si perfeziona indipendentemente dall’effettiva compromissione del bene oggetto della tutela.
In questa prospettiva sembra muoversi il legislatore che con l’introduzione della legge n. 136 del 2010 ha notevolmente inasprito le pene per il reato in esame.
Infatti, il reato de quo si estende anche alle gare che si svolgono in forme diverse da quelle prescritte dalla legislazione in materia di pubblici incanti o di procedure negoziate semplificate8 e la nozione di “soggetti preposti” non è limitata solo a colui che presiede o dirige la gara (RUP), ma comprende tutti coloro che svolgono funzioni essenziali nel procedimento amministrativo relativo, essendo rilevante al riguardo solo il fatto che il comportamento posto in
8 Il reato è configurabile anche nelle gare informali in cui la Pubblica amministrazione pur non essendovi tenuta procede alla consultazione di imprese private tra loro in concorrenza, decidendo così di porre un limite alla propria attività, limite che non è previsto legislativamente, ma che essa deve comunque rispettare. Tale estensione, permette di aprire una prima strada verso una possibile configurabilità del reato di turbata libertà degli incanti anche alla nuova procedura del dialogo competitivo.
essere provochi una lesione del principio della libera concorrenza che la norma intende tutelare a garanzia degli interessi della Pubblica Amministrazione.
Per quel che concerne l’elemento oggettivo, la Corte di Cassazione ha voluto chiarire la portata della condotta che integra la fattispecie di reato sottolineando che “la condotta di turbamento si verifica quando si altera il normale svolgimento della gara attraverso l’impiego di mezzi tassativamente previsti dalla norma incriminatrice”. La Corte ha evidenziato, inoltre, quali siano tali mezzi chiarendo che la collusione va intesa come ogni accordo clandestino diretto ad influire sul normale svolgimento delle offerte, mentre il mezzo fraudolento consiste in qualsiasi artificio, inganno o menzogna concretamente idoneo a conseguire l’evento del reato, che si configura non soltanto in un danno immediato ed effettivo, ma anche in un danno mediato e potenziale, dato che la fattispecie prevista dall’art 353 c.p., come accennato, si qualifica come reato di pericolo9.
Il suddetto reato di pericolo si configura anche quando il danno sia solo mediato o potenziale, il che comporta che il reato è integrato per il solo fatto che gli accordi collusivi siano idonei a influenzare l’andamento della gara10. Tale lettura dipende dalla previsione della sufficienza anche del semplice “turbamento”: condizione che ricorre quando la condotta fraudolenta o collusiva abbia anche soltanto influito sulla regolare procedura restando irrilevante un’effettiva
9 Infatti ciò che ha importanza non è la ricerca dell’evento effettivo, ma la semplice esposizione a pericolo del bene tutelato. Il reato di turbata libertà degli incanti è reato di pericolo che si realizza, indipendentemente dal risultato della gara, quando questa sia fuorviata dal suo normale svolgimento, attraverso le condotte tipiche descritte dalla norma, le quali alterino il gioco della concorrenza, che deve liberamente svolgersi sia a tutela dell'interesse dei privati partecipanti, sia a garanzia dell'interesse della Pubblica amministrazione all'aggiudicazione al miglior offerente. Non è necessario, perché il reato si verifichi, anche nella forma aggravata prevista dal capoverso dell'art. 353 c.p., che siano posti in essere atti concretanti violazioni di legge, essendo sufficiente qualsiasi irregolarità che impedisca o alteri il confronto delle offerte, purché compiuta attraverso le condotte tipiche descritte dalla norma. (Fattispecie nella quale la commissione alla quale era affidato il compito di giudicare, sulla base di parametri predeterminati, le varie offerte per l'aggiudicazione dell'appalto, dapprima scelse la ditta vincitrice e solo in seguito passò all'attribuzione dei punteggi).
10 Cassazione sez. VI, 29 settembre 2014, n. 40304
Al di là di quanto previsto all’art 353 c.p., a chiarire la definizione, i soggetti attivi, l’applicazione e le condotte che provocano il reato sono stati gli interventi della Corte di Cassazione che ha spesso dato una lettura estensiva alla norma in questione. Ciò permette di estendere una possibile configurabilità del reato della turbativa d’asta anche a istituti quali il dialogo competitivo che non sono espressamente menzionati nell’art 353 c.p. ma che per loro natura si prestano a comportamenti che possono integrare la fattispecie di reato.
7. TURBATA LIBERTÀ DEL PROCEDIMENTO DI SCELTA DEL CONTRAENTE: MERO AMPLIAMENTO DELL’ART. 353 C.P. O QUID PLURIS?
Attraverso l’introduzione di questo delitto, il legislatore ha voluto neutralizzare tutte le attività prodromiche alla predisposizione del bando, punendo i singoli atti criminosi che si susseguono prima e durante la procedura di indizione. Il riferimento normativo al
11 Cassazione sez. VI, 24 aprile 2013, n. 28970
12 Art. 353-bis c.p., Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente: Xxxxx che il fatto costituisca più grave reato, chiunque con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della Pubblica Amministrazione è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032.
procedimento amministrativo è stato descritto dalla giurisprudenza
la quale ha chiarito che la procedura rilevante ai fini
della norma penale è del tutto sganciata con la nozione amministrativista. Infatti, i comportamenti illeciti devono inserirsi in un procedimento -anche potenziale- finalizzato alla manifestazione di volontà di contrattare della Pubblica Amministrazione.
