DOTTORATO DI RICERCA
DOTTORATO DI RICERCA
DIRITTO DEI CONTRATTI ED ECONOMIA D’IMPRESA
TESI DI DOTTORATO
L’AZIONE DI CLASSE A TUTELA DEL CONSUMATORE: «STATE AND FUTURE»
Settore scientifico disciplinare DIRITTO PRIVATO IUS/02
Xxxxx.xx Prof.ssa XXXXXXXXXX XXXXXXX
Xxxxx.xx Xxxx. XXXXXXX XXXXXXX
Xxxxx.xx Xxxx. XXXXXXXXXXX XXXXXX
Presentata da XXXXXXXXXX XXXXXXXXXX
L’AZIONE DI CLASSE A TUTELA DEL CONSUMATORE: «STATE AND FUTURE»
No man is an island, entire of itself, every man is a piece of the continent, a part of the main…
(Nessun uomo è un’isola, completo in sé stesso, ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto…)
Xxxx Xxxxx
INDICE
INTRODUZIONE 9
CAPITOLO I
LA «CLASS ACTION» NELL’ORDINAMENTO STATUNITENSE TRA PROMESSE E REALTA’
1. La «class action» quale espressione dell’«entrepreneurial litigation» del sistema americano… 13
2. Dalle origini alla «Federal Rule 23» 20
3. Le finalità dell’istituto… 31
4. Il declino della «class action»? 35
CAPITOLO II
LA TUTELA COLLETTIVA IN EUROPA
1. La Raccomandazione della Commissione Europea sui
«collective redress» 43
2. Il modello europeo di azione collettiva risarcitoria 51
3. L’azione di classe nell’ordinamento belga 59
4. L’azione di classe in Gran Bretagna dopo il «Consumer Rights
Act» 65
CAPITOLO III
L’AZIONE DI CLASSE NEL DIRITTO ITALIANO. I SOGGETTI DELL’AZIONE E LE CONDIZIONI DI AMMISSIBILITÀ
1. L’approvazione dell’art. 140-bis del codice del consumo. Un
iter tormentato e complesso 73
1.1. (Segue). Interrogativi sulla legittimità costituzionale dell’art. 49 della legge n. 99/2009 89
2. L’azione di classe come rimedio esclusivo a tutela del consumatore 93
3. I soggetti legittimati all’azione 100
4. L’opt-in e lo status soggettivo del consumatore aderente 110
5. Le speciali condizioni di ammissibilità dell’azione 120
CAPITOLO IV
LE SITUAZIONI GIURIDICHE OGGETTO DI TUTELA
1. Le situazioni sostanziali tutelabili. Considerazioni
generali 137
1.1. (Segue) L’«omogeneità» dei diritti e la determinazione del danno 142
1.2. (Segue) Il risarcimento dei danni punitivi 159
2. L’azione di classe a tutela dei diritti contrattuali 165
2.1. (Segue). Il problema della responsabilità precontrattuale e
degli accertamenti incidentali 168
3. L’azione di classe per danno da prodotto e servizio 175
4. L’azione di classe contro le pratiche commerciali scorrette …181
5. L’azione di classe contro i comportamenti anticoncorrenziali. Sviluppi futuri a seguito della Direttiva 2014/104/UE 191
5.1 (Segue) «Public e Private Enforcement». Come cambia
il rapporto tra tutela amministrativa e giurisdizionale nel diritto della concorrenza 203
6. La riforma al vaglio del Parlamento: l’azione di classe da strumento settoriale di tutela a rimedio di diritto comune 210
7. Considerazioni conclusive 216
BIBLIOGRAFIA 225
INTRODUZIONE.
L’importanza della dimensione collettiva della giustizia viene sottolineata da Xxxxx Xxxxxxxxxxx a partire dagli anni 70. In una relazione tenuta nel 1974 a Teheran rilevava che il vero compito del diritto comparato non era quello di confrontarsi con un istituto giuridico, ma con un problema sociale1. Il problema da cui egli prende le mosse è la presenza, e conseguentemente la tutela giuridica, di situazioni soggettive a carattere super-individuale. Cappelletti sottolinea come la complessità della società moderna dia origine a situazioni nelle quali determinate attività possono portare pregiudizio a un gran numero di persone, facendo sorgere problemi ignoti alle liti meramente individuali. La singola persona lesa si trova in una posizione inadeguata ad ottenere la tutela giurisdizionale contro il pregiudizio individualmente subito, perché egli potrebbe ignorare il suo diritto o perché i costi processuali da affrontare sarebbero sproporzionati rispetto al risarcimento del danno ottenibile. L’illustre studioso prende ad esempio proprio il consumatore che, se leso da una condotta plurioffensiva, difficilmente sarà indotto ad agire nei confronti della controparte, perché la pretesa vantata è di così modico valore da non giustificare nella maggioranza dei casi l’assunzione delle spese necessarie ad affrontare il giudizio. In ogni caso, anche laddove il singolo consumatore coraggiosamente decida di agire, la condanna, non coinvolgendo la collettività dei soggetti lesi, non sarà tale da produrre un’efficacia riparatoria o deterrente nella repressione delle condotte nocive ingiuste. Cappelletti suggestivamente paragona il consumatore leso che agisce solamente per sé, e non per il gruppo di cui è parte, ad un eroe non sottratto al destino di Xxx Xxxxxxxxxx nella lotta contro i mulini a vento. Con l’emergere di interessi “collettivi” o “diffusi” sorge la necessità di adeguare il processo a questi nuovi bisogni di tutela.
1 X. XXXXXXXXXXX, Govermental and public advocates for the public interests in civil litigation: a comparative study, in Michigan Law Rev., 1975, 73, p. 793 ss. e dello stesso A., Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi collettivi o diffusi, in Le azioni a tutela di interessi collettivi o diffusi, in Le azioni a tutela di interessi collettivi (Atti del convegno di Pavia 11-12 giugno 1974), Padova, 1976, p. 191 ss.
Le riflessioni espresse da Cappelletti sono quanto mai attuali: se la domanda di giustizia rimane immutata, ciò che cambia è il contesto nel quale la stessa deve essere soddisfatta. L’esigenza di apprestare strumenti di tutela collettiva è avvertita sia a livello europeo che dai legislatori degli Stati membri, compresa l’Italia che con l’art. 140-bis del codice del consumo introduce l’istituto dell’azione di classe, concependolo come rimedio esclusivo a tutela del consumatore. Questa ricerca si propone di analizzare la disciplina italiana per valutare da un lato le potenzialità e i limiti, sia sul piano dell’idoneità dello strumento a garantire alla vittima dell’illecito il giusto risarcimento del danno, sia sul piano dell’effetto deterrente che l’azione può esercitare sul comportamento delle imprese, e dall’altro le prospettive evolutive dell’istituto.
La tematica si presenta inevitabilmente correlata ad un fenomeno di legal transplant di un modello processuale tipico dell’esperienza giuridica statunitense: la class action ed è proprio dall'esperienza americana che questo studio parte. Verranno analizzate le ragioni sociali e politiche per le quali la class action nasce e si sviluppa negli Stati Uniti e verrà sottolineato come quelle stesse ragioni rendono poco probabile un fenomeno di convergenza, sebbene la necessità di apprestare mezzi di tutela collettiva abbia dimensione globale. La class action come codificata nella Federal Rule 23 si presenta come un istituto molto particolare, in cui ruolo cruciale svolge il plaintiff’s attorney, che finanzia, organizza e controlla la gestione della procedura, essendo ricompensato in caso di vittoria attraverso una quota del risarcimento.
Anche l’Europa avverte la necessità di apprestare strumenti processuali volti alla protezione dei soggetti lesi da illeciti seriali, consapevole che le tutele ordinarie non sono efficaci. La seconda parte concerne la european policy in tema di rimedi collettivi. Vedremo come le scelte provenienti dall’Unione siano lontane dal modello americano. Tali differenti opzioni sistematiche riflettono non solo lo scetticismo dell’Europa nei confronti della class action, ma sono anche la diretta conseguenza di elementi extra giuridici, la cui presenza distingue inevitabilmente la realtà americana da quella europea. Il timore di evocare un istituto che viene visto come esempio di vexatious litigation
spinge persino all’uso di una diversa terminologia: si parla di collective redress e non di class action. Verranno evidenziati gli elementi distintivi dei due modelli di tutela collettiva riguardanti il profilo della legittimazione all’azione, la scelta tra opt-in e opt-out, la diversa disciplina relativa ai costi e al finanziamento dell’azione.
La terza parte è dedicata alla normativa italiana. Ci è sembrato opportuno svolgere una preliminare indagine comparatistica che costituisse un passo intermedio per approdare a riflessioni su una possibile rielaborazione della disciplina e mostrare che, seppur la class action sia un istituto non facilmente trapiantabile, innovazioni della disciplina ispirate a quel modello non possano aprioristicamente considerarsi assurde.
CAPITOLO I
LA «CLASS ACTION» NELL’ORDINAMENTO STATUNITENSE TRA PROMESSE E REALTA’
SOMMARIO: 1. La «class action» quale espressione dell’«entrepreneurial litigation» del sistema americano. – 2. Dalle origini alla «Federal Rule 23». - 3. Le finalità dell’istituto. – 4. Il declino della «class action»?.
1. La «class action» quale espressione dell’«entrepreneurial litigation» del sistema americano
In uno studio che prende in esame il fenomeno dell’azione di classe non si può fare a meno di chiedersi perché questo nasce ed evolve negli Stati Uniti e per quale ragione si attribuisce un così straordinario potere agli avvocati, che de facto promuovono, finanziano e controllano l’azione. La litigation è scoraggiata nel resto del mondo attraverso un complesso di regole che ne impedisce il finanziamento da parte di soggetti terzi e che, obbligando la parte che perde in giudizio a sostenere le spese legali affrontate dalla controparte (xxxxxx xxxxxxx), dissuade dalla promozione di liti temerarie. Ciò che più di tutto è difficilmente condivisibile è l’idea di un legale che rappresenta con effetti vincolanti un cospicuo e non previamente determinato gruppo di individui senza che questi abbiano espressamente prestato il loro consenso. La risposta è semplice ed è da rinvenire nel ruolo eccezionale che gli Stati Uniti conferiscono al contenzioso, che non è semplice meccanismo di risoluzione dei conflitti derivanti dall’interazione sociale, ma strumento finalizzato a realizzare l’enforcement della legge. Calata in tale contesto l’azione di classe rappresenta espressione dell’american exceptionalism2 e il plaintiff’s attorney, che ne assume il ruolo di
2 Cfr. X. XXXXXX “American Exceptionalism” in Goals for Civil Litigation, in Goal of Civil Justice and Civil Procedure in Contemporary Judicial Systems, edited by A. Xxxxxx, Xxxxxxxx, 0000, p. 123 ss.; L. S. XXXXXXXX, American Exceptionalism and the Theory of Convergence: Are We There Yet?, in Common
protagonista, diventa un moderno bounty hunter o quello che in maniera più cortese il giudice Xxxxxx Xxxxx definiva private attorney general 3; in ogni caso, al di là della denominazione utilizzata, un soggetto privato al quale viene conferito un pubblico potere, il garantire l’effettività della legge, nella consapevolezza dell’inadeguatezza dell’attività di controllo svolta dai pubblici poteri, ma il cui agire è pur sempre motivato da interessi economici.
Per descrivere il ruolo che l’avvocato svolge nella class action Xxxx Xxxxxx conia nel 1987 l’espressione «entrepreneurial plaintiff’s attorney», per sottolineare che non si è di fronte ad un agente del cliente ma ad un soggetto che svolge attività imprenditoriale e che, dopo un’attenta valutazione del rapporto tra costi e benefici, finanzia, conduce e finanche promuove l’azione di classe in assenza di un’effettiva attività di controllo da parte dei membri della classe o delle corti4. Xxxxxxxx Xxxxx and Xxxxxxxx Xxxxxx ritornano sull’argomento in un famoso saggio del 1991, in cui riconoscono come una delle caratteristiche più importanti della class action sia l’esistenza di un avvocato dell’attore animato da uno spirito imprenditoriale ed egoistico, diretto ad ottenere larghi compensi e soggetto ad un’insufficiente attività di controllo da parte del cliente e della corte5.
Il sistema di entrepreneurial litigation non nasce con l’azione di classe, ma ha profonde radici storiche che risalgono all’epoca della fondazione della Repubblica americana. Xxxxxx xx Xxxxxxxxxxx, già a partire dal 1831, viaggiando negli stati americani, si meravigliava della frequenza con la quale le questioni politiche erano portate innanzi alle corti: la tendenza a trasformare questioni politiche in legali era dovuta all’abilità delle corti di agire da mediatore e secondo modalità tali che portavano i cittadini ad avere grande fiducia nel sistema
Law, Civil Law and the Future of Categories, edited by X. Xxxxxx and O. G. Xxxxx, Lexis Nexis, Canada, 2010, p. 41 ss.
3 Assoc. Indus. Of New York State x. Xxxxx, 134 F. 2d Circ. 694, 704 (1943).
4 J. C. XXXXXX, Xx., The Regulation of Entrepreneurial Litigation: balancing fairness and efficiency in the large class action, in The University of Chicago Law Rev., 1987, 54, p. 877 ss.; e da ultimo, Entrepreneurial Litigation. Its Rise, Fall and Future, Harvard University Press, Cambridge 2015.
5 X. XXXXX and J.P. XXXXXX, The plaintiff’s attorney’s role in class action and derivative litigation: economic analysis and recommendation for reform The plaintiff’s attorney role in class action and derivative litigation: economic analysis and recommendations for reform, in The University of Chicago Law Rev, 58, 1991,
p. 1 ss.
giudiziario e a considerare quanti esercitavano la professione legale i soggetti che meglio della classe politica avrebbero tutelato i loro interessi6. La visione della legge come scudo della democrazia e la radicata convinzione che la litigation non fosse semplice meccanismo di risoluzione di conflitti, ma strumento di attuazione del diritto sostanziale contribuisce a spiegare perché le corti americane adottarono quel complesso di principi che hanno costituito le basi per lo sviluppo della class action: i patti di quota lite (cd. contingency fee agreements), la regola per la quale ogni parte del giudizio si fa carico delle proprie spese processuali (cd. american rule), la teoria del common fund.
