NEL DIRITTO “COMUNITARIO” DEI CONTRATTI.
Università degli Studi della Calabria
Dipartimento di Scienze Giuridiche
Dottorato di ricerca Impresa, Stato e Mercato XXII CICLO
IL RAPPORTO TRA REGOLE DI VALIDITA’ E REGOLE DI CORRETTEZZA
NEL DIRITTO “COMUNITARIO” DEI CONTRATTI.
S.S.D. IUS/01
Supervisore Dottoranda
Chiar. mo Xxxx. XXXXXXXXX XXXXXXX XXXXXXXXX XXXXXXXX
Coordinatore
Xxxxx.xx Prof. X. X’XXXXXXX
Anno Accademico 2009 – 20010
CAPITOLO PRIMO
La funzione della clausola generale
di buona fede nel sistema italo-comunitario delle fonti
Sommario. 1. Il nuovo rapporto tra struttura e funzione degli atti di autonomia privata nella prospettiva di un mercato evoluto e solidale: il contratto come strumento di regolamentazione del mercato. Recepimento delle istanze di “ammodernamento” di matrice europea e deconcettualizzazioni. 2. La “conformazione” del regolamento contrattuale alle esigenze di composizione delle ragioni del mercato e della persona. 3. Il nuovo volto delle invalidità da “rimedi di fattispecie” a “rimedi di regolamento”. 4. L’ “essere” e il “dover essere” nella dinamica contrattuale. Interferenza o separazione? Impostazione del problema. 5. Il rapporto tra regole di comportamento e regole di validità e il principio generale di buona fede: evoluzione storica e portata applicativa dell’art. 1337. 6. I rapporti tra gli artt. 1337 e 1338: da un’impostazione restrittiva tesa a circoscrivere il ruolo della norma ad un recupero della portata precettiva del principio generale di buona fede. Le influenze esercitate dalla dottrina tedesca. 7. Dilatazione della responsabilità precontrattuale oltre il recesso ingiustificato dalle trattative e i “vizi incompleti” di contratto. E’ possibile integrare le ipotesi di invalidità codificate dal legislatore nazionale attraverso l’utilizzo della clausola generale di buona fede? Il caso del dolo omissivo tra annullamento e responsabilità precontrattuale. 8. Recenti arresti giurisprudenziali che aderiscono alla tesi della configurabilità di una responsabilità precontrattuale anche nell’ipotesi di contratto validamente concluso. 9. La buona fede e il diritto europeo dei contratti: la necessaria riconduzione della legge al diritto.
1. La fase della formazione della volontà negoziale è, nell’ambito della vicenda contrattuale, quella che risulta maggiormente influenzata dai nuovi modelli di organizzazione degli scambi derivanti dalla globalizzazione dell’economia e dei mercati, dallo sviluppo delle tecnologie elettroniche ed informatiche e dalla diffusione della contrattazione di massa1. In quest’ottica le società industriali avanzate hanno già da tempo, sotto la spinta delle istanze comunitarie, avviato un’opera di “ammodernamento” o di “adeguamento” del diritto contrattuale, individuando nella disciplina del contratto
l’elemento centrale di una nuova politica di “strutturazione del mercato”.2
Inevitabili
sono, dunque, le tensioni che si registrano nel sistema normativo e concettuale preesistente a seguito dell’innesto delle nuove discipline, così come inevitabile è una reinterpretazione degli istituti classici secondo una rinnovata sensibilità che trae origine da un sistema delle fonti non più ancorato a rigidi confini nazionali ma frutto del coordinamento con le discipline comunitarie.
Tale forma di integrazione, lungi dal costituire una compromissione dello zoccolo duro della cultura giuridica nazionale e delle categorie dogmatiche essenziali
1 X. X’ Xxxxx, Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, in Xxx. xxx. xxx., 0000, xxxx. 0, xx. 0, x. 00;
2 X. Xxxxxxxxxx, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in Lipari (a cura di), Diritto privato europeo, II, Padova, 1997, p. 489 ss.;
dell’educazione del giurista3, non determina uno sconvolgimento della sistematica del diritto ma un’armonizzazione della disciplina interna con quella comunitaria senza tuttavia sfociare in quella “soffocante omogeneizzazione” deplorata da un’autorevole dottrina.4 Il contratto assume in questa nuova dimensione una progressiva metamorfosi che induce a ripensare il rapporto tra struttura e funzione degli atti di autonomia,5 tra “regolamento di interessi unitariamente inteso e ordinamento6”. Quest’ultimo non viene più considerato unicamente lo strumento di esplicazione dell’autonomia negoziale delle parti e, dunque, riservato alla loro piena ed esclusiva disponibilità, ma assume, nell’ambito del paradigma dell’operazione contrattuale complessivamente realizzata, una connotazione funzionale che trascende la concezione atomistica ereditata dalla tradizione codicistica.
Il superamento della concezione del contratto come atto per antonomasia di “autoregolamentazione” di privati interessi patrimoniali7, tradisce quella stretta relazione tra mercato e strumento negoziale in una compenetrazione tra interessi pubblici e interessi
Il contratto abbandona la sua matrice individualista e diventa lo strumento di
3 X. Xxxxxxxxxxx, Unitarietà dell’ordinamento e pluralità delle fonti, in Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, 2006, p. 159 ss.;
4 X. Xxxxxxx, Interpretazione e teoria delle fonti, in occasione del convegno “Diritto comunitario e sistemi nazionali: pluralità delle fonti e unitarietà degli ordinamenti” tenutosi a Capri il 16-17- 18 aprile 2009. L’autore evidenzia come “non possiamo costruire la relazione tra diritto comunitario e diritto nazionale come rapporto a senso unico, unidirezionale ed esclusivamente discendente dal primo verso il secondo. Ciò determinerebbe un’assoluta uniformazione e totale e soffocante omogeneizzazione dei sistemi giuridici nazionali, con risultati da mero e proprio pensiero unico estranei all’essenza e allo spirito del sistema comunitario europeo. L’unità del diritto è sicuramente un valore irrinunciabile per l’Europa ma in quanto non disgiunto dal valore altrettanto fondamentale della diversità insito nel principio di salvaguardia della identità nazionale dei singoli stati.”
5 Sul punto v. X. Xxxxxxxxxxx, Remissione del debito e rinunzia al credito, Napoli, 1968; X. Xxxxxxxxxx, Violazione di norme antitrust e disciplina dei rimedi nella contrattazione “a valle”, Napoli, 2009, p. 41 ss.; 6 X. Xxxxxxxxxxx, Negozio illecito e negozio illegale. Una incerta distinzione sul piano degli effetti, Napoli, 2003, p. 5 ss.;
7 G. B. Xxxxx, Il negozio giuridico e la disciplina del mercato, in Le anamorfosi del diritto civile attuale, Saggi, Padova, 1994, p. 271; X. Xxxxxxxxx, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, Napoli, 1997, p. 5;
8 Sulla compenetrazione tra interesse pubblico e privato con riferimento agli atti di autonomia negoziale X. Xxxxxxxxxxx, L’autonomia nella pluralità e gerarchia delle fonti, in Il diritto civile nella legalità costituzionale, op. cit., p. 403; Id., L’incidenza dell’interesse pubblico sulla negoziazione privata, in Il
regolamentazione del mercato, recependo le istanze pubblicistiche volte al perseguimento dell’utilità sociale e condizionando lo stesso sistema e andamento dei traffici commerciali.9
Tale interferenza consente di individuare nel contratto il mezzo attraverso il quale abbattere quella “tumultuosa anarchia del mercato”10 proteggendolo da eventuali meccanismi distorsivi che possano pregiudicarne la libera concorrenzialità, e al contempo permettendo il confronto con la socialità e l’interesse generale.11 Né a tali interferenze devono rimanere estranee le istanze della persona nei suoi diritti inviolabili e nei suoi valori inalienabili12, che assumono la connotazione di valori immanenti al nostro
diritto dei contratti, op. cit., p. 55; X. Xxxx, Diritto privato e interessi pubblici, in Riv dir. civ., 1994, I, p. 25; Id., Diritto dell’impresa e morale sociale, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, x. 00; X. Xxxxxxxx, Privatizzazione
c.d. sostanziale tra contrattazione di diritto privato e interesse pubblico, in Riv. giur. sarda, 2001, II, p. 567 ss.; X. Xxxxxx, Considerazioni sulla rilevanza degli interessi generali in materia civile e commerciale, in X. Xxxxx (a cura di), Interpretazione delle leggi civili, Torino, 2000, p. 205 ss; X. Xxxx, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998, p. 46; X. Xxxxxxxxx, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960, p. 163 ss; X. Xxxxxxx, Forma giuridica e materia economica, in Diritto e valori, Bologna, 1985, p. 169; Id., Proprietà e libertà, in La Costituzione economica a quarant’anni dall’approvazione della carta fondamentale, Atti del Convegno di Milano, 6- maggio 1988, Milano 1990, p. 20;
9 V. sul punto X. Xxxxxxxxxx, Violazione norme antitrust, op. cit., p. 51;
10 X. Xxxxx, Il mercato nella costituzione, in Quad. cost., 1992, p. 17;
11 X. Xxxx, Pubblico e privato nell’Europa sociale, in Il mercato europeo. Pubblico e privato nella Europa degli anni 90, Milano, 1990, p. 58;
12 X. Xxxxxxxxxxx, L’autonomia nella pluralità e gerarchia delle fonti, in Diritto civile nella legalità costituzionale, op. cit., p. 377: “L’autonomia negoziale si collocherebbe altresì tra libertà e mercato libero. Ma il mercato è uno statuto normativo, sì che il problema è quale sia lo statuto normativo conformativo del mercato e quindi dell’autonomia negoziale: la medesima regolamentazione dell’autonomia negoziale diventa ad un tempo regolamentazione del mercato. Sul punto emerge un’opinione, molto significativa, che sottolinea sia la centralità della persona e dei valori ad essa immanenti sia la primazia riconosciuta ad istanze marcatamente solidaristiche e sociali, sì da collocarsi nel quadro di una concezione del contratto che non ne esaurisce la rilevanza nell’autoregolamentazione di interessi bensì ne accredita la valenza etica.” Id., Mercato solidarietà e diritti umani, in op. cit., p. 491: “La funzione del mercato si desume dagli stessi valori che, immanentemente, dall’interno vincolano la libertà economica legittimandola come potere di rilevanza costituzionale. In ciò consiste il nesso inscindibile tra libertà di iniziativa economica e valori personalistici e solidaristici, là dove “inviolabili” sono i diritti dell’uomo e “inderogabili” sono i doveri di solidarietà economica, politica e sociale; e là dove le situazioni patrimoniali- impresa, proprietà e contratto- non possono non avere una funzione socialmente rilevante e soprattutto non possono non realizzarsi in conformità ai valori della persona umana.”
assetto ordinamentale e che impongono anche interventi di “giustizia contrattuale” , quante volte sollecitati dal particolare modo di strutturarsi di determinate operazioni di scambio.13
Viene, dunque, in rilievo quello che un’autorevole dottrina ha definito “polimorfismo del contratto”14 ossia la perdita di una concezione unitaria dell’atto di autonomia privata per abbracciare una connotazione camaleontica che evidenzia il suo diverso modo di apparire e proporsi in relazione alle condizioni concrete in cui viene ad esplicarsi. Il nuovo approccio ermeneutico induce, infatti, a valorizzare una funzione contrattuale collegata non più al singolo scambio15 ma espressione di una “sequenza unitaria e composita che comprende in sé il regolamento, tutti i comportamenti che con esso si collegano per il conseguimento dei risultati voluti, e la situazione oggettiva nella quale il complesso delle regole e degli altri comportamenti si collocano, poiché anche tale situazione concorre nel definire la rilevanza sostanziale dell’atto di autonomia privata.”16
In questo mutato contesto storico-reale le discipline post-moderne abbandonano la logica neutrale e astratta ereditata dall’impostazione codicistica valorizzando lo stretto rapporto intercorrente tra regola contrattuale e complessiva situazione nel quale il contratto ha la sua genesi o si trova ad operare. Assumono, quindi, rilievo situazioni estranee al momento prescrittivo e regolamentare ma che, nondimeno, possono venire a condizionarlo quali ad es. la condizione di debolezza contrattuale delle parti, la natura dell’attività svolta, i comportamenti in genere tenuti dai soggetti nella contrattazione anche in relazione alle condizioni e alla qualità rivestite dai contraenti e tutti gli elementi accessori che concorrono a determinare l’ operazione economica complessivamente considerata. Quest’ultimi, infatti, lungi dal collocarsi in una dimensione prodromica alla
13 X. Xxxxxxx, Il diritto europeo dei rimedi: invalidità e inefficacia, in Riv. Dir. civ, 2007, fasc. 6, pt 1, p. 849;
14 X. Xxxxxxxxx, Tutela del consumatore e autonomia contrattuale, in Riv. trim. d. proc. Civ., 1998, p. 27;
15 Sull’abbandono della concezione del contratto come monade a sé stante v. X. Xxxxx, Nomenclatura del contratto o istituzione del contrarre? Per una teoria giuridica della contrattazione, in X. Xxxxx e G. Villa (a cura di), Il terzo contratto. L’abuso di potere contrattuale nei rapporti tra imprese, Bologna, 2008, p. 273; sul punto anche X. Xxxxxxxxxxx, in Unitarietà dell’ordinamento e pluralità delle fonti, in Diritto civile nella legalità costituzionale, op. cit., p. 336: “L’attenzione si sposta dal dogma dell’autonomia all’atto da valutare non soltanto isolatamente, ma nell’ambito dell’attività svolta dal soggetto”;
16 X. Xxxxxxxxx, Mercato, contratto e operazione, in Rass. dir. civ., 2004, p. 1047 ss.;
conclusione del contratto e, dunque, rimanere limitati all’area della responsabilità precontrattuale, vengono in alcuni casi a penetrare nel momento prescrittivo condizionando il concreto regolamento degli interessi in gioco.
Conseguenza di tale approccio è la sottrazione del regolamento contrattuale alla disponibilità delle parti e il suo rimodellamento funzionale alle esigenze di disciplina e tutela del mercato.17 Autorevole dottrina, infatti, evidenzia come il contratto sia lo strumento attraverso il quale viene regolamentato il mercato laddove “si hanno due discipline che non possono essere separate: quella che tende prevalentemente a regolare il contratto e quella che, regolando il mercato, incide sul contratto. Sicché, distinguere in maniera netta le regole del contratto e le regole del mercato vale a poco”.18 Né può ravvisarsi un contrasto tra il perseguimento delle istanze pubblicistiche di regolazione del mercato e la tutela del contraente più debole19 in quanto, nelle situazioni caratterizzate dalla prevalenza della forza contrattuale di una delle parti contraenti, la tutela della “giustizia contrattuale” negli scambi procede di pari passo con quella del mercato prevenendo l’acquisizione di vantaggi abusivi e l’insorgere di fenomeni distorsivi della libera concorrenza.
2. La reinterpretazione del rapporto tra autonomia privata e ordinamento nell’ottica di una “funzionalizzazione del contratto”20 verso un assetto di mercato pro-concorrenziale, mette in luce quella compenetrazione tra interesse pubblico e interesse privato che trova un inevitabile momento di sintesi nell’ordinamento giuridico21 e impone l’ emancipazione e
17 X. Xxxxxxxxx, L’autonomia privata e tutela del consumatore in Europa tra codice e Costituzione, in Codificazione, semplificazione e qualità delle regole, (a cura di) M. A. Sandulli, Milano, 2005, p. 40 ss.;
18 X. Xxxxxxxxxxx, L’informazione e il contratto, in Il diritto dei contratti tra persona e mercato, 2003, p. 374;
00 X. Xxxxxxx, Xx diritto europeo dei rimedi, op. cit., p. 848; X. Xxxx, Categorie contrattuali e statuti del rapporto obbligatorio, in Il diritto delle obbligazioni e dei contratti: verso una riforma?, Atti del Convegno per il cinquantenario della Rivista di diritto civile, svoltosi a Treviso, nei giorni 23- 24- 25 marzo, in Riv. dir. civ., 2006, p. 49 ss.; X. Xxxxx, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria del potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, a cura di X. Xxxxxxxxx, Torino, 2002, p. 639 ss.;
20 X. Xxxxxxxx, Lo Stato committente. Lo Stato regolatore, in X. Xx Xxxxx e X. Xxxxxxxx (a cura di), Impresa pubblica e intervento dello Stato nell’economia. Il contributo della giurisprudenza costituzionale, Napoli, 2006, p. XXXIX;
21 X. Xxxxxxxxxx, Violazione norme antitrust, op. cit., p. 52; sulla compenetrazione tra interesse pubblico e privato con riferimento agli atti di autonomia negoziale X. Xxxxxxxxxxx, L’autonomia nella pluralità e
distacco dello stesso dalla sua fonte genetica per essere attratto nell’orbita e nella
disponibilità conformatrice dell’ordinamento.22
Conseguenza di tale approccio è la
sottrazione del regolamento contrattuale alla disponibilità delle parti e il suo rimodellamento funzionale alle esigenze di disciplina e tutela del mercato.
Secondo l’impostazione classica, infatti, il controllo dell’ordinamento sull’esplicazione dell’autonomia privata si arresta alla verifica della completezza o perfezione della fattispecie contrattuale del tutto prescindendo dalla particolare condizione delle parti, dalla natura del contratto o del suo oggetto o più in generale dal concreto assetto di interessi perseguito dalle parti. L’attenzione alla fattispecie astrattamente considerata opera sotto un profilo indifferenziato e prescindente rispetto alle condizioni concrete in cui le parti si trovano ad operare che assumono rilievo se, ed in quanto, incidono sulla regolare formazione dell’accordo o sulla liceità o meritevolezza del regolamento contrattuale. Ma può ritenersi ancora valida una prospettiva così impermeabile alle circostanze del caso concreto e alle condizioni delle parti nella dinamica contrattuale? 23 E, soprattutto, tale impostazione si mostrerebbe coerente con la gerarchia di valori accolta all’interno della Carta Costituzionale?
gerarchia delle fonti, in Il diritto civile nella legalità costituzionale, op. cit., p. 403; Id., L’incidenza dell’interesse pubblico sulla negoziazione privata, in Il diritto dei contratti, op. cit., p. 55; X. Xxxx, Diritto privato e interessi pubblici, in Riv dir. civ., 1994, I, p. 25; Id., Diritto dell’impresa e morale sociale, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, x. 00; X. Xxxxxxxx, Privatizzazione c.d. sostanziale tra contrattazione di diritto privato e interesse pubblico, in Riv. giur. sarda, 2001, II, p. 567 ss.; X. Xxxxxx, Considerazioni sulla rilevanza degli interessi generali in materia civile e commerciale, in X. Xxxxx (a cura di), Interpretazione delle leggi civili, Torino, 2000, p. 205 ss; X. Xxxx, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998, p. 46; X. Xxxxxxxxx, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960, p. 163 ss; X. Xxxxxxx, Forma giuridica e materia economica, in Diritto e valori, Bologna, 1985, p. 169; Id., Proprietà e libertà, in La Costituzione economica a quarant’anni dall’approvazione della carta fondamentale, Atti del Convegno di Xxxxxx, 0 xxxxxx 0000, Xxxxxx 1990, p. 20;
00 X. Xxxxxxx, Xx diritto europeo dei rimedi, op. cit., p. 848; Id., Il contratto e le invalidità, in Riv. dir. civ., 2006, fasc. 6, p. 241;
00 X. Xxxxxxx, Invalidità e inefficacia. Modalità assiologiche della negozialità, in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 209 evidenzia lo scarto registratosi tra la prospettiva codicistica e la normativa post-codicistica specie di matrice europea. L’Autore afferma come : “Nel codice è preminente la considerazione della regolare formazione del programma, nel senso di rispondenza del regolamento a un prestabilito iter o modello perfezionativo, siccome provvisto dei prescritti essentialia negotii, dotato della necessaria completezza e finitezza soggettiva e oggettiva dell’interesse perseguito e inoltre sorretto da un ammissibile e adeguato fondamento giustificativo. Nella normativa post-codice, soprattutto di derivazione comunitaria, è invece
Sotto quest’ultimo profilo non possiamo, infatti, non considerare come quest’ultima, ponendo la persona al vertice della gerarchia dei valori dell’ordinamento, non può che rifuggire a qualunque logica generalizzante e indifferenziata imponendosi l’adozione di statuti diseguali per situazioni ineguali come concretizzazione del principio di uguaglianza sostanziale.24
Ed è proprio con la legislazione di matrice europea che tale tendenza trova la sua consacrazione: si assiste all’avvento di una nuova strategia normativa che abbandona la logica astraente di matrice codicistica e introduce una pluralità di statuti giuridici differenziati a seconda della peculiarità degli interessi coinvolti e delle particolari condizioni in cui il contratto si trova ad operare. In questa nuova dimensione ad essere coinvolto e riformato è lo stesso rapporto che lega l’ordinamento e la manifestazione del potere di autonomia dei privati: quest’ultima viene ad essere sottratta alla piena ed esclusiva disponibilità delle parti per essere attratta alla presa “conformatrice” e modellatrice dell’ordinamento. La norma non si limita più a disciplinare il contratto come atto ma penetra nello stesso momento prescrittivo e regolamentare ispirandosi a principi solidaristici per finalità latu sensu giustizialiste.25
Si assiste all’emancipazione della concezione del contratto come autoregolamento e all’introduzione di controlli e rimedi in funzione essenzialmente conformativa della regola pattizia: l’ attenzione si sposta dalla “fattispecie” alla “regola” contrattuale rimodellata attraverso l’intervento dell’ordinamento in funzione integrativa, correttiva o
una esigenza di conformazione del regolamento negoziale a prendere decisamente il sopravvento e conseguentemente altre cause di invalidità, funzionali alla costruzione di un prefigurato assetto o “programma” di interessi, entrano in campo e dominano la scena del diritto contrattuale.”
24 X. Xxxxxxx, Contratto e regolamento nel piano d’azione delle nullità di protezione, in Riv. dir. civ., 2005, fasc. 5, pt. 1, p. 468;
25 X. Xxxxxxx, Regola e metodo nel diritto civile della postmodernità, in Riv. dir. civ., 2005 fasc. 3, pt. 1, p. 294: “Il problema della giustizia contrattuale è ormai definitivamente entrato a far parte dell’agenda di lavoro non solo del pensiero teorico e pratico ma della stessa elaborazione normativa di nuovi principi regolativi della materia, sul presupposto che un aggiornato diritto dei contratti, benché governato dalla libertà decisionale dei privati, non possa evitare la imposizione di standard di giustizia e anzi, proprio in ragione della sua essenza mercantile e pattizia, esso è chiamato ad adottare appropriate tecniche di regolamentazione con il chiaro obiettivo di vincolare anche i contraenti a finalità di giustizia”. Sul rapporto tra autonomia privata e giustizia sostanziale v. X. Xxxxxxx, Autonomia privata e contratto giusto, in Xxx. xxx. xxxx., 0000, x. 00;
addirittura sostitutiva.26 Il contratto da atto capace di “regolare liberamente da sé in modo vincolante i propri interessi”27 si trasforma in “una varabile dipendente da garanzie
persona.
piegato alle esigenze di composizione delle ragioni del mercato e della
Questo radicale mutamento di prospettiva evidenzia, dunque, la nuova dimensione cui approda il più importante atto di autoregolamentazione dei privati interessi patrimoniali: con conseguente riduzione del contratto da “regola” a “mera tecnica” organizzativa e realizzativa di una particolare categoria di interessi.29 Il diritto europeo dei contratti inaugura una nuova stagione dell’autonomia privata c.d. conformata dove il potere di autoregolamentazione privata delle parti si scontra con gli inderogabili doveri di solidarietà scolpiti nel dettato Costituzionale (art. 2 Cost.) e, dunque, è “destinato a restare paralizzato e travolto dalle conformatrici ed eteronome determinazioni di fonte legale adottate in adempimento di siffatti doveri, in ipotesi in cui si tratta di salvaguardare diritti fondamentali della persona (disciplina dei contratti agrari o di quelli locatizi) o preminenti interessi della collettività connessi alla concreta operazione contrattuale (normativa in tema di usura, subfornitura e abuso di dipendenza economica)”.30 E’ qui che si coglie il senso di quella svolta che investe il diritto dei contratti introducendo nell’ambito di quello che era per antonomasia il momento regolativo di interessi privati un criterio di valore: il controllo ordinamentale non si arresta all’aspetto strutturale ma investe la legittimità e la giustificazione del suo contenuto, non rimanendo indifferente ai principi di equità e giustizia sociale che presiedono le operazioni di scambio.
3. Infranto il “mito della neutralità e indipendenza delle forme giuridiche rispetto alla
sostanza dei rapporti umani e al contesto storico-sociale di riferimento”,31
inevitabili
sono le implicazioni che questo nuovo approccio determina nel sistema delle invalidità
00 X. Xxxxxxx, Xx contratto e le invalidità, op. cit., p. 243 ss.;
27 X. Xxxxxxxxx, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, Napoli, 1997, p. 5 ss.;
28 X. Xxxxxxx, Proprietà e libertà, in La Costituzione economica a quarant’anni dall’approvazione della carta fondamentale, Atti del Convegno di Milano, 6-7 maggio 1988, Milano, 1990, p. 20;
00 X. Xxxxxxx, Xxxxxx x metodo nel diritto civile della postmodernità, op. cit., p. 292; 30 X. Xxxxxxx, Regola e metodo nel diritto civile della postmodernità, op. cit., p. 294; 31 X. Xxxxxxx, Contratto e regolamento, op. cit., p. 460;
contrattuali. Quest’ultime, infatti, abbandonano la loro tradizionale configurazione di “rimedi di fattispecie” per abbracciare quella di “rimedi di regolamento” presentandosi come gli strumenti attraverso i quali l’ordinamento può penetrare nel momento prescrittivo del contratto finalizzandolo al perseguimento delle ragioni del mercato.
Viene in questo modo ad essere inaugurato il passaggio verso una nuova configurazione delle stesso apparato rimediale non più limitato alla verifica della mera validità/invalidità del contratto come atto ma del contratto come regolamento. Lo stesso statuto delle invalidità perde quella connotazione essenzialmente demolitoria connaturata alla logica della “fattispecie” per abbracciare la strategia conformativa: non si colloca più all’esterno del contratto ma penetra all’interno del tessuto contrattuale e lo piega attraverso interventi sostitutivi e/o correttivi ai superiori interessi dell’ordinamento.32
Si è, dunque, fatto strada quel processo di “soggettivizzazione”33 e “relativizzazione”34 della categoria delle invalidità che ha determinato il progressivo abbandono delle rigide classificazioni dogmatiche ereditate dalla dottrina tradizionale. Quest’ultima, infatti, stante il silenzio del codice civile in merito, faceva confluire all’interno della categoria generale delle invalidità le due figure della nullità e dell’annullabilità35, radicalizzandone i connotati distintivi più di quanto imposto dai dati del diritto positivo: ad es. la natura
32 X. Xxxxxxx, Invalidità e inefficacia, op. cit., p. 210 evidenzia come “Il giudizio di validità/invalidità non passa più, quindi, ungo l’asse obbligatorio dell’alternativa secca interesse pubblico/interesse privato, ma ubbidisce ad una valutazione intrinsecamente di specie, basata sulla natura e la portata del concreto regolamento o programma di interessi in gioco. Validità/invalidità non sono come tali categorie a priori, ma giudizi conseguibili soltanto a posteriori, avuto riguardo alla natura degli interessi perseguiti, alla specifica posizione dei soggetti coinvolti, alla peculiarità dei beni e dei servizi dedotti nel regolamento o programma”.
33 X. Xxxxx, Il controllo sugli atti di autonomia privata, in Riv. crit. dir. priv., 1985, p. 489;
00 X. Xxxxxxx, Invalidità e inefficacia, op. cit., p. 210;
35 Secondo altra dottrina, invece, nullità e annullabilità non sarebbero riconducibili ad una medesima categoria in quanto caratterizzate da un statuto diametralmente opposto: il contratto nullo sarebbe un non contratto e, dunque, privo di qualunque efficacia; quello annullabile sarebbe, al contrario, produttivo di effetti sebbene rimovibili. X. Xxxx, Concetto giuridico di comportamento e invalidità dell’atto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, p. 1053 ss.; X. Xxxxxx, La invalidità del negozio giuridico di diritto privato, Torino, 1943, p. 326; X. Xxxxxx, La teoria generale del contratto, Torino, 1955, p. 47;
pubblica dell’interesse nella nullità e privata nell’annullabilità; la differente gradazione dell’inefficacia, ineludibile nella nullità ed eventuale nell’annullabilità.36
Tali costruzioni ereditate dalla pandettistica riflettono quella tipica impostazione
classica da “pensiero unico”37
che agisce in via astratta, neutrale e prescindente dalla
situazione concreta complessivamente considerata ed è incapace di farsi carico delle esigenze di adattamento e di gestione del contenuto contrattuale alle molteplici forme di gestione dell’agire dell’autonomia privata in continua evoluzione e trasformazione.
Il nuovo approccio metodologico, al contrario, impone una logica da “pensiero molteplice”: alla netta dicotomia nullità/annullabilità si contrappongono forme elastiche, contaminate, plurali e complesse che rompono gli argini delle classificazioni dogmatiche. Alla categoria delle “invalidità, quale schema unitario e compatto, subentrano le invalidità, cioè una pluralità di figure diverse, contraddistinte da corrispondenti e anch’essi diversificati statuti normativi”.38
E’ quanto accade con l’introduzione delle c.d. nullità di protezione che non si identificano con una categoria unitaria o uno statuto uniforme ma, al contrario, si caratterizzano per la previsione di una molteplicità di statuti differenti a seconda della natura degli interessi sottesi che si intende tutelare.39
36 X. Xxxxxxxx, La riconcettualizzazione del diritto dei contratti- Invalidità, in occasione del convegno “Diritto comunitario e sistemi nazionali: pluralità delle fonti e unitarietà degli ordinamenti” tenutosi a Capri il 16-17- 18 aprile 2009;
00 X. Xxxxxxx, Xx contratto e le invalidità, op. cit., p. 240;
38 X. Xxxxxxx, Invalidità e inefficacia, op. cit., p. 210;
39 X. Xxxxxxxx, Invalidità, op. cit., secondo l’autore la nullità di protezione costituisce l’occasione per rimeditare in profondità l’intero tema generale delle invalidità: “In vista della regolamentazione di assetti compositi nei quali invocano attuazione sia interessi pubblici correlati al corretto andamento delle dinamiche mercantili sia interessi privati riferibili a categorie di contraenti deboli, queste patologie combinano tratti disciplinari propri della nullità e annullabilità contribuendo a rendere molto più labili i rispettivi confini”.
40 X. Xxxxxxxx, Discipline della nullità e interessi protetti, Napoli- Roma, 2001, p. 208 ss.;
generale, contrario a buona fede. Di fronte alla eterogeneità delle situazioni prospettate il rimedio della nullità non si presenta più sempre uguale a se stesso, ma viene a modularsi in maniera elastica e diversificata in vista delle finalità che si intendono perseguire. La nuova nullità si coniuga al plurale e si colora differentemente a seconda delle ipotesi considerate, operando commistioni rispetto alle due figure nullità e annullabilità: in alcuni casi prevede che il contratto continui a produrre effetti, sebbene rimovibili ad istanza della parte qualificata o d’ufficio (tutte le volte in cui essa sia giovevole alle ragioni della parte debole); in altri casi, valutato negativamente il contenuto dell’atto di autonomia privata o di una sua clausola, preclude che lo stesso produca qualunque tipo di effetto giuridico. Talvolta, al contrario, è lo stesso ordinamento che, intervenendo attivamente sul momento prescrittivo, si sovrappone alla volontà delle parti riscrivendo la regola contrattuale attraverso interventi correttivi e/o sostitutivi. Da qui deriva la coesistenza di una varietà tipologica di regolamenti che rientrano nell’ambito dei c.d. regolamenti di
che possono atteggiarsi in maniera diversa a seconda dell’intensità della
penetrazione dell’ordinamento nella “regola” contrattuale e della sua forza “conformativa”.