Essendo un reato di pericolo, va detto che ai fini dell’integrazione del delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente è sufficiente che sia concretamente messa in pericolo la correttezza della procedura di predisposizione del bando e non è necessario che il contenuto di questo sia modificato in modo tale da condizionare la scelta del contraente15. In effetti, la norma prospettando varie condotte, punisce anche la promessa. Da ciò consegue che il delitto
13 Cassazione, sez. VI, 14 aprile 2015, n. 26840.
14 In tal senso MARCONI, Delitti cit., p. 321; per procedure ristrette si intendono, ai sensi dell’art. 3, lett. ttt) d.lgs. 50/2016, “le procedure di affidamento alle quali ogni operatore economico può chiedere di partecipare e in cui possono presentare un’offerta soltanto gli operatori economici invitati dalle stazioni appaltanti, con le modalità stabilite dal presente codice”.
15 Cassazione, sez. VI, 7 novembre 2013, n. 44896
L’area di operatività della norma tuttavia si limita alla modalità di scelta del contraente per cui si interrompe al momento in cui viene emanato il bando di gara. Oltre detto confine, si applica l’art. 353
Tra le due fattispecie sussistono differenze fondamentali, nonostante le condotte siano identiche. In primo luogo si differenziano per l’elemento soggettivo essendo richiesto dall’art. 353-bis il dolo specifico di condizionare la scelta del contraente, non presente nella precedente disposizione.
16 GAROFOLI, Manuale cit., p. 437; contrario XXXXXXX, Delitti cit., p. 322, il quale osserva che la consumazione coincide con l’alterazione del procedimento di indizione della gara. Da ciò consegue che il tentativo è configurabile in quanto può verificarsi l’eventualità che l’alterazione del bando, nonostante le condotte illecite poste in essere, non venga emanato per la ferma resistenza opposta dalla P.A.; sulla stessa linea CONSULICH, Delitti a tutela cit., p. 681, il quale ritiene consumato il delitto nel momento e nel luogo in cui viene alterato il procedimento; in giurisprudenza, Cassazione, sez. VI, 24 giugno 2013,
n. 27719 secondo cui “il reato di turbata libertà degli incanti di cui all’art. 353 c.p. – a differenza della fattispecie prevista dall’art. 353-bis c.p. – non è configurabile, neanche nella forma del tentativo, prima che la procedura di gara abbia avuto inizio, ossia prima che il relativo bando sia stato pubblicato, dovendosi ritenere carente in tale situazione il presupposto oggettivo per la realizzazione delle condotte previste dalla norma incriminatrice”. Va inoltre ricordato che l’art. 80, comma 1, lettera b), d.lgs. n. 50/2016, pone tra i motivi di esclusione di un operatore economico dalla procedura di appalto, la commissione dei delitti, consumati o tentati, di cui agli artt. 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353, 353-bis, 354, 355 e 356 c.p. nonché all’art. 2635 c.c.
17 GAROFOLI, Manuale cit., p. 437; MARCONI, Delitti cit., p. 320, osservando che la condotta deve concretizzarsi in una alterazione del procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando, chiarisce che l’evento lesivo deve ricadere sulla fase d’iniziativa dell’iter procedimentale e cioè sulla cd indizione della gara ed in particolare che il bando subisca una vera e propria manipolazione per effetto delle condotte del soggetto attivo; CONSULICH, Delitti a tutela, p. 682, parla di fattispecie sussidiaria rispetto alle incriminazioni più gravi.
18 XXXXXXX, Delitti op. cit., p. 321.
In secondo luogo, l’art. 353 c.p. prevede al secondo comma un’aggravante che punisce più gravemente l’autore del reato se esso sia un soggetto preposto dalla legge o dall’Autorità agli “incanti” ed alle “licitazioni”. Tale aggravante non pare potersi applicare alla fattispecie in esame.
Deve ritenersi che tra le due fattispecie sussista un rapporto di specialità e, dunque, le stesse non possono concorrere. Si avrebbe un concorso apparente di norme risolvibile attraverso il criterio della specialità di cui all’art. 15 c.p. . In dottrina si è discusso anche di
ed assorbimento ed ancora di fattispecie a
progressione criminosa: un’eventuale emanazione del bando, cui segua una procedura di affidamento con conseguente aggiudicazione, integrerebbe il reato di cui all’art. 353 c.p. riducendosi, il delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, ad antefatto non punibile.
La giurisprudenza di legittimità ha interpretato il rapporto tra le due fattispecie nel senso che il reato di turbata libertà di scelta del
19 CONSULICH, Delitti a tutela op. cit., p. 682.
20 F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Xxxxxxx, 2016.
contraente troverebbe applicazione in via residuale, solo con riferimento ai comportamenti manipolatori non incidenti sul bando sia per la mancata approvazione dello stesso, sia per la mancata alterazione del suo contenuto.
Potrebbe essere assegnato all’art. 353-bis un ambito applicativo più ampio se si ritenesse che le condizioni di competitività siano solo quelle definite nel bando medesimo, con la conseguenza che il delitto di turbata libertà degli incanti si consumerebbe in un momento successivo consistente nella turbativa delle condizioni suddette.
8. I PROFILI CARATTERISTICI DEL DELITTO DI ASTENSIONE DAGLI INCANTI
Il microcosmo delle fattispecie poste a tutela delle gare pubbliche è completato dalla previsione contenuta nell’art. 354 c.p. .
21 GAROFOLI, Manuale op. cit., p. 437, il quale ammette che la nuova disposizione inserita nel 2010 avrebbe avuto la funzione di colmare una lacuna normativa dal momento che l’art. 353 non era estensibile ai momenti preparatori del bando, fatte salve le ipotesi in cui il bando e la gara avrebbero poi trovato seguito.
