CAPITOLO I
Dipartimento di giurisprudenza Cattedra di diritto del lavoro progredito
Il contratto a tempo determinato: Italia e Germania a confronto
Relatore: Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxxx Candidato: Xxxxxx Xxxxxxx
Matricola: 112803
Correlatore: Prof. Xxxxxxxx Xxxxxxx
A.A. 2015/2016
CAPITOLO I
IL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO IN ITALIA
1. Nozione, ed evoluzione della disciplina tra flessibilità e garanzie per il lavoratore 7
1.1. Nozione 7
1.2. La prima disciplina ex l. n. 230/62 e gli ampliamenti dell’ambito di
utilizzabilità 7
1.3. L’attuazione della Direttiva CE 1999/70 attraverso il d.lgs. n. 368/01
……………………………………………………………………………9
1.3.1 La Riforma Fornero - l. n. 92/2012 e il tentativo di contrasto
all’abuso della flessibilità 17
1.3.2 Il d.l. n. 34/2014 (conv. con modif. in l. n. 78/2014) cambia radicalmente i requisiti di validità dell’apposizione del termine al contratto 30
1.4. Il d.lgs. n. 81/2015 riordina la disciplina del contratto a termine 34
2. L’apposizione del termine e i requisiti di validità 36
2.1. Le abolite ragioni giustificatrici 36
2.2. Il limite di durata massima di 36 mesi per il singolo contratto 40
2.3 La specificazione in forma scritta 42
2.4 I divieti di assunzione a termine 42
3. Le proroghe e i rinnovi 44
3.1 La “liberalizzazione” dell’istituto della proroga 44
3.2 Il limite complessivo di 36 mesi alla successione di contratti: i xxxxxxx
…………………………………………………………………………...46
3.3 La continuazione di fatto del rapporto oltre il termine 49
4. La disciplina del rapporto di lavoro 50
4.1. Il principio di non discriminazione 50
4.2. I diritti di precedenza e le informazioni 52
4.3. Il diritto di formazione 55
4.4. Infortunio, malattia e maternità 56
4.5. Recesso… 57
4.6. L’impugnazione del contratto 58
5. Il limite quantitativo del numero complessivo di contratti a termine utilizzabili 61
5.1. Il 20% degli impiegati a tempo indeterminato e i criteri di computo
……………………………………………………………………..........61
5.2. L’apparato sanzionatorio: una disciplina con qualche lacuna 63
5.3. Le esenzioni dal limite quantitativo 64
6. I casi di esclusione dall’applicazione della disciplina del contratto a tempo
determinato 66
CAPITOLO II
LA DISCIPLINA DEL CONTRATTO A TERMINE IN GERMANIA
1. L’evoluzione della disciplina e delle fonti 69
1.1. La nozione di lavoratore a tempo determinato 69
1.2. L’origine giurisprudenziale del Befristungsrecht attraverso il controllo sulla elusione delle norme sul recesso 69
1.3. L’apposizione del termine senza ragioni giustificatrici introdotto dalla
Beschäftigungsförderungsgesetz nel 1985 72
1.4. La Direttiva 1999/70 CE e l’attuazione nella Teilzeit- und Befristungsgesetz 74
1.5. (Segue) Il caso Xxxxxxx e la modifica attraverso la Gesetz zur Verbesserung der Beschäftigungschancen älterer Menschen 75
1.6. La riforma globale dell’Arbeits- und Sozialrecht ad opera della Commissione Xxxxx 77
2. Le possibilità di apposizione del termine al contratto di lavoro 78
2.1. La elencazione (non tassativa) delle ragioni oggettive al §14 Abs. 1. 78
2.2. (Segue) La condizione risolutiva del contratto 86
2.3. Die kalendermässige Befristung - le ipotesi di durata massima, e il
Doppelbefristung 87
2.4. La forma scritta 92
3. Le conseguenze dell’inefficacia del termine 94
3.1. L’impugnazione avanti al Bundesarbeitsgericht 94
3.2. (Segue) La prova dell’inefficacia nel processo 96
3.3. La trasformazione in rapporto a tempo indeterminato e le possibilità di recesso 98
4. I diritti di formazione e informazione 100
5. Il divieto di discriminazione… 102
6. La fine del rapporto di lavoro 104
6.1. Il raggiungimento dello scopo e l’obbligo di informare il lavorato
………………………………………………………………………....105
6.2. L’ordentliche Kündigung previsto contrattualmente: Höchst – und Mindestdauer 107
6.3. L’ipotesi del langfristiges Arbeitsverhältnis ex § 15 Abs. 4 TzBfG 108
6.4. Le conseguenze della prosecuzione del rapporto dopo la scadenza del termine 110
7. L’eccezione delle discipline specifiche 111
CAPITOLO III LE DUE DISCIPLINE A CONFRONTO
1. Le fonti: l’abbondante produzione legislativa italiana 115
2. L’apposizione del termine, tra specialità e fungibilità 117
3. La distinzione tra proroghe e rinnovi in Italia, e la continuazione di fatto del rapporto di lavoro 121
4. Il rapporto di lavoro tra armonizzazione comunitaria e diversità di regolazione
……………………………………………………………………………...126
5. L’apparato sanzionatorio: la tassatività dei casi di trasformazione in contratto
a tempo indeterminato nella disciplina italiana 132
6. La conformità delle due normative alla Direttiva 1999/70 CE 135
CONCLUSIONI 140
BIBLIOGRAFIA 144
CAPITOLO I
IL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO IN ITALIA
1. Nozione, ed evoluzione della disciplina tra flessibilità e garanzie per il lavoratore
1.1. Nozione
Il contratto di lavoro a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato al quale è apposto un termine finale: la scadenza di detto termine determina l’estinzione del rapporto di lavoro in maniera automatica. Come dottrina maggioritaria sostiene1, e il giudice di legittimità ha più volte ribadito2, il termine è un elemento accidentale del contratto di lavoro subordinato, la cui forma comune invece è a tempo indeterminato, ossia sotto forma di un legame dal quale si può recedere solo al verificarsi di determinati motivi, previsti dalla legge. La stessa legge ha espressamente confermato tale principio generale, a partire dall’intervento della l. n. 247/2007, chiaramente ispirata dalle considerazioni e dal Preambolo dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato cui alla Direttiva 1999/70 CE, nei quali viene riconosciuto che «i contratti a tempo determinato rispondono, in alcune circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori».
1.2. La prima disciplina ex l. n. 230/62 e gli ampliamenti dell’ambito di
utilizzabilità
La disciplina del rapporto di lavoro subordinato contenuta nel Codice civile del 1942, quando all’art. 2097 regola la durata del contratto di lavoro, statuisce al primo comma che il contratto di lavoro subordinato «si reputa a tempo indeterminato». Un termine poteva risultare dalla “specialità del rapporto” o da un atto scritto: tuttavia esso era privo di effetto, se sottintendeva una finalità
1 X. XXXXX, Lezioni di diritto del lavoro, Torino, 2012, pag. 340
2 Cfr. ex multis, Xxxx. Civ. Sez. Lavoro 2 aprile 2012, n. 5241
elusiva della disciplina del contratto a tempo indeterminato, e se il rapporto proseguiva dopo la scadenza dello stesso termine, il contratto si considerava a tempo indeterminato (salvo contraria volontà delle parti). E ancora, se il termine era previsto per più di cinque anni, trascorso tale periodo il lavoratore poteva recedere a norma dell’art. 2118 cod. civ. Tuttavia, tali regole «non avevano impedito imponenti abusi nel suo utilizzo»3: di conseguenza, nel 1962, con la legge n. 230 «l’ordinamento assunse una posizione di esplicito disfavore per il contratto a termine»4, con l’abrogazione dell’art. 2097 cod. civ. Tale normativa infatti consente l’apposizione del termine solamente per i casi tassativamente previsti nell’art. 1, attraverso la forma scritta (per tutti i rapporti di durata maggiore di dodici giorni), la proroga risulta essere istituto eccezionale possibile in caso di «esigenze contingibili ed imprevedibili» (art. 2), e la continuazione di fatto del rapporto e la riassunzione in violazione dei termini previsti comporta la conversione del contratto in contratto a tempo indeterminato; all’art. 5 inoltre sancisce il principio della parità di trattamento. Le norme di cui alla l. n. 230/1962, «nel corso degli anni ’70 si sono sommate con la forte tutela in tema di licenziamento»5 introdotta dalle leggi n. 604/1966 e n. 300/1970, con l’effetto di irrigidire notevolmente la disciplina del contratto di lavoro subordinato. E così, negli anni successivi «la crisi economica e le difficoltà attraversate dal sistema produttivo, a seguito dell’accelerarsi dei processi di innovazione tecnologica e di globalizzazione, hanno portato il legislatore ad attenuare il rigore della legge n. 230/1962, ampliando l’area di legittimo utilizzo del lavoro a termine quale strumento di flessibilità utile a sopperire a specifiche esigenza dell’impresa»6. In particolare, l’art. 23 della l. n. 56/1987 introduce «la cd. contrattazione delegata, cioè una combinazione fra una normativa legislativa rigida ed una disciplina
3 X. XXXXXXXX, Art. 2097 – Durata del contratto di lavoro, in Dell’impresa e del lavoro – Vol. I: artt. 2060
– 2098, X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX (a cura di), parte della collana Commentario del Codice Civile, X. XXXXXXXXX (diretto da), UTET giuridica, 2012, pag. 614
4 X. XXXXX, Lezioni di diritto del lavoro, cit., pag. 340
5 X. XXXXXXXX, Art. 2097 – Durata del contratto di lavoro, cit., pag. 614
6 X. XXXXX, Lezioni di diritto del lavoro, cit., pag. 341
collettiva flessibile»7, affidando alla contrattazione collettiva delle associazioni sindacali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale la possibilità di individuare ipotesi di legittima apposizione del termine ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge del 1962. Inoltre, sempre a norma del comma 1 dell’art. 23 i contratti collettivi possono determinare «il numero in percentuale dei lavoratori che possono essere assunti con contratto di lavoro a termine rispetto al numero dei lavoratori impegnati a tempo indeterminato». Sebbene sia riconosciuto che «l’esperimento del 1987 ha avuto successo, avendo i sindacati ben ripagato la fiducia in essi riposta dal legislatore», negli anni novanta «il sistema delle imprese, a fronte della concorrenza internazionale e della progressiva e veloce globalizzazione dei mercati, ed anche per l’impossibilità di ottenere un’attenuazione delle tutele in tema di licenziamento, ha iniziato a premere per ottenere un forte ampliamento dei limiti posti alle assunzioni a termine» 8 : con legge n. 196/1997 viene introdotto il lavoro temporaneo. Peraltro, un momento molto più rilevante per la disciplina del contratto a tempo determinato si avrà solo nel 1999, quando la Direttiva 1999/70 CE introduce una normativa comune a livello comunitario (infra), la quale sarà attuata nel nostro ordinamento con il d.lgs. n. 368/2001, delegato al Governo dalla legge n. 422/2000.
1.3 L’attuazione della Direttiva 1999/70 CE attraverso il d.lgs. n. 368/01
Nel 1994 si riunisce ad Essen il Consiglio europeo. Dalle conclusioni risulta che uno degli ambiti su cui intervenire è la situazione occupazionale, il cui miglioramento è auspicabile attraverso, tra i mezzi chiave proposti, un’organizzazione del lavoro più flessibile «che risponda sia ai desideri dei lavoratori che alle esigenze di competitività». Fino al 1998 manca un intervento delle istituzioni comunitarie, che però invitano le parti sociali a concludere accordi al fine di modernizzare l’organizzazione del lavoro, e di «realizzare il
7 X. XXXXXXX, Le riforme del mercato del lavoro: dalla legge Fornero al Jobs Act – Jobs Act, atto I: la legge
n. 78/2014 tra passato e futuro, cit., pag. 9
8 X. XXXXXXXX, Art. 2097 – Durata del contratto di lavoro, cit., pag. 616
necessario equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza». Infatti, il cosiddetto “dialogo sociale”, di cui all’art. 139 del Trattato CE, permette alle parti sociali di negoziare accordi a livello comunitario, che, su proposta della Commissione, possono essere attuati dal Consiglio con decisione. Così la Commissione, reputando opportuna un’azione comune sulla flessibilità dell’organizzazione del lavoro, consulta le stesse parti sociali a tal fine. Le organizzazioni intercategoriali a carattere generale UNICE, CEEP e CES, dunque, avviano nel 1998 il procedimento, che si conclude il 18 marzo 1999 con un accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, che stabilisce i “principi generali e i requisiti minimi” per i rapporti di lavoro a termine, allo scopo di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato, e di realizzare un quadro normativo per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzazione successiva degli stessi contratti o rapporti a tempo determinato. Concluso il procedimento, l’accordo quadro viene successivamente attuato nella comunità con l’adozione della Direttiva 1999/70 CE il 28 giugno dello stesso anno. Gli Stati membri, ai sensi dell’art. 249 del Trattato CE (ora art. 288 TFUE), devono realizzare l’obiettivo della direttiva, vincolante, conformandosi alla stessa al più tardi entro il 10 luglio 2001, salvo il periodo supplementare al massimo di un ulteriore anno ove necessario. Il Preambolo e le dodici Considerazioni generali dell’accordo quadro esplica i principi e i criteri sui quali le parti sociali hanno convenuto, e che hanno influenzato la previsione delle clausole che formano il fulcro dell’allegato alla direttiva. Innanzitutto i contratti a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro: essi contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori e a migliorarne il rendimento. Tuttavia, considerato che in determinate circostanze e per alcuni settori l’utilizzo di contratti a termine risponde sia alle esigenze dei datori di lavoro che dei lavoratori, e che contribuisce a modernizzare l’organizzazione del lavoro, al fine di rendere produttive e competitive le imprese, le parti sociali intendono costruire un insieme di regole che garantiscano parità di trattamento con i lavoratori a tempo indeterminato, e «un uso dei contratti di lavoro a tempo determinato accettabile sia per i datori di lavoro che
per i lavoratori». Le clausole che seguono, così formando il quadro normativo auspicato, riguardano: definizioni, obiettivo e campo d’applicazione dell’accordo quadro (clausole 3, 1 e 2); il principio di non discriminazione (cl. 4); le misure di prevenzione degli abusi (cl. 5); l’informazione ai lavoratori sulle possibilità d’impiego (cl. 6); informazione e consultazione delle organizzazioni dei lavoratori (cl. 7); e in ultimo le disposizioni di attuazione (cl. 8).
Nel nostro ordinamento l’attuazione della Direttiva 1999/70 CE avviene attraverso il decreto legislativo 6 settembre 2001 n. 368, che abroga la legge 18 aprile 1962 n. 230, e che vede nei contratti a tempo determinato stipulati dalla data di entrata in vigore (10 ottobre 2001) il suo ambito di applicazione. Questo decreto legislativo risponde a tutte le richieste dell’accordo quadro, in ordine al raggiungimento degli obiettivi di cui alla clausola 1. Per quanto concerne tuttavia l’obiettivo ex lettera b) della stessa clausola, ossia la creazione di «un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato», bisogna fare una precisazione, e distinguere dall’altro obiettivo ex lett a), a causa della clausola 5 sulle misure di prevenzione degli abusi. Infatti questa clausola richiede agli Stati membri l’introduzione, in assenza di “norme equivalenti”, e tenendo conto delle peculiarità caratteristiche di determinati settori o categorie di lavoratori, di disposizioni che impongano, alternativamente9: a) la giustificazione attraverso ragioni obiettive per il rinnovo di contratti o rapporti a termine, b) la durata massima totale di tali contratti o rapporti, o c) un numero massimo di rinnovi. In secondo luogo, e sempre nel contesto delle misure di prevenzione agli abusi, gli stessi destinatari della direttiva potranno stabilire quando due contratti si devono considerare “successivi”, e prevedere eventualmente la conversione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato, e a quali condizioni questa debba aver luogo. Ora, la clausola 5, come la giurisprudenza della Corte di
9 Cfr. ex multis, CGUE Sentenza 26 novembre 2014, C-22/13 C-61-63/13 C-418/13, Xxxxxxx, punti 74 e 75
Giustizia dell’Unione ha diverse volte puntualizzato10, non è una disposizione sufficientemente precisa né incondizionata, e per tale motivo non può essere invocata dal singolo avanti al giudice nazionale. La clausola 5 «persegue specificamente tale obiettivo di prevenzione» (cui alla clausola 1 lett b) dell’accordo quadro), ma la trasposizione di una o più misure della clausola stessa non scioglie il vincolo degli Stati destinatari, che è legato invece allo scopo della realizzazione del quadro normativo di prevenzione. Inoltre, una normativa nazionale che ammetta una successione di contratti a termine senza prevedere alcuna delle disposizioni ex clausola 5, può essere conforme all’accordo quadro se l’ordinamento giuridico contiene una «misura efficace equivalente per evitare e, all’occorrenza, sanzionare l’utilizzazione abusiva di contratti a tempo determinato ripetuti»11, a patto che non sia solo un formale richiamo ad una disposizione che permette tale utilizzazione successiva senza effettiva concreta limitazione ai soli casi obiettivamente legittimi, in modo “generale e astratto”. E se, oltre al generale obbligo dell’art 288 TFUE (ex art. 249 TCE), l’art. 2 della direttiva espressamente richiede che «gli Stati membri devono prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla presente direttiva», si deve ritenere che l’obbligo di interpretazione conforme del diritto interno da parte del giudice nazionale, e di conseguenza la disapplicazione di quella norma che è contraria all’obiettivo della direttiva, sarà legittimamente indirizzata non solo alle disposizioni che sono applicazione della clausola 5, ma al diritto interno nel suo insieme, al fine di garantire la piena efficacia della direttiva12, e rispondendo nondimeno ai canoni dei principi di equivalenza e effettività; e, da notare, anche prima della scadenza del termine di attuazione della specifica direttiva. La clausola 4 sul principio di non discriminazione invece, la quale riprende l’obiettivo cui alla clausola 1 lett. a), trova la sua genesi in diversi strumenti internazionali e nelle “tradizioni costituzionali” degli Stati membri, e deve essere
10 Cfr. ex multis, CGUE Sentenza 15 aprile 2009, C-268/06, Impact, punto 83
11 CGUE Sentenza 10 marzo 0000, X-000/00, Xxxxxxxx Xxxxxxxxx AG, punto 44
12 Cfr. CGUE Sentenza Angelidaki e a. cit., punto 200
considerato principio generale del diritto comunitario; inoltre, anche il suo contenuto “sufficientemente preciso”, la rende possibile di immediata invocazione da parte del singolo e applicazione del giudice13 (infra). Il d.lgs. n. 368/2001 attua la clausola sul principio di non discriminazione all’art. 6: norma che specifica ulteriormente il contenuto della clausola dell’accordo quadro con riferimento a tutti i trattamenti “in atto nell’impresa” per i lavoratori con contratto di durata “comparabili” (in base all’inquadramento effettuato nella contrattazione collettiva), che i lavoratori a tempo determinato devono indifferentemente e proporzionalmente ricevere; norma che non ha subito censure dalla Corte di Giustizia né ha attirato grosse critiche della dottrina e della giurisprudenza nazionale.
La clausola 5 dell’accordo quadro ha avuto invece un’attuazione più complicata. L’art. 1 nella prima formulazione prevede la specificazione di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo nella apposizione del termine al contratto di lavoro, in forma scritta – a pena di inefficacia, estendendo la richiesta della lettera b) della clausola 5.1 anche alla prima stipulazione del contratto a tempo determinato (cfr. Cap. 2 par. 2.1). Al punto 2 la stessa clausola chiede agli Stati membri di stabilire quando due contratti debbano considerarsi successivi, a fini sanzionatori, e il legislatore del 2001 all’art. 5 del decreto legislativo prevede la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato («si considera a tempo indeterminato»): che ha effetto sin dalla stipulazione del primo contratto, nel caso di due assunzioni senza soluzione di continuità; dal giorno dell’assunzione successiva, se questa avviene entro dieci giorni dalla scadenza del contratto precedente, quando quest’ultimo aveva un termine inferiore a sei mesi, altrimenti nel caso avvenga entro venti giorni dalla stessa scadenza. Altro caso di conversione in contratto a tempo indeterminato è quello delle due disposizioni in apertura dello stesso articolo, che segue l’ipotesi della prosecuzione di fatto del rapporto di lavoro al termine del contratto. Se infatti il
13 Cfr. CGUE Sentenza Impact cit., punto 60
lavoratore continua la prestazione di lavoro nei giorni successivi alla scadenza del termine, il datore è obbligato a corrispondere al primo una maggiorazione della retribuzione per i primi venti giorni, se contratto di durata inferiore ai sei mesi, o diversamente per i primi trenta giorni; dopodiché, se il lavoratore continua a prestare la stessa attività, il contratto si considera a tempo indeterminato alla scadenza di tali termini di venti o trenta giorni (infra). Tuttavia, l’art. 4 prevede la possibilità di proroga del contratto a tempo determinato per una volta, seppure affiancandole stringenti limiti: durata del contratto inferiore ai tre anni, medesima attività lavorativa, ragioni oggettive che giustifichino la proroga (l’onere della prova è a carico del datore di lavoro), consenso del lavoratore, e durata complessiva del rapporto comprensivo di proroga inferiore ai tre anni. L’apposizione del termine è sempre vietata nelle ipotesi indicate all’art. 3 del decreto legislativo, mentre l’art. 10 considera i rapporti che sono disciplinati da normative specifiche, cui il d.lgs. n. 368/2001 non si applica; i servizi aeroportuali sono caratterizzati da una disciplina aggiuntiva ai sensi dell’art. 2. Gli altri articoli sostanzialmente riguardano gli obblighi di formazione (art. 7) e informazione (art. 9), e i criteri di computo (art.9), includendo anche il numero di lavoratori a tempo determinato nel criterio dimensionale di un’impresa ai sensi dell’art. 35 della legge 20 maggio 1970 n. 300, ma solo per contratti di durata superiore ai nove mesi. Infine, da notare è il comma 7 dell’art. 10, che legittima e limita le cosiddette clausole di contingentamento, riconoscendo ai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, la possibilità di prevedere un limite quantitativo di contratti a termine rispetto al totale dei rapporti di lavoro in essere in un’impresa, esclusa tuttavia per determinati casi. Tali contratti collettivi nazionali disciplinano anche i diritti di precedenza nelle assunzioni presso la stessa azienda e per la stessa qualifica, che in ogni caso si estinguono dopo un anno, come previsto nei commi 9 e 10.
La prima rilevante modifica al decreto legislativo di attuazione della direttiva viene apportata dalla legge 24 dicembre 2007 n. 247. L’anteposizione del comma 01 nell’art.1 tende a ribadire quello che è anche uno dei principi espressi nel Preambolo e nelle Considerazioni generali in apertura dell’accordo quadro sul contratto a tempo determinato: «Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato». Intervento questo meramente politico, che vuole mettere il punto sulla dibattuta questione dell’eccezionalità del contratto a tempo determinato, cui si ricorre solo se giustificato da ragioni concrete specificate a norma dei commi successivi. Nella stessa direzione, e tuttavia non dichiarazione di principio ma regola efficace nel limitare il ricorso al contratto a termine anche quando giustificato obiettivamente, è invece quella derivante dalla modificazione dell’art. 5. Il comma 4-bis limita la durata complessiva di successivi contratti a termine conclusi tra un lavoratore ed un datore di lavoro per lo svolgimento di mansioni equivalenti, anche se prorogati o rinnovati, ad un massimo di 36 mesi; non si considerano nel computo i periodi di interruzione tra un contratto e l’altro. Se l’ultimo contratto sfora tale limite complessivo, il rapporto si ritiene a tempo indeterminato. L’ultima parte dello stesso comma permette la stipulazione tra le parti dello stesso rapporto di un ulteriore contratto a termine, con l’assistenza delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, che inoltre stabiliscono “con avvisi comuni” tra associazioni dei lavoratori e datoriali la durata massima del contratto stesso. I commi da 4-ter, a 4-quinquies invece disciplinano il diritto di precedenza, che viene tolto alla disciplina contrattuale, abrogando la l. n. 247/2007 i commi 9 e 10 dell’art. 10 del decreto legislativo che viene qui considerato.
Nel 2008 il legislatore, in chiara controtendenza rispetto alla direzione di maggiore limitazione nella possibilità di ricorso al contratto a tempo determinato, perseguita nella l. n. 247/2007, interviene sul d.lgs. n. 368/2001 attraverso l’art. 21 del decreto legge del 21 agosto, n. 195. Quest’ultimo decreto legge, convertito con l. n. 133/2008, si pone l’obiettivo di rilanciare la crescita del Paese, anche
stimolando l’attività imprenditoriale e gli investimenti. Così il Capo VI, intitolato “Liberalizzazioni e deregolazione”, contiene l’art. 21, che erode esattamente i tentativi di ampliamento della tutela dei lavoratori a tempo determinato dalla precarizzazione ‘abusiva’, previsti dalla legge del 2007, allo scopo di rendere più competitive le imprese e conseguentemente aumentare la «crescita del tasso di interesse del PIL». E infatti, il tentativo dell’inserimento del comma 01 in ordine alla promozione di una utilizzazione del rapporto a termine solo secondaria ed eccezionale, al pari degli altri contratti di lavoro ‘atipici’, già avente perlopiù valore politico, viene svuotato di effettività, e di potenzialità ad essere oggetto del dibattito dottrinale, dalla locuzione «anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro» che nell’art. 1 segue e si aggancia alla necessaria giustificazione causale dell’apposizione del termine al contratto (cfr. Cap. 2 par. 2.1). Ancora, la misura di prevenzione dell’abuso che il legislatore del 2007 aggiunge a quella delle ragioni obiettive, ossia la durata massima triennale, viene potenzialmente svuotata di contenuto dall’intervento del d.l. n. 195/2008, che rende la contrattazione collettiva delle organizzazione sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, a livello nazionale, territoriale e aziendale, capace di disporre di tale limite di durata massima (cfr. Cap. 2 par. 2.2). Allo stesso modo, viene restituito alla contrattazione collettiva il potere di intervenire sui diritti di precedenza come disciplinati dalla l. n. 247/2007. A fini di completezza si ricorda infine il comma 1-bis dell’art. 21 del decreto legge, inserito in fase di conversione dalla legge n. 133 del 2008, che introduce nel d.lgs. n. 368/2001 la disposizione transitoria dell’art. 4-bis sull’indennizzo a favore del lavoratore per la violazione degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo, applicata ai soli giudizi in corso all’entrata in vigore della stessa disposizione; norma che tuttavia sarà dichiarata incostituzionale dalla sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, poiché irragionevolmente discriminante per i soli contratti oggetto dei giudizi pendenti a tale data.