41 Per un’analisi approfondita dei c.d. regolamenti di protezione v. X. Xxxxxxx, Contratto e regolamento, op. cit., p. 470 ss.; secondo l’autore “Un primo livello, cui può farsi corrispondere quindi una prima tipologia di regolamenti di protezione, è rappresentato da quelle che non sembra inappropriato qualificare come nullità “efficienti”, nullità a sicuro rilievo unilaterale ma pur sempre rilevabili nei limiti dell’interesse protetto anche d’ufficio, nelle quali la norma non interviene direttamente sul regolamento pattizio ma sui presupposti e sulle condizioni (ius poenitendi, informazioni, forma) ritenuti indispensabili ritenuti indispensabili e funzionali alla determinazione di un assetto programmatico contrattuale senz’altro meritevole di garanzia giuridica”, ad un secondo livello appartengono i regolamenti “preferiti” “qui la nullità, azionabile d’ufficio e da chiunque vi abbia interesse (parte , imprenditore, contraente, consumatore), colpisce di pieno diritto il regolamento infrattivo, ma lo stesso regolamento diviene meritevole di tutela e come tale dotato di piena efficacia se, in presenza di prestabilite condizioni esentatrici o di inapplicabilità, risulti finalizzato al conseguimento di obiettivi protetti….Altre nullità di protezione…danno luogo a regolamenti soltanto “tollerati” dall’ordine giuridico. L’assetto d’interessi così come programmato dalle parti è qualificato e valutato negativamente dalla norma ma in quanto non compromette né mette in gioco valori costitutivi di sistema viene tollerato dall’ordinamento… Rispondono invece ad una esigenza di tutela rafforzata le figure di nullità con effetto eliminativo di parti del regolamento contrattuale, ma con la contestuale e automatica integrazione o sostituzione delle parti caducate con regole dettate dalla stessa previsione normativa di nullità…E’ questa la tipologia dei regolamenti “imposti” dall’ordine giuridico e come tali a più forte ed elevato grado di protezione giuridica, con legittimazione di regola azionabile d’ufficio ed estesa a qualunque interessato”.
Da quanto detto emerge un sistema delle invalidità fortemente trasformato
rispetto all’impostazione classica: alla drastica alternativa del “o tutto o niente”42 di
carattere tipicamente sanzionatorio nei confronti dei contraenti inottemperanti alle prescrizioni formali normativamente imposte, si contrappone la nullità-rimedio.
Quest’ultima, non più imprigionata negli angusti confini delineati dalla dottrina, si libera dalla sua connotazione negativa e demolitoria (spesso contrastante con gli stessi interessi della parte che si intende tutelare) e assume un nuovo volto, inedito rispetto al passato.43 Elemento centrale in questa nuova dimensione non è la pars destruens ma la
42 X. Xx Xxxx, La tutela civile nella prospettiva dei cosiddetti rimedi nel diritto italiano ed europeo, in occasione del Convegno organizzato dall’Unione nazionale delle Camere civili, Il processo civile tra diritti e responsabilità, tenutosi a Napoli Castel dell’Ovo nei giorni 20/21 Ottobre 2006;
43 Se è vero che la configurazione dell’apparato rimediale muta la sua prospettiva in un’ottica di conformazione dell’autonomia privata, è anche vero che quest’opera di conformazione resta prerogativa del legislatore europeo (e di riflesso di quello nazionale). Esulano, dunque, dal nostro discorso quelle ipotesi che, pur disattendendo alla tradizionale prospettiva da cui muove la costruzione teorica della nullità virtuale, costituiscono, tuttavia, un indice significativo dei movimenti profondi che stanno attraversando il sistema (normativo e concettuale) del diritto dei contratti. E’ questo il tema dei rapporti tra autorità indipendenti e invalidità contrattuali che propone all’attenzione dell’interprete il confronto tra il nuovo dato normativo e una delle categorie più classiche e significative dell’elaborazione teorica in tema di invalidità ossia la nullità virtuale. Si rinvia per una lettura più approfondita sull’argomento a X. Xxxxxx, Nullità anomale e conformazione del contratto (note minime in tema di abuso dell’autonomia contrattuale), in Riv. dir. priv., 2005, p. 285 ss. e Id., Autorità indipendenti e invalidità del contratto, in L’autonomia privata e le autorità indipendenti, a cura di X. Xxxxx, Bologna, 2006, p. 217 ss.. Basti qui rilevare la presenza di numerosi indici normativi che evidenziano l’abbandono della tradizione tecnica prescrittiva incentrata sulla
c.d. “ricerca della sanzione” per le ipotesi in cui all’ individuazione della fattispecie contrattuale non segua un’esplicita comminatoria della nullità, per abbracciare un itinerario ermeneutico uguale e contrario: nei casi contemplati si verifica il fenomeno inverso che muove dalla previsione esplicita della sanzione per dirigersi alla ricerca del precetto, per la cui definizione si opera un generico rinvio ad altra determinazione. Come l’Autore evidenzia “ciò che si ha di fronte è un’ipotesi di nullità testuale a fattispecie virtuale o, se si vuole, di perdita della fattispecie…una sorta di norma di nullità in bianco, i cui esatti confini di operatività (e, in buona sostanza, il cui oggetto) dovranno determinarsi per relationem.” In questi casi il legislatore rimette l’individuazione del nucleo precettivo della norma ad un atto dell’autorità indipendenti che provvederà a dare concretizzazione normativa alle cause di invalidità contrattuali. E’ ciò che avviene, a titolo esemplificativo, con riferimento all’art. 23 del tuf cha al primo comma prevede la nullità dei contratti non stipulati nella forma “che un regolamento della Consob abbia previsto (per motivate ragioni tecniche, o in considerazione della natura professionale dei contraenti) per il tipo cui appartengono”; o, ancora dell’art. 117 tub che sancisce la nullità dei contratti che risultino difformi rispetto al contenuto “che la Banca d’Italia abbia determinato come necessario della categoria”. In questi casi il problema ha investito
pars costruens ossia la strumentalizzazione della stessa nullità alla conformazione della regola contrattuale in vista del perseguimento dei superiori interessi pubblicistici in attuazione ai principi di solidarietà, di conservazione e proporzionalità.44
4. Le trasformazioni in atto non possono non determinare un ripensamento del tradizionale dogma della separazione tra regole di comportamento e regole di validità nella teoria generale del contratto. Se, infatti, il pensiero civilistico tradizionale ci aveva insegnato a distinguere tra regole di validità e regole di comportamento, questa separazione assume, oggi, connotati molto più evanescenti avviandosi verso la dissoluzione o, almeno, verso un consistente ridimensionamento.
Secondo una dottrina e una giurisprudenza45 fino a poco tempo fa dominante,46 gli effetti derivanti dall’applicazione delle regole di comportamento e di quelle di validità ricadono, in forza del principio di non interferenza, su piani diversi e non sovrapponibili.
la legittimità di una delega da parte del potere legislativo ad un atto discrezionale dell’autorità indipendenti determinativo delle cause di nullità del contratto, da solo in grado di limitare e condizionare la libera esplicazione dell’autonomia privata. Il concetto-chiave utilizzato dall’Autore per la ricerca di un fondamento positivo di tale potere è stato individuato proprio nella formula della nullità-funzione che postula una funzionalizzazione della nullità in relazione all’interesse che la norma intende tutelare. E’ in questa direzione che può riscontrarsi non solo il fondamento di tale potere ma anche il suo criterio regolativo, entrambi strettamente condizionati dal raggiungimento di quei fini individuati dalla norma primaria che ha operato la delega.
44 X. Xxxxxxxxxx, Violazione norme antitrust e disciplina dei rimedi, op. cit., p. 60; X. Xxxxxxxxxxx, L’operatività del principio di conservazione in materia negoziale, in Rass. dir. civ., 2003, p. 702 ss.; Id., La regola ermeneutica di conservazione nei “Principi di diritto europeo dei contratti”, Rass. dir. civ., 2003, p.
268 ss.; sul principio di proporzionalità v. X. Xxxxxxxxxxx, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, in Rass. dir. civ., 2001, p. 335 ss.; X. Xxxxxxx, Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, p. 21 ss.; X. Xxxxx, Xx xxxxxxxxx xxx xxxxxxx, Xxxxxx, 0000; X. Xxxxxxxx, Patto commissorio e patto marciano. Proporzionalità e legittimità delle garanzie, Napoli, 2000, p. 174 ss.;
X. Xxxxxxx, Il sistema giuridico “proporzionale” nel diritto privato comunitario, Napoli, 2001, p. 29 ss.;
45 Emblematica sul punto Cass. 18 ottobre 1980, n. 5610 in Riv. dir. comm., 1982, II, p. 167, laddove afferma che “la violazione dell’obbligazione generica di comportarsi secondo buona fede non implica responsabilità civile e tanto meno la nullità del contratto, ove il comportamento deprecato non integri una determinata ipotesi legale, cui sia connessa qualche specifica sanzione civilistica”. Recentemente, in tema di sorte del contratto di intermediazione finanziaria a seguito della violazione di doveri informativi, il principio di non interferenza delle valutazioni di buona fede sul giudizio di validità del contratto è stato ribadito da Cass., 29 settembre 0000, x. 00000; Cass., Sez un., 19 dicembre 2007, nn. 00000 x 00000 (x. oltre);
Le regole di validità attengono alla struttura della fattispecie negoziale e definiscono in funzione di certezza del traffico giuridico, le condizioni affinché l’atto possa ritenersi vincolante per entrambe le parti. Sotto questo profilo quest’ultime operano in una dimensione “statica” incentrata sull’obiettiva verifica della conformità del concreto regolamento di interessi allo schema legale sia sotto il profilo della imputazione del contratto alla libera volontà del contraente, sia sotto il profilo della sussistenza dei requisiti legali richiesti ai fini della validità dell’atto. Corollario di tale assunto è la sottrazione della relativa disciplina all’autonomia delle parti collocandosi su di un piano riservato alla valutazione esclusiva dell’ordinamento: la disciplina delle invalidità negoziali rimane, secondo tale distinzione, un campo riservato alla esclusiva regolamentazione del legislatore, non consentendosi una sua dilatazione al di là dei casi espressamente previsti dalla legge.
Le regole di comportamento esprimono, invece, la logica funzionale del rapporto intersoggettivo e vengono a coinvolgere, nel dinamismo della vicenda obbligatoria intercorrente tra le parti, le modalità di condotta dei contraenti sotto il diverso profilo della correttezza delle contrattazioni, la cui individualità postula la disciplina elastica e flessibile della clausola generale di buona fede.47 Corollario applicativo di tale distinzione è la divergenza tra gli effetti che derivano dalla violazione delle prime o delle seconde. Mentre, infatti, la violazione delle regole di validità incide sull’esistenza dell’atto negoziale, la violazione delle norme comportamentali viene a collocarsi nell’area della responsabilità non essendo idonea a determinare, al di là dei casi espressamente previsti dalla legge, la nullità del contratto ma solo conseguenze di tipo risarcitorio.
Secondo l’impostazione tradizionale ammettere un’ interferenza tra le due categorie e, dunque, ritenere che il sistema di invalidità codificato dal legislatore possa
46 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxx generali del diritto civile, Napoli, 1983, p. 171: “…la contravvenzione al principio di buona fede esplica la sua influenza in altre maniere, obbligando al risarcimento dei danni o riflettendosi sull’interpretazione o sull’esecuzione del negozio, ma non ne compromette la validità”; X. Xxxxxxx-Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1961, p. 28; X. Xxxxxxxxx, L’errore nella dottrina del negozio giuridico, Padova, 1963, p. 104 ss.; Id., Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico, Padova, 1990, p. 104 ss.; G. D’Amico, Regole di validità e regole di comportamento, op. cit., in Riv. dir. civ. 2002, I, p. 37 ss.; Id., Regole di validità e principio di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996, p. 41ss.;
47 X. Xxxxxxxx, Regole di comportamento e regole di validità: i nuovi sviluppi della responsabilità precontrattuale, in Foro it., 2006, fasc.4, 1, p. 1107;
essere integrato da ulteriori ipotesi di invalidità derivanti dalla violazione del principio generale di buona fede, determinerebbe la compromissione di un principio cardine del diritto contrattuale: l’invalidità di un atto deriverebbe dalla qualificazione di un dato comportamento alla stregua di mutevoli criteri valutativi extralegali, incidendo sul principio di legalità e di certezza del diritto. In questi casi il rischio è insito nell’incertezza del ruolo della buona fede che diverrebbe l’unico o il principale criterio idoneo a determinare invalidità.48 Non solo. Si verrebbe a creare una sorta di diffidenza verso lo strumento contrattuale, atteso che sarebbe esposto ad impugnative che non verrebbero ad arrestarsi ai profili strutturali o di vizio della volontà, ma si presterebbero alla strumentalizzazione di tipo opportunistico del contraente rimasto insoddisfatto dell’operazione negoziale, in contrasto con il principio di autoresponsabilità.49
5. Una tale impostazione risente delle eredità del passato. Il principio di non interferenza affonda le sue radici nell’impianto codicistico del 1865 dove, la mancanza di una norma che codificasse il dovere di agire in buona fede nella conclusione del contratto, determina il radicarsi del principio di autonomia tra le due categorie di regole.50 In quel tempo il giudizio di buona fede è “assorbito” all’interno del giudizio di validità che ricomprende anche valutazioni di carattere etico o di giustizia sostanziale e costituisce l’unico varco possibile per introdurre nelle maglie dell’invalidità negoziali elementi di “moralizzazione” del contratto.51
48 X. Xxxxxxxxxxx, Regole e comportamenti nella formazione del contratto. Una rilettura dell’art. 1337 codice civile, 2003, p. 87;
49 X. Xxxxxxxxxxx, Atti dispositivi “nulli” e acquisto dell’eredità. Contributo allo studio della gestione conservativa, Napoli, 2002, p. 35;
50 Il principio di buona fede trovava espresso riconoscimento unicamente nella fase di esecuzione del contratto ex art. 1124 c.c. e isolati sono stati i tentavi di estendere la portata applicativa della norma anche alla fase prodromica alla conclusione del contratto. Sul punto X. Xxxxxxxxx, L’interpretazione del negozio giuridico, Padova, 1983, p. 19. La dottrina prevalente era infatti orienta in senso restrittivo affermando che “un principio generale che ponga l’obbligo di agire in buona fede o che preveda sanzioni alla mala fede, non è stato sancito nel nostro diritto positivo”, X. Xxxxxxxxx Il dolo nella teoria dei vizi del volere, Padova, 1937, p.108.
51 X. Xxxxxxxxx, “Vizi incompleti” del contratto e rimedio risarcitorio, Torino, 1995, p. 6; sulla possibilità di individuare nella disciplina delle invalidità indici di moralizzazione del contratto v. X. Xxxxxx, La règle morale dans les obligations civiles, IV ed., Xxxxx, 0000, p. 37 ss.;
L’inesistenza di un principio generale di buona fede preclude la possibilità di dare rilevanza a situazioni non codificate dal legislatore come ipotesi invalidanti l’atto negoziale: così interpretato il rimedio dell’invalidità costituisce l’unico mezzo consentito attraverso il quale “si combatte una immoralità che altrimenti sarebbe riconosciuta nel diritto”,52 dando rilievo a scorrettezze comportamentali che impediscono il pieno e libero esplicarsi dell’autonomia negoziale delle parti. Nella fase precontrattuale, dunque, la valutazione della correttezza del comportamento delle parti viene condotta sui binari non della validità dell’atto ma su quelli dell’illecito aquiliano53, in applicazione dell’art. 1151 del codice abrogato.
All’indomani del codice del 1942, l’introduzione della clausola generale di cui all’art. 1337 secondo cui “le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede” ripropone con maggiore problematicità il dibattito in ordine all’interferenza tra regole di correttezza e regole di validità sebbene si scontri con l’atteggiamento restrittivo frutto dei retaggi dell’impostazione previgente54. La stessa affermazione all’interno del sistema di un’autonomia precettiva della norma stenta ad affermarsi circoscrivendone la portata applicativa sino a relegarla ad una “mera manifestazione di ossequio formale”55.
52 X. Xxxxxxxxx Il dolo nella teoria dei vizi del volere, op. cit., p. 109;
53 X. Xxxxxxx, Culpa in contraendo, in Contr. e impr., 1987; sul punto v. X. Xxxxxxxxxxx, Regole e comportamenti nella formazione del contratto, op. cit., p. 52;
54 X. Xxxxxxxxx, L’errore nella dottrina del negozio giuridico, op. cit., p. 80 ss.; l’autore osserva che “l’espressa previsione appare, o può apparire, come una legittimazione dell’interferenza delle valutazioni etiche o di buona fede sull’applicazione dei giudizi logico formali”…da cui il dubbio “..se si debba affermare l’influenza del principio di buona fede non come temperamento esterno alle regole formali, ma come espressione di un principio generale che domina le stesse regole formali di validità”. Le conclusioni cui approda l’autore sono, però, di segno negativo riaffermando la “distinzione, tuttora valida, tra regole di validità e regole di risarcimento o di buona fede: solo le prime riguardano la fattispecie del negozio, mentre le seconde vi apportano un temperamento”… “i due gruppi di norme si trovano sullo stesso piano e si distinguono solamente per la diversa funzione: le regole di validità hanno per fine di garantire la certezza sull’esistenza di fatti giuridici, e solo mediatamente, poiché anche la certezza serve a tutelare la buona fede, la giustizia; le regole di risarcimento tendono invece direttamente alla giustizia sostanziale, cioè a distribuire i vantaggi e gli svantaggi prodottosi in occasione del contratto…”.
55 X. Xxxxxx, Il principio di buona fede, in Riv. dir. comm, I, 1964, p. 163;
xxxxxxxx, introducono il pericolo di un “decisionismo giudiziale”57
pregiudicare la stessa stabilità e la certezza dei traffici giuridici.
che rischia di
L’utilizzo di clausole elastiche e flessibili che rimettono all’organo giudicante la loro concretizzazione si confronta, infatti, con la scarsa familiarità della cultura giuridica nazionale rispetto a tale tecnica normativa. Questo approccio determina, nel periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore del codice del 42’, l’accoglimento di un’interpretazione restrittiva della portata della norma alla quale per la sua indeterminatezza si nega autonoma rilevanza, riconoscendone unicamente una funzione “rafforzativa” di obblighi previsti in altre norme.58
Solo un ventennio dopo la giurisprudenza avanza una timida apertura verso il riconoscimento di un immediato valore precettivo della norma sebbene circoscritto
56 Si pensi alla relazione esistente tra le clausole generali introdotte dal codice del 1942 e i principi di matrice fascista (come avveniva ad esempio nell’originaria formulazione dell’art. 1175 laddove si affermava che “Il creditore e il debitore devono comportarsi secondo le regole della correttezza, in relazione ai principi della solidarietà corporativa”) e alla successiva abrogazione tacita che ha investito qualunque norma facesse riferimento al caduto ordinamento corporativo.
57 v. sul punto X. Xxxxxx, Ideologie e tecniche della riforma del diritto civile, in Riv. dir. comm., 1967, I, p. 96 ss.; Id., Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969, p. 114 ss.;
58 Sul punto x. Xxxx. 16 febbraio 1963, n. 357, in Foro pad., 1964, I, 1283 ss. con nota di X. Xxxxxx, Appunti sul principio di buona fede: la Cassazione afferma che “I doveri generici di lealtà e correttezza sono bensì entrati nel nostro ordinamento giuridico, specialmente in materia contrattuale, ma la violazione di tali doveri, quando la legge non ne faccia seguire una sanzione autonoma, costituisce solo un criterio di valutazione e di qualificazione di un comportamento. Essi non valgono a creare di per sé stessi un diritto soggettivo tutelato erga omnes dall’osservanza del precetto del neminem laedere, quando tale diritto non sia riconosciuto da una espressa previsione di legge; pertanto, un comportamento contrario ai doveri di lealtà, di correttezza e di solidarietà sociale non può essere reputato illegittimo e colposo, né può essere fonte di responsabilità per danni quando non concreti la violazione di un diritto altrui già riconosciuto in basse ad altre norme”. Tale atteggiamento di chiusura, sebbene progressivamente mitigato da una tendenza, sempre più marcata, volta alla valorizzazione della portata applicativa dell’art 1337 e ad una rivendicazione della sua immediata portata applicativa, non manca di riemergere anche molti anni dopo da parte di una giurisprudenza reticente e saldamente ancorata all’impostazione previgente. In questo senso x. Xxxx., 00 ottobre 1980, n. 5610 in Xxx. xxx. xxxx., 0000, XX, x. 000 xx., xxxxxxx xx afferma che “la violazione dell’obbligazione generica di comportarsi secondo buona fede non implica responsabilità civile e tanto meno la nullità del contratto ove il comportamento deprecato non integri una determinata ipotesi legale, cui sia connessa quella specifica sanzione civilistica”;
all’ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative59: la buona fede assume in questo contesto il ruolo di parametro attraverso il quale valutare la correttezza dei comportamenti prodromici alla stipulazione contrattuale, condizionando la legittimità del recesso all’esistenza di una giusta causa. 60 Il principio generale di buona fede, sebbene ancora circoscritto nella sua applicazione pratica più di quanto sia dato rinvenire dall’interpretazione letterale della norma, costituisce il referente normativo per il risarcimento del danno tutte le volte in cui un illegittimo recesso abbia determinato un ragionevole affidamento di una parte nella conclusione del contratto e, conseguentemente, l’emersione di danno conseguente all’interruzione della trattativa.
Dal canto suo la dottrina61, superando l’atteggiamento di chiusura della giurisprudenza, nel tentativo di riempire di contenuto una norma ormai svuotata e appiattita ad un’unica ipotesi applicativa, si impegna nella precisazione del contenuto della clausola generale individuando una serie di obblighi di condotta che devono informare il rapporto tra contraenti nella fase delle trattative precontrattuali quali il dovere di informazione, custodia, segreto e tutti quei doveri di protezione della sfera del soggetto
59 La possibilità di configurare una responsabilità precontrattuale nell’ipotesi di rottura ingiustificata delle trattative era stata teorizzata molti anni prima, sotto la vigenza del codice del 1865, da X. Xxxxxxxx, Fondamento giuridico della responsabilità in tema di trattative contrattuali, in Arch. Giur., 1909, p. 150 ss.: secondo l’Autore la responsabilità di una delle parti nella fase anteriore alla stipulazione del contratto si fondava non tanto nell’esercizio del recesso ma nell’ “annientamento di un legittimo valore anteriormente acquisito al patrimonio” cagionato da un abbandono sconsiderato delle trattative contrattuali non sorretto da una giusta causa.; v. anche Id., La responsabilità precontrattuale con speciale riguardo ai suoi elementi costitutivi, in Giur. it., 1917, IV, p. 1 ss. e Id., Dei periodi precontrattuali e della loro vera ed esatta costruzione scientifica, in Studi per Fadda, III, Roma, 1918, pag. 269 dove l’autore distingue nel periodo che precede la stipulazione contrattuale tre fasi: la prima di “concezione del contratto”, la seconda dove la “volizione si trasforma e si dirige a concretare la proposta e l’accettazione” e la terza dove viene formulata la proposta concreta. Il confine tra autonomia contrattuale delle parti e affidamento della controparte ingenerato dalle trattative veniva individuato nell’autorizzazione, anche tacita, a trattare. Da quel momento, infatti, veniva ad instaurarsi un’aspettativa del contraente alla prosecuzione delle trattative fino al loro naturale sbocco e ogni recesso privo di una giusta causa obbligava al risarcimento del danno che quest’ultimo avesse causato attraverso il suo comportamento.
60 In giurisprudenza x. Xxxx., 6 aprile 1968, n. 1053, in Mass. Giur. it., 1968; Cass. 18 maggio 1971, n. 1499, ivi, 1971; Cass. 17 gennaio 1981, n. 430, ivi, 1981; Cass. 18 gennaio 1988, n. 340, ivi, 1988;
61 C. M. Xxxxxx, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, x. 000; Id., Il contratto, Milano, 2° ed., 2000, p. 162;
con il quale si contratta che, sebbene non esplicitati, siano comunque suscettibili di essere ricondotti all’interno della clausola generale di buona fede.62
Quest’ultima infatti, per la sua natura elastica e flessibile consente una sua dilatazione fino a ricomprendere ogni fattispecie che, pur non rientrando nei casi tipizzati dalla dottrina, costituisce una compromissione di quei valori che la norma intende presidiare quali la correttezza e la buona fede nelle stipulazioni contrattuali.
L’individuazione dottrinale di questi “standard comportamentali” consente, dunque, di individuare l’operatore economico medio e i doveri che su quest’ultimo incombono in relazione al rapporto che si instaura con l’altra parte contrattuale. Tuttavia un precisazione è d’obbligo. Nell’ottica codicistica, come abbiamo ricordato, ci muoviamo in una prospettiva neutrale e prescindente che prende in considerazione le posizioni di contraenti dotati del medesimo potere contrattuale: viene dunque a delinearsi un agente modello in relazione a quelli che possiamo definire “rapporti orizzontali” tra contraenti. Da ciò deriva come i parametri comportamentali siano destinati a modularsi in relazioni alle qualità delle parti coinvolte nella stipulazione contrattuale e come ciò sia reso possibile proprio in virtù della elasticità della clausola generale. Si pensi a tutta la disciplina consumieristica introdotta negli anni 90’che, pur richiamando il principio generale di buona fede, si arricchisce di significati ulteriori rispetto a quelli individuabili nel diritto comune dei contratti: la qualità professionale rivestita da un contraente determina un ampliamento dei doveri a favore dei contraenti non professionali in quanto strumentali alla emancipazione di quest’ultimo dalla condizione di squilibrio contrattuale sussistente tra le parti.
Ecco, dunque, come la codificazione elaborata dalla dottrina non si connota del requisito della esaustività ma si colora diversamente a seconda delle peculiarità della fattispecie concreta. La funzione della tipizzazione, ereditata dalla dottrina tedesca,63
62 X. Xxxxxxx, Xxxxx in contrahendo, in Contr. e xxxx., 1987, p. 286 ss.;
63 Pur mancando nell’ordinamento tedesco una norma ad hoc come l’art. 1337, si è sviluppata un’intensa elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sul principio generale di buona fede che ha condotto ad esiti interpretativi ancora più estesi di quanto sia accaduto nel sistema italiano dove “paradossalmente quella previsione ha avuto l’effetto di esonerare gli interpreti dall’onere di pensare e rivisitare l’intera tematica della culpa in contraendo”, Xx Xxxx, Il problema del danno al patrimonio, in Riv. crit. dir priv., 1984, p.
324. Ciò ha determinato un ripensamento dell’intera disciplina della fase precontrattuale, facendo discendere dalla clausola generale di Xxxx und Glauben che deve informare l’intera vicenda contrattuale, una serie di doveri imposti alle parti che costituiscono attuazione del suddetto principio: obblighi di lealtà e
lungi dal costituire una cristallizzazione dei doveri comportamentali che informano la vicenda contrattuale assurge alla funzione contraria ossia quella di specificare e dilatare l’ambito applicativo della norma al di là degli angusti confini in cui l’aveva relegata la giurisprudenza. Sotto questo profilo si delinea sin da ora la potenzialità espansiva della norma che per la sua elasticità le consente di plasmarsi a seconda delle situazioni storico- reali in cui viene ad operare, manifestando la sua “attitudine a regolare ciascuna delle possibili situazioni prospettate dall’esperienza”.64
6. E’ sulla base di questa rinnovata concezione del principio di buona fede che viene ad essere superato ogni tentativo di restrizione della sua portata applicativa. Si pensi, infatti, alla tendenza, ormai ampiamente superata, di configurare nell’art. 1338 l’unica ipotesi applicativa dell’art. 1337: la responsabilità precontrattuale viene, qui, ad essere circoscritta ai casi in cui la parte non abbia comunicato all’altro contraente le cause di invalidità del contratto che conosceva o doveva conoscere, determinando un obbligo risarcitorio favore di colui che sia stato danneggiato per aver confidato senza sua colpa nella valida conclusione del contratto.65
Tale costruzione, elaborata negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore del codice del 42’, risente della forte influenza esercitata dalla teoria di Jhering66
correttezza (Loyalitats-pflichten) che si concretizzano in ulteriori doveri di informazione e avviso (Aufklarungspflichten e Mitteilungspflichten), di segreto e riserbo, fino ai doveri di protezione (Schutzpflichten) nei confronti del contraente, del suo patrimonio o terzi. Sul punto X. Xxxxxx, Lehrbuch des Schuldrechts, Band I, Allgemeiner Teil, 00. Xxxx., Xxxxxxx, 0000. Per una dettagliata bibliografia sul punto v. X. Xxxxxxxxx, “Vizi incompleti” del contratto e rimedio risarcitori, op. cit., p. 8;
64 X. Xxxxxxxx, Il dovere precontrattuale di buona fede, in Rass. dir. civ., 1982, p. 1054;
65 X. Xxxxxxxxxx, Teoria generale delle obbligazioni e dei contratti, Roma, 1948, p. 276; in giurisprudenza
x. Xxxx., 0 ottobre 1956, n. 3414, in Mass. Giur. it., 1956 e Cass., 12 ottobre 1970, ivi, 1970;
66 X. xxx Xxxxxxx, Xxxxx in contrahendo, Xxxxx in contrahendo oder Schadensersatz bei nichtigen oder nicht zur Perfektion gelangten Verträgen, in Jherings Jahrbücher, 1861, vol. IV, pag. 1 ss. (v. la trad. italiana a cura di Xxxxxxx, Jovane, 2005): l’autore, nel teorizzare l’esistenza di obblighi comportamentali che precedono la vera e propria stipulazione contrattuale, configurò la responsabilità per culpa in contraendo a carico della parte che conoscendo una causa di invalidità del contratto non ne abbia dato avviso all’altra parte, inducendo quest’ultima a fare affidamento sulla validità del contratto. L’innovativa teoria introdotta da Xxxxxxx veniva ad essere condotta attraverso l’analisi di alcuni estratti del Digesto giustinianeo, con riferimento all’alienazione di un locus sacer, religiosus o publicus, nella quale il venditore aveva omesso di comunicare la qualità extra commercium dei beni oggetto della stipulazione contrattuale.
sulla culpa in contraendo che, muovendo i primi passi verso l’elaborazione della figura della responsabilità precontrattuale, postulava la necessità di un comportamento leale e corretto nella fase anteriore alla conclusione del contratto e vi condizionava il sorgere di una obbligazione risarcitoria a carico di colui che avesse taciuto la causa di invalidità del contratto concluso. L’area della responsabilità precontrattuale risultava, secondo tale impostazione, circoscritta all’ipotesi della conclusione di un contratto invalido cui seguirebbe l’obbligo risarcitorio per il mancato accertamento per colpa da parte del venditore di tutti i presupposti per la valida conclusione del contratto.
Tuttavia la teoria di Xxxxxxx che pure ebbe lo straordinario merito apportare notevoli contributi alla elaborazione della teoria della culpa in contraendo anticipando già nel 1861 una norma, quale quella dell’art. 1338, che sarebbe stata accolta nel nostro ordinamento solo nella codificazione del 1942, muoveva da premesse differenti. La responsabilità secondo Xxxxxx avrebbe natura contrattuale in quanto discendente non dalla generica violazione del principio di neminem laedere (alla stregua di quanto teorizzato dalla dottrina italiana nella vigenza del codice del 1865) ma dalla stessa violazione degli obblighi di correttezza che si impongono alle parti nella stipulazione di un contratto sebbene invalido: dalla nullità di quest’ultimo, sebbene resterebbe preclusa l’esecuzione dell’obbligazione principale, nondimeno residuerebbe una responsabilità risarcitoria a
Anche allora il diritto romano riconosceva la possibilità di tutelare il contraente che avesse confidato in ordine alla validità del contratto a seguito del comportamento colposo del contraente che avesse taciuto una causa di invalidità del contratto: non essendo, infatti, esperibile né l’actio doli né l’actio legis Aquiliae, Xxxxxxx affermò la possibilità di utilizzare nei casi in esame l’actio ex contractu: dalla conclusione del contratto discende, infatti, non solo l’obbligo di adempiere alla prestazione principale (Hauptwirkung) ma anche l’obbligo di risarcimento del danno (Nebenwirkungen ) ogni qual volta quest’ultima non sia realizzabile a causa di un atteggiamento colposo di una delle parti che abbia comportato la conclusione di contratto invalido. Tale costruzione sembra essere stata recepita dal legislatore del 42’ che nel positivizzare una norma quale quella dell’art. 1338, configura una responsabilità risarcitoria nei casi in cui una parte abbia taciuto cause di invalidità del contratto che erano o dovevano essere conosciute: sotto l’influenza della teoria di Xxxxxxx la portata della norma veniva ad assorbire l’intera area della responsabilità precontrattuale circoscrivendone l’ambito applicativo, giungendo a configurarla come l’unica ipotesi applicativa dell’art. 1337. Quale sarebbe stato altrimenti il ruolo da attribuire alla codificazione dell’art. 1338 se quest’ultimo poteva essere ricompreso nell’ampia clausola generale del principio di buona fede di cui all’art 1337? Sul punto v. X. Xxxxx, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, op. cit., p. 162 ss.;
carico della parte che abbia con il suo comportamento colposo dato adito alla formazione di un contratto invalido.
