CONTRATTO IN GENERALE
CONTRATTO IN GENERALE
1. L’ordinamento dà al privato il potere di autoregolare i propri interessi. In ciò risiede il principio dell’autonomia privata. Tuttavia tale autonomia si esplica in un quadro di canoni dall’ordinamento delineato, si distinguono così regole autonome, da regole eteronome. Le prime costituiscono espressione della volontà libera e consapevole delle parti nell’autogoverno della propria sfera di interessi, le seconde costituiscono invece regole rappresentative della volontà dell’ordinamento.
Non tutti gli atti e le situazioni sono quindi soggette ad autonomia privata. Non vi è comunque dubbio sul fatto che contratti e atti negoziali siano espressione fondamentale di autonomia privata.
Il contratto è lo strumento principe dell’autonomia privata, esso secondo quanto dettato dall’art. 1321 c.c. è l’accordo tra due o più parti per costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale. L’autonomia contrattuale poggia su una serie di postulati quali sono ad esempio la libertà di concludere o no un contratto, la libertà di scegliere la controparte, la libertà di determinarne i contenuti, etc.
2. L’art. 1325 c.c. identifica i quattro requisiti essenziali del contratto, di cui tre sempre necessari, ed uno essenziale solo se dalla legge previsto. I tre requisiti sempre essenziali sono l’accordo delle parti, la causa e l’oggetto; mentre il quarto requisito è la forma.
2.1. Il contratto è un atto negoziale bilaterale o plurilaterale e ciò rende ragione del fatto che il regolamento in esso trasfuso sia frutto dell’accordo di tutte le parti interessate. Va bene subito precisare che il termine di parte non è equipollente a quello di soggetto, poiché il soggetto indica il singolo individuo, mentre la parte indica uno o più individui legati ad un interesse comune all’interno del contratto. L’accordo contrattuale costituisce un procedimento articolato in atti tra loro collegati, secondo un modello legalmente preordinato. La regola che il codice impone di seguire per appurare quando il contratto sia concluso, è quella che rimanda al momento in cui chi ha fatto la proposta ha avuto accettazione dall’altra parte (art. 1326 co. 1 c.c.). L’autore della proposta è detto proponente, il destinatario è invece detto oblato. L’accordo si invera dunque in uno scambio tra proposta (che deve contenere tutti gli elementi necessari alla conclusione del contratto) e accettazione di essa. Acclarare quando il proponente ha avuto conoscenza dell’accettazione dell’altra parte, è agevole quando le parti sono presenti, lo è meno quando le parti sono distanti e utilizzino mezzi di comunicazione di tipo tradizionale come la posta. A questa ipotesi si ricollega l’art. 1335 c.c. richiamando alla presunzione di conoscenza, secondo cui l’accettazione si reputa conosciuta nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario, salvo che esso non riesca a dimostrare che, senza sua colpa, sia stato impossibilitato ad aver notizia della dichiarazione a lui inviata.
Prima che la conclusione del contratto abbia attuazione, la proposta o l’accettazione può essere in ogni momento revocata secondo quanto previsto dall’art. 1328 c.c. (revoca proposta o accettazione), tuttavia vi è la possibilità di una proposta irrevocabile (art. 1329 c.c.), secondo cui il proponente si obbliga a mantenere ferma la proposta per un certo periodo di tempo.
Al modello generale di accettazione della proposta, si affiancano altri schemi particolari, come il contratto concluso con mezzi automatici o selfservice (ove la proposta e l’accettazione sono implicate in circostanze di fatto o comportamenti) o come il contratto concluso prima della risposta dell’accettante o ancora del contratto con obbligazioni del solo proponente (art. 1333 c.c.).
Proposta ed accettazione integrano dunque la fase di formazione del contratto e sono quindi definiti atti prenegoziali, essi tuttavia non sono negozi giuridici, mentre tali sono l’opzione, il contratto preliminare e il patto di prelazione.
L’opzione è disciplinata dall’art. 1331 c.c. e consiste in un accordo teso a far si che una parte rimanga, per un certo periodo di tempo, vincolata alla sua dichiarazione e l’altra abbia facoltà di accettarla o meno, divenendo dunque parte arbitra della conclusione o meno del contratto. Il contratto preliminare, è un tipico contratto ad effetti obbligatori, funzionale alla conclusione di un contratto futuro, mediante cui secondo l’art. 1351 c.c. le parti si impegnano reciprocamente a stipulare un successivo contratto definitivo. Il patto di prelazione, infine è un accordo contrattuale (prelazione convenzionale), collegato alla stipulazione di un futuro contratto, dando luogo all’attribuzione al titolare della prelazione medesima di un diritto ad essere preferito di norma a parità di condizioni, nell’ipotesi che l’altra decida di addivenire ad un futuro contratto definitivo. Si differenzia da quella convenzionale, la prelazione legale.
Gli atti prenegoziali sin qui esaminati, valgono a definire la formazione del contratto e si esplicano mediante atti ad effetti giuridici vincolanti. Diversa consistenza ha invece la trattativa.
Trattare significa discutere, scambiare idee, è intuitivo dunque argomentare che la trattativa è al pari della formazione del contratto un momento preparatorio e quindi preliminare alla conclusione del negozio, ma è anche importante sottolineare che sarebbe impreciso affermare che la trattativa sia in diretto rapporto con un futuro stipulando contratto. Chi tratta infatti, non intende in alcun modo contrarre vincoli o impegnarsi: il contratto pertanto sarà non solo futuro, ma anche ipotetico. L’art. 1337 c.c. richiama alla distinzione tra svolgimento della trattativa e formazione del contratto. La stessa disposizione impone tuttavia alle parti di comportarsi secondo buona fede. La buona fede di cui trattasi è quella in senso oggettivo che rimanda ai canoni di lealtà e correttezza, e la cui violazione comporta fonte di responsabilità precontrattuale.
L’assenza di una fase di preliminare negoziazione (trattativa) è agevole in qui contratti in cui si ha ad oggetto beni di massa (elettricità, acqua, gas, etc.). Tali beni, essendo destinati a fornire beni e servizi di largo consumo, rendono inconcepibile che ogni singolo richiedente possa negoziare i contenuti del contratto. Si utilizzano in tal caso i contratti standard il cui scopo principale è quello di far si che l’offerente del bene o servizio non operi trattamenti ingiustificatamente discriminatori. In definitiva vi sono una parte forte che decide autonomamente il contenuto del contratto ed una parte debole alla quale è consentito solo accettare o meno le condizioni contrattuali standard.
Nel quadro delineato trovano spazio le condizioni generali di contratto disciplinate dall’art. 1341 c.c. Dette condizioni indicano clausole integranti il contenuto del contatto predisposte da una sola delle parti, ma vincolanti anche per le altre parti purché sia data ad esse conoscibilità.
Una disciplina particolare si ha nel comma 2 dell’art. 1341 riguardante le clausole vessatorie, ossia quelle clausole che penalizzano fortemente o rendono gravosa la condizione del contraente a cui sono rivolte. Non può in tal caso bastare che esse siano ad esso conoscibili, ma devono essere accettate per iscritto. Tale tutela è tuttavia più formale che sostanziale, per ovviare a questo deficit, il Codice di Consumo (D.Lgs 206/2005) disciplina tali clausole vessatorie in modo più efficace elencando una serie di clausole che si presumono vessatorie fino a prova contraria, rendendole nulle (a vantaggio del consumatore).
Vi sono, infine, anche dei casi in cui il fornitore di un bene o servizio è un monopolista, in tali circostanze, secondo l’art. 2597 c.c. ad esso è imposto l’obbligo di contrarre ogni qual volta un richiedente ne faccia richiesta, si parla in tal caso di contratto imposto.
2.2. Il secondo requisito del contratto è la causa, il cui concetto non è espressamente definito dal codice. Tuttavia si evidenzia il nesso tra causa e funzione socio-economica del contratto. La causa non va confusa con i motivi, ossia gli interessi personali che spingono ciascuna parte a contrarre. La causa deve essere lecita a pena di nullità (art. 1418 c.c.). Si intende per causa lecita la non contrarietà a norme imperative, al buon costume o all’ordine pubblico.
La causa serve all’ordinamento per valutare la giustificazione sottesa agli spostamenti patrimoniali che i contratti realizzano. La causa della compravendita sarà quella dello scambio tra bene e prezzo (clausola di scambio), ma esistono anche altri generi di causa, come quella di liberalità, associativa o di garanzia.
In questo quadro articolato, si guarda al profilo causale anche per effettuare una classificazione dei contratti. Così si distinguono i contratti a titolo oneroso, dai contratti a titolo gratuito. I primi sono connotati da una distribuzione dei vantaggi e sacrifici tra le parti (es: compravendita); i secondi sono caratterizzati dal fatto che solo una parte si fa carico di sacrifici, a vantaggio dell’altra (es: donazione). Su tale distinzione se ne innesta un’altra tra contratti a prestazioni corrispettive e contratti unilaterali. I primi sono caratterizzati da un nesso che lega le prestazioni delle parti, i secondi sono caratterizzati dal fatto che le obbligazioni sono solo a carico di una delle parti. Tra i contratti a prestazioni corrispettive si distinguono i contratti aleatori da quelli commutativi.
Tra causa e tipo contrattuale esistono dei contatti, tuttavia si è soliti trattargli in maniera distinta. Tramite il tipo contrattuale, l’ordinamento appresta modelli di disciplina da impiegare per conseguire l’obiettivo che i privati vogliono raggiungere. Le parti possono però avere di mira un obiettivo diverso da quello perseguibile mediante l’adozione di un certo tipo contrattuale, di qui la facoltà riconosciuta dall’art. 1322 c.c. di concludere contratti atipici (innominati). I contratti atipici non di rado prospettano contatti con più tipi legali, in tal, modo entrano in gioco le figure dei contratti misti e dei contratti complessi, che non tutti sono propensi a distinguere. Chi opera una distinzione, vede nei contratti complessi l’unione degli effetti di più contratti tipici (es: vendita più locazione), e nei contratti misti l’unificazione di clausole costituenti frammenti di più contratti tipici. la dialettica tipico-atipico involge anche il fenomeno del collegamento negoziale, da cui non emerge un nuovo e autonomo contratto (es: il contratto di locazione e collegato a quello di sublocazione). Vi sono poi dei casi in cui si utilizza un certo schema tipico per motivi differenti da quelli previsti, si parla in tal caso di negozio indiretto.