22 X. XXXXX, La tutela penale della libertà di concorrenza nelle gare pubbliche, Jovene, 2012.
È da segnalare che di tale ipotesi criminosa non risultano, al momento attuale, applicazioni giurisprudenziali.
Contrariamente a quanto rilevato in relazione ai doni e alle promesse menzionate nell’art. 353 c.p., la norma oggetto di analisi sanziona un’ipotesi di corruzione tra privati, all’interno della quale il denaro o altre utilità si convertono in autentico pretium sceleris percepito a titolo di compenso per una ben precisa prestazione. La scelta dei termini e la loro connessione sintattica, infatti, rileva che il legislatore ha inteso descrivere un patto a prestazioni corrispettive avente ad oggetto l’astensione dagli incanti di un soggetto. I compilatori, da un lato, anziché riferirsi ai “doni”, hanno impiegato un vocabolo dal contenuto semantico estremamente pregnante: il “denaro”, che rappresenta uno strumento a chiara vocazione compensativa per un servizio ricevuto; dall’altro, hanno costruito la proposizione normativa in guisa da sottendere un rapporto di mezzo a fine tra prestazione e controprestazione. Probabilmente, il legislatore ha calibrato l’art. 354 c.p. pensando che l’art. 353 c.p., laddove punisce la dazione di doni o la formulazione di promesse, risultasse delineato in termini tali da non prestarsi a colpire anche il loro precettore, con l’effetto che l’articolo in argomento sarebbe stato deputato a colmare questa lacuna. Tuttavia, in questo modo non ci si è avveduti che, attesi i connotati caratteristici del fatto descritto nell’art. 354 c.p., lo stesso poteva essere tranquillamente riportato all’alveo applicativo dell’art. 353 c.p. sotto forma di collusioni le quali, è appena il caso di ricordarlo, rendono la turbativa d’asta, in parte qua, un reato plurisoggettivo proprio23.
Lo scarso coordinamento tra i due testi normativi genera una situazione priva di logica tale per cui l’offerente il quale, in adempimento degli accordi raggiunti in occasione di intese collusive,
23 XXXXXXXXX, XXXXXXX, GATTA. Manuale di diritto penale. Parte generale. Xxxxxxx, Milano, 2017
si astenga dal concorrere, dovrebbe rispondere, con una pena autonoma e attenuata, del reato di cui all’art. 354 c.p., mentre colui il quale consegni la pecunia sceleris, nell’ambito della medesima intesa, dovrebbe essere sottoposto alle maggiori pene previste dall’art. 353 c.p.
L’unica via percorribile per restituire un minimo di razionalità al sistema, è dunque quella di ritenere che l’art. 354 c.p. abbia voluto isolare, dal vasto genere delle collusioni di cui all’art. 353 c.p., una specifica tipologia di esse che, per ciò che concerne la posizione del percettore della ricompensa illecita, si presenta connotata da minore disvalore penale. Si tratta, in particolare, di quei casi in cui il soggetto, senza determinare o istigare altri a consegnargli del denaro per non prendere parte alla procedura di gara, si limiti ad accogliere l’invito ad astenersi corredato dall’erogazione o dalla promessa di una somma di denaro o altra utilità.
Da quest’ordine di idee, discende che ricorrerà per tutti gli agenti un’ipotesi di “collusione” rilevante ai fini dell’applicazione dell’art.
353 c.p. esclusivamente allorché ciascuno dei protagonisti della vicenda abbia svolto un ruolo attivo nel perfezionamento del pactum sceleris.
Al contrario, laddove non si rintracci una partecipazione dinamica da parte dell’astenuto, il quale si accontenti di accettare di non intervenire nella gara per avere ricevuto denaro o altra utilità, si integrerà solamente a suo carico il reato meno grave di cui all’art. 354 c.p., anziché quello di turbata libertà degli incanti.
La tutela penale è estesa, in via generale, sia all’ipotesi di inadempimento di contratti di pubbliche forniture (art. 355 c.p.), sia a quelle di frode di pubbliche forniture (art. 356 c.p.). Circa il secondo reato è stato osservato che dalla formula legislativa dell’art.
356 c.p. si evince agevolmente che tra questo delitto e quello
innanzi esaminato vi è identità per quanto attiene all’oggetto giuridico, al soggetto passivo e al soggetto attivo. Può solo rilevarsi, relativamente all’oggetto giuridico, che in questa disposizione si intende tutelare l’ente pubblico o l’impresa esercente un servizio pubblico o di pubblica utilità anche dalla condotta inducente in errore posta in essere dall’altro contraente, onde evitare che da un adempimento sleale sia compromesso il funzionamento dei pubblici stabilimenti o dei pubblici servizi.
Soggetto attivo può essere chiunque, non importa - nel dato testuale della norma - se interessato o meno alla gara. Invero, la norma in analisi si riferisce soltanto agli offerenti, intesi, questi ultimi, come coloro che si apprestano ad avanzare un’offerta ma che, non avendola ancora materialmente depositata, si astengono dal farlo25. Pertanto, nelle procedure in materia di appalti pubblici, i soggetti attivi si identificano con i “candidati”, “concorrenti” o “offerenti”.
24 X. XXXXXXXX, voce Astensione dagli incanti, in Codice penale, a cura di PADOVANI.
25 51 Nello stesso senso, X. XXXXXXX, op. cit., p. 391; X. XXXXXXXX- X. XXXXX, op. cit., p. 327
26 F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, op. cit., p. 397
La condotta del “corruttore”, cioè di colui che determina il partecipante alla gara ad astenersi dal presentare l’offerta o dal depositare altri documenti di gara, sembra dover essere considerata punibile ex art. 353 c.p. proprio perché con il suo comportamento (la promessa o la dazione di “doni” tra cui rientra con certezza anche il denaro), determina “un allontanamento degli offerenti” evento espressamente contemplato dalla norma in esame. Tra la dazione o la promessa di denaro o altra utilità e l’astensione del concorrente, in particolare, deve transitare un rapporto di causa ed effetto. Sotto questo profilo ci si domanda se l’astensione si presenti come l’evento del reato.