Tale teorizzazione ha, tuttavia, la sua genesi nell’ambito di un sistema, quale quello tedesco, all’interno del quale manca una previsione normativa che codifichi i doveri di correttezza comportamentali che devono sovraintendere la fase delle trattative contrattuali. Avvertendosi la necessità di tutelare le posizioni delle parti anche in una fase prodromica alla vera e propria stipulazione contrattuale la teoria Jheringhiana dilata le maglie della responsabilià ex contractu fino a ricomprendere al suo interno non solo la mancata esecuzione dell’obbligazione principale ma anche la violazione di tutti quei doveri di condotta che si radicano in capo ai contraenti in conseguenza della stipulazione contrattuale.
A seguito dell’introduzione ad opera del § 242 BGB del principio generale di Xxxx und Glauben come principio cardine o, come è stata efficacemente definita il “Konigliche Paragraph” del BGB67, la dottrina tedesca è venuta ad emanciparsi dall’impostazione Jheringhiana individuando il fondamento della responsabilità precontrattuale non nella fonte contrattuale ma nell’obbligo di correttezza e buona fede imposto alla parti ex lege e che sovrintende tutta la vicenda contrattuale. In assenza di un’esplicita previsione normativa che imponga alle parti un comportamento leale e corretto nella fase delle trattative contrattuali, si è, infatti, elaborata la figura dell’obbligazione senza obbligo primario di prestazione68 che costituisce la fonte legale di numerosi obblighi comportamentali imposti ai contraenti in virtù dell’affidamento ingenerato dalla relazione intercorsa tra le parti. Tali obblighi trovano dunque la loro fonte (ed è questo il punto di distacco maggiore con la teoria di Xxxxxxx) non nel contratto ma nella legge e, più precisamente, nella valorizzazione del principio generale di buona fede le cui maglie si sono allargate fino ad estendersi a tutta la fase delle trattative precontrattuali. L’elaborazione dottrinale sviluppatasi in Germania sulla clausola generale di Treu und Glauben ha condotto, infatti, paradossalmente a sbocchi interpretativi più ampi di quanto non sia avvenuto nell’ordinamento italiano, nonostante mancasse nell’ordinamento tedesco la codificazione di una norma ad hoc come invece è avvenuto nel sistema italiano. 69
00 X. Xxxxxxxx, Xxx rechtstheoretischen Prazisierung des § 242 BGB, Tubingen, 1956, p. 8;
68 X. Xxxxxx, Lehrbuch des Schuldrechts, op. cit.;
69 X. Xxxxxxxxx, “Vizi incompleti” del contratto e rimedio risarcitorio, op. cit., p. 8 ss.;
La cristallizzazione del principio di buona fede nell’art. 1337 ad opera del codice del 42’ impone, dunque, una rimeditazione dell’intera disciplina della responsabilità precontrattuale nel nostro sistema: le teorizzazioni di Xxxxxxx aprivano una breccia in un clima costellato da incertezze e reticenze da parte della dottrina in ordine all’ammissione della configurabilità della culpa in contraendo e lo facevano dilatando l’ambito applicativo della responsabilità contrattuale determinando la nascita di obblighi a carico delle parti non solo dal momento della stipulazione contrattuale ma dal “contatto” instauratosi tra le parti che determinava il sorgere di reciproci affidamenti. Del fascino di tale teoria non è rimasta immune la dottrina italiana70 che, all’indomani dell’entrata in vigore del codice, si domandava quale significato attribuire alla codificazione di un principio quale quello di buona fede nell’ambito di una fase prodromica alla vera e propria stipulazione contrattuale. L’iniziale circoscrizione della portata applicativa dell’art. 1337 all’ipotesi del contratto invalidamente concluso deve spiegarsi in questi termini: nell’inconsapevolezza della portata applicativa di una norma che scavalca gli schemi attraverso i quali era stata introdotta per assumere un’autonoma configurazione. 71 Il recupero, dunque, della portata precettiva della norma e la sua configurazione
come principio cardine72 che governa l’intera fase precontrattuale impone il suo arricchimento di significati ulteriori: si configura responsabilità precontrattuale non solo nell’ipotesi di contratto invalido, ma anche nell’ipotesi di ritardato e ingiustificato ritardo nella sua conclusione o di contratto non concluso a seguito dell’ingiustificato recesso dalle trattative quando quest’ultimo determini la lesione dell’affidamento ingenerato nella controparte.73
70 X. Xxxxxxx, La responsabilità precontrattuale, op. cit., p. 13 ss.;
71 Si ricordi, infatti, che Xxxxxxx negava la configurabilità di una responsabilità nel caso di ingiustificata rottura delle trattative poiché “se uno agisce confidando sulla futura conclusione (del contratto), agisce a tutto suo rischio e pericolo”. Questa soluzione rappresentava, infatti, un giusto bilanciamento tra dogma dell’autonomia contrattuale e la moralizzazione dei traffici commerciali. Sul punto v. anche X. Xxxxxxxxxxx, Regole e comportamenti nella formazione del contratto, op. cit., p. 50 ss.;
72 X. Xxxxx, Il contratto, nel Trattato di diritto civile diretto da Xxxxxxxx, Torino, 1975, p. 918;
73 Riprendono vigore le teorie elaborate molti anni prima dal Faggella in Fondamento giuridico della responsabilità in tema di trattative contrattuali, op. cit., ma in un clima ancora ben saldamente ancorato al dell’autonomia contrattuale delle parti e non ancora pronto alla configurazione di un responsabilità in conseguenza di un recesso ingiustificato. Non essendovi, infatti, l’obbligo di conclusione di un contratto le parti, libere nell’esplicazione della loro volontà negoziale non potevano ritenersi vincolate ad una stipulazione contrattuale non voluta e laddove il recesso, in quanto espressione di un diritto riconosciuto
La relazione tra l’art 1337 e 1338 deve, infatti, essere interpretata come un rapporto di genus ad speciem concretizzando la mancata comunicazione di una causa di invalidità del contratto unicamente un’ipotesi applicativa della clausola generale disposta a recepire al suo interno diverse fattispecie. E’ possibile, dunque, affermare che l’art. 1338 “non esaurisce la disciplina del comportamento di ciascuna parte verso l’altra durante i periodi precontrattuali, ma enuncia solo alcuni importanti doveri. Il collegamento degli art. 1337 e 1338 è intimo; il secondo chiarisce il primo, ma il primo domina il secondo per la sua generalità. Facendogli assumere una portata meramente esemplificativa”. 74
Questa impostazione che tende a dilatare le maglie del principio di buona fede fino a ricomprendervi ogni slealtà attuata nella fase delle trattative, sebbene tocchi uno dei principi cardine del diritto contrattuale quale quello dell’autonomia della volontà negoziale, trova un suo legittimo referente nei superiori interessi che si prefigge di tutelare. Se è vero infatti che il dogma dell’autonomia contrattuale impone che le parti siano libere in ordine alla scelta di addivenire ad una data stipulazione contrattuale, è nondimeno vero che tale libertà trova dei limiti interni tesi a renderne effettiva la sua concreta esplicazione. Tali limiti vengono ad essere individuati nella salvaguardia della correttezza e lealtà delle contrattazioni che costituendo gli argini della legittima condotta delle parti nella contrattazione fungono, al tempo stesso, da garanti della piena e libera esplicazione della stessa autonomia negoziale delle parti.75 Non solo. In una prospettiva macroeconomica è evidente anche l’influenza che tale principio esplica sullo stesso andamento del mercato in tanto più efficiente quanto più capace di scoraggiare comportamenti sleali e scorretti.
7. In questa rinnovata accezione l’art. 1337 viene completamente a emanciparsi dall’angusta prospettiva in cui l’aveva relegata l’interpretazione giurisprudenziale per
dall’ordinamento, non si prestava ad essere interpretato come fonte di possibile responsabilità. X. Xxxxxxx,
La formazione dei contratti, Milano, 1915, p. 10 ss.;
74 X. Xxxxxxx, in Comm. cod. civ. a cura di X’Xxxxxx e Xxxxx, Firenze, 1948, p. 369;
75 X. Xxxxxxxxx, La formazione del contratto, II, Le regole di comportamento, Milano, 1974, p. 37 ss.: secondo l’autore “L’interesse protetto dalle norme sulla responsabilità precontrattuale è quello della libertà di contrattazione; della piena possibilità di utilizzazione di tutte le chances contrattuali offerte in quella determinata situazione economico-sociale nella quale opera il soggetto, senza falsi condizionamenti causati da prospettive contrattuali inesistenti e, in definitiva, non corrispondenti al vero”;
venire ad arricchirsi di ulteriori significati e spazi applicativi, assurgendo a criterio generale di valutazione della legittimità della condotta dei contraenti che non incontrerebbe limiti neanche nell’ipotesi di contratto validamente concluso.76 Una parte della dottrina rileva, infatti, come nessuna limitazione in tal senso sia rinvenibile dal tenore letterale della norma77 e come l’eventuale stipulazione contrattuale non venga ad assorbire tutte le scorrettezze comportamentali che si sono registrate nella fase anteriore alla stipulazione contrattuale. Il quesito su cui si interroga tale dottrina riguarda la possibilità di configurare “una sanzione del comportamento scorretto di uno dei contraenti là dove tale comportamento non costituisca elemento di una fattispecie “legale” di vizio, tale da dare ingresso all’impugnazione; oppure se la “delimitazione” della fattispecie viziata, così come prefigurata dal legislatore, valga di per sé a delimitare ogni rilievo del comportamento riprovevole”.78
Tradizionalmente, infatti, la configurabilità di una responsabilità precontrattuale rimaneva preclusa a fronte della valida conclusione del contratto che sanava le pregresse irregolarità prive ormai di ogni autonoma rilevanza.79 La stessa giurisprudenza era fortemente ancorata a tale rigida impostazione che delimitava l’ambito di rilevanza delle scorrettezze precontrattuali ai casi in cui non si fosse addivenuti alla stipulazione contrattuale o si fosse addivenuti alla stipulazione di un contratto invalido.80
Tuttavia è proprio partendo dal tradizionale dogma di non interferenza tra regole di validità e regole di condotta che viene a delinearsi la diversa funzione rivestita dalle due categorie di regole: se, infatti le prime hanno il ruolo di valutare la conformità dell’atto di autonomia privata al modello legale in funzione di “garanzia della certezza sull’esistenza di fatti giuridici”, le seconde tendono “alla giustizia sostanziale cioè alla
76 X. Xxxxx, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, in Comm. cod. civ. dir. da X. Xxxxxxxxxxx, Milano, 1993 p. 95 ss.;
77 X. Xxxxxxx, Responsabilità precontrattuale, I, Diritto civile, in Enc. Giur., vol. XXVII, Roma, 1991, p. 15; 78 X. Xxxxxxxxx, “Vizi incompleti” del contratto e rimedio risarcitorio, p. 155 ss.; il problema si è posto anche in Carresi, Il contratto, nel Trattato di diritto civile e commerciale, XXX, 0, Xxxxxx, 1987, p. 701;
79 X. Xxxxxxxxx, La formazione del contratto I, Le fasi del procedimento, op. cit., p. 3;
80 Cass., 21 maggio 1976, n. 1842, in Mass. Giur. it., 1976; Cass., 23 giugno 1964, n. 1650 in Rep. foro it.,
1964; Cass., 20 luglio 1971, n. 2363, ivi, 1971; Cass., 16 aprile 1994, n. 3621; Cass., 30 dicembre 0000, x.
00000;
distribuzione dei vantaggi e degli svantaggi prodottisi in occasione del contratto, secondo l’onestà di ogni parte”.81
Dalla diversità di funzioni delle due categorie di regole non può che rilevarsi un’autonomia degli ambiti applicativi che non si dissolvono a seguito dell’avvenuta stipulazione contrattuale: l’esito positivo di un giudizio di validità dell’atto di autonomia privata non esclude la configurabilità di una responsabilità precontrattuale a seguito di scorrettezze e irregolarità che si siano registrate nella fase anteriore alla stipulazione contrattuale. Le regole di correttezza come diretta esplicazione del principio di buona fede ex art 1337 hanno, infatti, il compito di prevenire comportamenti sleali durante la fase delle trattative che possano tradursi in un assetto di interessi squilibrato o non conforme all’interesse di uno dei contraenti. La violazione di quest’ultime, in quanto violazione di un dovere di condotta che vincola le parti ex lege, legittima l’instaurazione di una pretesa risarcitoria che sopravvive alla stipulazione contrattuale e che assurge ad una funzione “correttiva” o “compensativa” degli interessi in gioco.82
00 X. Xxxxxxxxx, Xxxxxx, volontà e affidamento nel negozio giuridico, op. cit., p. 112 ss.: secondo l’Autore le due categorie di regole, pur assolvendo ad una diversa funzione, avrebbero un fondamento unitario quale quello di “equo contemperamento degli interessi a garanzia di esigenze di solidarietà e giustizia” come concretizzazione del principio generale di buona fede. Tuttavia, nonostante il fondamento unitario, la diversità di funzioni esplicate nell’ambito della vicenda contrattuale preclude qualunque tipo di interferenza tra le due categorie di regole con la conseguente impossibilità di ammettere una dilatazione della categoria delle invalidità oltre quelle individuate dal legislatore. Contra X. Xxxxxxxxxxx, Regole e comportamenti nella formazione del contratto, op. cit., che rileva la contraddittorietà di tale impostazione laddove l’individuazione di un fondamento unitario delle due regole non può non implicare una interferenza tra le due categorie di regole; X. Xxxxx, Buona fede oggettiva e trasformazione del contratto, op. cit., dove si propende per un superamento del principio di tipicità delle cause di annullabilità del contratto attraverso una valorizzazione della portata applicativa della clausola generale di buona fede;
82 X. Xxxxxxxxx, “Vizi incompleti” del contratto e rimedio risarcitorio, op. cit., p. 160 dove si specifica come la correzione affidata allo strumento risarcitorio non investa il contenuto del regolamento contrattuale ma incida unicamente sul profilo economico-monetario dell’affare. Sul punto v. anche X. Xxxxxxx, Autonomia privata e Costituzione, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, I, p. 1 ss.: l’autore afferma come “in nessun caso comunque, secondo la dogmatica del nostro codice, la violazione della buona fede è causa di invalidità del contratto, ma solo fonte di responsabilità per danni”. Una volta ammessa la configurabilità del rimedio risarcitorio per turbative dell’autonomia privata dei contraenti non ascrivibili alle fattispecie tipizzate dal legislatore, distingue ulteriormente due possibili situazioni in cui il rimedio risarcitorio riveste un ruolo differente: se si accerta che, in assenza della condotta scorretta il contraente non avrebbe stipulato il contratto il risarcimento assume una connotazione “compensativa” rimuovendo gli
La tesi trova un appiglio testuale nell’art. 1440 che, interpretata non tanto come una norma di carattere eccezionale83, ma come un’ipotesi applicativa del generale principio di buona fede, prevede un’esplicita situazione di convivenza tra validità del contratto e risarcimento del danno. Nella stessa architettura codicistica si rinvengono ulteriori ipotesi applicative del principio di compatibilità tra culpa in contraendo e negozio valido: l’art. 1494 dove il venditore che conoscendo o potendo conoscere i vizi della cosa non li abbia comunicati al compratore è tenuta verso quest’ultima al risarcimento del danno, ferma restando la validità del contratto; l’art. 1812 dove il comodante è obbligato a risarcire il danno cagionato al comodatario qualora conoscendo i vizi della cosa non ne abbia dato avviso a quest’ultimo; l’art. 1812 che prevede un’analoga responsabilità a carico del mutuante per i vizi delle cose date a mutuo.
Così opinando si darebbe sbocco alla teoria dei c.d. “vizi incompleti” configurabili ogni qual volta “pur non essendo presenti tutti i requisiti che integrano una delle ipotesi tipiche di vizio…il concreto assetto di interessi, che risulta dal contratto, appaia comunque il frutto di una decisione in qualche modo “deformata” in ragione della (influenza spiegata dalla) condotta sleale e scorretta di una delle parti, nella fase che ha preceduto la stipulazione contrattuale.” In questi casi il rimedio risarcitorio si presenterebbe come lo strumento in grado di riequilibrare l’assetto di interessi sconvolto da una condotta scorretta in contraendo.
Tale assunto implica la configurazione dell’art. 1440 come espressione di un principio generale estensibile anche situazioni non codificate dal legislatore ma ugualmente attratte nell’orbita conformatice dello strumento risarcitorio in virtù del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.). L’art 1440 diventa la fattispecie paradigmatica del vizio incompleto di contratto in relazione al’inscindibile nesso che lo avvince all’art. 1337 di cui costituisce una fattispecie applicativa: quest’ultima apre un varco alla possibilità di estendere la disciplina della responsabilità precontrattuale ad una serie di ipotesi in cui il contegno scorretto tenuto nella fase prodromica alla stipulazione contrattuale, pur non incidendo sulla validità dell’atto ha, comunque, determinato un assetto regolamentare squilibrato o difforme rispetto a quello che sarebbe stato in
effetti del contratto concluso. Se, al contrario si accerta che il contratto sarebbe stato concluso ma a condizioni diverse, il risarcimento ha una funzione “correttiva” dell’assetto di interessi delineato dall’atto. 83 Sul carattere eccezionale dell’art. 1440 nell’impianto codicistico v. X. Xxxxxxx, “Metus causam dans” e “metus incidens”, in Riv. dir. comm., 1952, I, p. 20 ss.;
concreto adottato dalle parti. Si pensi alla mancata segnalazione alla controparte di un errore non essenziale (ad. es. un errore sui motivi), ma nonostante ciò determinante il consenso, qualora sia stato riconosciuto dal destinatario della dichiarazione (o, comunque, da lui riconoscibile con l’uso dell’ordinaria diligenza).
In questi casi, fermo restando la validità del contratto, dovrebbe ammettersi una responsabilità risarcitoria a carico del contraente che, contravvenendo ai doveri di correttezza e lealtà, abbia attraverso il suo comportamento determinato un assetto contrattuale difforme da quello che sarebbe stato adottato nei limiti delle condizioni diverse alle quali il contratto è stato concluso. Analogamente può dirsi con riferimento alla violenza morale priva dei requisiti necessari per aversi annullabilità del contratto o con riferimento all’approfittamento del timore riverenziale della controparte e, più in generale, l’approfittamento in mala fede dell’altrui stato di soggezione.
Rientra nell’ambito della categoria generale dei vizi incompleti di contratto anche
la figura del dolo omissivo o reticenza dolosa84
relativamente a circostanze rilevanti
nell’ambito della vicenda contrattuale. Dall’art. 1337 discende, infatti, a carico dei contraenti un obbligo di informazione in ordine a tutti quegli elementi, non conosciuti né conoscibili con l’ordinaria diligenza dalla controparte, che possano incedere sulla determinazione del contenuto del futuro contratto. Nella fase delle trattative contrattuale tale obbligo non può, dunque, essere circoscritto alle ipotesi normativamente previste (si pensi alle numerose leggi di parte speciale che prevedono stringenti obblighi informativi di una della parti a favore della parte più debole in virtù dell’simmetria delle posizioni rivestite dalle parti) o alla fattispecie individuata dall’art. 1338 che prevede un obbligo informativo circoscritto alle cause di invalidità del contratto. Interpretato come un’ipotesi applicativa del più generale principio di buona fede, quest’ultimo si configura un elemento immanente in tutta la fase delle trattative contrattuali.
Se dunque, a seguito dell’ affermarsi di un generale obbligo di informazione come corollario applicativo della clausola generale di buona fede, sembra fasi strada la teoria che il dolo omissivo possa configurare dolo negoziale, a ciò non basta il semplice silenzio ma è necessario che quest’ultimo sia elemento di un complessivo disegno diretto a
84 X. Xxxxxxxxxx, La reticenza nella formazione dei contratti, Padova, 1972, p. 252; X. Xxxxx, Il contratto, op. cit., p. 331 ss.;
realizzare l’inganno e che sussista un nesso causale tra il contegno diretto a xxxxxx in inganno e l’induzione in errore della controparte.85
Su questa scia non sarebbe condivisibile quella teoria86 che estendendo l’area del dolo-vizio fino a ricomprendervi la reticenza vi riconnette come conseguenza l’annullamento del contratto. Secondo tale dottrina l’art. 1337 consentirebbe di reprimere ogni situazione di abuso del potere contrattuale adattandosi ai molteplici casi concreti attraverso cui questo abuso può essere perpetrato. Così opinando “soltanto a prima vista l’espressione “raggiro” può veramente riferirsi a qualcosa di più grave e serio di quanto non sia la dichiarazione mendace (e di quanto non sia, a più forte ragione, il silenzio). Ma non è detto che essa non possa comprendere, anche sul piano letterale, ogni generico inganno”. L’obbligo di informazione discendente dalla clausola generale di buona fede può articolarsi in una duplice dimensione commissiva e omissiva e alla sua violazione può eziologicamente riconnettersi ogni distorsione della realtà che abbia determinato una induzione in errore della controparte.
Secondo questa concezione la disciplina dei vizi del consenso affonda le sue radici nella vigenza del codice abrogato dove la supremazia del dogma della volontà
85 X. Xxxxxxxxx, Il dolo nella teoria dei vizi del volere, Padova, 1937, p. 526. Queste conclusioni sono state ribadite da recenti pronunce della Cassazione intervenute sul punto (x. Xxxx., 15 marzo 2005, n. 5549; Cass., 20 aprile 2006, n. 9253; Cass., 19 settembre 2006, n. 20260). Nella sentenza 19 settembre 2005, n. 19024, la Suprema Corte, intervenendo sul punto sostiene come “l’ambito di rilevanza della regola posta dall’art. 1337 c.c. va ben oltre l’ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative e assume il valore di una clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in maniera precisa, ma certamente implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o anche solo reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o anche solo conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto”. Tuttavia, coerentemente all’opzione interpretativa restrittiva, specifica come il dolo omissivo possa configurasi come causa di annullamento del contratto solo quando l’inerzia della parte si inserisce in un complesso disegno diretto a realizzare con astuzia e malizia l’inganno perseguito, avvolgendo il deceptus fino ad annullarne completamente la libertà di decisione. Per tanto il semplice silenzio, limitandosi a non contrastare la percezione della realtà alla quale sia pervenuto l’altro contraente, non costituisce causa invalidante del contratto.
86 X. Xxxxx, in X. Xxxxx e G. De Nova, Il contratto, I, in Tratt. dir. civ. diretto da X. Xxxxx, Torino, 1993,
p. 355 ss.; sul punto v. anche X. Xxxxxxxxx, La reticenza nella formazione dei contratti, op. cit., p. 121, dove si afferma: “…mi pare assodato con riguardo al tema del dolo sotto forma di reticenza, il collegamento stretto tra norme sulla invalidità del contratto e norme sul risarcimento del danno, sicché mi sembra illegittimo inferire dalla esplicita previsione legislativa della responsabilità in contraendo la conseguenza che la violazione di un obbligo di informazione non può essere causa di annullamento del contratto”.
giustificava la disciplina dei vizi del consenso come turbamento della manifestazione soggettiva. 87 Il problema della disciplina dei vizi del consenso e della loro asserita tipicità deve, tuttavia, fare i conti con il progressivo tramonto dell’autonomia negoziale sempre di più piegata a finalità superindividuali quali la stabilità delle contrattazioni e la tutela del mercato.88 Il modello preso come riferimento è quello del codice tedesco dove a monte del negozio valido sta non tanto la volontà ma il rispetto delle regole di correttezza e buona fede89. In questo nuovo scenario sono questi gli obiettivi perseguiti e la tutela della volontà, in quanto strumentale alla loro realizzazione, ne è una conseguenza indiretta.
Tuttavia una tale impostazione, sebbene altamente suggestiva, non pare condivisibile per l’approccio generalizzante delle sue conclusioni dalle quali deriverebbe una dilazione incontrollata della categoria dei vizi del consenso: da ogni scorrettezza comportamentale discenderebbero conseguenze incidenti sulla validità dell’atto senza alcuna distinzione tra le condotte realmente capaci di condizionare il corretto processo formativo della volontà negoziale e quelle che, invece, sono irrilevanti in tal senso. Sotto questo profilo sembra più corretto adottare un approccio casistico libero da restrizioni formali e attento alle circostanze della situazione concreta analizzando quando una data scorrettezza comportamentale sub specie di omissione di informazioni, possa incidere sulla corretta rappresentazione della realtà e, dunque, sul processo formativo della volontà.
8. La teoria dei vizi incompleti di contratto non è, tuttavia, andata esente da critiche. Le più vivaci provengono da quella dottrina che, affermando con estremo rigore, il principio di non interferenza tra regole di validità e regole di comportamento negano che nell’ambito di un rapporto contrattuale validamente concluso possa profilarsi una responsabilità precontrattuale da parte di colui che ha tenuto un comportamento scorretto nella fase di formazione del contratto: così opinando si determinerebbe una sostanziale elusione del rigoroso meccanismo sistema delle invalidità “chiamando la regola di buona fede a svolgere (attraverso lo strumento risarcitorio) un improprio ruolo di
87 Xxxxxxxxx, Lesione di interesse e annullamento del contratto, Milano, 1962, p.7;
88 X. Xxxxx, Il contratto, op. cit., p. 310 ss.;
89 X. Xxxxx, Il contratto, op. cit., p. 344 ss.;
“integrazione” (e di rimedio) delle pretese “lacune” del sistema di invalidità, e di garanzia (attraverso il meccanismo “compensatorio” o “correttivo” del risarcimento) della “giustizia” o “equità” del contratto.”90
Se, infatti, la teorica dei vizi incompleti di contratto si fonda sulla sostanziale separazione tra le due categorie di regole, ammettere un’interferenza del rimedio risarcitorio nel sistema delle invalidità codificate dal legislatore significherebbe tradire le stesse premesse su cui si fonda il principio di separazione, scardinando l’intero sistema delle invalidità negoziali.91 Queste obiezioni trovano riscontro anche in recenti pronunce della giurisprudenza di Cassazione92 che, negando rigorosamente che dopo la stipula del contratto possa essere fatta valere una responsabilità per comportamenti scorretti tenuti nella fase delle trattative contrattuali, evidenzia come le azioni precontrattuali e quelle contrattuali sono tra loro alternative: le prime, infatti, non possono più essere azionate dal momento in cui si addivenga ad una valida stipulazione contrattuale in quanto da quel momento potranno essere attivati solo i rimedi contrattuali volti ad ottenere, qualora ne ricorrano le circostanze, la declaratoria di nullità, annullamento, rescissione o risoluzione del contratto.
In senso contrario si colloca ampia parte della giurisprudenza più xxxxxxx00 che, ripropone la compatibilità tra responsabilità precontrattuale e validità del contratto. Particolarmente significativa sul punto è la sentenza 29 settembre 2005, n. 19024 attraverso la quale la Cassazione cerca di fare chiarezza in una materia che ha visto recentemente il proliferare di numerosi e non sempre concordi interventi giurisprudenziali. La questione sottoposta all’esame della Suprema Corte ha investito, in particolare, la validità dei contratti di intermediazione finanziaria a seguito della violazione di obblighi informativi da parte dell’operatore professionale.
Il problema assume in questi casi una connotazione peculiare in vista della circostanza che, soprattutto nei contratti asimmetrici, dove vi è un professionista e un
90 G. .X’Xxxxx, Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, op. cit., p. 41 ss.;
91 X. Xxxxxxx, Squilibrio contrattuale e malafede del contraente forte, in Contratto e impresa, 1997, p. 417 ss. dove si afferma che “da quando la Cassazione ha equiparato il dolo omissivo al dolo commissivo” è possibile ritenere che “la violazione della buona fede precontrattuale può produrre effetto invalidante del contratto.”
92 Cass., 25 luglio 0000, x. 00000;
93 Cass., 16 ottobre 1998, n. 10249; Cass., 29 marzo 1999, n. 2956; Cass., 29 settembre 0000, x. 00000;
contraente “debole”, il confine tra responsabilità precontrattuale e vizi del consenso è
nel senso che la condotta che le parti devono osservare nella fase
prodromica alla conclusione del contratto è spesso strumentale alla corretta formazione della volontà negoziale. Tale circostanza è accentuata dalla presenza di obblighi informativi ricavabili non solo dall’art. 1337 ma da esplicite previsioni normative rinvenibili nella disciplina di settore. L’interrogativo ha riguardato, in particolare, la possibilità di prevedere rimedi invalidanti a seguito della violazione degli obblighi di condotta precontrattuali e, dunque, ripropone in un rinnovato quadro storico-reale il vivace dibattito dell’interferenza tra le due categorie di regole.
Da qui sono derivate numerose prese di posizioni della giurisprudenza di merito che, nell’apprezzabile intento di fornire un’adeguata tutela al risparmiatore “tradito”, anche in seguito ai recentissimi scandali finanziari che hanno travolto il paese, hanno finito per sconvolgere la materia dei rimedi contrattuali dando luogo a quello che è stato efficacemente definito come “l’ambaradan dei rimedi contrattuali”.95
Avremo modo di analizzare in seguito quali siano le varie teorie emerse sul punto, ma basti qui accennare alla presa di posizione della Suprema Corte le cui conclusioni trovano pieno accoglimento nella recentissima sentenza delle Sez. un. 19 dicembre 2007,
n. 26724. In quella occasione la Cassazione attraverso la riaffermazione del principio di autonomia tra regole di validità e regole di comportamento riconosce l’autonomia e il valore di un principio quale quello dell’art. 1337 che estende il suo ambito applicativo oltre i confini che tradizionalmente gli erano stati assegnati. Da ciò deriva che un contratto validamente concluso non per questo si può ritenere giusto e che, di conseguenza, il giudizio di responsabilità non può considerarsi precluso dalla validità del contratto qualora il comportamento scorretto di una parte, pur irrilevante sul piano dell’invalidità, abbia cagionato un danno risarcibile alla controparte.
La responsabilità per violazione del dovere di buona fede durante la fase delle trattative, o di più specifici obblighi precontrattuali (sub specie di obblighi informativi) riconducibili a quel dovere, “assume rilievo non solo nel caso di rottura ingiustificata delle trattative (e, quindi, di mancata conclusione del contratto) o di conclusione di un contratto invalido o comunque inefficace(art. 1338, 1398 cc.) ma anche quando il
94 A. M. Xxxxxxx, La tutela del risparmiatore nel mercato finanziario, op. cit., p. 75;
95 X. Xxxxx, La tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento (ovvero l’ambaradan dei rimedi contrattuali), in Contr. impr., 2005, p. 896 ss.;
contratto posto in essere sia valido, e tuttavia pregiudizievole per la vittima del comportamento scorretto (art. 1440).”
Con questa pronuncia si esclude la rilevanza diretta della violazione di buona fede sul piano della validità dell’atto e si restituisce al piano risarcitorio ogni scorrettezza precontrattuale che non rientri nei casi di annullamento tipizzati dal legislatore. Ritornano alla mente le parole di una raffinata dottrina che ha sottolineato come testimonianza dell’erosione del dogma della volontà sia propria la configurazione della culpa in contrahendo che dimostrerebbe l’avvenuta rottura dell’ “identificazione, propria di ogni dogma, tra negozio valido e negozio giusto”: per stessa ammissione del legislatore “l’applicazione delle regole di validità non assicura… la realizzazione di una giustizia sostanziale adeguata alla buona fede di entrambe le parti.”.96
9. Se, dunque, alla teoria dei “vizi incompleti di contratto” deve ascriversi il merito di avere nitidamente scolpito l’ampio contenuto sostanziale della clausola generale espressa dall’art 1337, dall’altro, il fondamento di tale impostazione rischia di incrinarsi alla luce delle trasformazioni determinatesi nell’assetto ordinamentale anche a seguito dell’innesto delle discipline comunitarie.