L’art. 1322 c.c. porta a condizionamenti assai significativi alla libertà di scelta del contenuto del contratto, facendo riferimento al giudizio di liceità e di meritevolezza.
2.3. Il terzo dei requisiti essenziali è l’oggetto. Per esso si intende il bene o l’utilità che mediante il contratto le parti intendono conseguire. Ai sensi dell’art. 1346 c.c., esso deve essere possibile (sia naturisticamente che giuridicamente), lecito e determinato o determinabile.
2.4. La forma è il quarto requisito dettato dall’art. 1325 c.c., essa tuttavia non è di norma essenziale, ma lo diventa a pena di nullità se da una legge richiesto. La forma risponde ad un duplice ruolo, quello di prova dell’avvenimento di un contratto (si parla di forma ad probationem) e quello di validità del contratto nei casi dalla legge prescritti (si parla di forma ad substantiam).
L’art. 1350 c.c. detta gli atti che devono farsi per iscritto, mediante atto pubblico o scrittura privata.
L’atto pubblico (art. 2699 c.c.) è il documento redatto da un notaio o altro pubblico ufficiale, che fa piena prova fino a querela del falso della dichiarazione delle parti.
La scrittura privata (art. 2702 c.c.) è invece un documento redatto dalle parti interessate. Come già anticipato l‘art. 1350 c.c. richiama i casi in cui è richiesta la forma scritta, di cui essenzialmente è richiesta per gli atti che hanno a riguardo beni immobili e diritti su beni di tale natura.
L’art. 1351 c.c. regola l’identificazione per relationem del requisito formale in riferimento al contratto preliminare: questo è nullo se non è fatto nella stessa forma del contratto definitivo.
3. Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto (art. 1322 co. 1 c.c.) che può articolarsi in patti e clausole definiti elementi accidentali del contratto in quanto non sono essenziali alla sua validità, ma una vota inseriti divengono vincolanti. Principalmente sono tre gli elementi accidentali del contratto: la condizione, il termine e il modo.
La condizione è disciplinata dall’art. 1353 c.c. ove ne risulta che essa è l’evento futuro ed incerto da cui si fa dipendere l’efficacia (condizione sospensiva) o la risoluzione (condizione risolutiva) del contratto. La condizione deve essere non solo lecita, ma anche possibile, poiché se la condizione è impossibile, nel caso essa sia sospensiva, il contratto è nullo, al contrario se la condizione impossibile è risolutiva, il contratto produrrà i suoi effetti come un comune contratto non sottoposto a condizione.
La condizione può essere causale (se legata ad un accadimento estraneo alla volontà e all’iniziativa delle parti), potestativa (se legata alla volontà e all’iniziativa delle parti) o mista (se legata sia alla volontà e all’iniziativa che alle circostanze). Fino a che la condizione non viene a verificarsi, le parti sono in una condizione particolare detta di pendenza della condizione, ove hanno l’obbligo di comportarsi secondo buona fede.
Dalla condizione inserita dalle parti si differenzia quella legale (o di diritto), là dove è la legge a rimandare ad un certo evento per determinare l’efficacia di un contratto.
Non di rado accade che le parti inseriscano all’interno del contratto l’indicazione del momento in cui esso comincerà a produrre effetti (termine iniziale) o cesserà di produrli (termine finale). Il termine è normalmente rappresentato dal richiamo ad una certa data del calendario, o ad un evento futuro certo.
L’onere è anche esso un elemento accidentale del contratto, di cui l’esempio più illuminante è dato dall’art. 793 c.c. disciplinante la donazione modale, secondo cui il donante può imporre al beneficiario, un peso che assorbe parte della donazione consistente nell’effettuazione di una prestazione a favore di un terzo o del donante stesso.
4. Di regola chi pone in essere l’atto negoziale è anche colui su cui ne ricadono gli effetti, ma non è sempre così. Chi è incapace d’agire, ad esempio, non può compiere personalmente atti di amministrazione della propria sfera giuridica e dunque non può essere parte in senso formale di un contratto; ad agire in nome e per conto dell’incapace saranno dunque i soggetti a cui la legge ne affida rappresentanza, ossia i genitori o i tutori. Si realizza in questo senso un caso di rappresentanza legale. Ma tale fenomeno può avvenire anche per volontà del privato. Siamo in tal caso in presenza di rappresentanza volontaria. S’impone a questo punto di far subito luce sulla differenza tra rappresentanza diretta e indiretta.
Tizio che intende acquistare un auto usata, non volendo o non potendo incontrare il venditore, incarica Caio di farlo al suo posto. Se quest’ultimo si obbliga a stipulare per conto di Tizio, si realizza un contratto di mandato (art. 1703 c.c.), che può essere con rappresentanza o senza rappresentanza a seconda che a Caio sia o meno attribuita la legittimazione ad agire in nome di Tizio, a spendere il nome del mandante. Il mandato senza rappresentanza dà luogo alla rappresentanza indiretta: Caio conclude il contratto in proprio nome, e su di lui ricadranno dunque diritti ed obblighi, che né trasferirà poi la proprietà a Tizio. Se il mandato è con rappresenta invece gli effetti del contratto cadono direttamente su Tizio dato che Caio spende il nome del suo mandante nella conclusione del contratto.
Il codice si occupa della rappresentanza volontaria negli art. 1388 e ss., ove viene definita come un potere o meglio una potestà derivante da un atto di investitura denominato procura. Vale ricordare che la rappresentanza volontaria non può riguardare gli atti negoziali personali come il matrimonio, etc.
La procura può essere speciale o generale, ed essa vale a definire i confini del potere di rappresentanza. Se il rappresentante eccede i limiti della procura o agisca senza averne i poteri, ci si troverà in una situazione di falsus procurator. In tal caso, a meno che il rappresentato non proceda con ratifica, il contratto è inefficace. Resta in ogni caso il diritto al risarcimento del danno.
È bene richiamare al fatto che l’art. 1401 c.c., consente a chi conclude un contratto di riservarsi la facoltà di nominare successivamente la persona destinataria dei suoi effetti. Si sostanzia in ciò il contratto per persona da nominare. La dichiarazione di nomina va comunicata entro tre giorni dalla stipulazione del contratto all’altra parte, e deve essere accompagnata dall’accettazione della persona nominata. È richiesta inoltre una forma per relationem a pena di nullità.
5. Dal contratto per persona da nominare, si distingue la cessione del contratto secondo cui (art. 1406 c.c.) ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive , purché l’altra vi consenta.
La cessione può essere volontaria, ma anche legale, in riferimento ai casi in cui è la legge a stabilire che un terzo automaticamente subentri nella posizione contrattuale di un soggetto.
6. Il contenuto del contratto è quello che ne risulta dalla sua interpretazione. È la legge a stabilire quali siano i canoni impiegati per svolgere tale funzione. Si distinguono i criteri oggettivi dai criteri soggettivi. Tra le due categorie vi è inoltre un ordine gerarchico che impone all’interprete di far ricorso dapprima ai canoni soggettivi e solo qualora essi risultassero insufficienti a quelli oggettivi.
Il criterio fondamentale di interpretazione soggettiva è dettato dall’art. 1362 c.c. ove il significato da dare all’atto è quello che risulta conforme alla comune intenzione delle parti, guardano le parole utilizzate ma non limitandosi solo a ciò. L’interprete infatti deve far riferimento all’elemento logico e cioè alle finalità che le parti hanno conseguito. Trova applicazione il principio secondo cui se le parole utilizzate non lascino adito ad alcun dubbio interpretativo, l’operazione ermeneutica è conclusa. Il co. 2 dello stesso articolo fa richiamo alla valutazione del comportamento delle parti.
Sono inoltre da annoverare tra i canoni soggettivi quelli risultanti dagli articoli 1363-1365 c.c.
L’art. 1363 c.c. codifica il principio della totalità ermeneutica su cui si fonda l’interpretazione sistematica; l’art. 1364 c.c. presume che gli effetti del contratto si limitino ai contraenti; l’art. 1365 c.c. infine richiama alle espressioni esemplificative impiegate dai contraenti.
Sono invece da annoverare tra i canoni oggetti gli articoli 1366-1370 c.c.
L’art. 1366 c.c. impone di interpretare secondo buona fede il contratto; l’art. 1367 impone di interpretare il contratto in modo che esso possa avere degli effetti; l’art. 1368 richiama gli usi interpretativi; l’art. 1369 invece detta che tra i più sensi attribuibili al contratto si debba scegliere quello più conveniente alla natura dello stesso; infine l’art. 1370 c.c. ove si impone di interpretare in modo favorevole alla parte debole di un contratto standard alcune clausole in caso di dubbio.
Se nessuno dei criteri enunciati porta a risultato soddisfacente, l’art. 1371 prevede delle regole finali. Secondo detto articolo bisogna guardare all’economia complessiva del contratto per coglierne il significato, e se esso è a titolo gratuito, si impone di interpretarlo in senso meno gravoso per l’obbligato, mentre se trattasi di contratto a titolo oneroso occorre intenderlo nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti.
7. Sono nell’esercizio della loro autonomia a stabilire quale sia il contenuto del contratto. Ma l’ordinamento prevede anche delle fonti concorrenti all’autonomia privata, tali sono le leggi, gli usi e l’equità. Mentre le leggi e gli usi sono fonti di integrazione normativa, l’equità è una fonte giudiziale.
8. L’efficacia del contratto esprime l’idoneità a produrre effetti suoi proprio. L’art. 1372 c.c. riconosce al contratto forza di legge tra le parti, ciò implica il principio della sua efficacia vincolante per tutti coloro che hanno stipulato, vincolo irrevocabile se non per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge. Ma vi sono anche dei casi in cui è concessa la possibilità ad entrambe o ad una sola delle parti, di recedere dal contratto unilateralmente.