1.3.1. La riforma Fornero – l. n. 92/2012 e il tentativo di contrasto all’abuso della
flessibilità
In prospettiva di un’inversione di tendenza dell’andamento economico del Paese nel 2011 il Governo Xxxxx studia una riforma globale del mercato del lavoro, che possa accompagnare e stabilizzare la crescita economica che le altre riforme approntate dall’esecutivo devono stimolare. Il 28 giugno del 2012 viene promulgata la legge n. 92, conosciuta, per la vastità del suo intervento e a nome del Ministro del lavoro che ne ha diretto la formazione, come “Riforma Fornero”. Come espresso nell’art. 1 della stessa legge, obiettivo della riforma è «realizzare un mercato del lavoro dinamico e inclusivo, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione». Il primo grande settore di intervento è il rapporto di lavoro subordinato: tipologie di contratto, flessibilità in entrata, flessibilità in uscita, tutela del prestatore di lavoro. L’art. 1 della l. n. 92/2012 specifica al comma 1 in quali direzioni le misure della stessa agiscono, al fine della realizzazione di quel mercato del lavoro in apertura auspicato: tra i diversi mezzi, e per quello che a noi qui interessa, la legge prende in considerazione la promozione di rapporti di lavoro più stabili (lettera a)) e il contrasto dell’uso «improprio e strumentale degli elementi di flessibilità progressivamente introdotti nell’ordinamento con riguardo alle tipologie contrattuali» (lettera b)). E proprio su queste due direttrici si muove la modificazione del decreto legislativo 368 del 2001 – testo contenente la disciplina del contratto a termine, e quindi una porzione rilevante degli “elementi di flessibilità” presenti nel nostro ordinamento - di cui al comma 9 della l. n. 92/2012. Innanzitutto, esso sostituisce il comma 01 dell’art. 1 della versione originaria contenente il riferimento alla stipulazione del contratto di lavoro subordinato “di regola” a tempo indeterminato, poco chiaro ed eluso facilmente dall’intervento legislativo del 2008, con un più ‘ortodosso’ richiamo a quello che è il principio esplicitato nell’accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70 CE:
il contratto a tempo indeterminato costituisce la “forma comune” del rapporto di lavoro (supra). Riguardo la effettività di questo nuovo art. 1 comma 01 la dottrina ha espresso pareri diversi, che variano tra quelli che escludono qualunque utilità al cambiamento in parola14, e quegli altri che invece ritengono la modifica funzionale al valore che la forma di lavoro subordinato più stabile assume all’interno della riforma15. Molto più rilevante è pero l’introduzione del cd. primo contratto acausale. La l. n. 92/2012 disciplina infatti la possibilità di stipulazione di un contratto di lavoro a tempo determinato senza la necessaria allegazione di una ragione oggettiva, per il primo rapporto tra un lavoratore ed un’impresa, e per una durata massima di dodici mesi, inserendo nel d.lgs. n. 368/2001 l’art. 1-bis. Questa innovazione è in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia formatasi sulla direttiva del 1999, che ritiene oggetto della prevenzione dagli abusi la reiterazione di contratti a tempo determinato16, e, nelle limitazioni previste, non fa che confermare la indispensabile causalità e la conseguente infungibilità della scelta del rapporto a termine, così come indicato espressamente tra gli intenti della Riforma 17 . L’acausalità del solo primo contratto, da interpretare come rapporto tra un datore ed un prestatore di lavoro mai preceduto da alcun contratto di lavoro subordinato 18 (e secondo altra dottrina, anche riguardo eventuali rapporti di lavoro autonomo tra gli stessi soggetti, nonostante l’indirizzo della Circolare del Ministeriale n. 18/201219), affiancata dal divieto di proroga dello stesso contratto acausale ex art. 4 comma 2-bis del decreto legislativo 368, vuole rendere il primo contratto di cui all’art. 1 comma 1-bis una sorta di lungo periodo di prova: un contratto di ingresso teso a sperimentare il lavoratore presso l’azienda, e ad assumerlo stabilmente in caso di esito positivo del primo rapporto tra le due parti, anche a causa del ‘rischio’ di
14 P. XXXXXX, Luci e ombre sul restyling del lavoro a tempo determinato, in DPL, 2012, 1321
15 X. XXXX, Il lavoro a tempo determinato dopo la riforma Fornero, in LG, 2012, 12, 1141
16 Cfr. ex multis, CGUE Sentenza Deutsche Lufthansa AG cit., punto 32
00 X. XXXXXXXX, Xx riforma del contratto a termine nella legge 28 giugno 2012, n. 92, in Working Papers CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT-153/2012
18 G. Z. XXXXXX, X. XXXXXXXXX, Il contratto ‘acausale’, in In attesa della nuova riforma: una rilettura del lavoro a termine, ADAPT Labour Studies e-book Series n. 9
00 X. XXXXXXXX, Xx riforma del contratto a termine nella legge 28 giugno 2012, n. 92, cit., 9
sforamento del limite di durata massima complessiva di 36 mesi20. Tuttavia, come molte voci della dottrina hanno denunciato21, il vero rischio derivante dall’utilizzo di questo istituto ricade sui prestatori di lavoro, che possono essere oggetto di turnover da parte di imprese sempre diverse, e rimanere in questo modo outsider nel mercato del lavoro, “precari a tempo indeterminato”. L’assunzione con contratto a termine acausale può tuttavia prescindere dal presupposto del primo rapporto, a norma dello stesso art. 1 comma 1-bis, quando la contrattazione collettiva stipulata dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale preveda tale possibilità, entro il quantitativo massimo del «6 per cento dei lavoratori occupati nell’unità produttiva», nell’ambito di un processo organizzativo all’interno dell’impresa necessitato dall’avvio di una nuova attività, dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo, dall'implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico, dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo, o infine dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente. Nonostante l’apparente acausalità dei contratti a tempo determinato in queste ipotesi previsti dalla contrattazione, nazionale o decentrata, le stesse circostanze alla base di questa possibilità sono ragioni organizzative oggettive (oltre che intrinsecamente temporanee), e concrete, potenzialmente oggetto di sindacato da parte del giudice, al pari delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo, e la cui convenienza dunque è quantomeno dubbia22. In tal caso l’unica vera opportunità per un utilizzo dell’istituto da parte delle imprese si porrebbe nel caso in cui il silenzio del legislatore sulla durata dello stesso si interpretasse come una possibilità di impiego a termine sganciata dal limite massimo dei dodici mesi. Verso l’obiettivo della prevenzione e del contrasto dell’abuso delle forme di flessibilità in entrata dovrebbero dirigersi anche gli altri interventi di modifica del decreto legislativo 368 del 2001. In
20 X. XXXX, Flessibilità e tutele nella riforma del lavoro, in Working Papers, CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT-155/2012
21 G. Z. XXXXXX, X. XXXXXXXXX, Il contratto ‘acausale’, cit.; X. XXXXXXXX, La riforma del contratto a termine nella legge 28 giugno 2012, n. 9, cit.
22 X. XXXXXXXXX, La riforma del lavoro, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2012
primo luogo, la l. n. 92/2012 allunga i periodi di tempo oltre i quali la prosecuzione di fatto del rapporto di lavoro di cui all’art. 5 comma 1 del decreto legislativo comporta la conversione in contratto a tempo indeterminato: trenta giorni, anziché venti, in caso di contratti di durata inferiore a sei mesi; cinquanta giorni, anziché trenta, negli altri casi (art. 5 comma 2). Evidentemente, il prolungamento di tali periodi, atti ad evitare la stabilizzazione definitiva di un rapporto stipulato a tempo determinato, non può essere considerato un passo a favore degli interessi dei lavoratori23. Allo stesso modo non è una forma di contrasto all’uso «improprio e strumentale degli elementi di flessibilità introdotti nell’ordinamento con riguardo alle tipologie contrattuali», che il legislatore del 2012 si propone; certamente può essere visto come una ridistribuzione più equa delle tutele dell’impiego, che però sul versante datoriale deve essere portata a compimento attraverso un ‘adeguamento’ della disciplina del licenziamento (cfr. art. 1 comma 1 lettera c) l. n. 92/2012). In secondo luogo all’art. 5 viene anche aggiunto un comma 2-bis, il quale prevede che nelle ipotesi di cui al comma 2 il datore di lavoro ha l’onere di comunicare al Centro per l’impiego la prevista prosecuzione del rapporto, nonché la durata della stessa, entro la scadenza del termine iniziale. Le incoerenze qui sono diverse. Innanzitutto la comunicazione della continuazione del rapporto non si coordina con quella che è la ratio dell’istituto della prosecuzione di fatto del rapporto, ossia la tutela del datore di lavoro dalla conversione del contratto del lavoratore, da un lato, la tutela del lavoratore (attraverso la maggiorazione della retribuzione prima, la conversione del contratto poi) dall’altro, nei casi in cui le parti, per disguidi o dimenticanza, non rispettino la scadenza finale del contratto a termine - ipotesi questa fisiologicamente occasionale, non prevedibile24. Forse maggiormente prevedibile risulta essere per il datore di lavoro la durata della continuazione, essendo disciplinati nello stesso art. 5 che regola l’onere di comunicazione anche i termini che la prosecuzione non dovrà superare affinché possa essere elusa la tutela della
00 X. XXXXXXXX, Xx riforma del contratto a termine nella legge 28 giugno 2012, n. 92, cit.
24 X. XXXX, Il contratto a tempo determinato dopo la legge n. 92/2012, in Working Papers CDSLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT 154/2012; X. XXXXXXXXX, La riforma del lavoro, cit.
maggiorazione del quaranta percento (oltre il decimo giorno successivo al termine del contratto) o per lo meno della conversione. Peraltro, l’incoerenza maggiore risulta dall’esordio del nuovo comma 2-bis, che lega l’onere di comunicazione alle ipotesi del comma precedente, il quale però non disciplina la prosecuzione di fatto del rapporto, ma la sanzione della conversione del contratto quando la continuazione superi i termini lì previsti (supra). Come può il datore di lavoro comunicare al Centro per l’impiego la continuazione del rapporto entro il termine “inizialmente fissato”, nei casi di prosecuzione oltre i trenta o i cinquanta giorni dopo la scadenza dello stesso termine? Qualcuno in dottrina tuttavia ritiene che il riferimento alle ipotesi del comma 2 rende l’adempimento di cui al comma successivo un presupposto necessario per la conversione del contratto 25 (il rimando non è anche al comma 1 che regola le maggiorazioni della retribuzione). Se anche così fosse, questa necessaria comunicazione sarebbe, oltre che di fatto difficilmente realizzabile, per lo meno controproducente, per il datore di lavoro. Da ultimo, infatti, il comma 2-bis non sanziona l’inottemperanza dell’onere di comunicazione del datore di lavoro. Risulta così essere tale istituto semplicemente un “appesantimento burocratico”26. Ulteriore modifica del d.lgs.
n. 368/2001 si concentra sugli intervalli tra due contratti a termine successivi, il cui mancato rispetto comporta la conversione del secondo in contratto a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 5 comma 3. Un contratto di durata fino a sei mesi, non potrà essere seguito da un altro contratto a tempo determinato stipulato entro sessanta giorni (precedentemente dieci) dalla scadenza del primo; la riassunzione non può avvenire invece entro i novanta giorni (prima venti) dalla scadenza del contratto di durata superiore ai sei mesi. Da questo punto di vista la riforma segue drasticamente un obiettivo di tutela del prestatore di lavoro, essendo tali intervalli necessari a fare in modo che l’interesse del datore di lavoro ad una continuazione del rapporto a tempo determinato possa decadere; il perseguimento efficace dell’esigenza “permanente e durevole” dell’impresa attraverso una
25 G. Z. XXXXXX, X. XXXXXXXXX, Il contratto ‘acausale’, cit.
26 Cfr. ex multis, X. XXXX, Il contratto a tempo determinato dopo la legge n. 92/2012, cit.
sequenza di prestazioni di lavoro temporanee dovrebbe essere limitato dal trascorrere di tali periodi di tempo. La tutela antifraudolenta risulta ancora più chiara «tenendo conto delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza comunitaria e, in particolare, dalla sentenza Xxxxxxxx e dalla ordinanza Vassilakis»27 (infra). La clausola 5 della Direttiva 1999/70 CE, nel richiedere l’adozione di una misura di prevenzione all’abuso derivante dall’utilizzazione successiva, prevede anche che gli Stati membri stabiliscano a quali condizioni i contratti a termine siano da considerarsi successivi, e quando a tempo indeterminato. Nell’interpretazione consolidata della Corte di giustizia, derivante anche dall’obbligo di garanzia del risultato imposto dalle direttive cui all’art. 249 TCE (oggi 288 TFUE), la discrezionalità degli Stati destinatari riguardo queste due definizioni «non è illimitata, poiché non può in alcun caso pregiudicare lo scopo o l’effettività dell’accordo quadro»28. Infatti, sebbene un intervallo minimo di tempo pari a venti giorni tra due contratti successivi è stato interpretato insufficiente dalla Corte di Lussemburgo (cfr. ordinanza 12 giugno 0000, X- 000/00 Xxxxxxxxxx e a, punti 107 e 108), la stessa Corte ha invece considerato un periodo di tempo pari o superiore a sessanta giorni «in generale, sufficiente per interrompere qualsiasi rapporto di lavoro esistente e, di conseguenza, far sì che qualsiasi contratto eventuale sottoscritto posteriormente non sia considerato come successivo al precedente, e ciò tanto più quando, come nelle controversie oggetto dei procedimenti principali, la durata dei contratti di lavoro a tempo determinato non può superare i 78 giorni» 29 . Peraltro, la valutazione della effettività dell’intervallo minimo di tempo tra due contratti deve essere effettuata dal giudice nazionale, sulla base delle indicazioni della giurisprudenza della Corte di Giustizia, e soprattutto esaminando di volta in volta le circostanze del caso concreto. Evidentemente, se la disciplina legale a riguardo introdotta dalla Riforma Xxxxxxx tutela il lavoratore da una precarizzazione continuativa presso
00 X. XX XXXXXXX, Xx contratto a tempo determinato, in Il nuovo mercato del lavoro, X. XXXXXXX – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX (a cura di), Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2012, pag. 55
28 CGUE Sentenza 4 luglio 2006, C-212/04, Xxxxxxxx e a., punto 82
29 CGUE Sentenza 3 luglio 2014, C-362/13 C-363/13 C-407/13, Fiamingo, punto 71
lo stesso datore di lavoro, lo stesso non si può dire con certezza per l’elemento di “flessibilità contrattata” di cui alla seconda parte dello stesso comma 3 dell’art. 5. La l. n. 92/2012 nella prima versione della lettera h) dell’art. 1 comma 9, prevede la possibilità, da parte della contrattazione collettiva stipulata dalle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, di ridurre gli intervalli da sessanta o novanta giorni, sino ad un minimo di venti o trenta giorni, se le assunzioni successive avvengano nell’ambito delle stesse esigenze organizzative che giustificano la possibilità di apposizione del termine acausale alternativa a quella del primo contratto di durata massima di dodici mesi ex art. 1 comma 1- bis del decreto legislativo (supra). Tuttavia l’intervento del d.l. n. 83/2012 (cd. Decreto Sviluppo - convertito con legge 7 agosto 2012, n. 134) aggiunge un ulteriore periodo al comma 3 dell’art. 5, ampliando così la possibilità di riduzione dei termini in questione per le attività stagionali, e in ogni altro caso stabilito dalla contrattazione collettiva delle stesse organizzazioni sindacali di cui sopra. Da rilevare, la incongruenza della sovrapposizione legislativa, che comprende nello stesso momento sia il riferimento a ipotesi specifiche, che la generale previsione di una disponibilità degli intervalli legali da parte della contrattazione30. D’altronde, il punto che qui ci interessa è l’effetto della «serie assai ampia di eccezioni, che di fatto rischiano di svuotare la innovazione introdotta»31 dalla riforma. C’è da notare però che anche se ridotti al minimo a venti e trenta giorni, intervalli di quella durata non sono di per sé inefficaci nella prevenzione all’abuso della utilizzazione successiva di contratti a termine, poiché non sono intervalli di applicazione generalizzata, ma sono invece relativi a categorie o aziende presso le quali le associazioni dei datori e dei lavoratori raggiungono un accordo in tal senso, sul presupposto che in quel determinato ambito un compromesso sia il migliore che si possa ottenere per entrambe le parti: in parole povere, sono il risultato della contrattazione. E in effetti, la clausola 5.2 dell’accordo quadro sul contratto a tempo determinato allegato alla
30 G. Z. XXXXXX, X. XXXXXXXXX, Il contratto ‘acausale’, cit.
00 X. XXXXXXXX, Xx riforma del contratto a termine nella legge 28 giugno 2012, n. 92, cit.
direttiva recita: «Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni..». Più critico risulta essere il quadro nel caso della contrattazione a livello decentrato, quando le associazioni dei lavoratori, nonostante siano comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, non abbiano in azienda o a livello territoriale una forza contrattuale sufficiente a raggiungere il miglior compromesso per i lavoratori. Nell’analisi globale dell’intervento della l. n. 92/2012 sul decreto legislativo 368 una rilevanza a sé stante ha il parziale avvicinamento dell’istituto della somministrazione a tempo determinato al contratto di lavoro a termine. Infatti, rientra nella disciplina dell’art. 1 comma 1-bis sull’acausalità del primo contratto di durata fino a dodici mesi anche la prima missione nell’ambito di un contratto di somministrazione a termine cui all’art. 20 comma 4 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (come anche nella disponibilità della acausalità del primo contratto fino ad un massimo del 6 percento degli occupati nell’impresa da parte della contrattazione collettiva). Si deve fare attenzione qui a non confondere la prima missione del lavoratore presso il datore di lavoro utilizzatore, che non ha necessità di indicazione della causale nel contratto commerciale di somministrazione tra agenzia e utilizzatore solo se di durata fino ai dodici mesi, con il contratto di somministrazione tra lavoratore e agenzia, la cui disciplina non richiede la sussistenza di ragioni oggettive, e non cambia con l’intervento della Riforma Fornero: il dato normativo non è chiaro (vedi ad esempio l’imprecisione terminologica dell’art. 1 comma 9 lettera b) nell’utilizzo del termine “concluso” indistintamente per il riferimento al contratto di lavoro a tempo determinato e per la missione presso un utilizzatore di un lavoratore impiegato da un’agenzia del lavoro con un contratto subordinato a tempo determinato32). Le perplessità si presentano anche sul versante sanzionatorio. Un termine di durata superiore ai dodici mesi apposto al contratto commerciale di somministrazione senza giustificazione obiettiva rende nullo il contratto per
32 Cfr. G ROSOLEN, La somministrazione di lavoro tra contrasto alla precarietà e buona flessibilità, in P. RAUSEI - X. XXXXXXXXXX (a cura di), Lavoro: una riforma sbagliata, Modena, 2012, pag. 39
violazione di norma imperativa in applicazione dei principi civilistici: qual è la sanzione conseguente? Si deve semplicemente ritenere che la sanzione fisiologicamente conseguente alla nullità del contratto sia la costituzione automatica di un rapporto di lavoro presso l’utilizzatore33? Allo stesso modo che per la acausalità di cui all’art. 1 comma 1-bis, il legislatore del 2012 dimentica di tenere conto delle differenze tra contratto di lavoro a termine e somministrazione di lavoro, e così nel computo per il limite di durata massima di 36 mesi cui all’art. 5 comma 4-bis del d.lgs. n. 368/2001, devono considerarsi anche i periodi di tempo durante i quali il lavoratore era in missione presso lo stesso datore di lavoro per lo svolgimento di equivalenti mansioni. Viene peraltro riconosciuto in dottrina che «si tratta di un’assimilazione parziale»34, e che «la legge non giunge alla traslazione tout court del limite dei 36 mesi sul piano della somministrazione», e che quindi è necessario che nella sequenza di rapporti a tempo determinato sia compreso almeno un contratto di lavoro subordinato a termine, in primis perché la norma in questione è destinata a regolare la disciplina del contratto a tempo determinato, e poi dal momento che la normativa europea non riconosce questa assimilazione, e anzi esclude l’applicazione della disciplina del contratto a tempo determinato ai lavoratori «messi a disposizione di un’azienda utilizzatrice da parte di un’agenzia di lavoro interinale», quando riferisce che è «intenzione delle parti considerare la necessità di un analogo accordo relativo al lavoro interinale» nel Preambolo dell’accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70 CE; e ancor di più, fondamentale è che l’ultimo rapporto della successione debba effettivamente essere fondato su di un contratto di lavoro subordinato, che superi il limite di durata massima, con conseguente richiesta di conversione, poiché tale limite «è infatti statuito con riguardo al contratto a termine e non con riguardo alla missione in somministrazione» 35 . Non ci dovrebbero essere problemi nel caso dell’ulteriore contratto a termine di dodici
33 X. XXXXXXXX, La somministrazione di lavoro, in Il nuovo mercato del lavoro, X. XXXXXXX – X. XXXXXXX
– X. XXXXXXXX (a cura di), Giappichelli, Torino, 2012, pag. 75
34 X. XXXXXXXX, La somministrazione di lavoro, cit., pag. 80
35P. XXXX, Il contratto a tempo determinato dopo la legge n. 92/2012, cit
mesi stipulabile presso la Direzione territoriale del lavoro, che non pare possa ritenersi applicabile al lavoro interinale. L’accostamento del rapporto di lavoro in somministrazione alla disciplina del contratto a termine da parte della l. n. 92/2012 si indirizza anch’esso all’obiettivo della riaffermazione della centralità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Tuttavia, questa ‘grossolana’ assimilazione ha l’effetto di rendere la normativa meno chiara e fallace, e «male si coordina con la logica della somministrazione voluta dal legislatore della “Riforma Biagi”»36, che poneva il lavoro somministrato in una posizione a sé stante nel mercato del lavoro, come una tipologia di lavoro subordinato agile ed efficace nel facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, che comporti allo stesso tempo una «valorizzazione del capitale umano», attraverso la specializzazione delle competenze dei prestatori di lavoro da parte delle agenzie del lavoro, nel cui interesse primario vi è appunto la “occupabilità” del lavoratore: agenzie come datori di lavoro a tutti gli effetti, e non invece come meri centri di collocamento. Il ‘declassamento’ del contratto di somministrazione di lavoro, dopotutto, si rileva nella intera opera di riforma del mercato del lavoro da parte della legge 92, ed in particolare se si considera la poca rilevanza che i soggetti privati hanno avuto nelle modificazioni della disciplina delle politiche attive. In ultima istanza dunque, nonostante sia chiaro che «la norma vuole evidentemente evitare che, attraverso il ricorso alla somministrazione di lavoro, si possano aggirare i limiti all’impiego dello stesso lavoratore con mansioni equivalenti»37, la prevenzione all’abuso derivante da utilizzazione successiva di rapporti a tempo determinato non è efficacemente perseguita in questo modo, perché, come notato in dottrina, non essendo applicabili alla somministrazione a tempo determinato le norme dell’art. 5 commi 3 e seguenti del decreto legislativo 368 (cfr. art. 22 comma 2 d.lgs. n. 276/2003), quindi anche lo stesso limite massimo dei 36 mesi, elusivo resta il caso del datore di lavoro che utilizzi lo stesso lavoratore per una missione subito dopo la scadenza del termine
36 X. XXXXXXXXXX, Istituzioni di diritto del lavoro. Appendice di aggiornamento alla c.d. «Riforma Fornero», Xxxxxxx, Milano, 2012
37 Ministero del Welfare, circ. n. 13/2008
dell’ultimo rapporto di lavoro a tempo determinato che rientri nei tre anni 38. D’altronde questa deriva verso un uso abusivo della somministrazione di lavoro potrebbe essere arginata dal dovere di giustificazione del termine nel contratto commerciale di somministrazione attraverso esigenze temporanee, «difficilmente rinvenibili nella reiterazione continuativa delle assegnazioni alla stessa impresa utilizzatrice»39, e come il più recente orientamento dalla Corte di cassazione precisa, dalla verifica della effettività della causale addotta nel contratto di fornitura40. Da ultimo, la l. n. 92/2012 tende al contrasto all’uso improprio degli “elementi di flessibilità” intervenendo sul versante degli ammortizzatori sociali. A norma dell’art. 2 comma 28 della stessa legge infatti i rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato sono oggetto di un contributo addizionale pari all’1,4 percento della retribuzione imponibile, alla Assicurazione sociale per l’impiego - ASpI, a carico del datore di lavoro, affinché questo sia scoraggiato nell’utilizzo di tipologie di contratto di lavoro subordinato diverse da quella del “contratto dominante”. Evidente qui, per ciò che a noi maggiormente interessa, il perseguimento della «scelta di contenimento del lavoro a termine»41, e da altra prospettiva la intenzione «di avere maggiori risorse per finanziare la prestazione in caso di disoccupazione», considerato inoltre che «i lavoratori titolari di un contratto a tempo determinato sono anche più esposti al rischio disoccupazione rispetto ai lavoratori con un contratto a tempo indeterminato»42.
Il contrasto all’uso improprio delle forme di flessibilità, nelle modalità alle quali ricorre la Riforma Fornero, ha fisiologicamente comportato un irrigidimento delle possibilità di utilizzo al contratto a termine. Nel 2013 dunque, sull’impulso della «presa d’atto di un evidente eccesso di regolamentazione effettuato dalla l.
n. 92/2012»43, il Governo Letta emana il decreto legge 28 giugno 2013, n. 76 (convertito con modificazioni in l. n. 99/2013), cd. pacchetto lavoro, a smussare
38 X. XXXXXXXX, La somministrazione di lavoro, cit., pag. 82
00 X. XXXXXXXX, Xx riforma del contratto a termine nella legge 28 giugno 2012, n. 92, cit.
40 Cfr. ex multis, Xxxx. Civ. Sez. Lavoro, 7 maggio 2013, n. 10560
41 X. XXXX, Il contratto a tempo determinato dopo la legge n. 92/2012, cit., pag. 6
42 X. XXXXxXX, Il contributo del finanziamento, in Lavoro: una riforma sbagliata, cit., pagg. 205, 206
43 X. XXXXXXX, Le riforme del mercato del lavoro: dalla legge Fornero al Jobs Act, cit., pag. 38
quello che è stato l’intervento della riforma del 2012 sul d.lgs. n. 368/2001, e aprendo così ancor di più al cd. contratto a termine acausale. In primis il d.l. n. 76/2013 riscrive il comma 1-bis dell’art. 1, prevedendo, oltre alla apposizione del termine senza alcuna giustificazione oggettiva a ‘primi’ contratti di durata fino a dodici mesi, la possibilità per la contrattazione collettiva delle organizzazioni sindacali «comparativamente più rappresentative sul piano nazionale», di livello nazionale o aziendale, di ammettere in ogni caso contratti a termine non giustificati da ragione obiettiva, eliminando quindi il riferimento ai processi organizzativi “straordinari” e il limite quantitativo del «6 per cento del totale dei lavoratori occupati nell’ambito dell’unità produttiva». La novità così introdotta
«opera comunque un positivo rilancio dell’autonomia collettiva», e sostanzia un passaggio «dalla acausalità “per ragioni organizzative” ad una acausalità contrattata»44. All’art. 4 del decreto legislativo n. 368, il d.l. n. 76/2013 abroga il comma 2-bis che impedisce la proroga del contratto acausale. Sebbene non specificato, è da ritenersi non necessaria la giustificazione della proroga, considerato il fatto che si tratta di contratti acausali45. Inoltre, considerando il dato letterale del comma 1-bis lett a), come è stato precisato da parte del Ministero del Lavoro, la proroga sarà comunque ammessa nell’ambito della
«durata massima complessiva di dodici mesi» 46 (quid iuris per le ipotesi di contratti acausali individuate dalla contrattazione collettiva ex lett b), di durata massima possibilmente diversa?). Il d.l. n. 76/2013 nondimeno estende la regolazione generale ai contratti di cui all’art. 1 comma 1-bis anche per quanto riguarda la disciplina della prosecuzione di fatto del rapporto di lavoro a termine, per trenta o cinquanta giorni a seconda della durata del contratto minore o maggiore ai sei mesi, con applicazione delle sanzioni e eventuale trasformazione del contratto a tempo indeterminato. Tuttavia, se per la ammissibilità della conversione al contratto acausale proseguito oltre il termine di scadenza non
44 D. COSTA – X. XXXXXXXXXX, Il lavoro a termine riformato, in Interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, e della coesione sociale – Primo commento al decreto legge 28 giugno 2013 , n. 76, Adapt Labour Studies e-book series, n. 10, X. XXXXXXXXXX (a cura di), pag. 178
45 D. XXXXX – X. XXXXXXXXXX, Il lavoro a termine riformato, cit., pag. 179
46 Cfr. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, circ. 29 agosto 2013, n. 35
sembra potersi porre dubbio, per espressa previsione del dato letterale del comma
2 dell’art. 5, la mancanza di una simile precisazione al comma 1 potrebbe
«portare a ritenere che la previsione contenuta nel comma 1 troverebbe applicazione solo ai contratti con causale», di tal modo che ai contratti privi di causale «non si applicherebbe la sanzione retributiva prevista per la generalità dei contratti»47. La comunicazione al Centro per l’impiego invece, «nell’ottica della “sburocratizzazione”» 48 , viene eliminata per qualunque contratto, con l’abrogazione del comma 2-bis dell’art. 5. Infine, sulla disciplina fulcro della prevenzione all’abuso, in relazione alla successione di contratti a termine tra le stesse parti, il Legislatore del 2013 riduce nuovamente i periodi stop and go a dieci o venti giorni, in dipendenza della durata del contratto scaduto. A limitare l’effetto dei termini notevolmente più lunghi introdotti dalla Riforma Fornero, tali intervalli ridotti sono sufficienti per tutti i contratti stipulati a partire dalla data di entrata in vigore del d.l. n. 76/2013 – 28 giugno 2013, «anche qualora il precedente rapporto a tempo determinato sia sorto prima di tale data»49, come puntualizzato pure dal Ministero del Lavoro nella circolare n. 35/2013.