A partire dalla metà del diciannovesimo secolo le corti americane abbandonavano la regola, di origine inglese, che vietava la champerty7 e adottavano i contingency fee agreements, secondo cui, in caso di condanna del convenuto, il pagamento degli onorari del difensore della classe avviene tramite la distrazione di una quota del risarcimento determinata dal giudice8. Relativamente al pagamento delle spese legali veniva abbandonato, successivamente alla rivoluzione americana, il principio, tuttora vigente in Inghilterra e nel resto d’Europa, secondo cui la parte perdente in giudizio deve rifondere la controparte delle spese affrontate, comprensive del compenso spettante all’avvocato (cd. loser pays rule), in favore dell’adozione dell’american rule, secondo cui ciascuna parte deve sostenere le proprie spese processuali9. Il principale fattore che giustificò
6 X. XX XXXXXXXXXXX, Democracy in America, Xxxxxx X. Xxxxxxxxx, 1992, p. 25: «when one visits America and when one studies their laws, one sees that the authority that they have given its lawyers and the influence they have allowed them to have in the government form, the most powerful force against lapses of democracy».
7 Sin dall’epoca medioevale era seguita la regola inglese che vietava cd. xxxxxxxxx, un accordo in forza del quale una terza persona assumeva l’onere di sostenere i costi della litigation nella prospettiva di ricevere, laddove la parte assistita fosse risultata vittoriosa, una percentuale del risarcimento monetario ottenuto. Il fondamento del divieto era nella convinzione che quanti decidevano di finanziare la controversia erano speculatori che, nella speranza di ottenere facili guadagni, incoraggiavano la promozione di azioni con scarsa probabilità di successo
8 Sui contingency fees X. XXXXXXX, Enabling the poor to have their day in court: the sanctioning of contingency fee contracts, A History to 1940, in De Xxxx Xxx Rev., 1998, 47, p 231 ss., il quale ricorda che, sebbene le corti avessero accettato i contingency fee contracts, erano restie all’idea di conferire un eccessivo potere discrezionale all’avvocato o a previsioni contrattuali che privassero il cliente del controllo sulla litigation.
9 L’applicazione della cd. American Rule viene fatta risalire al caso Arcambel x. Xxxxxxx, 3 U. S. (Dall) 306 (1976). In dottrina tra i contribuiti più significativi si veda X. XXXXXXXXX, Toward a history of the American Rule on attorney fee recovery, in Law and Contemporary Problems, 1948, 48, p. 9 ss.;
l’accoglimento di tale principio fu la volontà di affidare alla libera contrattazione la fissazione e la ripartizione dei costi connessi alla lite coerentemente all’idea del libero mercato e all’ottica del laissez-faire, che dominava la seconda metà del diciannovesimo secolo. La finalità, peraltro, di favorire l’accesso alla giustizia, soprattutto in relazione a determinate tipologie di controversie, che in quanto socialmente rilevanti si riteneva che dovessero essere incoraggiate, portò all’introduzione di numerose leggi speciali che consentivano di ripetere gli onorari del difensore della classe dalla parte soccombente solo se quest’ultima fosse stata il convenuto e non anche l’attore (cd one-way fee shifting)10. Sempre al fine di agevolare la procedibilità dell’azione, la giurisprudenza sviluppò common fund doctrine secondo cui, sulla base della teoria dell’ingiustificato arricchimento, il soggetto che creava o proteggeva un patrimonio comune avrebbe potuto utilizzarlo per pagare le spese legali che aveva dovuto affrontare per la sua tutela, in questo modo condividendo i costi della litigation con quanti, anche se involontariamente, avevano beneficiato della vittoria ottenuta. Questa dottrina rappresenta il fondamento giuridico del principio in base al quale, nel caso in cui in un’azione di classe il convenuto sia stato condannato al risarcimento dei danni, il pagamento dell’onorario spettante al difensore della classe è effettuato tramite la detrazione di una quota del risarcimento come determinata dal giudice11. Tali principi, che erano espressione di una nuova concezione del ruolo del cittadino
X. XXXXXXX and X. XXXX, Court awarded attorney fees, New York, 1995 secondo cui l’effetto principale derivante dall’introduzione della nuova regola sarebbe quello di rendere meno rilevante, ai fini dell’assunzione della decisione di agire o di resistere in giudizio, la valutazione della fondatezza o meno della pretesa vantata; questo almeno nel caso in cui non si pattuisca che il difensore debba essere retribuito solo nel caso di esito favorevole della controversia.
10 Gran parte della legislazione approvata dopo il 1960 relativamente al pagamento delle spese processuali prevedeva o la one-way fee shifting a favore dell’attore o non prevedeva espressamente a favore del convenuto che fosse stato vincitore la rifusione delle spese processuali, che in tal modo veniva ritenuta non possibile o soggetta a requisiti particolarmente restrittivi. In dottrina cfr. H. KRENT, Explaining One-Way Fee Shifting, in Xxxxxxxx Xxx Rev. 1993, 79, p. 2039 ss. Nonostante ciò l’American Rule non poteva considerarsi estinta; infatti nel leading case Alyeska Pipeline Co. v. Wilderness Society, 421 U.S. 240 (1975) la Corte Suprema dichiarava che l’American Rule relativa alla rifusione delle spese doveva considerarsi principio generale applicabile a meno che non si fosse ad esso derogato in apposite leggi speciali.
11La common fund doctrine si fa risalire al caso Trustees x. Xxxxxxxxx, 105 U.S. 527, 533 (1881) e successivamente è riaffermata nel leading case Control Railroad & Banking Co. of Georgia x. Xxxxxx, 113
U.S. 116 (1885). In dottrina cfr. J. P. XXXXXX, Xxxxxxx and Involuntary Clients: Attorney Fees from Funds, in Harvard Law Rev., 1974, 87, p. 1957 ss.
e dei suoi diritti e che si caratterizzavano per la volontà di riequilibrare la disparità socio-economica esistente tra le parti, sono gli elementi che hanno reso possibile lo sviluppo dell’entrepreneurial litigation e che rendono la class action un istituto unico, non agevolmente trapiantabile nei sistemi legali europei.
L’idea dell’enforcement giudiziale è da sempre profondamente radicata nel sistema politico e culturale americano; in più di un’occasione del resto l’attività di controllo da parte dei pubblici poteri ha dimostrato di essere insufficiente per l’assenza di adeguate risorse informative ed economiche e per la mancanza di preparazione tecnica nell’affrontare alcune tipologie di controversie. Ne si è avuta conferma osservando i deludenti risultati del public enforcement delle Securities Laws nel periodo successivo agli scandali finanziari del 2009. La crisi finanziaria del 2008 rappresenta l’esempio più recente del fallimento della tutela da parte delle autorità pubbliche. Il numero esiguo di provvedimenti che sono stati adottati nei confronti degli amministratori delegati delle maggiori società bancarie e finanziarie, cosi come l’irrisorietà delle sanzioni inflitte dalla Securities and Exchange Commission (SEC), hanno suscitato numerose critiche e mostrato l’insufficienza di un sistema di tutela che si fonda esclusivamente sul public enforcement12.
La necessità di garantire l’accesso alla giustizia a coloro che non dispongono di adeguate risorse economiche ed informative e relativamente a pretese di modesto valore economico, ma egualmente meritevoli di tutela giuridica, è un problema che non riguarda solo gli Stati Uniti, ma che ha dimensione globale. L’Europa, sebbene abbia riconosciuto e riconosca la necessità di meccanismi di ricorso collettivo, rimane scettica sull’eventualità di legittimare un istituto come l’americana class action, anzi, al fine di non evocare l’immagine dell’istituto americano, preferisce parlare di collective redress. Ciò su cui si nutrono dei dubbi è che la finalità di protezione del soggetto debole, leso da un illecito seriale, possa
12 J. S. XXXXXX, The Financial Crisis: Why Have No High-Level Executives Been Prosecuted? in New York Rev. of Books, 9 gennaio 2014; X. XXXXX, The SEC nails a minnow while the whales go free: why wasn’x Xxxxxxx Sachs on trial alongside xxxxxxx xxxxxx?, in New Republic, 6 agosto 2013, reperibile su xxx.xxxxxxxxxxx.xxx.
giustificare un meccanismo procedurale di involontaria rappresentazione che, penalizzando l’autonomia delle parti, conferisca un così elevato potere al plaintiff’s attorney13.
Gli Stati Uniti riconoscono da sempre la necessità di un sistema di private enforcement, sebbene il processo che ne ha portato l’affermazione non è stato privo di controversie o scandali. La presenza di conflitti di interesse, accompagnata da uno scarso controllo sull’operato del plaintiff’s attorney, ha in più di un’occasione portato la dottrina e la giurisprudenza all’accusa di condotte abusive poste in essere dal primo a danno del convenuto, vittima di accordi estorsivi, e dei membri della classe, che non riceverebbero alcun vantaggio sostanziale dalla promozione del rimedio. Da sempre si contrappongono due contrastanti concezioni del ruolo del plaintiff’s attorney. Per la narrativa romantica questi è un “white knight” protettore delle vittime di società avide e senza scrupoli, nonché strumento per garantire l’effettività di un diritto sostanziale che, senza il suo intervento, resterebbe privo di attuazione14 Per altra parte della dottrina egli, invece, è lo “strike suiter” non certo animato da finalità altruiste, ma da puri interessi personalistici, in primis l’ottenimento di corposi compensi15. Ovviamente in entrambe le due affermazioni ci sono elementi di verità. Se la visione idealistica sottovaluta significativamente la realtà, quella opposta non tiene in debita considerazione i recenti interventi legislativi e le recenti pronunce giudiziali finalizzate a limitare l’abuso dell’istituto.
In una serie di recenti pronunzie giudiziali la Corte Suprema sembra manifestare la volontà di voler “chiudere le porte” all’uso della class action. Le decisioni, seppur
13 Per la maggior parte degli Stati Europei la scelta americana per l’opt-out risulta inaccettabile, perché contraria alla dignità e all’autonomia del singolo individuo. L’impossibilità di garantire che tutti i membri della classe siano resi edotti della pendenza dell’azione rende criticabile un meccanismo che vincola automaticamente i soggetti assenti, a meno che questi non dichiarino di autoescludersi.
14 XXXXXX XXXXXX, Improving class action efficiency by expanded u se of parens patriae suits and intervention, in Tulane Law Rev, 2000, 74, p. 1919 ss.; D. A. XXXX Xx., Serving two masters: integration ideals and client interests in school desegregation litigation, in Yale Law J., 1976, 85, p. 470 ss.
15 L. S. XXXXXXXX, Ending class actions as we know them: rethinking the american class action, in Xxxxx Xxx J., 2014, 64, p. 401 ss.; S. M. XXXXXXXX, A matter of national importance: the persistent inefficiencies of deceptive advertising class actions, in J. of Business and technology law, 2013, 8, p. 117,
relative a differenti aree del diritto sostanziale, sono tutte animate dal timore che un uso abusivo ed estorsivo del rimedio induca la parte convenuta in giudizio alla conclusione di accordi ricattatori, anche relativamente a pretese non meritevoli di tutela. Se la class action ha rappresentato la più importante invenzione giudiziale del ventesimo secolo, il suo progressivo declino sembra essere il maggiore dei progetti procedurali messi in atto da alcune corti americane. Xxxxxx assistendo a un declino dell’istituto oppure si tratta di un fenomeno transitorio? A cinquant’anni dall’introduzione della Federal Rule 23 Xxxx Xxxxxx in un convegno tenuto l’11 novembre 2016 alla Pennsylvania Law School16 osserva come, al di là dell’apparente diffidenza, il modello americano stia in realtà superando i confini nazionali, approdando in alcuni paesi europei e asiatici. Un processo accaduto naturalmente, senza alcun cambiamento legislativo o giurisprudenziale, ma dettato dall’esigenza avvertita dai servizi legali di gestire su base aggregata determinate tipologie di controversie, superando i limiti imposti dalla legge. È emblematico il fenomeno, che si sta verificando in alcuni paesi europei, del finanziamento delle azioni collettive da parte di hedge funds o di soggetti terzi (third-party funding): se i patti di quota lite sono vietati e se chi perde deve rifondere la controparte delle spese giudiziale, allora sarà un terzo finanziatore, condividendo con la parte in causa il rischio associato al contenzioso, ad assumere su di sé i costi necessari a sostenere l’azione.
Il principale obiettivo di questo capitolo sarà quello di comprendere se la class action abbia realizzato gli scopi per i quali venne concepita e se stia realmente vivendo un momento di crisi. Nella prima parte saranno analizzate le caratteristiche strutturali dell’azione come codificata nella Federal Rule 23 e nell’ interpretazione che dottrina e giurisprudenza americane ne hanno fatto; nella seconda si esamineranno costi e benefici dell’istituto ed infine le ragioni che hanno portato ad un mutamento dell’atteggiamento giurisprudenziale.
16 X. XXXXXX, Xx., The Globalization of Entrepreneurial Litigation: Law, Culture, and Incentives, working paper presentato al Symposium on Class Actions at the University of Pennsylvania Law School, 11-12 novembre 2016.
2. Dalle origini alla «Federal Rule 23»
È unanimemente riconosciuto dalla dottrina americana che la class action nasca come autonomo sviluppo di regole importate dalla giurisprudenza inglese; in particolare è nelle representative suits promosse dinanzi alle corti di equity che deve rinvenirsi l’originario precedente storico dell’istituto17.