L’art. 1373 c.c. disciplina il recesso unilaterale dal contratto, che porta allo scioglimento del vincolo contrattuale. Le parti che convenzionalmente stabiliscano la possibilità di recedere dal contratto, possono associare a detta previsione una caparra penitenziale. Essa, art. 1383 c.c., ha la sola funzione di corrispettivo del recesso; si tratta dunque di una somma di denaro che un contraente consegna all’altro al momento della conclusione del contratto e che in caso di recesso resterà definitivamente incamerata da chi l’ha ricevuta, a meno che non sia proprio il ricevente della caparra a recedere, in tal caso egli dovrà versare all’altra parte il doppio della somma ricevuta.
Non va confusa con la caparra penitenziale quella confirmatoria la quale presuppone l’inadempimento della prestazione.
Sono molti i casi in cui è la legge ad attribuire ad una delle parti il diritto di recedere, si parla in tal caso di recesso legale. Una particolare disciplina è ad esempio prevista per il recesso del datore di lavoro (licenziamento).
8.1. Nella disciplina di un crescente numero di tipologie contrattuali, emerse nel settore del consumismo, uno dei puntelli fondamentali è rappresentato dalla previsione a beneficio del consumatore, di un diritto di recesso unilaterale differente da quello enunciato nell’art. 1373 c.c., riconducibile al diritto di ripensamento o ius poenitendi. Oggi la materia è confluita nel Codice di Consumo. Il quadro che ne risulta è articolato e complesso.
Va anzitutto segnalato che la portata dell’istituto è generale, ed a connotarlo sono la libertà e la discrezionalità del suo esercizio. Il mero ravvedimento maturato anche dopo la conclusione del contratto, basta a porre il consumatore nella condizione di provocarne lo scioglimento senza dover ricorrere al giudice. È al fine sufficiente l’invio all’operatore commerciale, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, della comunicazione di voler recedere entro dieci giorni lavorativi. È poi necessario provvedere alla restituzione della merce comprata con conseguente rimborso al consumatore del prezzo pagato.
I dati ed i caratteri della disciplina dello ius poenitendi, non sono certo coerenti con le linee di un sistema contrattuale che dell’intangibilità dell’accordo ha sempre fatto uno dei suoi postulati fondamentali. La ratio dell’istituto è legata all’esigenza di tutelare il consumatore in particolare quando l’acquisto della merce avviene in modo non tradizionale come le vendite porta a porta, o per contratti a distanza.
Una delle regole che trovano espressione nel principio enunciato dall’art. 1372 c.c. è quello che vieta ai contraenti di imporre unilateralmente modifiche o integrazioni del regolamento contrattuale. Tuttavia sono contemplate alcune eccezioni a questa regola espressioni di un diritto a variare (ius variandi). Ad esempio l’art. 1661 c.c. autorizza il committente di un opera appaltata ad apportare variazioni al progetto purché di ammontare limitato. Un’articolata regolamentazione dello ius variandi è ora presente nel Codice di Consumo.
8.2. Il contratto ha forza di legge solo tra le parti (art. 1372 c.c.), si evidenza così il principio di relatività del contratto ribadito anche nel comma 2 dello stesso articolo ove è sancito che il contratto non produce effetti rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge. Dunque la legge può prevedere che un contratto produca effetti direttamente nei riguardi di un terzo estraneo alla conclusione. Risiede in ciò la disciplina del contratto a favore di terzi. Un esempio è quello riferito al padre che, sapendo che il figlio dovrà recarsi in Germania per motivi di studio, stipula con un insegnante di lingua tedesca un contratto, avente per oggetto delle lezioni da impartire al figlio. Non è necessario che il figlio accetti per dar vita al contratto, tuttavia egli ha il diritto di rifiutare la stipulazione in suo favore e in tal caso il contratto rimane a beneficio dello stipulante, se non diversamente previsto.
Il contratto a favore di terzi non va confuso con il contratto con effetti protettivi a favore di terzi. Esempio di questa seconda figura è quello in cui Tizio incarica Tullio di effettuare lavori di ristrutturazione nel proprio appartamento, e quest’ultimo è tenuto ad eseguire la prestazione senza provocare danni a soggetti terzi che si trovano nell’abitazione. Pur non essendo il contratto per essi fonte di beneficio diretti essi saranno interessati all’esatta esecuzione di quel contratto.
8.3. Taluni contratti sono governati da regole particolari che completano le regole già note. È al riguardo significativa la distinzione tra contratti consensuali e contratti reali, ove in riferimento ai primi è sufficiente l’accordo tra le parti al perfezionamento del contratto, mentre ai secondi è necessaria la consegna reale della cosa per definirsi perfetti.
Rientrano nella categoria del contratto consensuale i contratti ad effetti reali, ossia quei contratti che hanno ad oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, il trasferimento di un diritto reale o di un altro diritto; dando espressione al principio consensualistico si evidenzia come la proprietà o il diritto si trasmettano e si acquistino per effetto del consenso elle parti legittimamente manifestato. I contratti ad effetti reali sono pertanto strumenti principi per la circolazione di beni e diritti. Così la compravendita è un contratto consensuale ad effetti reali, ma il trasferimento della proprietà non sempre segue questo percorso.
Se il trasferimento della proprietà di un bene si compie in virtù del mero consenso, lo stesso non vale qualora sia implicata nella vicenda traslativa una cosa generica o determinata solo nel genere, poiché sarà necessaria la consegna della cosa.
In alcune zone del territorio italiano, al trasferimento della proprietà immobiliare presiede una regola particolare quella del sistema tavolare, riconducibile alle zone del Trentino Alto Adige e nelle province di Trieste, Gorizia, Udine e Belluno. Il sistema tavolare è alternativo alla trascrizione vigente nel resto d’Italia. Tale sistema (tavolare) fa perno sulla distinzione tra titulus e modus adquirendi, ed è articolato su base reale e non personale. Ogni immobile è censito in libri fondiari ed in essi vengono annotati tutti gli atti di trasferimento inter vivos riguardanti il bene, su istanza dell’interessato. L’intavolazione del trasferimento ha, pertanto, efficacia costitutiva e non soddisfa una mera esigenza di pubblicità.
Non ha invece valenza costitutiva la trascrizione, in quanto mezzo di pubblicità con cui l’atto diventa opponibile erga omnes. L’art. 2643 c.c. descrive la trascrizione come un onere, non limitato ai contratti ma esteso anche alle domande giudiziali (art. 2652) ove esse si riferiscano ai diritti elencati nell’art. 2643.
Il principale degli effetti della trascrizione si connette al principio della priorità, stando infatti all’art. 2644 c.c. gli atti di acquisto inter vivos soggetti a trascrizione non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquisito diritti sugli immobili in base ad un atto trascritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi. Dunque in caso di conflitto tra più acquirenti, prevale chi ha trascritto per primo.
8.4. Può ipotizzarsi il caso che, di comune accordo, le parti procedano alla stipulazione di un contratto allo scopo di determinare una simulazione fittizia. Stando all’art. 1414 c.c. il contratto simulato non produce effetto tra le parti.
Supponiamo che Tizio, interessato ad ottenere un finanziamento, potrebbe avere interesse ad apparire proprietario di un bene immobile che acquista fittiziamente da Tullio; o che Caio possa essere interessato a vendere fittiziamente i suoi beni a Sempronio al fine di apparire nulla tenente per ragioni fiscali; o ancora che Mevio, intenzionato a locare a Filano un suo bene immobile, per ragioni fiscali simuli un contratto di comodato.
Nei tre esempi svolti si rivela come accanto alla dichiarazione apparente, vi sia la vera intenzione delle parti. La simulazione può essere assoluta (quando si esaurisce nella conclusione di un contratto simulato che le parti vogliono improduttivo di effetti), o relativa (quando consiste nella stipulazione di un contratto simulato destinato ad occultare la conclusione di un distinto contratto).
Se il contratto simulato reca pregiudizi ai terzi essi avranno diritto al risarcimento del danno, ma può accadere che essi ne traggano vantaggio, in tal caso l’ordinamento concede loro protezione avendo essi inconsapevolmente confidato nella situazione fittizia venuta a crearsi.
9. Il contratto vincola le parti all’esatta attuazione del regolamento in esso trasfuso. Dunque l’inadempimento della prestazione ad oggetto porta a responsabilità contrattuale con conseguente obbligo al risarcimento del danno arrecato alla parte non inadempiente. Si colloca poi su un piano diverso il regime della invalidità contrattuale a cui fanno capo l’annullamento o la nullità del contratto, nonché il rimedio della rescissione. Analizzeremo ora la responsabilità contrattuale, l’invalidità contrattuale e la rescissione.
10. Dal contratto discendono impegni volontariamente assunti che, se violati o inesattamente eseguiti danno luogo a responsabilità secondo l’art. 1218 c.c. e ss.
Così configurata è la responsabilità contrattuale da non confondere con quella extracontrattuale che trae fondamento nel danno ingiusto arrecato da un soggetto ad un altro (art. 2043 c.c.).
La violazione del contratto porta al risarcimento del danno in termini pecuniari del valore della prestazione inseguita, volta a far si che il contraente non inadempiente venga posto in una condizione economica equivalente a quella in cui egli si sarebbe trovato se gli impegni contrattuali fossero stati onorati.
Ma la tutela può esplicarsi anche in un modo diverso, in quanto nel nostro ordinamento è previsto che il contraente non inadempiente possa ricevere l’adempimento in maniera coattiva, si parla in tal caso di adempimento in natura al fine di raggiungere lo stesso risultato che il contratto avrebbe prodotto in caso di non inadempimento dell’altra parte.
La risoluzione del contratto è un rimedio per eccellenza essendo esso operativo esclusivamente in riferimento a contratti a prestazioni corrispettive. Nell’area così delimitata è possibile addivenire allo scioglimento contrattuale.
La risoluzione è prevista in tre casi: per inadempimento (art. 1453-1462 c.c.); per impossibilità sopravvenuta (art. 1463-1466 c.c.); per eccessiva onerosità (art. 1467-1469 c.c.).