Lo sviluppo delle legislazioni postmoderne induce, infatti, a ripensare la tradizionale distinzione fra regole di validità e regole di responsabilità. Il principale referente viene ad essere individuato all’interno della disciplina consumieristica: chi corregge l’inciso “malgrado la buona fede” come in “contrasto con la buona fede”, individua nell’art. 1469-bis il segno di una normativa “pronta a contaminare il giudizio di validità con parametri che la tradizione colloca nella sfera dei giudizi su comportamenti e responsabilità”.97 Si evidenzia, infatti, come il nuovo legislatore consideri in numerose ipotesi gli obblighi informativi come fattori capaci di incidere sulla validità del contratto determinando una crescente commistione tra le due categorie di regole: i confini di quest’ultime vengono, in questi nuovi scenari, a stemperarsi “confluendo nella più generale categoria del rimedio contrattuale che pone in luce un mutamento della tecnica
00 X. Xxxxxxxxx, Xxxxxx, volontà e affidamento ne negozio giuridico, op. cit., p. 106;
97 X. Xxxxx, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Il contratto del duemila, Torino, 2002, p. 46 ss.;
normativa e del modo di formalizzare l’intero sistema delle invalidità e delle conseguenze dei contegni”.98
Muta il contesto storico-reale e con esso le categorie concettuali di riferimento: se, infatti, il dogma di non interferenza tra regole di validità e regole di comportamento discendeva da un sistema incentrato sul codice civile e sull’unità del soggetto e del contratto, nella nuova prospettiva di matrice europea l’apparato rimediale assume una nuova veste. Quest’ultimo viene, infatti, ad emanciparci dalla logica di “fattispecie” per assumere una connotazione inedita affidata sempre meno ad elementi di struttura e sempre più ad una clausola generale di buona fede.
E’ opinione condivisa, infatti, che la regola di buona fede assuma un ruolo preminente nei principi di diritto europeo dei contratti costituendone il vero espirit collectif,99 capace di “fissare tratti di comunanza e di dialogo fra tradizioni culturali molto diverse”.100 La sua utilità è riconosciuta espressamente nell’elaborazione dei principi Lando dove assume una portata oltre che quantitativamente, qualitativamente maggiore rispetto a quella che assume tradizionalmente nell’ordinamento nazionale.101
Quest’ultimo assurge, infatti, a principio cardine dell’intera disciplina: l’art. 1:102 prevede che “le parti sono libere di stipulare contratti e di determinarne il contenuto nel rispetto della buona fede e della correttezza nonché delle norme imperative contenute nei principi”. Dalla norma sembra ricavarsi che buona fede e correttezza siano collocate sullo stesso piano delle norme imperative e, poiché la contrarietà a quest’ultime determina invalidità ex art. 4:101, da ciò deriverebbe l’automatica conseguenza di riconnettere una conseguenza invalidante a clausole tradizionalmente concepite come criterio di qualificazione di comportamenti e fondanti un giudizio di responsabilità. La rilevanza assunta dalla buona fede emerge in maniera costante nell’elaborazione dei Principi Xxxxx anche da una serie di norme dettate in maniera di invalidità del contratto dove risulta come la buona fede concorra con altri elementi a qualificare la invalidità di un atto: il riferimento è all’art. 4: 103, 1) a) ii), dove la contrarietà alla clausola di buona fede concorre a rendere rilevante l’errore in cui tale parte abbia indotto l’altra; all’art. 4:107,
98 X. Xxxxxxx, Diritto dei contratti e “Costituzione europea”, op. cit., p. 176 ss.;
99 X. Xxxxx, Lo spirito dei Principi del diritto contrattuale europeo, Il codice civile europeo, Materiali dei seminari 1999-2000, raccolti da X. Xxxx e E. M. Buccico, Milano, 2001, p. 41;
100 X. Xxxxxxx, Buona fede e diritto europeo dei contratti, in Europa e diritto privato, 2002, p. 915;
101 Principi di diritto europeo dei contratti, a cura di X. Xxxxxxxxxx, Milano, 2001, p. XXXIV;
dove l’omissione di informazioni in contrasto alla buona fede costituisce dolo. Conseguenze invalidanti a seguito della violazione al principio di buona fede sono contenuta anche nell’art. 4:110 dove viene ad essere prevista l’annullabilità delle clausole non oggetto di trattative individuali che, in contrasto con la buona fede e la correttezza, determinino un significativo squilibrio nei diritti e nelle obbligazioni delle parti.102
Ma in questi nuovi orizzonti la clausola di buona fede si arricchisce di significati ulteriori e del tutto nuovi alla dogmatica classica del contratto: quest’ultima, infatti, non si fa veicolo soltanto di quella che viene chiamata “correttezza procedurale” ma introduce un giudizio di valore ossia la giustizia sostanziale.103 Ciò è evidenziato dall’art. 4:109 che prevede per i casi in cui un parte abbia tratto un ingiusto profitto o un vantaggio iniquo da una situazione di dipendenza o di fiducia della controparte o dal suo bisogno o necessità urgenti, la possibilità da parte del giudice, su istanza della parte legittimata all’annullamento “di modificare il contratto in modo da metterlo in armonia con quanto avrebbe potuto essere convenuto nel rispetto della buona fede e della correttezza”.
In questo senso risulta superata la classica concezione del tutto o niente tipica del sistema rimediale di carattere essenzialmente “demolitorio” in una rinnovata concezione conformativa che tradisce un netto stacco rispetto al passato.
Il tradizionale dogma della volontà poteva, infatti, essere contraddetto solo da esigenze di giustizia sociale individuate in via esclusiva dalla legge: qui la discrezionalità del giudice era vista come un elemento pericoloso generando valutazioni opinabili che sfuggivano ad ogni controllo esterno. Solo la legge era reputata in grado di garantire la separazione dei poteri giudiziario e legislativo, precludendo al primo di dilatare i suoi poteri oltre i rigidi confini disegnati dalla legge. Solo quest’ultima era, infatti, in grado di codificare le ragioni superindividuali e, dunque,in grado di contrapporsi all’atto di autonomia privata determinandone l’invalidità . Veniva, qui, a concretizzarsi quella che è stato definita la “riconduzione del diritto alla legge”104: attraverso lo schermo legislativo il diritto era piegato al dominio incontrollato di contingenti e occasionali volontà della classe egemone, generando quello che è stato definito “un’allarmante separazione dal sociale”.105 In un mutato contesto storico quale quello odierno la riscoperta della socialità
102 Principi di diritto europeo dei contratti, op.cit., p. XXXVI;
103 X. X’Xxxxx, Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, op. cit., p. 49;
104 Sul punto v. X. Xxxxxxx, Diritto dei contratti e costituzione europea, op. cit., p. 190;
105 P. Grossi, Mitologie giuridiche della modernità, Milano, 2001, p. 44;
del diritto impone l’operazione inversa ossia la “riconduzione della legge al diritto”106 togliendo alla legge “quel ruolo totalizzante e socialmente insopportabile che l’età borghese le ha dato” prendendo atto delle “diverse modalità di produzione e
funzionamento delle regole giuridiche”107
derivanti dalla coesistenza di una pluralità di
valori tipiche di una dimensione globalizzata.
Tale finalità viene ad essere perseguita attraverso l’utilizzo di tecniche normative che rifiutano l’idea della fattispecie chiusa e al contrario si servono di clausole generali in grado di adattarsi alle continue evoluzioni imposte dai mutamenti storico-reali, in un significato che muta a secondo delle circostanze concrete, dei contesti applicativi, delle avvenute trasformazioni sociali.
Di qui il recupero della portata della clausola generale di buona fede in una funzione che trascende il suo ruolo di criterio di valutazione del comportamento delle parti per assurgere ad un’ulteriore funzione quale quella “correttiva” degli atti di autonomia privata. La nuova disciplina di matrice europea non attribuisce rilievo allo squilibrio in sé ma in quanto frutto di un abuso di potere contrattuale, attribuendogli il compito di reprimere ogni condotta che produca effetti distorsivi del mercato. La sua contrarietà, tuttavia, non determina direttamente l’invalidità ma “corregge e supera il rigore formale degli istituti, ponendo in luce il necessario confronto tra regole di validità e regole di responsabilità tra atto e comportamento”.108
Né qui meritano accoglimento le critiche mosse da una parte della dottrina109 che, ribadendo con estremo rigore l’autonomia delle due categorie di regole, individua nel principio di buona fede non la sanzione per un abuso contrattuale perpetrato da una parte nei danni dell’altra, ma l’iniquità del regolamento contrattuale: così opinando verrebbe qui in rilievo un criterio di equità che non è una clausola generale, intesa nella sua eccezione lata di espressione dei valori immanenti in un dato sistema e in un dato contesto storico, ma un “test di ragionevolezza” cui viene sottoposto l’atto di autonomia privata. Qui il giudice opererà un bilanciamento degli interessi coinvolti intervenendo, se
106 Sul punto vedi anche X. Xxxxxxx, Regola e metodo nel diritto civile della postmodernità, op. cit., p. 308;
107 M. R. Ferrarese, Le istituzioni delle globalizzazioni. Diritto e diritti nella società transazionale, Bologna, 2000, p. 126 ss.;
108 X. Xxxxxxx, Buona fede e diritto europeo dei contratti, op. cit., p. 925;
109 G. D’Amico, Regole di validità e regole di comportamento, op. cit., p. 44 ss.;
del caso, attraverso un potere di correzione equitativo, secondo criteri di razionalità materiale.
Secondo tale dottrina, infatti, la distinzione sarebbe netta. Il nuovo diritto dei contratti si muoverebbe in una logica del tutto estranea a quella codicistica: la prima funzionalizzata ad aggredire il “fenomeno sociale” del “ fallimento del mercato” a causa delle carenze del circuito informativo e delle “asimmetrie” che quest’ultime determinano negli scambi commerciali; la seconda caratterizzata da una “devianza individuale rispetto ad una situazione sociale che presuppone viceversa un circuito informativo relativamente efficiente”. Da ciò deriverebbe che non sarebbe possibile fondere diritto speciale e diritto comune per le diversità di funzioni cui le diverse normative presiedono: ciò determinerebbe uno sconvolgimento degli equilibri disegnati dal legislatore nazionale attraverso la disciplina dei vizi del consenso che non tollererebbe interferenza di criteri morali se non “in quanto e nella misura in cui sia stato esplicitamente formalizzato dal legislatore nella disciplina delle regole di validità.”
Questa impostazione eccessivamente formalistica sembra più attenta a non sconvolgere la dogmatica classica e l’identità dei singoli istituti che non pronta a percepire i cambiamenti che inevitabilmente si registrano nel sistema italo-comunitario delle fonti.
Escludere aprioristicamente ogni dilatazione delle regole di validità al di là degli angusti confini definiti dal legislatore nazionale, significherebbe trascurare “la necessaria considerazione funzionale ed assiologia delle invalidità”110 che impone un collegamento “con i principi di ordine etico-politico che costituiscono nell’essenza lo spirito dell’ordinamento”111. Si è già evidenziato come, sotto questo profilo, sia auspicabile il recupero della lezione di pugliattiana memoria sulla storicità e relatività delle categorie e dei concetti giuridici112 auspicando una liberazione del giurista dalle suggestioni dell’astrattezza e del dogmatismo113 e consentendo, attraverso una rinnovata sensibilità,
110 X. Xxxxxxxxxxx, Regole e comportamenti nella formazione del contratto, op. cit., p. 88;
111 X. Xxxxx, voce Negozio giuridico IV)Negozio illecito, in Enc. Giur. Treccani, XX, Roma, 1990, p. 4 ss.;
112 X. Xxxxxxxxx, Il rapporto giuridico uni soggettivo, in Diritto civile. Metodo-teoria-pratica, Saggi, Milano, 1951, p. 524; Id., Spunti metodologici in Grammatica e diritto, Milano, 1978, p. 229;
113 Il concetto di dogmatismo “si incentra sul soggetto astratto, sempre eguale a se stesso, neutro, là dove la realtà concreta, ivi compresa quella normativa, conosce l’uomo con le sue peculiarità, le sue malattie, i suoi limiti, i suoi bisogni, le sue ambizioni, la sua età”. X. Xxxxxxxxxxx, Diritti della persona anziana, diritto
“un recupero della dimensione storica delle costruzioni giuridiche, le quali prima di risolversi in un sistema logico e tecnico, appartengono alla misura di una determinata esperienza culturale”.114
civile e stato sociale, in Rass dir. civ, 1990, p. 81 ss.; Id., L’informazione e il contratto, op. cit., p. 372: “Risulta condivisibile l’asserzione di un imprescindibile superamento della distinzione tra regole di comportamento e regole di validità, regole di responsabilità e regolamentazione del mercato …il problema è costituito dalla mancanza di direttive univoche perché le situazioni dei mercati e degli ordinamenti giuridici sono diverse come diverse sono le loro tradizioni e le loro esperienze…La pluralità dei rimedi esige il superamento della dogmatica. Si è giunti, infatti alla nullità virtuale e al sovvertimento della tassatività e della tipicità delle nullità…”. Sull’esigenza di rifuggire al dogmatismo vedi anche X. Xxxxxxxxxxx, Regole e comportamenti nella formazione del contratto, op. cit., p. 92;
114 X. Xxxxxx, Riflessioni critiche intorno alla soggettività giuridica. Significato di un’evoluzione, Milano, 1976, p. 9;
CAPITOLO SECONDO
Il “trascinamento” del principio di buona fede sul terreno
del giudizio di validità dell’atto al vaglio del giudice di legittimità.
Sommario. 10. La violazione delle regole di comportamento e il “trascinamento” del principio della buona fede sul terreno del giudizio di validità dell’atto: l’espressione di una nuova tendenza che impone il ridimensionamento di un antico dogma o un antico dogma che, correttamente interpretato, ridimensiona la portata innovativa della nuova tendenza? 11. Regole di comportamento e nullità virtuale. La sorte dei contratti di intermediazione finanziaria a seguito della violazione degli obblighi informativi imposti dalla disciplina di settore. Critiche ai recentissimi orientamenti espressi dalla Cassazione che esclude che, al di fuori dei casi espressamente codificati dal legislatore, la violazione di una norma comportamentale possa determinare conseguenze sotto il profilo della validità dell’atto. 12. (segue) Il reato di circonvenzione di persone incapaci al vaglio della giurisprudenza: è criticabile una soluzione che prescinda dalla reale incidenza della scorrettezza comportamentale sulla “regola” contrattuale. Necessità di un approccio casistico che affidi all’interprete il compito di valutare se la condotta illecita anteriore alla stipulazione contrattuale sia o meno in grado di penetrare nel tessuto negoziale determinandone la nullità ex art. 1418, 1 comma. 13. Ambito operativo della nullità virtuale al vaglio della giurisprudenza. Il tentativo da di esautorare il valore e la portata di una norma che rivendica una sua autonomia applicativa: contrasti nella giurisprudenza di legittimità. 14. Le Sezioni Unite intervengono sul punto riconfermando la irrilevanza dei comportamenti “esterni” al contratto ai fini del giudizio di validità dell’atto. 15. La sorte dei contratti di intermediazione mobiliare: la ricerca di una soluzione possibile. 16. La risposta del giudice di legittimità rigidamente ancorata alla dogmatica classica: i rimedi esperibili dall’investitore tradito divergono in relazione al momento in cui l’intermediario pone in essere il suo comportamento scorretto. 17. (segue) Questioni problematiche in tema di riparto dell’onere probatorio.
10. In base a quanto sostenuto fin’ora “che alla violazione della regola di buona fede possa conseguire, in base all’art. 1418, comma 1, c.c. la nullità o, comunque, l’inefficacia del contratto o, a norma dell’art. 1419 di singole sue clausole, non può più suscitare scandalo”.115 La teorizzazione del principio di non interferenza non si presenterebbe più come un “dogma” insuperabile e ciò anche in considerazione del nuovo ruolo assunto dalle invalidità contrattuali sempre più lontane “dalle rigorose sistemazioni concettuali imperniate sulla mancanza, sul vizio o sulla illiceità di un elemento costitutivo del contratto concepito nella sua struttura “organica” di fattispecie.”116
Ma a ben vedere occorre domandarsi: è l’affermazione di un nuovo principio che si innesta nel nostro sistema o è la conferma di un assunto già rinvenibile nel nostro ordinamento? In altre parole è una nuova tendenza che impone il ridimensionamento di
115 X. Xxxxxxx, Squilibrio contrattuale e mala fede del contraente forte, in Contr. impr., 1997, p. 418 ss.;
116 U. Breccia, Causa, in Il contratto in generale, III, in Trattato di diritto privato diretto da X. Xxxxxxx, XIII, Torino, 1999, p. 76 ss.;
un antico dogma o è l’antico dogma che, correttamente interpretato, ridimensiona la portata innovativa della nuova tendenza?
In via di prima approssimazione notevoli perplessità suscita il criterio metodologico utilizzato dalla dottrina per sostenere la distinzione tra regole di comportamento e regole di validità incentrandosi sulla diversità del loro regime giuridico e dunque, sulla diversa incidenza della loro violazione sulla fattispecie contrattuale, non considerando che la disciplina degli effetti è un posterius rispetto al prius della distinzione.117 Sotto questo profilo potrebbe obiettarsi che la regola di validità è anch’essa una regola di condotta in quanto prescrive un determinato comportamento che deve essere tenuto dai soggetti ai fini di una valida formazione del regolamento contrattuale. Ciò che deve venire in rilievo, infatti, non è la disciplina degli effetti cui sono sottoposte tali regole ma la loro diversa incidenza sotto il profilo del regolamento contrattuale. Occorre, infatti, non operare per astratte classificazioni dogmatiche ma concentrarsi sulla fattispecie concreta e domandarsi se, nel caso considerato, la violazione delle regole comportamentali possa incidere sulla validità del contratto, in quanto in grado di trascinare il suo disvalore all’interno dell’atto di autonomia privata.
Né, parimenti, sembra condivisibile l’opinione secondo la quale i doveri comportamentali non potrebbero assurgere a requisiti di validità in quanto, essendo strettamente legati alle circostanze del caso concreto, non si presterebbero ad essere verificati in base a regole predefinite.118 I criteri utilizzati per accertare la violazione di norme comportamentali non differiscono da quelli posti a base dell’invalidità negoziale: si pensi, ad esempio, ai vizi della volontà. Anche quest’ultimi non rilevano in via generale ed astratta ma impongono la verifica di circostanze ulteriori da valutare in concreto
117 X. Xxxxxxx, Autonomia contrattuale e regole di validità, in occasione del Convegno “Il notaio tra regole di comportamento e regole di validità”, tenutosi a Napoli il 24 e il 25 Ottobre 2008;
118 In questo senso si è espressa Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724 in Contr. e impr., 2008, fasc. 4-5, p. 936 con nota di X. Xxxxxxxx, Violazione degli obblighi di informazione nei servizi di investimento e rimedi contrattuali (a proposito di Xxxx., sez. un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725): la Corte, aderendo al tradizionale dogma di separazione tra le due categorie di regole ha, qui, escluso che dalla violazione di una norma comportamentale possano derivare conseguenze sotto il profilo della validità dell’atto “e questo anche perché il suaccennato dovere di buona fede ed i doveri di comportamento in generale, sono troppo immancabilmente legati alle circostanze del caso concreto per poter assurgere, in via di principio, a requisiti di validità che la certezza dei rapporti impone di verificare secondo regole predefinite”.
(l’errore deve essere essenziale e riconoscibile, il dolo determinante, la violenza tale da far impressione su una persona sensata ecc.). Non solo. Anche per stabilire se, in caso di invalidità del contratto per errore ricorra la responsabilità ex art. 1338 i criteri adottati per determinare tale responsabilità non divergono da quelli previsti in materia di invalidità negoziale dall’art. 1428: in entrambi i casi, infatti, occorre accertare se, l’altro contraente conosceva o avrebbe potuto conoscere con l’ordinaria diligenza l’errore essenziale in cui sia incorsa l’altra parte. 119
Analizzando attentamente la stesso impianto codicistico notiamo, inoltre, come il principio dell’incomunicabilità tra regole di comportamento e regole di validità non abbia una valenza assoluta ma subisca, in alcuni casi, un deciso ridimensionamento per volontà dello stesso legislatore. Si pensi alle norme in materia di vizi del consenso: qui è lo stesso legislatore che prevede che da un dato comportamentale possano derivare conseguenze sotto il profilo della validità dell’atto. Il dolo, la violenza, l’approfittamento dell’errore, dello stato di pericolo o di bisogno costituiscono esempi tipici di comportamento contrario a correttezza e buona fede che nondimeno possono determinare l’invalidità del
In questi casi, tuttavia, l’antigiuridicità rimane “esterna” alla fattispecie,
incentrandosi sull’incidenza del dato comportamentale sulla libera formazione della volontà negoziale, disinteressandosi del contenuto dell’atto dispositivo.
Tuttavia queste fattispecie normativamente codificate non esauriscono le molteplici situazioni che si possono prospettare all’attenzione dell’interprete e che ugualmente determinano conseguenze invalidanti.
Può anche accadere, infatti, che il comportamento scorretto penetri nella “struttura” della singola fattispecie (ad es. nel caso in cui da ciò discenda una mancanza totale del requisito essenziale dell’accordo) determinando un’ipotesi di invalidità strutturale dell’atto di autonomia privata. O, viceversa, può succedere che l’illiceità della condotta trascini il proprio disvalore nella regola contenuta nell’atto di disposizione121 determinando nullità del contratto per contrasto con norme imperative.122
000 X. Xxxxx, Xx xxxxxxxxx xxx 0000, Xxxxxx, 2005, p. 46 ss.;
120 X. Xxxxxxxx, Violazione degli obblighi di informazione nei servizi di investimento e rimedi contrattuali, op. cit., p. 951;
121 A. Di Amato, Contratto e reato. Profili civilistici, op. cit., par. 45;
122 X. Xxxxxxxxxxx, Regole e comportamenti nella formazione del contratto, op. cit., p. 102;
E’, infatti, indubbio, sulla base di quanto affermato nei paragrafi precedenti, che l’obbligo di correttezza e buona fede abbia carattere imperativo123 costituendo il varco attraverso il quale si da ingresso nei rapporti interprivati ad istanze costituzionalmente rilevanti quali, in primis, il principio di solidarietà (art. 2 Cost.) di cui costituisce attuazione.124 Da tale assunto emerge una considerazione importante: se il legislatore non avesse selezionato determinate scorrettezze comportamentali riconnettendovi la sanzione dell’annullabilità, anche quest’ultime sarebbero ricadute nell’ambito applicativo della clausola generale di cui all’art. 1337 e, dunque, in assenza di ogni altra disposizione, la nullità del contratto sarebbe derivata dal collegamento con l’art 1418, primo comma per contrasto di quest’ultimo con una norma imperativa.125
Questa conclusione, astrattamente plausibile, deve fare però i conti con la scelta codicistica di sanzionare le forme più gravi di scorrettezza comportamentale con un rimedio diverso dalla nullità, quale quello dell’annullabilità o rescindibilità del contratto (si pensi ai casi del dolo, violenza, errore, stato di pericolo o di bisogno). Ciò trova conferma nella stessa formulazione letterale della norma che, dopo aver sancito il principio in vista del quale la contrarietà del contratto a norme imperative determina nullità, ammette attraverso la clausola “salvo che la legge disponga diversamente” la facoltà per il legislatore di prevedere una sanzione diversa.
La possibilità che la violazione di norme comportamentali possa determinare la sanzione della nullità ex art. 1418, primo comma, rimarrebbe preclusa, non perché astrattamente non ammissibile in base ai principi generali, dei quali al contrario
123 Non merita, sul punto accoglimento quanto sostenuto dalla Xxxx. 18 ottobre 1980 n. 5610 per la quale “la disposizione dell'art. 1337 c.c. che impone alle parti l'obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto ... è xxxxx meramente precettiva o imperativa positiva, dettata a tutela ed a limitazione degli interessi privatistici nella formazione ed esecuzione dei contratti, e non può, perciò, essere inclusa tra le "norme imperative", aventi invece contenuto proibitivo, considerate dal primo comma dell'art. 1418 c.c., la cui violazione determina la nullità del contratto anche quando tale sanzione non sia espressamente comminata”. L’affermazione di principio non supera, infatti, il rilievo che ogni norma imperativa è al contempo positiva e proibitiva, corrispondendo sempre all’imposizione di un determinato comportamento la proibizione di comportamenti difformi (sul punto vedi
X. Xxxxx, Contratto e violazione di norme imperative, Milano, 1993, p. 156 ss.).
124 Sulla clausola generale di buona fede come attuazione del principio di solidarietà contrattuale vedi X. Xxxxxxxxxxx, L’informazione e il contratto, op. cit, p. 375;
125 X. Xxxxxxxx, Violazione degli obblighi di informazione nei servizi di investimento e rimedi contrattuali, op. cit., p. 951;
costituirebbe attuazione, ma da una scelta di politica legislativa che, rimeditando gli equilibri degli interessi coinvolti nella vicenda contrattuale, impone di contemperare l’esigenza di giustizia delle operazioni economiche con quelle di certezza e sicurezza dei traffici giuridici.
Da ciò deriva, in virtù di un’esigenza di coerenza del sistema, l’inconciliabilità di un apparato rimediale che da un lato sanzioni le violazioni più gravi con l’annullabilità o rescindibilità del contratto e che, dall’altro, infligga la sanzione più grave della nullità nei casi affetti da una minore gravità.
La violazione del principio generale di buona fede, in quanto norma imperativa, sarebbe, dunque, astrattamente idonea a determinare l’applicazione della più radicale forma di invalidità costituita dalla nullità126 ma in concreto subisce una “deroga” in virtù delle scelte operate a monte dal legislatore in sistema nel quale la nullità è la regola mentre l’eccezione è la previsione di un diverso rimedio.127 Sembrerebbe, dunque, corretto ricostruire tale rapporto in termini di regola-eccezione interpretando l’art. 1418 come una norma di chiusura nell’ambito del sistema delle invalidità disegnato dall’impianto codicistico128, capace di dare adeguata tutela a interessi generali129 o meglio indisponibili dei privati.
Condividere tale iter argomentativo non significa recepire in maniera passiva il dogma della non interferenza tra regole di validità e regole di comportamento negando qualsivoglia relazione tra le due categorie di regole: significa attribuire a tale separazione un significato logico-interpretativo che contribuisce all’elaborazione di soluzioni coerenti e razionali.130
126 X. Xxxxxxxx, Violazione degli obblighi di informazione nei servizi di investimento e rimedi contrattuali, op. cit., p. 952 ss.; X. Xxxxxxxxx, Le nullità e il contratto nullo, in Tratt. Xxxxxxxxx, Xxxxx (a cura di), IV, 1, Milano, 2006, p. 37 ss.;
127 X. Xxxxxxxx, Regole di condotta e regole di validità nell’attività d’intermediazione finanziaria: quale tutela per gli investitori delusi?, in Corr. giur., 1, 2008, p. 111; Id., Violazione di norme imperative e xxxxxxx xxx xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000;
000 X. Xx Xxxx, Xx contratto contrario a norme imperative, in Riv. crit. dir. priv., 1985, p. 436;
129 Sul punto v. F. Ferrara, Teoria del negozio illecito nel diritto civile italiano, Milano, 1914; X. Xxxxx, Xx xxxxxxxxx, xx Xxxxxxxx Xxxxxx-Xxxxx, Xxxxxx, 0000; G.B. Xxxxx, Introduzione al sistema delle invalidità del contratto, in Trattato Bessone, Il contratto in generale, VIII, Torino, 2002;
130 X. Xxxxxxxx, Violazione degli obblighi di informazione nei servizi di investimento e rimedi contrattuali, op. cit., p. 952;
11. Non così, invece, quando da tale principio si intenda desumere un’assoluta incomunicabilità tra le due categorie di norme negando che la violazione di norme comportamentali possa integrare l’ipotesi della nullità virtuale ex art. 1418, 1 comma.
Né, quindi, si può far discendere da tale principio la convinzione che tutti i casi in cui alla violazione di doveri comportamentali consegue la sanzione di nullità siano solo quelli espressamente previsti dal legislatore in virtù del terzo comma dell’art. 1418. Ipotesi eccezionali e da considerarsi, comunque, di stretta interpretazione.
Tale impostazione sembra riecheggiare nella parole della Cassazione131
che,
chiamata a risolvere l’accesa questione della sorte del contratto di intermediazione a seguito della violazione di obblighi informativi, ha escluso che l’illegittimità della condotta tenuta nel corso delle trattative prenegoziali possa essere causa di nullità, “a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista.” In questa occasione, la Corte ha avuto modo di affermare come “il ricorso allo strumento di tutela della nullità radicale del contratto per violazione di norme di comportamento gravanti sull’intermediario nella fase prenegoziale e in quella esecutiva, in assenza di disposizioni specifiche, di principi generali o di regole sistematiche che lo prevedano, non è giustificato.”
Né assumono valore decisivo in senso contrario la pluralità di indici normativi,
richiamati dall’ordinanza16 febbraio 2007, n. 3863,132
dai quali emergerebbe “un
tendenziale inserimento in sede normativa, del comportamento contrattuale delle parti tra i requisiti di validità del contratto”.
Si pensi alla l. 18 giugno 1998, n.192 che, nel disciplinare l’abuso di dipendenza economica, stabilisce la nullità del patto attraverso il quale detto abuso si realizza, quando ricorra il duplice presupposto delle condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie e della loro imposizione da parte di un’impresa contraente nei confronti di un’altra che versi in uno stato di dipendenza economica. In materia di contratti a distanza dove con riferimento al caso di comunicazioni telefoniche l’art. 53, comma 3, del codice del consumo, stabilisce, a pena di nullità del contratto, che l’identità del fornitore e lo scopo commerciale della telefonata devono essere dichiarati in modo inequivocabile all’inizio della telefonata. L’art. 34 del codice del consumo che esclude la vessatorietà e la conseguente nullità della clausola in caso di trattativa specifica sulla stessa, e cioè
131 Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724 in xxx.xxxxxx.xx;
132 Cass., 16 febbraio 2007, n. 3863 in Corr. giur., 2007, n. 5, p. 633;
facendo dipendere la validità della stessa da un dato comportamentale. L’art. 7 del d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, che nello stabilire la nullità dell’accordo sulla data del pagamento che risulti gravemente iniquo in danno del creditore attribuisce rilevanza ai fini dell’invalidità del negozio ad un comportamento (l’imposizione di una clausola) rilevante in sede di formazione dell’accordo. Così come avviene nella fattispecie di abuso di posizione dominante previsto dalla l. 10 ottobre 1990, n. 287 dove si configura il concorso di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose e della condotta impositiva di una clausola o nel decreto legislativo n. 122/05 in materia di tutela degli acquirenti di immobili da costruire che sanziona con la nullità la violazione dell’obbligo comportamentale previsto dall’art. 2 che impone al costruttore rilascio all’acquirente della fideiussione.
Secondo il ragionamento delle Sezioni Unite, sebbene sia possibile intravedere nella legislazione speciale una “tendenza evolutiva” in tale direzione, ciò non consente di ricavarne principi di carattere generali estensibili anche in casi e settori diversi da quelli espressamente contemplati dalle singole norme. In altre parole, le fattispecie qui addotte come sintomo di un progressivo trascinamento del principio di buona fede sul terreno del giudizio di validità dell’atto, non sarebbero sufficienti a “dimostrare il già avvenuto sradicamento dell’anzidetto principio nel sistema del codice civile”. Si tratterebbe, dunque, di disposizioni particolari che “derogando” all’immanente principio di non interferenza, non consentono la loro estensione al di là dei casi espressamente considerati dal legislatore, determinando la loro attrazione nella previsione non del primo ma del terzo comma dell’art. 1418.