L’azione giudiziaria, prima dell’intervento delle corti inglesi, era concepita come un rapporto strettamente bilaterale tra attore e convenuto. La possibilità di procedere in via rappresentativa, deviando da tale principio, venne ammessa esclusivamente in presenza di determinate circostanze. Sotto il profilo soggettivo il numero di soggetti coinvolti doveva essere così numeroso da rendere impossibile o impraticabile la partecipazione di tutti al giudizio, nonché doveva sussistere un fattore di coesione interno alla classe destinato a sopravvivere anche una volta che la lite si fosse giudizialmente conclusa; sotto il profilo oggettivo la situazione dedotta in giudizio doveva riguardare l’applicazione di norme giuridiche disciplinanti rapporti continuativi tra il gruppo e la controparte. Al fine di facilitare la risoluzione di tali controversie - riguardanti common issues and multiple parties- si decise di affidarle alla Court of Chancery che, quale organo più vicino al monarca assoluto e dotato di ampia discrezionalità decisionale, sviluppò la pratica del cd. bill of peace. Si trattava di uno strumento processuale che consentiva alla corte di autorizzare, per ragioni di economia processuale, l’esercizio dell’azione su base rappresentativa nel momento in cui, come già detto, la numerosità delle parti coinvolte giustificava l’assunzione dell’iniziativa
17Sulle origini dell’istituto: XXXXXX X., Some Problems of Equity, Xxx Xxxxx Xxxxxxxx, 0000; C.A. XXXXXX, X.X. XXXXXX, X.X XXXX, Federal Practice and Procedure, St. Xxxx, Minnesota, 1986 (2nd edition) Vol. VII A, VII B; S.C. XXXXXXX, From Medieval Group Litigation to the Modern Class Action, 1987, New Haven, Connecticut; H.B. XXXXXXX, X. XXXXX, Newberg on Class Actions, Colorado Springs, McGraw-Xxxx Inc., 2001 (4th edition); D.R. XXXXXXX, X. X. XXXX, X. XXXXXX-XXXXX, X. XXXXXXX, X.XXXXX, E.K. XXXXXX, Class Action Dilemmas: Pursuing Public Goals for Private Gain, Santa Xxxxxx, RAND Institute for Civil Justice, 2000 e in giur. Xxxxxxxxxx Xxxx & Co. x. Xxxxxx, 000 F. 2d 182 (8th Cir. 1948). Nella dottrina italiana si rinvia a X. XXXXXXXX, Studi Sulle “Class Actions”, Padova, 1996, ove ulteriori riferimenti.
da parte di un unico soggetto adeguatamente rappresentativo. Il giudicato formatosi a seguito dell’esercizio dell’azione avrebbe vincolato tutti i soggetti coinvolti, compresi gli assenti.
A partite dal XIX secolo le representative suits cominciarono ad essere recepite dalle corti federali18. Risale a quest’epoca la più autorevole e risalente trattazione dottrinaria sull’argomento dovuta all’opera di Xxxxxx Xxxxx che, quale giudice federale, era stato autore di alcune tra le più significative pronunzie sul tema delle nascenti azioni rappresentative. Nella visione di Story la promozione di un’azione rappresentativa era esclusivamente quella di realizzare l’economia processuale riducendo il volume del contenzioso, come il rischio di giudicati contrastanti. Sulla base di questa considerazione Story circoscrisse l’esercizio di un’azione rappresentativa a tre ipotesi: quando ricorreva una questione di interesse comune o generale relativamente alla situazione dedotta in giudizio, nei casi di unincorporated associations e quando il numero dei soggetti coinvolti era talmente elevato da rendere impraticabile la presenza di tutti nel relativo giudizio. In tale ultima categoria residuale, sebbene potesse non esservi alcun legame tra le parti, la possibilità dell’azione rappresentativa era considerata legittima nel momento in cui si trattava di giudicare su di un general right o quando l’esito della controversia avesse coinvolto in maniera omogenea il convenuto e tutti gli altri soggetti interessati. La classificazione di Story appariva alquanto ridondante, ma quel che più interessa notare è che egli non chiariva espressamente quali fossero i limiti soggettivi della res iudicata19.
Il pensiero di Xxxxx influenzò l’inserimento nel corpo delle Federal Equity Rules di una disposizione che espressamente ammetteva e disciplinava le representative suits, sebbene esclusivamente negli equitable procedings. La Federal Equity Rules 48, in vigore tra il 1842 e il 1912, conferiva alla corte il potere di autorizzare l’esercizio
18 S.C. XXXXXXX, op. cit., p. 41 ss.; X. XXXXXXXX, Studi Sulle “Class Actions”, cit., p. 23 ss., secondo cui una possibile spiegazione del recepimento tardivo da parte del sistema legale americano delle azioni rappresentative inglesi è nella ostilità per il sistema dell’equity, che si contrapponeva all’istituto della giuria, considerata la massima espressione della giustizia americana.
19J. STORY, Commentaries on Equity Pleadings, Boston, Massachussets, 1848 (4th edition).
dell’azione da parte di un gruppo di persone rappresentanti gli interessi della classe, laddove la numerosità dei soggetti coinvolti non avrebbe reso possibile la partecipazione di tutti al giudizio senza inconvenienti o ritardi. L’esercizio dell’azione non avrebbe potuto pregiudicare le ragioni degli assenti20. Nel 1912 la Equity Rule 38 sostituiva la precedente normativa e, sebbene ancora una volta la presenza di una questione di interesse comune o generale, riguardante una molteplicità di soggetti, la cui numerosità ne impediva il globale coinvolgimento nella controversia, rappresentava il presupposto per l’autorizzazione della corte ad un’azione rappresentativa, veniva eliminato dalla disposizione ogni riferimento alla tutela delle ragioni degli assenti, alla luce delle incertezze che si erano registrate in giurisprudenza relativamente all’estensione erga omnes della res iudicata. La Corte Suprema nel leading case Tribe of Ben-Hur x. Xxxxxx, confermando la posizione assunta nel caso Xxxxx x. Xxxxxxxxxx, affermava la preferibilità di un giudicato vincolante tutti i membri della classe, anche se il primo fosse stato sfavorevole e i secondi non fossero intervenuti in giudizio21.
Il 1938 è l’anno in cui gli Stati federati emanano le Federal Rules of Civil Procedure, essenzialmente finalizzate alla semplificazione processuale e alla predisposizione di un più ampio sistema di discovery. La redazione della Rule 23, disciplinante la class action promossa dinnanzi alle corti federali, si deve principalmente all’opera di Xxxxx Xxxxx (assistente di Xxxxxxx Xxxxx figura di spicco dell’Advisory Committee cui si deve la redazione della riforma), che riformulò l’istituto
20 La giurisprudenza, pur di fronte ad un dato normativo che sembrava limitare gli effetti vincolanti derivanti dalla representative suit, decise di sposare in più di un’occasione la tesi della efficacia ultra partes del giudicato. La ragione era ovvia: se il principale scopo del meccanismo processuale era quello di evitare una molteplicità di giudizi riguardanti questioni comuni, allora era evidente come tale finalità sarebbe stata fortemente pregiudicata da una pronunzia vincolante solo le parti presenti in giudizio. Nel primo leading case Xxxxx x. Xxxxxxxxxx, 57 US 288, (1853), riguardante due fazioni contrapposte di un’associazione non riconosciuta, i cui membri erano accomunati dall’interesse a far valere un medesimo titolo generale su di un patrimonio separato, la Corte Suprema, pronunziandosi sulla estensione soggettiva del giudicato, ne dichiarava la vincolatività ultra partes. In dottrina R. G. BONE, Personal and impersonal litigative forms: reconceiving the history of adjudicative representation, in Boston University Law Rev., 1990, 70, p. 213 ss., secondo cui l’impossibilità di pregiudicare le ragioni degli assenti non doveva reputarsi necessariamente in contrasto con la tesi degli effetti ultra partes del giudicato, nel momento in cui sussisteva il carattere in rem dell’azione ovvero la natura di general right del titolo dedotto in giudizio.
21 Tribe of Ben-Hur x. Xxxxxx, 000 US 356 (1921).
nell’intento di agevolarne ed incoraggiare l’utilizzo, non più limitato al contenzioso in equity ma esteso alle cause at law 22. L’aspetto centrale della disciplina si sostanziava nella predisposizione di una nuova classificazione, che effettuata sulla base della natura del diritto fatto valere in giudizio, distingueva le azioni rappresentative nelle tre categorie della true, hybrid and spurious class actions .
La true class action comprendeva le azioni in cui venivano fatti valere in giudizio joint or common rights, nonché un secondary right, laddove il titolare del diritto principale si era rifiutato di esercitarlo. La casistica di riferimento comprendeva quelle fattispecie, già ampiamente sperimentate dalla giurisprudenza precedente, relative a unincorporated associations, nelle quali il soggetto legittimato a rappresentare tutti i membri del gruppo agiva a favore o nei confronti dell’intera associazione. La hybrid class action comprendeva quelle azioni, anche queste già sperimentate in precedenza, in cui ognuno dei soggetti coinvolti avrebbe potuto far valere la propria pretesa in via individuale, ma l’utilizzo dell’azione di classe trovava la sua giustificazione nel fatto che la pretesa si sostanziava in un diritto avente ad oggetto un common fund o una common property. È in realtà nell’ultima categoria che deve rinvenirsi il reale elemento di novità della disciplina. In una spurious class action i membri della classe non dovevano condividere alcun preesistente legame giuridico, poiché il presupposto dell’azione era la necessità di risolvere una questione comune di fatto o di diritto al fine dell’emanazione di un provvedimento comune. Si badi che la spurious class action, nonostante il riferimento ad una questione di fatto o di diritto comune a più persone, era ben lontana dalla fisionomia che l’istituto avrebbe assunto nel 1966, dal momento che, a differenza delle altre due categorie, il relativo giudizio non produceva alcun effetto nei confronti dei membri della classe assenti, trattandosi semplicemente di un joinder device vincolante esclusivamente le parti originarie e quante
22 Nella elaborazione della Rule 23 Xxxxx fu fortemente limitato dal contenuto della delega conferita dal Congresso. Le Rules Enabiling Act, difatti, escludevano la possibilità di poter incidere sul diritto sostanziale del quale si riteneva che la disciplina relativa ai limiti oggettivi e soggettivi del giudicato facesse parte. Sul punto cfr. X. XXXXX, X. XXXX, Federal Class Actions: Jurisdiction and Effect of Judgement, in Illinois Law Rev., 1938, 32, pp. 555-567; X. XXXXX, Federal Rules of Civil Procedure, Some Problems raised by the Preliminary Draft, Xxxxxxxxxx Law Rev., 1925, 25, p. 570 ss.
successivamente e volontariamente avessero deciso di intervenire in giudizio. In definitiva, con l’introduzione di tale categoria, l’obiettivo di Xxxxx era stato quello di incentivare, liberalizzandolo, il subingresso di soggetti in controversie accomunate da una questione di fatto o di diritto, creando una forma di opt-in per quanti volontariamente avessero deciso di farne uso, non certo quello di decretare l’estensione soggettiva del giudicato a tutti i membri della classe23.
La classificazione operata da Xxxxx finì con il rappresentare la maggiore debolezza dell’istituto. La dottrina riteneva la regola eccessivamente concettuale24 e su di un piano pratico, come risulta evidente da una disamina delle decisioni pronunziate tra il 1938 e il 1966, la sua applicazione fu accompagnata da numerose incertezze interpretative, risultando problematico l’inquadramento dell’azione nell’una piuttosto che nell’altra categoria. Un’incertezza applicativa che aveva conseguenze non poco rilevanti, visto che solo nella spurious class action gli unnamed members non sarebbero stati vincolati dall’esito del giudizio, a meno che non avessero deciso di comparire successivamente dinnanzi alla corte. Inoltre, considerato che l’intervento poteva aver luogo in qualunque stato del procedimento, era invalsa la pratica di quello che venne definito il cd. one-way intervention, in base al quale i membri assenti erano soliti aderire al giudizio solo laddove quest’ultimo, giunto ad una fase avanzata del suo svolgimento, avesse rivelato un contenuto loro favorevole, avallandosi la configurazione di un giudicato secundum eventum litis che rese l’azione uno strumento processuale strutturalmente iniquo a danno della parte convenuta in giudizio.
La Rule 23 viene completamente riscritta nel 1966. La riforma si colloca in un momento temporale di profonda trasformazione della litigation, che abbandona il dogmatismo e l’astrattismo tipico della tradizione ottocentesca a favore di un metodo più pragmatico che impone ai giudici di utilizzare le forme
23 Sul punto X. XXXXX, X. XXXX, op. cit., p. 560 ss.
24 Sostenevano la necessità di una revisione X. XXXXXX, op.cit., pp 199-295; H. XXXXXX Xx.,
X. XXXXXXXXXX, The Contemporary function of the Class Suit, in University of Chicago Law Rev., 1941, 8, p. 684 ss.; R. G. XXXX, op. cit., p. 286 ss.
procedimentali in chiave funzionale, avendo riguardo alle esigenze specifiche della fattispecie sottoposta al loro esame. La massificazione dei sistemi di produzione e distribuzione aveva reso, inoltre, fuori moda il concetto tradizionale di litigation come disputa riguardante esclusivamente due soggetti. A sollecitare il cambiamento intervengono non soltanto le manchevolezze che rapidamente erano emerse dalla tripartizione della regola Xxxxx, ma fu soprattutto il movimento per la tutela dei Diritti Civili a guidare la riforma. Le principali organizzazioni politiche per la tutela dei diritti civili vedevano nella class action il potenziale strumento per la lotta contro la discriminazione e le ingiustizie sociali, tuttavia l’istituto, finalizzato in tal caso principalmente all’ottenimento di provvedimenti inibitori, si rivelava inadeguato, mancando una compiuta regolamentazione dell’azione sotto il profilo procedurale che guidasse il giudice nella conduzione del procedimento, garantendo l’effettiva protezione dei membri assenti. In sintesi quella che può definirsi la “modern class action” emerge in un contesto di nuove e liberali iniziative legislative (Civil Rights Xxx 0000 e Voting Rights Act 1966) che, finalizzate ad espandere i diritti civili e le libertà dei cittadini americani, contribuiscono all’affermazione di una serie di nuovi diritti sostanziali e valori quali “corporate democracy, consumers’ rights, enviromental protection”, che sarebbero rimasti inattuati senza un adeguato meccanismo procedurale strumentale alla loro effettiva tutela. L’emendamento del 1966 rappresenta la convergenza di queste esigenze. Nella visione dell’Advisory Committeee la class action non è semplice meccanismo procedurale diretto ad assicurare l’economia processuale e ad evitare una molteplicità di azioni, ma uno strumento politico finalizzato a garantire social justice e private remedies25.