L’evento consiste nel tenere un dato contegno omissivo: proprio perché la norma risulta impostata sulla logica del sinallagma, il reo prima deve accettare una somma di denaro, un’altra utilità, ovvero ne deve accogliere la promessa, con la precisa finalità di xxxxxxxsi (condotta) e poi, in adempimento dell’impegno contratto, deve rinunciare alla partecipazione alla gara pubblica (evento).
Il termine “astensione”, in particolare, definisce la condotta di colui il quale rinuncia dal partecipare a un dato avvenimento. In questo senso, il comportamento di chi si astiene dal concorrere si distingue da quello di colui il quale si ritira dalla gara. Il primo, rinunciando da subito dal gareggiare, demorde dal presentare offerta; il secondo, invece, lungi dall’astenersi dalla gara, vi partecipa per poi recedere. Pertanto, il reato si consuma nel momento in cui scade il termine per concorrere, che si identifica con quello utile per depositare un’offerta e si perfeziona nel luogo in cui occorre porre in essere gli adempimenti richiesti dal bando per presentare una proposta. Se è così, l’art. 354 c.p. ha un campo operativo più circoscritto rispetto all’art. 353 c.p., riferendosi solo a quelle forme di “corruzione” da cui derivi, a monte, la rinuncia alla partecipazione a un pubblico incanto, o a una licitazione (rectius: trattativa) privata.
Constatazione, quest’ultima, in cui sono presenti i germi patogeni di un’asimmetria del sistema. Non è dato comprendere, invero, per quale ragione colui il quale, a seguito dell’apprensione del denaro o di altre utilità, ometta di prendere parte a una gara debba essere punito ex art. 354 c.p., mentre colui il quale, sulla base delle stesse motivazioni, cessi dalla contesa debba andare incontro al più severo trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 353 c.p.
Costui, invero, avendo comunque aderito ad un accordo collusivo da cui è derivato il successivo allontanamento dalla gara, deve rispondere del delitto di turbativa d’asta anziché di astensione proprio perché sottrae dal dominio dell’art. 353 c.p. esclusivamente quella particolare categoria di intese collusive che presentano due caratteristiche determinate: 1) il percettore della pecunia sceleris non deve avere messo in opera alcuna attività di determinazione o istigazione; 2) tali accordi devono avere dato causa solamente all’evento-astensione del soggetto agente.
Per quanto rilevato, trattandosi di reato omissivo proprio, parte della dottrina asserisce che non sia configurabile il tentativo. Parte minoritaria, al contrario, facendo leva sul fatto che l’astensione configura un reato di evento, lo definisce come ammissibile. Tuttavia, nel caso di promesse, ancorché la norma non indichi in via espressa la necessità di una loro intervenuta accettazione, appare indispensabile la ricorrenza di tale estremo ai fini della realizzazione del tentativo. Infatti, poiché la norma punisce, non già il soggetto che enuncia la promessa, bensì colui il quale la riceve per astenersi e poiché l’astensione deve avvenire proprio a causa delle promesse, sembra sottointesa la necessità di una loro accettazione, senza la quale, quindi, non sarebbero rinvenibili neppure gli estremi di un contegno penalmente rilevante. Ne segue che, quando la promessa non venga accolta, colui il quale l’ha formulata risponde di tentata
turbata libertà degli incanti, mentre il soggetto il quale abbia rifiutato l’offerta va esente da qualsiasi addebito.
Peraltro, ove il soggetto incameri l’utilità o ne accerti la promessa, manifestando la falsa intenzione di astenersi, non si integreranno i presupposti del delitto in esame, facendo difetto il sinallagma e potrà, invece, configurarsi l’ipotesi di truffa a carico di colui il quale ometta di astenersi. È del tutto indifferente che la promessa venga mantenuta ovvero che venga formulata con la riserva mentale di non adempierla, rilevando unicamente che la stessa abbia esercitato un’influenza casuale sulla successiva astensione dall’incanto.
Infine, si deve sottolineare come l’art. 354 c.p. rappresenti anch’esso una disposizione speciale rispetto all’art. 2596 c.c., ritagliando, dalla classe delle intese restrittive della concorrenza autorizzate, quei patti edificati sulla logica del sinallagma, in esecuzione dei quali un soggetto, a fronte di un vantaggio immediato o futuro, si risolva a non concorrere a determinare gare.
9. INADEMPIMENTO DI CONTRATTI E FRODE NELLE PUBBLICHE FORNITURE
x.x. xxxxxxxx il capo del Codice penale
dedicato ai delitti dei privati contro la Pubblica amministrazione e si pongono a tutela del corretto adempimento degli obblighi
27 Art. 355 c.p., Inadempimento di contratti di pubbliche forniture: “Chiunque, non adempiendo gli obblighi che gli derivano da un contratto di fornitura concluso con lo Stato, o con un altro ente pubblico, ovvero con un'impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità [c.p. 359], fa mancare, in tutto o in parte, cose od opere, che siano necessarie a uno stabilimento pubblico o ad un pubblico servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 103. La pena è aumentata [c.p. 64] se la fornitura concerne:
1. sostanze alimentari o medicinali, ovvero cose od opere destinate alle comunicazioni per terra, per acqua o per aria, o alle comunicazioni telegrafiche o telefoniche;
2. cose od opere destinate all'armamento o all'equipaggiamento delle forze armate dello Stato [c.p. 251];
3. cose od opere destinate ad ovviare a un comune pericolo o ad un pubblico infortunio.