L’azione di risoluzione per inadempimento è alternativa a quella dell’adempimento in natura. Tale azione può concorrere con il risarcimento del danno. Perché si possa risolvere il contratto è necessario che l’inadempimento sia importante e grave. La risoluzione per inadempimento può essere giudiziale o di diritto, quest’ultima opera in tre casi: infruttuoso decorso di un termine essenziale; intimazione per iscritto di adempiere in un congruo termine alla parte inadempiente; inadempimento di obbligazione che risulti oggetto di una clausola risolutiva espressa. La risoluzione di diritto costituisce espressione di autotutela riconosciuta al privato.
L’azione di risoluzione per impossibilità sopravvenuta si ha nei casi in cui sopravvengano alla conclusione del contratto circostanze od eventi che rendono impossibile la prestazione, purché la parte che non può adempiere non versi in mora.
L’azione di risoluzione per eccessiva onerosità infine si ha nei casi in cui circostanze o eventi portino ad una complicazione ed ad una maggiore onerosità l’esecuzione delle prestazioni o di una di esse
11. Integrano l’ampia sfera della invalidità contrattuale l’annullamento (o annullabilità) e la nullità, a cui si tende ad aggiungere la rescissione del contratto.
Per l’annullamento e la nullità sono previste regole distinte: diversità sussistono tra le cause di nullità (art. 1418) e quelle di annullamento (art. 1425 e ss.) e un differente regime contrassegna poi l’azione di nullità (art. 1419 e ss.) da quello di annullamento (art. 1441 e ss.).
Ciò posto sono causa di nullità, secondo l’art. 1418 c.c. la contrarietà a norme imperative (salvo che la legge disponga diversamente), la mancanza di uno dei requisiti essenziali del contratto (secondo l’art. 1325), l’illiceità della causa (secondo quanto previsto dall’art. 1343) e dei motivi (secondo quanto stabilito dall’art. 1345) e la mancanza di un elemento essenziale dell’oggetto (secondo quanto dettato dall’art. 1346). Sono altresì causa di nullità del contratto tutti gli altri casi stabiliti dalla legge.
È bene soffermarsi velocemente sui motivi di illiceità della causa che richiamano alla contrarietà alle norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume.
Sono invece causa di annullamento del contratto secondo l’art. 1425 c.c.: l’incapacità d’agire (o legale) di una delle parti; l’incapacità naturale (o di intendere e volere); l’errore; il dolo; la violenza.
In particolare per errore si intende la falsa o distorta rappresentazione della realtà di fatto o di diritto che da sfondo alla determinazione contrattuale. L’errore può cadere sulla trasmissione (errore ostativo) o sul processo di formazione del consenso (errore vizio). L’effetto invalidante del contratto si realizza solo là dove l’errore è essenziale e riconoscibile. Il requisito dell’essenzialità è valutato dall’art. 1429 c.c. sulla base di criteri eminentemente oggettivi. Nel n1) del citato articolo si richiama all’errore che cade sulla natura o sull’oggetto del contratto; nel n2) si fa richiamo a due elementi di valutazione l’uno di natura oggettiva (secondo il comune apprezzamento), l’atro di natura soggettiva (in relazione alle circostanze); nel n3) si fa richiamo alla caduta dell’errore sull’identità o sulle qualità della persona dell’altro contraente, sempre che l’una o le altre siano state determinanti del consenso. Le tre tipologie di errore richiamate riguardano le circostanze di fatto, ma essenziale è anche l’errore di diritto, secondo cui nel n4) è ingenerato dalla ignoranza o falsa rappresentazione dell’esistenza, interpretazione o applicazione di una norma giuridica.
Il dolo è causa di annullamento del contratto purché determinante il consenso e quindi, decisivo per la conclusione del contratto (dolus causam dans): esso si sostanzia nel ricorso a raggiri, astuzie o artifici realizzati mediante contegni di varia natura (commissivi o omissivi), a danno dell’altro, per trarlo in inganno e per indurlo a contrarre.
In fine per ciò che concerne la violenza si dice che quella rilevante ai nostri fini e solo quella morale, ma non tutti sono propensi a ravvisare facile distinzione con quella fisica, al punto ch alcuni parlano di violenza assoluta o relativa: la prima elimina in toto la libertà della determinazione di volontà espressa; la seconda è idonea solo a limitarla.
La violenza è sempre causa di annullamento del contratto anche se esercitata da un terzo.
Non è riconducibile a violenza il contratto concluso al semplice timore reverenziale, o la violenza putativa.
Analizzati i casi di nullità e annullabilità, non resta che procedere con lo studio della rescissione del contratto.
Nella fase di formazione del contratto, domina il principio dell’autonomia contrattuale. Le parti sono dunque libere di stabilire a loro piacimento i contenuti del sinallagma negoziale. Dunque lo squilibrio economico tra le prestazioni non è certo motivo di patologia del contratto. Tuttavia nel quadro di queste regole si colloca il rimedio della rescissione che trae fondamento nella presenza di un’alterazione nel processo di determinazione volitiva dei contraenti. La rescissione porta all’eliminazione del contratto, è trova giustificazione nei contratti concluso in stato di pericolo o in stato di bisogno.
I SINGOLI CONTRATTI TIPICI
1. La compravendita (art. 1470) è un contratto ad effetti reali consistente nello scambio tra bene e prezzo, di norma indicato nel contratto. Si rileva quindi la natura onerosa della compravendita.
Il codice nell’art. 1476 elenca le principali obbligazioni del venditore, tali sono quella di consegnare la cosa al compratore, di fargli acquistare la proprietà della cosa o del diritto trasferito e di garantire il compratore da evizione o vizi della cosa. Al compratore spetta invece il pagamento del prezzo nel termine e nel luogo prefissato e la corresponsione di eventuali interessi sul prezzo.
Il codice civile elenca anche talune disposizioni sulla vendita con patto di riscatto (art. 1500-1509), descritto come un patto accessorio al contratto di compravendita con cui il venditore, si riserva il diritto di riscattare la cosa alienata mediante la restituzione dello stesso prezzo pagato in corrispettivo ed i rimborsi delle spese relative al contratto sostenuto dall’acquirente entro il termine massimo di due anni. Seguono poi le disposizioni sulla vendita di cose mobili (art 1510-1536), vendita di cose immobili (art. 1537-1541) e vendita di eredità (art. 1542-1547).
2. Può rinvenirsi una particolare tipologia di compravendita nel contratto di permuta (art. 1552) con cui si realizza uno scambio reciproco della proprietà di una cosa o di altri diritti.
3. La donazione è un contratto con cui il donante in pieno spirito di liberalità, decide di impoverire la propria sfera patrimoniale al fine di arricchirne un’altra di un altro soggetto.
Per quanto riguarda il contratto di donazione secondo l’art. 769 c.c., esso costituisce il prototipo dei contratti a causa liberale, ma non è l’unico, in quanto sono stati individuati anche altri negozi denominati donazioni indirette, ne è esempio un contratto a favore di terzi.
La donazione presenta una varietà di modi di atteggiarsi, essa è di norma un contratto consensuale ad effetti reali, ma vi sono anche delle donazioni che sono inquadrate nell’ambito dei contratti reali. Può ricevere per donazione il soggetto concepito o nascituro. Perché sia valida la donazione, è necessaria a forma scritta più solenne, salvo casi aventi ad oggetto cose di modico valore, a cui è sufficiente la traditio, ossia la semplice consegna della cosa. Alla luce del carattere liberale della donazione, ben si comprende il perché la disciplina della garanzia per evizione e vizi della cosa sia sensibilmente ridimensionata. Non essendo un contratto a prestazioni corrispettive, la donazione non va soggetta a risoluzione né a risarcimento, è invece ammessa la revocazione connessa all’ingratitudine del donatario, o alla sopravvivenza dei figli del donante.
4. Il riporto è un contratto utilizzato nell’ambito delle contrattazioni di borsa e rinvia ad un’operazione complessa basata su un duplice trasferimento di proprietà di una cera quantità di titoli di credito di una data specie (art. 1548).
5. L’art. 1556 c.c. disciplina il contratto estimatorio, ossia quel contratto in cui una parte (tradens) consegna una o più cose mobili all’altra (accipiens) e quest’ultima si obbliga a pagare il prezzo o a restituire le cose nel termine stabilito.
6. Il contratto di somministrazione, giusta l’art. 1559 c.c., è quel contratto con cui una parte si obbliga verso un corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell’altra, prestazioni periodiche o continuative di cose.
7. I termini dello scambio che la locazione realizza si rapportano al godimento di una cosa mobile o immobile da un lato, e dall’altro al versamento di un corrispettivo per il tempo della durata della locazione (art. 1571 c.c.). Il codice guarda a più modelli di locazione, ne discende una disciplina articolo integrata da leggi speciali. Il locatore è tenuto alla consegna della cosa al conduttore in buono stato, a mantenerla in stato di destinazione convenuta e a garantirne il pacifico godimento. Il conduttore deve invece custodire la cosa (mobile o immobile) con la diligenza del buon padre di famiglia e versare i contributi pattuiti.
Leggi speciali hanno integrato la disciplina, in particolare la legge sull’equo canone ha introdotto la locazione di immobili urbani. Questa legge prevedeva una durata minima di quattro anni al contratto e l’entità del canone era vincolata ad una equa determinazione in base a criteri identificati dalla legge. La legge 431/1998 segna l’abbandono della logica tracciata dalla precedente legge, aprendo la possibilità di scelta tra i contratti di locazione liberi e i contratti di locazione a regime vincolato. I primi prevedono un canone determinato dalle parti con una durata non inferiore a quattro anni, i secondi invece prevedono che il valore del canone e la durata siano invece stabiliti sulla base di accordi stabiliti in sede locale da organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori. È necessaria inoltre la forma scritta.
Dalla locazione si distingue il contratto di affitto, autonomia che si giustifica alla luce della natura produttiva della cosa concessa in godimento all’affittuario, che ne trae i frutti e le altre utilità dietro corrispettivo (art. 1615 c.c.).