Fatte queste premesse, sul piano generale, la risposta che le Sezioni Unite hanno inteso dare alla domanda se, nello specifico settore dell’intermediazione finanziaria sia rinvenibile un principio di segno diverso, teso cioè a derogare al tradizionale principio di separazione tra le due categorie di regole, è di segno negativo.
Tali conclusioni emergono non solo in vista dell’assenza in detto settore di indici univoci dell’intenzione del legislatore di trattare sempre e comunque le regole di comportamento alla stregua di regole di validità degli atti, ma anche da un’attenta a analisi della disciplina di settore. Attraverso quest’ultima, infatti, si constata come il legislatore abbia espressamente ipotizzato alcune ipotesi di nullità, afferenti alla forma ed al contenuto pattizio dell’atto (art. 8, ult. comma, della l. 1 del 1991, e ora artt. 23 e 24),tralasciando di considerare le conseguenze derivanti dalla violazione delle regole di
comportamento che impongono all’intermediario di fornire determinate informazioni al cliente o che gli fanno divieto di operare in conflitto di interessi o in maniera inadeguata rispetto al profilo patrimoniale del cliente medesimo. Situazioni quest’ultime che il legislatore ha, invece, evidentemente tenuto in considerazione per i loro risvolti in tema di responsabilità, laddove ha espressamente posto a carico dell’intermediario l’onere di provare di aver agito con la necessaria diligenza (l. n. 1/91, art. 13 ult. comma, ora art. 23 d.lgs. 58/98).
Significativa è parsa, agli occhi della Corte anche la circostanza che il legislatore non sia intervenuto sul punto neanche a seguito delle numerose modifiche intervenute sulla disciplina di settore (da ultimo il recentissimo d.lgs. 17 settembre 2007, n. 164, che ha recepito la direttiva n. 2004/39/Ce) che avrebbero suggerito l’opportunità di sanzionare esplicitamente con la nullità la violazione delle norme comportamentali che informano la condotta degli intermediari finanziari nello svolgimento della suddetta attività.
Il fatto che nello specifico settore dell’intermediazione finanziaria, il legislatore non abbia espressamente previsto che il mancato rispetto degli obblighi comportamentali subspecie di obblighi informativi determini la nullità del contratto si è, qui, inteso interpretarlo come una sorta di attrazione delle relative controversie nell’ambito della loro sede naturale ossia in quella della responsabilità. Ciò in virtù di un acritico recepimento del principio di separazione delle due categorie di regole che postula che, in assenza di esplicita volontà del legislatore di segno diverso, la violazione di norma comportamentali determini conseguenze sotto il profilo non della validità dell’atto ma della mera responsabilità.
La stessa Corte rileva come una soluzione diversa sia stata adottata dal legislatore con riferimento alla commercializzazione a distanza dei servizi finanziari. In questi casi, infatti, la nullità è esplicitamente contemplata dall’art. 16, quarto comma, del d.lgs. 19 agosto 2005, n. 190 (ora contenuta nell’art. 67-septies decies comma 4 cod. cons.) per il caso in cui il fornitore ostacoli l’esercizio del diritto di recesso da parte del contraente ovvero non rimborsi le somme da questi eventualmente pagate oppure violi gli obblighi informativi precontrattuali in modo da alterare significativamente la rappresentazione delle caratteristiche del servizio. Ma quest’ultima viene ad essere indicata come una previsione che presenta evidenti caratteri di “specialità” e che non consente di fondare su di essa alcuna affermazione di principio.
Le più importanti conferme di ciò si rinvengono oltre che nella stessa architettura codicistica anche nella stessa elaborazione giurisprudenziale. In particolare la Cassazione ha, in diverse occasioni, riconosciuto la nullità del contratto in presenza di norme imperative che non vietano il contratto in sé ma soltanto le modalità attraverso le quali questo si era formato.
12. Costituiscono applicazione pratica di tale orientamento le pronunce che hanno ritenuto nullo per contrarietà a norme imperative il contratto che integra gli estremi del reato di circonvenzione di incapace.134
Qui la giurisprudenza, anche recentissimamente, ha ribadito che: “l'incriminazione della circonvenzione d'incapace, il cui scopo va ravvisato, più che nella tutela dell'incapacità in sé e per sé considerata, nella tutela dell'autonomia privata e della libera esplicazione dell'attività negoziale delle persone in stato di menomazione psichica, deve annoverarsi tra le norme imperative la cui violazione comporta, ai sensi
133 X. Xx Xxxxxxx, Correttezza e diligenza precontrattuali: il problema economico, in Riv. dir. comm., 1999, p. 586, dove dopo aver osservato che “l’interferenza tra regole di comportamento e di responsabilità da un lato e regole di validità dall’altro è presente nel codice e nella giurisprudenza” aggiunge che la distinzione tra le due categorie di regole “è distinzione solo dottrinale”.
134 Cass. 20 settembre 1979, n. 4824, in Giust. civ., 1980, I, p. 943, con nota di X. Xxxxxxxxx, Circonvenzione di incapace e nullità o annullabilità del contratto; Cass. 29 ottobre 1994, n. 8948, in Corriere giuridico, 1995, 2, p. 217 ss., con nota di X. Xxxxxxxxx, Quale invalidità contrattuale nel caso di circonvenzione di incapace?; Cass. 27 gennaio 2004, n. 1427, ne I contratti, 2004, p. 997 ss., con nota di
X. Xxxxxxxx, La tutela civile dell’incapace vittima di circonvenzione; Cass. 23 maggio 2006, n. 12126, ne Le società, 2006, p. 1105 ss.. Le ultime tre sentenza sono state richiamate da Cass., 16 febbraio 2007, n. 3683, cit., nell’ordinanza di rimessione al primo presidente della Cassazione come espressione di un’interpretazione dell’art 1418, comma 1, contraria a quella offerta da Xxxx., 29 settembre 2005, n. 19024, in materia di violazione degli obblighi di condotta degli intermediari finanziari.
dell'art. 1418 cod. civ., oltre la sanzione penale, la nullità del contratto concluso in spregio della norma medesima”.135
In questi casi, dunque, è la stessa Corte ad ammettere una possibile interferenza tra regole di comportamento prodromiche alla conclusione del contratto e validità dello stesso in quanto l’illiceità del comportamento anteriore alla stipulazione contrattuale determina l’attrazione della relativa fattispecie nell’ambito del campo applicativo dell’art. 1418, 1 comma. Di questa contraddizione è consapevole la stessa Cassazione che proprio con riferimento a quella giurisprudenza riconosce la necessità di “rimeditare se ed entro quali limiti l’illiceità penale della condotta basti a giustificare l’ipotizzata nullità del contratto sotto il profilo civile.”
Sebbene non sia questa la sede per chiarire i rapporti tra contratto e reato, è, tuttavia, utile, ai fini della nostra indagine, soffermarci brevemente sul punto.
In alcuni casi ad integrare reato è la stessa stipulazione contrattuale, come avviene quando la legge vieti l’acquisto, la vendita o il commercio di determinati beni (es.: artt. 250, 352, 470, 474, 648, 686, 705 e 710 c.p., 2624 c.c.). In queste fattispecie ciò che viene ad essere sanzionato è il regolamento contrattuale cui le parti sono pervenute attraverso la stipulazione negoziale vietata dalla legge.136 Siamo nell’ambito dei reati- contratto, dove la dottrina tende a ravvisare “una vera e propri immedesimazione tra reato e contratto, essendo la condotta punita descritta mediante termini corrispondenti a quelli che definiscono nel diritto civile singoli negozi.”137
In altri casi, invece, ciò che viene ad essere stigmatizzato non è l’accordo contrattuale ma il comportamento illecito realizzatosi nella fase anteriore alla stipulazione negoziale finalizzato ad indurre la vittima a porre in essere un determinato atto di disposizione patrimoniale. Si tratta di figure realizzate con la cooperazione artificiosa
135 Da ultimo sul punto x. Xxxx., 2 febbraio 2008, n. 2860 in xxx.xxxxxxx.xxx;
136 F. Xx Xxxxxx, Contratto e reato. Note sulla causa di credito e sulla causa di garanzia, in Relazione presentata il 23 marzo 2000 a Frascati nell’ambito dell’incontro di studio organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura sul tema Rapporti tra illecito civile e illecito penale: l’illecito contrattuale, i reati-contratto ed i reati in contratto, p. 5.
137 A. Di Amato, Contratto e reato. Profili civilistici, op. cit., par 12; Sul punto v. anche X. Xxxxxxxxx, Concorso e conflitto di norme nel diritto penale, Bologna, 1966, p. 377 ss.; I., Xxxxxxxx, I rapporti tra contratto, reati contratto e reati in contratto, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, II, p. 1053; X. Xxxxxxxx, In tema di norme penali e nullità del negozio giuridico, in Riv. crit. dir. priv., 1985, p. 467; Id., Accordo (dir. pen.) in Enc. dir., 1958, 1, p. 302;
della vittima, che è indotta con mezzi illeciti (frode, violenza, approfittamento dello stato di bisogno o di inferiorità psichica) a una disposizione patrimoniale (es., artt. 629, 640,
In questi casi la dottrina ha parlato di reati in contratto. Senza
alcuna pretesa di esaustività, basti ai nostri fini ricordare come qui il contratto non è vietato in se ma integra illecito penale la condotta che ne ha determinato la sua conclusione.
Ebbene, mentre con riferimento alla prima categoria è pacifico che la relativa stipulazione contrattuale rivesta i caratteri della illiceità per contrarietà a norme imperative di ordine pubblico, con riferimento alla seconda categoria vi sono numerose incertezze: il dubbio ha investito, in particolare, la configurabilità di una illiceità del contratto, laddove il disvalore si concentrerebbe nella fase prodromica alla stipulazione negoziale e non nell’atto di autonomia privata che, potrebbe, in concreto ritenersi validamente concluso.
Ciò ha portato parte della dottrina ad affermare che l’illiceità comportamento tenuto da uno dei contraenti ai danni dell’altro “non può per sé importare invalidità del contratto… coinvolgendo nelle conseguenze della sanzione anche il soggetto per il quale la partecipazione al contratto è lecita”.139 Tuttavia questa teorizzazione di matrice tedesca, che pure ha suscitato numerosi consensi in dottrina, è sottoposta al rilievo critico
evidenzia che, così opinando, si farebbe discendere l’applicabilità dell’art. 1418,
1 comma, da considerazioni di tipo soggettivo con l’intento si scongiurare che, qualora colpevole sia unicamente una delle parti, l’altro contraente subisca immeritatamente la sanzione della nullità. Qui le ipotesi suscettibili di essere attratte nell’orbita dell’art. 1418, 1 comma, verrebbero ad essere selezionate adottando come discrimen il criterio della “direzione del divieto”: si avrebbe, quindi nullità quando la norma si imponga ad entrambi i contraenti, mentre nel casi in cui quest’ultima si indirizzi ad una sola parte, il contratto sarebbe da considerarsi valido.
Tali conclusioni sono state criticate in quanto non risponderebbero alla logica che presiede alla disciplina della nullità che prescinde dalla condizione soggettiva delle parti operando sempre su un piano oggettivo: quest’ultima, infatti, “non mira a sanzionare un
138 F. Xx Xxxxxx, Contratto e reato. Note sulla causa di credito e sulla causa di garanzia , op. cit., p. 5;
139 X. Xxxx, Formazione e nullità dell’assegno bancario, in Riv. dir. comm., 1963, I, p. 178; così anche X. Xx Xxxx, Il contratto contrario a norme imperative, in Riv. crit. dir. priv., 1985, p.448;
140 G. Villa, Contratto e violazione di norme imperative, op. cit. p. 114 ss.;
comportamento colpevole delle parti, ma ad inficiare il regolamento negoziale per quello
che è e per ciò che contiene”.141
Conferma di ciò si rinviene anche dalle previsioni
normative che riconnettono frequentemente la nullità a proibizioni indirizzate ad uno soltanto dei contraenti: ad es. nel caso del contratto del professionista abusivo (art. 2231) o in quello del mediatore non iscritto all’albo (art. 6, l. 3 febbraio 1989, n. 39).
Non è possibile, dunque, escludere aprioristicamente che l’illiceità penale della condotta prodromica alla conclusione del negozio, pur se realizzata da una sola parte, possa incidere sulla validità dell’operazione determinandone la nullità ma bisogna in concreto distinguere le diverse ipotesi prospettabili. Sotto questo profilo l’approccio più corretto sarebbe proprio quello di rifuggire a qualunque tipo di precostituzione mentale abbracciando un metodo di analisi più pragmatico. Ogni soluzione estremistica porterebbe, infatti, a risultati non convincenti sia che si intenda optare per il principio di non interferenza sia che, al contrario, si intenda aderire al filone consolidato nella giurisprudenza di legittimità che, con riferimento alla fattispecie della circonvenzione di incapace, è caratterizzato dalla tendenza a riconoscere sempre e comunque la nullità dell’atto di autonomia privata a prescindere da una valutazione dell’incidenza del comportamento illecito sulla regola contrattuale.
Vi sono, infatti, casi in cui il comportamento incide esclusivamente sulla volontà contrattuale e non sulla determinazione della regola negoziale. In questi casi l’antigiuridicità rimane “esterna” alla fattispecie non incidendo sull’assetto di interessi delineato dalle parti: qui la nullità da disvalore non troverà spazio potendo al più configurarsi l’annullabilità dell’atto in quanto ad essere incisa è la libera determinazione della volontà negoziale e non il suo contenuto.
E altri casi in cui la scorrettezza comportamentale penetra nel regolamento contrattuale tanto da determinare l’illiceità dell’intera operazione negoziale tutte le volte in cui si traduca nella lesione di quei valori fondamentali che sono riconosciuti dall’ordinamento giuridico come essenziali e caratterizzanti di una data società142 e ciò a prescindere da una specifica previsione legislativa in tal senso.
La soluzione è, in questo modo, affidata all’indagine dell’interprete che, caso per caso, dovrà selezionare quei comportamenti in grado di penetrare all’interno del tessuto contrattuale e che, incidendo sull’intera operazione, concorrono a determinare l’illiceità
141 G. Villa, Contratto e violazione di norme imperative, op. cit. p. 116 ss.;
142 X. Xxxxx, voce Negozio giuridico, op. cit., p.3;
della stessa. L’esito di una tale indagine volta a valutare il contrasto dell’operazione con gli interessi fondamentali dell’ordinamento potrà giungere ad esiti diversificati a seconda della diversa incidenza che i comportamenti assumono all’interno dell’operazione economica considerata.
Anche dai comportamenti in oggetto potrà, quindi, derivare l’invalidità di un contratto, qualora quest’ultimi siano penetrati all’interno del regolamento degli interessi e siano tali “da renderlo riprovevole agli occhi dell’ordine giuridico, il quale non può recepire sotto le sue ali protettive un atto di autonomia privata contrario o ad una norma imperativa proibitiva posta a tutela di interessi generali, o all’ordine pubblico, o al buon costume, salvo che la legge disponga diversamente (art. 1418, comma 1cod. civ.). 143
Non è possibile, dunque, distinguere tra i comportamenti “esterni” al contratto e i comportamenti volti a definire la regola negoziale ritenendo che “i secondi essendo parte integrante del contenuto del contratto, contribuirebbero a definirne gli elementi strutturali e funzionali rilevanti ai fini del giudizio di validità e i primi, non entrando a comporre l’autoregolamento costruito dalle parti, resterebbero irrilevanti ai fini del giudizio di validità”. Al contrario “se è vero che nel giudizio di responsabilità oggetto di valutazione è la condotta, è altrettanto vero che nel giudizio di validità oggetto di valutazione è non tanto e non solo l’autoregolamento costitutivo della fattispecie negoziale quanto la stessa condotta”.144
13. Né a tale conclusione varrebbe obiettare quanto sostenuto dalla Cassazione nella sentenza n. 19024 del 2005. Secondo il Supremo Giudice della nomofilachia “la contrarietà a norme imperative, considerata dall'art. 1418, primo comma, c.c., quale causa di nullità del contratto, postula che essa attenga ad elementi "intrinseci" della fattispecie negoziale, che riguardino, cioè, la struttura o il contenuto del contratto (art. 1418, secondo comma, c.c.). I comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l'esecuzione del contratto rimangono estranei alla fattispecie negoziale e s'intende, allora, che la loro eventuale illegittimità, quale che sia la natura delle norme violate, non può dar luogo alla nullità del contratto a meno che tale incidenza non sia espressamente prevista dal legislatore”.
143 X. Xxxxxxxxxxx, Regole e comportamenti nella formazione del contratto, op. cit., p. 124 ss.;
144 X. Xxxxxxxxxxx, Regole e comportamenti nella formazione del contratto, op. cit., p.135 ss.;
Così ragionando, infatti, l’area della nullità virtuale ex art. 1418, comma 1, verrebbe ad essere circoscritta a due ipotesi: 1) quando la contrarietà a norme imperative riguardi elementi “intrinseci” del contratto e, specificatamente, la sua struttura o contenuto; 2) quando la norma imperativa violata attenga ad elementi “estrinseci” della fattispecie contrattuali ma la sanzione della nullità sia espressamente prevista dal legislatore.
Le conclusioni cui approda la Cassazione con la citata pronuncia non convincono. Xxxxxxx, infatti, domandarsi se quest’ultima, nell’intento di riaffermare implicitamente il valore di quella fondamentale distinzione fra regole di validità del contratto e regole di responsabilità dei contraenti non abbia peccato per eccesso, restringendo esageratamente il campo di applicazione della nullità virtuale se non addirittura azzerandolo.145
Così opinando, infatti, le ipotesi sub 1) si identificherebbero con quelle previste dall’art. 1418, comma 2, concernenti la mancanza di uno dei requisiti indicati dall’art. 1325, l’illiceità della causa, del motivo comune determinante o dell’oggetto del contratto (nullità strutturali). Le ipotesi sub 2) si riferirebbero, invece, ai casi in cui è il legislatore a prevedere espressamente la sanzione della nullità, rientrando nei casi disciplinati dall’art. 1418, comma 3 (nullità testuali). Da quanto detto emerge come, in questo modo, si finirebbe per esautorare l’art. 1418, comma 1, dalla sua portata applicativa, relegandolo ad una norma vuota priva di un concreto riscontro e interamente assorbita dalle fattispecie previste dai commi 2 e 3.146
I termini del contrasto emergono all’interno della già ricordata ordinanza 16 febbraio 2007, n. 3683 con la quale la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha rimesso agli atti del procedimento al Primo presidente, al fine di investire le Sezioni Unite della questione se il comportamento tenuto da un intermediario finanziario, in violazione delle norme che pongono a suo carico obblighi informativi nell’interesse dei clienti, dia luogo alla nullità dei contratti di investimento stipulati.
Attraverso la suddetta ordinanza la Corte viene a rimettere in discussione il principio di non interferenza delle regole di comportamento con le regole di validità ammettendo che il comportamento di una parte possa determinare la nullità dell’operazione negoziale non ostando a ciò la mancata previsione da parte del legislatore
145 X. Xxxxx e X. Xxxxxxxx, Xxx contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della Cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale, in Danno e resp., 1, 2006, p. 25;
146 X. Xxxxxx, Illiceità penale e invalidità del contratto, Milano, 2002, p. 76 ss.;
della corrispondente sanzione invalidante. Si afferma, infatti, che “in presenza di un negozio contrario a norme imperative, la mancanza di un'espressa sanzione di nullità non è rilevante ai fini della nullità dell'atto negoziale in conflitto con il divieto, in quanto vi sopperisce l'art. 1418, comma primo, c.c., che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità”.
Del resto, qui, si sottolinea come le contraddizioni siano rese ancora più evidenti dalla tendenza della giurisprudenza di legittimità a riconoscere, in diverse occasioni, “la nullità del contratto per violazione di norme imperative non attinenti al contenuto del negozio, oppure concernenti la mancata attuazione di adempimenti preliminari o le modalità esecutive del rapporto contrattuale."
Oltre i citati precedenti in tema di circonvenzione di incapaci, tra i casi richiamati compaiono la dichiarazione di nullità del contratto di “swap” stipulato da un intermediario finanziario non iscritto all’apposito albo, in quanto contrario a norme da ritenersi imperative perché dirette a tutelare l’interesse di carattere generale alla regolarità dei mercati e alla stabilità del sistema finanziario. Con riferimento a tale fattispecie la
ha ritenuto che la nullità possa derivare anche dalla violazione di norme
imperative che non attengano ad elementi “intrinseci” della fattispecie negoziale, relativi alla struttura o al contenuto del contratto, ma che pongano limiti all’autonomia negoziale delle parti sotto il profilo delle qualità soggettive di determinati contraenti e dell’esistenza di specifici presupposti (come avviene nel caso in specie per la mancanza nel soggetto attività di intermediazione mobiliare delle caratteristiche della SIM o dell’iscrizione all’apposito albo).
Sarebbe, quindi, irrilevante la mancata previsione da parte del legislatore di una espressa sanzione di nullità in vista della funzione rivestita dall’art. 1418 che disciplina proprio le ipotesi in cui alla violazione di precetti imperativi non si accompagni una previsione di nullità. Non solo. Numerosi sono i casi giurisprudenziali che si uniformano a tale indirizzo interpretativo. In alcuni casi il giudice di legittimità148 ha ritento nullo, ai sensi dell’art. 1418, primo comma, il contratto di agenzia commerciale stipulato con un
147 Cass., 7 marzo 2001, n. 3272. Con riferimento alla nullità del contratto di “swap” stipulato dopo l’entrata in vigore della legge 2 gennaio 1991, n. 1 da soggetto diverso dalla SIM o da una società di intermediazione mobiliare non iscritta al relativo albo v. anche Xxxx. 15 marzo 2001, n. 3753; 5 aprile, n. 5052;
148 Cass., 4 novembre 1994, n. 9063; Cass., 18 luglio 0000, x. 00000;
soggetto non iscritto nel ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio, per violazione della norma imperativa di cui all’art. 9 della legge 3 maggio 1985, n. 204, non derogabile in quanto rivolta alla protezione non solo degli interessi della categoria professionale degli agenti, ma anche degli interessi generali della collettività.
Nella stessa direzione si collocano le pronunce149 che hanno dichiarato la nullità per contrarietà a norma imperativa del contratto di mediazione stipulato con il legale rappresentante di una società non iscritta nell’albo dei mediatori (in violazione dell’art. 8 della legge 3 febbraio 1989, n. 39 e dell’art. 11 del d.m. 21 dicembre 1990 n. 452) o le sentenze150 che hanno ritenuto nulli gli atti posti in essere in violazione della normativa (art. 2 d.l. 6 giugno 1956, n. 476, convertito nella l. 25 luglio 1956, n. 786) che fa divieto ai residenti in Italia di compiere qualunque atto idoneo a produrre obbligazioni tra essi e i non residenti senza autorizzazione ministeriale.
Questi sono solo alcuni dei precedenti citati all’interno dell’ordinanza tesi ad evidenziare l’incongruenza delle affermazioni della Cassazione 19024/2005 che circoscrive la portata dell’art. 1418, 1 comma, fino a quasi esautoralo da una propria autonomia applicativa: in tutte le ipotesi esaminate, infatti, la Cassazione riconnette la sanzione della nullità alla violazione di norme che riguardano elementi estranei a quel “contenuto” o a quella “struttura” ma che concernono contratti conclusi in assenza delle necessarie autorizzazioni amministrative o in mancanza della iscrizione di uno dei contraenti in appositi albi o registri.
14. Di questa ingiustificata restrizione sono consapevoli le stesse Sezioni unite151 che, chiamate a pronunciarsi sulla questione, pur condividendo senza incertezze l’orientamento espresso dalla sentenza 19024/2005, offrono importanti precisazioni circa il raggio d’azione delle nullità virtuali. La Corte, infatti, sulla scia dei precedenti individuati all’interno dell’ordinanza di rimessione, prende atto della circostanza che l’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare nullità del contratto in conformità al disposto dell’art. 1418, comma 1, è in effetti più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo.
149 Cass., 18 luglio 2003, n. 11247; Cass., 15 dicembre 2000, n. 15849;
150 Cass., sez. un., 2 giugno 1984, n. 3357; Cass., 22 giugno 1990, n. 6336; Cass., 7 settembre 1992, n. 10260; Cass., 17 gennaio 1996, n. 365; Cass., 10 maggio 2005, n. 9767; Cass.,19 settembre 2006, n. 20261; 151 Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725;
Quest’ultima si estende, infatti, fino a ricomprendere “sicuramente anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: com’è il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta dalla legge, o in mancanza dell’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registi cui la legge eventualmente condiziona la loro legittimazione a stipulare quel genere di contratti, e simili.”
Nella pronuncia in esame si ha, tuttavia, cura di ribadire che in nessuno di tali casi è stato dato rilievo alla violazione della norma di comportamento gravante su una delle parti, bensì al fatto “che il contratto è stato stipulato in situazioni che lo avrebbero dovuto impedire”. Sotto questo profilo le Sezioni unite negano l’esistenza di un vero e proprio contrasto giurisprudenziale derivante dalla presenza di precedenti difformi in vista dell’eterogeneità delle disposizioni richiamata rispetto alla questione oggetto della pronuncia. Si afferma, infatti, che “se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità del’atto per ragioni, ancora più radicali di quelli di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo”.
Le ragioni che portano ad affermare la nullità dei contratti stipulati da soggetti non autorizzati sarebbero diverse rispetto a quelle che dovrebbero sorreggere la conclusione contraria alla sentenza citata. La nullità dei contratti conclusi da soggetti non abilitati si ricostruisce, infatti, in ragione del divieto di contrarre per coloro che non siano abilitati: quest’ultimo assumerebbe rilievo come norma imperativa la cui violazione determina la nullità ai sensi dell’art. 1418, primo comma.
Viceversa le norme che impongono obblighi comportamentali conformi a quei doveri di correttezza e buona fede che presiedono alle trattative contrattuali e rivestono carattere immanente per tutta la vicenda contrattuale, non sarebbero suscettibili a tradursi in altrettanti divieti a contrarre: qui il ricorso alla nullità risulterebbe arbitrario dal momento che non sarebbe il contratto a porsi in contrasto con l’ordinamento ma esclusivamente il comportamento tenuto da uno dei contraenti nei confronti dell’altro. 152
152 X. Xxxxxxxxx, Regole di comportamento nella trattativa e nullità dei contratti:la criticabile ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni unite, in Corr. giur. 2007, 5, p.637 ss.; Id., L’insegnamento delle
Riservando ad un momento successivo le critiche in ordine alle conclusioni cui perviene la Corte, xxxxx qui rilevare come, se per alcuni aspetti la presa di posizione della Cassazione coglie nel segno, per altri meriti sicuramente di essere censurata. Sicuramente da condividere è l’affermazione che riconnette ai contratti conclusi in violazione dei divieti soggettivi di contrarre la sanzione della nullità: abbiamo, infatti, già avuto modo di criticare la posizione di chi, applicando il criterio della c.d. “direzione del divieto”,153 ritiene sussistente un effettivo contrasto con la norma violata solo nelle ipotesi in cui questa vieta il comportamento di entrambe le parti nella conclusione dell’accordo. Ai fini della contrarietà del contratto a norme imperative è indifferente quanti siano i destinatari del divieto ma ciò che rileva è che esso investa il regolamento contrattuale così come convenuto dalle parti, giustificandone l’attrazione nell’orbita dell’art. 1418, primo comma.154
Al contrario, non è condivisibile, anche alla luce delle considerazioni svolte nei paragrafi precedenti, l’asserita eterogeneità delle situazioni sottoposte al vaglio della Suprema Corte. Se, infatti, si riconosce la nullità dei contratti stipulati in assenza delle necessarie autorizzazioni amministrative o in mancanza della iscrizione di uno dei contraenti adducendo che in questi casi è la stessa esistenza del contratto a porsi in contrasto con la norma imperativa, non si vede come analoga conclusione non possa raggiungersi con riferimento alle ipotesi in esame: l’obbligo di comportarsi con correttezza e buona fede riveste, come le stesse Sezioni unite sottolineano, il carattere di norma imperativa che si impone nella vicenda contrattuale in attuazione di un principio cardine dell’ordinamento riconducibile a quel dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost. .
Non si comprenderebbe allora perché non possa sostenersi che “anche il contratto concluso in violazione del dovere di correttezza è un contratto vietato dal legislatore (a
Sezioni Unite sulla rilevanza della distinzione tra norme di comportamento e norme di validità, in Corr. giur. 2008, 2, p. 234;
153 v. sul punto nota 132;
154 X. Xxxxxxxx, Regole di condotta e regole di validità nell’attività d’intermediazione finanziaria: quale tutela per gli investitori delusi?, in Corriere giuridico, 1, 2008, p. 110; Id., Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Napoli, 2003, p. 140;
contraenti xxxxxxxxx), sì che la parte che concluda il contratto in dispregio del divieto pone inevitabilmente in essere un contratto in contrasto con la norma imperativa”.155
A meno che non si vogliano qui condividere i numerosi tentativi elaborati dalla dottrina al fine di selezionare tra i precetti inderogabili norme per loro natura inidonee ad integrare la fattispecie della nullità virtuale ex art. 1418, primo comma, in caso di loro violazione.
Tra questi si colloca la già citata teoria che distingue le norme inderogabili in norma imperative positive (o precettive) e norme imperative proibitive: solo quest’ultime si presterebbero ad integrare la fattispecie dell’art. 1418, comma 1, mentre la buona fede, rientrando nella prima categoria, esulerebbe dal suo ambito applicativo. A tale conclusione è stato, tuttavia, obiettato che ogni norma imperativa è al contempo positiva e proibitiva, corrispondendo sempre all’imposizione di determinati comportamenti la proibizione di comportamenti difformi.156
Analogamente deve respingersi quella teoria che fonda l’individuazione delle norme imperative suscettibili di determinare, in caso di loro violazione, la nullità del contratto ex art. 1418, 1 comma, in base alla loro “inderogabilità”:157 la norma imperativa rilevante ai fini dell’art. 1418, primo comma, sarebbe quella “osservarsi inderogabilmente da tutti”.158 Ma, anche volendo aderire a tale impostazione, sembrerebbe da escludersi che una regola basilare come quella che impone alla parti di comportarsi con correttezza e buona fede, costituente attuazione del più generale dovere di solidarietà di matrice costituzionale, possa essere rimessa alla libera disponibilità delle parti. 159
Né sembra cogliere nel segno il correttivo proposto da quella teoria che precisa che la norma imperativa sarebbe sì quella inderogabile, purché essa sia posta a tutela di interessi pubblici e generali: in tal modo si arriverebbe ad affermare che la norma è inderogabile se tutela (anche) interessi generali, mentre è derogabile se tutela un interesse
Ma, poiché tutte le norme inderogabili proteggono interessi
155 X. Xxxxxxxx, Violazione degli obblighi di informazione nei servizi di investimento e rimedi contrattuali, op. cit., p. 954;
156 X. Xxxxx, Contratto e violazione di norme imperative, op. cit., p. 156;
157 X. Xxxxxxxx- X. Xxxxxxxxxxx, Manuale di diritto privato, Milano, 1990, p. 20;
158 X. Xxxxx, Contratto e violazione di norme imperative, op. cit., p.86; Cass. 4 dicembre 1982, n. 6601;
159 X. Xxxxxxxx, Violazione degli obblighi di informazione nei servizi di investimento e rimedi contrattuali, op. cit., p. 957;
160 M. Bianca, Diritto civile, 1, La norma giuridica. I soggetti, Milano, 1978, p. 12;
pubblici, tutte le norme imperative che per definizione sono inderogabili, dovrebbero determinare nullità.
Come spiegare allora la previsione contenuta nello stesso art. 1418, 1 comma, che espressamente riconosce la possibilità che alla violazione di una norma imperativa non segua come conseguenza inevitabile la sanzione della nullità, facoltizzando il legislatore a “disporre diversamente”? L’impostazione non è da condividere, pena l’ammissione una evidente contraddizione nel sistema. Per uscire da questo empasse occorrerebbe, allora distinguere la “violazione” della norma dalla “deroga” della stessa. In questa rinnovata prospettiva la distinzione in base alla natura degli interessi coinvolti riprenderebbe vigore: nel caso in cui vengono in rilevo interessi individuali delle parti quest’ultime potranno sostituire il disposto normativo con una discipline privata. Diversamente avviene con riferimento al caso della violazione della norma inderogabile: “qui le parti non intendono sostituire una lex privata ad una lex publica, ma più semplicemente non si curano della lex publica”: 161 qui la sanzione non potrebbe essere diversa da quella della nullità per contrasto con norma imperativa.