25Sulla riforma del 1966 si veda X. XXXXXX, Continuing Work of the Civil Committee: 1966 Amendments of the Federal Rules of Civil Procedure (pt.1), in Harvard Law Rev, 1967, p. 356 ss.; A. R. XXXXXX, Of Frankenstein Monsters and Shining Knights: Myth, Reality and the “Problem”, in Harvard Law. Rev., 1979, 92, p. 664 ss e il più recente contributo di X. XXXXXX, The History of the Modern Class Action, Part I: Sturm und Drang, 1953-1980, in Washington University Law Rev., 2013, 90, p. 587 ss. Nella dottrina italiana tra i primi commentatori della nuova Rule 23 si veda X. XXXXXXX, I limiti soggettivi del giudicato e le “class actions, Riv. Dir. Proc, 1970, p. 619 ss.; X. XXXXXXXX, Interessi collettivi e processo: la legittimazione ad agire, Padova, 1979, p. 260ss. In giur. il leading case, Xxxxx v. Board of Education of Topeka, 347 US 483 (1954).
Xxxxxxxx Xxxxxx, professore alla Harvard Law School, fu il principale autore della nuova Rule 23. Secondo le note che accompagnano l’emendamento la nuova regola era intesa a: «redefine the cases that could proceed under rule 23, by adopting more functional definitions of class actions; to clarify the effect of a class action judgment on members of the class; to codify some of the better class action practices that federal judges had developed; to provide district court judges more guidance regarding their procedural powers and responsibilities; and to deal explicitly whit the notice that should be provided to absent class members »26.
L’approccio adottato è meno teoretico ma più pragmatico e funzionale, nel chiaro intento di adattare l’istituto alle esigenze dettate dalla prassi. Viene abbandonato, al fine della procedibilità dell’azione, ogni riferimento alla necessarietà di una preesistente relazione giuridica tra i membri della classe e si procede ad una nuova classificazione dell’istituto, diversa da quella contenuta nella regola Xxxxx, perché volutamente riformulata al fine di ricomprendere tutte quelle situazioni in cui la class action può essere considerata lo strumento adeguato per la risoluzione di una controversia. La novità più importante è sicuramente l’espressa previsione della vincolatività del giudizio promosso nei confronti di tutti quelli che la corte avesse riconosciuto come membri della classe, sia presenti che assenti, e tanto nell’ipotesi di giudizio favorevole che sfavorevole. Naturalmente la vincolatività erga omnes della res iudicata richiedeva la previsione di una serie di misure finalizzate a regolamentare il potere dei giudici, in termini di un’equa e corretta gestione dell’azione, e ad assicurare un’adeguata protezione degli assenti. A tal fine viene inserita nella Rule 23 la previsione dell’adequacy of representation degli interessi della classe; una nuova fase procedimentale la cd. certification nella quale il giudice ha il compito di verificare la sussistenza di tutti i requisiti necessari alla concessione dell’autorizzazione a procedere in forma rappresentativa ed infine, anche se non in tutte le categorie di class action, viene preservato il diritto degli assenti all’autoesclusione (cd. opt-
26 X. XXXXXX, Prefatory Note, The Class Action- A Symposium, 10 Boston College L. Rev., 1969, p. 497 ss.
out), contemplando, al fine di garantirne l’effettività, l’effettuazione di una comunicazione obbligatoria (cd. notice) diretta a tutti i membri della classe27.
Fin dalla sua introduzione l’istituto generò pareri discordanti. La prima fase della sua applicazione fu connotata da un atteggiamento favorevole da parte della giurisprudenza che, sperando che la class action potesse contribuire ad attenuare disparità economiche e sociali, adottò interpretazioni atte a favorirne l’utilizzo28. A questa fase di generale xxxxxxx seguì ben presto un clima di sfiducia, dovuto principalmente ad errori commessi dalle Corti, che non avevano prestato sufficiente attenzione nella verifica dei requisiti necessari per la concessione della certification o avevano approvato transazioni in mancanza di un’approfondita analisi della meritevolezza e fondatezza degli interessi in gioco. Vennero condannati gli spropositati compensi spettanti ai legali, nonché gli eccessivi costi connessi all’esercizio dell’azione a fronte della scarsità di sostanziali benefici attribuiti ai membri della classe29. L’esplosione del fenomeno della litigation a partire dalla fine degli anni 70 imponeva l’adozione di un approccio bilanciato. Da un lato l’istituto si era rivelato indispensabile, in presenza di controversie coinvolgenti un largo numero di persone, e necessario soprattutto al fine di concedere l’accesso alla giustizia a quelle categorie di soggetti che, dato il valore delle loro pretese e la scarsità di risorse economiche a disposizione, diversamente non avrebbero ottenuto alcuna tutela; dall’altro andava evitato un uso distorto dell’istituto. Quello che viene chiamato “effetto pendolo” nella storia della class action si è riprodotto nel corso degli anni fino ad oggi.
27 È nel leading case Xxxxxxxx Petroleum Co. x. Xxxxxx, 472 US 797 (1985) che la corte afferma espressamente la legittimità costituzionale del principio dell’opt-out, ritenuto compatibile con la Due Process Clause a condizione che i membri della classe, nei cui confronti si producono gli effetti vincolanti del giudizio, siano adeguatamente rappresentati. L’adeguata rappresentatività sarebbe garanzia della promozione dell’azione nell’interesse comune e che le ragioni degli assenti, sia pure indirettamente, saranno esposte in giudizio.
28In giur. Eisen x. Xxxxxxxx & Xxxxxxxxx, 391 F. 2d Circ. 555 (1968); Xxxxxx x. Xxxxxx, 000 F. 2d 94 (10 th Cic. 1968)
29 In giur. Xxxxxx x. Xxxxxx, 394 U.S. 332 (1969); Eisen x. Xxxxxxxx & Xxxxxxxxxx, 417 U.S. 156 (1974) e in dottrina A. R. XXXXXX, Of Frankenstein Monsters and Shining Knights: Myth, Reality and the “Problem”, cit., p. 676 ss.
Il testo della Rule 23, pur avendo subito dalla sua emanazione differenti modifiche, si presenta sostanzialmente identico a quello codificato nel 1966.30 Tra le innovazioni apportate due meritano menzione, in quanto entrambe finalizzate a ridurre la possibilità di abusi. Il Private Securities Litigation Reform Act (PSLRA) del 1995, riguardante le securities class actions, prevede che a gestire il procedimento sia il cd. “lead plaintiff”, identificato in colui che ha subito la perdita finanziaria di maggiore entità, generalmente un investitore istituzionale, così da fare in modo che il controllo dell’azione sia assegnato al soggetto che, avendo il maggiore interesse economico, difficilmente assumerà un atteggiamento passivo o negligente rispetto alla condotta dell’azione. L’altro importante provvedimento è il Class Action Fairnes Act (CAFA) approvato nel 2005 dall’amministrazione Xxxx. La normativa, adottata per fra fronte al crescente fenomeno di abbandono delle corti federali a favore di quelle statali, note per l’applicazione di bassi standard nella concessione della certification, attribuisce al convenuto il diritto di trasferire quasi tutte le class actions di significative dimensioni presso le corti federali.
La Rule 23, da un punto di vista strutturale, si divide in due parti. La prima individua i pre-requisiti generali necessari ma non sufficienti, che ogni tipo di class action deve possedere: numerosity31; commonality32; tipicality and adequacy
30 Per un recente commento alla Rule 23 R. H. KLONOFF, Class actions and other multy-party litigation in a nutshell, West, 2012, (4th edition)
31Il dato normativo non indica la necessarietà di un numero minimo di soggetti al fine di giustificare o escludere la promozione dell’azione. Il requisito è oggetto di valutazione discrezionale da parte del giudice sulla base delle caratteristiche complessive della fattispecie concreta a lui sottoposta e sulla base della disamina di altri elementi che, oltre al numero dei membri della classe, valgono a determinare nel caso concreto la sussistenza del requisito previsto dalla legge (la dislocazione geografica dei class members, il quantum della pretesa vantata dal singolo soggetto, la disponibilità di risorse finanziarie necessarie affinché l’azione sia individualmente promossa). Né si richiede che la presenza dei componenti della classe sia tale da rendere impossibile il cumulo in un unico giudizio delle azioni individuali, ma semplicemente estremamente difficile o poco conveniente la sua effettuazione H. B. NEWBERG, X. XXXXX, op cit § 3.3 p. 218 ss. e § 3.4 p. 230; R. H. KLONOFF, Class Action and Other Multi-Party Litigation in a nutshell, cit p. 388 ss.
32 La cd. commonality, prevista nella regola Xxxxx esclusivamente per le spurious class action, viene estesa con la riforma del 1966 a qualunque tipologia di azione, imponendo che gli appartenenti alla classe siano titolari di situazioni soggettive controverse la cui decisioni dipenda da questioni di fatto o di diritto che devono essere risolte su base collettiva. La disciplina parla chiaramente di questioni di diritto o di fatto con ciò intendendo come la presenza di una sola questione comune sia sufficiente alla concessione da parte della corte della certification; naturalmente tale
of representation33, il cui mancato rinvenimento da parte dell’organo giudicante preclude la certification. La seconda individua le tre differenti tipologie di class action; la categorizzazione è importante sotto il profilo dei requisiti per l’ammissibilità dell’azione e per l’estensione degli effetti del giudicato.
La prima categoria di class action va individuata in relazione alle ipotesi di litisconsorzio necessario (c.d. compulsory joinder). L’autorizzazione a procedere in via rappresentativa può essere concessa quando, dovendo la controparte della classe comportarsi in maniera uniforme nei confronti dei suoi componenti, la promozione di azioni individuali creerebbe il rischio di giudicati diversi e tra di loro incompatibili, nonché laddove, essendo oggetto della pretesa un limited fund, la risoluzione della lite nei confronti di soltanto alcuni class members comporterebbe per gli altri il rischio dell’impossibilità di proteggere adeguatamente i propri interessi (Rule 23 (b) (1)) La seconda categoria, la cosiddetta injunctive class action, si sostanzia nella richiesta di provvedimenti inibitori o pronunzie meramente dichiarative (Rule 23 (b)(2)). La terza categoria, quella che maggiormente interessa ai fini della nostra indagine, rappresenta una rielaborazione della spurious class action della regola Xxxxx e viene concepita come uno strumento processuale di carattere residuale teso all’ottenimento di un risarcimento dei danni per quelle categorie di persone incapaci di tutelare attraverso azioni individuali i propri diritti (Rule 23 (b) (3)).
Se, relativamente alle prime due tipologie, l’esercizio dell’azione è condizionato alla sussistenza dei soli prerequisiti previsti nella prima parte della disposizione, la class action for monetary damages impone ulteriormente la predominanza delle questioni comuni su quelle individuali al fine della risoluzione della lite (predominance requirement), cosi come la superiorità dell’azione di classe rispetto alle alternative disponibili, in termini di una più equa ed efficiente risoluzione della controversia (superiority requirement). Inoltre, posti gli effetti vincolanti della res
questione deve essere oggetto di disputa tra attore e convenuto e quella per la quale l’azione viene promossa.
33 Sul concetto di adequacy of representation nel senso di assenza di un conflitto di interessi cfr. il
leading case Xxxxxxxxx x. Xxx, 311 US 32, 1940
iudicata a tutti i membri della classe, solo l’ultima delle tre categorie preserva il diritto degli assenti all’autoesclusione (opt-out), con la previsione, al fine di garantirne l’effettivo esercizio, di una notice che deve essere la migliore possibile con riguardo alle circostanze del caso, ivi compresa la possibilità di una individual notice rivolta a tutti i membri della classe che potranno essere identificati tramite un ragionevole sforzo. Peraltro, accade di rado che le parti coinvolte esercitino la facoltà di recesso loro riconosciuta, soprattutto laddove il valore esiguo della pretesa avanzata porterebbe il singolo individuo a rinunciare, in assenza della class litigation, ad una tutela giudiziale. Una generale facoltà di opt-out è, invece, prevista nel momento in cui la controversia viene definita con un accordo relativamente al cui contenuto spetta al giudice un potere di omologa.
La precisa definizione della classe è un punto fondamentale per il corretto funzionamento dell’azione, dal momento che essa varrà a determinare i soggetti a favore e nei confronti dei quali si produrranno gli effetti favorevoli o sfavorevoli del giudizio. Nonostante la centralità del concetto, manca una definizione di classe nella Rule 23; si ritiene generalmente che non ci si debba focalizzare su un atteggiamento soggettivo ma ciò che deve essere considerato è la condotta tenuta dalla parte convenuta in giudizio, includendovi quei parametri geografici, temporali ed obbiettivi che siano in grado di circoscriverla in quanto tale. Il tipo di esame che la corte deve effettuare dipende dalla tipologia di azione che viene promossa. Laddove l’istituto è diretto ad ottenere un risarcimento monetario, la presenza di soggetti legittimati all’opt-out e l’obbligatorietà di una notice ad essi individualmente diretta richiedono ovviamente che i membri della classe siano identificabili con sufficiente precisione; cosa, invece, non necessaria nel momento in cui l’azione è finalizzata ad ottenere un provvedimento inibitorio o dichiarativo.
Va dato atto, infine, che nel corso degli anni le corti hanno rafforzato gli oneri probatori imposti a carico della parte che richiede la certification. Il relativo procedimento deve tradursi in una rigorosa analisi da parte della corte della sussistenza dei requisiti previsti dalla Rule 23 e che coinvolga la disamina di
questioni di merito se rilevanti. È evidente come l’atteggiamento della corte sia stato nel corso degli anni influenzato dagli abusi connessi all’uso dell’istituto, quali l’incoraggiamento di una vexatious litigation o la conclusione di accordi vantaggiosi non per la classe ma esclusivamente per i suoi difensori.
3. Le finalità dell’istituto
Nell’interpretazione della dottrina e della giurisprudenza statunitense tre sono le funzioni che vanno attribuite alla class action: l’accesso alla giustizia, la deterrenza dal compimento di atti illeciti e l’economia processuale. Prima di analizzare ognuno di tali obiettivi una premessa è doverosa. L’esercizio dell’azione giudiziaria attraverso lo strumento della group litigation implica inevitabilmente un sacrificio dell’autonomia delle parti e dei loro diritti individuali sia sotto il profilo del diritto all’azione, che di quello rimediale. Si tratta, come avremo modo di vedere anche nella disamina della disciplina italiana, di un effetto inscindibilmente connesso allo strumento processuale e che cede il passo di fronte al perseguimento delle finalità sopramenzionate.