Le valutazioni della dottrina sull’efficacia della Riforma Fornero verso l’obiettivo di limitazione delle possibilità di abuso della forma di contratto di lavoro a termine sono diverse. Tale ristrutturazione ha infatti indirizzato «verso una flessibilità in entrata più razionale e meno precaria», nonostante non prenda in considerazione alcune questioni, come ad esempio quelle relative alle
«permanenti criticità della disciplina dei contratti flessibili alle dipendenze di pubbliche amministrazioni»50. Tuttavia, sebbene sia comune il riconoscimento della finalità più generale della l. n. 92/2012 nell’avvicinamento del mercato del lavoro italiano a quelli che sono i principi della flexicurity europea, anche
47 X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXX – L. DE COMPADRI – X. XXXXXXX – X. XXXXX – X. XXXXXXXXXX – X.
XXXXXXXXX – X. XXXXX, La disciplina del contratto di lavoro, in Il decreto-legge n. 76/2013: analisi e commento, Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, circ. n. 7/2013, X. XX XXXXX (a cura di), pag. 5
48 D. XXXXX – X. XXXXXXXXXX, Il lavoro a termine riformato, cit., pag. 183
49 X. XXXXXXXXX, Contratto a tempo determinato: le recenti modifiche, in Diritto & pratica del lavoro, n. 37/2013, pag. 2177
00 X. XX XXXXXXX, Il contratto a tempo determinato, cit., pag. 68
attraverso la disciplina del contratto a tempo determinato, allo stesso tempo è da più parti rilevata la presenza di alcune incertezze e mancanze in tale ambito di intervento, anche nella insufficiente considerazione delle «particolarità della nostra regolazione su entrambi i versanti della flessibilità: quella in entrata e quella in uscita»51.
1.3.2 Il d.l. n. 34/2014 (conv. con modif. in l. n. 78/2014) cambia radicalmente i
requisiti di validità dell’apposizione del termine al contratto
Nel 2014, «considerata la perdurante crisi occupazionale e l’incertezza dell’attuale quadro economico», «nelle more dell’adozione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro con la previsione in via sperimentale del contratto a tempo indeterminato a protezione crescente»52, viene emanato il decreto legge n. 34. In dottrina diverse voci sottolineano che «può affermarsi che dell’ennesima rivisitazione della disciplina del contratto di lavoro a termine, già assoggettata a ripetute – nonché a volte radicali – modifiche nell’ultimo decennio, è subito preannunciata la “temporaneità”; quest’ultima, quindi, da requisito legittimante, in passato, il ricorso alla figura contrattuale speciale, diventa, paradossalmente, caratteristica dell’obiettivo del legislatore»53. Attraverso un generico riferimento al fine della «Semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine», come recita la rubrica dell’art. 1 del decreto, in poche righe il legislatore «giunge, volutamente o meno, a stravolgere l’intero impianto della disciplina sul contratto a tempo determinato»54. Infatti il d.l. n. 34/2014, anche nella versione modificata della legge di conversione n. 78/2014, elimina sic et simpliciter55 la necessità della
51 X. XXXX, Flessibilità e tutele nella riforma del lavoro, cit., pagg. 30 ss.
52 Cfr. art. 1 comma 1, d.l. n. 34/2014 (conv. con modificazioni in l. n. 78/2014)
53 X. XX XXXXX, La nuova disciplina del contratto a termine nel d.l. n. 34 del 2014 conv. in l. n. 78 del 2014,
in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xxx, pag. 4
54 X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXX, L’apposizione del termine al contratto di lavoro, in Jobs Act e contratto a tempo determinato – Atto I, X. XXXXXXX XXXXXXXXXX (a cura di), Torino, 2014, pag. 2
55 «La principale innovazione introdotta si innesta su una stratificazione normativa … E’ per questo che non è così facile, con una semplice incisione chirurgica, come vorrebbe fare il decreto n. 34, sostituire al principio della causalità del contratto a termine quello opposto della acausalità in un impianto normativo che sulla causalità è conformato», X. XXXXXXX, La disciplina del contratto di lavoro a tempo
giustificazione alla apposizione di un termine al contratto di lavoro attraverso ragioni obiettive (cfr. Cap. 1 par. 2.1), limitandosi così «ad una regolazione affidata ad una mera valutazione datoriale»56. E nonostante la permanenza del principio del contratto a tempo indeterminato come ‘contratto dominante’ ai sensi del comma 01 dell’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, per la restante parte quest’ultimo articolo viene completamente riscritto, e «si generalizza così, indistintamente, la cosiddetta a-causalità del contratto a termine, introdotta dalla già citata l. 28 giugno 2012, n. 92, successivamente estesa dal d.l. 28 giugno 2013, n. 76, che, da mera eccezione, diventa regola generale»57. Nella revisione dell’art. 1 del decreto legislativo il superamento del “causalone” è accompagnato da due nuove limitazioni all’apposizione del termine al contratto di lavoro: la durata massima di trentasei mesi per rapporti di lavoro soggettivamente ed oggettivamente successivi58, che rimane unica misura rispondente alle richieste della clausola 5.1 della Direttiva 1999/70 CE (infra), viene prescritta anche per i singoli contratti di lavoro conclusi «fra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualsiasi tipo di mansione»; inoltre vengono inserite, per tutti i contratti a termine stipulati presso imprese con più di cinque dipendenti, le cd. “quote di contingentamento”, che impongono ai datori di lavoro una soglia di assunti a tempo determinato pari al «20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1 gennaio dell’anno di assunzione» (ammontare comunque suscettibile di intervento dispositivo della contrattazione collettiva a norma dell’art. 10 del decreto legislativo n. 368/2001), a pena di sanzione amministrativa disciplinata nel nuovo comma 4-septies dell’art. 5, e fatta eccezione per delle ipotesi di esenzione previste all’art. 10 (cfr. Cap. 1 parr. 5.1 e
determinato: novità e implicazioni sistematiche, Working Papers CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT- 212/2014, pag. 3
56 X. XXXXXXX, Le riforme del mercato del lavoro: dalla legge Fornero al Jobs Act – Jobs Act, atto I: la legge
n. 78/2014 tra passato e futuro, in Dir. rel. Ind., fasc. 1, 2015, pag. 41
57 X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXXXXX, Il nuovo lavoro a termine, in Jobs Act: il cantiere aperto delle riforme del lavoro – primo commento al d. l. 20 marzo 2014, n. 34 convertito, con modificazioni in l. 16 maggio 2014, n. 78, Adapt Labour Studies e-book series, n. 25, X. XXXXXXXXXX (a cura di), pag. 4
58 In relazione a rapporti di lavoro a tempo determinato (o a periodi di missione nell’ambito di contratti di somministrazione a tempo determinato), tra lo stesso lavoratore e lo stesso datore di lavoro, aventi ad oggetto mansioni equivalenti.
5.4). Il decreto legge n. 34/2014 poi interviene sulla regolazione dell’istituto delle proroghe, e anche questo «viene definitivamente svincolato da qualsivoglia obbligo di motivazione» 59 . Limitazioni alla prorogabilità saranno il già contemplato necessario consenso del lavoratore, e il numero massimo di proroghe pari a cinque (così previsto in sede di conversione del d.l. n. 34/2014, il quale permetteva fino a otto proroghe) nell’ambito del limite dei complessivi trentasei mesi di durata massima, «indipendentemente dal numero dei rinnovi», e a condizione che «si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato». Chiaramente, nonostante non sia stato eliminato dal disposto normativo, nel nuovo sistema delineato dalla l. n. 78/2014 «il limite della durata iniziale inferiore a tre anni come condizione di legittimità della proroga perde la funzione originariamente assolta» 60 . In un sistema così disciplinato si comprende facilmente che il limite generale dei trentasei mesi, nella sua ampiezza, assume una rilevanza fondamentale, mentre all’interno dello stesso saranno realizzabili diverse combinazioni, poiché «a conti fatti, la durata complessiva può essere spalmata nel corso dei 36 mesi su un rapporto continuo, dato da un contratto iniziale più cinque proroghe; oppure su un rapporto discontinuo, fatto da un contratto iniziale più vari rinnovi, purchè rispettosi degli intervalli temporali richiesti per lo stop and go; oppure su un rapporto misto, continuo/discontinuo costituito da un contratto iniziale più proroghe e rinnovi»61. Infine l’importanza che il termine di durata di tre anni acquisisce dopo l’intervento del d.l. n. 34/2014, per effetto del quale è «divenuto unico baluardo in funzione preventiva degli abusi»62, risiede nel peso che ha in sede di compatibilità del d.lgs. n. 368/2001 con la Dir. 1999/70 CE (cfr. Cap. 3). Peraltro, le critiche della dottrina nei confronti del decreto legge in questione non
59 X. XXXXX, Proroga del termine, continuazione del rapporto dopo la scadenza e rinnovi, in Jobs Act e contratto a tempo determinato – atto I, X. XXXXXXX XXXXXXXXXX (a cura di), Torino, 2014, pag. 20
60 X. XXXXX, Xxxxxxx, continuazione di fatto e rinnovi, cit., pag. 22
61 X. XXXXXXX, Le riforme del mercato del lavoro: dalla legge Fornero al Jobs Act – Jobs Act, atto I: la legge
n. 78/2014 tra passato e futuro, cit., pag. 47
00 X. XXXXXXX, Xx compatibilità della nuova disciplina del contratto a tempo determinato con la direttiva n. 99/70, in Riv. giur. lav., fasc. 4, 2014, pag. 725
si limitano ai dubbi di conformità della disciplina italiana rispetto a quelle che sono le richieste della normativa comunitaria, ma più forti rimarcano gli effetti negativi di un intervento di ‘semplificazione’, che appare più «di liberalizzazione e di sottrazione ampia della possibilità di rivolgersi alla giustizia» 63 , sulla occupazione, che risulterebbe «caratterizzata da un tasso intollerabile di precarietà, non solo perché manca qualunque contro-misura che garantisca una pur minima prospettiva di stabilizzazione del rapporto, ma soprattutto perché espone, più e più volte, il lavoratore, al ricatto della perdita del lavoro»64. In sostanza, il pericolo è che la vita lavorativa di un soggetto «può anche svolgersi interamente con successive infinite assunzioni a termine da parte di svariate imprese»65: difatti, non è secondario sottolineare che «la catena di contratti a termine non riguarda solo in singolo lavoratore», ma anche il datore di lavoro, e tuttavia quest’ultimo «non incontra alcun limite giuridico alla stipulazione a catena di contratti a termine entro i tre anni, con continuo ricambio di lavoratori»66. E se la liberalizzazione del ricorso contratto a tempo determinato è stata l’oggetto, in diverse misure, anche degli interventi legislativi precedenti a quello del 2014, «sì da intaccare seriamente la relazione da regola a eccezione fra contratto a tempo indeterminato e contratto a tempo determinato», «ora c’è da chiedersi se il cappello costituito dall’articolo 1, comma 01, del decreto legislativo n. 368/2001 sia ancora a misura del capo costituito dallo stesso decreto così come novellato da ultimo dalla legge n. 78/2014» 67 . Ulteriore rilevante modifica apportata dal d.l. n. 34/2014 concerne il comma 4-quater dell’art. 5 e il diritto di precedenza nelle nuove assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i dodici mesi successivi alla scadenza del
63 X. XXXXXXXX, Osservazioni sulla nuova disciplina del contratto a termine, in Il decreto lavoro – opinioni a confronto, Lavoro Welfare, n. 4, aprile 2014, pag. 22
64 M. V. XXXXXXXXXXX, Così si scambia l’eccezione con la regola, in Il decreto lavoro – opinioni a confronto, Lavoro Welfare, n. 4, aprile 2014, pag. 13
65 X. XXXXXXX, Il “riordino” dei modelli di rapporto di lavoro tra articolazione tipologica e flessibilizzazione funzionale, in Working Papers CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT-213/2014, pag. 20
66 X. XXXXXXXX, Osservazioni sulla nuova disciplina del contratto a termine, cit., pag. 23
67 X. XXXXXXX, Le riforme del mercato del lavoro: dalla legge Fornero al Jobs Act – Jobs Act, atto I: la legge
n. 78/2014 tra passato e futuro, cit., pag. 45
rapporto a termine, con riferimento alle mansioni già espletate dal prestatore di lavoro: nel periodo di tempo necessario per usufruire del diritto viene computato alle lavoratrici anche il congedo di maternità; inoltre alle stesse lavoratrici è anche riconosciuto il diritto di precedenza per le assunzioni a tempo determinato, alle stesse condizioni che per quelle a tempo indeterminato. In tale ultimo caso, a norma del comma 4-sexies il diritto di precedenza deve essere espressamente richiamato nell’atto scritto dal quale risulta l’apposizione del termine al contratto di lavoro.
1.4 Il riordino dei tipi contrattuali con il d.lgs. n. 81/2015
La legge delega n. 183/2014 rappresenta il fulcro dell’opera di riforma del diritto del lavoro che viene definita Jobs Act, la quale si dispiega in una serie di decreti legislativi, attraverso una prassi caratterizzata dalla tendenza a delineare «in modo piuttosto indeterminato principi e criteri direttivi, specie nell’ambito delle deleghe disposte in funzione di “riordino”, “coordinamento”, “armonizzazione”, “semplificazione”, “riassetto”, “codificazione”»68. In particolare, e per quello che qui maggiormente rileva, l’art. 1 della legge delega al comma 7 si riferisce ad un decreto legislativo «recante un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro». Il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 - cd. Codice dei contratti, (ma «a metà strada tra un codice – di cui forse può costituire l’archetipo o l’ossatura – e un Testo Unico») contiene la disciplina organica dei contratti di lavoro, oltre all’intervento in tema di mansioni, e «delinea la nuova tassonomia dei rapporti di lavoro, attorno a cui si dispone, a raggiera, l’intero programma di riforma»69. Il Capo III è interamente dedicato ai contratti a tempo determinato (all’ultimo Capo l’art. 55 abroga il
68 X. XXXXXXX, Il formante contrattuale: dal riordino dei “tipi” al contratto a tutele crescenti (ovvero del tentativo di ridare rinnovata centralità al lavoro subordinato a tempo indeterminato), in Jobs Act e contratti di lavoro dopo la legge delega 10 dicembre 2014, n. 183, Working Papers CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx” – Collective Volumes – 3/2014, X. XXXXXXXX – X. XXXXXXX (a cura di), pag. 19
69 X. XXXXXXX, La riforma dei contratti e del mercato del lavoro nel cd. Jobs Act. Il Codice dei contratti,
in Dir. rel. ind., fasc. 4, 2015, pag. 962
d.lgs. n. 368/200170), mentre ad aprire il Codice dei contratti, l’art. 1 ribadisce ancora una volta che «il contratto di lavoro a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro». Le modifiche a quella che è la disciplina già introdotta dal d.l. n. 34/2014 si concretizzano in una generale risistemazione dei singoli istituti, o in rielaborazioni di regole già presenti, e solo in poche occasioni consistono in vere e proprie novità. All’art. 19, al secondo comma dedicato alla durata massima della successione dei contratti a termine, «in coerenza con la nuova disciplina dello ius variandi, il limite attiene ai contratti stipulati per mansioni “di pari livello e categoria legale”» 71 ; e all’eventuale superamento dei trentasei mesi il contratto “si trasforma” in contratto a tempo indeterminato (fino al d.lgs. n. 81/2015 l’ultimo contratto a tempo determinato si considerava a tempo indeterminato). I casi di esenzione dal limite quantitativo del venti per cento nel decreto legislativo in questione contemplano anche le assunzioni da parte delle «imprese start-up innovative», e la soglia anagrafica per la esenzione giustificata dall’età avanzata del lavoratore è stata ridotta da cinquantacinque a cinquanta anni. L’art. 25 sul principio di discriminazione obbliga il datore di lavoro a attribuire anche al lavoratore a termine il più ampio
«trattamento economico e normativo in atto nell’impresa», anziché elencare una breve serie di elementi parte dei trattamenti fondamentali ai prestatori di lavoro, attraverso «una formula più elegante e sintetica, che risente di espressioni usate nel diritto euro-unitario»72 (cfr. clausola 4 Dir. 1999/70 CE). In ultimo l’art. 27 introduce un criterio di computo da utilizzare «ai fini dell’applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale sia rilevante il computo dei dipendenti del datore di lavoro», superando il precedente riferimento allo Statuto dei Lavoratori. La disciplina dei singoli istituti sarà specificatamente analizzata nei successivi paragrafi.
70 Tuttavia, resiste temporaneamente all’abrogazione l’art. 2 del d.lgs. n. 368, attinente alla disciplina aggiuntiva per il trasporto aereo ed i servizi aeroportuali, che è abrogato invece dal 1° gennaio 2017. 71 X. XXXXXXXX, Lavoro a tempo determinato (artt. 1, 19-29, 51 e 55), in Commento al d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, Adapt Labour Studies e-book series, n.48, X. XXXXXXX (a cura di), pag. 170
72 X. XXXXXXXX, Lavoro a tempo determinato (artt. 1, 19-29, 51 e 55), cit., pag. 179
Da ultimo, «con una norma molto interessante dal punto di vista della tecnica legislativa, l’art. 51 del decreto in commento determina una volta per tutte ed in modo uniforme, facendo salve, però, specifiche ipotesi, livelli ed i soggetti contrattuali cui il decreto affida funzioni derogatorie ed integrative della sua disciplina»73: difatti, i contratti collettivi ai quali il d.lgs. n. 81/2015 si riferisce, sono quelli, nazionali, aziendali o territoriali, stipulati dalle organizzazioni sindacali «comparativamente più rappresentative sul piano nazionale», e i contratti aziendali conclusi dalle rappresentanze sindacali aziendali di tali organizzazioni sindacali, ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.
2. L’apposizione del termine e i requisiti di validità
2.1. Le abolite ragioni giustificatrici
Il d.lgs. n. 368/2001, nella sua versione originaria, e fino all’intervento del d.l. n. 34/2014, «il primo atto del Jobs Act»74 (cfr. Cap. 1 parr. 1.3 e 1.4), prevedeva all’art. 1 la possibilità di apporre un termine al contratto di lavoro subordinato solo quando una cd. causale era idonea a giustificare l’utilizzo di tale forma atipica di rapporto. In particolare, presupposto necessario era la presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. La Corte di Giustizia dell’Unione europea, in diverse occasioni interpretando la nozione di ragioni obiettive di cui alla clausola 5.1 lett. a) dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, intende tale locuzione da riferirsi a
«circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l’utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi» 75 . Non da dimenticare, la misura di prevenzione all’abuso ex clausola 5.1 lett a) si indirizza ai soli rinnovi di un già vigente contratto a tempo determinato (cfr. Cap. 1 par. cit.); questo tuttavia non
73L . MENGHINI, Lavoro a tempo determinato (artt. 1, 19-29, 51 e 55), cit., pag. 182
74 X. XXXXXXXX, Il riordino delle tipologie contrattuali, in Il Jobs Act – Tutte le novità del Governo Xxxxx in materia di lavoro, X. XXXXXXXXX – X. XXXXX (a cura di), Piacenza, 2015, pag. 51
75 CGUE Sentenza 23 aprile 2009, C-378/07 C-380/07, Xxxxxxxxxx e a., punto 96 (cfr. anche sentenze 4 luglio 2006 Xxxxxxxx e a., punti 69 e 70, 13 settembre 2007 C-307/05, Xxx Xxxxx Xxxxxx, punto 53, e
ordinanza 12 giugno 2008, C-364/07 Xxxxxxxxxx e a., punti 88 e 89)
cambia il valore dell’interpretazione stessa, avendo la norma di attuazione della Direttiva esteso la necessità di quelle ragioni obiettive anche al primo contratto. Dunque, la causale da apporre al termine si doveva basare su un’esigenza effettiva e specifica, potenzialmente rientrante nell’aperta richiesta dell’art 1 del decreto legislativo, e caratterizzante l’attività oggetto del contratto di lavoro. La Corte di Lussemburgo non parla invece di ragioni temporanee: come anche notato in dottrina76, una circostanza concreta, che contraddistingua un’attività, ma che soprattutto possa giustificare il ricorso ad un’assunzione a termine in uno contesto specifico, deve, per sussistere effettivamente, essere legata ad un’esigenza temporanea del datore di lavoro rispetto all’assunzione del singolo lavoratore del caso; se la ragione di questa è genuina, è intrinsecamente transeunte. Da quanto detto si deve logicamente dedurre che, innanzitutto, si deve distinguere tra ragione (necessaria all’apposizione del termine) e esigenza a monte, la quale sì non può essere “permanente e durevole”77, e che, ancora, la utilità del dibattito dottrinario sulla temporaneità delle ragioni non sussiste: ciò che doveva rilevare, e che veniva sottoposto al sindacato del giudice, è la rispondenza della ragione del singolo contratto a criteri di concretezza, veridicità e ragionevolezza. Nello stesso senso, in ultimo, anche la giurisprudenza della Cassazione, che richiedeva al datore di lavoro di specificare «in modo circostanziato e puntuale - al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle stesse nel xxxxx xxx xxxxxxxx - xx xxxxxxxxxxx che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell'ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell'ambito della specifica
76 X. XXXXXX, Come è possibile abusare di contratti a termine legittimi?, in Riv. It. Dir. lav., fasc. 3, 2013, pag. 547
77 Cfr. CGUE Sentenza 23 aprile 2009, C-378/07 C-380/07, Xxxxxxxxxx e a., punti 103 e ss.
ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa»78. Da aggiungere a riguardo, la modificazione dell’art. 1 del decreto legislativo avvenuta nel 2008 ad opera della legge 133, che infatti distingue la esigenza di assunzione a tempo determinato dalle ragioni (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo), riferibili anche alla “ordinaria attività del datore di lavoro”. Inoltre questo intervento normativo conferma la tesi di chi riteneva che la scelta del contratto a termine può giustificarsi allo stesso modo, alla presenza di una ragione effettiva, anche se questa scaturisce dall’esigenza di svolgere incarichi ordinari dell’azienda, che però nel determinato caso necessita di un’organizzazione del lavoro che può essere più efficace ricorrendo ad un lavoratore solo per un periodo determinato: dal vaglio giudiziario «si perde così il carattere della eccezionalità»79 della ragione. E se le Supreme Corti italiane, anche sulla scorta delle interpretazioni della Corte di Giustizia dell’Unione, hanno basato il fondamento del dovere di indicazione della causale del termine, e il conseguente eventuale sindacato del giudice, sulla finalità di assicurare trasparenza, veridicità e immodificabilità, nel caso delle ragioni sostitutive la specificazione di queste è stata fonte di non pochi dubbi e dibattiti dottrinali. In questo ordine di ragioni si individuano le assunzioni a tempo determinato finalizzate a sostituire un lavoratore assente dall’azienda per un periodo di tempo. Il punto di maggior frizione tra i diversi orientamenti della dottrina riguardava la necessità di indicare nella causale il nominativo del lavoratore sostituito, in ordine alla effettività della ragione specificata nella causale, che poteva essere semplicemente annullata riferendo la esigenza sostitutiva a lavoratori assenti sempre diversi, senza rispettare il criterio di immodificabilità, ed eludendo così la richiesta di circostanze “precise e concrete”. Ancora una volta la giurisprudenza superiore cerca di individuare i limiti alle interpretazioni: il giudice di legittimità, partendo da una posizione interpretativa della Corte
78 Cass. Civ. Sez. Lavoro 27 aprile 2010, n. 10033
79 X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXX, L’apposizione del termine al contratto di lavoro, cit., pag. 5
costituzionale espressa per due volte nel 2009 80 , e come confortata successivamente anche da pronunce dalla Corte di Giustizia 81 , è arrivata a concludere che la sola indicazione della ragione sostitutiva non è sufficiente a soddisfare il requisito della specificazione, e che si rende necessario a tal fine l’identificazione dei lavoratori, se non nominativamente, attraverso «elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale, i riferimenti, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire … ferma restando, in ogni caso la verificabilità circa la sussistenza effettiva del presupposto di legittimità prospettato»82. Si può perciò così comprendere come i criteri di oggettività delle ragioni potessero essere integrati al fine di apporre legittimamente il termine nel caso di sostituzione di uno o più lavoratori per un periodo determinato. Nondimeno la peculiarità della questione delle esigenze sostitutive ha portato ad una precisazione ulteriore riguardo il punto dell’obiettività della ragione da apporre al termine. Infatti la Corte di Giustizia dell’Unione, nella sentenza del 2012 cd. Kücük, si è dovuta occupare delle reiterate esigenze sostitutive che hanno portato la ricorrente ad essere impiegata attraverso una successione di contratti a tempo determinato per undici anni consecutivi dallo stesso datore di lavoro, al fine di sostituire lavoratori sempre diversi. E «l’elemento forse più rilevante della pronuncia in questione è la previsione delle legittimità comunitaria dell’apposizione di un termine al contratto per rispondere ad esigenze di sostituzione ricorrenti e finanche permanenti del datore di lavoro, le quali potrebbero, astrattamente, determinare altresì assunzioni di personale a tempo indeterminato»83. Infatti, una sia pur (ex post) configurabile esigenza sostitutiva ‘permanente’ del datore di lavoro, non esclude che le singole assunzioni a termine, ancorché prevedibili, ripetute o frequenti, ma finalizzate a rispondere ad esigenze temporanee di
80 Cfr. Corte costituzionale Sentenza 14 luglio 2009, n. 214, Ordinanza 4 dicembre 2009, n. 325
81Cfr. CGUE Sentenza 24 giugno 2010, X-00/00, Xxxxx
00 Xxx. Cass. Sentenza 26 gennaio 2010, n. 1576
83 X. XXXXXXX, La Corte di giustizia sulla frequenza o permanenza dell’esigenza sostitutiva nei contratti a termine, nota a CGUE Sentenza 26 gennaio 2012, C-586/10, Kücük, in Dir. Rel. Ind., 2, 2012, pag. 590
organizzazione del lavoro nell’azienda, possano essere una per una positivamente verificate rispetto ai criteri di concretezza e veridicità 84 , e quindi risultare legittime. Simili esempi di esigenze sono state definite in dottrina come “stabilmente temporanee” 85 . Aprendo tale interpretazione alla possibilità di assumere a termine in caso di esigenze sostitutive ricorrenti, escludeva nuovamente «il dogma della necessaria temporaneità o eccezionalità della ragione obiettiva»86. L’eliminazione della necessità di apporre ragioni obiettive al termine di cui al d.l. n. 34/2014 può facilmente riconoscersi indirizzata al fine di
«superare il rilevante contenzioso insorto in merito al requisito della causale» cui la elasticità della previsione della clausola ex art. 1 comma 1 del decreto legislativo sul contratto a tempo determinato aveva portato, oltre che all’obiettivo di «adottare una disciplina meno ancorata ai formalismi»87. Tuttavia tale scelta legislativa, accanto al raggiungimento degli obiettivi di semplificazione, «deve essere valutata anche alla luce della compatibilità con la direttiva 1999/70»88. Tale valutazione di conformità sarà considerata al Cap. 3.