8. Schema contrattuale tipico votato all’attribuzione di un diritto di godimento su una cosa mobile o immobile è il comodato (art. 1803), contratto essenzialmente gratuito con natura reale. La restituzione della cosa deve avvenire al termine del rapporto, ma è anche previsto che la restituzione avvenga non appena il comodante lo richieda, o per motivi di urgenza sopravvenuta.
Il comodatario deve custodire e conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia, mantenerne la destinazione d’uso e non concedere l’utilizzo della cosa a terzi. Il comodante deve invece rimborsare il comodatario delle spese straordinarie necessarie ed urgenti da quest’ultimo sostenute. Il comodante non risponde dei vizi della cosa.
9. Il mutuo (art. 1813) è il contratto con il quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di denaro o cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e quantità con l’aggiunta di interessi. Il mutuo rientra nel novero dei contratti reali.
10. Il leasing è un contratto innominato che gode di larga diffusione pratica. Sono tre e tipologie di leasing: leasing finanziario (un soggetto, avendo necessità di disporre di un bene ma non avendo intenzione di comprarlo, si rivolge ad un intermediario specializzato perché sia questo a comprarlo per lui e poi concederglielo in godimento temporaneo dietro pagamento di un canone periodico); leasing operativo (il fornitore concede il bene in godimento all’utilizzatore, senza l’intermediazione del concedente, dietro canone periodico); leasing di ritorno o sale and lease back (il proprietario di un bene lo aliena ad una società di leasing, la quale immediatamente lo concede in leasing allo stesso venditore dietro pagamento di un canone periodico). Il leasing è comunemente ricondotto tra i contratti di impresa, a cui si aggiungono il franchising, il joint venture, l’engineering e il merchandising.
11. L’art. 1766 c.c. rivela che il deposito è quel contratto ove una parte (depositario) riceve dall’altra (depositante) un cosa mobile con l’obbligo di custodirla e restituirla in natura. Il contratto ha natura reale. Si può ricorrere a tale contratto anche in funzione di garanzia (deposito in funzione di garanzia), distinguendo il deposito nell’interesse del terzo ( il debitore deposita una cosa e il terzo creditore comunica al depositante ed al depositario la sua adesione) dal deposito a favore del terzo (ove il terzo creditore richiede direttamente al depositario la restituzione della cosa consegnatali).
Il deposito che ha per oggetto una quantità di denaro o altre cose fungibili è il deposito irregolare di cui ne sono esempi i depositi bancari. Le operazioni bancarie si distinguono in attive, accessorie e passive, il deposito bancario è un’attività passiva della banca ove un soggetto deposita una somma di denaro che la banca acquista pur essendo obbligata a restituirla nella stessa specie con l’aggiunta di interessi alla scadenza del termine convenuto o su richiesta del depositante.
Il deposito in albergo prevede la distinzione tra le ipotesi in cui le cose siano portate dal cliente in albergo e le ipotesi in cui siano all’albergatore con consegnate. Del danneggiamento delle cose portate in albergo gli albergatori sono responsabili nel limite del valore della cosa, per la seconda ipotesi invece la responsabilità dell’albergatore è illimitata.
12. Il sequestro convenzionale (art. 1798) è il contratto con il quale due o più persone affidano ad un terzo una o più cose, rispetto alla quale sia nata tra esse controversia, perché la custodisca e la restituisca a quella cui spetterà quando la controversia sarà finita.
13. Il mandato (art. 1703) è il contratto con cui una parte si obbliga a compiere per conto dell’altra, uno o più atti giuridici. Il mandato si presume oneroso e può essere conferito con o senza rappresentanza (1704-1705). Il mandatario è obbligato ad eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia nei limiti del contratto stesso a meno che il mandante non lo ratifichi. Eseguito il mandato il mandatario è poi tenuto ad informare il mandante. Il mandante è invece obbligato fornire tutti i mezzi necessari per l’incarico e a corrispondere il compenso. Il mandato si estingue per scadenza del termine; revoca espressa; revoca tacita; rinunzia o morte.
Sono considerati specie del mandato i contratti di commissione e di spedizione.
Il contratto di commissione (art. 1731) è un mandato che ha per oggetto l’acquisto o la vendita di beni per conto del committente ed in nome del commissionario. Il contratto di spedizione (art. 1737) è un mandato con il quale lo spedizioniere assume l’obbligo di concludere in nome proprio e per conto del mandante, un contratto di trasporto.
14. Il contratto di agenzia (art. 1742) è quel contratto con cui una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere per conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una determinata zona. Il contratto di mediazione è quel contratto che ruota intorno alla figura del mediatore (art. 1754), secondo cui è mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse.
15. Il libro V del codice civile nel III Titolo è dedicato al lavoro autonomo. Come si evince dall’art. 2222 c.c. il contratto d’opera ha per oggetto l’obbligo assunto da una persona dietro corrispettivo di effettuare un’opera o un servizio di natura materiale (installazione di caldaia) a beneficio di un’altra. Il prestatore d’opera deve impiegare il lavoro proprio e non avvalersi di un’organizzazione imprenditoriale, ed è inoltre tenuto a procedere nel rispetto delle condizioni stabilite dal contratto e dalle regole dell’arte. L’altra figura di lavoro autonomo è il contratto di prestazione d’opera intellettuale disciplinato dall’art. 2229 e 2230 c.c., ed ha per oggetto una prestazione di opera di natura professionale, effettuata da professionisti intellettuali iscritti in appositi albi o elenchi.
Il lavoro autonomo si caratterizza per l’assenza di vincoli di subordinazione del prestatore nei confronti del committente. Ove tale vincolo sussista, siamo in presenza di lavoro subordinato.
16. Il contratto di appalto è affine al contratto d’opera, con esso una parte (appaltatore) assume, con organizzazione d’impresa, il compimento di un’opera o di un servizio affidatogli da altro soggetto (committente) verso un corrispettivo in denaro (art. 1655).
17. L’art. 1678 x.x. xxxxxxxx xx xxxxxxxxxxx xxxxxxxx xxx xxxxxxxxx xx xxxxxxxxx, che ruota intorno all’obbligo assunto dal vettore verso corrispettivo, di trasferire persone o cose da un luogo ad un altro. Si presuppone l’impiego di un veicolo. Sono poi previste regole distinte asseconda che si tratti di trasporto di persone o di cose.
Le regole in tema di trasporto hanno portata generale.
18. Analizziamo ora la disciplina dei contratti aleatori, si distinguono la rendita vitalizia, il gioco e la scommessa e il contratto di assicurazione.
La rendita vitalizia è figura accostabile alla rendita perpetua con cui una parte, quale corrispettivo dell’alienazione di un immobile o della cessione di un capitale, conferisce all’altra il diritto di esigere in perpetuo la prestazione periodica di una somma di denaro o di una certa quantità di altre cose fungibili. La rendita perpetua non è quindi considerabile come un contratto aleatorio, al contrario lo è la rendita vitalizia che presenta gli stessi caratteri della rendita perpetua con la differenza che i suoi effetti cessano alla morte di una delle due parti. Il nostro codice considera il gioco e la scommessa quali fattispecie contrattuali, ove è presente l’elemento della sfida e della competizione. Essi sono pertanto contratti rientranti nell’ambito dell’aleatorietà. Infine con il contratto di assicurazione (art. 1882) l’assicuratore, dietro pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato entro il massimale del danno ad esso prodotto da un sinistro o a pagare una rendita vitalizia al verificarsi di un evento attinente alla vita umana. Sono essenzialmente due i contratti di assicurazione, ossia contro i danni e sulla vita, a cui se ne aggiungono altri.
Per via del rischio a cui è sottoposto il contratto di assicurazione è riconducibile ai contratti di impresa.
19. Tra i contratti di garanzia, sono da annoverare il contratto di fideiussione (contratto caratterizzato dalla figura del garante, ossia un soggetto volto ad assumersi l’impegno personale verso un creditore di un altro soggetto, di garantirne l’adempimento dell’obbligazione), o il contratto autonomo di garanzia, o ancora l‘anticresi (contratto con cui il debitore o un terzo si obbliga a consegnare al creditore un immobile a garanzia di un credito preesistente, onde far si che il creditore medesimo ne percepisca i frutti imputandoli agli interessi e quindi al capitale) e la lettera di patronage (implica una dichiarazione unilaterale di un soggetto detto raccomandante, indirizzata ad un destinatario e volta a lasciar intendere la propria posizione di influenza u un terzo interessato ad avviare rapporti con il destinatario).
20. I contratti volti alla definizione di una lite sono la transazione (contratto con cui, secondo l’art. 1965 c.c., le parti facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già iniziata o ne prevengono l’insorgenza), la convenzione d’arbitrato (contratto con cui le parti si rivolgono ad un arbitro per a risoluzione della controversia, senza adire al giudice), la cessione dei beni ai creditori (secondo l’art. 1977, questo è il contratto con cui il debitore da incarico ai suoi creditori di liquidare in tutto o in parte le sue attività e di ripartirne il ricavato in soddisfacimento del proprio credito) ed il negozio di accertamento (contratto con cui le parti si accordano per accertare in via preventiva una situazione giuridica al fine di prevenire la lite).
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RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE
1. Se la responsabilità contrattuale insorge in relazione alla violazione di un obbligo preesistente tra soggetti determinati o determinabili e si pone, quale momento patologico di un rapporto o di una relazione giuridicamente rilevante, la responsabilità extracontrattuale, invece, non ha il suo presupposto nell’esistenza di un rapporto obbligatorio, ma è fonte di un obbligazione risarcitoria a carico di chi, abbia cagionato ad altri un danno ingiusto. La riconosciuta centralità del fatto illecito fa si che la responsabilità extracontrattuale sia altrimenti definita responsabilità per fatto illecito o responsabilità aquilana.