Una tra le principali ragioni giustificatrici della class action è quella di consentire l’accesso alla giustizia a quelle categorie di soggetti che, sprovvisti di adeguate risorse economiche e informative, rinuncerebbero a far valere pretese che, pur meritevoli di tutela giuridica, presentano un valore inferiore rispetto ai costi che il singolo soggetto dovrebbe affrontare per la loro tutela in via individuale (negative value claims)34.
34 Si veda in H.B. XXXXXXX, X. XXXXX, op. cit., § 5.57, p. 57 dove si legge: «they actually promote the integrity of the adversary system in terms corrective current imbalances. On the other hand class actions should not be abused by plaintiffs as a threat to strengthen their own bargaining position against an adversary». X. XXXXXXXX, The class action in common law legal systems: A comparative perspective, Xxxxxx, 0000, p. 52 ss. In giur. Xxxxxx Products Inc x. Xxxxxxx 000 XX XX 0000 (1997): «(…)While the text of Rule 23 (b) (3) does not exclude from certification cases in which individual damages run high, the Advisory Committee had dominantly in mind vindication of the rights of groups of people who individually would be without of effective
Risale al 1941 il famoso saggio di Xxxxx Xxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxxxx “The Contemporary Function of the class suits”35, dove viene espressa per la prima volta una compiuta visione della class action come strumento per l’attuazione del diritto sostanziale, valore fondamentale in un sistema giuridico in cui è comunemente condivisa l’idea dell’insufficienza e inadeguatezza del sistema di enforcement demandato ai pubblici poteri. Le esigenze imposte dal capitalismo emergente e dalla massificazione del sistema di produzione e di distribuzione imponevano la predisposizione di una disciplina che consentisse un’efficiente tutela dell’individuo come gruppo, superando così l’ottica adversary insita nel processo americano, e che, di fronte a un sistema di public enforcement insufficiente, agevolasse l’accesso alla giustizia per i titolari di pretese di modesto valore economico. La necessarietà di un’azione rappresentativa appare evidente considerando proprio il settore della protezione del consumatore che costituisce l’oggetto di questo studio. La presenza di un soggetto che istituzionalmente si configura come parte debole del rapporto contrattuale, perché sprovvisto di sufficienti risorse economiche e informative, nonché la circostanza che il valore della pretesa vantata sia di norma inferiore rispetto alle spese da sostenere per l’esercizio dell’azione in via individuale, rende evidente come, in assenza di un rimedio qual è la class action, tali categorie di soggetti non potrebbero mai rivendicare giudizialmente i propri diritti, rimanendo privi di tutela. Si tratta, di ipotesi in cui lo scontro processuale avviene tra una moltitudine di litiganti occasionali (one-shot dealers) e un litigante abituale (repeat player) che, oltre a poter usufruire di economie di scala nella spesa per il contenzioso, ha tutto l’interesse ad investire risorse economiche considerevoli nella controversia al fine di evitare la formazione di procedimenti sfavorevoli o di aumentare strategicamente per il singolo soggetto il costo della lite, così da renderla per quest’ultimo economicamente inconveniente o insostenibile. La class action, attraverso la rimozione degli ostacoli all’accesso alla giustizia, rappresenta un rimedio atto a
strength to bring their opponents into the court at all…the policy at the very core of the class action mechanism is to overcome the problem that small recoveries do not provide the incentive for any individual to bring a solo action prosecuting his or her rights»”.
35 H. XXXXXX Xx., X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 690 ss.
L’utilizzo dell’azione di classe contribuisce all’attuazione del diritto sostanziale non solo in termini di agevolazione dell’accesso alla giustizia, ma anche attraverso una politica di deterrence del compimento di condotte illecite. La possibilità di far valer in giudizio pretese risarcitorie che, diversamente non otterrebbero tutela, realizza anche l’interesse collettivo di grado superiore consistente nell’esercizio dell’attività di impresa secondo i principi della trasparenza e della correttezza. In più di un’occasione le corti federali hanno sostenuto come l’obiettivo della class action, come codificato nella Rule 23, sia proprio quello di indurre le società a rivedere i loro comportamenti finanziari, producendo un positivo impatto anche relativamente alle decisioni aziendali37.
Il ricorso alla class action si giustifica, infine anche in funzione del perseguimento dell’economia processuale. Nelle individually recoverable claims, cioè relativamente a quelle fattispecie in cui i singoli componenti della classe potrebbero far valere individualmente i propri diritti e in condizioni di tendenziale parità rispetto alla controparte, l’azione di classe diviene strumento di economia processuale, da intendersi come risoluzione delle liti al minor costo possibile, così da incrementare, a parità di costi, il numero delle controversie risolte. In altri termini, la judicial economy non deve tradursi nell’adozione di strumenti che limitano l’accesso alla giustizia, né tantomeno in un’applicazione meno accurata del diritto sostanziale o in una risoluzione meno giusta del conflitto sorto tra le
36 M. R. XXXXXXX, I volti della giustizia e del potere, Bologna, 1991, p. 190 ss., che, tuttavia, sostiene la parzialità del rimedio, dal momento che il sistema processuale americano si accontenta di un’eguaglianza meramente formale delle parti o meglio « è la garanzia solo formale che strumenti processuali eguali siano accessibili a tutti a legittimare il sistema». Inoltre l’A. sottolinea le difficoltà incontrate da uno Stato reattivo, che segue l’ottica del laisser-faire, nell’identificare le disparità socio-economiche che incidono sulla capacità delle parti di perseguire i propri interessi difensivi e che, in quanto tali, debbano essere ritenute inaccettabili.
37 X. XXXXXXXX, The class action in common law legal systems: A comparative perspective, cit., p. 47; G. P. XXXXXX, Compensation and deterrence in consumer class actions in the United States and Europe, in New Frontiers of Consumer Protection. The Interplay between Private and Public Enforcement, edited by
X. Xxxxxxx and H. W. Xxxxxxxx, Intersentia, 2009, p. 263 ss.
.
parti: permane la garanzia del giusto processo così come di un sistema di regole che garantisca alle parti parità di opportunità nella conduzione del contenzioso.
Non sempre gli obiettivi sopra menzionati sono tra di loro necessariamente compatibili. Relativamente alla relazione esistente tra accesso alla giustizia ed economia processuale, l’obiezione che spesso viene rivolta alla class action, sotto il profilo della effettività della judicial economy, è la risoluzione di conflitti soltanto potenziali. La scarsità di incentivi economici all’esercizio dell’azione individuale relativamente alle pretese di modesto valore economico avrebbe in molti casi evitato del tutto l’assunzione dell’iniziativa giudiziaria. A conclusioni non diverse si giunge se si considera il rapporto tra la judicial economy e l’esigenza dei componenti della classe all’autonomia individuale. I poteri riconosciuti al giudice nella conduzione della causa vanno visti, non solo in funzione della tutela dei membri della classe assenti, ma anche in funzione dell’esigenza di realizzare l’economia processuale. L’obiettivo è quello di semplificare, per quanto possibile, lo svolgimento della procedura soprattutto sul piano probatorio al fine di evitare inutili ripetizioni o complicazioni in modo da poter risolvere la controversia nel minor tempo possibile e con il minor dispendio di risorse o di agevolare una conciliazione tra le parti. Tuttavia diversi sono nella Rule 23 i riferimenti normativi che riconoscono la rilevanza alla visibilità individuale dei class members. La disciplina contempla diverse forme di partecipazione all’azione rappresentativa, finalizzate a garantire al soggetto rappresentato la possibilità di tutelare i propri interessi contro il rischio di una cattiva gestione della controversia o di tentativi di collusione; meccanismi (public hearings, la suddivisione in sub-classes, opt-out) ai quali corrispondono gradi di partecipazione alla lite di diversa incisività, ma tutti implicanti dei costi in termini di tempo e risorse economiche. Sotto questo profilo l’indagine empirica acquista un ruolo fondamentale nella valutazione dell’effettiva idoneità della class action al raggiungimento delle finalità menzionate. Quanti criticano l’istituto sottolineano proprio la mancanza di un’evidenza empirica che supporti la convinzione dell’effettiva compensazione per i class members, così come dell’effettiva riduzione
dei costi derivanti dall’esercizio dell’azione su base rappresentativa38. Si sostiene che il dato obbiettivamente rilevabile dalla realtà è che le azioni di classe, una volta legittimamente iniziate, raramente vengono risolte con una pronunzia giurisdizionale, poiché il più delle volte si giunge ad un accordo tra le parti non sempre vantaggioso per l’attore e che, soprattutto laddove il procedimento si chiuda con una transazione, alcuna reale compensazione del pregiudizio subito verrà conseguita dai class members
4. Il declino della «class action»?
Come si è detto in apertura di questo capitolo, la moderna class action veniva alla luce in un periodo di importanti iniziative legislative finalizzate alle espansioni dei diritti civili. Nel periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore della Rule 23 l’istituto viveva quella che può definirsi la sua golden age: la class litigation viene vista come lo strumento processuale idoneo a contrastare discriminazioni e ingiustizie sociali39. L’iniziale entusiasmo manifestato venne ben presto meno; il numero eccessivo di procedimenti collettivi che si registravano presso le corti federali destò crescente preoccupazione, tant’è che una serie di decisioni restrittive ne limitarono considerevolmente l’uso40. Intorno alla fine del 1970 si assiste ad un importante cambiamento: si abbandona l’idea della class action come strumento di incentivazione di riforme istituzionali ed emerge un nuovo paradigma di litigation, i mass tort cases che dominano la storia dell’istituto fino al 1990. A partire dalla fine del XX secolo assistiamo ad una serie di nuovi limiti
38 X. XXXXXX, US Class Action Promise and Reality, in The transformation of enforcement, edited by
H.W. Xxxxxxxx and X. Xxxxxxxx, Xxxx Publishing Ltd., Oxford, 2016, p. 199 ss.; T. E. WILLNGING, L.L. XXXXXX, X. XXXXXX, Empirical study of class action in fourth district courts: Final report to the Advisory Committee and Civil Rules (1996).
39 XXXXXXX X. XXXXXX, Public Law Litigation and Legal Scholarship, in University of Michigan J. of Law Reform, 1988, 21, p. 647 e in giur., Soc’y for the Good Will to Retarded Children, Inc. x. Xxxxx, 572 F. Supp. 1300 (E.D.N.Y. 1983); Xxxxxxxx x. Xxxxxx, No. 74 C 575.
40 Eisen x. Xxxxxxxx & Xxxxxxxxx, 417 U.S. 156, 177–79 (1974); Xxxx v. Int’l Paper Co., 414 U.S. 291,
301 (1973).
posti alle possibilità di utilizzazione del rimedio ad opera dell’interpretazione giurisprudenziale che adotta rigidi e restrittivi criteri di interpretazione della Rule
23. La class action è morta o si tratta di una fase transitoria?41 Questo è il quesito al quale si tenterà di dare una risposta nella parte conclusiva di questo capitolo relativo all’esperienza americana; si partirà dalle critiche rivolte alla class action, per passare, attraverso la disamina di alcuni emblematici casi giurisprudenziali, all’esigenza di riforme suggerite dal mondo accademico.
Queste le principali critiche rivolte all’istituto: la cd. extortion critique, gli eccessivi compensi del plantiff’s attorneys a confronto di nessun tangibile beneficio attribuito ai membri della classe e la sua non democraticità. È da quest’ultima che si vuole partire dal momento che, sebbene si tratti di un tema largamente dibattuto nel mondo accademico, è poco probabile che abbia influenzato o possa influenzare l’atteggiamento delle corti americane. Il professor Xxxxxx Xxxxxx della Northwestern University ne è il più significativo sostenitore42. L’incostituzionalità dell’azione di classe deriverebbe prima di tutto dalla violazione dell’autonomia individuale; il sistema dell’opt-out, contemplato per la sola money damages class action, sarebbe illegittimo, perché costruito su un’impropria equiparazione tra l’inattività delle parti e il loro consenso. Inoltre l’invalidità dell’azione di classe deriverebbe dalle settlement classes (con l’espressione si fa riferimento a quelle azioni di classe che sono esercitate e concluse pattiziamente nello stesso giorno), che non costituiscono vere e proprie controversie le quali sono le sole a rientrare nella legittima competenza dell’organo giudiziario. Le altre due critiche sopra menzionate sono quelle che maggiormente ci interessano, in quanto hanno maggiormente inciso sull’atteggiamento restrittivo delle corti americane. Sin dalle origini della moderna Rule 23 la cd. extortion critique rappresenta uno degli abusi
41 Sulla crisi della class action si vedano I contributi di X. XXXXXXX, The decline of the class action, in Washington University Law Rev., 2013, 90, p. 729 ss; X. XXXXXXXX, Ending class actions as we know them: rethinking the american class action, cit., p. 401 ss.; X. XXXXXX, Opting Out of Liability: The Forthcoming Near-Total Demise of the Modern Class Action, University of Michigan Law. Rev., 2005, 104, p. 373 ss.;
42 X. X XXXXXX, Wholesale Justice: constitutional democracy and the problem of the class action lawsuits, Stanford University Press, 2009.
tradizionalmente associati all’azione di classe: l’aggregazione di innumerevoli pretese in un unico giudizio espone il convenuto al rischio di dover far fronte a ingenti pretese risarcitorie che, assieme al timore di una lite lunga e costosa, lo inducono all’accettazione di accordi ricattatori – legalized blackmail per utilizzare le parole del professor Handler43- anche relativamente a pretese individuali deboli o addirittura non meritevoli di tutela. Infine ciò che si condanna sono gli eccessivi compensi dei plantiff’s attorneys a fronte di nessun tangibile beneficio a favore dei membri della classe che non riceverebbero alcuna effettiva compensazione per il pregiudizio subito, poiché i costi connessi all’esercizio dell’azione sarebbero superiori ai benefici ottenuti, soprattutto laddove il procedimento si conclude con la stipula di un accordo tra le parti44. Tali critiche, più o meno condivise o condivisibili, hanno inciso sull’atteggiamento di recenti corti, che hanno interpretato restrittivamente i requisiti della Rule 23, rendendo più difficile per la parte attrice l’ottenimento della certification. A titolo esemplificativo si citano due importanti pronunzie della Corte Suprema: Wal- Mart Stores, Inc x. Xxxxx e AT&T Mobility v. Concepcion45.