Se il fatto è commesso per colpa, si applica la reclusione fino a un anno, ovvero la multa da euro 51 a euro 2.065 euro.
Le stesse disposizioni si applicano ai subfornitori, ai mediatori e ai rappresentanti dei fornitori, quando essi, violando i loro obblighi contrattuali, hanno fatto mancare la fornitura”.
28 Art. 356 c.p., Xxxxx nelle pubbliche forniture: “Chiunque commette frode nella esecuzione dei contratti di fornitura o nell’adempimento degli altri obblighi contrattuali indicati nell’articolo precedente, è punito con la reclusione da un anno a cinque anni o con la multa non inferiore 1.032 euro. La pena è aumentata nei casi preveduti dal primo capoverso dell’articolo precedente”.
contrattuali gravanti in capo a soggetti privati nei confronti della Pubblica Amministrazione, per evitare che la stessa incontri ostacoli rilevanti nello svolgimento della sua attività, con conseguente pericolo di violazione del principio di buon andamento ed efficacia dell’agere amministrativo. Poiché nelle norme in esame risulta piuttosto accentuata la connessione tra fattispecie di reato e fattispecie contrattuale, incriminandosi l’inadempimento di obbligazioni e le frodi nei contratti di pubblica fornitura, si rendono necessarie alcune puntualizzazioni di carattere strettamente civilistico per meglio delimitare i contorni applicativi dei due reati.
Come è noto il contratto di fornitura riveste un profilo sostanzialmente atipico, non essendo previsto e regolato da alcuna norma specifica del Codice civile, appartenente alla categoria dei contratti a prestazioni corrispettive. Sicuramente molte figure tipiche possono presentare delle affinità con il contratto di fornitura (si pensi, ad esempio, alla somministrazione, alla compravendita) ma non ne esauriscono il contenuto che si caratterizza in relazione alla cosa o all’opera da fornire.
Il legislatore ha volutamente fatto riferimento ad una fattispecie di contratto innominata proprio per consentire la più ampia interpretazione possibile, idonea a ricomprendere tutte quelle prestazioni di cose o di opere necessarie alla Pubblica amministrazione, anche se rientranti in tipologie contrattuali diverse. Addentrandosi nell’analisi della fattispecie prevista dall’art. 355 c.p., l’interesse tutelato è anche in questo caso il buon andamento della Pubblica Amministrazione, riferibile all’esigenza di garantire la tempestiva disponibilità da parte della stessa o di un’impresa esercente un servizio pubblico o di pubblica necessità delle cose o opere che per contratto devono essere fornite e che sono necessarie a uno stabilimento pubblico o a un pubblico servizio.
Malgrado il legislatore abbia utilizzato la locuzione “chiunque”, la fattispecie in esame appartiene alla categoria dei reati propri, poiché risulta configurabile solo se il suo autore rivesta quella particolare qualificazione o si trovi in quella determinata posizione richiesta dalla norma.
Il soggetto attivo, infatti, può essere rappresentato dal fornitore, che è colui che ha assunto l’obbligazione di fornire beni specifici o servizi dietro il corrispettivo di un prezzo; il subfornitore che, sempre mediante contratto, ha assunto l’obbligo nei confronti del fornitore della Pubblica Amministrazione di procurargli, a sua volta, quanto è necessario ai fini dell’adempimento; il mediatore, che ai sensi dell’art. 1754 c.c., è colui il quale ha messo in relazione le due parti per la conclusione della fornitura stessa; il rappresentante del fornitore che esercita poteri di rappresentanza legale, funzionale o organica del fornitore. La condotta punibile nel reato previsto dall’art. 355 c.p. consiste nel far mancare, in tutto o in parte, cose o opere necessarie ad un ente pubblico o a un pubblico servizio. “Far mancare” significa, in pratica, omettere la fornitura o ritardarla dolosamente oppure fornire cose diverse da quelle originariamente pattuite.
Per “opere”, invece, si intendono sia i lavori che devono essere compiuti dall’obbligato, sia le assunzioni di mano d’opera indispensabili per effettuarli. Tanto le cose quanto le opere devono possedere il requisito della “necessarietà per la Pubblica Amministrazione”, nel senso cioè che la loro mancanza mette in pericolo il regolare funzionamento del servizio o dell’ente.
La condotta tipica deve essere realizzata mediante l’inadempimento di un contratto di fornitura, sia esso totale o parziale, nel senso civilistico del termine. Infatti, l’adempimento da parte del debitore, per essere considerato satisfattivo, dovrà essere esatto, coincidendo
La condotta adempiente sarà tale, quindi, se indirizzata in una duplice direzione: oggettiva e soggettiva. La prima richiede che la prestazione corrisponda a quella pattuita per quanto riguarda l’oggetto, il modo, il luogo e il tempo dell’esecuzione; la seconda impone di consegnare la prestazione nelle mani del creditore o a chi risulti legittimato a riceverla ai sensi dell’art. 1188, comma 1, c.c..
Non rileva la circostanza che l’inadempimento della fornitura sia totale o parziale, poiché, da un lato, le norme del Codice civile (artt. 1218 e 1181 c.c.) richiedono i requisiti dell’esattezza e dell’integralità dell’adempimento; dall’altro, l’articolo in esame punisce il far mancare in tutto o in parte cose o opere alla Pubblica Amministrazione. Semmai, la parziale esecuzione della prestazione potrà essere valutata come attenuante ai fini della commisurazione della pena secondo i parametri dell’art. 133 c.p. .