2. L’art. 2043 c.c. è la regola che presiede al nostro sistema di responsabilità aquilana, identificando gli elementi costitutivi dell’illecito extracontrattuale e la conseguenza giuridica che da esso discende: ove un qualunque fatto doloso o colposo cagioni danno ingiusto ad altri, chi ha commesso il fatto è tenuto a risarcirlo. Qualunque fatto che determini le caratteristiche delineate dall’articolo in questione può essere fonte di responsabilità, sia che il fatto sia commissivo, sia che il fatto sia omissivo. È configurabile l’illiceità del fatto solo se esso è doloso o colposo, ed è legato al verificarsi del danno da un nesso causale. Pertanto non è prevista nessuna responsabilità senza dolo o almeno colpa di un fatto illecito. Ma non basta in quanto il fatto colposo o doloso deve avere un nesso causale con il danno subito.
Non si può prescindere dalla capacità di intendere e volere (naturale) del danneggiante al momento del fatto ai fini dell’affermazione della responsabilità (art. 2046 c.c.). Se il soggetto che compie l’illecito arrecando un danno ad altri al momento del cagionamento del danno è incapace naturale, esso non risponde del danno. Dunque l’incapace naturale non risponde ma v’è un soggetto danneggiato che a buon diritto reclama un risarcimento. La legge fa allora ricadere la responsabilità su chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace (genitori, insegnanti, etc.), fornendo a costui quale sola prova liberatoria, la possibilità di provare di non aver potuto evitare il fatto (art. 2047 c.c.). Se il sorvegliante riesce ad offrire la prova liberatoria, come pure quando manchi una persona tenuta alla sorveglianza, scatta la possibilità di ottenere che il giudice, condanni l’incapace naturale a versare al danneggiato un equa indennità.
Le considerazioni svolte valgono nella misura in cui lo stato di incapacità naturale non sia derivante da colpa dello stesso incapace e o non sia da questi intenzionalmente provocato. Se ciò dovesse accadere, la responsabilità dell’evento ricadrebbe in pieno sull’incapace.
Nel caso invece di incapacità d’agire, il padre, la madre o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela (art. 2048 c.c.). Dunque qualora un minore compia un atto illecito responsabili sono altri, e saranno dunque tenuti al risarcimento del danno. Tale responsabilità è da alcuni ritenuta come responsabilità diretta per via della vigilanza e l’educazione che devono dare al minore, per altri invece responsabilità indiretta. Entrambe le tesi sono fondate.
Ma l’art. 2048 non richiama solo la responsabilità dei genitori e dei tutori, ma anche quella dei precettori (insegnate) e dei maestri d’arte.
L’art. 2048 c.c. è sicuramente portatore di una disciplina particolare della responsabilità extracontrattuale dato che a rispondere del danno cagionato ad altri non è chi lo compie ma i genitori, o i tutori, etc.
Al regime speciale di responsabilità appena enunciato, se ne affiancano altri. L’art. 2049 c.c. richiama alla responsabilità dei padroni e dei committenti, dettando che per i danni arrecati dai loro domestici o commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti ne rispondono essi. Ovviamente è necessario che l’evento dannoso sia in qualche modo legato all’esercizio delle incombenze a cui il preposto è adibito.
Altra regola speciale è enunciata dall’art. 2050 c.c. riguardante i danni provocati dallo svolgimento di un’attività pericolosa (ad esempio il trasporto di sostanze chimiche); in questo contesto l’esercente dell’attività è tenuto a risarcire il danno cagionato a meno che non provi di aver adottato tutte le misure atte ad evitarlo.
L’art. 2051 c.c. guarda al danno cagionato da cose in custodia e, qui, il fatto che la prova liberatoria sia ancorata alla dimostrazione positiva del caso fortuito sembra con chiarezza accreditare l’idea che la responsabilità sia imputata al soggetto che le cose custodisce. Regola analoga è prevista anche dall’art. 2052 c.c. per il danno cagionato a terzi da animali.
L’art. 2053 c.c. guarda alla responsabilità per danni provocati da cose con riguardo alla rovina di edificio o di altra costruzione. L’art. 2054 x.x. xxxxxxxxxx xx xxxxxxx xx xxxxx xxxxxxxxx xx xxxxxxx xxxxx guida di rotaie funzionale alla locomozione di persone (automobile), il co. 1 di detto articolo pone in via oggettiva a carico del conducente la responsabilità per il danno prodotto da cose o persona se non dimostra di non aver potuto evitare il fatto, nel co. 2 è contemplato il caso di scontro tra veicoli ove chi ha torto dovrà risarcire il danno all’altro.
Altri due casi particolari sono quelli del danno ambientale, e del danno da prodotto difettoso.
Un ruolo importante nella definizione della struttura dell’illecito compete al danno; trattasi di un elemento imprescindibile, giacché non può esservi un illecito extracontrattuale senza la dimostrazione della sua sussistenza da parte del danneggiato. Vi sono tuttavia dei danni che è consentito arrecare in quanto non trovano fonte in un comportamento illecito; supponiamo che Tizio arrechi un danno a Caio per il solo fatto di aver aperto un negozio concorrente nelle vicinanze del negozio del secondo. Il danno che pur esiste non trova fonte in un illecito e quindi non sarà risarcibile. Esistono dunque danni che è lecito provocare. Dunque il danno è fonte di responsabilità solo se trattasi di danno ingiusto.
L’art. 2043 fa semplice richiamo al danno ingiusto senza specificare se esso sia patrimoniale o non patrimoniale, tuttavia la presenza dell’art. 2059 c.c. che fa esclusivo riferimento al danno non patrimoniale, ha dato credito all’idea che l’art. 2043 si riferisca al danno patrimoniale.
È danno non patrimoniale il danno morale, ossia il danno connesso al dolore, al patimento, alla sofferenza interiore che il danneggiato sopporta a seguito del fatto illecito. Ad esempio la distruzione di un oggetto alla quale si è particolarmente legati, è fonte di un danno morale che si aggiunge alla tutela risarcitoria del danno patrimoniale del singolo oggetto e che quindi sfugge ad una quantificazione precisa data in valutazione al giudice che in via equitativa stabilirà l’ammontare. Ma il profilo di più intenso dibattito sul quale involge il danno non patrimoniale è quello legato al danno biologico. La figura è di incerta qualificazione in quanto può essere fonte di un danno patrimoniale tuttavia è innegabile anche il legame con la natura non patrimoniale. Si differenziano due orientamenti: il primo delimita la portata dell’art. 2059 al solo danno morale ampliando la portata dell’art. 2043 anche al danno biologico; il secondo invece vede il danno biologico come non patrimoniale e dunque rientrante a tutti gli effetti nella tutela dell’art. 2059 c.c.
Al di là del danno biologico e del danno morale, il danno non patrimoniale trova essere anche nel danno esistenziale con cui si intende una condizione, seguita ad un illecito, che rende chi ne è vittima soggetto a stress, disagi, preoccupazioni anche duraturi nel tempo, tali da alterarne la qualità della vita. Alcuni illeciti che possono portare al danno esistenziale sono: stolcking; mobbing; peggioramento della qualità della vita a seguito di una errata diagnosi; etc.
3. può accadere che lo stesso fatto dannoso sia imputabile a più soggetti, che sono solidalmente tenuti al risarcimento del danno. In ciò risiede la disciplina del danno imputabile a più persone.
4. La modalità ordinaria di risarcimento del danno è quella per equivalente cioè in termini monetari, essendo il denaro misura di ogni valore. Ma è anche data la possibilità al danneggiato di chiedere il risarcimento in forma specifica quando ciò sia possibile. Risarcire in forma specifica vuol dire riparare il danno in natura o tramite la ricostruzione del bene danneggiato o per via della sua sostituzione.
5. Vi sono della cause di giustificazione che rendono possibile la non risarcibilità del danno cagionato, tali sono principalmente due ossia la legittima difesa (art. 2044) e lo stato di necessità (art. 2045).
DIRITTO DI FAMIGLIA
1. La Repubblica, art. 29 Cost, riconosce i diritti della famiglia come società fondata sul matrimonio. Se ne fa discendere il concetto di matrimonio collegato al rapporto di filiazione e di coniugio. Per lungo tempo questo è stato l’unico modello di famiglia giuridicamente rilevante. Con il tempo però, l’accresciuta sensibilità verso un fenomeno in larga diffusione, la convivenza, portò ad alcuni mutamenti nella disciplina sul diritto di famiglia, come l’intervento effettuato dalla Corte Costituzionale nella dichiarazione di illegittimità riguardante l’esclusione dai successori del contratto di locazione del convivente, all’interno della legge sull’equo canone. Tuttavia ad un’organica disciplina non si è pervenuti.
Si è poi presentato anche il problema della convivenza omosessuale ove il legislatore italiano sul punto tace.
2. La qualità di coniuge si acquista per effetto del matrimonio. Ma oltre al rapporto di coniugio esistono altri legami presi in considerazione dall’ordinamento: legame di parentela e di affinità.
La parentela, stando all’art. 74 c.c. è il vincolo che lega i discendenti da uno stesso stipite. Essa può essere in linea retta (tra padre e figlio) o collaterale (tra fratelli) ed il suo grado si calcola con il trascorrere delle generazioni.
Se la parentela identifica il vincolo di sangue, così non è per l’affinità che lega invece un coniuge ai parenti dell’altro coniuge (cognato).
3. Genitori e figli sono parenti in linea retta di primo grado. Tra essi sussiste un vincolo di sangue, essendo la filiazione legata all’evento della procreazione. Ma vi sono dei casi in cui la nascita avviene per altre vie come quella medicalmente assistita. Si può dire dunque che la procreazione da coniugi uniti in matrimonio, sia biologica che medicalmente assistita dà luogo a filiazione legittima, da cui si distingue la filiazione naturale ossia la procreazione fuori del matrimonio.
La filiazione legittima comporta l’acquisto automatico del cognome paterno in capo al figlio, ed è ancorata ad alcune presunzioni legali come la presunzione di paternità e la presunzione di concepimento in costanza di matrimonio. La filiazione legittima si prova con l’atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile e ove manche detto titolo mediante i semplice possesso continuo dello stato di figlio legittimo.
Lo stato di figlio naturale fa invece capo al figlio nato fuori dal matrimonio e non è acquisito per effetto della nascita, bensì sulla base o di un atto di riconoscimento o una dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale. Il riconoscimento è irrevocabile.