Il primo caso ha riguardato una presunta ipotesi di discriminazione femminile nell’ambiente di lavoro. Il caso di specie era particolarmente controverso trattandosi di un’azione di classe destinata a coinvolgere circa un milione di donne impiegate presso i magazzini Wal-Mart a partire dal 26 dicembre 1998. La parte attrice lamentava che la politica della compagnia, concedendo eccessiva autonomia agli store managers, si era rivelata discriminatoria nei confronti delle donne. La Corte Suprema negava la certificazione dell’azione di classe diretta ad ottenere un provvedimento inibitorio e un risarcimento dei danni subiti sulla base di una rinnovata interpretazione del requisito della commonality di cui alla Rule 23 (a) (2). Se in precedenza la presenza anche di una sola questione comune
43 M. HANDLER, The shift from substantive to procedural innovation in Antitrust Suits- The Twenty-third annual antitrust review, in Columbia Law Rev., 1971, 71, p. 8 ss.
44 J.C. COFFEE Jr., The unfaithful champion: the plaintiff as monitor in shareholder litigation, in Law and contemporary problems, 1987, 48, p. 5 ss.
45 Wal-Mart Stores, Inc x. Xxxxx, 131, US 2541 (2011); AT&T Mobility x. Xxxxxxxxxx, 000 US 333
(2011)
di fatto o di diritto era stata reputata sufficiente a superare il cd. commonality test, con la pronunzia in esame la corte sostiene che l’attenzione non deve essere rivolta alla presenza di elementi comuni ma alle dissimilarità, che devono considerarsi impeditive della certification nel momento in cui hanno la potenzialità di impedire “common answers to common questions”46. In altri termini, per ottenere l’autorizzazione, l’attore avrebbe dovuto dimostrare che tutte le altre donne impiegate avevano sofferto lo stesso danno attribuibile alla stessa causa, cosa impossibile dal momento che la prova dell’invalidità della condotta ad opera di uno store manager non avrebbe potuto dimostrare l’invalidità di quella degli altri47.
L’altra importante decisione – AT &T Mobility x. Xxxxxxxxxx - infligge un altro duro colpo all’utilizzabilità dell’azione di classe. La fattispecie, relativa all’inserimento in un contratto per adesione di una clausola di rinunzia alla possibilità di ricorrere ad azioni collettive (class action waiver clause) a favore dell’arbitrato individuale, è particolarmente importante ai fini della nostra indagine in termine di implicazioni sulla tutela del consumatore. Sebbene la Corte distrettuale in primo grado dichiarava la nullità – e conseguentemente the unenforceability - della class action waiver clause sulla base della legge dello stato della California, la Corte Suprema ribaltava la decisione precedente dal momento che l’applicazione della disciplina del Federal Arbritation Act (FAA) doveva prevalere rispetto alla legge federale48. Nella motivazione la Corte Suprema affermava che
46 La corte rinvia alla tesi di X. XXXXXXXX, Class certification in the age of aggregate proof, in New York University Law Rev., 84, 2009, p. 131 ss.
47L’altra questione affrontata e risolta negativamente dalla corte concerne la possibilità di certificare sulla base della Rule 23 (b) (2) un’azione di classe diretta non solo all’ottenimento di un provvedimento inibitorio o dichiarativo, ma anche ad un risarcimento in denaro. Nell’opinione della corte la Rule 23 (b) (2) non autorizza la certification quando ogni membro della classe sarebbe legittimato ad un individuale provvedimento inibitorio o dichiarativo nei confronti del convenuto o alla richiesta di un risarcimento monetario. La diversa interpretazione sarebbe incompatibile con la struttura della Rule 23 (b) (2), vista l’assenza delle forme di protezione ulteriori previste nella monetary damages (mandatory notice e opt-out) e giustificate in virtù delle sue peculiarità.
48 L’introduzione del Federal Arbitration Act (FAA) nel 1925 si deve al tentativo di superare o almeno limitare l’ostilità delle corti nei confronti dell’arbitrato. Viene proibito agli Stati federati di emanare una legislazione specifica che contrasti con gli scopi del FAA o limiti l’esperibilità degli accordi di arbitrato. L’unica eccezione ammessa è quella che prevede la possibilità per una parte di opporsi all’arbitrato «on grounds as exist at law or in equity for the revocation of any
l’invalidità di una clausola compromissoria doveva derivare dalle difese applicabili a tutti i contratti e non esclusivamente all’arbitrato o che trovavano il loro significato nel fatto che era in discussione un compromesso; altrimenti la regola avrebbe potuto portare a risultati incompatibili con lo scopo del FAA, cioè l’efficiente e rapida risoluzione delle controversie. La decisione è stata molto criticata in dottrina, dal momento che emergeva la tesi secondo cui la rinunzia al procedimento di classe a favore dell’arbitrato sarebbe sempre ammissibile indipendentemente dalla valutazione della possibilità per i consumatori di poter agire in un giudizio individuale, sebbene sia stata poi quest’ultima la posizione assunta dalla giurisprudenza successiva (effective vindications of rights theory)49.
Le pronunzie citate, seppur relative ad ambiti sostanziali differenti, denotano un atteggiamento di sfiducia della giurisprudenza nei confronti della class action; gli abusi tradizionalmente collegati all’istituto rappresentano la ratio di così rigide interpretazioni dei requisiti della Federal Rule 23. È troppo presto per affermare se gli orientamenti emersi dalle ultime pronunce costituiscano “the end of the class action”50 o semplicemente si tratti di una fase di transizione destinata a concludersi con una riaffermazione dell’importanza dei procedimenti di classe come affermato da Xxxx Xxxxxx nel convegno tenuto alla Pennsylvania Law School nel novembre di quest’anno.
contract» (cd. preemption clause). Prima della pronunzia AT&T Mobility x. Xxxxxxxxxx l’atteggiamento della giurisprudenza nei confronti di clausole di rinunzia all’azione di classe era sostanzialmente di diffidenza, perché ritenute contrarie, data la loro mancata negoziazione o il loro contenuto eccessivamente sbilanciato a favore di una sola parte, alla dottrina che proibisce gli “unconscionable” agreements. La clausola, che imponeva il ricorso all’arbitrato, doveva considerarsi invalida, dal momento che, visto il ruolo importante che la class action assolve nella protezione del consumatore, rappresentando solitamente la sola modalità attraverso cui questi può tutelare i propri diritti, avrebbe operato nella sostanza come clausola di esclusione o limitazione della responsabilità. In giur. Discover Bank v. Superior Court 113 P3d 1100 (cal 2005).
49 Le successive corti hanno affermato che la class action waiver clause deve considerarsi unforceable, soltanto laddove l’attore abbia dimostrato che i costi del procedimento sono proibitivi rispetto al valore della pretesa vantata, e quindi gli è di fatto preclusa la tutelabilità dei propri interessi. In giur. In re American Express Merchant’s Litigation, 634 F3d (2d Cir 2011). In dottrina X. XXXXXX and X. XXXXXXXX, After class: Aggregate Litigation in the wake of AT&T Mobility x. Xxxxxxxxxx, in University of Chicago Law Rev., 2012, 79, p. 623 ss.
50Così X. XXXXXXXX, Ending class actions as we know them: rethinking the american class action, cit., p. 401.
Un dato è indiscutibile: le difficoltà incontrate negli ultimi anni dalla class action, proprio nell’ordinamento in cui è nata e diffusa, suggeriscono riflessioni relative alle ragioni che hanno portato ad una, sia pure temporanea, crisi dell’istituto, che per parte del mondo accademico51 necessita di riforme strutturali e sostanziali. Secondo Xxxx Xxxxxx alla base del problema dell’abuso del contenzioso non vi è la disponibilità della class action, ma la mancanza di limitazioni e controlli allo strapotere dell’avvocato, che spesso assume un contegno finalizzato al raggiungimento di lauti compensi, piuttosto che alla protezione degli interessi del suo cliente. Egli afferma che la mancata adozione da parte dell’ordinamento americano della loser pays rule rappresenta sicuramente una delle ragioni che hanno consentito l’affermarsi dell’azione di classe proprio nel sistema americano, ma che rappresenta inevitabilmente un incentivo alla litigation. È noto come, nella maggior parte dei casi, sia il class counsel ad incentivare l’assunzione dell’iniziativa giudiziaria in nome di soggetti persino ignari di essere stati danneggiati o comunque disinteressati all’ottenimento di un rimedio risarcitorio, dato il valore significativamente esiguo dello stesso. Egli sostiene come l’uso abusivo della class action potrebbe essere disincentivato mediante l’introduzione di una limited loser pays rule. Posta l’asimmetria fra le parti, egli suggerisce di accreditare i costi della lite al plaintiff’s attorney se perdente in giudizio, ma, entro un determinato ammontare che, stabilito legislativamente ex ante o ex post attraverso un’attività di controllo da parte del giudice, corrisponda alle spese processuali da lui sostenute e alla ricompensa che in caso di vittoria gli sarebbe spettata52. La prospettiva di dover rifondere la controparte delle spese processuali, sia pure solo nei limiti sopra indicati, funzionerebbe da deterrente all’idea di far valere in giudizio pretese deboli o addirittura non meritevoli affatto di tutela giuridica. Inoltre l’intento di influenzare positivamente il
51 X. XXXXXXXX, Ending class actions as we know them: rethinking the american class action, cit., p. 421 ss.; X. XXXXX, Consumer class actions after AT&T v. Conception: Why the Federal Arbitration Act should not be used to deny effective reliefs to small value claimant, in University of Illinois Law Rev., 2012, 8, p. 1346 ss.; X. XXXXXX, Can Xxxx Xxxxxx rescue the private attorney general? Lessons from the credit card wars, in University of Chicago Law Rev., 2016, 83, p.1001 ss.
52 J. C. COFFEE Jr., Entrepreneurial Litigation, cit. p. 165
comportamento degli avvocati, alla luce del ruolo principe che essi hanno, dovrebbe essere realizzato non solo attraverso una riforma nella ripartizione delle spese processuali ma anche relativa ai compensi a loro spettanti, spesso troppo eccessivi a fronte dell’irrisorietà della compensation ottenuta dai class members. Come Coffee gli afferma: « Reforms requires that the merits need to matter more» ed è probabilmente su questo profilo che la dottrina americana potrebbe concentrarsi nel prossimo futuro 53.
53 J. C. COFFEE Jr., Entrepreneurial Litigation, cit. p. 122.
CAPITOLO II
LA TUTELA COLLETTIVA IN EUROPA
SOMMARIO: 1. La Raccomandazione della Commissione Europea sui
«collective redress» – 2. Il modello europeo di azione collettiva risarcitoria– 3. L’azione di classe nell’ordinamento belga. – 4. L’azione di classe in Gran Bretagna dopo il «Consumer Rights Act»
1. La Raccomandazione della Commissione Europea sui «collective redress»
La necessità di approntare mezzi di tutela collettiva per consentire l’accesso alla giustizia ai soggetti titolari di pretese di modesto valore economico derivanti da un illecito pluri-offensivo diviene ben presto un tema centrale della politica europea in tema di protezione del consumatore e di danni derivanti da illeciti antitrust. Si acquista la consapevolezza dell’inadeguatezza dei tradizionali strumenti processuali a fronteggiare illeciti di massa. L’esiguità della pretesa vantata dal soggetto leso, commisurata alle spese processuali che questi dovrebbe affrontare per avviare un’azione individuale, lo inducono, a causa di una “razionale apatia”, a rinunciare alla tutela giudiziaria, lasciando che i profitti indebitamente maturati dall’autore dell’illecito restino definitivamente acquisiti al suo patrimonio. Il fenomeno si accentua nel momento in cui la controversia vede contrapposti soggetti deboli, consumatori e piccole imprese, nei confronti di una controparte dotata di maggiori risorse economiche e informative. Sotto questo profilo le azioni collettive diventano il mezzo per far sì che posizioni non suscettibili di difesa trovino ingresso nelle aule di giustizia. La necessità avvertita è anche quella di evitare che si avviino una moltitudine di procedimenti individuali derivanti dal medesimo evento dannoso, col rischio di giudicati contrastanti e con pregiudizio per l’efficienza dell’amministrazione della giustizia.
A partire dal 2004 la Commissione avvia una serie di studi relativi all’opportunità di introdurre negli ordinamenti giuridici degli Stati membri meccanismi procedurali ispirati all’americana class action54. Che un fenomeno di convergenza sarebbe stato di là da venire è dimostrato dalle scelte legislative che sono state effettuate sia sul piano europeo che nazionale: la class action viene considerata come uno strumento di abusive litigation, un insieme di elementi – danni punitivi, patti di quota lite, opt-out, procedura di accesso ai documenti probatori che permette richieste generiche di informazioni – che combinati insieme costituiscono un «toxic cocktail» che l’Europa non dovrebbe introdurre55.
È emblematico che nei documenti relativi alla protezione collettiva del consumatore non si parli mai di azione di classe, ma il termine usato è quello di collective redress per indicare un meccanismo procedurale che, per ragioni di economia dei mezzi processuali o di efficienza dell’applicazione delle norme, consente di riunire in un unico giudizio varie controversie simili. Al di là della differente terminologia utilizzata, riflesso dell’adozione di un differente modello normativo, gli strumenti di ricorso collettivo condividono sostanzialmente con l’azione di classe la finalità di facilitare l’accesso alla giustizia, in particolare nei casi in cui il singolo danno ha un valore così limitato che i potenziali ricorrenti
54 Sul rapporto tra Stati Uniti e Europa in tema di azione di classe X. XXXXXX, Compensation and Deterrence in consumer class action in the United States and Europe, in New Frontiers of Consumer Protection. The Interplay between Private and Public Enforcement, edited by X. Xxxxxxx and H. W. Xxxxxxxx, Intersentia, 2009, p. 263 ss.; X. XXXXXXXX, Aggregate litigation across the Atlantic and the future of American exceptionalism, in Vanderbilt X. Xxx., 62, p 1 ss.; X. XXXXXXXXXXX and X. XXXXXX, Will aggregate litigation come to Europe, in Vanderbilt X. Xxx., 62, p. 179 ss.; X. XXXXXX, The reform of class and representative actions in European legal systems. A new framework for collective redress in Europe, Xxxx, 2008; X. XXXXXXX, Collective consumer redress reform. Will it be a Paper Tiger, in New Frontiers of Consumer Protection. The Interplay between Private and Public Enforcement, cit., p. 329 ss.;
X. XXXXXX, Class Action and Collective Action, in Extraterritoriality and Collective Redress, edited by
X. Xxxxxxxxxx and X. Xxxx, Oxford University Press, 2012, 1.01-1.40; X. XXXXXXXXX and K. S. XXXXXXXX, The costs of class actions: allocation and collective redress in the US experience, in Eur J. Law Econ, 2011, 32, pp. 169–183.