In concreto, l’inadempimento contrattuale preso in considerazione dall’art. 355 c.p. (lo si ricorda, anche quello meramente tardivo nei contratti ad esecuzione periodica o continuata) può configurarsi nel caso di mancata consegna, totale o parziale, o nella ritardata consegna.
Come accennato, l’inadempimento viene escluso quando la prestazione diventa impossibile per una causa oggettiva non
29 Si veda l’art. 1218 c.c., Responsabilità del debitore: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
imputabile al soggetto passivo dell’obbligazione. Traslando questa ipotesi nel campo del diritto penale, la situazione di impossibilità sopravvenuta risulta equiparabile a quella di caso fortuito o forza maggiore, che escludono la punibilità ex art. 45 c.p. . Tuttavia, se in linea di massima le regole del Codice civile appaiano applicabili alla condotta criminosa in esame, alcune di esse sembrano, viceversa, incompatibili, sia per gli interessi protetti dalla norma penale, sia per la circostanza che una delle parti del rapporto è la Pubblica Amministrazione o, comunque, un soggetto privato che svolge un servizio di pubblica rilevanza. Si fa riferimento alle ipotesi in cui il creditore può acconsentire a ricevere una prestazione in parte difforme da quella pattuita, o in un luogo o in un momento diverso da quelli concordati, che possono esonerare il debitore dalla responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. .
In dottrina, si ritiene che rientri nella disponibilità delle parti la possibilità di novare o risolvere il negozio nonché quella di modificarne il contenuto o un elemento accidentale: visto che contraente è la Pubblica Amministrazione, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure volte a garantire la corrispondenza tra modificazione del contratto ed interesse pubblico. Inoltre, tenuto conto che solo in particolari situazioni di necessità e urgenza, i contratti della Pubblica Amministrazione sono immediatamente esecutivi, la responsabilità del privato contraente, che non adempie ai suoi obblighi, deve ritenersi in genere esclusa quando, pur essendoci stato lo scambio dei consensi, il contratto non sia efficace per vizi di legittimità del procedimento.
La fattispecie si consuma nel momento e nel luogo in cui lo Stato o altro ente pubblico non ricevono le prestazioni di cose o opere pattuite, a causa del comportamento inadempiente del fornitore dovuto ad un suo esclusivo comportamento, o ad una violazione
degli obblighi contrattuali da parte del subfornitore, del mediatore o del rappresentante.
La punibilità è prevista anche se il reato è commesso in forma colposa, nel caso in cui l’inadempimento sia dovuto a negligenza, imprudenza o imperizia del fornitore, per essersi ad esempio accollato l’obbligo di una prestazione difficilmente eseguibile date le sue scarse capacità tecniche o per non aver vigilato sull’operato del subfornitore o dei suoi collaboratori.
Infine, l’art. 356 c.p., essendo in gran parte modellato sulla fattispecie dell’art.355 c.p., tutela lo stesso bene protetto, con riguardo a comportamenti di tipo fraudolento che vengono ad intaccare l’interesse alla puntuale esecuzione dei contratti in oggetto.
La condotta incriminata consiste alternativamente “nel commettere frode nell’esecuzione dei contratti di fornitura o nell’adempimento degli obblighi contrattuali indicati nell’articolo precedente”.
Il concetto di “frode” è molto controverso nonché dibattuto sia in dottrina che in giurisprudenza, tanto che a tutt’oggi non si è riusciti ad elaborare una nozione unica ispirata a canoni di certezza interpretativa: la frode, infatti, viene ora identificata con la semplice modifica dell’esecuzione del contratto a danno dell’altro contraente e, quindi, con la semplice “dolosa esecuzione del contratto consumata con fornire cose per specie, qualità o quantità diverse da quelle pattuite”30, oppure talora si richiede, invece, la presenza di un espediente malizioso che serva al soggetto agente per conseguire un profitto illecito31. Secondo tale ultimo orientamento, la frode, comunque la si voglia intendere, deve essere sempre caratterizzata da un quid pluris rispetto al semplice inadempimento, nel quale si fa consapevole impiego di materiali e tecniche diverse da quelle
30 Così G. MAGGIORE, Diritto penale, Parte speciale, Delitti e contravvenzioni, Tomo I, artt. 241-544, Bologna, 1958, p. 23 e ss.
31 F. ANTOLISEI, op. cit., p. 401.
convenute e poco rispettose delle regole dell’arte, o anche ricadere, come parte della giurisprudenza sostiene, nella malafede contrattuale, ritenendo al contrario superfluo l’uso di artifici o di mezzi fraudolenti idonei a dissimulare carenze qualitative o quantitative della fornitura.
Anche la dottrina si pone su posizioni analoghe, soprattutto quel
che, per arrivare alle medesime conclusioni, trae spunto
dalla rubrica dell’art. 515 c.p. .
Infatti, nel reato di frode nell’esercizio del commercio, il legislatore non si è limitato a fare riferimento al concetto di frode tout court, ma ha descritto la condotta fraudolenta identificandola nella consegna di una cosa mobile per un’altra, ovvero di una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità diversa da quella dichiarata o pattuita. Ora è chiaro che nel caso ad esempio dell’aliud pro alio, la condotta rimane allo stato di un puro e semplice inadempimento. Per diventare fraudolento e, quindi, partecipare ad un’illiceità maggiore, meritevole di una pena più severa, l’atteggiamento del soggetto attivo dovrà possedere un quid pluris ravvisabile nella volontà tesa a dissimulare la realtà esistente o, quanto meno, un comportamento non conforme ai doveri di lealtà e moralità commerciale e di buona fede contrattuale.