2.2 Il limite di durata massima di 36 mesi per il singolo contratto
«Il termine apposto al contratto di lavoro deve avere durata determinata (con riferimento ad una data certa) oppure determinabile (con riferimento ad un evento certo nel suo verificarsi ma incerto sul momento di realizzazione)»89. Il limite di durata massima pari a trentasei mesi previsto sin dal 2012 per la fattispecie della successione di contratti a termine tra le stesse parti e per lo svolgimento delle «mansioni di pari livello e categoria legale», nell’ambito del
84 Cfr. CGUE Sentenza 26 gennaio 2012, C-586/10, Kücük, punto 56
85 X. XXXXXXXXX, Successione di contratti a termine per esigenze sostitutive permanenti: prevenzione degli abusi e “discrezionalità vincolata” degli Stati membri dopo la sentenza Kücük, in Riv. It. Dir. lav., fasc. 3, 2012, pag. 758
86 X. XXXXXXX, La Corte di giustizia sulla frequenza o permanenza dell’esigenza sostitutiva nei contratti a termine, cit., pag. 590
87 X. XXXXXXX, Manuale di diritto del lavoro (costituzione, svolgimento e risoluzione del rapporto di lavoro), Milano, 2016, pag. 310
88 X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXX, L’apposizione del termine al contratto di lavoro, cit., pag. 16
89 X. XXXXXXX, Manuale di diritto del lavoro (costituzione, svolgimento e risoluzione del rapporto di lavoro), cit., pag. 311
Jobs Act viene esteso anche ai singoli contratti a tempo determinato: l’art. 19 del d.lgs. n. 81/2015 prevede al comma 1 che «al contratto di lavoro a tempo subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a trentasei mesi». Su un termine inferiore al limite suddetto, può applicarsi l’istituto della proroga, possibile fino a cinque volte (art. 21 d.lgs. n. 81/2015: cfr. Cap. 1 par. 3). Tale previsione della durata massima anche del singolo contratto chiaramente è tesa a “compensare” l’eliminazione del requisito causale90, e viaggia su quelli che sono i due ‘binari’ direttivi della riforma del lavoro attuale per quanto concerne il contratto a tempo determinato: il più generale fine della semplificazione, e all’interno di questo il passaggio da una relazione tra contratto a tempo indeterminato e contratto a tempo determinato da fattispecie di tipo qualitativo a una di tipo quantitativo, «come introduzione di tetti temporali o percentuali intesi a contenere il quantum di un ricorso al contratto a termine, peraltro incentivato dal renderlo nell’an del tutto fungibile rispetto al contratto a tempo indeterminato», «così da riportare sotto la disciplina civilistica lo stesso termine, ritrasformandolo da elemento ‘causale’ in elemento ‘accidentale’, come tale inadatto a qualificare il relativo contratto come ‘tipo’ o ‘sottotipo’» 91 . Qualora il termine di un contratto superi i trentasei mesi, sia per effetto della sommatoria della durata dei contratti precedenti, che in caso di singolo contratto a termine, «il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento» (art. 19 comma 2 d.lgs. n. 81/2015). La espressa previsione della norma esclude la valutazione delle interpretazioni della dottrina successive all’emanazione del d.l. n. 34/2014, che non aveva considerato alcuna sanzione connessa al limite di durata massima del singolo contratto92.
90 Cfr. ex multis X. XXXXXXX, Le riforme del mercato del lavoro: dalla legge Fornero al Jobs Act – Jobs Act, atto I: la legge n. 78/2014 tra passato e futuro, cit., pag. 42
91 X. XXXXXXX, Le riforme del mercato del lavoro: dalla legge Fornero al Jobs Act – Jobs Act, atto I: la legge
n. 78/2014 tra passato e futuro, cit., pag. 46; cfr. anche X. XXXXXXX, La disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato: novità e implicazioni sistematiche, Working Papers CDSLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT-212/2014, pag. 5
92 Cfr. X. XX XXXXX, La nuova disciplina del contratto a termine nel d.l. n. 34 del 2014 conv. in l. n. 78 del 2014, cit., pagg. 9, 10, che già riteneva applicabile l’istituto della conversione del contratto a tempo determinato che superi il limite dei trentasei mesi, poiché tale clausola del termine contra legem
2.3 La specificazione in forma scritta
La disciplina per l’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato richiede che questo risulti da atto scritto, e che una copia di tale atto debba essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore «entro cinque giorni lavorativi dall’inizio della prestazione», ad eccezione peraltro dei rapporti «di durata puramente occasionale»93, non superiore ai dodici giorni (art. 19 comma 4 d.lgs.
n. 81/2015). Non è necessaria la forma scritta anche per le proroghe di contratti a termine già stipulati (cfr. Cap. 1 par. 3). La forma scritta è richiesta ad substantiam, e l’eventuale mancanza della stessa comporta dunque inefficacia dell’apposizione del termine: «il contratto nel quale il termine non risulti apposto per iscritto “si considera” stipulato a tempo indeterminato: nel senso che la nullità colpisce la sola clausola appositiva del contratto; il contratto mancando il termine, è validamente stipulato a tempo indeterminato (il contratto a tempo indeterminato non è soggetto al requisito della forma scritta, salvo nei casi per i quali sia espressamente prevista» 94 . Sebbene l’apposizione del termine non necessita più della indicazione della ragione oggettiva, tale clausola «è comunque inevitabile – e quindi deve essere ancora specificata – ove si tratti di un termine certus an, incertus quando, perché in tali ipotesi è l’unico elemento dal quale desumere la durata del contratto»95. In ultimo, nell’atto scritto di cui al comma 4 dell’art. 19 deve riportarsi anche l’espresso riferimento al diritto di precedenza disciplinato all’art. 24 (cfr. Cap. 1. Par. 4.2).
2.4 I divieti di assunzione a termine
risulterà nulla e riacquisterà vigore «la caratteristica ordinaria del contratto di lavoro, ossia la indeterminatezza temporale della sua durata»; diversamente invece A. XXXXXXXXX, Intervento, in Competitività e flessibilità nei recenti provvedimenti legislativi (Jobs Act e dintorni), Convegno del Centro Studi di Diritto del Lavoro Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Terni, 7 luglio 2014, dattiloscritto, 3, considera l’effetto sostitutivo limitato al minimo necessario, attraverso l’automatica riduzione della durata al limite legale di 36trentasei mesi.
93 R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro, Milano, 2015, pag. 707
94 M. V. BALLESTRERO – X. XX XXXXXX, Diritto del lavoro, Torino, 2015, pag. 174
95 X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXX, L’apposizione del termine al contratto di lavoro, cit., pag. 15
L’art. 20 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, elenca delle ipotesi tassative per le quali il contratto di lavoro subordinato non può essere stipulato a tempo determinato. Tali casi non sono differiti dopo l’intervento del d.l. n. 34/2014. Dunque, ai sensi della lettera a) del comma 1 non può essere stipulato un contratto a termine innanzitutto per assumere lavoratori a sostituire dipendenti assenti per esercitare il diritto di sciopero, evidentemente al fine di non vanificare
«la forma più incisiva di autotutela degli interessi collettivi dei lavoratori»96. La lettera b) prevede che il contratto a tempo determinato non può essere utilizzato da imprese presso le quali nel corso dei sei mesi precedenti, si è proceduto a licenziamenti collettivi di lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto a termine, a meno che quest’ultimo non sia «concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti, per assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, o abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi». In relazione a questa ipotesi una «novità è costituita dall’eliminazione della possibilità che gli accordi sindacali deroghino al divieto relativo alle aziende che avessero proceduto a licenziamenti collettivi nei 6 mesi precedenti: ennesimo esempio di sottrazione di funzioni al sindacato»97. Comunque, la ratio di questo divieto «è quella di evitare che il datore di lavoro possa destrutturare l’organico sostituendo personale in pianta stabile con lavoratori a termine»98. Come è anche indirizzato a tale finalità il divieto di cui alla lettera c), il quale considera invece le ipotesi di
«unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato». In ultimo, la ipotesi prevista nella lettera d) interessa le imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa cui al d.lgs. n. 81/2008, al fine di «penalizzare i datori di lavoro che non si rendano adempienti rispetto
96 M. V. BALLESTRERO – X. XX XXXXXX, Diritto del lavoro, cit., pag. 314
97 X. XXXXXXXX, Lavoro a tempo determinato (artt. 1, 19-29, 51 e 55), cit., pag. 173
98 R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro, cit., pag. 710
alle norme sulla salute e sicurezza sul lavoro»99. Il comma 2 dell’art. 20 in questione stabilisce che alla violazione dei divieti corrisponde la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, alla quale tuttavia era giunta parte della dottrina già precedentemente alla disposizione così espressa, attraverso la interpretazione della Corte di Cassazione nella sentenza del 2 aprile 2012, n. 5241100.
3 Le proroghe e i rinnovi
3.1 La “liberalizzazione” dell’istituto della proroga
Il primo comma dell’art. 21 del d.lgs. n. 81 consente la proroga di un contratto a termine che sia, ovviamente, di durata inferiore ai tre anni, «per un massimo di cinque volte nell’arco di trentasei mesi a prescindere dal numero dei contratti». La disciplina della acausalità del contratto a tempo determinato prevista dal Jobs Act ha comportato anche la inevitabile apertura nella ammissibilità di proroghe non giustificate da ragioni obiettive. Così, se la precisazione in relazione al limite della durata iniziale inferiore ai trentasei mesi «risulta oggi peraltro superflua», considerato che c’è già l’art. 19 «a stabilire che il contratto a termine non possa avere durata superiore ai trentasei mesi “comprensiva di eventuali proroghe”»101, sarà comunque la durata complessiva massima a impedire l’abuso dell’istituto da parte del datore di lavoro, affiancata dall’imposizione di un numero massimo di cinque proroghe possibili dello stesso contratto. In ogni caso, «la legittimità della proroga continua ad essere condizionata dalla sussistenza di alcuni requisiti già richiesti dal testo precedente» 102 . Necessario è il consenso del lavoratore: peraltro, «la legge non prescrive l’osservanza di una particolare forma per la
99 X. XXXXXXX, Manuale di diritto del lavoro (costituzione, svolgimento e risoluzione del rapporto di lavoro), cit., pag. 315
100 Cfr. X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXX, L’apposizione del termine al contratto di lavoro, cit., pag. 16
101 X. XX XXXXX, La nuova disciplina del contratto a termine nel d.l. n. 34 del 2014 conv. in l. n. 78 del 2014, cit., pag. 20
102 X. XXXXX, Xxxxxxx, continuazione di fatto e rinnovi, cit., pag. 21
validità del consenso»103. Tuttavia, se precedentemente si riteneva pacificamente la forma scritta indispensabile, al fine di specificare le ragioni oggettive che giustificavano la proroga, e di conseguenza nell’attuale disciplina si potrebbe fare anche a meno della proroga scritta, dottrina maggioritaria riconosce che «ragioni di certezza suggeriscono di ritenere che essa vada fatta per iscritto, ossia allo stesso modo del contratto cui accede, in continuità con l’orientamento precedente», poiché «la proroga in forma orale non è agevolmente discernibile dalla mera continuazione di fatto del rapporto che, superato un certo limite temporale, porta alla conversione; in tali casi, infatti, il lavoratore negherà la sussistenza della volontà della proroga su cui invece il datore insisterà» 104 . Sebbene fosse stato mantenuto dal d.l. n. 34/2014, «è stato eliminato il requisito concernente il tipo di attività svolta, contraddittorio rispetto all’eliminazione delle causali»105. Per quanto concerne invece il requisito del numero massimo di proroghe, bisogna soffermarsi sull’ambigua espressione «a prescindere dal numero dei contratti». La si può interpretare come comprensiva sia delle proroghe che dei rinnovi, «con la conseguenza che il numero massimo di proroghe va calcolato complessivamente senza distinguere tra un unico contratto a termine prorogato e quello di una successione di contratti nel rispetto delle interruzioni previste dalla legge». Altrimenti la si può interpretare «nel senso di riferire il limite delle proroghe a ciascun contratto», abilitando in questo modo un numero variabile di proroghe nell’arco dei trentasei mesi (fino a cinque per ogni rinnovo); «l’interpretazione più plausibile è la prima, che evita che il datore di lavoro possa ricorrere a interruzioni brevi per eludere il limite imposto alle proroghe» 106 . Sul piano sanzionatorio l’art. 21 primo comma prevede espressamente che la proroga successiva alla quinta comporta la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, ex nunc.
103 X. XXXXXXX, Manuale di diritto del lavoro (costituzione, svolgimento e risoluzione del rapporto di lavoro), cit., pag. 312
104 X. XX XXXXX, La nuova disciplina del contratto a termine nel d.l. n. 34 del 2014 conv. in l. n. 78 del 2014, cit., pag. 20
105L. MENGHINI, Lavoro a tempo determinato (artt. 1, 19-29, 51 e 55), cit., pag. 173
Diversamente, per l’ipotesi dela proroga, pur sempre nell’ambito delle cinque ammissibili, che superasse il limite di trentasei mesi, a fronte di una norma imperativa che prescrive tale durata massima, «appare persuasiva la tesi che ritiene applicabile gli artt. 1339 e 1418 c.c., con conseguente riduzione ex lege della durata entro il limite legale»; e dunque «una volta superato anche questo limite si potrebbe ritenere integrata la fattispecie della prosecuzione di fatto del rapporto oltre il termine di scadenza»107 (cfr. Cap. 1 par. 3.3). Le limitazioni della prorogabilità dei contratti a termine così disciplinate non trovano applicazione, ai sensi del comma 3 dell’art. 21, alle imprese start-up innovative, per quattro anni dalla costituzione della società o per il periodo più breve previsto dalla legge (art. 25 comma 3 d.l. n. 179/2012): «la ratio nell’attenuazione delle tutele per il prestatore di lavoro è da ricondurre alle forme di incentivo a vario titolo alla nascita di imprese ad alto valore aggiunto e che investono in ricerca e sviluppo, quali sono per l’appunto le start-up»108.
3.2 Il limite complessivo di 36 mesi alla successione dei contratti: i rinnovi
«A differenza della proroga, che è una prosecuzione del contratto in essere, il rinnovo rappresenta un nuovo e distinto contratto» 109 . La rilevanza della disciplina dei rinnovi sta nella possibilità di abuso da parte del datore di lavoro dell’utilizzazione di contratti a tempo determinato in successione, al fine di non concludere contratti a tempo indeterminato e di eludere la più gravosa disciplina. Difatti, un datore di lavoro può riassumere a tempo determinato un lavoratore solamente «entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi» (art. 21 comma 2 d.lgs. n. 81/2015), riservando «l’effetto sanzionatorio della cd. conversione ai soli casi in cui le parti non abbiano rispettato gli intervalli temporali tra un’assunzione e quella successiva»: si può perciò concludere «che la reiterazione di contratti a tempo determinato è da
107 X. XXXXX, Xxxxxxx, continuazione di fatto e rinnovi, cit., pag. 23
108 X. XXXXX – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Diritto del lavoro, cit., pag. 495
109 R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro, cit., pag. 708
ritenere legittima purché avvenga nel rispetto degli intervalli temporali indicati»110. Con il d.lgs. n. 81/2015 «è stata soppressa invece la previsione (ancora contenuta nella legge n. 78/2014) in forza della quale “quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto”. Si trattava tuttavia di un caso difficilmente configurabile, salvo comportamenti poco accorti del datore di lavoro, poiché richiedeva che tra le due assunzioni successive non intercorresse neppure un giorno di intervallo»111. Le disposizioni concernenti i periodi di stop and go e la violazione di questi, oltre che alle start-up innovative di cui al comma 3 dell’art. 21, non si applicano ai lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro, «nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi». «Tale ultima regola si commenta da sé: i già ridotti intervalli possono essere non rispettati in presenza di accordi sindacali, anche a livello aziendale, con una evidente ulteriore delega alle parti sociali, alle quali è riconosciuto il potere … di convenire sulla non trasformazione a tempo indeterminato di un contratto a termine al quale faccia seguito – senza una sostanziale soluzione di continuità – un successivo altro contratto a termine»112. Le disposizioni dirette alla prevenzione all’abuso di una successione di contratti a termine però si integrano con l’efficacia del limite di durata massima pari a trentasei mesi di cui all’art. 19 comma 2, indicato come possibile misura di prevenzione dalla clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla Direttiva europea 1999/70 CE (cfr. Cap. 1 par. 1.3), e che concerne rapporti a tempo determinato successivi tra le stesse parti, per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale 113 . Da parte della dottrina peraltro è stato
110 X. XXXXX – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Diritto del lavoro, cit., pag. 497
111 M. V. BALLESTRERO – X. XX XXXXXX, Diritto del lavoro, cit., pag. 179
112 X. XXXXXXXXXXXX, Quale futuro per il contratto a tempo indeterminato? in ADL, fasc. 2, 2014, pag. 357
113 Proprio il limite di durata massima complessiva pari a trentasei mesi svuoterebbe di utilità, in ottica “antifraudolenta”, la previsione degli intervalli di stop and go tra due contratti successivi, anche «vista la liberalizzazione delle proroghe», e di conseguenza tale disciplina sarebbe necessaria – e quindi utilizzata
- solo nei casi di contratto a termine successivo che abbia ad oggetto attività non equivalente, secondo
sottolineato che «in altri termini, le parti sarebbero libere di concludere più contratti acausali di durata non superiore ai 36 mesi, purché, in buona sostanza, le mansioni assegnate al lavoratore con ciascun contratto non siano equivalenti»: il che vuol dire che «il lavoratore potrebbe, per così dire, far carriera, all’interno dell’azienda, con un rapporto – destinato a rimanere a termine anche per venti o più anni – sempre suscettibile di essere di fatto interrotto senza alcuna conseguenza per il datore»114. A questo riguardo, non meno critica è l’ipotesi del lavoratore che rimanga a lungo precario, e ipoteticamente per la intera durata della vita lavorativa, passando da una impresa all’altra, attraverso rapporti a termine di massimo trentasei mesi, di cui si è trattato in relazione alla acausalità generale introdotta dal d.l. n. 34/2014 (cfr. Cap. 1 par. 1.3.2). Nel computo dei rapporti a termine rilevanti al fini del controllo sull’eventuale raggiungimento della durata massima di trentasei mesi devono considerarsi anche i periodi di missione tra gli stessi soggetti, se aventi ad oggetto equivalenti mansioni, e se nell’ambito di contratti di somministrazione a tempo determinato; mentre sono da escludere i «periodi di interruzione tra un contratto e l’altro». Per quello che concerne il primo profilo, ci si chiede se il riferimento del dato letterale della norma ai periodi di missione «ai fini del computo di tale periodo» di trentasei mesi, non stia a significare che sia possibile «impiegare un lavoratore con contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato al termine del periodo massimo di trentasei mesi»: il che presupporrebbe che «le missioni a termine possono essere prese in considerazione ai fini del computo in discorso soltanto ove fra le parti sia stato stipulato almeno un contratto a tempo determinato e questo potrà essere convertito solo qualora sia l’ultimo della sequenza»115. In ogni caso, al termine dei trentasei mesi le parti dei rapporti a
X. XXXXXXX, La disciplina del contratto a tempo determinato: novità e implicazioni sistematiche, cit., pag. 7; sul punto deve tuttavia notarsi che la clausola 5.2 dell’accordo quadro di cui alla Dir. 99/70 CE prevede che gli Stati membri devono stabilire – a maggior ragione se viene attuata la sola lettera b) del punto 1 - a quali condizioni contratti a tempo determinato devono considerarsi “successivi”
114 X. XX XXXXX, La nuova disciplina del contratto a termine nel d.l. n. 34 del 2014 conv. in l. n. 78 del 2014, cit., pag. 22
115 X. XXXXX, Xxxxxxx, continuazione di fatto e rinnovi, cit., pag. 29
termine possono stipulare un ulteriore contratto, della durata massima di dodici mesi, attraverso una procedura che prevede, a tutela degli interessi del lavoratore, almeno la conclusione del contratto presso la direzione territoriale del lavoro competente: «non è più necessaria l’assistenza di un rappresentante sindacale»116. Il mancato rispetto della procedura o il superamento della durata annuale comportano la conversione in contratto a tempo indeterminato. E ancora, come anche per il caso del singolo contratto, così per la durata complessiva di rapporti successivi, il superamento dei trentasei mesi comporta la trasformazione del contratto in contratto a tempo indeterminato alla data del superamento: peraltro, in questa situazione sarà oggetto di conversione l’ultimo contratto stipulato. La effettività del limite di durata complessiva verso il fine di prevenzione all’abuso derivante da utilizzazione successiva di contratti a tempo determinato può essere ridotta dalla eccezione che apre il comma 2 dell’art. 19, la quale ammette la derogabilità da parte della contrattazione collettiva (cfr. Cap. 3 par. 6): parte della dottrina ritiene che le parti sociali possano sì disporre una diversa durata, ma con il limite della «durata massima complessiva; qualora il contratto, infatti, ampliasse tale durata, sarebbe serio il rischio di violazione in concreto della direttiva, poiché un limite eccessivo non sarebbe idoneo a prevenire l’abuso»117.
3.3 La continuazione di fatto del rapporto oltre il termine
All’art. 22 il d.lgs. n. 81/2015 disciplina, nello stesso modo che nella normativa precedente, il caso in cui la attività lavorativa prosegua oltre il termine di scadenza del contratto a tempo determinato. Come già sottolineato (cfr. Cap. 1 par. 1.3.1), è una situazione che può verificarsi per mera disattenzione delle parti, soprattutto nelle aziende con un ampio personale, ed è perciò di norma fisiologicamente non prevedibile. Di conseguenza, la sanzione della immediata conversione del contratto del lavoratore risulterebbe troppo penalizzante per le
116 X. XXXXXXXXXX – X. XX XXXX XXXXXX – X. XXXXXXX – X. XX XXXXXX – M. T. XXXXXXXXX, Le novità del
Jobs Act, Iuris Laboris Italy Global HR Lawyers, 2015 , pag. 64
117 X. XX XXXXX, La nuova disciplina del contratto a termine nel d.l. n. 34 del 2014 conv. in l. n. 78 del 2014, cit., pag. 23
imprese. Infatti, «allo scopo di garantire al datore di lavoro una necessaria flessibilità, la validità del contratto a termine viene conservata per un limite di tempo predeterminato (cd. periodo di tolleranza) assimilabile ad una tacita proroga breve giustificata dall’immediata esigenza di continuazione dell’attività lavorativa» 118 . Durante tale periodo la retribuzione sarà soggetta ad una maggiorazione per ogni giorno di continuazione pari al venti per cento di questa, fino al decimo giorno successivo alla scadenza, e al quaranta per cento per ogni giorno ulteriore. Sebbene diffusamente la dottrina ritenga che tale maggiorazione
«funziona come una sorta di penale o sanzione economica rivolta a disincentivare la prosecuzione del rapporto oltre il termine»119, non si esclude, anche sulla base del riferimento alla retribuzione del dato letterale dell’art. 22, «la natura retributiva delle maggiori somme che vanno corrisposte al lavoratore; somme che, a stretto rigore, dovranno pertanto essere soggette a contribuzione e computate ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto»120. «V’è un limite, tuttavia, alla tolleranza del superamento del termine»121: il secondo comma infatti impone la conversione del contratto che prosegua oltre il trentesimo giorno, per contratti inferiori ai sei mesi, o in caso contrario oltre il cinquantesimo giorno di continuazione di fatto; la trasformazione avviene ex nunc «dalla scadenza dei predetti termini».
4 La disciplina del rapporto di lavoro
4.1 Il principio di non discriminazione
La clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70 CE, nell’ambito di una regolazione del contratto a tempo determinato finalizzata, tra le altre cose, ad un miglioramento delle condizioni dei lavoratori a termine, ha introdotto nella nostra disciplina il principio di non discriminazione. Si deve sottolineare infatti che, secondo quanto espresso nella Corte di Giustizia dell’Unione, tale clausola
118 X. XXXXX – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Diritto del lavoro, cit., pag. 495 119 X. XXXXX – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Diritto del lavoro, cit., pag. 495 120 X. XXXXX, Xxxxxxx, continuazione di fatto e rinnovi, cit., pagg. 25, 26 121 R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro, cit., pag. 708
ha efficacia immediata negli ordinamenti degli Stati destinatari (l’origine del principio di non discriminazione deve infatti ricollegarsi alle tradizioni giuridiche degli stessi Stati membri - cfr. Cap. 1 par. 1.3). Tale principio si sostanzia nello
«obbligo per il datore di lavoro di rispettare il principio di parità di trattamento fra il lavoratore a termine e il lavoratore a tempo indeterminato»122. L’art. 25 del decreto legislativo n. 81 statuisce infatti che «al lavoratore a tempo determinato spetta il trattamento economico e normativo in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili»: è lo stesso legislatore, diversamente dalla normativa di cui al d.lgs. n. 368/2001, a prevedere che sono questi ultimi sono i lavoratori «inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva» (in sintonia con la modifica della disciplina delle mansioni apportata all’art. 2103 cod. civ. dallo stesso d.lgs. n. 81/2015). Da questa definizione di lavoratori comparabili, si potrebbe «desumere che l’obbligo di uniformità riguardi i trattamenti inderogabili collettivi e non eventuali trattamenti ad personam123 . Tuttavia, a tale riguardo non deve tralasciarsi che, per il principio di effettività, i giudici della Corte di Giustizia hanno «ripetutamente utilizzato una nozione ampia di retribuzione, con la finalità di estendere al massimo la portata applicativa del principio di parità» 124 . Il principio di parità peraltro viene escluso per quei trattamenti obiettivamente incompatibili con la natura del contratto a tempo determinato, relativamente alle “specifiche modalità” di esecuzione della prestazione nel caso concreto125. Da queste considerazioni si deve ritenere che al prestatore di lavoro con contratto a termine spettino perlomeno «le ferie, le mensilità supplementari, il trattamento di fine rapporto» e, «nonostante le difficoltà di calcolo e di erogazione, dovrebbero essere riconosciuti ai lavoratori
122 X. XXXXXXX, Manuale di diritto del lavoro, cit., pag. 313
123 X. XXXXX – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Diritto del lavoro, cit., pag. 499
124 Cfr. X. XXXXXX – D. PACE – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXXX, Diritti e obblighi delle parti del contratto a tempo determinato, in Jobs Act e contratto a tempo determinato – atto I, X. XXXXXXX XXXXXXXXXX (a cura di), Torino, 2014, pag. 40
125 Crf. Cass. Civ. Sez. Lavoro, sentenza 17 febbraio 2011, n. 3871
a termine anche i premi di risultato, proporzionati all’apporto conferito» 126 . Infine, l’art. 25, sempre al primo comma, stabilisce che il trattamento deve spettare «in proporzione al periodo lavorativo prestato». La eventuale
«inosservanza di questi obblighi di trattamento determina la responsabilità contrattuale del datore di lavoro per l’inadempimento delle relative obbligazioni e lo espone anche all’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie»127, da 25,82 euro a 154,94 euro, e fino a 1.032,91 euro se tale inosservanza si riferisce a più di cinque lavoratori (art. 25 comma 2, d.lgs. n. 81/2015).
4.2 I diritti di precedenza e di informazione
Nonostante l’accordo quadro CES, UNICE e CEEP di cui alla Direttiva 1999/70 CE tenda al miglioramento delle condizioni dei lavoratori a tempo determinato, la stabilizzazione dei lavoratori è pur sempre uno scopo fondamentale nell’ambito del diritto dell’Unione, infatti i contratti di lavoro a tempo indeterminato (rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e) contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati (cfr. considerando
n. 6, Dir. 99/70 CE). Istituti che promuovono l’uscita dei lavoratori dallo stato di precarietà del lavoro a tempo determinato sono il diritto di precedenza di cui all’art. 24 e l’obbligo di informazione ai sensi del quinto comma dell’art. 19.