55 Commissione Europea DG SANCO, MEMO, 08/741, p. 4: «US style class action is not envisaged. EU legal systems are very different from the US legal system which is the result of a “toxic cocktail” – a combination of several elements (punitive damages, contingency fees, opt- out, pre-trial discovery procedures). (…) This combination of elements – “toxic cocktail” – should not be introduced in Europe. Different effective safeguards including, loser pays principles, the judge’s discretion to exclude unmeritorious claims, and accredited associations which are authorized to take cases on behalf of consumers, are built into existing national collective redress schemes in Europe»
non lo ritengono tale da giustificare un’azione individuale, di rafforzare il potere negoziale dei soggetti deboli e di contribuire all’efficiente amministrazione della giustizia, evitando il moltiplicarsi, col rischio di giudicati contrastanti, di procedimenti riguardanti controversie sorte dalla stessa violazione di norme giuridiche.
Il mancato utilizzo del termine azione di classe deriva proprio dal timore di evocare l’immagine del modello di tutela collettiva del sistema americano, sebbene sembra che si sia spesso dimenticato, forse deliberatamente, il diverso contesto socio-politico in cui i rispettivi istituti operano. Ciò che è profondamente diverso è il ruolo trainante che gli studi legali svolgono nel contesto statunitense, ruolo svolto in Europa prevalentemente dalle organizzazioni dei consumatori o dalle public agencies; si tratta di un elemento extra-giuridico, ma che incide profondamente sul modo in cui le soluzioni normative vengono pensate, interpretate e applicate.
La lunga fase di politica legislativa56 volta ad agevolare, attraverso strumenti di
collective redress, la protezione del consumatore culmina l’11giugno 2013 con
56 Il 27 novembre 2008 la Commissione pubblica un Green Paper (COM (2008) 794 def), in cui prende in considerazione le possibili soluzioni normative da adottare nei casi in cui numerosi consumatori sono vittime della stessa infrazione alla legge, al fine di assicurare ai soggetti lesi un indennizzo adeguato per il pregiudizio subito. Una serie di ostacoli, quali i costi giudiziari elevati, la complessità e la durata dei procedimenti, la mancanza d'informazione dei consumatori, avevano dimostrato l’inadeguatezza degli strumenti esistenti. Tra le varie alternative individuate la Commissione mostra di prediligere l’introduzione di un meccanismo di ricorso giudiziario collettivo nella forma di azioni rappresentative, azioni di gruppo o "test case". L'obiettivo della politica europea è mettere a punto una procedura di ricorso giudiziario collettivo efficace ed efficiente, affinché i consumatori possano essere risarciti, evitando al contempo elementi che potrebbero favorire una cultura del contenzioso, quali indennizzi punitivi o patti di quota lite. Successivamente ad una pubblica consultazione viene pubblicato il Consultation Paper del 2011 “Towards a coherent european approach to collective redress” (Sec (2011) 173 def.), in cui la possibile introduzione di azioni di ricorso collettivo viene estesa alle piccole e medie imprese che, pur non essendo consumatori, si trovano in una posizione di debolezza economica e informativa rispetto a soggetti in posizione dominante. Si individuavano una serie di principi cui ogni iniziativa sul piano europeo avrebbe dovuto conformarsi: l’effettività del rimedio; l’importanza dell’informazione e del ruolo degli organismi rappresentativi; la necessità di tenere conto della risoluzione consensuale collettiva come mezzo di risoluzione alternativa delle controversie; la necessità di garanzie solide per evitare abusi nel ricorso all’azione legale; la disponibilità di adeguati meccanismi di finanziamento. Nel Febbraio 2012 il Parlamento adotta la Risoluzione “Towards a coherent european approach to collective redress” (2011/2089(INI)), in cui invita la Commissione ad effettuare un'approfondita valutazione d'impatto prima di adottare qualunque ulteriore iniziativa regolamentare, al fine di dimostrare, nel rispetto del principio di sussidiarietà, la necessarietà di un’iniziativa a livello di Unione europea per migliorare il quadro normativo in
l’approvazione da parte della Commissione europea di una Raccomandazione che, al fine di assicurare la tutela dei diritti garantiti dalle norme dell’UE, individua una serie di principi comuni applicabili ai ricorsi collettivi, di natura inibitoria e risarcitoria, giudiziali e stragiudiziali57. La Raccomandazione è accompagnata da una Comunicazione, in cui viene ripercorsa l’evoluzione dell’approccio europeo al tema del ricorso collettivo e illustrate le ragioni che giustificano i principi elencati58. Gli Stati membri sono invitati a dotarsi di sistemi di tutela conformi a tali principi entro il 26 luglio 2016 e la Commissione si riserva di valutare entro il 26 luglio 2017 se e come la Raccomandazione sia stata attuata e se debbano essere proposte ulteriori misure per consolidare e rafforzare l’approccio orizzontale.
La Raccomandazione viene pubblicata assieme alla proposta sulla Direttiva riguardante le azioni di risarcimento dei danni causati dalle infrazioni antitrust59e al documento contenente le linee guida sulla quantificazione di tali danni60; tuttavia differentemente dagli altri due, questa non attiene esclusivamente al
vigore e contribuire alla fiducia dei consumatori e ad un migliore funzionamento del mercato interno. Si evidenziava che qualsiasi proposta in materia di ricorso collettivo avrebbe dovuto assumere la forma di un quadro orizzontale dotato di principi comuni, tale da assicurare un accesso uniforme alla giustizia all'interno dell'UE, con la necessità di tenere in debita considerazione le tradizioni e gli orientamenti giuridici dei singoli Stati membri.
57 Raccomandazione della Commissione dell’11 giugno 2013 n. 396, relativa ai “Principi comuni per i meccanismi di ricorso collettivo di natura inibitoria e risarcitoria negli Stati membri che riguardano violazioni di diritti conferiti dalle norme dell’Unione”, COM 2013/396. Per un primo commento X. XXXXXX, Collective redress: A Breakthrough or a Damp Squib?, in J. of Consumer Policy, 2014, 37, p. 67 ss.; X. XXXXXXX, The Commission’s Recommendation on common principles of collective redress and Private international law issues, in Netherlands J. of Private International Law, 2013, p. 483 ss.; X. XXXX, European collective redress: A status quaestionis, in International J. of Procedural Law, 2014, 1, p. 101 ss.; X. XXXXXXX, Reflections on the Commission Communication of collective redress, in Irish
J. of European Law, 2014, 17, p. 62 ss.; X. XXXXXXXXX, Towards a Common Framework of collective redress in Europe, in Russian Law J., 2013, 1, p. 47 ss.
58 Comunicazione "Verso un quadro orizzontale europeo per i ricorsi collettivi", COM (2013), 401, def.
59 Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinate norme che regolamentano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi della legislazione nazionale a seguito della violazione delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea; COM (2013) 404, 2013/0185 (COD).
60 Comunicazione della Commissione relativa alla quantificazione del danno nelle azioni di risarcimento fondate sulla violazione dell'articolo 101 o 102 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, 2013/C 167/07, e il documento di lavoro dei servizi della Commissione “Guida pratica - Quantificazione del danno nelle azioni di risarcimento fondate sulla violazione dell’articolo 101 o 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”, SWD (2013) 205.
private enforcement delle norme antitrust, ma investe potenzialmente tutti gli ambiti nei quali i singoli, persone fisiche o giuridiche, godono di diritti derivanti da norme dell’Unione.
L’approccio prescelto è quello di soft law harmonisation. I principi generali contenuti nella Raccomandazione sono principi fondamentali ma non vincolanti, che dovrebbero essere applicati in modo orizzontale e paritario in tutti i settori in cui risulti pertinente l’utilizzo di azioni collettive per reagire a violazioni dei diritti conferiti dal diritto europeo. Lo scopo è di evitare il rischio di iniziative settoriali non coordinate a livello europeo, assicurando al tempo stesso un’interazione tra gli Stati che sia il meno invasiva possibile delle norme processuali nazionali, nell'interesse del buon funzionamento del mercato interno. La Commissione suggerisce di non limitare ai consumatori l’elaborazione di proposte volte ad assicurare meccanismi di tutela collettiva, seguendo su questo profilo quella che era stata la scelta già compiuta nella Risoluzione del 2 febbraio 2012 «Towards a Coherent European Approach to Collective Redress», in cui il Parlamento Europeo aveva manifestato la volontà di fare del ricorso collettivo un rimedio di carattere generale da utilizzare nelle controversie che vedono contrapporsi soggetti deboli, non solo consumatori ma anche piccole e medie imprese, e soggetti forti posti in una condizione di dominanza economica e informativa. Vengono indicati una serie di ambiti normativi in cui l’introduzione di strumenti collettivi costituisce «un valore» al fine di assicurare il rispetto dei diritti conferiti dalle norme dell’Unione: la protezione dei consumatori, la concorrenza, la tutela dell’ambiente, la protezione dei dati personali, la normativa sui servizi finanziari e la tutela degli investitori.
La Commissione individua i quattro obiettivi che qualunque meccanismo di ricorso collettivo dovrebbe essere in grado di svolgere: garantire un pieno risarcimento del danno; promuovere l'economia dei mezzi processuali; assicurare soluzioni giuridicamente certe ed eque in tempi ragionevoli, nel rispetto dei diritti di tutte le parti in causa; fornire solide garanzie contro l'abuso del contenzioso. Al fine di realizzarli vengono suggeriti una serie di principi che
Per quanto riguarda il rapporto tra tutela amministrativa e tutela giurisdizionale, la Raccomandazione chiarisce la funzione meramente compensativa delle azioni collettive, che dovrebbero servire esclusivamente a restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito una lesione attraverso il pagamento di una somma di denaro che tenda ad eliminare le conseguenze dell’evento dannoso. La funzione sanzionatoria-deterrente dovrebbe essere, invece, demandata ai pubblici poteri. Viene, in sostanza, enunziato il modello europeo di complementarietà dei ruoli tra public e private enforcement, che verrà poi ribadito nella Direttiva del 2014 per le azioni risarcitorie da illecito antitrust. L'intervento dei pubblici poteri ha come compito principale il far rispettare il diritto dell'Unione nel pubblico interesse e d'imporre sanzioni a scopo punitivo su chi viola le norme, al fine di dissuaderlo dal commettere violazioni in futuro; il ricorso collettivo su iniziativa dei privati è, invece, strumento per fornire
61 Molti di tali principi erano stati già individuati dalla Commissione Europea nel Libro Verde del 2008 relativo ai ricorsi collettivi: «A EU mechanism should facilitate meritorious claims and benefit consumers. At the same time, it needs to discourage a litigation industry (…) as this would benefit lawyers rather than consumers and create high costs for defendants. In order to avoid the possibility of abuse of a collective redress mechanism, various elements qualify as safeguards and help to prevent unmeritorious claims. The judge can play an important role by deciding whether a collective claim is unmeritorious or admissible. Certification of the representative entity acts as a gatekeeper, as does the loser-pays-principle in the Member States where it exists. Public authorities could be potential gatekeepers when funding collective redress, refusing to allocate resources to unmeritorious claims».
Differentemente da quanto avviene in materia di illecito antitrust, la Commissione sul tema delle azioni collettive decide di non intervenire attraverso un provvedimento che avrebbe obbligato gli Stati membri ad un adeguamento della legislazione interna, bensì mediante uno strumento di soft law, auspicando che gli Stati si conformino alle linee guida indicate nel documento, in attuazione dei principi di leale cooperazione. Questi avrebbero dovuto comunicare entro il
26 luglio 2016 informazioni relative ai principi contenuti nella Raccomandazione, in modo da poter consentire alla Commissione di valutare entro il 26 luglio 2017 se e come la Raccomandazione sia stata attuata e se debbano essere proposte ulteriori misure per poter consolidare e rafforzare l’approccio orizzontale. Se guardiamo a ciò che è accaduto fino ad oggi, può osservarsi come gli Stati membri abbiano sostanzialmente deciso di non modificare le legislazioni già in vigore in tema di azioni collettive o di non modificarle secondo le linee guida indicate come preferibili nel documento. Ad esempio paesi quali il Belgio e la Gran Bretagna, che hanno introdotto in data successiva alla Raccomandazione meccanismi di azione collettiva, hanno scelto di non adottare unicamente il modello di opt-in, che pure era quello indicato come il più rispondente alle tradizioni dei paesi europei e il più adatto ad evitare il rischio di controversie speculative, introducendo un regime misto che prevede meccanismi di opt-out relativamente a particolari tipologie di illecito. Passando a considerare quanto è accaduto in Italia con l’art. 140-bis del codice del consumo, possiamo osservare come la nostra azione di classe si allontani dal modello europeo sotto il profilo della legittimazione ad agire, attribuita al singolo
62 Sul rapporto tra public e private enforcement nel diritto dei consumatori X. XXXXXXX e H.W. XXXXXXXX, Enforcement pubblico e privato nel diritto dei consumatori, in Funzioni del diritto privato e tecniche di regolazione del mercato, cit., p. 325 ss.; X. XXX XXX XXXXX and X. XXXXXXXX, The preventive function of collective actions for damages in consumer law, in Erasmus X. Xxx., 1, p. 5 ss.; W. XXX XXXX and X. XXXX, Effective Enforcement of Consumer Law in Europe Synchronizing Private, Public, and Collective Mechanisms, in www. xxxxxx.xxxx.xxx; X. XXXXXX, Public and Private enforcement in consumer protection: general comparisons EU-USA, in New Frontiers of Consumer Protection. The Interplay between Private and Public Enforcement, cit., p. 63 ss.; X. XXXXXX, The European approach to justice and redress, in Supreme Court X. Xxx., 2011, 53, p. 2 ss.
consumatore e non agli enti rappresentativi che possono agire solo in presenza di un mandato conferito dal proponente. Inoltre manca una disciplina specifica del finanziamento dell’azione, così come un’adeguata regolamentazione della fase transattiva sia precedente che successiva all’instaurazione del giudizio. Quello che va evidenziato è la perdurante settorialità degli interventi degli Stati membri, nessuno dei quali, tranne il Portogallo che prevede uno strumento di azione popolare che copre una vasta area di settori normativi, concepisce l’azione di classe come rimedio di carattere generale. La Gran Bretagna ne limita l’uso agli illeciti antitrust; la Francia, come l’Italia, il Belgio e i Paesi Bassi, contemplano istituti di tutela collettiva per i soli consumatori. Sembra fallire quel processo di armonizzazione auspicato dalla Commissione al fine di assicurare un accesso uniforme alla giustizia all'interno dell'Unione.