Che il riconoscimento avvenga in via giudiziale o in via volontaria esso produce i medesimi effetti e rende il figlio naturale nella medesima posizione del figlio legittimo.
4. L’adozione determina la nascita di un rapporto di filiazione a prescindere dalla procreazione: l’adottato infatti diventa figlio dell’adottante, a dispetto dell’assenza di un vincolo di sangue.
Si possono rinvenire quattro tipologie di adozione.
La prima tipologia è riconducibile a quei minori che versano in una condizione di abbandono morale e materiale da parte della famiglia legittima. Con l’adozione viene reciso ogni rapporto con la famiglia di origine, eccezion fatta per i divieti matrimoniali: il vincolo adottivo prende il posto di quello di sangue per cui il minore diviene pienamente inserito nel nuovo contesto famigliare. Tale adozione è consentita solo a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni con almeno diciotto anni in più dell’adottato e non oltre i quarantacinque. Sono adottabili solo quei minori per i quali sia intervenuta da parte del tribunale la dichiarazione di adottabilità. Alla fase descritta segue quella dell’affidamento pre adottivo che dura un anno e a cui segue l’adozione. Il minore adottato è figlio legittimo degli adottanti.
La seconda tipologia è riconducibile a casi particolari in cui i minori possono essere adottati anche a prescindere dalla dichiarazione di adottabilità. Ciò è consentito quando il minore sia orfano di padre o madre e gli adottanti siano persone unite a lui da un vincolo di parentela; quando il minore adottato da un coniuge sia figlio dell’altro coniuge; quando il minore sia orfano di padre o madre e sia portatore di handicap. Tale tipo di adozione non produce pieni effetti poiché il minore non è tagliato fuori dai rapporti con la sua famiglia di origine.
La terza tipologia è riconducibile all’adozione di maggiorenni (adozione civile) che non è né piena né legittima. Gli adottanti devono avere almeno trentacinque anni di età ed averne diciotto in più dell’adottato. Tale adozione non può prescindere dal consenso delle parti.
La quarta tipologia di adozione è quella internazionale. La procedura si apre con la dichiarazione di disponibilità all’adozione presentata al tribunale dei minorenni da coniugi residenti in Italia che intendano adottare un minore straniero residente all’estero. Il tribunale una volta accertata l’idoneità all’adozione emana un decreto, che una volta ottenuto darà agli adottanti la possibilità di aprire la procedura di adozione rivolgendosi ad un ente autorizzato.
5. L’affidamento pre adottivo non va confuso con l’affidamento. L’affidamento è la risposta ad una condizione grave ma non permanente di difficoltà famigliare che rischia di vanificare il diritto alla crescita del minore. Così il minore viene temporaneamente affidato ad una altra famiglia. A disporre dell’affidamento è il servizio sociale locale.
6. Il matrimonio dà fondamento alla famiglia legittima. Sono tre le tipologie di matrimonio: il matrimonio civile, il matrimonio concordatario ed il matrimonio celebrato dinanzi ai ministri di culti acattolici.
Il matrimonio concordatario è quel matrimonio celebrato dinanzi ad un ministro del culto cattolico che produce dal giorno del matrimonio gli stessi effetti del matrimonio civile a condizione che l’atto sia trascritto nei registri dello stato civile. Siamo dunque in presenza di un matrimonio canonico con cui in forza della trascrizione si hanno effetti civili. Questa duplice essenza del matrimonio concordatario produce effetti singolari, ad esempio chi ha contratto matrimonio concordatario ottenendone poi la cessazione degli effetti civili (divorzio), ove intenda risposarsi non potrà nuovamente celebrare un matrimonio religioso ma dovrà far ricorso al matrimonio civile. Il soggetto verserà dunque in una situazione paradossale ove sarà coniuge di una persona dinanzi alla Chiesa e di un’altra dinanzi allo Stato.
Il matrimonio civile non è un contratto ma un negozio giuridico a cui si affida centralità alla volontà degli sposi. Preliminarmente al matrimonio i futuri coniugi dovranno assolvere l’onere della pubblicazione fatta nei comuni ove essi risiedono a cura dell’ufficiale di stato civile del comune ove uno dei due ha residenza. L’atto di pubblicazione resta affisso per almeno otto giorni e se la pubblicazione non avviene nei 180 giorni successivi la pubblicazione si considera come non avvenuta. La pubblicazione ha il compito di dar notizia dell’intenzione dei fidanzati di contrarre matrimonio ed è funzionale a consentire la promozione di chi ne abbia interesse di cause e motivi che ostino il matrimonio. È il tribunale a decidere sulla giustezza dell’opposizione.
Il matrimonio richiede dei requisiti che se non sussistenti lo rendo invalido. È matrimonio invalido il matrimonio che non presenti i seguenti elementi essenziali: maggiore età degli sposi (art. 84) salvo minori emancipati; assenza di infermità mentale (art. 85); libertà di stato (art. 86); insussistenza di vincoli di parentela o affinità (art. 87); assenze di condanna di un coniuge per omicidio tentato o consumato sul coniuge dell’altro (art. 88); rispetto del divieto temporaneo di nuove nozze di almeno trecento giorni dallo scioglimento del precedente matrimonio (art. 89); capacità naturale al momento della celebrazione (art. 120); insussistenza di vizi della volontà (art. 122); assenza di simulazione (art. 123).
Il matrimonio è un atto negoziale di natura solenne poiché la sua validità è legata alla celebrazione. La celebrazione è pubblica ed avviene nella casa comunale dinanzi al sindaco o un suo delegato che darà lettura degli articolo 143, 144, 147 e riceve la dichiarazione di volontà. È richiesta inoltre la presenza di due testimoni. Segue alla celebrazione la compilazione dell’atto di matrimonio, unico dato che accerta l’avvenuta celebrazione del matrimonio.
L’art. 143 c.c. riguarda i diritti ed i doveri nascenti dal matrimonio richiamando principalmente agli obblighi reciproci di fedeltà, di assistenza morale e materiale, di collaborazione nell’interesse della famiglia e di coabitazione. L’art. 144 c.c. è invece inerente al luogo dell’indirizzo della vita famigliare e della residenza della famiglia che deve essere concordato dai coniugi. Infine l’art. 147 c.c. è riguardante i doveri verso i figli a cui si connette l’obbligo di mantenerli, educarli e istruirli tenendo conto delle loro capacità e della loro inclinazione naturale e aspirazioni.
La celebrazione del matrimonio impone obblighi e diritti non solo sul piano personale ma anche su quello patrimoniale. Con le novità introdotte dalla riforma del 1975 oggi è consentito ai coniugi di dar regola ai propri rapporti patrimoniale: tale autonomia si esplica attraverso convenzioni matrimoniali, ossia veri e propri accordi costituiti per atto pubblico. Alla stipula della convenzione matrimoniale si può addivenire in ogni tempo e lo stesso vale per le eventuali modifiche. All’atto della celebrazione del matrimonio i regime della comunione dei beni entra in vigore automaticamente ma è agli sposi consentito in quella stessa sede di rendere inoperanti detto regime e di dichiarare di scegliere il regime di separazione dei beni. La comunione legale dei beni sta a segnalare la proprietà comune dei beni acquistati dopo la celebrazione del matrimonio. A fianco ai regimi della comunione o della separazione dei beni, i coniugi possono convenire che determinati beni immobili o mobili registrati o titoli di credito, siano destinati a far fronte ai bisogni della famiglia, risultando così alla realizzazione di questa finalità vincolati. Viene in tal modo creato un fondo patrimoniale indisponibile ad altri fini ovvero solo disponibile a certe condizioni.
7. La crisi del rapporto tra coniugi è foriera di conseguenze giuridiche rilevanti.
L’intollerabilità alla prosecuzione della convivenza può indurre marito e moglie ad assumere, d’accordo la decisione di vivere separati. Si realizza in tal caso la separazione di fatto, la quale non modifica il piano dei diritti e dei doveri nascenti dal matrimonio.
Produce invece effetti giuridici rilevanti la separazione personale definita legale, che può realizzarsi in forma consensuale o in forma giudiziale, a cui è legata la sospensione degli obblighi di coabitazione, di assistenza morale e materiale e di fedeltà, nonché causa di scioglimento automatico del regime della comunione legale dei beni.
La separazione consensuale è la più diffusa. L’accordo raggiunto dai coniugi è presentato al tribunale perché questo lo omologhi, a cui segue la convocazione dei coniugi dinanzi al presidente dl tribunale tenuto a cercare un riconciliamento tra i due, qualora questo non dovesse avvenire il giudice che prende atto dell’accordo dispone l’omologazione della separazione personale consensuale. Più articolato è complesso è invece l’iter della separazione giudiziale che può essere richiesta a prescindere dalla colpa di uno dei due coniugi. La domanda di separazione giudiziale dà avvio ad un comune giudizio ordinario. I coniugi devono comparire dinanzi al giudice il quale tenterà di riconciliarli, se ciò è impossibile il giudice emana una sentenza di separazione ce dispone in primis in ordine al’affidamento dei figli. La pronunzia di separazione ha anche effetti nel rapporto tra i coniugi infatti a chi è addebitata la separazione è attribuito l’obbligo di mantenimento. Se i coniugi separati giungano a conciliazione la separazione cessa i suoi effetti. Tuttavia questa è una ipotesi molto remota, sempre più spesso si procede infatti al divorzio, ossia allo scioglimento definitivo del matrimonio pronunciata da sentenza di cui va operata l’annotazione che segna la fine di tutti i diritti ed i doveri derivanti dal matrimonio. Ma il dato più interessante da segnalare è la presenza della possibilità di un assegno di divorzio dato al coniuge economicamente più debole al fine di mantenerne inalterata la qualità della vita.
8. A completamento dell’indagine sul diritto di famiglia è bene richiamare l’istituto degli alimenti, che sono oggetto di un diritto e poggiano su legami di parentela e affinità in caso si versi in condizione di bisogno. Sono soggetti che beneficiano degli alimenti: il coniuge, i figli legittimi e naturali, i genitori, i generi e le nuore, il suocero e la suocera, i fratelli e le sorelle. La morte dell’alimentato come pure quella dell’alimentatore estingue il diritto agli alimenti.