Il diritto di precedenza non ha origine nella direttiva sul contratto a tempo determinato: il diritto di essere riassunti presso la stessa azienda e con la stessa qualifica era previsto per i lavoratori stagionali che avessero manifestato una volontà in tal senso. A seguito della estensione di una disciplina simile anche ai contratti a tempo determinato, e l’intervento della Corte costituzionale con i successivi adeguamenti 128, si è giunti alla disciplina di cui al d.lgs. n. 81/2015. Obiettivo del legislatore è «anzitutto quello di rendere certo tale diritto per i lavoratori impegnati in attività stagionali (afflitti, notoriamente, da
126 X. XXXXXXX, Manuale di diritto del lavoro, cit., pag. 313
127 X. XXXXX – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Diritto del lavoro, cit., pag. 499
128 Cfr. X. XXXXXX – D. PACE – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXXX, Diritti e obblighi delle parti del contratto a tempo determinato, cit., pagg. 49, 50
disoccupazione periodica ricorrente)» (cfr. art. 24 comma 3 d.lgs. n. 81/2015);
«inoltre, al fine di sostenere la stabilizzazione dei rapporti di lavoro del personale precario assunto con contratti a termine, ha altresì previsto un diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dallo stesso datore di lavoro entro i successivi dodici mesi» 129 . Per usufruire del diritto di precedenza il lavoratore deve aver prestato attività lavorativa presso il datore di lavoro che intende assumere per più di sei mesi, in forza di uno o più contratti a termine; l’assunzione con contratto a tempo indeterminato deve avere ad oggetto le mansioni «già espletate in esecuzione dei rapporti a termine», ed avere luogo entro i dodici mesi successivi alla scadenza dell’ultimo contratto a tempo determinato (cfr. art. 24 comma 1). In ultimo il lavoratore deve esprimere la propria volontà nell’usufruire del diritto di precedenza, per iscritto, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro – tre mesi per i lavoratori stagionali. Ancora il comma 4 dell’art. 24 stabilisce che nell’atto scritto necessario alla efficacia dell’apposizione del termine deve essere richiamato il diritto di precedenza130. In ogni caso, questo diritto del lavoratore si estingue trascorso un anno dalla data di cessazione del rapporto. L’unica vera novità introdotta nell’ambito del Jobs Act è contenuta nel secondo comma dell’art. 2: difatti, «nell’apprezzabile intento di agevolare il ritorno al lavoro delle lavoratrici dopo la maternità, e dunque in una prospettiva di conciliazione tra vita familiare e vita professionale»131, il congedo di maternità usufruito durante un contratto a tempo determinato presso lo stesso datore di lavoro viene computato nel periodo di attività di sei mesi necessario a conseguire il diritto di precedenza; inoltre un diritto di precedenza, per tali lavoratrici, è riconosciuto anche per le assunzioni a termine dello stesso datore di lavoro, alle stesse condizioni alle quali è sottoposto quello per le assunzioni a tempo indeterminato. In apertura del comma 1 dell’art.
129 X. XXXXXX – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Diritto del lavoro, cit., pagg. 503, 504
130 «Tuttavia, la legge non prevede alcuna sanzione in caso di mancato rispetto della forma scritta: in tal caso il datore sarebbe esposto ad una azione risarcitoria per il pregiudizio patito dal lavoratore quale conseguenza dell’omissione, oltre all’irrogazione di una sanzione amministrativa ad opera dei competenti organi», . GHIERA – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Diritto del lavoro, cit., pagg. 504
131 M. V. BALLESTRERO – X. XX XXXXXX, Diritto del lavoro, cit., pag. 182
24, viene tuttavia premesso che sono fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi: «da ciò si deduce che, anche a livello aziendale, nelle modalità individuate dalla pattuizione collettiva, potrebbero essere individuati termini temporali diversi»132. Xxxxx prescrive la norma riguardo le conseguenze del mancato rispetto del diritto in questione da parte del datore di lavoro. Sul punto ha un peso rilevante nella dottrina la tesi «secondo cui la violazione darebbe luogo al solo risarcimento del danno», la quale ha anche «ricevuto l’avallo della Corte di Cassazione, che ha stabilito che “il diritto di essere preferito non è assistito dalla tutela in forma specifica (ai sensi dell’art. 2932 c.c.) perché si tratta, non già di un diritto, sia pure condizionato, alla stipulazione di un contratto di lavoro, ma soltanto del diritto ad essere preferito, come contraente, nel caso in cui il datore di lavoro decida di procedere a nuove assunzioni”»133. Infine, può capitare, e nell’ambito del lavoro stagionale è un’ipotesi che si verifica continuamente, che lavoratori abbiano manifestato la volontà di essere assunti in numero superiore alla quantità dei posti disponibili. Una soluzione a questo problema non è rintracciabile nella legge: nel caso di rapporti stagionali questa «è stata trovata ipotizzando, anche con accordi sindacali, quali criteri selettivi, il numero dei rapporti precedenti, i carichi familiari, e l’anzianità»; mentre per datori di lavoro che vogliano assumere a tempo indeterminato «la situazione si può presentare un po’ più complicata, atteso che oltre ai rapporti a termine, si potrebbero trovare ad affrontare anche altri diritti di precedenza legati alla trasformazione a tempo pieno di rapporti a tempo parziale, alle prerogative, anche contrattuali, di chi intende tornare, in presenza di specifiche condizioni, “a tempo pieno”, o, da ultimo, alle precedenze dei lavoratori licenziati»134.
Il diritto di informazione dei lavoratori a tempo determinato ha invece origine
nella Direttiva 1999/70. In particolare nella clausola 6 dell’accordo quadro, che
132 X. XXXXX, Contratto a termine e diritto di precedenza, in Diritto & pratica del lavoro, n. 36/2015, pag. 2037
133 X. XXXXXX – D. PACE – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXXX, Diritti e obblighi delle parti del contratto a tempo determinato, cit., pag. 51; cfr. Cass. Civ. Sez. Lavoro, sentenza 26 agosto 2003, n.
12516
prevede un obbligo di informazione riguardo le possibilità di impiego all’interno dell’azienda in capo ai datori di lavoro verso i soli lavoratori a tempo determinato. L’ultimo comma dell’art. 19 statuisce invece che il datore di lavoro deve informare non soltanto i lavoratori a tempo determinato, ma anche le RSA o la RSU, circa i posti che si rendono disponibili nell’impresa; sulla base di una
«logica antidiscriminatoria, è demandato all’autonomia collettiva il compito di definire le modalità e i contenuti delle informazioni da rendere» 135. Si deve sottolineare la novità rispetto alla disciplina precedente, consistente nella eliminazione al riferimento ai “posti duraturi” si rendano disponibili: sul punto, è stato affermato che «le informazioni sono altra cosa rispetto a diritti di precedenza e non va criticato nemmeno il fatto che le informazioni oggi possano riferirsi a tutti i posti, non solo a quelli “duraturi”», e che «l’eliminazione, quindi, è positiva» 136 . Si deve in ogni caso rimarcare «che la portata di questa disposizione non va oltre l’informazione sui posti, mentre resta libera per il datore di lavoro la facoltà di scegliere i lavoratori che più ritiene idonei per la copertura dei posti vacanti137».
4.3 Il diritto di formazione
Nella stessa clausola 6 dell’accordo quadro CES, UNICE E CEEP che introduce il diritto di informare i lavoratori a termine circa le possibilità di impiego. Il secondo punto tratta invece il cd. diritto alla formazione, e prevede che i datori di lavoro, «nei limiti del possibile», dovrebbero agevolare per i lavoratori a tempo determinato le opportunità di formazione adeguate, «per aumentarne le qualifiche, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale». L’art. 26 del d.lgs. n. 81/2015 riprende letteralmente la clausola 6.2 della direttiva, compresa la mancata previsione di un obbligo, ma destina tale possibilità ai contratti collettivi. Come è stato notato in dottrina, «si tratta di una previsione debole, perché condizionata dagli equilibri contrattuali, che potrebbe
135 X. XXXXX – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Diritto del lavoro, cit., pag. 500
136L. MENGHINI, Lavoro a tempo determinato (artt. 1, 19-29, 51 e 55), cit., pag. 173
137 X. XXXXXXX, Manuale di diritto del lavoro, cit., pag. 314
però contribuire a ridurre il rischio di dequalificazione di fatto dei lavoratori a termine, spesso segregati in mansioni di basso valore e prive di prospettive di sviluppo della professionalità»138. Fino all’intervento del Jobs Act il d.lgs. n. 368/2001 disponeva, attraverso il comma 1 dell’art. 7, il dovere per il lavoratore a tempo determinato di ricevere una formazione sufficiente ed adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggetto del contratto, al fine di prevenire rischi specifici connessi all’esecuzione del lavoro. Tale regola, non riproposta nell’art. 26 del d.lgs. n. 81/2015, «era importante, perché è noto che almeno tempo addietro i dipendenti a termine si infortunavano di più rispetto a quelli stabili, a causa dell’assoluta mancanza di esperienza nelle specifiche lavorazioni. Ora il tutto è regolato dal d.lgs. n. 81/2008, che all’art. 3, comma 4, individua tutti i lavoratori, senza distinzioni, quali beneficiari delle proprie disposizioni»139.
4.4 Infortunio, malattia e maternità
L’art. 2110 del codice civile riconosce ai lavoratori la corresponsione della retribuzione o di una indennità e il diritto alla conservazione del posto per la sospensione del rapporto di lavoro che sia dovuta a infortunio, malattia, gravidanza o puerperio del prestatore di lavoro (cd. periodo di comporto). Per effetto del principio di non discriminazione, la giurisprudenza e la dottrina prevalenti sono d’accordo sulla interpretazione estensiva di tale regola e dunque del diritto di percepire la indennità dall’INPS o dal competente ente previdenziale, e dallo stesso datore di lavoro, «con la differenza che se il contratto scade quando il lavoratore è in malattia, o è in stato di infermità causato da infortunio, all’avvenuta scadenza verrà meno anche il relativo trattamento»140; non così tuttavia nel caso di sospensione per gravidanza o puerperio, ai sensi dell’art. 24 comma 1 del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, che prevede che l’indennità è comunque percepita per intero dopo la risoluzione del rapporto per scadenza del termine. Peraltro, per i lavoratori a tempo determinato una ulteriore
138 M. V. BALLESTRERO – X. XX XXXXXX, Diritto del lavoro, cit., pag. 181
139 X. XXXXXXXX, Lavoro a tempo determinato (artt. 1, 19-29, 51 e 55), cit., pag. 180
140 X. XXXXXXX, Manuale di diritto del lavoro, cit., pag. 314
distinzione di disciplina riguarda il caso di malattia, che è regolato dall’art. 2 del
d.l. n. 463/83 (conv. in l. n. 638/83). Al prestatore di lavoro non può essere riconosciuto per un tempo superiore al periodo lavorato nei dodici mesi precedenti l’evento patologico – in ogni caso limitato dall’eventuale scadenza del termine. Se tuttavia tale periodo non sarà superiore ai trenta giorni, anche l’indennità economica non sarà corrisposta per più di trenta giorni (gravando interamente sull’istituto previdenziale). Da ultimo, nel settore agricolo rileva il numero di giornate lavorate durante l’anno precedente – minimo centocinquanta, secondo quello che risulta dagli appositi elenchi141.
4.5 Recesso
Il rapporto di lavoro a tempo determinato si estingue alla scadenza del termine, consistente in una data o in un riferimento al verificarsi di un determinato evento. In tale caso «la cessazione del rapporto si verifica senza necessità di preavviso, essendo quest’ultimo istituto incompatibile con la natura del contratto a termine» 142 . La normativa sul contratto a tempo determinato non contiene nessuna disposizione «in merito alla disciplina dell’eventuale scioglimento del contratto ante tempus»; è dunque applicabile la disciplina dei contratti in generale, «escluso comunque il ricorso all’art. 2118 c.c. (recesso unilaterale), contrario alla natura del contratto a termine» 143. In particolare, le parti del contratto a tempo determinato possono recedere unilateralmente per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 cod. civ. Pacificamente ammessa è anche il recesso per mutuo consenso ai sensi dell’art. 1372 cod. civ., «in presenza anche non di dichiarazioni, ma di comportamenti significativi tenuti dalle parti» 144 , o per impossibilità sopravvenuta della prestazione ex art. 1463 cod. civ.145. Parte della
141E . GIORGI – D. PACE – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXXX, Diritti e obblighi delle parti del contratto a tempo determinato, cit., pag. 54
142 X. XXXXXXXXX, Diritto del lavoro, Torino, 2010, pag. 166
143 X. XXXXX – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Diritto del lavoro, cit., pagg. 500, 501
144 X. XXXXXXXXX, Diritto del lavoro, cit., pag. 166
145 «Il datore di lavoro può liberarsi dei rapporti di lavoro qui considerati solo qualora possa invocare l'impossibilità sopravvenuta, non della sua prestazione (di retribuzione), ma di quella del
lavoratore (di effettuare l'attività lavorativa), dipendente da un fatto che attiene alla sfera
dottrina ritiene sia «al datore di lavoro consentito recedere ante tempus per il superamento del periodo di comporto (salvo in questo caso, il rispetto del periodo di preavviso) e per il mancato superamento del periodo della prova ex art. 2096 c.c.» 146 . All’infuori della disciplina di cui al codice civile, le norme sul licenziamento per giustificato motivo ai sensi della legge n. 604 del 1966, per espressa previsione dell’art. 1, si applicano solamente al contratto a tempo indeterminato. «In ogni caso il recesso ante tempus non assistito da giusta causa non comporta la stabilizzazione del rapporto, ma solo il risarcimento del danno subito dal lavoratore secondo i canoni ordinari (retribuzioni perdute, aliunde perceptum e aliunde percipiendum)»147. Il risarcimento del danno così composto sarà destinato anche al lavoratore che si dimetta per giusta causa148, nel caso opposto, di dimissione senza giusta causa, sarà il lavoratore invece a dover risarcire.
4.6 L’impugnazione del contratto
La disciplina della impugnazione del contratto a tempo determinato, di cui all’art. 28 del d.lgs. n. 81/2015, conferma nella sostanza quella che risultava essere la regolazione già dopo l’intervento del d.l. n. 34/2014. Il primo comma dell’articolo in commento rende applicabile l’art. 6 della legge 15 luglio 0000, x. 000, xx per quanto concerne il primo comma dello stesso articolo, solo nelle “modalità”. Infatti il termine di impugnazione viene espressamente stabilito
dell'impresa e che in tal modo si traduce in una impossibilità a ricevere la prestazione lavorativa. Questa impossibilità è tradizionalmente collocata, nell'ambito della distinzione tra cause di “estinzione del rapporto” (che si verificano quando la causa del contratto si è realizzata: ad es., per il contratto di lavoro, il recesso con preavviso e la scadenza del termine) e cause di “risoluzione
del contratto” (collegate alla mancata realizzazione della causa), tra queste seconde, insieme con l'inadempimento e l'eccessiva onerosità della prestazione. I limiti in cui la stessa può operare
sono, peraltro, piuttosto ristretti. Si deve trattare, in vero, di situazioni in cui il datore di lavoro non può porre in essere, per ragioni estranee alla sua volontà, quell'attività di carattere strumentale e preparatorio che è indispensabile affinché il lavoratore possa effettuare la prestazione lavorativa.», secondo X. XXXXXXXX, Contratto a tempo determinato e recesso ante tempus: riorganizzazione e
cessazione dell’attività aziendale, in Riv. it. dir. lav., fasc. 3, 2009, pag. 605, (nota a Cass. Civ. Sez. Lavoro, sentenza 10 febbraio 2009, n. 3276)
146 X . XXXXXX – D. PACE – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXXX, Diritti e obblighi delle parti del contratto a tempo determinato, cit., pag. 55
147 M. V. BALLESTRERO – X. XX XXXXXX, Diritto del lavoro, cit., pag. 182
148 Cfr. Cass. Civ. Sez. Lavoro, sentenza 3 febbraio 1996, n. 924, in Riv. it. dir. lav., fasc. 4, 1997, pag. 800
dall’art. 28 in «centoventi giorni dalla cessazione del singolo contratto», («con ciò ripetendo quanto disponeva l’art. 32, comma 3, lett. a, della l. n. 183/2010, come modificato dall’art. 1 comma 11 della l. n. 92/2012»149 - abrogato difatti all’art. 55 comma 1 lett. f) del cd. Codice dei contratti). Entro tale termine dunque, il lavoratore – ovvero i sindacati, «anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale», deve impugnare il contratto «con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore» (art. 6 comma 1, l. n. 604/66). Tuttavia, a norma del secondo comma la impugnazione deve essere poi perfezionata attraverso il deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato «entro il successivo termine di centottanta giorni». Nonostante la diversità di vedute, «secondo l’interpretazione più accreditata nella pratica, i 180 giorni decorrono dalla scadenza»150 dell’intero termine valido per l’impugnazione, pari come già detto a centoventi giorni. Tale valutazione «poggia sulla valorizzazione dell’inciso successivo termine” … intendendosi per successivo, un termine che necessariamente inizia a decorrere in seguito allo spirare del precedente, di 120 giorni»; «ciò detto, il lavoratore prudente preferirà depositare il suo ricorso nella cancelleria del tribunale entro
180 giorni dalla data dell’impugnazione, anche perché non mancano Autori secondo cui invece sarebbe prevalente la tesi della decorrenza dalla data dell’impugnazione»151. Nel caso di tentativo di conciliazione o arbitrato, se la richiesta di conciliazione o arbitrato sia rifiutata, o se non sia raggiunto un accordo, l’atto giudiziale dovrà essere depositato nella cancelleria del tribunale entro sessanta giorni dal giorno del rifiuto o del mancato accordo. Il contratto a tempo determinato viene impugnato dal lavoratore per nullità del termine apposto al contratto di lavoro, causata dalla violazione delle regole che disciplinano la stessa apposizione del termine. A riguardo deve essere
149 X. XXXXXXXX, Lavoro a tempo determinato (artt. 1, 19-29, 51 e 55), cit., pag. 181
150 R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro, Milano, 2012, pag. 579
151 X. XXXXXXX, Impugnazione del contratto a tempo determinato, in Jobs Act e contratto a tempo determinato – atto I, X. XXXXXXX XXXXXXXXXX (a cura di), Torino, 2014, pag. 114
sottolineato che la «abolizione del requisito della “causale”, fonte di incertezze e di uno smisurato contenzioso giudiziario»152 ad opera del Jobs Act, dovrebbe aver limitato il quantitativo di impugnazioni in tema di contratti a tempo determinato. Il comma 2 dell’art. 28 del d.lgs. n. 81/2015 stabilisce la disciplina dell’apparato sanzionatorio conseguente alla accertata violazione delle norme sull’apposizione del termine al contratto: come si rileva in tutto il Capo III del decreto legislativo in commento, la sanzione principale in tema di contratto a termine consiste nella trasformazione in contratto a tempo indeterminato. A tale conversione del contratto la norma lega la condanna, da parte del giudice, del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, attraverso una indennità onnicomprensiva «nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 della legge n. 604 del 1966» (ovvero il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell’impresa, l’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, il comportamento e le condizioni delle parti). La indennità risarcitoria onnicomprensiva dunque
«sterilizza ogni pretesa di tipo economico che il lavoratore possa avanzare nei confronti del datore di lavoro, che non si vede più accollata l’alea della lunghezza dei tempi processuali, o magari la “studiata” inerzia del lavoratore nel rivendicare i suoi diritti nel tempo», nel «periodo cd. “intermedio”, quello ossia intercorrente tra la scadenza del contratto e la sentenza di conversione»153. A partire da tale sentenza, si deve ritenere che «il datore di lavoro sia in defettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva»154. L’ultimo comma dell’art. 28 statuisce che la indennità onnicomprensiva sarà limitata nel massimo alla metà di quanto disposto dal comma 2, dunque a massimo sei mensilità, «in presenza di contratti collettivi che
152 X. XXXXXXXXXX – X. XX XXXX XXXXXX – X. XXXXXXX – X. XX XXXXXX – M. T. XXXXXXXXX, Le novità del
Jobs Act, cit., pag. 63
153 X. XXXXXXX, Impugnazione del contratto a tempo determinato, cit., pagg. 120, 121
154 Cass. Civ. Sez. Lavoro, sentenza 31 gennaio 2012, n. 1411
prevedano l’assunzione, anche a tempo determinato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie» (art. 28 comma 3 d.lgs. n. 81/2015). Deve rimarcarsi qui il riuscito “riordino” della disciplina, che in un breve articolo racchiude tutte le regole applicabili alla impugnazione del contratto a termine, escludendo la relativa regolazione di cui all’art. 32 della l. n. 183/2010 cd. Collegato Xxxxxx, con il risultato che «la normativa ora è più lineare»155.
5 Il limite quantitativo del numero complessivo di contratti a termine utilizzabili
5.1 Il 20 % degli impiegati a tempo indeterminato e i criteri di computo
Il d.lgs. n. 81/2015 dedica l’art. 23 alla disciplina del “Numero complessivo di contratti a tempo determinato”, «unico vero argine all’utilizzo del contratto a termine insieme al limite relativo alla successione dei contratti con lo stesso lavoratore dopo l’eliminazione delle causali»156. Il primo comma prevede che un datore di lavoro con più di cinque dipendenti non può occupare con contratto a termine un numero di lavoratori superiore al venti per cento del quantitativo di lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione. Prima del d.l. n. 34/2014, l’art. 10 comma 7 del d.lgs. n. 368/2001 affidava l’individuazione di limiti quantitativi di utilizzazione del contratto a termine ai contratti nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative (cd. clausole di contingentamento). Il decreto legge n. 34 stabilisce un limite quantitativo determinato legalmente ex ante157. Il cd Codice dei contratti ripropone una disciplina in sostanza ricalcata su quella già introdotta dal decreto Xxxxxxx, introducendo peraltro alcune novità. Innanzitutto l’art. 23 chiarisce infatti che nel calcolo della soglia quantitativa del venti per cento, gli eventuali numeri decimali pari o superiori allo 0,5 si arrotondano all’unità
155 X. XXXXXXXX, Lavoro a tempo determinato (artt. 1, 19-29, 51 e 55), cit., pag. 181
156 X. XXXXXXXX, Lavoro a tempo determinato (artt. 1, 19-29, 51 e 55), cit., pag. 175
157Tuttavia, «il d.l. n. 34/2014 faceva riferimento alla nozione di “organico complessivo”, ritenuta troppo imprecisa e fonte di problemi interpretativi», come sottolinea X. XXXXXXX, La disciplina del contratto a tempo determinato: novità e implicazioni sistematiche, cit., pag. 6
superiore. In secondo luogo, la derogabilità del limite quantitativo da parte della contrattazione collettiva, sebbene già prevista precedentemente, è ammessa, come per tutti gli altri richiami ai contratti collettivi nell’ambito del d.lgs. n. 81/2015, anche da parte delle pattuizioni di secondo livello, aziendale o territoriale. Nonostante alcune opinioni di autori che riconoscono la soglia del venti per cento come limite insuperabile dalla facoltà di deroga della contrattazione collettiva158, quest’ultima si deve ritenere «esercitabile anche in modo non uniforme sia in melius che in peius in virtù del rinvio legislativo al contratto collettivo senza limitazioni di sorta»159, se non quelle in relazione agli aspetti «della ragionevolezza, dei principi costituzionali e delle norme euro- unitarie»160. Alla contrattazione collettiva viene anche affidata la definizione di modalità e contenuti delle «informazioni da rendere alle rappresentanze sindacali o alla rappresentanza sindacale unitaria dei lavoratori in merito all’utilizzo del lavoro a tempo determinato», a norma del quinto comma dell’art. 23. In ogni caso, quale che sia la soglia percentuale applicabile per il singolo datore di lavoro, questa deve essere calcolata avendo riguardo «al numero dei lavoratori a termine in servizio al momento della nuova assunzione e tale numero non potrà mai superare il 20% dei lavoratori a tempo indeterminato in servizio alla data del 1° gennaio dell’anno di assunzione», così che tale soglia «non costituisce un limite fisso annuale rappresentando piuttosto una proporzione tra lavoratori stabili e a termine, di modo che allo scadere di un contratto, sarà possibile stipularne un altro sempre che si rispetti la percentuale massima di lavoratori a
158 X. XXXXXXXXXX, Vincoli e sanzioni nel ricorso al contratto a termine: forma e tetti agli organici, in Le politiche del lavoro del Governo Xxxxx. Atti del X Seminario di Bertinoro-Bologna del 23-24 ottobre
2014, X. XXXXXXX (a cura di), ADAPT University Press, 2015, pag. 180
159 X. XXXXXXXXX, La violazione dei limiti quantitativi, in Jobs Act e contratto a tempo determinato – atto I, X. XXXXXXX XXXXXXXXXX (a cura di), Torino, 2014, pag. 63
160 X. XXXXXXXX, Lavoro a tempo determinato (artt. 1, 19-29, 51 e 55), cit., pag. 177, il quale ancora sottolinea che « si rimane in questi limiti, a mio avviso, anche quando la contrattazione aziendale sia autorizzata a consentire percentuali alte di assunzione a termine in quanto giustificate dall’esigenza di disporre di maggior personale per far fronte ad una commessa o un appalto
definiti e predeterminati nel tempo: qui si tratta di occasioni di lavoro temporanee e le assunzioni, a ben vedere, hanno carattere “causale”»
tempo determinato»161. Come già sottolineato, se la percentuale dà luogo ad un numero decimale eguale o superiore a 0,5, è previsto un arrotondamento all’unità superiore.
5.2 L’apparato sanzionatorio: una disciplina con qualche lacuna
Il comma 4 dell’art. 23 regola le conseguenze della violazione del limite percentuale di cui al primo comma, limitandosi però a statuire che il datore di lavoro subirà una sanzione amministrativa, per ogni lavoratore impiegato oltre la soglia, di importo pari al venti per cento della retribuzione del prestatore per ogni mese - o frazione di mese superiore ai quindici giorni – di durata del rapporto di lavoro, se il lavoratore assunto in violazione del limite percentuale è solamente uno; altrimenti la percentuale di retribuzione da computare per ogni lavoratore assunto in violazione del comma 1 sarà pari al cinquanta per cento. La norma espressamente esclude «la trasformazione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato». Come ampiamente notato in dottrina «la disciplina delle conseguenze del mancato rispetto dei limiti percentuali è molto importante, perché gli stessi costituiscono il requisito fondamentale che è stato sostituito alle causali»162. E ciononostante, il legislatore sottintende informazioni essenziali, riguardanti ad esempio la verifica sul rispetto dei limiti percentuali, i soggetti che devono di fatto applicare la sanzione, e il controllo sulla applicazione della stessa. Considerando che è «legittimata ad agire l’autorità amministrativa», si deve ritenere che «saranno allora i servizi ispettivi ad effettuare le necessarie verifiche anche mediante accessi e sopralluoghi in azienda, nonché visionando tutta la documentazione utile allo scopo»163. Infatti non è difficile ritenere che il
161 A. PRETERORI, La violazione dei limiti quantitativi, cit., pagg. 60, 61
162 X. XXXXXXXX, Lavoro a tempo determinato (artt. 1, 19-29, 51 e 55), cit., pag. 178
163 X. XX XXXXX, La nuova disciplina del contratto a termine nel d.l. n. 34 del 2014 conv. in l. n. 78 del 2014, cit., pag. 15; nonostante sin da subito della ipotesi prospettata si metteva in dubbio se «gli organismi dell’Inps e del Ministero del lavoro avessero avuto la volontà e i mezzi per conoscere le percentuali ed attivarsi», come rilevato da X. XXXXXXXX, Lavoro a tempo determinato (artt. 1, 19-29, 51 e 55), cit., pag. 178; direzione prospettabile per una maggiore verificabilità sarebbe quella di «prevedere un obbligo di trasparenza ovvero la pubblicità dei dati comunicati al Centro per l’impiego» secondo X. XXXXXXXX, Un decreto da cambiare, che contraddice il job act annunciato da Xxxxx, in Il decreto lavoro – opinioni a confronto, Lavoro Welfare, n. 4, aprile 2014, pag. 27
lavoratore, oltre al fatto che «non avrà titolo per agire in giudizio», «non essendo egli a conoscenza dei numeri presenti in azienda, debba limitarsi ad una mera deduzione»164 del superamento del limite determinato dalla sua assunzione. Di conseguenza, sarà poi il datore onerato della prova del rispetto della soglia percentuale ai sensi dell’art. 2697 cod. civ. D’altronde il lavoratore non sarebbe incentivato a provare, così come a “denunciare”, la violazione, non essendo la sanzione amministrativa diretta a ristorare un pregiudizio dello stesso lavoratore. Per quanto concerne poi proprio la sanzione prevista dalla norma, prima della espressa esclusione della trasformazione del contratto, la dottrina si era ampiamente interrogata sull’eventuale cumulo della sanzione della conversione alla sanzione amministrativa165, e sulle conseguenze della mancata previsione di tale sanzione “reale”, anche in prospettiva di «tenuta euro unitaria della novella»166. Tuttavia è interessante evidenziare, come parte della dottrina ha fatto, che la eventuale previsione della conversione del contratto porrebbe dubbi riguardo l’individuazione dei contratti da trasformare in contratti stabili, tra i più assunti che contestualmente violassero il limite quantitativo, e che «il porre percentuali di contingentamento non rientra tra le misure imposte dalla direttiva per prevenire abusi ed è piuttosto connesso all’interesse pubblico al controllo sugli stocks di occupazione a tempo determinato»167.