La frode esiste se l’agente induca in errore il creditore in buona fede, ottenendo conseguentemente dallo stesso una liberazione dal debito che, né più né meno, costituisce un atto di disposizione patrimoniale. Dunque, proprio dalla considerazione dell’offesa tipica incriminata dall’articolo in esame (lesione del buon andamento della Pubblica Amministrazione) e pur nel silenzio della norma, parte della dottrina ritiene essenziale che la frode nell’adempimento sia causalmente idonea ad impedire al fornitore di adempiere la sua prestazione,
32 X. XXXXXX, op. cit., p. 592; X. XXXXXXX, Trattato di diritto penale italiano, vol. IX, Torino, 1952, p. 723.
lasciando la Pubblica Amministrazione priva di cose o opere ad essa necessarie. Tale interpretazione evidenzia come, per il fine della norma penale, la frode che non provochi conseguenze lesive per il soggetto passivo, non sembra dotata di un sufficiente grado di offensività che la renda meritevole di pena.
Il momento consumativo del reato assume notevole importanza poiché rappresenta l’elemento caratterizzante di questa fattispecie, rispetto alla “truffa contrattuale”, simile per modalità esecutive, che si compie con il far concludere, al soggetto passivo un contratto mediante artifici e raggiri33. Il reato di frode nelle pubbliche forniture, infatti, si consuma non nel momento della conclusione del contratto ma in quello successivo alla sua esecuzione, ove il comportamento ingannevole non serve ad indurre alla prestazione del consenso, già antecedentemente prestato, ma a dissimulare l’inadempimento.
In conclusione, il rapporto tra le fattispecie fin qui esaminate, l’art. 355 e l’art. 356 c.p., darà luogo ad un semplice concorso apparente di norme, risolvibili attraverso il principio di specialità, che imporrà l’applicazione dell’art. 356 c.p., in tutti i casi in cui gli artifici o i raggiri siano compiuti nella fase esecutiva del rapporto contrattuale, di pubblica fornitura ovviamente.
Da rilevare che, in base alla formulazione normativa, non assumono rilevanza ai fini della consumazione del reato, gli eventi successivi alla commissione della frode, quali, ad esempio, il profitto dell’agente o il danno patrimoniale per la Pubblica Amministrazione. Pertanto, il reato de quo sussiste anche in presenza di una frode che abbia arrecato perdite economiche al fornitore o un vantaggio patrimoniale per la Pubblica Amministrazione.
33 Il reato di truffa contrattuale non si consuma con la semplice conclusione del contratto, poiché per la perfezione l’art. 640 richiede sia la verificazione del danno patrimoniale per il soggetto passivo sia la realizzazione del profitto ingiusto per il reo. Così v. X. XXXXXXXXX, Diritto penale. Parte speciale, Delitti contro il patrimonio, Padova, 2018.
Sostanziandosi la frode nelle pubbliche forniture in un reato d’evento a condotta attiva, implicando che il soggetto compia delle azioni tese a frodare, è pacificamente ritenuto ammissibile il tentativo34, come ad esempio nel caso in cui il fornitore presti delle cose viziate dissimulandone il difetto, ma l’altro contraente se ne accorga e rifiuti la prestazione.
10. CONCLUSIONI
Nella materia degli appalti e dei contratti della Pubblica Amministrazione si riflette la credibilità, interna ed esterna, del nostro Paese, soprattutto con riguardo alla trasparenza del gioco concorrenziale, alla compiutezza e buona qualità delle opere realizzate e, quindi, alla correlata effettività della tutela offerta dallo strumento preventivo e sanzionatorio contro il persistente dilagare del malaffare.
Dall’analisi effettuata si può ricavare una prima considerazione: nessuna fase della procedura di contrattazione pubblica, nessun meccanismo di aggiudicazione, nessun passaggio procedurale è al riparo dal rischio di un’interferenza arbitraria da parte delle organizzazioni criminali.
Il settore delle gare ad evidenza pubblica, infatti, si pone a cavallo tra le regole della funzione amministrativa e quelle di mercato. Le strategie di contrasto all’infiltrazione mafiosa devono, pertanto, contribuire ad assicurare la concorrenza effettiva in un contesto quanto più possibile trasparente, ma anche consolidare una prassi di controlli sulle varie fasi, dal progetto preliminare, definitivo ed esecutivo, all’attuazione e al collaudo, relativamente alle opere pubbliche ed anche sulle forniture di beni e servizi, ove attualmente manca una garanzia effettiva del rapporto costi – benefici, non
34 v. per tutti, X. XXXXXXXX - X. XXXXX, op. cit., p. 172.
garantendo la qualità dell’opera o la necessità reale del servizio o della fornitura.
La filiera della pubblica fornitura, a tutt’oggi, resta un fenomeno alquanto opaco. La normativa di riferimento e la prassi agevolano la trasparenza solo in modo declamatorio. La prima alimentando un contesto che consente di mantenere intatta le possibilità di scambi occulti; la seconda sfruttando istituti ad alto tasso di manipolazione, come l’urgenza procurata, per poter gestire le gare con un ampliamento abnorme della scelta discrezionale.
Su quest’ultimo punto, il richiamato decreto semplificazioni, ancorando la necessità di attivare gli investimenti pubblici a ridosso dell’emergenza sanitaria pone problemi di non poco momento rispetto alla necessità di tutela dell’interesse pubblico e, al contempo, del rispetto della trasparenza e della concorrenza. Lo stato di emergenza e la correlata “semplificazione” delle norme a tutela degli appalti non deve consentire il diffondersi di potenziali infiltrazioni mafiose o del malaffare.