Dobbiamo, allora, concludere nel senso che nel caso di contratto stipulato in contrasto con il precetto generale di buona fede, nessuna di queste impostazioni sembrerebbe ostare alla configurabilità del rimedio della nullità virtuale: al contrario, sembrerebbe questa la conclusione più rispettosa della coerenza dell’impianto sistematico delineato dalla legge tutte le volte in cui la violazione di quest’ultima si traduca nella lesione di un interesse superindividuale com’è quello della tutela dell’integrità del mercato. Verrebbe, qui, confermato l’assunto per cui una norma espressa occorrerà per escludere e non per disporre la inevitabile conseguenza della nullità della pattuizione: saranno, dunque, “le prime ad avere carattere derogatorio, mentre le seconde convalidano e precisano l’efficacia della regola generale, secondo la quale il contratto contrario a norma imperative è nullo”.162
15. Una volta delineata la portata applicativa dell’art. 1418, comma 1, la Corte si interroga, allora, su quale sia la sorte dei contratti stipulati a seguito della violazione degli
161 X. Xxxxx, Contratto e violazione di norme imperative, op. cit., 89;
162 X. Xxxxxxxx, Violazione degli obblighi di informazione nei servizi di investimento e rimedi contrattuali, op. cit., p. 957;
obblighi comportamentali, sub specie di obblighi informativi, che si impongono agli intermediari finanziari nell’esercizio della loro attività professionale.
La questione negli ultimi anni si è imposta con vigore all’attenzione della giurisprudenza a seguito dei recenti scandali finanziari che hanno travolto il risparmio nel nostro paese. Ciò ha determinato la ricerca di una soluzione possibile che da un lato valga a fornire un’adeguata tutela all’investitore tradito e dall’altro costituisca un valido deterrente a pratiche distorsive degli equilibri del mercato al fine di preservare la fiducia, la stabilità, il buon funzionamento e la competitività del sistema finanziario. Al riguardo, come è noto, la stessa normativa di riferimento nel dettare le regole che informano l’attività degli intermediari finanziari (art. 21, comma 1, lett. a, dlgs 58/98) precisa come nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento i soggetti abilitati debbano comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e l’integrità dei mercati. E’, dunque, evidente la stretta relazione che avvince i due profili, pubblico e privato, che convivono e si intersecano nella materia in esame: qui correttezza e diligenza sembrerebbero esprimere concetti più ampi di quelli sottesi alle norme codicistiche “operando non soltanto nel quadro di un rapporto obbligatorio con l’investitore per la tutela del soddisfacimento del suo interesse, ma anche più in generale (e in via di principio) in relazione allo svolgimento dell’attività economica come canone di condotta volto a realizzare una leale competizione e a garantire l’integrità del mercato”.163
Quanto precisato renderebbe evidente la coesistenza nel settore dell’intermediazione finanziaria di interessi di carattere generale che varrebbero a rendere inderogabili le regole di comportamento ivi contenute: quest’ultime, infatti, essendo poste a tutela dell’ordine pubblico economico rientrerebbero nel novero di quelle norme imperative che, se violate, determinerebbero la sanzione della nullità del contratto ex art. 1418, comma 1, a prescindere da una espressa previsione in tal senso da parte del legislatore. Del reso numerosi sono i precedenti giurisprudenziali in questa direzione.
Si pensi al Tribunale di Mantova che nel marzo 2004164
per la prima volta ha
coraggiosamente imboccato la xxxxxx xxxxx xxxxxxx xxx xxxxxxxxx xx xxxxx, volto all’acquisto di bond argentini, per violazione degli artt. 21 Tuf e 28 e 29 del Regolamento Consob, da considerarsi come norme imperative ex art. 1418, in considerazione degli interessi tutelati
163 Trib. Firenze 19 aprile 2005, in Corr. giur., 2005, p. 1271;
164 Trib. Mantova 18 marzo 2004, in I contratti, 2004, p. 717;
(diligenza degli intermediari nonché tutela del risparmio) e della natura generale di siffatti interessi.165 Il già citato Tribunale di Firenze che ha sostenuto la presenza nel settore dell’intermediazione mobiliare di interessi di carattere generale che renderebbero inderogabili le norme di comportamento ivi contemplate. Il Tribunale di Torino che nel novembre del 2005 affermando la natura imperativa della disciplina primaria (tuf) e secondaria (Reg. Consob) relativa ai servizi di investimento specifica che “laddove siano ravvisabili interessi pubblici e il legislatore abbia ritenuto di specificare il comportamento di uno dei contraenti per assicurare il soddisfacimento di quegli interessi, quel comportamento assume una rilevanza che esorbita dall’interesse individuale dell’altro contraente. L’inosservanza da luogo ad un comportamento illecito e l’illiceità travolge tutti gli atti conseguenti”. 166 Il Tribunale di Trani che nel maggio del 2006, ha statuito che le norme regolatrici i doveri di informazione del cliente, essendo dettate nell’interesse pubblico, vanno considerate norme imperative.167 Il Tribunale di Firenze che nel gennaio 2007 ha affermato che la normativa in materia di intermediazione finanzia riveste connotazioni pubblicistiche che valgano ad attrarle nel novero delle norme imperative che se violate determinano la sanzione della nullità ex art. 1418, 1 comma.168
In tutte queste soluzioni frequente è il richiamo al precedente della Cassazione n. 3272 del 2001169 il quale (sebbene riferito alla previgente disciplina l. 1/91) gioca un ruolo decisivo nell’argomentare la tesi della nullità. Tale pronuncia viene, infatti, evocata sia per corroborare l’assunto della rilevanza pubblica degli interessi tutelati dalle norme del t.u.f., sia per affermare la nullità virtuale prevista dall’art. 1418 in caso di contratto contrario a norme imperative anche senza una esplicita previsione in tal senso.170
Tuttavia, la giurisprudenza di merito non sempre si è dimostrata coerente sul punto. Al contrario, osservando le pronunce degli ultimi anni ci si rende conto di come spesso giudici differenti associno ad un medesimo comportamento dell’intermediario finanziario conseguenze giuridiche differenti.
165 Trib. Mantova 12 novembre 2004, in I contratti, 2005, p. 585 ss.;
166 Trib. Torino 7 novembre 2005 in xxx.xxxxxx.xx;
167 Trib. Trani 30 maggio 2006, in Banca borsa tit. cred., 2007, II, p. 324 ss.;
168 Trib. Firenze, 18 gennaio 2007, n. 229, in Rass. dir. civ., 2007, p. 1132 ss.;
169 Cass., 7 marzo 2001, n. 3272 in xxx.xxxxxx.xx;
170 T. Febbrajo, Violazione delle regole di comportamento e rimedi civilistici, in La tutela del consumatore dei servizi finanziari, (a cura di) X. Xx Xxxxx, Napoli, 2007, p. 151 ss.;
In contrapposizione alla prospettata soluzione di nullità, viene, infatti, ad essere individuato un filone giurisprudenziale che considera la violazione dell’obbligo di informazione alla stregua di un inadempimento contrattuale con conseguente diritto dell’investitore di ottenere la risoluzione del contratto e il risarcimento integrale dei danni
Il risparmiatore male informato non potrà, dunque, ottenere la nullità del
contratto di acquisto dei valori mobiliari ma potrà chiedere all’intermediario il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1218 e, nei casi di inadempimento di non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455, la risoluzione del contratto. Tale opzione interpretativa si fonda sulla previsione normativa che impone agli intermediari autorizzati di fornire i propri servizi sulla base di un apposito contratto scritto, (art. 23 T.u.f.; art. 30 del reg. Consob 11522/98 oggi art. 37 reg. Consob 16190) destinato ad assolvere alla funzione di contratto-quadro (master agreement) rispetto alle successive attività negoziali che verranno poste in essere in esecuzione del suddetto contratto.
La violazione dei doveri di informazione e cautela, strumentalizzati ad emancipare l’investitore dalla situazione di gap informativo in cui versa a fronte dell’operatore professionale, costituiscono inadempimento di obbligazioni derivanti dal contratto quadro stipulato a monte tra le parti: in quest’ultimo confluiranno accanto alle convenzioni divisate dai contraenti anche gli obblighi previsti dal T.u.f. e dai Regolamenti Consob, in virtù del meccanismo di integrazione legale ex art. 1374.172
Così ragionando nel caso reticenza, disinformazione o mancata acquisizione di informazioni necessarie alla definizione di un corretto profilo dell’investitore, l’inadempimento del soggetto abilitato si rappresenta come un vizio “funzionale” del contratto quadro e non in qualità un vizio genetico dei singoli contratti di acquisto dei
171 In questo senso Trib. Asti, 29 marzo 2007, in Corr. Merito, 2007, p. 1023 con nota di X. Xxxxxxxxx, Bonds argentini tra servizio di negoziazione ed eventi sopravvenuti; Trib. Lecce, 12 giugno 2006, in xxx.xxxxxx.xx; Trib. Bari, 7 novembre 2006, ivi; Trib. Padova, 17 maggio 2006, ivi; Trib. Foggia, 21 Aprile 2006, ivi; Trib. Firenze 21 febbraio 2006, ivi; Trib. Catania 5 maggio 2006, ivi; Trib. Milano, 26 Aprile 2006 e Trib. Genova, 22 febbraio 2006, con nota di X. Xxxxxxxxxxx, Scandali finanziari: profili di responsabilità dell’intermediario, in Xxxxx e resp., 2006, p. 874 ss.; Trib. Rovereto, 18 gennaio 2006, in Contr. impr., 2006, p. 579; Trib. Torino 9 febbraio 2006, in xxx.xxxxxx.xx; Trib. Padova, 13 gennaio 2006, in xxx.xxxxxx.xx; Trib. Cosenza, 1 marzo 2006, con nota di E. A. Xxxxxxxxx, La responsabilità della banca per omessa informazione del deterioramento del rating di obbligazioni acquistate da un cliente in Riv. dir. comm., 2006, p.111;
172 T. Febbrajo, Violazione delle regole di comportamento e rimedi civilistici, in La tutela del consumatore dei servizi finanziari, op. cit., p. 159 ss.;
prodotti finanziari. Tale inadempimento importerà la risoluzione del contratto quadro laddove “le violazioni commesse risulteranno di gravità tale da compromettere del tutto l’equilibrio del rapporto negoziale, ovvero quando, pur prescindendo dal singolo rapporto obbligatorio con l’investitore teso alla tutela del suo soddisfacimento individuale, ledono il prioritario principio della integrità del mercato”.173
Così opinando i singoli ordini di acquisto degli strumenti finanziari impartiti dai clienti si configurerebbero alla stregua di dichiarazioni di volontà prive di natura negoziale posti in essere dal mandatario su incarico del mandante: atti esecutivi che hanno la funzione di individuare e specificare il contenuto della prestazione dovuta da colui che è già obbligato in virtù del contratto quadro, alla stregua di un’obbligazione generica cui spetta al creditore specificare la prestazione dovuta.174
Sotto questo profilo è da segnalare quell’ orientamento giurisprudenziale175 che, utilizzando lo stesso impianto argomentativo della suddetta impostazione, arriva però a conclusioni diverse: a fronte dell’inadempimento dei doveri imposti a carico dell’intermediario si propende, qui, non per la risoluzione del contratto-quadro ma del singolo contratto di acquisto del prodotto finanziario.
Questa tesi,tuttavia, si espone ad evidenti rilievi critici. Non potendo ulteriormente approfondire la questione, basti qui rilevare che, così opinando, si dichiarerebbe la risoluzione del contratto in vista di obblighi che si collocano in una fase prodromica alla stipulazione contrattuale e non nella sua fase esecutiva: solo con riferimento al contratto quadro, infatti, la violazione dei suddetti doveri può atteggiarsi alla stregua di vizio funzionale mentre con riferimento ai singoli contratti di acquisto verrebbero ad atteggiarsi ad obblighi attinenti alla fase di formazione del vincolo negoziale e che, dunque, precludono l’utilizzazione dei rimedi in questione. Ma il novero delle posizioni prospettate in giurisprudenza non si esaurisce qui.
Non può, infatti, non menzionarsi la posizione di coloro che ritengono che il comportamento scorretto dell’intermediario possa condurre all’annullamento per vizio del
173 Trib. Parma 21 marzo 2007 in xxx.xxxxxx.xx;
174 X. Xx Xxxx, Prodotti finanziari e tutela del risparmiatore, in Corr. giur., 2005, p. 1286;
175 Trib. Lodi, 12 gennaio 2007, in xxx.xxxxxx.xx; Trib. Milano, 26 Aprile 2006, ivi; Trib. Firenze 21 Febbraio 2006, ivi;
consenso.176 In questi casi la combinazione delle informazioni fornite o di quelle non fornite da quest’ultimo potrebbero spingere l’investitore a rappresentarsi una situazione diversa da quella reale: potrebbe, infatti, essere indotto a concludere un contratto che, se fosse stato adeguatamente informato, non avrebbe concluso. E ciò in virtù di un comportamento doloso dell’intermediario che potrebbe esplicarsi anche attraverso una semplice omissione informativa.177
E’ in questo scenario multiforme e cangiante che si inserisce la citata pronuncia della Cassazione 19024/05, aggiungendo al panorama delle soluzioni possibili un’opzione interpretativa fino ad allora inedita. Il contraente vittima del comportamento scorretto potrà chiedere il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1337 interpretata come clausola generale idonea a ricomprendere non soltanto le ipotesi di rottura ingiustificata della trattativa (e, quindi, di mancata conclusione del contratto) o di conclusione di un contratto invalido o, comunque, inefficace, ma tutti i casi i casi in cui il contratto in essere sia stato validamente concluso e risulti, tuttavia, pregiudizievole in vista delle scorrettezze perpetrate nella fase della sua formazione.
In questi casi il risarcimento del danno deve essere quantificato nel minor vantaggio o maggior aggravio economico cagionato dal comportamento sleale, salvo la prova di ulteriori danni che risultano collegati a tale comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale diretto.
La sentenza in commento, tuttavia, non sopisce i contrasti giurisprudenziali in atto. Al contrario successivamente alla sua emanazione si alternano diverse pronunce che continuano a praticare il rimedio della nullità, disattendendo le conclusioni della Corte.178 Ma perché questa soluzione non ha trovato consensi nelle aule giudiziarie? Forse,
come ha sostenuto autorevole dottrina, per una ragione molto empirica, apprezzabile sia dal punto di vista dell’attore sia dal punto di vista del giudicante: “la dichiarazione di nullità e la pronuncia di risoluzione implicano la condanna alla restituzione (della somma investita dal cliente), mentre la prospettiva della responsabilità precontrattuale
176 Trib. Pinerolo 14 Ottobre 2005, in Giur. it., 2006, p. 521 ss.; Trib. Lanciano, 30 Aprile 2007, in xxx.xxxxxx.xx; Trib. Napoli, 7 novembre 2006, ivi; Trib. Ancona, 12 aprile 2007, ivi; Trib. Parma, 6 dicembre 2006, ivi;
177 Rinviamo sul punto a quanto sostenuto nel capitolo precedente in materia di dolo omissivo.
178 Trib. Firenze, 18 gennaio 2007, in xxx.xxxxxx.xx; Trib. Brindisi, 29 marzo 2007, ivi; Trib. Brindisi, 21
Luglio 2006, ivi; Trib. Trani, 31 gennaio 2006 , ivi; Trib. Pescara, 28 febbraio 2006, ivi; Trib. Teramo, 18 maggio 206, ivi; Trib. Brindisi, 21 dicembre 2005, in xxx.xxxxxxxxxx.xx;
implica condanna al risarcimento (da quantificare, secondo il criterio dell’interesse negativo). Ma per l’attore è enormemente più agevole e sicuro perseguire, e per il giudicante è meno faticoso emettere, una condanna a restituire una somma già predefinita, piuttosto che risarcire una somma ancora da definire (e magari di definizione problematica).” 179
16. Tutte queste problematiche convergono nella pronunce delle Sezioni Unite180, resesi necessarie al fine di mettere un punto fermo su una questione di massima importanza che reca con se importanti implicazioni anche dal punto di vista dogmatico.
La Corte, seppure con le opportune precisazioni sopra richiamate, si pone in linea di continuità con la sentenza 19024/05. Aderendo al classico principio di separazione tra regole di comportamento e regole di validità esclude che dalla violazione di norme comportamentali possa derivare la nullità del contratto di intermediazione o dei singoli atti negoziali conseguenti. Al contrario adotta una soluzione che si atteggia diversamente in base al momento in cui l’intermediario pone in essere il comportamento scorretto.
La violazione dei doveri di informazione che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, ove tali violazioni avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto d’intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti; può, invece, dar luogo a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto medesimo.
Secondo il ragionamento seguito dalla Corte è, infatti, possibile individuare all’interno della normativa di riferimento una serie di disposizioni dirette a regolamentare i rapporti tra intermediario e investitore di cui alcune si collocano in una fase anteriore alla vera e propria stipulazione contrattuale ed altre nella fase propriamente esecutiva.
L’art. 21 del d.lgs. 58/98,181 in particolare, al primo comma, individua una serie di regole di condotta imposte ai soggetti abilitati nella prestazione dei servizi di
179 X. Xxxxx, La tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento (ovvero, l’ambaradan dei rimedi contrattuali), op. cit. p. 908;
180 Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725 in xxx.xxxxxx.xx;
181 Ricordiamo come al tempo dei fatti in causa la disciplina vigente era la l. 1/91, in seguito abrogata e sostituita prima dal d.lgs. 415/96 e poi dal d.lgs. 58/98. Tuttavia, per comodità espositiva, nel delineare gli
investimento: quest’ultimi sono tenuti a comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; ad acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che siano adeguatamente informati; ad organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento.
All’interno di queste sarebbero individuabili alcune regole che si impongono all’intermediario ancora prima della stipulazione contrattuale in virtù unicamente del “contatto” che si instaura tra quest’ultimo e l’investitore non sofisticato. E’ stato evidenziato182 come questa interpretazione sia suffragata da alcuni riferimenti testuali. Lo stesso art. 21 si esprime, infatti, nel senso che le norme di comportamento operano nella “prestazione” dei servizi e delle attività di investimento: la scelta di tale terminologia induce a ritenere che l’operatività della stessa non è necessariamente connessa alla previa conclusione di un contratto. Si sostiene, in particolare, che il legislatore qualora avesse voluto circoscrivere la portata dei suddetti obblighi alla fase esecutiva del rapporto avrebbe potuto usare la seguente locuzione “nella esecuzione dei contratti di investimento i soggetti abilitati devono…”.
Analoga considerazione può essere fatta con riferimento al capo secondo della normativa di riferimento rubricato “svolgimento dei servizi e delle attività” e non “contratti con gli investitori” che determina un’attrazione nella sfera applicativa della suddetta normativa anche dei comportamenti tenuti nella fase prenegoziale.
Ma a prescindere dal dato letterale, la sussistenza di obblighi che si collocano nella fase prodromica alla conclusione del contratto risulta evidente anche esaminando il tenore dei doveri comportamentali che si impongono all’osservanza degli intermediari finanziari. Sicuramente appartengono a questa fase gli obblighi informativi che devono necessariamente caratterizzare i rapporti tra investitori e intermediari abilitati durante tutta la complessa dinamica contrattuale.
Se si considera, infatti, l’art. 21, comma1, lett. b, d.lgs. 58/98 quest’ultimo prevede l’obbligo da parte dell’intermediario “di acquisire le informazioni necessarie dai
obblighi di condotta dell’intermediario finanziario nella prestazione dei servizi di investimento faremo riferimento alla disciplina vigente al momento in cui si scrive.
182 X. Xxxxxxxxxxx, Inosservanza delle norme di comportamento: la Cassazione esclude la nullità, in I contratti, 3, 2008, p. 236;
clienti e operare in modo che siano sempre adeguatamente informati”. L’obbligo informativo si atteggia qui in una duplice prospettiva: da un lato come obbligo di acquisizione di informazione dai clienti necessari ai fini della definizione del profilo dell’investitore (know your costumer rule),183 dall’altro come un obbligo di dazione d’informazioni che sussiste sia in ordine alle operazioni da investimento effettuate sia con riferimento a quelle da effettuare.184 Tale obbligo informativo sorge, dunque, ancora prima che il contratto venga ad essere stipulato ed è strumentalizzato “in vista” della conclusione del suddetto contratto.185
Una volta constatata la sussistenza di pregnanti obblighi informativi che assistono il rapporto investitore-intermediario anche precedentemente la sottoscrizione formale del
183 L’art. 28, comma 1, lett. a) Reg. Consob 11522/98, in attuazione del suddetto principio, prevede l’obbligo dell’intermediario, prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti (contratto-quadro), di chiedere all’investitore “notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio”. Inoltre stabilisce l’obbligo di consegnare all’investitore il documento sui rischi generali di investimento in strumenti finanziari. Nell’articolo in commento si intende, così, valorizzare la specificità di ciascuna contrattazione, al fine di “mitigare gli effetti di una valutazione del rischio, svolta su un campione di situazioni ampio e differenziato.” A logica diametralmente opposta si ispira il nuovo regolamento Consob 16190/07, eleggendo a modello cui riferirsi l’investitore medio. L’art.
28 dispone al comma 2, lett. C, che le informazioni debbano avere un contenuto e siano con ogni probabilità comprensibili per l’investitore “medio” del gruppo al quale sono dirette o dal quale saranno ricevute. Si dovrà, dunque, fare riferimento alla categoria degli investitori alla quale il singolo appartiene (cliente al dettaglio; professionali; controparti qualificate) e prendere come parametro l’investitore medio appartenente a tale gruppo. Tuttavia, ad una più attenta analisi, questa tendenza all’astrazione viene contraddetta dal successivo art. 39 Reg. Consob 16190/07 che, proprio al fine di raccomandare i servizi di investimento e gli strumenti finanziari adatti al cliente nella prestazione dei servizi di consulenza in materia di investimenti o di gestione del portafoglio, ribadisce e rafforza l’ambito delle informazioni “necessarie” che l’intermediario deve acquisire dal cliente: l’attenzione, qui, verte sulle peculiarità del singolo investitore che non può essere identificato in un cliente-tipo ma reclama attenzione con riferimento alle circostanze del caso concreto. Sul punto v. X. Xxxxx, La regola dell’informazione nel nuovo regolamento Consob, in xxx.xxxxxx.xx;
184 L’art. 28 reg. Consob vieta agli intermediari di effettuare o consigliare operazioni senza aver prima fornito all’investitore “informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte d’investimento o disinvestimento”.
185 X. Xxxxxxxxxxx, Inosservanza delle norme di comportamento: la Cassazione esclude la nullità, op. cit., p. 237;
contratto quadro, ne deriva che la violazione di quest’ultimi non può che determinare un responsabilità precontrattuale ex art. 1337 dalla quale discendono conseguenze risarcitorie. Quest’ultime dovranno essere commisurate al minor vantaggio o al maggior aggravio economico prodotto del comportamento tenuto in violazione dell’obbligo di buona fede, salvo che sia dimostrata l’esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto.
Del resto tale ragionamento trova conferma con quanto già sostenuto nella citata sentenza 19024/05, alla quale la Corte intende esplicitamente aderire: l’art. 1337 assume, qui, il valore di una clausola generale il cui contenuto non può essere predeterminato in maniera precisa, ma certamente implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o anche solo reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o anche solo conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto.
Diversamente accade quando ad essere violati siano doveri che attengono alla fase successiva alla stipulazione contrattuale: in questo caso la responsabilità sarà di tipo contrattuale per inadempimento (o inesatto adempimento), potendo, nei casi in cui ricorrano gli estremi di gravità previsti dall’art. 1455, condurre anche alla risoluzione del contratto.
L’art. 1218 prevede, in particolare che “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. In questi casi la prestazione dovuta è individuata nel contratto di investimento sottoscritto dalle parti186 il quale risulta composto sia dalle disposizioni concordate tra le parti, sia da un contenuto minimo predefinito dalla normativa di
Da ciò discende che l’inottemperanza ai doveri di condotta ivi sanciti
costituisce un inadempimento contrattuale dell’intermediario sanzionabile con il risarcimento. Né il fatto che gli obblighi di condotta siano puntualmente definiti dalla normativa di settore, determina di per sé l’esclusione della normativa generale in materia di obbligazioni e contratti. L’intermediario sarà, dunque, tenuto oltre a quanto statuito
186 Sul punto v., Il contratto di intermediazione finanziaria davanti alle Sezioni unite, in Contr. impr., 1, 2008, p.1 ss.;
187 Si pensi agli art. 37 e 38 del nuovo regolamento Consob n. 16190 del 2007, ai quali si rinvia, che definiscono il contenuto minimo dei contratti conclusi con gli investitori.
all’interno del d.lgs. 58/98 e nei regolamento attuativi, anche al dovere di correttezza ex art 1175 e alla diligenza qualificata dalla natura professionale dell’attività svolta ex art. 1176, secondo comma.
17. Tuttavia, a differenza di quanto accade nell’ipotesi della risoluzione e della nullità del contratto, dove la condanna alla ripetizione consegue in maniera pressoché automatica, in caso di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, sarà necessaria la sussistenza di un danno e la prova del nesso di causalità tra l’inadempimento e il suddetto evento lesivo.
Con riferimento al primo requisito è stato evidenziato come per giungere ad una condanna dell’intermediario non basta la semplice violazione delle disposizioni di legge e di regolamento poste a suo carico: occorre che da queste sia derivato un danno in quanto il nostro ordinamento “non punisce in sé determinati comportamenti illegali, quanto piuttosto le conseguenze negative che ne derivano”.188
Con riferimento alla prova del nesso di causalità fino ad un recente passato la giurisprudenza unanime ha ritenuto che l’attore-investitore debba fornire la prova del nesso di causalità tra la violazione della regola contrattuale e il pregiudizio subito. In questi casi, dunque, il risarcimento non avverrà in forma automatica ogni volta in cui sia ravvisabile una violazione dei doveri di condotta ma il relativo onere probatorio graverà in capo alla parte creditrice: in particolare, trattandosi nel contesto in esame di obblighi informativi, la prova presupporrebbe la dimostrazione che, qualora il cliente fosse stato adeguatamente informato, non avrebbe effettuato l’investimento svantaggioso.189
Tuttavia, è stato evidenziato190
come tale impostazione si traduca in un grave
vulnus di tutela per l’investitore al quale, in definitiva, si imporrebbe l’oneroso compito di identificare il contenuto delle informazioni che il convenuto stesso avrebbe dovuto rivelargli (e che invece ha omesso di fare). In suddetti casi l’intermediario potrebbe andare esente da responsabilità proprio perché il cliente non è in grado di individuare
188 X. Xxxxxxxxxxx, La Cassazione interviene di nuovo sulle norme di condotta degli intermediari finanziari in Danno e resp. 5, 2009, p. 509;
189 T. Febbrajo, Violazione delle regole di comportamento e rimedi civilistici, in La tutela del consumatore dei servizi finanziari, op. cit., p. 164;
190 X. Xxxxxxxxx, Negoziazione di titoli obbligazionari e insolvenza dell’emittente: quale tutela per il risparmiatore non adeguatamente informato? in Nuova giur. civ. comm., 2006, p. 608 ss.;
quelle informazioni che se non omesse avrebbero orientato diversamente le sue scelte di investimento. 191
Di ciò sembra essere consapevole la stessa giurisprudenza che, una volta rilevato l’inadempimento dell’intermediario, raramente rigetta la domanda dell’investitore per carenza di prova del nesso di causalità tra inadempimento condannando il debitore al risarcimento in xxx xxxxxxxxx xxxxxxxxxx.000 Xx xxxxxx xxxx ritiene che il nesso di causalità debba ritenersi in re ipsa allorché l’intermediario abbia violato l’obbligo di astensione, come accade nel caso di conflitto di interessi o operazioni inadeguate. 193 In altri casi, ammette che la prova del nesso possa essere data anche per presunzioni: in questi casi il giudice può desumere il nesso eziologico attraverso presunzioni probabilistiche che si fondino sul rapporto di sequenza costante fra antecedente e dato consequenziale.194 Non solo. Alcune pronunce al fine di colmare il deficit di tutela per l’investitore utilizzano l’espediente di mutare l’oggetto dell’indagine circa la sussistenza del nesso causale: secondo quest’orientamento il giudizio ipotetico verterebbe non già sulla rilevanza causale dell’inadempimento dell’intermediario rispetto alle scelte di investimento del cliente, ma sulla presenza, a seguito della violazione dei suddetti doveri di informazione, di una lesione all’ “integrità patrimoniale dell’investitore” risarcibile in via autonoma.195
Nella stessa ottica di favor per l’investitore danneggiato si colloca chi riconnette all’art. 23, comma 6, T.u.f., l’effetto di invertire l’onere probatorio rispetto alle regole generali in tema di inadempimento contrattuale, anche con riferimento alla prova del
191 X. Xxxxxxxxx, Negoziazione di titoli obbligazionari e insolvenza dell’emittente: quale tutela per il risparmiatore non adeguatamente informato?, op. cit., p. 608;
192 Trib. Milano, 5 gennaio 2006, in xxx.xxxxxx.xx; Trib. Genova, 2 agosto 2005, ivi; Trib. Lodi, 22 febbraio
2005, ivi;
193 Contra Trib. Venezia 28 febbraio 2008, con nota di X. Xxxxxxx, Dopo le Sezioni unite: l’intermediario che non si astiene restituisce al cliente il denaro investito, in Contratti, 2008, p.555: qui si afferma che, in generale, l’onere di dimostrare il nesso di causalità tra l’inadempimento degli obblighi comportamentali e il danno spetti all’investitore. Tuttavia, il nesso di causalità in questione deve ritenersi in re ipsa allorché l’intermediario abbia violato l’obbligo di astensione, come nel conflitto di interessi e nelle operazioni inadeguate.
194 Cass., 2 febbraio 2007, n. 2305 in xxx.xxxxxx.xx;
195 Trib. Cosenza 1 marzo 2006, cit.; Trib. Roma 8 Ottobre 2004, in xxx.xxxxxx.xx; Trib. Roma 25 maggio 2005, ivi; sul punto v. X. Xxxxx xxxx, Negoziazione di titoli obbligazionari e insolvenza dell’emittente: quale tutela per il risparmiatore non adeguatamente informato?, op.cit., p. 608 ss;
Quest’ultimo prevede, in particolare, che “nello svolgimento dei
servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l'onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta.”
Un primo orientamento aveva negato la portata innovativa della norma rispetto all’ordinario regime in tema di riparto degli oneri probatori da inadempimento contrattuale: recependo la classica distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato e inquadrando l’obbligazione informativa dell’intermediario tra le prime, il convenuto avrebbe dovuto fornire, ai fini della prova liberatoria, la prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta ai sensi dell’art. 23, comma 6 mentre la prova del nesso di causalità sarebbe sempre spettata all’attore-investitore. Tuttavia, nell’intento di attribuire una specifica portata normativa alla norma improntata ad un netto favor per l’investitore, parte della giurisprudenza e della dottrina hanno inteso ravvisare in quest’ultima una deroga ai principi codicistici in materia di prova del danno contrattuale: sarà il debitore a dovere provare non solo di aver tenuto un comportamento diligente ma anche l’assenza del nesso di causalità tra inadempimento e danno.197
Affermare che la prova del nesso di causalità gravi sul creditore significherebbe addossare alla parte più debole e più inesperta obblighi che presuppongono conoscenze tecniche e specialistiche che difettano nell’investitore medio non sofisticato: quest’ultimo risulterebbe, infatti, onerato del gravoso compito di individuare il contenuto positivo di quelle informazioni che se tempestivamente fornite all’investitore non avrebbero determinato l’investitore all’acquisto di quegli strumenti finanziari.