5.3 Le esenzioni dal limite quantitativo
Il limite quantitativo del venti per cento deve essere rispettato dai datori di lavorato che occupino più di cinque dipendenti. Per quelli che occupano fino a cinque lavoratori subordinato «è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro
164 X. XX XXXXX, La nuova disciplina del contratto a termine nel d.l. n. 34 del 2014 conv. in l. n. 78 del 2014, cit., pagg. 14, 15
165 Cfr. ex multis X. XXXXXXX, Le riforme del mercato del lavoro: dalla legge Fornero al Jobs Act - Jobs Act, atto I: la l. n. 78/2014 tra passato e futuro, cit., pag. 48
166 Cfr. ex multis A. XXXXXXXXX, La violazione dei limiti quantitativi, cit., pagg. 67 ss.
167 X. XXXXXXX, La disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato: novità e implicazioni sistematiche, cit., pag. 9
a tempo determinato»168 (art. 23 comma 1 d.lgs. n. 81/2015). Tuttavia, sono esenti dalla limitazione del numero complessivo di contratti a tempo determinato anche le imprese con un numero maggiore di dipendenti, in determinate situazioni, elencate al comma 2 dell’art. 23, «riconosciute direttamente dal legislatore come fattispecie a termine “inevitabile”» 169. L’assunzione a tempo determinato in particolare è slegata dai limiti quantitativi se avviene nella fase di avvio di nuove attività, per i periodi definiti dai contratti collettivi (lett. a)), o per sostituire lavoratori assenti (lett. e)), se ad assumere sono imprese start-up innovative per quattro anni, o per il diverso periodo previsto per le società già costituite (lett. b)), per lo svolgimento di attività stagionali (lett. c)) o per specifici spettacoli o specifici programmi radiofonici o televisivi (lett. d)), e infine se assunti sono lavoratori con età superiore ai cinquanta anni (lett f) – il decreto legislativo in commento ha abbassato l’età rilevante da cinquantacinque a cinquanta anni, chiaramente «in considerazione del fatto che l’aumento della disoccupazione sta mettendo in crisi anche lavoratori che hanno perso il lavoro in età non tanto avanzata»170). Il comma terzo dell’art. 23 si concentra invece su alcune ipotesi accomunate dal legame con l’ambito della ricerca scientifica e della cultura, in parte già introdotte dal decreto Poletti nel 2014. In particolare il limite del numero complessivo di contratti a tempo determinato non si applicherà alle università private, agli istituti di ricerca, anche pubblici, che vogliano impiegare lavoratori per svolgere attività di ricerca, o di assistenza tecnica o di coordinamento e direzione della attività di ricerca, nonché per svolgere attività di insegnamento; in secondo luogo il limite quantitativo non si applicherà ai contratti tra istituti della cultura statali, o enti pubblici (o privati, se derivanti dalla trasformazione di precedenti enti pubblici) sotto la vigilanza del Ministero
168Uno, e uno solamente, anche se i dipendenti siano due o tre, secondo quanto ritiene X. XX XXXXX, La nuova disciplina del contratto a termine nel d.l. n. 34 del 2014 conv. in l. n. 78 del 2014, cit., pag. 17; peraltro, non si esclude uno spazio di intervento della contrattazione collettiva, che però potranno intervenire solamente in melius, cfr. X. XXXXXXXXX, La violazione dei limiti quantitativi, cit., pag. 65
169 A. VELTRI, Esclusioni, discipline specifiche, limiti quantitativi, in Jobs Act e contratto a tempo determinato – atto I, X. XXXXXXX XXXXXXXXXX (a cura di), Torino, 2014, pag. 99
dei beni e delle attività culturali, e lavoratori chiamati a soddisfare «esigenze temporanee legate alla realizzazione di mostre, eventi e manifestazioni di interesse culturale»; infine si precisa che la durata dei contratti a termine stipulati esclusivamente al fine di svolgere attività di ricerca scientifica può (ma non deve) essere pari a quella del progetto di ricerca al quale si riferiscono. Questo comma terzo pone alcuni dubbi interpretativi. Innanzitutto, il secondo tipo di esenzione legato agli eventi di interesse culturale «dà vita ad un nuovo tipo di contratto a termine causale», che per l’appunto si fonda su “esigenze temporanee”. Invece, sul primo gruppo di contratti a termine esclusi dall’applicazione del limite quantitativo del venti per cento è lecito chiedersi «se la norma autorizzi davvero a precarizzare il personale docente delle università private e degli enti di ricerca»171. Ulteriori esenzioni saranno ovviamente quelle relative ai contratti ai quali non si applica per intero la disciplina sul contratto a tempo determinato di cui al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, ai sensi dell’art. 29 (infra).
6 I casi di esclusione dall’applicazione della disciplina del contratto a tempo determinato
La normativa sul contratto a termine presa in considerazione in questo capitolo non trova applicazione per determinati contratti di lavoro, elencati nell’art. 29 del Capo III del cd. Codice dei contratti. Innanzitutto vengono richiamati i rapporti instaurati con i lavoratori iscritti nelle lista di mobilità, che ai sensi dell’art. 8 comma 2 della legge n. 223/1991 determina vantaggi ai datori di lavoro che con questi lavoratori stipulano contratti di durata fino ai dodici mesi. A questi rapporti si applicano tuttavia gli articoli 25, sul principio di non discriminazione, e l’art. 27 sui criteri di computo. La lettera b) del primo comma poi considera i rapporti di lavoro con operai agricoli a tempo determinato, «comunque denominati dalla contrattazione collettiva, a prescindere dalla durata del rapporto e proprio per il carattere stagionale del lavoro agricolo, e della sua intrinseca
stagionalità»172. Sono disciplinati da specifica altra normativa infine i «richiami in servizio del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco» (art. 29 comma 1 lett. c) d.lgs. n. 81/2015). Per l’appunto, se l’elencazione del primo comma si riferisce a casi «già disciplinati da specifiche normative», il secondo comma concerne rapporti «altresì, esclusi dal campo di applicazione del presente capo». Come rilevato, non è una distinzione comprensibile, «dato che anche le seconde sono ipotesi che hanno una propria disciplina» 173 . In primo luogo vengono in considerazione i contratti a tempo determinato conclusi con i dirigenti: tali contratti possono avere durata fino a cinque anni, sebbene dopo tre anni il dirigente potrà recedere a norma dell’art. 2118 cod. civ. A riguardo bisogna peraltro sottolineare che «il riferimento normativo ai 5 anni di durata del contratto è afferibile solo al termine iniziale», che poi sarà prorogabile o proseguibile di fatto, e che «la previsione di una durata superiore ai 5 anni, peraltro, non comporta la conversione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ma – in virtù del principio di conservazione dei negozi giuridici – il contratto produce i suoi effetti fino al limite legale»174. Evidente è la maggiore forza contrattuale del dirigente, il quale perciò non ha necessità della stessa tutela prevista per gli altri lavoratori subordinati. La lettera b) del comma 2 concerne invece la ipotesi dei contratti cd. occasionali, individuate dai contratti collettivi,
«per l’esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a tre giorni», nei settori del turismo e dei pubblici servizi. A riguardo si prevede l’obbligo di comunicare l’instaurazione del rapporto di lavoro entro il giorno precedente l’inizio del rapporto di lavoro. Come nella disciplina ex d.lgs. n. 368 del 2001 rimangono esclusi i contratti a termine stipulati con il personale docente e ATA per lo svolgimento di supplenze, e vengono aggiunti i rapporti di lavoro con il personale sanitario del Servizio sanitario nazionale, anche dirigente (art. 29 comma 2 lett. c)). Si aggiunge inoltre con la lettera d), l’ipotesi dei contratti
172 A. VELTRI Esclusioni, discipline specifiche, limiti quantitativi, cit., pag. 94; l’art. 10 comma 5 del d.lgs.
n. 368/2001 conteneva inoltre l’esclusione per i rapporti di lavoro instaurati con le aziende che esercitino attività di importazione, esportazione e ingrosso di prodotti ortofrutticoli.
173 X. XXXXXXXX, Lavoro a tempo determinato (artt. 1, 19-29, 51 e 55), cit., pagg. 182, 183
174 A. VELTRI, Esclusioni, discipline specifiche, limiti quantitativi, cit., pag. 98
stipulati ai sensi della l. n. 240/2010, cd. legge Xxxxxxx, per gli assegni di ricerca, con esperti di alta qualificazione, e con ricercatori e tecnologi a tempo determinato. Il comma 3 è dedicato invece al personale artistico e tecnico delle fondazioni di produzione musicale di cui al d.lgs. 29 giugno 1996, n. 367, al quale non si applicano le disposizioni di cui all’art. 19, commi 1-3, e all’art. 21, ossia i limiti di durata del singolo e della pluralità dei contratti, e i limiti alla proroga del contratto, «vale a dire il cuore dell’attuale disciplina»175. Da ultimo il comma 4 ribadisce che ai lavoratori impiegati presso le pubbliche amministrazioni si applica l’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001.
175 X. XXXXXXXX, Lavoro a tempo determinato (artt. 1, 19-29, 51 e 55), cit., pag. 183
CAPITOLO II
LA DISCIPLINA DEL CONTRATTO A TERMINE IN GERMANIA
1 L’evoluzione della disciplina e delle fonti
1.1 La nozione di lavoratore a tempo determinato
La Teilzeit- und Befristungsgesetz (cfr. Cap. 1 par. 1.4) al paragrafo 3 comma 1 definisce il concetto di lavoratore a tempo determinato rilevante ai fini della applicazione della disciplina prevista nella stessa legge. È occupato a termine il prestatore di lavoro che ha stipulato con il datore di lavoro un contratto per un periodo di tempo determinato, il quale sussiste ogni qual volta la durata di questo è definita attraverso una data precisa (kalendermässig befristeter Arbeitsvertrag) o risulta dalla natura, dal carattere o dallo scopo della prestazione (zweckbefristeter Arbeitsvertrag). Il legislatore ripropone così nella disciplina attuale la antecedente distinzione tra i due tipi di termine, il primo appunto basato sulla durata predefinita - Zeitbefristung, il secondo dipendente dal verificarsi di un evento – Zweckbefristung (cfr. Cap. 2 par. 6.1), legando a questi anche diverse conseguenze giuridiche (infra). Sebbene non definito nel paragrafo 3, è permesso anche sottoporre il contratto di lavoro a condizione risolutiva (auflösend bedingte Arbeitsvertrag), se tuttavia il verificarsi di questa è incerto, e anche se la data dell’eventuale verificarsi non è stabilito con certezza176, ai sensi del paragrafo 158 comma 2 del BGB (cfr. Cap. 2 par. 2.2).
1.2 L’origine giurisprudenziale del Befristungsrecht attraverso il controllo sulla elusione delle norme sul recesso
Alle fondamenta dell’evoluzione della disciplina sul contratto a tempo determinato in Germania c’è il paragrafo 620 del Bürgerliches Gesetzbuch (BGB) del 1° gennaio 1900, posto nel Sottotitolo 1, dedicato al contratto di
176 X. XXXXX - X. XXXXXX–GLÖGE, Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Arbeitsverträge - § 3 , in
Erfurter Kommentar, X. XXXXXX–GLÖGE – X. XXXXX – I. XXXXXXX (a cura di), Xxxxxxx, 0000, pag. 2718
servizio (Dienstvertrag), all’interno del Titolo 8. Il contratto di servizio ha ad oggetto un servizio di qualunque tipo (§ 611 Abs. 2), inclusa la prestazione di lavoro, per la quale è valida dunque la disciplina esposta nel citato Sottotitolo 1 del Titolo 8. Il comma 1 del paragrafo 620 per l’appunto prevede che un rapporto di servizio termina allo scadere del periodo di tempo per il quale è stato concluso; tale previsione rende ammissibile il contratto di lavoro a tempo determinato. Tuttavia già dal secondo dopoguerra, tale libertà contrattuale di concludere un contratto dopo il decorso del termine o il raggiungimento dello scopo, nei fatti incondizionata, viene a collidere con le normative a protezione del lavoratore dal recesso illegittimo (Kündigungsschutzrecht), e in particolare con la Gesetz über die Fristen für die Kündigung von Angestellten del 9 luglio 1926, che stabilisce i termini minimi per il recesso dal contratto di lavoro subordinato (da tre mesi a salire, ai sensi del § 2). Dunque già subito dopo la sua istituzione nel 1926 il Reichsarbeitsgericht (tribunale del lavoro del Reich) ha giudicato sull’effetto di rapporti a tempo determinato, e la validità di termini determinati dal raggiungimento di uno scopo177. Successivamente, e per quello che qui più interessa, il Reichsarbeitsgericht si è confrontato in diverse occasioni con i cd. Kettensarbeitsverträge (contratti di lavoro “a catena”), ossia «contratti a tempo determinato facenti seguito cronologicamente e direttamente l’uno all’altro»178: nei confronti di tali contratti gli attori hanno denunciato violazioni delle norme sul recesso dal contratto da parte dei datori di lavoro179. Sul punto fondamentale risulta lo sviluppo, da parte del Reichsarbeitsgericht, della cd. Teoria dell’elusione soggettiva delle prescrizioni sulla legittimità del recesso, secondo la quale appunto sono inefficaci gli “accordi sul termine” contenuti in contratti di lavoro a catena, se il datore di lavoro ha avuto l’intenzione di eludere la protezione che al lavoratore era garantita dalle prescrizioni sul recesso del tempo.
177 Cfr. RAG Bensheimer Sammlung, Xx. 0, 000
000 X.–X. XXXXXX, Xxx xxxxxxxxxxx Xxxxxxxxxxxxxx, Xxxxxxx, 0000, pag. 3
179 Cfr. Ex multis RAG Bensheimer Sammlung, Xx. 0, 0
Xxx 0000 x xxxxxx xx Xxxxxxxx come tribunale del lavoro di ultima istanza il Bundesarbeitsgericht (tribunale del lavoro federale). La giurisprudenza del BAG si divide in due fasi: la prima, che va dagli anni cinquanta fino al 1960, anno della decisione del Großer Senat180 del 12 ottobre che costituisce una cesura (infra), si caratterizza ancora per il riferimento alle opinioni del Reichsarbeitsgericht, attraverso l’utilizzo dei criteri della intenzione soggettiva di elusione, o della violazione del Fürsorgepflicht181, oltre che più avanti per diversi altri criteri come quello della mancante parità contrattuale (economica), o quello della condotta del datore di lavoro in buona fede, il quale avrebbe stipulato un contratto a tempo indeterminato, anziché una serie di Kettensarbeitsverträge182, nonché, per la prima volta, la ragione oggettiva. Tuttavia, è nella causa che porta alla sentenza del Großer Senat del 12 ottobre 1960183 che si pongono le basi del Befristungskontrolle (controllo sul termine): il terzo Senato invoca la decisione del Großer Senat ponendo in questione la efficacia di un termine ad un contratto di lavoro, che non sia giustificato da ragioni particolari; quest’ultimo statuisce la validità di un termine di un contratto di lavoro subordinato, nel momento in cui esistano, alla stipulazione del contratto, ragioni concrete per la durata determinata. Di qui, il Großer Senat sviluppa i principi attraverso i quali fino al
31 dicembre del 2000, ossia fino all’entrata in vigore della Teilzeit- und Befristungsgesetz ha giudicato sul termine ai contratti di lavoro. Innanzitutto, la efficacia di un contratto a termine viene valutata attraverso il criterio della elusione oggettiva (objektive Gesetzesumgehung), che sussiste qualora lo scopo di una norma sulla protezione del lavoratore dal recesso ingiustificato (Kündigungsschutzrecht) viene frustrato dall’utilizzazione abusiva di forme
180 Quando una sezione (Senat) del Bundesarbeitsgericht intende statuire differentemente su una questione di diritto già decisa da un’altra sezione, si appella al giudizio del Großer Senat, ai sensi del paragrafo 45 comma 2 della Arbeitsgerichtsgesetz.
181 Serie di obblighi secondari del datore di lavoro, che si possono distinguere tra quelli cd. “di protezione” (Schutzpflichten) – sicurezza sul lavoro, trattamento dei dati, e quelli cd. “di promozione” (Förderungspflichten) – impiego nell’ambito della prestazione oggetto del contratto, possibilità di referenza scritta al termine del rapporto di lavoro.
182 Cfr. BAG 21.10.1954 AP KSchG § 1 Nr. 7 = NJW 1955, 78 und 1050
183 Cfr. BAG 12.10.1960 AP BGB § 620 Nr. 16 = NJW 1961, 798
giuridicamente legittime: «decisiva era la obiettiva avversità funzionale del negozio giuridico» 184 . Le norme considerate sono quelle della legge sul licenziamento (Kündigungsschutzgesetz), e le leggi per la protezione dal licenziamento di determinati gruppi di persone, come i disabili e le lavoratrici madri. Peraltro, le apposizioni di un termine così individuate attraverso la oggettiva elusività non sono di per sé illegittime. Una giustificazione concreta, attraverso una ragione oggettiva (Sachgrund), può legittimare il termine e la mancata applicazione delle prescrizioni delle norme sul recesso dal contratto. Il Großer Senat ha portato come esempi di ragione oggettiva in tale importante sentenza l’apposizione del termine come prova, per attività stagionali o di lavoro temporaneo, in contratti di lavoro nell’edilizia, o con artisti, e in contratti per i quali sussiste un determinato desiderio in tal senso del lavoratore. Come da principio generale, l’onere di provare la mancanza della giustificazione concreta spetta al lavoratore. Momento rilevante per la valutazione della elusione e la rilevazione dell’esistenza di una ragione giustificatrice è quello della conclusione dell’accordo; si chiarisce che «eventi sopravvenuti, come ad esempio in caso di una maternità, non possono avere effetti sul diritto del datore di lavoro, sorto senza difetti, di appellarsi al termine del contratto di lavoro»185. La accertata elusione delle norme sul recesso non porta alla nullità del contratto a tempo determinato, ciononostante, al fine di raggiungere lo scopo di tali regole queste ultime devono trovare applicazione, e perciò, affinché questo sia possibile, un contratto a tempo indeterminato prenderà il posto del contratto a termine stipulato inizialmente.
1.3 L’apposizione del termine senza ragioni giustificatrici introdotto dalla
Beschäftigungsförderungsgesetz nel 1985
Dagli anni ottanta si arricchisce la disciplina legislativa sul contratto a tempo determinato, fino ad allora limitata al paragrafo 620 del BGB. Tuttavia «non si
184 H.–X. XXXXXX, Der befristeter Arbeitsvertrag, cit., pag. 5
185 X.-X. XXXXXX, Der befristete Arbeitsvertrag, cit., pag. 7
giunge ancora ad una “codificazione” generale, bensì ad una serie di normative speciali che si intrecciano con i principi giurisprudenziali sviluppati nell’ambito del Befristungskontrolle, e regolano fattispecie particolari che giustifichino oggettivamente l’apposizione del termine» 186 . Si ricordano in particolare la Gesetz über befristete Arbeitsverträge mit wissenschaftlichem Personal an Hochschulen und Förschungseinrichtungen (HFVG) del 14 giugno 1985, che disciplina la ipotesi dei contratti a tempo determinato nell’ambito del personale scientifico impiegato presso istituti di ricerca e università, la legge del maggio 1986 sull’aggiornamento del personale medico (AArbVtrG), e il paragrafo 21 della BErzGG, ora contenuto nella BEEG (Bundeselterngeld- und Elternzeitgesetz), che riconosce una ragione concreta tale da legittimare un termine nella sostituzione di un lavoratore per la durata della assenza (“divieto di attività”) finalizzata alla tutela della gravidanza o della genitorialità, come prevista dalle norme di legge o dai contratti collettivi o individuali187. Tuttavia è solo con la Beschäftigungsförderungsgesetz (BeschFG) del 26 aprile del 1985 che il legislatore prende misure più drastiche, di fronte alla stagnante disoccupazione di massa, in ordine all’alleggerimento delle limitazioni alla ammissibilità dei contratti a tempo determinato. La BeschFG difatti permette alle parti, fino al 1° gennaio 1990 (limite prorogato per due volte di cinque anni, fino al decorso dell’intero anno 2000), la stipulazione di un contratto a termine senza necessità di una ragione oggettiva, della durata massima di diciotto mesi, per un nuovo assunto, o per il lavoratore che al termine della formazione professionale può essere direttamente impiegato nella stessa azienda solo temporaneamente, per mancanza di posti a tempo indeterminato (Art. 1 § 1 Abs. 1 S. 1), e fino a ventiquattro mesi nei casi del secondo comma, riguardanti determinati presupposti del datore di lavoro. Il paragrafo 620 del BGB non viene modificato;
«le parti che non possono sottoscrivere un contratto ex § 1 BschFG devono
186 X.-X. XXXXXX, Der befristete Arbeitsvertrag, cit., pag. 8
187 Cfr. X. XXXXXX–GLÖGE, Bundeselterngeld- und Elternzeitgesetz § 21, in Erfurter Kommentar, X. XXXXXX–GLÖGE – X. XXXXX – I. XXXXXXX (a cura di), Xxxxxxx, 0000, pagg. 799 - 801
osservare i principi del Befristungskontrolle»188 sviluppati nella giurisprudenza del Bundesarbeitsgericht (cfr. Cap. 2 par. 1.2). Nel 1996 tuttavia, nell’ambito dell’intervento legislativo per la crescita e la promozione dell’occupazione del 25 settembre (ArbRBeschFG), il paragrafo 1 della BeschFG viene modificato radicalmente: sono infatti ammessi contratti di lavoro subordinato senza giustificazione oggettiva, della durata massima di due anni – prorogabili per tre volte entro tale periodo di tempo, a meno che il lavoratore non sia stato già impiegato presso tale impresa attraverso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, o un rapporto a termine, che sia in stretta relazione con il nuovo contratto (in particolare se non sia trascorso un periodo di tempo almeno pari a quattro mesi); un lavoratore che ha terminato il sessantesimo anno di vita può in ogni caso essere impiegato con contratto fino a due anni, senza alcun’altra limitazione. È evidente che «il legislatore si aspettava che i contratti a termine in molti casi sfociassero in rapporti a tempo indeterminato»189. Il nuovo comma 4 precisa che l’ammissibilità del termine per altri motivi rimane “intatta”.
1.4 La Direttiva 1999/70 CE e l’attuazione nella Teilzeit – und Befristungsgesetz
La Direttiva 1999/70 CE sul contratto a tempo determinato (cfr. Cap. 1 par. 1.3) è attuata nell’ordinamento tedesco attraverso la Teilzeit – und Befristungsgesetz (TzBfG), che disciplina il lavoro a tempo parziale e a tempo determinato. La TzBfG entra in vigore il 1° gennaio 2001, sostituendo la BeschFG (cfr. Cap. 2 par. 1.3), e aggiungendo un comma 3 al paragrafo 620 del BGB, che stabilisce che ai contratti di lavoro si applica la nuova normativa, limitando così la libertà contrattuale sulla durata a tutti gli altri contratti di servizi. La TzBfG costituisce la conclusione di una lunga evoluzione della disciplina sul contratto a tempo determinato, e di conseguenza, oltre alle misure richieste dall’accordo quadro CES, UNICE e CEEP allegato alla direttiva, «ha recepito il diritto
188 H.-X. XXXXXX, Der befristete Arbeitsvertrag, cit., pag. 9
189 X. XXXXXX-XXXXX, Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Xxxxxxxxxxxxxxx - § 00, in Erfurter Kommentar, X. XXXXXX–GLÖGE – X. XXXXX – I. XXXXXXX (a cura di), Xxxxxxx, 0000, pag. 2764
giurisprudenziale e (in parte) legislativo antecedente»190, componendo in questo modo una sorta di “codificazione” della normativa sul contratto a termine, che ha il merito di risolvere le dispute dottrinarie sulle ragioni e sulla ampiezza del Befristungskontrolle (cfr. Cap. 2 par. 1.2). In particolare, con l’ultima disciplina viene significativamente eliminato il criterio della necessità della elusione oggettiva della normativa a tutela del lavoratore attraverso il termine apposto al contratto; infatti ogni termine abbisogna di una giustificazione (cfr. Cap. 2 par. 2). In ogni caso, restano fuori dalla disciplina esposta nella TzBfG solo alcune normative speciali, come quella della WisszeitVG, sul lavoro a termine nel campo del lavoro scientifico presso istituti di ricerca, scuole superiori e università, o della BEEG, che concerne la tutela della genitorialità. Scopo della Teilzeit- und Befristungsgesetz è, oltre a promuovere il lavoro a tempo parziale,
«fissare i presupposti per l’ammissibilità dei contratti di lavoro a tempo determinato, e impedire la discriminazione dei lavoratori a tempo parziale e a tempo determinato» (§1 Abs. 1). Tuttavia, viene notato che tale enunciazione che apre la TzBfG «non fa espressamente accenno a se la legge intende vuole promuovere la conclusione di contratti a tempo determinato, nell’interesse del mercato del lavoro, o limitarla»; e ancora «un obiettivo non risulta neanche dalle singole norme»191.
1.5 (Segue) Il caso Xxxxxxx e la modifica attraverso la Gesetz zur Verbesserung der Beschäftigungschancen älterer Menschen
Il prestatore di lavoro Xxxxxx Xxxxxxx nel 2003 stipula un contratto a tempo determinato per una durata di sette mesi, sganciato da qualsiasi ragione oggettiva, in quanto al tempo già cinquantaduenne, a norma del paragrafo 14 comma 3 della TzBfG. Quest’ultimo infatti era stato modificato nel 2002, dalla Erstes Gesetz für moderne Dienstleistungen am Arbeitsmarkt del 23 dicembre, che, al fine di
«incentivare l’assunzione dei lavoratori anziani e, di conseguenza, migliorarne la
190 H.-X. XXXXXX, Der befristete Arbeitsvertrag, cit., pag. 10
191 X. XXXXXX-XXXXX, Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Xxxxxxxxxxxxxxx - § 0, in Erfurter Kommentar, X. XXXXXX–GLÖGE – X. XXXXX – I. XXXXXXX (a cura di), Xxxxxxx, 0000, pag. 2714
condizione sul mercato del lavoro»192, aveva abbassato la soglia di età iniziale di cinquantotto anni sufficiente per poter concludere un contratto di lavoro a termine senza limitazioni, a partire dal 1° gennaio 2003 (cfr. Cap. 2 par. 1.6). Risultava dubbio se «questa regola nella sua nuova versione contravvenisse alla Direttiva 1999/70 CE, poiché per la cerchia di soggetti dei lavoratori più anziani non era prevista assolutamente alcuna delle tre forme di protezione pretese dalla direttiva» 193 . Questo è ciò che denuncia Xxxxxxx al tribunale del lavoro di Monaco di Baviera, il quale attraverso il rinvio pregiudiziale propone alcune questioni alla Corte di Giustizia. A detta di quest’ultima 194 , la previsione denunciata comporterebbe una forma di discriminazione, in ragione dell’età: il fatto che la Direttiva 2000/78 CE non fosse ancora stata attuata in Germania non impedisce alla Corte di Giustizia di arrivare a tale conclusione, riconoscendo nel divieto discriminazione un principio generale del diritto comunitario, derivante da trattati internazionali e dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri, modalità che ha portato a molte dispute riguardanti il rapporto tra il diritto comunitario e il diritto degli Stati membri195. Il 19 aprile 2007 viene emanata la Gesetz zur Verbesserung der Beschäftigungschancen älterer Menschen (legge per il miglioramento delle possibilità di impiego dei più anziani), che entra in vigore il 1° maggio, andando ad incidere proprio sul comma 3 del paragrafo 14. Viene imposto che un lavoratore che abbia compiuto il cinquantaduesimo anno di età possa essere assunto a termine senza giustificazione oggettiva se per almeno quattro mesi, direttamente prima della stipulazione del contratto a tempo determinato, sia rimasto disoccupato o abbia usufruito di una indennità pubblica destinata ad incentivare il rientro nel mercato del lavoro; inoltre e soprattutto, «il legislatore ha in ogni caso attuato integralmente una delle tre forme di protezione
192 X. XXXXX, La lunga storia del caso Xxxxxxx, in Giornale dir. lav. e rel. ind., n. 129, 2011, pag. 1
193 X. XXXXXX-GLÖGE, Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Xxxxxxxxxxxxxxx - § 00, cit., pagg. 2794, 2795
194 Cfr. CGUE sentenza 22 novembre 2005, C – 144/04, Xxxxxxx
195 Cfr. X. XXXXX, La lunga storia del caso Xxxxxxx, cit.; X. XXXXXXXXX, Europarecht und nationale Rechtsordnung: “Xxxxxxx” in geklärtem dogmatischem Kontext, in Zeitschrift für das Juristische Studium, 6/2011, pagg. 456 ss.
pretese» 196 , prevendo una durata massima di cinque anni, comprensiva di proroghe (cfr. Cap. 2 par. 2.3).