Per quanto concerne, in particolare, i delitti contro la Pubblica Amministrazione, poiché le fattispecie poste a protezione delle procedure di gara, pur tutelando, in xxx xxxxxxxxx, xx xxxxxxx xx xxxxxxxxxxx, sono finalizzate a garantire alla stessa una contrattazione giusta e vantaggiosa, sarebbe indicato presidiare direttamente siffatto interesse.
Per quanto concerne l’azione dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (ANAC) in ordine all’osservanza da parte delle amministrazioni aggiudicatrici dei principi di legittimità, trasparenza ed economicità delle commesse pubbliche, questa non appare direttamente assistita dall’erogazione di sanzioni adeguate alle stazioni appaltanti riservate invece alle imprese. Allo stato attuale, infatti, la richiesta di riesame delle decisioni di aggiudicazione è stata
riconosciuta solo in via giurisprudenziale, ma non in via normativa. L’ANAC chiede di far conoscere quale sia stata la valutazione del rilievo, ma non vi è un obbligo, sancito da una norma, per le amministrazioni di motivare il loro eventuale discostarsi dalle decisioni della stessa Autorità.
Da un punto di vista dell’assetto normativo, poi, è ormai comune acquisizione che più si moltiplicano le norme, più si rendono di difficile esecuzione i procedimenti; più si prevedono passaggi, più si appesantisce il processo di aggiudicazione ed esecuzione e, di conseguenza, c’è più spazio per l’insinuarsi dell’organizzazione criminale. Di qui l’importanza, al fine della lotta contro la criminalità, delle azioni di semplificazione dei procedimenti, intrapresa dal Governo senza ledere il principio di legalità.
Quindi, oltre a riportare nel suo alveo fisiologico la normativa di emergenza, che tanti abusi ha creato o potrebbe creare, si deve operare una radicale semplificazione delle procedure amministrative che possono determinare rapporti più trasparenti tra imprese e Pubbliche Amministrazioni e razionalizzare le funzioni amministrative delle stazioni appaltanti in modo da valutare la loro capacità gestionale per classi d’importo o per tipologia di contratto. E questo in relazione alle diverse fasi di un appalto, registrando gli aspetti organizzativi, le capacità della struttura tecnica e del personale, le misure di controllo e anticorruzione adottate.
Il rischio di infiltrazioni di stampo criminale va, poi, valutato anche in relazione alle procedure di selezione prescelta.
Il maggior rischio, nel caso di aggiudicazione al prezzo più basso, si realizza quando l’impresa abbia raggiunto un accordo corruttivo con il committente in fase di gara. Questi può infatti ispirare un prezzo talmente basso da non consentire a nessun altro di offrire di meno. L’impresa sarebbe poi agevolata nel rinegoziare il prezzo del
contratto attraverso l’iscrizione di varianti e riserve, anche se per quest’ultime è stato di recente posto un tetto proporzionale con l’intento di frenarne l’abuso in senso quantitativo, ma non certo di stroncarne la pretestuosità. E questo a tacere della preoccupante corrispondenza tra ribassi eccessivi e infiltrazione dei gruppi criminali dotati di capitali illimitati e che si saldano facilmente con gli amministratori corrotti in una zona grigia di difficile diradamento.
Diversamente, nella procedura negoziata e nell’offerta economicamente più vantaggiosa il rischio si carica maggiormente sulla commissione aggiudicatrice che si trova a dover valutare “discrezionalmente” le offerte. In un sistema altamente formalistico come il nostro l’alterazione delle procedure contrattuali avviene attraverso collaudate tecniche collusive che conducono ad assicurare una certa scelta preferenziale.
Certamente, occorre un combinato disposto di interventi di natura penalistica e di natura organizzativa, con preferenza per quegli interventi che nell’ottica di tipo preventivo sono predisposti per evidenziare la patologia utilizzando tecniche ambientali di intelligence. Tra le sanzioni sono utili quelle per le società i cui amministratori condannati per un delitto contro la Pubblica Amministrazione non siano, ad esempio, ammessi a contrattare con la stessa.
Naturalmente a fronte di un sistema da sanzionare occorre un sistema sanzionatorio organico e concreto. Regole di comportamento, ruoli ben strutturati e relazioni di connivenza innervano ordinamenti efficienti. L’azione sulla domanda di mercato da parte della committenza pubblica comporta, comunque, una forte attualizzazione della sanzione che deve essere realizzata in tempi ristretti con strutture giudiziarie specializzate dedite a tempo pieno. Nel prospettare, poi, alcune ipotesi di implementazione delle strategie di contrasto alla pervasività della criminalità organizzata
nel settore degli appalti pubblici, a miglior tutela della libertà di iniziativa economica e della concorrenza tra le imprese, in conformità all’art. 41 della Costituzione e a fondamentali principi dell’ordinamento comunitario, si pone l’accento sulla considerazione che l’azione di contrasto all’illegalità ed alla penetrazione criminale non si realizza esclusivamente tramite la revisione delle disposizioni vigenti o la definizione di nuove norme, ma anche mediante una promozione della legalità tramite “prassi trasparenti e responsabili, soprattutto della pubblica amministrazione come soggetto responsabile di tutto il ciclo del contratto”, in grado di per sé di superare i limiti della legislazione vigente legati al gap che si crea tra la normativa di contrasto e le multiformi e variabili azioni di aggressione delle criminalità organizzate derivanti dalle capacità strategiche di adattamento e risposta di queste ultime.