Del resto una tale conclusione contrasterebbe anche con il principio di vicinanza
che, in materia di inadempimento contrattuale, addossa in capo al debitore
l’onere di provare il fatto positivo dell’adempimento in ragione della possibilità di quest’ultimo di fornire la prova in quanto rientrante nella sua sfera di dominio. Ciò vale, a maggior ragione ed in termini ancora più accentuati, nei casi in cui si verte in materie tecnico-professionali dove è molto più facile per il professionista provare di aver
196 Trib. Roma, 8 ottobre 2004 in xxx.xxxxxx.xx; Trib. Cosenza 1 marzo 2006 , ivi;
197 Trib. Mantova, 5 febbraio 2009 in xxx.xxxxxx.xx; Trib. Genova, 15 marzo 2005, ivi; Trib. Roma 8 ottobre 22004, ivi; v. sul punto X. Xxxxxxxxxx, I contratti di intermediazione mobiliare, Milano, 1992, p. 68;
X. Xxxxxx, L’onere della prova nei giudizi di responsabilità per danni cagionati nello svolgimento dei servizi di investimento, in Giur. comm, 1999, p. 700; X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, Padova, 2008, p. 171;
198 Cass. sez. un. 30 ottobre 2001, n. 13533 in xxx.xxxxxxx.xx;
osservato le regole di sua padronanza che concernono un’attività afferente alla sua sfera professionale che per il creditore provare il mancato rispetto di regole a lui per definizione sconosciute e non rientranti nella sua sfera di organizzazione e controllo.
Ma tale principio, fatto proprio dalla Cassazione del 2001 in materia di riparto dell’onere probatorio in caso di inadempimento è estensibile anche alla prova della rilevanza causale che l’inadempimento dell’intermediario ha avuto nella produzione del danno nella sfera dell’investitore? In altre parole la prova della causalità si scioglie nel regime probatorio dell’inadempimento con la conseguenza che le conclusioni cui approda la Cassazione nel 2001 varrebbero anche ai fini della verifica della rilevanza causale dell’inadempimento nella produzione dell’evento? Oppure la prova della causalità segue una traiettoria autonoma che afferisce non alla prova della condotta ma alla prova del danno che quella condotta ha cagionato, seguendo regole completamente diverse che impongono al creditore danneggiato di provare il danno e il collegamento eziologico tra lo stesso e la condotta inadempiente dell’intermediario?
La soluzione a tali problemi passa inevitabilmente attraverso la dicotomia obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato. Se, infatti, si interpreta l’obbligazione di mezzi come un’obbligazione avente ad oggetto unicamente il comportamento diligente del debitore è chiaro che il danno prodotto nella sfera dell’investitore atterrebbe non alla prova dell’inadempimento ma alla prova del danno. Ove, al contrario, si ritenesse superata la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato e si interpretasse la prima come una obbligazione avente ad oggetto non il mero comportamento del debitore ma il comportamento diligente cum effectu ossia funzionalizzato al raggiungimento del risultato, il danno prodotto nella sfera del creditore seguirebbe non il regime della prova del danno ma quello dell’inadempimento. Il danno costituirebbe, infatti, la concretizzazione dell’inadempimento dell’intermediario e non un danno-conseguenza e come tale ne seguirebbe le regole probatorie.
Questa soluzione è abbracciata dalle Sezioni Unite del 2008199
che, svalutando in
maniera definitiva la distinzione tra obbligazioni di mezzo e di risultato, prevede che l’onere della prova del creditore che agisca tanto per l’adempimento quanto per il risarcimento del danno derivante da inadempimento sia limitato alla prova del danno e all’allegazione di un inadempimento astrattamente idoneo a provocarlo, spettando invece
199 Cass., Sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577, in Danno e resp. 7, 2008, p. 788 con nota di X. Xxxxxxxxxxx,
Nuovi (ma provvisori?) assetti della responsabilità medica;
al debitore l’onere di provare di avere adempiuto con la dovuta diligenza o che, comunque, in presenza di un inadempimento, lo stesso non abbia avuto rilevanza causale nella produzione dell’evento. In conclusione nel nostro ordinamento sussisterebbe una presunzione di colpa e di causalità con la conseguenza che, per andare esente da responsabilità, sarà il debitore che dovrà adoperarsi per vincere questa duplice presunzione.
Tale conclusione si basa sulla premessa che la dicotomia obbligazioni di mezzi o di risultato non ha ragione di esistere in quanto non è possibile affermare che un’obbligazione sia solo di mezzi o solo di risultato: al contrario tutte le obbligazioni e, quindi il loro adempimento, partecipano sia di un profilo oggettivo ossia il raggiungimento di un certo tipo di risultato sia di un profilo soggettivo ossia il comportamento che diligente che il debitore deve assicurare per il conseguimento dello stesso. Tale assunto è ricavabile dal combinato disposto degli artt. 1176 e 1174 cc.: il primo richiede che il comportamento del debitore sia improntato al canone della diligenza, il secondo richiede che la prestazione dedotta in contratto debba corrispondere ad un interesse del creditore da soddisfare e, dunque, ad un risultato da raggiungere.
Ciò detto forti perplessità suscita una recentissima pronuncia della Cassazione200 intervenuta a chiarire la distribuzione dell’onere probatorio tra investitore e intermediario finanziario. Quest’ultima, infatti, sembra non prendere in considerazione i recenti approdi delle Sezioni Unite che avevano determinato un decisivo alleggerimento della posizione processuale del debitore danneggiato, riproponendo un gravoso onore probatorio a carico di quest’ultimo che sembrava ormai essere superato.201
La Corte precisa, infatti, che “l’investitore dovrà allegare l’inadempimento di quelle obbligazioni disciplinate dal TUF e dalla normativa regolamentare e dovrà fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra questo e l’inadempimento. L’intermediario, a sua volta dovrà provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico e allegate come inadempiute e, sotto il profilo soggettivo, di aver agito con la specifica diligenza richiesta.”
200 Cass., 17 febbraio 2009, n. 3773 in Danno e resp., 5, 2009, p. 503 con nota di X. Xxxxxxxxxxx, La Cassazione interviene di nuovo sulle norme di condotta degli intermediari finanziari;
201 Sul punto v. anche X. Xxxxxx, Onere della prova, nesso di causalità e operazioni non adeguate, in xxx.xxxxxx.xx;
Le statuizioni contenute all’interno di tale pronuncia che prima facie si traducono in un aggravamento della posizione processuale dell’investitore devono però misurarsi con l’impatto concreto che le stesse determinano nella dinamica del processo. Pur non condividendo i contrasti e le incertezze che tali pronunce determinano in termini di tutela dell’investitore, si deve rilevare che sul piano pratico le contraddizioni sono più apparenti che reali.202
Si deve, infatti, evidenziare come nei giudizi in questione la prova eziologica avvenga secondo un meccanismo presuntivo che postula la comparazione tra la situazione verificatasi e quella che in concreto si sarebbe verificata in assenza del deficit informativo dell’intermediario. In questi casi assumeranno rilevanza elementi che attengono alla sfera personale della figura del creditore che, mentre di regola sono irrilevanti se non espressamente richiamati nel contratto, assumono qui rilievo determinante in quanto strumentali alla stessa profilatura dell’investitore. E’ ciò che avviene analizzando le sue pregresse scelte di investimento, la sua propensione al rischio e, più in generale, le caratteristiche dell’investitore al fine di determinare se in presenza delle informazioni omesse il comportamento ipotetico del creditore si sarebbe discostato da quello storico.
Quindi anche ponendo a carico della parte danneggiata l’onere della prova del nesso causale tra inadempimento e danno, quest’ultima, avvalendosi dei meccanismi presuntivi operanti a suo favore, potrà in concreto riversare sulla parte danneggiante le incombenze probatorie originariamente previste a suo carico.
In altre parole, qualora l’investitore alleghi che in virtù delle sue precedenti decisioni di investimento sia dato presumere che in presenza di una corretta informazione non si sarebbe determinata all’acquisto di quello specifico strumento finanziario o avrebbe effettuato un investimento di minori dimensioni, toccherà poi all’intermediario dimostrare che l’adempimento degli obblighi informativi posti a suo carico non avrebbe portato l’investitore ad orientarsi diversamente nelle sue scelte di investimento.
Tali conclusioni evidenziano tuttavia come, nonostante il grande sforzo compiuto dalla giurisprudenza nell’offrire soluzioni improntate ad un evidente favor per il creditore, il rimedio della nullità sia di gran lunga quello che naturalmente garantisce una tutela immediata della posizione dell’investitore che, a seguito della declaratoria di nullità, consegue il riconoscimento del diritto alla ripetizione del capitale versato e la condanna dell’intermediario alla restituzione di quanto ricevuto. Ancorare la tutela dell’investitore
202 X. Xxxxxx, Onere della prova, nesso di causalità e operazioni non adeguate, op. cit., p 5 ss.;
agli “alti costi probabilistici connessi all’accertamento dell’illecito in un settore, come quello finanziario, altamente sofisticato”203 e alle difficoltà processuali riconnesse ai profili probatori sopra enunciati che oltre ad investire il problema della causalità giuridica, investono anche “la prova del dolo dell’intermediario ai fini del superamento del limite della prevedibilità del danno, nonché i limiti connessi alla qualificazione dl danno in materia (pre)contrattuale” 204 si traduce in un deficit di tutela non solo per il singolo investitore deluso ma anche per l’integrità e la concorrenzialità del mercato che ne uscirebbe gravemente minata.
Rinviando, tuttavia, al capitolo successivo per un’integrale disamina del ruolo dei rimedi in una prospettiva non più incentrata sulla singola contrattazione ma estesa ad una dimensione superindividuale, basti qui evidenziare come la nullità del contratto sia la conseguenza civilistica maggiormente in grado di fungere da valido deterrente con riferimento a pratiche commerciali scorrette che possono compromettere l’efficienza e la stabilità del mercati. Non stupisce, infatti, che questa sia la soluzione imboccata dal legislatore comunitario in materia di contratti asimmetrici laddove alla violazione delle regole di protezione da parte del contraente “forte” si riconnette la nullità del contratto o della clausola abusiva. In questi casi la tutela rafforzata è posta non solo a presidio del contraente “debole” ma anche a garanzia della sicurezza e della trasparenza del mercato.
Nè ad una conclusione differente può giungersi facendo riferimento ad dato normativo laddove se è vero che l’art. 23, comma 6, prevede a carico dell’intermediario l’onere della prova di aver agito con la necessaria diligenza nei giudizi risarcitori, non per questo può da ciò desumersi la volontà del legislatore di non sanzionare con la nullità la violazione delle regole comportamentali. Deve, infatti, escludersi quell’opzione interpretativa che assegna alla norma la funzione di circoscrivere al giudizio risarcitorio l’unica forma di rimedio esperibile nel settore dell’intermediazione mobiliare.
Del resto la predilezione per il rimedio restitutorio si ricava anche da un’attenta disamina del rapporto intermediario-investitore che, come vedremo successivamente, si presta per le sue caratteristiche ad essere inquadrato non come un contratto tra controinteressati ma come un atto gestorio: da ciò deriva che il rimedio principale e
203 X. Xxxxxxx, La (ri)vincita dei rimedi risarcitori: note critiche a Cassazione, S.u. 19 dicembre 2007, n. 26725, in xxx.xxxxxx.xx, p. 16 ss.;
204 X. Xxxxxxx, La (ri)vincita dei rimedi risarcitori: note critiche a Cassazione, S.u. 19 dicembre 2007, n. 26725, op. cit., p. 17 ss.;
caratterizzante in materia è quello reale ossia la reiezione degli effetti dell’atto con il presidio (ma solo in aggiunta ed in xxx xxxxxxxxxxx) xxx xxxxxxx xxxxxxxxxxxx.000
205 X. Xxxxxxx, Discipline preventive nei servizi di investimento: le Sezioni Unite e la notte (degli investitori) in cui tutte le vacche sono nere, in I contratti, 4, 2009, p. 403 ss.;
CAPITOLO TERZO
Le nuove tecniche di conformazione
dell’autonomia privata. Verso una possibile riforma delle invalidità .
Sommario. 18. Le conclusioni cui pervengono le Sezioni Unite. Spunti critici di riflessione e prospettive di riconcettualizzazione. 19.(segue) Il ruolo del risarcimento nella prospettiva economica dei rimedi 20.(segue) La contrattualizzazione dell’informazione precontrattuale nei contratti caratterizzati da asimmetria informativa: un’estensione dei confini della nullità per mancanza di accordo o una contraddizione volutamente lasciata nell’ombra? 21. La disciplina dei rimedi volta ad impostare su nuove basi il rapporto tra struttura e funzione degli atti di autonomia: le tecniche di “conformazione” dell’autonomia privata e il ruolo della nullità. 22. (segue) La capacità espansiva delle nullità di protezione e la configurabilità di una nullità virtuale relativa.
23. Necessità di un ripensamento della teoria generale delle invalidità negoziali anche alla luce delle influenze comunitarie. Costruzione di una nuova categoria di invalidità fondata non più sulla rigida dicotomia nullità/annullabilità ma su un’unica figura di nullità che si modula diversamente a seconda della categoria di interessi che intende tutelare.
18. All’indomani della sentenze gemelle n. 26724 e 26725 del 2007 molte questioni appaiono ancora irrisolte. L’adesione incondizionata al principio di separazione tra regole di comportamento e regole di validità può essere realmente condivisa? E, di conseguenza, i rimedi offerti all’investitore nel caso del “risparmio tradito” possono essere limitati a quelli individuati dalle sentenze in commento? Tali conclusioni risultano compatibili con le scelte di fondo operate dal legislatore comunitario in materia di contratti “asimmetrici”? Ma, soprattutto, è corretta la prospettiva da cui muove la dottrina nella ricerca delle soluzioni possibili incentrata rigorosamente su una logica di “fattispecie”? O si impone una rivisitazione della categoria generale delle invalidità che abbracci un modus operandi emancipato dalle categorie dogmatiche elaborate dalla dottrina classica e indirizzato verso una dimensione “conformativa” dei rimedi?
Abbiamo già rilevato nel corso della nostra trattazione le perplessità nutrite nei confronti di un acritico recepimento del principio di non interferenza tra le due categorie di regole. Al riguardo abbiamo evidenziato come le soluzioni estremistiche non conducono a risultati apprezzabili.
Decidere, infatti, se la violazione di un dovere di correttezza comportamentale, in assenza di un’esplicita previsione normativa in tal senso, possa incidere o meno sulla validità di un atto è un’operazione interpretativa complessa che non può essere condotta ragionando per dogmi: sarà il giudice che dovrà analizzare la fattispecie concreta valorizzando i comportamenti tenuti dalle parti nell’ambito dell’operazione economica complessivamente considerata e compiere “un atto selettivo al fine di individuare, secondo una valutazione globale dell’assetto di interessi ed attenta allo spirito
dell’ordine giuridico, quali sono quelli capaci di incidere sull’intera operazione sì da determinare la illiceità della stessa”.206
Se è vero, infatti, che “perché possa ritenersi nullo il contratto, in assenza di un’espressa previsione in tal senso nella specifica norma violata, è invece necessario che il contenuto programmatico dell’atto, eventualmente in concorso con altri elementi, esprima il disvalore che ne giustifica la proibizione, rendendo coerente dal punto di vista
non può per questo sostenersi la totale impermeabilità delle regole
comportamentali alla conformazione del regolamento negoziale. Abbiamo, infatti, già rilevato come una scorrettezza comportamentale possa trascinare il suo disvalore all’interno dell’operazione negoziale incidendo, così, sull’assetto degli interessi codificati nel regolamento contrattuale.
Ma se è corretto ritenere che dalla violazione di una norma comportamentale possa derivare l’invalidità del contratto, allo stesso modo non possiamo ritenere che ciò accada sempre, indistintamente, e a prescindere dai riflessi sulla conformazione della
regola che valgano a giustificarne l’invalidità. E’ stato, infatti, evidenziato208
come
l’automatica ripercussione della violazione delle regole di correttezza e di buona fede sulla validità degli atti, orientata secondo parte della dottrina ad una incerta espansione dell’area dei vizi del consenso, sebbene condivisa, non si sostenibile in via generalizzata.
Non sempre, infatti, la violazione della regola di condotta risulta di per sé sola sufficiente a invalidare il contratto, ma, in concreto, è ben possibile che ciò accada tutte le volte in cui queste violazioni vengano ad incidere sul regolamento contrattuale o sulla regolare formazione della volontà negoziale.209
206 X. Xxxxxxxxxxx, Regole e comportamenti nella formazione del contratto, op. cit., p.124;
207 X. Xxxxxxxx, Regole di condotta e regole di validità nell’attività d’intermediazione finanziaria, op. cit., p. 111;
208 X. Xxxxxxxxxx, Violazione di norme antitrust e la disciplina dei rimedi nella contrattazione a valle, op. cit., p. 73;
209 X. Xxxxxxxxxxx, Regole e comportamenti nella formazione del contratto, op. cit., p. 119 secondo il quale: “Soltanto in alcuni casi la violazione della correttezza nella fase precontrattuale incide sulla validità dell’atto: quando, pur essendo indifferente al contenuto dell’accordo è, tuttavia, idonea ad incidere sulla libera formazione della volontà (nullità per illegalità, rectius mancanza dell’accordo per mancanza totale della volontà o annullabilità); ed ogni qual volta è tale da determinare una valutazione negativa, di dannosità sociale, del regolamento degli interessi e del precetto negoziale (nullità da disvalore).”
E ciò è ancora più vero con riferimento al caso oggetto della pronuncia in esame concernente la validità dei contratti di intermediazione finanziaria a seguito della violazione degli obblighi informativi imposti all’operatore professionale nel collocamento dei valori mobiliari.
In questi casi, infatti, l’informazione riveste il ruolo pregnante di grimaldello attraverso cui scardinare lo squilibrio informativo che caratterizza i contratti tra intermediario e investitore non sofisticato, che in tanto potrà effettuare una valutazione della corrispondenza al suo interesse del prodotto o del servizio in quanto venga in possesso delle informazioni qualificate che valgano ad orientarne correttamente la scelta.
E’ proprio in omaggio a tale esigenza che la normativa di settore ha imposto un dovere di informazione totalizzante (duty of disclosure) dove la direzione del flusso informativo è invertita rispetto alla tradizionale visione della disclousure. 210 Al “dovere di informare” si affianca il” dovere di informarsi” sulla situazione del cliente venendo ad emergere “un dovere sconosciuto al diritto comune che trova la propria ragione economica e giuridica proprio nella natura spiccatamente fiduciaria del rapporto tra cliente e intermediario”.211
La logica dei flussi informativi bidirezionali che caratterizza la disciplina in tema di intermediazione mobiliare si discosta dal diritto comune proprio in relazione alla
peculiarità della contrattazione.212
Infatti, conformemente a quanto accade nella
normativa europea dei contratti, anche nel settore considerato si assegna all’informazione un ruolo eminente “assumendola non solo ad oggetto di precisi e specifici obblighi e a fonte quindi di responsabilità, ma altresì a contenuto necessario di tutti o quasi i contratti da essa disciplinati e così elevandola a fondamento dello stesso regolare e valido venire ad esistenza dell’operazione negoziale”.
Anche in questo caso, dunque, emerge quella situazione di squilibrio informativo che impone l’intervento del legislatore nella codificazione di regole comportamentali che devono assistere gli operatori abilitati nella prestazione dei servizi di investimento a tutela non solo degli investitori uti singuli ma anche dell’intero sistema finanziario laddove l’esperienza insegna che il tasso di crescita e la soglia di benessere di un paese cresce in
210 X. Xxxxxxxxxx, Regole di comportamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, Milano, 1993, p. 340;
211 X. Xxxxxxx, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano, 2004, p. 202;
212 X. Xxxxx, La regola dell’informazione nel nuovo regolamento Consob, op. cit., p. 8;
misura direttamente proporzionale al crescere del rapporto che lega l’economia produttiva e gli andamenti dell’economia finanziaria (e, dunque, ai volumi di transazione del mercato finanziario).213
In relazione a quanto affermato non si può rimanere indifferenti alle scelte di fondo operate dal legislatore comunitario che, nell’intento di correggere gli squilibri informativi o di potere contrattuale riscontrabili nelle contrattazioni asimmetriche, individua nella nullità il rimedio il rimedio più adeguato a garantire l’effettività della norma imperativa violata e, dunque, la realizzazione degli scopi perseguiti dall’ordinamento.
Non merita, dunque, di essere condiviso l’assunto sostenuto dalle Sezioni unite in base al quale la nullità rivestirebbe carattere residuale venendo in rilievo “solo ove risultasse l’unica in grado di rispondere all’esigenza – sicuramente presente nella normativa in questione e coerente con la previsione dell’art. 47, comma 1, Cost. – di incoraggiare il risparmio e garantirne la tutela”.
L’art. 1418, 1 comma, individua, infatti, nella nullità la conseguenza generalmente connessa alla contrarietà del contratto a norme imperative, riconoscendo così il principio in virtù del quale la nullità riveste per l’ordinamento il rimedio più idoneo a dare adeguata tutela agli interessi generali, o comunque non disponibili dai privati, presidiati dalle
norme violate dal contratto.214
Norme espresse, in questi casi, servirebbero non per
disporre ma per escludere la sanzione della nullità in considerazione del ruolo assunto da quest’ultima nell’ambito dell’ordinamento in cui costituisce la regola a fronte della violazione di norme di carattere imperativo.
Tale assunto, dunque, merita di essere condiviso in pieno sempre che ad esso si accompagni una verifica dell’interprete tesa a “misurare” l’incidenza delle esternalità del contratto sulla “regola” contrattuale, non potendo desumersi la nullità del contratto richiamando genericamente la natura pubblicistica degli interessi sottesi all’imposizione dei doveri comportamentali. Così opinando assumeranno rilevanza i comportamenti esterni alla fattispecie contrattuale ma capaci di “colorare” negativamente il regolamento
213 X. Xxxxxxx, Mercato finanziario, tutela del risparmio e pubblica vigilanza, in Xxxx. xx xxx. xxx., 0, 0000, x. 00;
214 X. Xxxxxxxx, Violazione degli obblighi di informazione nei servizi di investimento e rimedi contrattuali, op. cit., p. 959;
di interessi215 sancito all’interno dell’atto di autonomia privata, in una rinnovata visione dell’operazione economica che trascende la concezione atomistica dell’operazione negoziale e abbraccia una dimensione plurale, complessa e attenta all’ambiente della contrattazione dove operano i soggetti del mercato.
Fondamentale e determinante ai fini dell’individuazione delle patologie negoziali è il c.d. punto di vista esterno al contratto, ossia la situazione complessiva della quale il singolo contratto è diretta esplicazione: tale situazione, lungi dal rivestire un ruolo marginale, assume un “valore “costitutivo” non soltanto ermeneutico dell’assetto regolamentare del contratto, assolvendo alla funzione di rendere direttamente rilevanti sul piano della regolare formazione del regolamento (e quindi delle conseguenti invalidità) norme e principi che, altrimenti vi resterebbero estranei, tra cui quelli che impongono alle parti di un rapporto particolari obblighi di informazione c.d. “estrinseci” al contratto”.216
Né si potrebbe obiettare che in questi casi a venire in rilievo non sarebbe il primo comma dell’art. 1418 bensì il secondo che fa riferimento alle ipotesi di nullità strutturali riguardanti la “causa” e l’ “oggetto”. Occorre infatti tenere bene distinte le due fattispecie al fine di evitare sovrapposizione di concetti che rivestono un’autonomia concettuale
operativa. E’ stato, infatti, evidenziato217
come il “contenuto” del contratto sia una
categoria ordinante che non coincide con nessuno dei requisiti di cui all’art. 1325 e, in specie, con l’oggetto ma è l’insieme delle regole volute dalle parti che, come prevede l’art. 1322, “possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge”. In altre parole il “contenuto” è la regola negoziale, il cui contrasto con la norma imperativa determina la sanzione della nullità.
Aderendo, allora, alla tesi della nullità virtuale ex art. 1418, 1 comma del contratto concluso in violazione di obblighi informativi, non potrà che riconoscersi il diritto dell’investitore alla ripetizione del capitale versato (in applicazione delle regole sull’indebito oggettivo previste dall’art. 2033) e la correlativa condanna dell’intermediario alla restituzione di quanto ricevuto, cui spesso si accompagna, in via
215 X. Xxxxxxxxxxx, Regole e comportamenti nella formazione del contratto, op. cit., p. 137;
000 X. Xxxxxxx, Xx diritto europeo dei rimedi: invalidità e inefficacia, op. cit., p. 852 ss.;
217 X. Xxxxxxxxx, Regole di comportamento nella trattativa e nullità dei contratti: la criticabile ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite, in Corr. giur., 5, 2007, p. 636;
aggiuntiva, il risarcimento del danno derivato dall’inadempimento del contratto di mandato per la prestazione dei servizi di investimento.
Ma il ricorso al rimedio restitutorio trova conferma anche attraverso un’analisi dello stesso ruolo che l’intermediario riveste nel rapporto con l’investitore. Prospettiva del tutto sconosciuta alle Sezioni Unite del 2007, al pari dell’ordinanza di rimessione 19 febbraio del 2007 e della sentenza 19024, ma acutamente rilevata da un’attenta dottrina tesa ad evidenziarne le peculiarità strutturali.
L’intermediario, infatti, non assume il volto di un qualsiasi controinteressato ma agisce in qualità di cooperatore del cliente, essendo tenuto ad operare nell’interesse esclusivo di quest’ultimo e non del proprio. Da ciò deriva che il contratto concluso non è un normale contratto tra controinteressati ma un atto gestorio dove “gli obblighi informativi a carico dell’intermediario dipendono dalla natura stessa del rapporto e sono sempre dovuti quale complemento ex lege dell’obbligazione principale, a differenza di quanto accade per le informazioni precontrattuali dei contratti di scambio….Per queste ragioni è giocoforza escludere che in materia di servizi di investimento tutto possa risolversi con il richiamo alla disciplina generale dell’art. 1337 cod. civ.., essendo codificato a livello legislativo, fra i criteri generali, quello per cui gli intermediari debbono operare in modo che (i clienti) siano sempre adeguatamente informati e dovendosi supporre che questo precetto, che domina l’intera disciplina speciale, non sia ridondante”.218
Così opinando occorre recuperare il principio per cui nei rapporti di cooperazione l’archetipo tradizionale del rimedio contro l’atto contrario all’interesse del cliente è reale non risarcitorio. In questi casi, infatti, il precetto di agire nell’interesse del cliente si riverbera non solo sul piano dell’attività ma anche del “contenuto” dell’atto che deve rispondere all’interesse di quest’ultimo.
Come, infatti, accade nella disciplina codicistica del mandato, il rimedio principale e caratterizzante in materia è quello reale, ossia la “reiezione degli effetti dell’atto, che restano a carico dell’intermediario, col presidio (ma in aggiunta ed in funzione sussidiaria) anche del rimedio risarcitorio”.
218 X. Xxxxxxx, Discipline preventive nei servizi di investimento: le Sezioni Unite e la notte (degli investitori) in cui tutte le vacche sono nere, in I contratti, 4, 2009, p. 403 ss.;
19. A considerazioni non dissimili si perviene anche muovendo da una prospettiva economica dei rimedi. Infatti la scelta tra il rimedio delle invalidità (cui si accompagni l’azione di ripetizione dell’indebito) e quello risarcitorio (derivante da responsabilità precontrattuale o contrattuale) può essere analizzata sia dal punto di vista degli effetti sulle parti del contratto, sia dal punto di vista dello loro efficienza nella distribuzione dei costi correlati al danno e alla loro conseguente rilevanza come deterrenti al compimento di future infedeltà.219 E’, infatti, innegabile il ruolo strategico svolto dall’individuazione della patologia in gioco, nell’indurre la parti del contratto di investimento a tenere o meno un determinato comportamento nell’ambito del suddetto rapporto.
Se, infatti, analizziamo il fenomeno sotto un profilo microeconomico teso ad evidenziare il ruolo dell’informazione nei rapporti intersoggettivi220, il risarcimento apparirebbe, in caso di inadempimento dell’intermediario, un rimedio efficiente capace di assicurare una perfetta compensazione dell’investitore-creditore, “riportando il cliente al livello di benessere di cui avrebbe beneficiato se non ci fosse stato l’inadempimento”. Anzi vi è di più. L’obbligo di risarcimento si adeguerebbe al danno effettivamente subito dal creditore, il quale, in base al noto principio della compensatio lucri cum damno deve scontare dalla sua determinazione gli eventuali effetti vantaggiosi che hanno causa nell’inadempimento o nell’illecito.
Il problema si era, infatti, posto con riferimento alle ipotesi in cui l’investitore avesse percepito dividendi prima del default. Qui la questione investiva la possibilità di configurare, successivamente alla declaratoria di nullità del contratto, un obbligo restitutorio in capo all’investitore di quanto percepito durante il rapporto con l’intermediario al fine di evitare un fenomeno di overcompensation che venisse a tradursi in un ingiustificato vantaggio per il primo. Tale possibilità veniva spesso disattesa nelle
219 X. Xxxxxxx, La (ri)vincita dei rimedi risarcitori: note critiche a Cassazione, S.u. 19 dicembre 2007, n. 26725, op. cit., p.13;
220 X. Xxxxxxxxxxx, L’informazione come bene, in Il diritto civile nella legalità costituzionale, op. cit., p. 906 dove si conferma la rilevanza giuridica dell’informazione di cui si esalta da un lato il ruolo sociale e dall’altro “l’adeguato valore individuale senza del quale verrebbe meno lo stesso “servizio” informativo, essenziale alla moderna crescita del sistema economico e sociale”. Analogamente in Id., L’informazione come bene giuridico, in Il diritto dei contratti tra persona e mercato, op. cit., p. 351: “L’informazione come bene è frutto infatti della vita di relazione tra soggetti, essa assume un senso ed un ruolo nella dinamica delle attività umane”.
aule giudiziarie221 in quanto ai fini dell’art. 2033 quest’ultimo veniva ad essere considerato accipiens di buona fede, sicché l’obbligo di restituzione di frutti ed interessi non che poteva che decorrere dal giorno della domanda di ripetizione e, dunque, non investiva quanto percepito prima della causa giudiziale.222
Per tale via il rimedio risarcitorio sembra cogliere nel segno più del rimedio restitutorio in quanto postula la risarcibilità dei tutti e soli quei danni che si esplichino come conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, con il filtro operato dall’art. 1227 che implica una ragionevole riduzione del danno tutte le volte in cui il comportamento colposo dell’investitore costituisca concausa dell’evento dannoso,223 precludendo la possibilità che l’investitore possa percepire in sede risarcitoria più di quanto effettivamente dovuto.
Optando, al contrario, per il rimedio restitutorio connesso al vizio genetico, l’eventuale incidenza del fatto colposo del danneggiato e il rapporto di causalità tra il danno lamentato dall’investitore e la condotta dell’intermediario non assumerebbero alcuna rilevanza nella concreta quantificazione del danno risarcibile. Infatti, una volta rilevato l’inadempimento dell’intermediario nell’informare l’investitore, si ritiene, de plano, che il danno sia pari al capitale investito e non più recuperato senza tenere in debito conto eventuali vantaggi percepiti dall’investitore che dovrebbero essere scontati dalla definitiva determinazione del danno risarcibile.
Si è quindi affermato che, così operando, si “immunizzerebbe” il risparmiatore dagli eventuali danni conseguenti all’andamento del mercato, addossando sull’intermediario una gravosa obbligazione di risultato. Non solo. Una parte della dottrina224 ha evidenziato che, in tutte le sentenze che portano a condanne restitutorie, viene sancito l’obbligo dell’intermediario di restituire quanto corrisposto dall’investitore (oltre gli interessi) ma nulla si dice in ordine alla sorte dei bond. Quest’ultimi, infatti, costituirebbero il bene venduto che, in seguito alla declaratoria di nullità, dovrebbe essere restituito alla controparte ossia all’intermediario.