1.6 La riforma globale dell’Arbeits – und Sozialrecht ad opera della commissione Xxxxx
In Germania, i primi anni del nuovo secolo sono caratterizzati da una congiuntura economica che vede un alto tasso di disoccupazione, dovuto anche ad un alto costo del lavoro, affiancato da un deficit pubblico molto rilevante, e dunque una crescita economica in calo. Il cancelliere tedesco Xxxxxxx Xxxxxxxx, sotto la forte pressione dell’opinione pubblica, e in vista delle elezioni dell’autunno del 2002, incarica Xxxxx Xxxxx, al tempo dirigente delle risorse umane della Volkswagen, a presiedere una commissione che predisponga un rapporto sul mercato del lavoro e sulla politica sociale. Xxxxxxxx viene confermato cancelliere, e sulla base del rapporto presentato dalla commissione Xxxxx nell’agosto del 2002, denominato Moderne Dienstleistungen am Arbeitsmarkt (servizi moderni al mercato del lavoro), presenta la cd. Agenda 2010. Tale riforma, la quale «intendeva stimolare gli imprenditori ad aumentare l’occupazione a fronte di una diminuizione significativa del costo del lavoro», si ritiene generalmente che «si trattò di una vera e propria rivoluzione»197, realizzata attraverso le quattro leggi sui servizi moderni al mercato del lavoro emanate negli anni successivi. Infatti, gli interventi di tale riforma costituiscono ancora oggi in gran parte la disciplina rilevante del mercato del lavoro, che ha permesso alla Germania di anticipare gli effetti negativi della crisi finanziaria della fine degli anni dieci del duemila: com’è stato notato, «negli anni 2008 – 2011 l’Arbeitsrecht tedesco non ha cambiato rotta»198.
196 X. XXXXXX-GLÖGE, Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Xxxxxxxxxxxxxxx - § 00, cit., pag. 2795 197 X. XXXXX, Il ruolo del diritto del lavoro e della sicurezza sociale nella crisi economica – L’esperienza tedesca, Relazione AIDLASS, Bologna 16/17 maggio 2013, pag. 2
198 X. XXXXX, Il ruolo del diritto del lavoro e della sicurezza sociale nella crisi economica – L’esperienza tedesca, cit., pag. 2
Per quanto concerne il contratto a tempo determinato, l’intervento è stato meno ampio che, ad esempio, per l’ambito degli ammortizzatori sociali, ma ha avuto comunque un impatto non indifferente sul mercato del lavoro. L’azione della riforma in questo ambito si è concentrata sul paragrafo 14 della TzBfG, che prevede le ipotesi di ammissibilità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato. In particolare, la Erstes Gesetz für moderne Dienstleistungen am Arbeitsmarkt (Xxxxx I), ha abbassato la soglia di età anagrafica minima per l’ammissibilità della stipulazione di contratti a tempo determinato liberi da limitazioni, ai sensi del comma 3, da cinquantotto a cinquantadue anni (cfr. Cap. 2 par.1.5). La Viertes Gesetz für moderne Dienstleistungen del 24 dicembre 2003, a far data dal 1° gennaio 2004 amplia il paragrafo 14 di un comma 2a, il quale permette alle nuove imprese di assumere senza alcuna giustificazione oggettiva, per i primi quattro anni di attività, lavoratori a tempo determinato con contratto fino a quattro anni; anche in questo caso «il numero delle proroghe non è limitato»199 (cfr. Cap. 2 par. 2.3).
2 Le possibilità di apposizione del termine al contratto di lavoro
2.1 La elencazione (non tassativa) delle Sachgründe al § 14 Abs. 1
Il primo comma del paragrafo 14 elenca una serie di otto ragioni oggettive che giustificano l’ammissione di un contratto a termine. Hanno in gran parte origine dall’evoluzione giurisprudenziale, e si ritiene pacificamente non siano tassative, come «la legge chiarisce attraverso il termine insbesondere (in particolare) nel secondo periodo» che apre la elencazione degli otto casi: «ci possono essere ulteriori ragioni oggettive»200, prevedibili dalle parti di un rapporto di lavoro e autorizzabili dalla giurisprudenza. Tuttavia, è stato rilevato che sono ipotizzabili solo poche ragioni concrete che non rientrino nei numeri da 1 a 8 del comma 1 del paragrafo 14201 . Ciononostante, è evidente che le ragioni oggettive non
199 X. XXXXXX-GLÖGE, Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Xxxxxxxxxxxxxxx - § 00, cit., pag. 2793 200 X. XXXXXX-GLÖGE, Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Xxxxxxxxxxxxxxx - § 00, cit., pag. 2764 201 Cfr. BAG 16.3.2005 NZA 2005, 923
menzionate e eventualmente autorizzate dalla giurisprudenza del lavoro dovrebbero poter rientrare in uno degli otto numeri del catalogo, o cadere nell’ambito della fattispecie generale del primo periodo che recita: «È ammesso il termine di un contratto di lavoro, se esso è giustificato attraverso una ragione concreta» (§ 14 Abs. 1 S. 1). Dottrina maggioritaria riunisce tradizionalmente in tre gruppi le ragioni oggettive, in base alla possibilità di ricondurre le diverse fattispecie alla comune caratteristica, rispettivamente, della “incertezza” (Ungewissheitstatbestände) – ad esempio per il contratto di lavoro finalizzato alla prova del lavoratore, della “eccezione” (Ausnahmetatbestände) – come nel caso delle sostituzioni di lavoratori, e della “usura” (Verschleißtatbestände) – quando «è da aspettarsi una riduzione della capacità lavorativa del lavoratore o si presenta un bisogno di innovazione dal lato del datore di lavoro» 202 (cd. fattispecie di usura personali), oppure quando «le particolari circostanze della mansione e/o della prestazione di lavoro portano a che, nonostante continui ad esistere una capacità lavorativa, perfino superiore alla media, l’interesse alla prestazione del lavoratore si riduce»203 (cd. fattispecie di usura funzionale). In una visione maggiormente sistematica, gli otto casi di ragioni giustificatrici saranno menzionati in relazione ai tre gruppi di Sachgründe appena richiamati.
Alle fattispecie della Ungewissheit si riconduce innanzitutto, come già accennato, l’ipotesi di cui al Nr. 5 del primo comma, ossia quando il termine ha luogo a fini di prova del lavoratore, e si fonda nel “desiderio” del datore di lavoro a verificare l’idoneità del lavoratore 204 , oltre che nella necessità del lavoratore di poter decidere se l’impiego corrisponde a quelle che sono le sue aspettative. Alla scadenza di un termine a fini di prova efficace, il datore di lavoro può liberamente scegliere se intende contrarre un rapporto a tempo indeterminato con il lavoratore o meno. Ciononostante, in caso il datore si sia già vincolato alla prosecuzione del rapporto al termine della prova, e successivamente a causa del
202 H.-X. XXXXXX, Der befristete Arbeitsvertrag, cit., pag. 152
203 H.-X. XXXXXX, Der befristete Arbeitsvertrag, cit., pag. 173
204Il che giustifica la conclusione di un contratto a tempo determinato, cfr. BAG 15.3.1978, AP BGB § 620 Befristeter Arbeitsvertrag Nr. 45
sopravvenire di ragioni (non giustificatrici) come una disabilità o la maternità prenda distanza da tale conclusione, sorgerà tra i due un rapporto di durata. La durata di un contratto a termine fondato sul desiderio di prova del datore di lavoro non è definita, ma in generale, secondo quanto previsto dalle regole sul recesso durante il periodo di prova (cfr. § 622 Abs. 3 BGB), si ritiene che quest’ultimo di xxxxx non debba superare i sei mesi 205. Si deve sottolineare d’altronde, che lo spazio di utilizzazione di questa ragione oggettiva può essere nella pratica ridotto a causa della libertà di stipulare un contratto con termine fino a due anni (kalendermässige Befristung) ai sensi del secondo comma (cfr. Cap. 2 par. 2.3), e di conseguenza limitato ai casi di assunzione di un lavoratore che sia già stato impiegato presso la stessa impresa, e si intenda sottoporlo a prova dopo una lunga assenza o per una diversa funzione206. Anche la ragione di cui al Nr. 7 viene considerata nell’ambito del gruppo delle Ungewissheitatbestände. Il Nr. 7 del comma 1 definisce ragione obiettiva, attraverso un dato letterale non del tutto chiaro, il caso del lavoratore il cui corrispettivo deriva da fondi che in bilancio sono destinati ad un contratto a tempo determinato, e che viene conformemente occupato a termine. Questa ipotesi, che concerne il pubblico impiego, d’accordo con ciò che risulta dall’evoluzione della giurisprudenza, non può fondarsi sulla incertezza riguardo la mole di lavoro, o la destinazione al compenso dei dipendenti dello stesso ammontare di fondi anche nei futuri piani di bilancio; necessario è infatti che la retribuzione del lavoratore sia parte di fondi previsti per una funzione di durata solo temporanea, e il fondamento normativo della quale sia fornito di una regolazione concreta, sulla base di una finalità giustificabile. In particolare, non sussistono tali presupposti se le voci di bilancio sono genericamente stanziate al compenso di lavoratori nell’ambito di rapporti di lavoro a termine, o se vengono affidati al lavoratore in maniera prevalente
205 Cfr. BAG 2.6.2010 NZA 2010, 1293; la stessa sentenza ha stabilito che sono possibili proroghe, nell’ambito degli stessi limiti di durata, in caso il datore necessiti di ulteriore prova del prestatore di lavoro.
206 Cfr. X.-X. XXXXXX, Der befristete Arbeitsvertrag, cit., pag. 65
incarichi che per modalità e ampiezza risultano essere durevoli207. La ragione della “destinazione finalizzata” dei fondi di cui al Nr. 7 comporta, per la sue genericità, dubbi di conformità con la Direttiva 1999/70. Nell’ambito di una causa di fronte al Landesarbeitsgericht (tribunale statale del lavoro) di Colonia, è stata sollevata questione pregiudiziale di fronte alla Corte di Giustizia, per chiedere alla stessa in particolare se fosse contraria al diritto dell’Unione, e in particolare alla clausola 5 dell’accordo quadro CES UNICE CEEP, una ragione obiettiva fondata su motivi di bilancio così generici, che inoltre crea una differenziazione profonda tra impiego pubblico e privato. Tuttavia, il LAG di Colonia ha successivamente comunicato alla Corte di Giustizia che il procedimento principale è divenuto privo di oggetto, ritirando di conseguenza la domanda di rinvio pregiudiziale, cosa che ha comportato la cancellazione della causa dal ruolo della Corte208.
Le fattispecie della eccezionalità, le Ausnahmetatbestände, a loro volta si possono distinguere tra quelle che si riconducono alla persona del lavoratore, e quelle che sono motivate da fatto ricollegabile all’azienda. Appartenente al primo gruppo si ritiene innanzitutto il termine apposto al contratto di lavoro per desiderio o interesse del lavoratore. Questa ragione obiettiva si fa rientrare al Nr. 6 del comma 1 secondo periodo del paragrafo 14, il quale recita: sussiste una ragione obiettiva in particolare, «se motivi riconducibili alla persona del lavoratore giustificano il termine»; in altre parole, sussiste il desiderio o l’interesse del lavoratore quando questi può o vuole lavorare solo per un limitato periodo di tempo, per motivi attinenti alla sua persona (ad es. obblighi familiari) 209. La giurisprudenza del lavoro ha precisato che si può di regola riconoscere un desiderio o interesse del lavoratore ad una occupazione a tempo determinato soltanto se il lavoratore ha (o avrebbe) rifiutato una offerta di lavoro
207 Cfr. ex multis BAG 18.10.2006 AP TzBfG § 14 Haushalt Nr. 1 x. xxxx. Anm. MEINEL, NZA 2007, 322
208 Cfr. CGUE, ordinanza 25 ottobre 2011, C – 313/10
209 Cfr. X. XXXXXX-GLÖGE, Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Xxxxxxxxxxxxxxx - § 00, cit., pag. 2782. Tuttavia la debole formulazione non deve essere fraintesa: il desiderio o l’interesse del lavoratore devono essere posti in relazione al termine, non all’impiego, Cfr. BAG 26.8.1998 AP BGB § 620 Befristeter Xxxxxxxxxxxxxx Xx. 000 = NZA 1999, 476
stabile a tempo indeterminato, che gli sia (o sarebbe) stata proposta dal datore di lavoro210. D’altronde, viene fatto rientrare nelle ipotesi di interesse del lavoratore anche il caso del lavoratore straniero, al quale, ci si deve aspettare, non sarà esteso il permesso di soggiorno dopo la scadenza: chiaramente, sarà nell’interesse del lavoratore il contratto di lavoro a termine, sebbene non potrebbe comunque diversamente stipulare un contratto di durata211. In secondo luogo, risultano ragioni obiettive da ricondurre alle Ausnahmetatbestände fondate sulla persona del lavoratore la ipotesi del contratto a tempo determinato che succede al termine di un periodo di formazione o di studio, finalizzato ad alleggerire il passaggio del lavoratore nella attività di lavoro “di connessione” (§ 14 Abs. 1 S. 1 Nr. 2). Proprio lo scopo di connessione tra formazione e lavoro è il fondamento della apposizione del termine all’ipotesi del cd. Erstanstellung (primo impiego)212. Nella definizione di formazione (Ausbildung) rilevante per il caso in commento si considerano i rapporti di formazione di cui al paragrafo 10 e al paragrafo 26 della Berufsbildungsgesetz (BBiG), ma non l’aggiornamento o la riqualificazione professionale all’interno di una azienda; per Studium si intendono i corsi di formazione nelle scuole superiori riconosciute, anche se svolti all’estero. Il rapporto di lavoro a tempo determinato, per essere giustificato, non deve cominciare esattamente il giorno seguente la conclusione del periodo di formazione: più semplicemente il rapporto tra termine della formazione e inizio del lavoro è inteso come una stretta connessione temporale, che può essere rappresentata anche da una più o meno lunga ricerca di un posto di lavoro, o da un periodo di vacanza, ma che chiaramente viene meno in caso di impiego del lavoratore – come già sottolineato, oggetto della ragione giustificatrice è il primo impiego dopo la formazione. Anche per questa ragione giustificatrice non sono previsti termini massimi di durata, che in singoli casi può superare anche i sei mesi o l’anno previsti dai contratti collettivi dei
210 Cfr. BAG 19.1.2005 AP BGB § 620 Befristeter Xxxxxxxxxxxxxx Xx. 000
000 Xxx. X. XXXXX, Labour Policy and Fixed – Term Employment Contracts in Germany, in Labour Policy on Fixed-term Contracts, The Japan Institute for Labour Policy and Training Report, no. 9, 2010, pag. 32
212 . X. XXXXXX-GLÖGE, Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Xxxxxxxxxxxxxxx - § 00, cit., pag. 2772
metalmeccanici213, e proseguire per oltre due anni. In ultimo, è da ricondurre ancora alle fattispecie di eccezione basate su fatto del lavoratore la ragione oggettiva di cui al Nr. 8, che concerne l’ipotesi del termine fondato su una transazione giudiziale. In particolare, nel momento in cui sussiste un contrasto tra le parti sulla continuazione del rapporto di lavoro, ossia sulla efficacia della apposizione del termine al contratto: infatti il Bundesarbeitsgericht ha statuito che, come una transazione giudiziale a chiusura di una azione sul recesso “porta in sé” la stipulazione di un contratto a termine, allo stesso modo una transazione giudiziale che conclude una controversia sulla efficacia di un precedente termine, sollevata a norma del paragrafo 17 della Teilzeit- und Befristungsgesetz ha come contenuto un nuovo contratto a termine214. Come è stato sottolineato in dottrina,
«l’interesse di un giudice del lavoro ad una transazione, che prevede una continuazione del rapporto a tempo determinato, è di regola una garanzia sufficiente del fatto che il termine non è pretestuoso» 215 . Le altre Ausnahmetatbestände sono dette aziendali, e si può definire come tratto comune di tali ragioni il fondamento in un fatto riconducibile al lato del datore di lavoro. In primo luogo fanno parte di tale raggruppamento i casi di ragioni concrete che rientrano nel Nr. 1 del paragrafo 14 comma 1, ossia quelle legate alla temporanea necessità di forza lavoro dell’azienda. Queste ipotesi non sono da ricollegare alla incertezza sullo sviluppo congiunturale e dell’economia nel prossimo futuro, né al rischio tipico dell’imprenditore, che non può scaricare sui prestatori di lavoro; difatti, la norma parla di bisogno “aziendale”. La giustificazione di cui al Nr. 1 sussiste invece quando il datore di lavoro, al momento della conclusione del contratto, deve aspettarsi con sufficiente sicurezza una temporanea necessità di maggiore forza lavoro, motivata da fatti concreti, che alla scadenza del termine previsto nel contratto di lavoro non sarà più esistente. Necessaria è dunque una prognosi concreta (Prognose) di un temporaneo aumento della mole di lavoro,
213 Il contenzioso sui quali è alla base della evoluzione giurisprudenziale che è a fondamento di questa ipotesi di ragione obiettiva per l’apposizione di un termine.
214 Cfr. BAG 18.6.2008 AP TzBfG § 14 Nr. 50 = NZA 2009, 35
215 H.-X. XXXXXX, Der befristete Arbeitsvertrag, cit., pag. 111
seguita da una riduzione216. Esempi più frequenti di questa ragione oggettiva sono il lavoro stagionale e le Kampagnebetrieben217, oltre che i casi di presa in carico di progetti da parte dell’azienda. Il successivo Nr. 3 concerne invece la ragione sostitutiva: come giurisprudenza ha più volte nel corso degli anni rimarcato, sussiste una ragione oggettiva che giustifica il termine nei casi in cui un lavoratore viene assunto per sostituirne un altro che ad es. sia ammalato, in aspettativa, o abbia usufruito dei periodi a tutela della gravidanza o della genitorialità. Il datore di lavoro ha anche in questo caso una temporanea necessità di forza lavoro (Kräftebedarf), che intende coprire con un lavoratore a termine, poiché conta nel ritorno del lavoratore sostituito (Rückkehr Prognose). Da sottolineare, la prognosi del datore sul ritorno del sostituito non ha niente a che vedere con la prognosi sulla temporanea necessità di lavoratori di cui al Nr. 1: questa infatti non si rivolge al mercato, e si relazione con la sola sostituzione, e con la aspettativa sull’effettivo rientro del lavoratore. Più in particolare, se il datore di lavoro sa che il lavoratore non farà ritorno al posto di lavoro temporaneamente lasciato, la necessità dell’azienda sarà stabile, e non potrà giustificare perciò un termine al contratto di lavoro del nuovo assunto. Più difficile risulta chiaramente la prognosi riguardo il momento del ritorno del lavoratore, e soprattutto nei casi di aspettativa e malattia. Se può accadere che la necessità di sostituire il lavoratore si rinnovi, per una continuata malattia, o una ancora indefinita durata della aspettativa, si ritiene comunque che il datore non potrà richiedere informazioni sullo sviluppo della salute del malato o sui piani del lavoratore in congedo prima della conclusione del contratto con il sostituto – in ogni caso il lavoratore assente non è obbligato a fornire tali informazioni. Allo stesso modo, però il datore di lavoro non sarà obbligato nei confronti del sostituto, a riassumerlo a tempo determinato per ricoprire il posto ancora libero a
216 Cfr. BAG 5.6.2002 NZA 2003, 149
217 Le cd. aziende di campagna sono delle imprese che lavorano per non più di tre mesi all’anno; con la disciplina della TzBfG è stato limitato fortemente per queste aziende la possibilità di utilizzare il contratto a termine a durata massima, poiché esso è escluso per lavoratori che sono stati già impiegati presso la stessa azienda, cfr. X. XXXXXX-XXXXX, Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Xxxxxxxxxxxxxxx
- § 00, cit., pag. 2772
causa dalla prosecuzione dell’assenza. Pacificamente, sulla base della giurisprudenza del Bundesarbeitsgericht è ammesso che il datore possa, anziché assumere lavoratori in sostituzione di un posto temporaneamente vacante, mantenere una riserva di lavoratori cd. Xxxxxxxx che coprano le mancanze di organico temporanee. Le questioni precedenti si ricollegano, in ambito di diritto comunitario, al problema della distinzione tra ragioni ed esigenze dell’impresa, e al concetto di “esigenze stabilmente temporanee”, sviluppatosi dopo la sentenza della Corte di Giustizia Kücük (cfr. Cap. 1 par. 2.1). Da ultimo, è interessante sottolineare che la formulazione normativa ha ricompreso senza differenziazione le diverse forme di sostituzione distinte dalla giurisprudenza del lavoro: quella diretta è implicitamente posta sullo stesso piano di quella indiretta (in nome proprio ma per conto di altri)218 e di quella “complessiva”219.
Le diverse ragioni obiettive sviluppatesi nella giurisprudenza e raggruppate nelle Verschleißtatbestände confluiscono al Nr. 4 della elencazione di cui al paragrafo 14 comma 1, che considera la peculiarità della prestazione di lavoro come motivo di giustificazione dell’apposizione del termine. Non si deve trattare della generale usura legata all’esercizio di una stessa mansione per molto tempo220; deve invece riguardare i casi di riduzione della capacità lavorativa del prestatore, oppure i casi in cui la mansione è caratterizzata da concreta esigenza di innovazione o cambiamento periodici, per esempio legata ad un confronto frequente con il pubblico. Innanzitutto si considerano i casi di diminuizione dell’interesse nei confronti della prestazione del lavoratore, che rileva ad esempio in relazione ai contratti degli sportivi, e degli artisti “da palcoscenico”. Ancora altri mestieri sono caratterizzati da una necessità di cambiamento, come quelle di registi, commentatori e moderatori, della radio e della televisione, o per
218 Cfr. X.-X. XXXXXX, Der befristete Arbeitsvertrag, cit., pagg. 136 ss.
219 Nell’ambito della scuola è stata autorizzata questa figura, che permette la stipulazione di una serie di contratti a termine con degli insegnanti, i quali possono insegnare in altre scuole e/o per altre combinazione di materie, in sostituzione degli insegnanti di ruolo: il termine apposto a quei contratti sarà giustificato da tale ragione.
220 Cfr. BAG 15.4.1999 AP AÜG § 13 Nr. 1
lavoratori della stampa e imprese di tendenza, per i quali rilevano invece le opinioni.
2.2 (Segue) La condizione risolutiva del contratto
A norma del paragrafo 158 commi primo e secondo BGB, un negozio giuridico può essere perfezionato sotto una condizione risolutiva (auflösende Bedingung) o una condizione sospensiva. Nel primo caso, il negozio perde efficacia all’avverarsi della condizione; allo stesso modo il contratto di lavoro. Così, nell’ambito del controllo sul termine ha stabilito il Bundesarbeitsgericht, sviluppando nella sua giurisprudenza identici meccanismi di Befristungskontrolle. La Teilzeit - und Befristungsgesetz ha recepito tale equiparazione al paragrafo 21, applicando al contratto stipulato sotto condizione risolutiva parte della disciplina del contratto a termine. In particolare, si applicano le prescrizioni sul divieto di discriminazione (§ 4 Abs. 2), sull’obbligo di ragione oggettiva (§ 14 Abs. 1), riguardo l’obbligo di forma scritta (§ 14 Abs. 4), sul termine temporale per la comunicazione del raggiungimento dello scopo (§ 15 Abs. 2), e sulle regole per la possibilità di recesso ordinario (§ 15 Abs. 3), riguardo la prosecuzione di fatto (§ 15 Abs. 5), e in ultimo i paragrafi da 16 a 20, sulle conseguenze della inefficacia del termine (§ 16), l’impugnazione del termine (§ 17), gli obblighi di informazione (§ 18, 20) e la formazione e l’aggiornamento (§ 19). La circostanza che non tutte le regole si applichino al contratto con condizione risolutiva rende molto rilevante la distinzione, non sempre facile, tra termine e condizione, soprattutto nel caso di uno Zweckbefristung, quando il termine è risultante dallo scopo, dalla modalità o dalla natura della prestazione di lavoro: la giurisprudenza distingue le due forme di conclusione del rapporto di lavoro facendo riferimento all’an del verificarsi dell’evento, che è certo nel caso di Zweckbefristung (il quando può essere certo o meno) ed è incerto per la auflösende Bedingung221. Il Bundesarbeitsgericht ha riconosciuto come valide condizioni risolutive del contratto molteplici
221 Cfr. BAG 9.2.1984 AP BGB § 620 Bedingung Nr. 7 = NZA 1984, 266
fattispecie, che comunque devono costituire Sachgründe che giustifichino il rapporto a tempo determinato222: sono state autorizzate condizioni riconducibili a fatto della persona del lavoratore (§ 14 Abs. 1 S. 2 Nr. 6), tra le quali si ricorda ad esempio la Fluguntauglichkeit, in caso di inattitudine al volo, e il ritorno ritardato dalle vacanze del lavoratore, o alla libertà artistica (Kunstfreiheit – art. 5 Abs. 3 GG), per la risoluzione del contratto dell’attore, del quale il ruolo nella serie televisiva fosse soppresso223. Giuridicamente legittima è la combinazione di Zeitvertrag (contratto il cui termine scade ad una data certa) e auflösende Bedingung, che dà vita al contratto a tempo determinato sottoposto al cd. Doppelbefristung (cfr. Cap. 2 par. 2.3).