SUCCESSIONE A CAUSA DI MORTE
1. La morte è un fatto giuridico a cui l’ordinamento ricollega degli effetti. Uno di questi è l’apertura della vicenda successori (mortis causa). Dunque, nel momento in cui un soggetto decede, nel luogo del suo ultimo domicilio, si apre la vicenda successoria (art 456 c.c.) volta a designare i successori e a disciplinare l’acquisto da parte dei successori medesimi.
Il nostro ordinamento conosce due tipi di successione, a cui se ne aggiunge una terza al verificarsi di certi presupposti. Le due forme propriamente dette sono la successione legittima e la successione testamentaria, la terza forma è invece la successione necessaria.
La vicenda successoria dà vita ad una serie di fasi più o meno complesse a seconda che si verta in tema di successione a titolo universale o successione a titolo particolare.
Il titolo universale sta a segnalare che l’erede subentra in una quota o in totale, nel complesso dei rapporti attivi e passivi delle situazioni giuridiche di fatto facenti prima capo al soggetto defunto, solo in seguito alla sua accettazione. Solo il successore a titolo universale è denominato erede.
Il titolo particolare sta invece a segnalare che il legatario subentra in uno o più diritti specificatamente determinati dal de cuius, non considerabili quali frazioni del suo patrimonio in modo automatico. Il successore a titolo particolare è denominato legatario.
2. L’apertura della successione è determinante a vari fini. Innanzitutto è al tempo in cui essa si verifica che bisogna guardare per determinare la consistenza del patrimonio ereditario. Anche la sussistenza della capacità delle persone fisiche a succedere va apprezzata in relazione al tempo dell’apertura della successione: il dato emerge chiaro dall’art. 462 c.c. che tale capacità riconosce in capo a tutti i nati o concepiti in quel momento. Anche agli enti è conosciuta la capacità di succedere. Alcuni casi di incapacità a succedere sono poi connessi alla presenza di condizioni di incompatibilità in capo a taluni soggetti, ne è esempio l’incapacità del notaio o dei testimoni di ricevere per testamento.
L’art. 458 c.c. detta poi il divieto dei patti successori, siano essi istitutivi, dispositivi o rinunciativi. Per patto successorio si intende un diritto o un’aspettativa giuridicamente rilevante vantata da un successibile prima dell’apertura del testamento. Dai patti successori si distinguono i patti di famiglia introdotti dall’art. 768 bis c.c., ove si intende il contratto con cui l’imprenditore trasferisce in tutto o in part l’azienda ad uno o più discendenti.
3. Coincidente con l’apertura della successione si ritiene sia la vocazione a cui si affianca l’istituto introdotto dall’art. 457 c.c. della delazione dell’eredità. Va subito sottolineato che la delazione segue la vocazione, e che quindi quest’ultima avviene prima. Per vocazione si intende la chiamata all’eredità e quindi ha a che fare con il profilo della designazione dei soggetti a favore dei quali si evolve l’eredità; la delazione dell’eredità invece è riconducibile al fenomeno con il quale l’eredità è offerta ad un soggetto.
4. L’art. 463 c.c. disciplina l’indegnità a succedere, di cui ne sono causa i seguenti motivi: uccisione o tentativo di omicidio della persona della cui successione si tratta o di un suo stretto congiunto; denuncia calunniosa di una delle persone indicate; decadenza della potestà genitoriale; induzione con dolo o violenza a fare o non fare testamento; soppressione, occultamento o alterazione del testamento; etc.
5. L’indegnità a succedere può colpire sia l’erede che il legatario. In questo caso come ne caso in cui il soggetto non possa o non voglia beneficiare della successione, la legge consente che operino meccanismi di devoluzione della chiamata (vocazione indiretta), che determini il subentro di altri soggetti nella posizione di chi non può o non vuole succedere.
Si richiama subito all’istituto della sostituzione, che sebbene trovi applicazione solo nell’ambito delle successioni testamentarie, ha un ruolo di primissimo piano. Esistono due forme di sostituzione: sostituzione ordinaria e sostituzione fedecommissaria. La prima si ha ove nel testamento, compaia nominato, un secondo istituito destinato a succedere ove il primo non possa o non voglia accettare l’eredità o acquisire il legato; il secondo tipo di sostituzione, fedecommissaria, implica invece una sequenza di vicende successorie.
Altro istituto legato al meccanismo della vocazione indiretta è quello della rappresentazione che opera sia nelle successioni legittime che testamentarie e che consiste nel subentro dei discendenti del soggetto che non vuole o non può succedere al suo posto. Il rappresentato deve essere figlio, fratello o sorella; mentre sono rappresentanti i discendenti legittimi o naturali dei rappresentati su indicati.
Se non si può ricorrere alla rappresentazione per mancanza dei presupposti ad essa connessi, può operare il meccanismo dell’accrescimento, a condizione che la vocazione dell’eredità riguardi più soggetti. In tal caso accade che l’oggetto della chiamata dei coeredi si espande.
6. Vertendo in tema di successione a titolo universale, l’acquisto dell’eredità non è legato né alla vocazione, né alla delazione dell’eredità, ma bensì all’accettazione, che si prescrive in un termine di dieci anni. Nel tempo intermedio tra la definizione o meno dell’acquisto, l’eredità è vacante, ed alla sua conservazione la legge si muove in una duplice direzione: una è riconducibile al caso in cui il chiamato sia nel possesso dei beni in oggetto, l’altra destinata ad operare in caso contrario.
Se il chiamato all’eredità non vuole assumere la qualità di erede, sarà dunque libero di rinunziarvi, a partire dal momento in cui la successione è aperta. Per la validità della rinunzia è richiesta la forma scritta, ed essa deve essere totale, determinandone la nullità in caso di parzialità dell’atto.
L’accettazione invece determina l’acquisto dell’eredità da parte del chiamato (art. 459 c.c.). L’eredità può venire accettata o in maniera semplice, e si parla di accettazione pura e semplice, o con beneficio di inventario (art. 470 c.c.). In particolare qualora si dovesse addivenire all’accettazione pura e semplice dell’eredità, i beni del defunto vanno a confondersi un’unica massa con i beni dell’erede, ponendo a rischio la posizione dei creditori e dei legatari. Per ovviare a ciò la legge accorda ai creditori ed ai legatari il diritto ad ottenere la separazione dei beni del defunto, da quelli dell’erede, onde far si che possano essere soddisfatte le loro ragioni, con un termine di tre mesi.
Sempre ed in qualsiasi momento, con azione imprescrittibile, l’erede può chiedere a tribunale del luogo ove la successione si è aperta il riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possieda tutti o parte dei beni ereditari, affermandosi erede: questa azione prende il nome di petizione ereditaria.
Quando più sono gli eredi interessati alla successione e questi sono istituiti pro quota indivia, viene a determinarsi una comunione ereditaria (incidentale) sui beni relitti del de cuius, la cui disciplina ricalca quella della normale comunione. Solo nei casi in cui è possibile i coeredi possono provvedere alla divisione consensuale dell’eredità.
7. L’ordinamento assegna un ruolo di primaria importanza alla devoluzione dell’eredità per via testamentaria. La successione testamentaria è così definita in quanto trae origine da un testamento, che ai sensi dell’art. 587 c.c. è un atto giuridico unilaterale avente valenza negoziale che un soggetto capace di agire può validamente compiere, nel rispetto di determinate forme e che, in ogni momento, può essere revocato. Il testamento è non solo un atto personale ma anche uni personale.
Le forme del testamento sono tre: testamento olografo, testamento pubblico e testamento segreto.
Il testamento olografo è quello scritto di proprio pugno, e dallo stesso datato e sottoscritto, che non deve essere per forza depositato presso terzi. Solo alla morte del testatore si procede alla sua pubblicazione. Il testamento pubblico non è caratterizzato da segretezza essendo redatto da un notaio in presenza di due testimoni. Il testamento segreto è invece un atto misto, che presenta caratteri del testamento olografo e del testamento pubblico. A queste forme di testamento se ne aggiungono altre speciali.
Si è già detto che le disposizioni a titolo universale (comportanti l’istituzione dell’erede) e a titolo particolare (comportante l’istituzione del legato) integrano il contenuto del testamento pur non essendo a contenuto patrimoniale. Si dibatte circa la validità della disposizione recante la diseredazione per via della sua non patrimonialità. Ma l’art. 587 nel comma 2 lascia intendere che anche disposizioni non patrimoniali possono essere inserite in un testamento. Tali disposizioni danno vita al contenuto atipico del testamento.
È inoltre ammesso che una disposizione testamentaria sia fatta sotto condizione sospensiva o risolutiva, mentre si può sottoporre a termine un legato ma non una disposizione a titolo universale.
È opportuno porre alcuni cenni sul legato. Si ricorda innanzitutto che il legato si acquista senza bisogno di accettazione, salva la facoltà di rinunziarvi, è opportuno poi distinguere più nel dettaglio tra legato di specie (avente ad oggetto la proprietà di una cosa determinata o di un diritto), e legato di genere (avente ad oggetto denaro o cose determinate solo nel genere). Dunque il legato è un peso che grava sull’eredità e si dice onerato il soggetto sul quale tale peso ricade.
Il testamento può in qualsiasi momento essere revocato o modificato. (art. 679 c.c.). La revoca è espressa se fatta con un nuovo testamento, recante la volontà del testatore di revocare in tutto o in parte la disposizione precedente; si ha revoca tacita ove il testatore confezioni un testamento posteriore che, pur non revocando espressamente i precedenti, rechi disposizioni con essi incompatibili. La revoca è invece presunta in ipotesi di lacerazione o distruzione o ritiro del testamento.
8. Quando manca in tutto o in parte la successione testamentaria, si fa ricorso alla successione legittima. L’art. 565 c.c. nell’individuare i soggetti successibili elenca il coniuge, i discendenti, gli ascendenti, gli altri parenti ed infine lo Stato.
9. Dicesi, infine, successione necessaria quella di cui beneficiano i legittimari, ossia i più stretti parenti del de cuius, a cui è inderogabilmente riservata una quota della successione.