221 In questo senso x. Xxxx. Xxxxxx, 00 giugno 2006 in xxx.xxxxxx.xx;
222 X. Xxxxxxxxx, Negoziazione di titoli obbligazionari e insolvenza dell’emittente: quale tutela per il risparmiatore non adeguatamente informato?, op. cit., p. 599; sul punto v. anche T. Febbrajo, Violazione delle regole di comportamento e rimedi civilistici, op. cit., p. 156;
223 Trib. Biella, 12 luglio 2005 in xxx.xxxxxx.xx; Trib. Milano 25 luglio 2005 in xxx.xxxxxx.xx;
224 X. Xxxxx, La tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento (ovvero, l’ambaradan dei rimedi contrattuali), op. cit., p. 908;
Che strana dimenticanza. Si tratta, infatti, di titoli che hanno pur sempre un valore
superiore a zero, sebbene notevolmente ridotto rispetto alle aspettative:225
perché,
dunque, lasciarli nelle mani degli investitori? Anche ciò determinerebbe un fenomeno di overcompensation ove a seguito dell’impoverimento dell’intermediario, tenuto alla restituzione della somma percepita più gli interessi, seguirebbe un arricchimento dell’investitore al di là del giusto.
Tutte queste considerazioni impongono una riflessione. Che, forse, siano errate le premesse del nostro discorso? Che, forse, la prospettiva da prendere in considerazione sia un’altra che trascenda l’individualità delle contrattazioni ed esalti la “dimensione pubblica” dell’informazione privata?
Probabilmente si. Probabilmente ciò che deve essere valorizzato in questo contesto è il ruolo svolto dagli intermediari nelle dinamiche di mercato e il valore dell’economia dell’informazione come antidoto al moral hazard e alla selezione avversa, fenomeni che, se non adeguatamente monitorati, possono compromettere non solo il singolo investitore ma, più in generale, la corretta allocazione del risparmio, innescando il “fenomeno dei bidoni”226, preludio del fallimento del mercato.227
Aderendo a questa prospettiva il rimedio risarcitorio (si intende, in via esclusiva, essendo sempre ammesso il risarcimento in via aggiuntiva) non risulta più tanto allettante rispetto alle finalità che si intendono perseguire e gli interessi che si intendono tutelare ossia il rispetto degli equilibri del mercato e la prevenzione da fenomeni distorsivi che valgano a comprometterne l’efficienza e la competitività. Quest’ultimo, infatti, si atteggerebbe come uno strumento poco costoso per gli intermediari infedeli o negligenti e non disincentivante rispetto a futuri comportamenti scorretti. A ciò si aggiungano le già citate difficoltà legate al regime probatorio del nesso di causalità, dei limiti connessi in materia di quantificazione del danno che impediscono la possibilità di fare assurgere il rimedio a deterrente contro pratiche commerciali scorrette.
In questa rinnovata visione è il rimedio restitutorio ad assolvere in modo più incisivo alle finalità di tutela degli interessi pubblici delineati. E’ stato, infatti,
225 Si pensi all’ops lanciata dal governo argentino sui propri bond caduti in default che prevede, nel caso in cui l’investitore li conferisca in adesione, il recupero del 30% del capitale investito.
226 X. Xxxxxxx, The market for “Lemons”: Quality Uncertainity and the Market Mechanism, in 84 Q. J. Econ., 1970, p. 488;
227 X. Xxxxxxx, La (ri)vincita dei rimedi risarcitori: note critiche a Cassazione, S.u. 19 dicembre 2007, n. 26725, op. cit., p. 15;
opportunamente rilevato come “la ripetizione dell’indebito che si accompagna all’invalidità del contratto di borsa, sembra comportare una completa internalizzazione dei costi in capo all’impresa di investimento che ha causato il pregiudizio (al mercato) costituendo un robusto deterrente contro future azioni infedeli”… “Il rischio (tipicamente punitivo ed effettivamente presente) che la ripetizione si traduca in una compensazione eccedente rispetto al reale valore pecuniario del danno a favore del singolo investitore sembra compensare - in una logica preventiva – le alte probabilità che la condotta illecita non venga accertata”.228
Tale concezione riflette, del resto, quello che nell’ordinamento statunitense è noto come l’istituto dei punitive demages, che consentono di quantificare il risarcimento del danno in misura eccedente rispetto al valore pecuniario del beneficio derivante all’intermediario dall’azione intenzionalmente pregiudizievole: il ruolo svolto da quest’ultimi si atteggerebbe alla stregua di una “sanzione civile” attuata al fine di disincentivare gli operatori finanziari a non porre in essere comportamenti opportunistici, costituendo un efficace strumento di prevenzione privata. Infatti, la possibilità per l’investitore di essere portato su una curva di indifferenza notevolmente più alta rispetto a quella cui ci si trovava antecedentemente alla lesione costituisce un allettante incentivo affinché un soggetto agisca in giudizio per vedere condannato il soggetto che pone in essere pratiche pregiudizievoli all’integrità del mercato.229
20. Ma questo non è ancora tutto. Anche a voler condividere l’assunto della Suprema Corte in base al quale nel caso della violazione di doveri informativi non sia invocabile il rimedio della nullità virtuale, non per questo si deve necessariamente concludere che il contratto concluso sia senz’altro valido.230
L’omissione di informazioni espressamente dovute per legge o per regolamento costituirebbe causa di annullamento del contratto per dolo omissivo ai sensi degli artt. 1427 e 1439, ogni volta che l’investitore provi che le specifiche informazioni, che l’intermediario ha omesso di comunicare, abbiano reso il suo consenso meno consapevole
228 X. Xxxxxxx, La (ri)vincita dei rimedi risarcitori: note critiche a Cassazione, S.u. 19 dicembre 2007, n. 26725, op. cit., p. 16;
229 X. Xxxxxxx, Regole di condotta degli intermediari finanziari, op. cit., p. 383; Sul punto v. anche X. Xxxxxxxxxx, I punitive demages nell’esperienza nordamericana, in Riv. dir. civ., 1983, p. 435 ss.;
230 X. Xxxxxxxx, Violazione degli obblighi di informazione nei servizi di investimento e rimedi contrattuali, op. cit., p. 966;
di quanto avrebbe dovuto, conducendolo alla conclusione di un contratto che, diversamente non avrebbe concluso. Sulla rilevanza del dolo omissivo ci siamo già occupati nei paragrafi precedenti.
Ciò che, invece, qui, ci preme considerare è la posizione assunta dalla Corte in proposito. Quest’ultima, sebbene a denti stretti, riconosce la via dell’annullamento per vizi del consenso ma lo fa, forse, per scongiurare un pericolo ancora più grande ossia quello che si arrivi alla declaratoria di nullità per mancanza di accordo ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418, 2 comma, e 1325. Non è mancato, infatti, chi ha sostenuto che la violazione delle regole di condotta inquinerebbe a tal punto l’espressione del consenso del cliente da far ritenere che esso venga meno, determinando la mancanza di uno dei requisiti essenziali del contratto ex art. 1325, quale l’accordo delle parti.
Le Sezioni unite, infatti, affermano che “ neppure i casi di nullità contemplati dal secondo comma dell’articolo da ultimo citato (art. 1418), però, sono invocabili nella situazione in esame. E’ vero che tra questi casi figura anche quello della mancanza di uno dei requisiti indicati dall’art. 1325, e che il primo di tali requisiti è l’accordo delle parti. Ma, ove pure si voglia ammettere che nella fase prenegoziale la violazione dei doveri di comportamento dell’intermediario sopra ricordati siano idonei ad influire sul consenso della controparte contrattuale, inquinandolo, appare arduo sostenere che sol per questo il consenso manca del tutto; ed i vizi del consenso- se pur di essi si possa parlare- non determinano la nullità del contratto, bensì solo la sua annullabilità, qualora ricorrano le condizioni previste dagli artt. 1427 e seg. c.c.”.
Ma quanto sostenuto della Corte deve essere valorizzato non per quello che dice, ma per quello che non dice. Mi spiego meglio. La sentenza 19024/2005, sul punto era stata molto più ambigua facendosi autrice di un’asserzione che, nell’intento di rimanere fedeli alla dogmatica classica, finisce inconsapevolmente per sconvolgerla. Il riferimento è all’affermazione secondo cui “non determina nullità del contratto per difetto di accordo, in forza del combinato disposto degli artt. 1418, comma 2 e 1325, n.1, c.c., la mancanza di informazioni che non riguardino direttamente la natura ne l’oggetto del contratto, ma solo elementi utili per valutare la convenienza dell’operazione”.
Tale enunciazione letta a contrariis comporterebbe conclusioni fortemente
innovative se non addirittura eversive:231
la mancanza di informazioni che riguardino
231 X. Xxxxx e X. Xxxxxxxx, Xxx contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della Cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale, op. cit., p. 32;
direttamente la natura e l’oggetto del contratto (e non solo elementi utili per valutare la convenienza dell’operazione) determinerebbe la nullità del contratto per mancanza di accordo ex artt. 1418, comma 2 e 1325, n.1. Da tale opzione interpretativa discenderebbe il trascinamento sul piano della nullità di una fattispecie che, secondo l’impostazione tradizionale, trova la sua collocazione nel territorio dell’annullabilità: i referenti normativi utili a disciplinare l’ipotesi in esame non devono essere individuati negli artt. 1418, comma 2 e 1325, n. 1 ma nei già citati artt. 1427 ss. in materia di vizi del consenso che riconnettono all’ipotesi del vizio-errore il rimedio dell’annullabilità.
Attraverso le parole della Cassazione del 2005, dunque, è lo stesso requisito di “accordo” che rischia di essere alterato rispetto alla sua connotazione originale. Affermare che la mancanza di informazioni che riguardano la natura e l’oggetto del contratto determina la nullità del contratto equivale ad attribuire all’elemento dell’“accordo” enunciato dall’art. 1325 un significato ulteriore rispetto a quello rinvenibile da una interpretazione letterale della norma: requisito essenziale ai fini del perfezionamento della volontà negoziale sarebbe non già il mero accordo delle parti ma il loro “accordo informato”232. Un accordo non informato sarebbe insufficiente ad integrare l’elemento essenziale ex art. 1325 e determinerebbe, conseguentemente, la nullità del contratto.
Queste osservazioni non sfuggono a coloro che ritengono233 che nei contratti connotati dalla c.d. asimmetria informativa, le informazioni fornite precedentemente alla stipulazione del contratto subiscano una sorta di attrazione nel contratto perfezionato. Si è parlato al riguardo di “contrattualizzazione dell’informazione precontrattuale”: le informazioni fornite antecedentemente alla stipulazione del contratto ne integrano il contenuto, tanto è vero che il contraente professionale è contrattualmente obbligato a porre in essere una adempimento conforme a quanto reso esplicito nelle informazioni precontrattuali.234
232 X. Xxxxx e X. Xxxxxxx, Xxx contratti finanziari al contratto in genere, op. cit., p. 32;
233 Sul punto v. X. Xxxxx, Profili del contratto del consumatore, Napoli, 2005, p. 49; Id., Verso la contrattualizzazione dell’informazione precontrattuale, in Rass. dir. civ. 2007, 4, p. 1140 ss.; X. Xxxxx, Gli obblighi di informazione, in Il contratto e le tutele, a cura di X. Xxxxxxxxx, Torino, 2002, p. 152 ss; in giurisprudenza x. Xxxx. Xxxxxxx, 0 dicembre 2006, n. 4155 in xxx.xxxxxx.xx;
234 X. Xxxxx, Verso la contrattualizzazione dell’informazione precontrattuale, op. cit, p. 1144. Qui l’autore nel commentare il nuovo ruolo assunto dall’informazione nell’ambito dei rapporti caratterizzati da asimmetria informativa, riporta in commento i predenti normativi utilizzati dalla giurisprudenza al fine di
Ma anche volendo conferire rilevanza operativa a tale principio, sicuramente fortemente innovativo, le indicazioni della Corte risultano lacunose e evanescenti nel momento in cui non chiariscono quale sia l’informazione sufficiente al fine dell’integrazione di un accordo informato. Quest’ultima si limita solo a chiarire che si tratta di informazione concernete “natura” e “oggetto” del contratto mentre nessun rilievo è da attribuirsi agli elementi utili per valutare la convenienza dell’operazione.
Da un lato, quindi, si trascinano sul piano della nullità per mancanza del requisito dell’accordo fattispecie che secondo la dogmatica classica dovrebbero trovare il loro referente normativo negli art. 1427 in materia di vizi del consenso e dall’altro si espunge dalle informazioni rilevanti ai fini della valida formazione della volontà negoziale elementi che, al contrario, specie nel settore considerato, rivestono un’importanza pregnante. Si è, infatti, evidenziato235 come nel settore dell’intermediazione finanziaria la convenienza economica dell’operazione, lungi dal costituire un dato meramente accessorio privo di autonoma rilevanza, costituisca alle volte un elemento determinante ai fini della formazione della volontà contrattuale: un soggetto si determina in ordine all’acquisto di quel determinato prodotto finanziario proprio in vista della sua redditività e quindi, convenienza economica.
E’ proprio in considerazione di ciò che la normativa di settore individua una serie di obblighi informativi posti a carico dell’operatore professionale strumentali all’emancipazione del risparmiatore dalla situazione di gap informativo che connota i cd.
suffragare queste innovative posizioni: si fa ad esempio riferimento alla disciplina contenuta nell’art. 129 del codice del consumo “ove la presunzione di conformità dei beni di consumo al contratto si ritiene soddisfatta, fra l’altro, solo ove il bene presenti le qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi tenuto conto anche delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche del bene fatte al riguardo dal venditore, dal produttore o dal suo agente o rappresentante, in particolare nella pubblicità o sull’etichettatura a meno che il venditore dimostri che la decisione di acquistare il bene di consumo non ha potuto essere influenzata dalla sua dichiarazione.” O ancora si fa riferimento alla disciplina dei pacchetti turistici contenuta nel codice del consumo dove si prevede che “le informazioni contenute nell’opuscolo informativo vincolano l’organizzatore e il venditore in relazione alle relative responsabilità”.
235 A. M. Xxxxxxx, La tutela del risparmiatore nel mercato finanziario tra culpa in contraendo e vizi del consenso, op. cit., p. 78 ss.;
rapporti asimmetrici: 236 quest’ultimi valgono, infatti, a rendere rilevante il nesso causale tra l’omissione dell’operatore professionale che ha taciuto circostanze che dovevano essere comunicate all’altro contraente e la falsa rappresentazione di quest’ultimo, incidendo sulla stessa validità dell’atto di autonomia privata. In questi casi, dunque, è la stessa volontà del legislatore a prevedere una stretta e inscindibile connessione tra “convenienza” economica dell’operazione e “oggetto” della stessa configurandosi la prima come una qualità essenziale del secondo.
E’ proprio per rifuggire a queste contraddizioni che le Sezioni Unite non si soffermano sul punto. Si limitano ad accennare al problema ma lo trascendono. Non a caso non richiamano le parole della sentenza 19024/05 come invece fanno con riferimento alle affermazioni in essa contenute concernenti la delimitazione dell’ambito operativo della nullità virtuale che, non solo vengono riportate nel testo, ma anche arricchite da ulteriori spunti argomentativi lasciando scorgere una linea di continuità tra le due pronunce. Qui non accade lo stesso. Le Sezioni unite passano oltre e sul punto non dicono altro. Forse quella linea di continuità in materia di rompe. Ma è una rottura silenziosa, che non vuole destare attenzione in quanto nasconde contraddizioni non risolte e che le Sezioni unite intendono lasciare nell’ombra.
21. Ma, senza volere qui sminuire il valore e la portata del rimedio dell’annullabilità che appare in via di principio uno strumento adeguato di protezione degli interessi lesi dalla violazione del dovere di correttezza nei contratti in cui le parti rivestono eguale forza contrattuale, nel settore dell’intermediazione finanziaria il discorso si fa più complesso.
Abbiamo già sottolineato, infatti, come nell’ottica codicistica le parti contraenti agiscano su un piano di parità contrattuale e come ciò che rileva sia la singola
236 Sul ruolo dell’informazione v. X. Xxxx, Il ruolo dell’informazione nella tutela del consumatore, in Riv. crit. dir. priv, 1987, p. 815; X. Xx Xxxx, Informazione e contratto: il regolamento contrattuale, in Riv. trim., 1993, p. 705 ss.; A. C. Xxxxxxx, Obblighi d’informare e procedimenti contrattuali, Napoli, 2000;
X. Xxxxxxxxx, L’autonomia privata nel mercato interno: le regole di informazione come strumento, in Eur. dir. priv, 2001, p. 257 ss.; X. Xxxxx, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in op. cit., p. 107 ss.; G. B. Xxxxx, Informare ed essere informati, in Rass. dir. civ., 2003, p. 588 ss.; L. Di Nella, Mercato e autonomia contrattuale nell’ordinamento comunitario, Napoli, 2003, p. 259 ss.; X. Xxxxxxxxxxx, L’informazione come bene giuridico, in Rass. dir. civ., 1990, p. 326 ss.;
contrattazione in una prospettiva microeconomica del fenomeno. Nel sistema del codice civile, infatti, le scelte di ciascuna parte e la valutazione dei propri interessi è rimessa all’insindacabile giudizio di ciascun contraente capace di autodeterminarsi in ordine alla conclusione di una data operazione negoziale. La convenienza di quest’ultima non può in alcun modo essere oggetto di valutazione da parte dell’altro contraente in termini di “adeguatezza” o meno delle sue scelte, in quanto, agendo in un contesto di parità, si presuppone che il soggetto agente abbia la capacità di gestire i propri interessi nella maniera che ritiene per lui più opportuna. L’altra parte è solo tenuta a prendere atto delle scelte medesime e a non tenere comportamenti che possano in concreto pregiudicare le aspettative dell’altro contraente. Considerazioni diverse si impongono nella disciplina dei servizi di investimento.
Il rapporto intermediario-investitore non sofisticato è, infatti, pacificamente improntato sul presupposto diametralmente opposto della disparità di situazioni nella quali versano le parti contraenti laddove l’imposizione dei numerosi obblighi a carico dell’operatore professionale è strumentale all’emancipazione del risparmiatore dalla sua condizione di debolezza sub specie di deficit informativo.
La peculiare connotazione di tale rapporto ha, dunque, indotto il legislatore ad apprestare una serie di obblighi a carico del primo al fine di tutelare la libera e cosciente autodeterminazione del cliente in ordine all’ottimale allocazione dei suoi risparmi. In questi casi per esplicito dettato normativo il ruolo dell’operatore professionale non si limita a prendere atto passivamente delle scelte compiute dal risparmiatore ma si estende fino a sindacarne il contenuto. In particolare l’art. 21 lett. b, nello stabilire il dovere dell’intermediario di “acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati”, attribuisce allo stesso il compito di sindacare con chiarezza e professionalità la valutazione dei propri interessi così come effettuata dal risparmiatore. L’intermediario non deve unicamente astenersi da comportamenti che salvaguardino gli interessi nella misura in questi li abbia esplicitati ma deve, al contrario, comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza per “servire al meglio gli interessi del cliente” e per l’integrità dei mercati (art. 21 lett. a), funzionalizzando la propria attività all’acquisizione da parte del cliente di quelle informazioni che gli consentano di scegliere consapevolmente la destinazione del proprio risparmio.
E’, dunque, concepibile che tale disparità di situazioni che ha indotto il legislatore a introdurre una disciplina ad hoc del mercato finanziario venga meno solo sul piano civilistico? E’ possibile che il risparmiatore abbia sotto il profilo rimediale lo stesso grado di tutela di chi agisce in un rapporto contrattuale in condizione di piena parità?
La risposta a tali quesiti non viene offerta dalle Sezioni Unite che a tale circostanza non riconnette alcuna conseguenza sotto il profilo civilistico. Al contrario nelle sentenze in commento si ritiene che ai contratti conclusi nel mercato finanziario debba applicarsi “il sistema del codice civile”. Questa affermazione non ha carattere incidentale ma riveste il ruolo di uno specifico manifesto di politica del diritto aventi
pesanti ricadute di carattere pratico.237
In primis si determina la riconduzione degli
obblighi che caratterizzano la disciplina dei servizi di investimento (art. 21, lett. a e b) nell’ambito degli obblighi di correttezza e buona fede previsti dal codice civile e in secondo luogo si svalutano gli indici provenienti dalla legislazione speciale e dissonanti con quelli offerti dall’impianto codicistico, costringendo la tutela dell’investitore deluso negli angusti confini delineati dalla rigida dicotomia tra regole di condotta e regole di validità.
Rinviando a quanto già detto con riferimento alla inadeguatezza delle categorie civilistiche e ai presupposti ideologici e socio-economici impliciti nel sistema del codice civile che si modellano in relazione ad una condizione di parità delle parti contraenti, ciò che emerge dalle parole delle Sezioni Unite è l’illogicità e l’incongruenza dell’adozione di una medesima soluzione a fronte situazioni diametralmente opposte in contrasto con il principio di uguaglianza sostanziale che impone l’adozione di statuti diseguali per situazioni ineguali.
Di tale incongruenza è evidentemente consapevole la Prima Sezione della
che, chiamata recentemente a pronunciarsi sull’intensità degli obblighi di
informazione gravanti sull’intermediario, è intervenuta con una pronuncia molto interessante che prende le distanze da quanto statuito dalle Sezioni Unite. La diversità di approccio rispetto a quanto statuito dalle Sezioni Unite emerge in maniera evidente laddove si enuncia che l’art. 21 lett. b, secondo il quale gli intermediari devono acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati, assoggetta “la prestazione dei servizi di investimento ad una
237 X. Xx Xxxxx, Sezione prima vs. Sezioni Unite: differenti visioni del diritto dei contratti nel mercato finanziario in cassazione, in xxx.xxxxxxxxxx.xx;
238 Cass., 25 giugno 2008 n. 17340 in Foro it., 2009, 1, p. 189;
disciplina diversa e più intensa rispetto a quella discendente dall’applicazione delle regole di correttezza previste dal codice civile”.
Dalle parole della Prima Sezione si evince che, collocare gli obblighi di informazione a carico dell’intermediario fuori dagli obblighi di correttezza e buona fede previsti dal codice civile equivale a collocare i contratti conclusi per lo svolgimento dei servizi di investimento fuori dal “sistema del codice civile”, vale a dire fuori dall’inquadramento sistematico che di essi hanno offerto le Sezioni Unite.239
E’ innegabile, infatti, che gli art.1175 e 1375 c.c. si inseriscano, nella prospettiva civilista, in una dimensione caratterizzata dalla parità delle parti contraenti: gli obblighi di correttezza e di buona fede non impongono qui di perseguire gli interessi della controparte ma solo di astenersi da comportamenti scorretti che possano in qualche modo pregiudicarli. Nel settore dell’intermediazione finanziario l’asimmetria tra i soggetti coinvolti determina, al contrario, il sorgere di obblighi più intensi e pregnanti in capo all’operatore professionale che dovrà valutare l’adeguatezza o meno delle scelte di investimento e dovrà adoperarsi per perseguire al meglio gli interessi del cliente.
Occorre, inoltre, evidenziare come nel settore di rifermento occorra prescindere da una visone microeconomica del fenomeno che trascuri il ruolo che la singola operazione negoziale può rivestire nell’ambito del mercato.
A doversi adottare, al contrario, è un nuovo approccio conoscitivo che “implica la priorità dell’attività e dell’iniziativa economica rispetto al contratto, la cui valutazione avviene in funzione dell’inerenza e all’intrinseca destinazione al mercato”.240
In questa nuova dimensione perde consistenza quella impostazione che reputa il contratto come monade a se stante, impermeabile all’ambiente della contrattazione dove ha la sua genesi e nel quale si trova ad operare e inevitabilmente ciò determina un abbandono delle teorizzazioni che ricostruiscono le patologie negoziali in chiave di “fattispecie”, del tutto prescindendo dal regolamento complesso e dall’operazione
economica nella quale l’atto propriamente si colloca. 241
Quest’ultima, al contrario, si
emancipa da una connotazione individuale e viene a strutturarsi alla stregua di “una
239 X. Xx Xxxxx, Sezione prima vs. Sezioni Unite: differenti visioni del diritto dei contratti nel mercato finanziario in cassazione
240 X. Xxxxxxx, Autonomia contrattuale, regolazione del mercato, diritto della concorrenza, in X. Xxxxxxxx e
X. Xxxxxxx, Contratto e antitrust, Bari, 2008, p. 25;
241 X. Xxxxxxxxxx, Violazione di norme antitrust e la disciplina dei rimedi nella contrattazione “a valle”, op. cit., p. 42 ss.;
sequenza unitaria e composita che comprende in se il regolamento, tutti i comportamenti che con esso si collegano per il conseguimento dei risultati voluti, e la situazione oggettiva nella quale il complesso delle regole e degli altri comportamenti si collocano, poiché anche tale situazione concorre nel definire la rilevanza sostanziale dell’atto.”242
Alla luce di quanto detto, conformemente a quanto sostenuto nei paragrafi predenti, l’individuazione della patologia dell’atto di autonomia privata non può essere effettuata prescindendo dalla situazione complessiva in cui quest’ultima viene a collocarsi in quanto la qualificazione e l’individuazione dell’atto di autonomia si desume non soltanto dagli elementi strutturali in astratto descritti dalla norma, ma anche in relazione a circostanze ad esso esterne che si radicano nelle dinamiche delle relazioni di mercato.243
Il contratto deve, quindi, essere reinterpretato non in qualità di fine ma di “mezzo” di salvaguardia dell’efficienza e della concorrenzialità del mercato anche se, a bene vedere, i due aspetti posso convergere ed anzi alimentarsi a vicenda: in altre parole dare centralità all’ambente entro il quale si svolge la contrattazione e prevenirne, attraverso una regolamentazione protezionistica, eventuali effetti distorsivi non finisce necessariamente per mortificare l’autonomia privata. Xxxx, al contrario, l’autonomia privata ne risulta “esaltata in un più articolato contesto non soltanto normativo ma soprattutto fattuale, in seno al quale il rapporto è destinato a svolgersi”. 244
Se, dunque, prendiamo come riferimento il settore dell’intermediazione finanziaria, sarà agevole notare come nella disciplina del T.u.f e dei regolamenti attuativi (anche alla luce delle modificazioni apportate dalla recentissima MIFID) viene attribuito un ruolo di centralità alla tutela della trasparenza delle operazioni economiche e all’efficienza del mercato. In quest’ambito la protezione offerta agli investitori sembrerebbe assumere una valenza secondaria, di riflesso, rispetto alla salvaguardia degli interessi pubblicistici. Ed, infatti, è agevole constatare come qui “l’obbligo di correttezza e quello di trasparenza non hanno solo una dimensione protettiva con specifico riferimento alla formazione della volontà e del convincimento, ma assurgono a ruolo attivo di conformazione del rapporto, spostandosi così nella definizione di un modello ottimale ed efficiente di scambio di mercato”.245
242 X. Xxxxxxxxx, Mercato, contratto e operazione, in, Rass. dir. civ., 2004, p. 1047;
243 X. Xxxxxxx, Autonomia contrattuale, regolazione del mercato, diritto della concorrenza, op. cit., p. 22;
244 A. Catricalà, Postconfutazione, in X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Xxxxxxxxx e antitrust, op. cit., p. 208;
245 Trib. Firenze 19 Aprile 2005;
Ma, in realtà, i due aspetti non sono tra loro indipendenti ma si intersecano e si completano a vicenda. Esplicativa al riguardo è l’affermazione di chi sostiene che “se il mercato ha assunto la posizione di supremo regolatore dei rapporti socio-economici di produzione, ciò non toglie al sistema dell’autonomia contrattuale un ruolo centrale: l’accordo tra privati costituisce, ancora, il luogo di elezione del potere di autodeterminarsi, di organizzare e risolvere i conflitti e i bisogni. L’introduzione delle norme di derivazione comunitaria modifica gli obiettivi, non gli strumenti usati per raggiungerli”.246
In altre parole, non essendo dubitabile che i doveri di correttezza imposti agli intermediari siano funzionalizzati ad elidere l’asimmetria informativa in cui versa l’investitore non sofisticato e con ciò ad assicurare la trasparenza e la competitività del mercato finanziario, non si è potuto fare a meno di rilevare che i comportamenti scorretti, tenuti sia anteriormente che in costanza della vicenda contrattuale, incidendo sulla libera autodeterminazione della parte “debole” del rapporto, finiscono in concreto per frustrare gli obiettivi della normativa che, in quanto espressione di principi generali immanenti del nostro sistema (si pensi alla tutela del risparmio collettivo ex art. 47 Cost.), reclamano la tutela dell’art. 1418, comma 1.
Possiamo, dunque, concludere rilevando che, seguendo tale ragionamento, in primis si restituisce alla norma la sua identità e autonomia applicativa rispetto ai precedenti tentativi di appiattirne la portata. Nella fattispecie esaminata, infatti, la nullità del contratto è derivata dalla violazione di norme poste a presidio di un’esigenza di ordine pubblico che trascende la portata del singolo atto di autonomia negoziale per incasellarlo nel ben più ampio meccanismo del mercato di cui si intende promuovere la stabilità e la trasparenza. Il contratto è lo strumento di regolamentazione del mercato e non può essere piegato da inadempienze comportamentali che, incidendo sulla concreta formazione della “regola negoziale”, rischiano di determinare un assetto di interessi squilibrato o comunque pregiudizievole per una delle parti coinvolte. La nullità, sotto questo profilo appare la sanzione più idonea da riconnettere alle ipotesi esaminate, in quanto subordina l’esplicazione dell’autonomia negoziale ai superiori interessi dell’ordinamento garantendone l’integrità e l’effettiva operatività.
In secondo luogo si riconduce la fattispecie in esame nell’ambito di quella che è la tendenza registratasi nella legislazione post-codicistica in materia di contratti c.d.
246 P. M. Putti, L’invalidità nei contratti del consumatore, op. cit., p. 604;
asimmetrici nella quale si prevede generalmente che alla violazione delle regole di protezione imposte dal contraente “forte” consegua la nullità del contratto o la clausola abusiva. In questo modo si intende non solo reprimere l’eventualità che la parte forte abusi della propria posizione per conseguire vantaggi ingiusti, ma fornire un valido deterrente a pratiche commerciali che finirebbero per pregiudicare il buon andamento del mercato. Né può relegarsi a tali disposizioni un ruolo di “specialità” inibendone l’applicazione al di là dei casi e dei settori esplicitamente presi in considerazione del legislatore. Ciò per la ragione che tali disposizioni sono disposte “non per fronteggiare situazioni di emergenza o congiunturali, ma per regolare stabilmente i rapporti economici nei settori specifici di riferimento. E se, come ogni regola, esse devono essere giustificate dalla conformità ad un principio generale dell’ordinamento, il principio di cui paiono diretta applicazione è quello secondo cui il buon andamento del mercato richiede una tutela rafforzata della parte contrattualmente debole nella conclusione di contratti caratterizzati da distribuzione asimmetrica del potere negoziale”.247
Ragioni di coerenza sistematica del sistema impongono, allora, di ricorre al medesimo strumento della nullità tutte le volte in cui si ripropone all’attenzione dell’interprete la medesima situazione di fatto che rischia di pregiudicare i medesimi valori di fondo che si intendono preservare attraverso la disciplina protezionistica. Opinando diversamente ci si troverebbe di fronte ad un’esplicita contraddizione del sistema che sanziona diversamente situazioni caratterizzate dal medesimo disvalore.
22. Né varrebbe opporre alle considerazioni appena svolte che la nullità che viene in rilievo nella legislazione speciale è da considerarsi una nullità di protezione. In quest’ultima, com’è noto, la legittimazione dell’azione è riservata ad una soltanto delle parti contraenti248 contraddicendo al postulato generale esplicitato dall’art. 1421 in virtù del quale “la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”. Da ciò è stato fatta discendere la riconduzione di queste
247 X. Xxxxxxxx, Violazione degli obblighi di informazione nei servizi di investimento e rimedi contrattuali, op. cit., p. 963;
248 Sul punto v. X. Xxxxxxx, Studi sulla nullità relativa, Milano, 1967, p. 140 ss.; X. Xxxxx, voce Nullità e annullabilità, in Disc. Priv.-sez.civ., XII, Torino, 1995; X. Xxxxxxxxxx, Nullità speciali, Milano, 1995; A. Gentili, Le invalidità, in Tratt. dei contr. diretti da X. Xxxxxxxx, I contratti in generale (a cura di Xxxxxxxxx), II, Torino, 1999; X. Xxxxxxxx, Discipline della nullità e interessi protetti, Napoli, 2001;