2.3 Die kalendermäßige Befristung – le ipotesi di durata massima, e il
Doppelbefristung
La stipulazione del contratto a tempo determinato in Germania è sottoposta all’obbligo di giustificazione attraverso ragione oggettiva. Tuttavia, il comma 2 del paragrafo 14 permette, a determinate condizioni, la conclusione di un contratto a termine senza alcuna ragione obiettiva, di durata massima pari a due anni: «fino a questa durata complessiva di due anni sono ammesse proroghe nel del contratto termine nel numero massimo di tre volte». Peraltro la stipulazione di un cd. kalendermäßig befristeter Arbeitsvertrag privo di ragione obiettiva è vietata «se con lo stesso datore di lavoro c’era già stato in precedenza (zuvor) un rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato» (§ 14 Abs. 2 S. 2). Dibattuta è l’ampiezza temporale dell’Anschlussverbot: «il rafforzativo jemals zuvor (mai in precedenza) sarebbe stato sicuramente più chiaro» 224. Dottrina maggioritaria interpreta tale limite in maniera estensiva, “a vita”225; si ritiene che, anche a partire dal dato letterale, qualunque precedente rapporto di lavoro deve
222 Cfr. X. XXXXXX-XXXXX, Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Xxxxxxxxxxxxxxx - § 00, in Erfurter Kommentar, X. XXXXXX–GLÖGE – X. XXXXX – I. XXXXXXX (a cura di), Xxxxxxx, 0000, pag. 2819
223 Cfr. BAG 2.7.2003 NZA 2004, 311
224 H.-X. XXXXXX, Der befristete Arbeitsvertrag, cit., pag. 192
225 Cfr. X. XXXXXXXXX, Teilzeit – und Xxxxxxxxxxxxxxxxx - § 00, in Kommentar zum Teilzeit- und Befristungsgesetz, G. ANNUß – X. XXXXXXX (a cura di), Xxxxxxxxx xx Xxxx, 0000, Xx. 73
essere considerato dannoso per un seguente sachgrundlose Befristung (termine privo di ragione oggettiva). Dunque, sia che ci si riferisca ovviamente ad un contratto di lavoro subordinato, ma anche al caso di precedente occupazione del lavoratore presso l’impresa per un periodo di missione nell’ambito di un rapporto di somministrazione; non tuttavia in caso di rapporto di formazione professionale, attività di tirocinio e volontaria, e in caso di rapporti di collaborazione226. Il rapporto di lavoro deve sussistere tra le stesse parti: rileva il datore di lavoro che risulta dal contratto. A queste condizioni, è ammesso il sachgrundlose Befristung di una durata massima227 di due anni, prorogabile per tre volte entro il biennio. La proroga (Verlängerung) è «una apposizione di termine ai sensi del paragrafo 14 comma 4 della TzBfG, e necessita perciò della forma scritta»228 (cfr. Cap. 2 par. 2.4); inoltre, secondo quanto più volte statuito dalla giurisprudenza, l’accordo sulla proroga deve essere raggiunto durante il decorso del contratto a termine229. Di conseguenza, una proroga in forma orale è inefficace, anche se confermata tardivamente da atto scritto: una proroga sì in forma scritta, ma successiva alla scadenza del termine corrisponde ad una nuova stipulazione senza ragione obiettiva, che però cade sotto il caso dell’Anschlussverbot per rapporti di lavoro precedenti. Una Verlängerung inoltre non può contenere condizioni diverse da quelle disposte nel contratto a tempo determinato. Tuttavia, è ammissibile un cambiamento quando la nuova elaborazione del contratto ha come contenuto delle condizioni che sarebbero state accordate dalle parti se il lavoratore fosse in un rapporto a tempo indeterminato. Questo in accordo al principio della parità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato230 (cfr. § 4 TzBfG – Cap. 2 par. 5). Interessante è da richiamare una possibilità consentita in dottrina, nell’ambito di un contratto a tempo determinato giustificato da una Sachgrund. In particolare si ritiene prorogabile tale contratto, che non abbia superato la durata massima,
226 Cfr. X. XXXXXX-GLÖGE, Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Xxxxxxxxxxxxxxx - § 00, cit., pag. 2790
227 Per i casi in cui la durata massima è prevista come Höchstdauer cfr. Cap. 2 par. 6.2
228 H.-X. XXXXXX, Der befristete Arbeitsvertrag, cit., pag. 211
229 Cfr. ex multis BAG 16.1.2008, NZA 2008, 701
230 H.-X. XXXXXX, Der befristete Arbeitsvertrag, cit., pag. 207
attraverso una proroga non giustificata da regione obiettiva ai sensi del paragrafo 14 Abs. 2 S. 2. Tuttavia, il dato letterale pare non poter ammettere una tale conclusione, prendendo in considerazione espressamente la «proroga di un kalendermäßig befristeter Arbeitsvertrag», nel comma che considera il sachgrundlose Befristung, e non tratta invece in nessun caso la prorogabilità di un contratto a termine giustificato da ragione obiettiva. L’ultima parte del comma
2 infine inserisce nella disciplina del contratto di lavoro stipulato ohne Sachgrund la derogabilità da parte della contrattazione collettiva del limite della durata massima e del numero di proroghe massimo possibile; le parti di un contratto che non siano legate all’applicazione di un contratto collettivo (cfr. § 3 Tarifvertragsgesetz), possono accordarsi per usufruire delle singole norme del contratto che regolano le deroghe in commento. Si sottolinea che non è chiaro se il legislatore, riferendosi al «numero delle proroghe o la durata massima» abbia inteso ammettere la derogabilità dei due limiti anche contestuale, o se l’una escluda l’altra231. In ogni caso, la facoltà di intervento della contrattazione non è illimitata: può essere autorizzata una disposizione della pattuizione collettiva sui termini privi di giustificazione che non frustri il concetto di termine legato ad una ragione oggettiva. Tale presupposto è stato ad esempio riconosciuto nel caso di una previsione della limitazione del kalendermäßige Befristung ex § 14 Abs. 2 a quarantotto mesi, per un massimo di sei proroghe232. La derogabilità da parte delle contrattazione collettiva qui trattata viene anche richiamata nel paragrafo 22 comma 1 della Teilzeit – und Befristungsgesetz, che la inserisce tra gli accordi più in generale ammessi a derogare alla disciplina legislativa, in favore del lavoratore.
Una disciplina specifica e meno stringente per la durata massima di contratti a termine non giustificati oggettivamente viene stabilita nei confronti delle nuove imprese (cfr. Cap. 2 par. 1.6) e per i lavoratori che hanno superato il cinquantaduesimo anno di età (cfr. Cap. 2 par. 1.5). Quanto al primo caso, di cui
231 Cfr. X. XXXXXX-GLÖGE, Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Xxxxxxxxxxxxxxx - § 00, cit., pag. 2792
232 Cfr. BAG 18.3.2015 NZA 2015, 821
al paragrafo 14 comma 2a della TzBfG, è permesso nei primi quattro anni di attività di nuove aziende stipulare liberamente contratti a tempo determinato nella durata massima non di due, bensì di quattro anni, nell’ambito dei quali sono ammesse «molteplici» proroghe. A mente del legislatore, attraverso tale regolazione «dovrebbe alleggerirsi alle aziende l’attività nella difficile fase di organizzazione dell’impresa, poiché in questo periodo di tempo possono appena valutare come l’azienda si svilupperà e quanto alto sarà il bisogno di personale» 233 . Rilevante per il decorso del termine di quattro anni dalla fondazione dell’azienda è il momento di inizio della attività, come considerata formalmente nel paragrafo 138 dello Abgabeordnung del 1976 (§ 14 Abs. 2a S. 3). Da questo momento appunto comincia il periodo di tempo nell’ambito del quale sarà libera la stipulazione di contratti a tempo determinato sachgrundlose. Per chiarezza, si deve precisare espressamente che un’impresa potrà “attingere” da tale possibilità fino all’ultimo giorno dei quattro anni che qui in primo luogo rilevano. Il secondo termine di quattro anni limita la durata complessiva massima dei rapporti fondati sulla circostanza della Gründung, compresi di proroghe. È così che «il privilegio può avere effetti sino al decorso dell’ottavo anno dalla fondazione della azienda» 234 . Sempre a vantaggio delle nuove imprese, è ammesso un numero indefinito di proroghe, che perciò vedranno limitazioni sottoposte al sindacato del giudice solo per quanto riguarda forma e contenuto: la giovane azienda potrà decidere di assumere lavoratori per un periodo molto breve e prorogare i rapporti a seconda dell’andamento della impresa nei primi anni di attività. La disciplina di favore qui illustrata non si applica alle ipotesi di “rifondazione” di una nuova azienda sorta da ristrutturazione di imprese e gruppi di imprese: sono avvantaggiate solo le imprese che sono operanti per la prima volta sul mercato. Il comma 3 del paragrafo 14 concerne la fattispecie del contratto a termine privo di giustificazione concreta per l’assunzione di lavoratori anziani. La possibilità qui considerata è stata sottoposta a presupposti più
stringenti attraverso la Gesetz zur Verbesserung der Beschäftigungschancen älterer Menschen, in ordine al rispetto del divieto di discriminazione, la cui violazione era stata rilevata dalla Corte di Giustizia nella sentenza Xxxxxxx (cfr. Cap. 2 par. 1.5). I presupposti per l’apposizione di un termine ad un contratto di lavoro fino a cinque anni, comprensivo di proroghe, sono, oltre all’età del prestatore, ancora limitata dalla soglia dei cinquantadue anni, lo stato di disoccupazione nei quattro mesi direttamente precedenti l’inizio del rapporto di lavoro, o nello stesso periodo l’aver percepito il Transferkurzarbeitergeld o una misura pubblica di incentivo all’occupazione ai sensi del secondo o terzo libro del Sozialgesetzbuch (SGB). La disoccupazione è considerata qui in una accezione legata alla previdenza sociale, come mancanza, perdita, di attività lavorativa, più che al diritto del lavoro, come decadenza del rapporto di lavoro, dato l’espresso riferimento al paragrafo 138 comma 1 Nr. 1 del terzo libro del Sozialgesetzbuch: Beschäftigungslösigkeit e non Arbeitslösigkeit. Di conseguenza, si computano anche i periodi nell’ambito del rapporto di lavoro durante i quali il datore non accetta la prestazione del lavoratore, non esercitando il potere di etero direzione, ad esempio per sospensione del lavoratore 235. Il Transferkurzarbeitergeld è una misura di promozione del reinserimento del lavoratore nel mondo del lavoro, che interviene nei casi di inattività durevole, se attraverso tale misura può essere evitato un licenziamento, se in futuro deve attendersi un miglioramento delle prospettive di collocamento, o se nel quadro di misure di ristrutturazione aziendali promuove l’inserimento del lavoratore (§ 111 SGB III). A questi periodi di tempo da computare vengono equiparati anche quelli durante i quali un lavoratore partecipa ad una delle misure di cui ai libri secondo e terzo del Sozialgesetzbuch, trovandosi così in una situazione similmente difficile come per i lavoratori inattivi. Si considerano in particolare gli strumenti delle Arbeitsbeschaffungsmaßnahmen e delle Arbeitsgelegenheiten. Ciò detto sulle circostanze rilevanti che devono precedere il contratto a termine
per renderlo ammissibile, «si deve considerare il periodo di tempo di quattro
mesi direttamente antecedenti l’inizio dell’attività»236.
La combinazione di un kalendermäßige Befristung, ossia di un termine che scade al raggiungimento di una data specifica, con uno Zweckbefristung, ovvero l’ipotesi del contratto che termina al raggiungimento di uno scopo, o con un contratto soggetto a auflösende Bedingung (condizione risolutiva) 237 , dà vita all’istituto del cd. Doppelbefristung (doppio termine). Tale possibilità permette sì di legare il termine di un contratto al raggiungimento di uno scopo o al verificarsi di un evento incerto, ma avvantaggia il datore che prevede infatti anche un limite temporale di durata massima, che interverrà nei casi di mancato raggiungimento dello scopo entro un certo periodo di tempo, oltre il quale magari il datore non ha più interesse alla prestazione. Peraltro il maggior vantaggio consiste nella possibilità di evitare l’effetto del comma 5 del paragrafo 15 della TzBfG, il quale prevede che in caso di prosecuzione di fatto del rapporto di lavoro dopo raggiungimento dello scopo e di mancata comunicazione di questo al lavoratore o mancata contestazione in senso contrario del datore di lavoro, il contratto vale come prorogato a tempo indeterminato (cfr. Cap. 2 par. 6.1). Il datore potrà riferirsi al termine temporale successivo allo Zweckerreichung in modo da proseguire la attività solo fino al raggiungimento della data rilevante per lo Zeitbefristung: il rapporto sarà prolungato a termine, il quale scade alla data indicata nel contratto238.
2.4 Die Schriftform ex § 14 Abs. 4
Il comma 4 del paragrafo 14 statuisce che l’apposizione di un termine al contratto di lavoro esige per la sua efficacia la forma scritta. Questa norma riprende il paragrafo 623 del BGB, nella formulazione introdotta dalla Gesetz zur Vereinfachung und Beschleuninung des arbeitsgerichtlichen Verfahrens del 30
236 H.-X. XXXXXX, Der befristete Arbeitsvertrag, cit., pag. 214
237 Cfr. BAG 20.2.2008 – 7 AZR 990/06
238 Cfr. X.-X. XXXXXX, Der befristete Arbeitsvertrag, cit., pag. 20
marzo 2000, a far data dal 1° maggio successivo; senonchè, la norma della TzBfG non esclude più la stipulazione in forma elettronica. Fino ad allora prescrizioni sulla forma erano considerate solo nei contratti collettivi. In dottrina si riconoscono le funzioni di Klarstellung und Beweis, ossia di chiarezza e di prova; secondo il parere della giurisprudenza la forma scritta dovrebbe anche proteggere da una stipulazione avventata, non ponderata, e avrebbe così in aggiunta anche una Warnfunktion239 (funzione di avvertimento). Come indica il dato letterale, la Schriftform è da applicarsi ad ogni apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato, anche nei casi di condizione risolutiva (§ 21 TzBfG), come nei casi di proroga (cfr. Cap. 2 par. 2.3), o di trasformazione di contratto a tempo indeterminato in contratto a termine, e indipendentemente dalla durata del termine, anche per i casi di kurzfristige Arbeitsverträge, e addirittura nei casi di rapporti di un solo giorno 240 . In ultimo, importante rilevare che dottrina maggioritaria ritiene che l’obbligo di forma non deve applicarsi ai soli termini apposti ai sensi della Teilzeit – und Befristungsgesetz, ma anche nei casi di accordi per un rapporto a tempo determinato secondo regole derivanti da leggi speciali. L’obbligo di Schriftform è formalmente adempiuto attraverso un atto unitario contenente la firma di entrambe le parti (Grundsatz der Urkundeneinheit) a norma dei commi 1 e 2 del paragrafo 126 del BGB. È stato accettato dalla giurisprudenza l’adempimento dell’obbligo di forma scritta attraverso scrittura del datore di lavoro, che fissa oltre al termine altre condizioni del contratto, se controfirmata dal lavoratore. Viene infatti ammesso, che «un datore di lavoro, anche senza precedente accordo in tal senso, invii al lavoratore un modulo di contratto già firmato dal primo, contenente la richiesta della firma del secondo»241. Particolare è il caso dell’apposizione del termine risultante da un contratto collettivo: se le parti sono vincolate al contratto collettivo e a queste esso trova applicazione (cfr. § 4 Abs. 1 TVG), non è necessaria. Ad ogni modo, a conclusione di una evoluzione dibattuta sia in dottrina che in giurisprudenza, si
239 Cfr. ex multis BAG 16.9.2004 NZA 2005, 162
240 Cfr. BAG 15.2.2012 NZA 2012, 733
241 Cfr. X. XXXXXX-GLÖGE, Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Xxxxxxxxxxxxxxx - § 00, cit., pag. 2800
ritiene che alla forma scritta deve adempiersi contestualmente alla stipulazione del contratto. Contenuto essenziale della forma scritta è l’indicazione della scadenza del termine, la quale ovviamente sarà temporale, per il qual caso non sarà necessario il riferimento alla ragione obiettiva, o per raggiungimento dello scopo. In questa ultima ipotesi, per il termine sarà rilevante la comunicazione sul raggiungimento dello scopo da parte del datore di lavoro (§ 15 Abs. 2 TzBfG – cfr. Cap. 2 par. 6.1), e ciononostante la Schriftform dovrà contenere la fattispecie, determinante per la esistenza dell’evento che costituisce lo scopo o la condizione risolutiva del contratto di lavoro, «descritta in maniera il più precisa possibile»: in conclusione «deve essere definibile in maniera indubbia al verificarsi di quale evento deve avere fine il rapporto di lavoro»242. La apposizione del termine che non rispetti i canoni di forma richiesti è nulla, come risulta da principio generale ai sensi del paragrafo 125 del BGB: il contratto è perciò stipulato senza termine243. A norma del paragrafo 16 della TzBfG tale contratto «vale come concluso a tempo indeterminato», ma solamente se il lavoratore denuncia al tribunale del lavoro la inefficacia nei termini di cui al successivo paragrafo 17 (cfr. Cap. 2 par. 3).
3 Le conseguenze dell’inefficacia del termine
3.1 L’impugnazione avanti all’Arbeitsgericht
Come già accennato (cfr. Cap. 2 par. 2.4), il paragrafo 16 della TzBfG regola la inefficacia di un termine o di una condizione risolutiva. Già dopo la importante sentenza del Größer Senat del Bundesarbeitsgericht del 12 ottobre 1960 (cfr. Cap. 2 par. 1.2), è convinzione generale che la inefficacia della apposizione del termine non porta a nullità del contratto di lavoro, bensì all’inizio di un rapporto a tempo indeterminato. Il legislatore ha stabilito una disciplina corrispondente nelle prima parte del paragrafo in questione. Tuttavia, l’apposizione del termine è
242 H.-X. XXXXXX, Der befristete Arbeitsvertrag, cit., pag. 28
000 X. XXXXX, Xxxxxxxx – und Xxxxxxxxxxxxxxxxx - § 00, in Teilzeit – und Befristungsgesetz (Praxiskommentar zum TzBfG und zu angrenzenden Vorschriften mit Gestaltungshinweisen und Beispielen), X. XXXXXX – X. XXXXX (a cura di), Xxxxxxxx, 0000, Xx. 380
priva di efficacia legale (rechtsunwirksam) se il tribunale del lavoro statuisce in tal senso sulla azione di inefficacia del lavoratore, la quale deve essere, a norma del paragrafo 17 della TzBfG, sollevata entro tre settimane dalla scadenza del termine come accordata nel contratto, anche in caso di Zweckbefristung; se dopo tale data il rapporto viene proseguito, a norma del comma 5 del paragrafo 15, il termine di tre settimane decorre dal momento dell’accesso alla dichiarazione del datore di lavoro, che il rapporto è concluso a causa della scadenza del termine (§
17 S. 3). In applicazione del paragrafo 15 comma 5 sulla prosecuzione del contratto 244 , d’altronde, nel caso in cui il datore non abbia tempestivamente comunicato il raggiungimento dello scopo, o contraddetto una tale conclusione, il rapporto a termine sarà prolungato a tempo indeterminato (cfr. Cap. 2 par. 6.4). Di conseguenza il lavoratore potrà anche far valere avanti al giudice del lavoro la sussistenza di un rapporto di durata. Come notato in dottrina, se invece il datore abbia correttamente adempiuto agli obblighi di cui al paragrafo 15 comma 5, la decorrenza del termine di tre settimane dalla successiva dichiarazione del datore deve essere visto come una “protezione necessaria” del lavoratore 245 . Per il computo delle tre settimane, si devono considerare la data accordata dalle parti nel contratto in caso di Zeitbefristung, mentre in ipotesi di termine delimitato dal raggiungimento di uno scopo, o da una auflösende Bedingung, rilevante è il giorno nel quale lo scopo è stato raggiunto o la condizione risolutiva si è avverata. Se tuttavia il datore comunica il raggiungimento dello scopo solo dopo la scadenza del termine inizialmente previsto (cfr. Cap. 2 par. 6.1), il periodo di tre settimane decorrerà da quando il lavoratore avrà accesso alla comunicazione scritta246 (cd. teleologische Reduktion – riduzione teleologica). In ogni caso, è ammesso pacificamente in giurisprudenza e dottrina che il lavoratore non deve aspettare la fine del rapporto a termine per agire per l’inefficacia del termine, ed è stato riconosciuto dal tribunale del lavoro un interesse di verifica del rapporto a
244 Il § 15 Abs. 5 deve ritenersi applicabile secondo il dato letterale del § 17 S. 3, secondo X.-X. XXXXXX,
Der befristete Arbeitsvertrag, cit., pag. 317
245H.-X. XXXXXX, Der befristete Xxxxxxxxxxxxxx, xxx., xxx. 000
000 Xxx. BAG 6.4.2011 NJW 2011, 2748
termine secondo il paragrafo 17 della TzBfG persino due anni prima della scadenza, se il datore di lavoro, su espressa richiesta del lavoratore, ha interpretato il termine o la condizione risolutiva come legalmente efficace247. Il secondo periodo del paragrafo 17 rende applicabile alla impugnazione del termine apposto al contratto di lavoro, conformemente alla disciplina del Befristungsrecht, i paragrafi da 5 a 7 della Kündigungsschutzgesetz, ossia la legge sulla tutela contro il licenziamento illegittimo. Il primo ammette la azione ritardataria del lavoratore che non ha potuto sollevare la controversia in tempo nonostante abbia agito con la precisione dallo stesso attendibile in base alle circostanze del caso concreto, a seguito di richiesta in tal senso entro due settimane, che sarà valutata nel giudizio riunito con quello principale sulla a norma del comma 4 (cfr. § 5 KSchG). Il secondo consente al lavoratore, nel processo, di far valere anche motivi non denunciati nel termine di impugnazione fino alla chiusura dell’udienza orale di prima istanza (cfr. § 6 KSchG). In ultimo viene stabilito che se la inefficacia di un termine non viene fatta valere in maniera tempestiva, il termine è legalmente efficace dall’inizio (cfr. § 7 KSchG).
3.2 (Segue) La prova dell’inefficacia nel processo
Il Darlegungslast (onere della prova) riguarda il compito delle parti di presentare al giudice i fatti dei quali, da un lato, si servono per la applicazione delle norme giuridiche fondanti la pretesa, dall’altro, per le determinazioni che ostacolano, inibiscono la pretesa dell’altra parte. Mentre il cd. Beweislast (onere di dimostrazione) è l’obbligo di addurre la prova della rappresentazione di fatti rilevanti regolarmente forniti, ma rimasti controversi, come nel caso del non liquet. Di regola, il Beweislast segue il Darlegungslast, «cosicché i due concetti si trovano maggior parte dei casi come un unitario Doppelbegriff»248 (doppio concetto). In opposizione all’onere di dimostrazione principale si è sviluppato in
247 Cfr. BAG 23.6.2010 NZA 2010, 1248
giurisprudenza anche il cd. Gegenbeweis, che tuttavia non consiste in una vera dimostrazione, bensì soltanto in una contestazione di quella principale.
Per quello che concerne la prova dell’accordo sul termine, prima della introduzione della disciplina attuale, non era prevista la esigenza di una documentazione dell’apposizione del termine al contratto di lavoro, perciò in mancanza di un atto scritto il rapporto si riteneva a tempo indeterminato, secondo la regola, e il datore di lavoro doveva poi eccepire, nei confronti del diritto del lavoratore alla prosecuzione del rapporto a tempo indefinito, i fatti che avessero provato le dichiarazioni delle parti in accordo alla durata limitata del contratto. L’obbligo della Schriftform ha semplificato l’onere della prova della sussistenza di un accordo sul termine di un contratto. Il datore di lavoro infatti sarà chiamato a presentare il documento di cui al paragrafo 14 comma 4, dimostrando in questo modo l’esistenza del termine (a meno che non sia contestata la autenticità dell’atto scritto); in caso contrario, il tribunale del lavoro competente si deciderà sulla base della esistenza di un contratto di durata. Solamente se, nonostante l’eccezione dell’atto scritto, le determinazioni del contratto non sono chiare e necessitano di interpretazione, il tribunale non deve decidere immediatamente: in tal caso viene data possibilità al datore di presentare ulteriori circostanze che fondino la apposizione del termine249.
Accertata la sussistenza del termine, segue la verifica della fondatezza dello stesso sulla base delle regole di cui al paragrafo 14 della Teilzeit – und Befristungsgesetz. Per quanto concerne il termine giustificato da Sachgründe (ragioni obiettive), inizialmente la giurisprudenza del Bundesarbeitsgericht di principio onerava della prova il lavoratore, che doveva dimostrare la assenza di una ragione ragionevole, o la pretestuosità della ragione concreta addotta. Si trattava perciò di una presunzione di legittimità del termine. Tuttavia, se il lavoratore avesse addotto dimostrazioni nach dem ertsten Anschein (“in prima apparenza”) convincenti, quindi non manifestatamente infondati, tali da
presumere effettivamente la mancanza di una ragione concreta, il datore di lavoro avrebbe dovuto confutare la presunzione attraverso una Gegenbeweis. Negli anni successivi peraltro, a questo obbligo di “contro-dimostrazione” era tenuto sempre più spesso il datore di lavoro, a causa del diffuso riconoscimento della non manifestata infondatezza, e del punto di vista della “vicinanza alla dimostrazione”250. Questo spostamento dell’onere della prova sul lato datoriale è continuato fino alla attuazione della Direttiva 1999/70 CE attraverso la Teilzeit – und Befristungsgesetz. La normativa comunitaria ha posto i contratti di lavoro a tempo indeterminato e a tempo determinato in un rapporto di regola ed eccezione; il contratto a termine è in ogni caso una eccezione vantaggiosa per il datore di lavoro, e la ragione obiettiva è «una obiezione allo stato durevole del rapporto di lavoro»251. Di conseguenza il datore dovrà esporre la Sachgrund e dimostrare i fatti controversi, oltre a portare il rischio del non liquet.
Infine, come per la dimostrazione dell’esistenza della apposizione del termine al contratto (supra), il datore di lavoro ha anche l’onere di provare l’accordo su di un termine privo di ragione concreta, fondato sul rispetto della Höchstdauer (durata massima) di cui al paragrafo 14 comma 2 della TzBfG. D’altronde, quanto detto non vale per l’Anschlussverbot, ossia la mancanza del presupposto del primo impiego presso la azienda in questione, la cui prova spetta al lavoratore. I presupposti di età anagrafica, e di inattività o di conseguimento di incentivi per il reingresso nel mercato del lavoro, per quattro mesi (cfr. Cap. 2 par. 2.3), devono invece essere dimostrati dal datore di lavoro.
3.3 La trasformazione in contratto a tempo indeterminato e le possibilità di recesso
Un termine inefficace comporta che il contratto si considera come fosse stato stipulato a tempo indeterminato: «il contenuto ulteriore del contratto resta
250 Cfr. BAG 4.2.1971 DB 1971, 1164
invariato»252. Bisogna tuttavia sottolineare che un contratto di durata in questo modo sorto è inizialmente sottoposto alla condizione risolutiva della decadenza del termine per proporre l’azione (Versäumung der Klagefrist), che attraverso una fictio rende il termine efficace dall’inizio del rapporto, nonostante la inefficacia che sarebbe potuta essere dichiarata dal tribunale del lavoro se il lavoratore avesse agito in tempo (cfr. Cap. 2 par. 3.1).
Il paragrafo 16 poi si concentra sulle possibilità di recesso del contratto a tempo indeterminato sorto dalla inefficacia dell’apposizione del termine. Di norma, dal contratto a tempo indeterminato di cui al paragrafo 16 della TzBfG il datore di lavoro può recedere sin dal momento della fine del rapporto sulla quale le parti erano concordi, nei modi ordinari (§ 16 S. 1 Hs. 2), ossia nel rispetto dei termini di cui al paragrafo 622 del BGB e delle regole di cui alla Kündigungsschutzgesetz, o di altri termini e prescrizioni del contratto collettivo applicabile (cfr. Cap. 2 par. 6.2). Il prestatore di lavoro invece, seppure tacitamente, considerato il riferimento normativo al solo datore per ciò che concerne la limitazione appena illustrata, non sarebbe legato alla cd. Mindestdauer, potendo perciò recedere dal rapporto a tempo indeterminato anche prima del raggiungimento della data stabilita dalle parti nel contratto. Come sottolineato in dottrina, questa regola di favore appunto «non risulta dal dato letterale, bensì dalla evoluzione della legge»253. Il recesso ordinario già prima della scadenza del termine inizialmente concordato è ammesso per il datore di lavoro solamente se, ai sensi del paragrafo 15 comma 3 TzBfG, era stato stabilito nel contratto individuale dalle parti o nel contratto collettivo applicabile che il rapporto a tempo determinato fosse soggetto a recesso ordinario, come un contratto a tempo indeterminato (§ 16 S. 1 Hs. 2). In ogni caso, anche in mancanza dell’accordo di cui al comma 3 del paragrafo 15, entrambe le parti possono recedere in ogni momento anche antecedente la fine del contratto
252 X. XXXXXX-XXXXX, Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Xxxxxxxxxxxxxxx - § 00, in Erfurter Kommentar, X. XXXXXX–GLÖGE – X. XXXXX – I. XXXXXXX (a cura di), Xxxxxxx, 0000, pag. 2809