Quali i possibili scenari futuri della politica europea in tema di azioni collettive? Probabilmente l’elaborazione di un modello uniforme di ricorso collettivo merita ulteriore approfondimento. Ciò che la Commissione manca di fornire sono le basi per poter sviluppare un coerente progetto di riforma da parte degli Stati membri. Il professore Xxxxxxxxxxx Xxxxxx, nella risposta inviata alla Commissione relativamente al Consultation Paper del 2011, sottolineava giustamente come qualunque iniziativa europea in tema di ricorsi collettivi non avrebbe potuto prescindere da una visione olistica al problema dell’enforcement63. A suo giudizio la realizzazione di un processo di armonizzazione non poteva ignorare un’analisi relativa agli altri strumenti di cui ciascun Stato membro dispone per assicurare tutela ai propri cittadini, quali le varie tecniche di risoluzione alternativa delle controversie o il riconoscimento di poteri alle pubbliche autorità funzionali a facilitare il risarcimento, per poi valutarne l’interazione con l’azione collettiva in termini di costi, effettività di risultati e speditezza delle soluzioni. Così Xxxxxx commenta la Raccomandazione: «What is important is to achieve redress, and in doing so one should look at all the available means.
63 X. XXXXXX, Response to Consultation, Towards a Coherent European Approach to Collective Redress, (Oxford Centre for Socio-Legal Studies, 28 April 2010), in xxx.xx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxxxxx/0000, collective redress/university of Oxford.
What seems to be occurring is a “redress competition” between different options. If the collective action technique is not going to work much, then it will be necessary to cement the approaches based on regulatory and ADR techniques.»64
Secondo l’opinione di chi scrive la critica di Xxxxxx ha un giusto fondamento. La Raccomandazione sottolinea la diversità di funzione tra tutela amministrativa e tutela giurisdizionale: le azioni risarcitorie collettive servono a garantire il risarcimento del danno, mentre la funzione sanzionatoria deve essere demandata all'applicazione da parte dei pubblici poteri. Tuttavia, pur ricostruendo la relazione tra public e private enforcement in termini di complementarietà, non individua con chiarezza le modalità con cui gli stessi possono interagire. Quale dovrebbe essere il rapporto tra tutela dei pubblici poteri, azioni collettive, meccanismi di risoluzione alternativa delle controversie? Sarebbe auspicabile che la Commissione facesse, entro il 26 luglio 2017, questo tipo di valutazioni che avrebbero anche il vantaggio di consentirle di tener conto degli sviluppi che si sono verificati dopo l’introduzione della direttiva sull’ADR e del coevo regolamento sull’ODR65.
2. Il modello Europeo di azione collettiva risarcitoria
La Commissione non indica una specifica modalità di ricorso collettivo, lasciando agli Stati membri la scelta se adottare l’azione di gruppo, nella quale l’iniziativa è congiuntamente presa da coloro che pretendono di aver subito un danno, o l’azione rappresentativa, nella quale è un soggetto terzo ad agire in nome dei soggetti lesi. Quest’ultima tipologia di azione è ovviamente quella che
64 X. XXXXXX, Collective redress: A Breakthrough or a Damp Squib?, cit., p. 84.
65 Direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, e regolamento (UE) n. 524/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, relativo alla risoluzione delle controversie online dei consumatori.
presenta l’eventualità di un mancato allineamento tra gli incentivi del rappresentante e quello dei soggetti rappresentati; i principi enunciati nella Raccomandazione valgono proprio a ridurre il rischio di conflitti di interessi. La Commissione suggerisce che, nel caso di azione rappresentativa, la legittimazione ad agire sia riservata, oltre che alle autorità pubbliche, ad organizzazioni appositamente certificate dalle autorità nazionali o giudiziarie di uno Stato membro in vista di una determinata azione, o ad organizzazioni ufficialmente designate a titolo preliminare secondo determinati parametri stabiliti dalla legge66. Tali parametri dovrebbero includere «almeno» tre condizioni di legittimità: assenza di uno scopo di lucro dell’organizzazione; esistenza di un nesso diretto tra gli obiettivi principali dell’organizzazione e i diritti fatti valere tramite l’azione; sufficiente capacità dell’organizzazione, in termini di risorse finanziarie e umane e di competenza legale, a rappresentare la molteplicità dei ricorrenti67. La Raccomandazione non contiene, invece, indicazioni specifiche riguardo ai criteri in base ai quali dovrebbe essere effettuata, dalle autorità o dai giudici nazionali competenti, la certificazione delle organizzazioni costituite ad hoc per una particolare azione rappresentativa. In tal caso appare ragionevole ritenere che, al fine di valutare l’adeguata rappresentatività dell’organizzazione promotrice dell’azione rappresentativa, valore fondamentale acquisirà quello dell’adeguatezza delle risorse economiche di cui la stessa dispone. L’organo giudicante dovrebbe essere tenuto a verificare la sussistenza di tale requisito, come degli altri eventualmente stabiliti dalla legge come condizioni di ammissibilità, questo al fine di evitare abusi del sistema68.
Viene sottolineata l’importanza di un regime di pubblicità che da un lato consenta all’organizzazione rappresentativa o al gruppo di diffondere le informazioni relative all’avvio di un’azione collettiva, dall’altro tuteli la parte convenuta in giudizio dal rischio di subire un significativo pregiudizio sul piano reputazionale. La Raccomandazione stabilisce che l’organizzazione
66 Considerando 18 della Raccomandazione.
67 Artt. 4-7 della Raccomandazione.
68 Considerando 20 della Raccomandazione.
Un altro aspetto fondamentale su cui si interviene è quello dell’alternativa tra opt- in e opt-out relativo alle modalità di formazione del gruppo dei soggetti rappresentati che saranno poi vincolati dagli esiti del giudizio. La Commissione mostra di prediligere un modello di azione collettiva in cui sia la parte che asserisce di aver subito un danno a manifestare espressamente ed inequivocabilmente la volontà di aderire ad essa e conseguentemente ad essere vincolata dagli esiti del giudizio (cd. opt-in). Il favore per il meccanismo di adesione si giustifica perché è quello che, preservando l’autonomia delle parti nello scegliere se prendere o meno parte alla controversia, più risponde alle tradizioni giuridiche europee e risulta meno vulnerabile alla commissione di abusi da parte del soggetto che gestisce la controversia. Il modello di opt-out, per effetto del quale la decisione vincola automaticamente coloro che fanno parte della classe dei soggetti lesi che non decidano di auto-escludersi, viene configurato come un’eccezione che, disposta per legge o per provvedimento del giudice, dovrebbe essere debitamente giustificata da ragioni di buona amministrazione della giustizia70.
Viene suggerita l’instaurazione di un regime flessibile in cui il perimetro della classe è definito solo nel momento in cui è resa la pronuncia definitiva o in cui la causa è altrimenti validamente decisa. Prima di tali eventi si concede a quanti lamentano di aver subito un pregiudizio rientrante nella situazione che definisce la classe di aderire all’azione collettiva in ogni momento, così come si riconosce
69 Artt. 10-11 della Raccomandazione
70 Art. 21 della Raccomandazione.
Sono dettate alcune indicazioni particolari per le azioni collettive risarcitorie relative ai settori normativi caratterizzati dalla compresenza di pubblici poteri, com’è nel caso di illeciti antitrust. L’obiettivo perseguito è garantire la coerenza tra la decisione dell’autorità pubblica e l’esito dell’azione collettiva, al fine di incentivare l’esercizio di azioni successive alla conclusione del procedimento di accertamento della violazione avviato dall’autorità pubblica (c.d. azione follow-on). Si suggerisce, pertanto, che, nell’azione collettiva risarcitoria promossa dopo
71 Artt. 25-28 della Raccomandazione.
l’avvio del procedimento amministrativo, il giudice dovrebbe poter sospendere la causa fino alla conclusione del procedimento ed evitare di emettere una pronuncia che contrasti con la decisione contemplata dall’autorità pubblica. La durata del procedimento dinanzi all’autorità pubblica non deve però, secondo la Commissione, tradursi in una compressione ingiustificata del diritto ad essere risarciti. La Raccomandazione prevede, difatti, che, nei casi di azioni follow-on, non sia impedito alle persone che asseriscono di aver subito una lesione chiedere il risarcimento in ragione dell’avvenuto decorso dei termini di prescrizione prima della conclusione definitiva del procedimento da parte dell’autorità pubblica72.
Viene affrontato, infine, il tema fondamentale del finanziamento dell’azione collettiva. Appare evidente che gli ingenti costi sono quelli che possono maggiormente disincentivare l’avvio di un’azione collettiva, anche perché la Commissione mostra di prediligere, relativamente alle spese processuali, il principio della cd. loser pays rule, accolto nella maggioranza dei paesi europei. Il rischio per l’attore, e per quelli che aderiscono all’azione, di dover sostenere in caso di perdita le spese della controversia, rappresenta un forte disincentivo all’assunzione dell’iniziativa giudiziaria, soprattutto relativamente a pretese di modesto valore economico. Si raccomanda l’esclusione di un sistema di ripartizione delle spese processuali che faccia gravare sul convenuto i costi del procedimento anche in caso di vittoria (cd. one-way cost shifting) o che fissi gli onorari degli avvocati in una percentuale delle somme accordate nella causa (cd. contingency fees), perché rappresentano alcuni dei fattori che maggiormente determinano il rischio di possibili distorsioni del sistema. Gli Stati membri potrebbero, a titolo di eccezione, consentire patti di quota lite, prevedendo opportune norme che li disciplinino nei casi di ricorso collettivo, tenuto conto in particolare del diritto dei membri della parte ricorrente a ricevere l’intero risarcimento.
Il finanziamento, che già nel Libro Verde era stata individuato come una delle questioni prioritarie sulle quali andava presa una posizione, rimane un problema
72 Considerando 22 della Raccomandazione
di non facile soluzione. La Raccomandazione, al fine di assicurare che chi decide di assumere l’iniziativa giudiziaria abbia realmente le risorse economiche per poterla sostenere, enuncia l’idea che l’attore dovrebbe essere obbligato a dichiarare al giudice, all’avvio del procedimento, l’origine dei fondi con cui intende finanziare l’azione. È consentita, e parzialmente regolamentata, anche l’eventualità che sia un soggetto terzo a sostenere i costi della controversia (cd. thirdy-party litigation funder), con la predisposizione di una serie di cautele preordinate ad evitare che il terzo finanziatore possa assumere il controllo della lite. Se da un punto di vista astratto poco distingue l’ipotesi de qua dal patto di quota lite, destituire l’avvocato del ruolo di potenziale finanziatore potrebbe tradursi in un trasferimento del controllo dell’azione ad un soggetto terzo, questo non senza la determinazione di problemi di natura etica anche maggiori di quelli che si porrebbero nell’altra xxxxxxx00. Deve considerarsi che l’avvocato è comunque tenuto all’osservanza di un complesso di regole che impongono correttezza professionale e lealtà nei confronti del suo cliente e che, nel caso di un soggetto terzo, è estremamente probabile che il suo interesse si focalizzi su di un ritorno esclusivamente di tipo economico, piuttosto che sul finanziamento di azioni di classe che, per quanto meritevoli, non rientrano nel piano dei suoi investimenti. La Commissione, pertanto, al fine di attenuare l’insorgere di inevitabili conflitti di interesse, impone delle restrizioni al potere che il terzo finanziatore può esercitare sulla conduzione dell’azione. Si prevede che il giudice debba avere il potere di sospendere la causa se vi è un conflitto di interessi tra il terzo finanziatore e la parte ricorrente e i suoi componenti; se il terzo non ha risorse finanziarie sufficienti per far fronte agli impegni finanziari assunti o se è la parte ricorrente a non disporre delle risorse sufficienti per sopportare, nel caso di soccombenza, le spese della controparte. Inoltre, sempre allo scopo di evitare comportamenti abusivi da parte del terzo finanziatore, il cui operato è esclusivamente dettato da un ritorno di tipo economico, la Raccomandazione
73 In dottrina Cfr. D. R. XXXXXXX, The Future of Mass Litigation: Global Class Action and Third- Party Litigation Funding, in Xxxxxx Xxxxxxxxxx Law Rew. 2011,79 p. 306 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Third-Party Litigation Funding in Europe, in J. of Law, Economics & Policy, 2012, 8, p. 405 ss.
indica che nell’accordo concluso con il ricorrente dovrà comunque essergli proibito di influenzare le decisioni processuali di quest’ultimo, compresa quella relativa a un eventuale accordo transattivo, o di finanziare un’azione collettiva nei confronti di un proprio concorrente o di un soggetto da cui il terzo finanziatore dipende, o di esigere interessi eccessivi sui finanziamenti concessi74. Come per gli onorari degli avvocati, gli Stati membri dovrebbero assicurare che, nel caso in cui l’azione collettiva risarcitoria sia finanziata da un terzo, sia vietato basare la remunerazione del finanziatore, o gli interessi da esso imposti, sull’importo della transazione raggiunta o del risarcimento ottenuto, a meno che l’accordo di finanziamento sia regolato da un’autorità pubblica per preservare gli interessi delle parti.75
La Commissione esprime un chiaro favore per un’impostazione che assicuri la funzione esclusivamente compensativa del risarcimento nelle situazioni di danno collettivo, conseguentemente l’importo accordato alle persone fisiche o giuridiche lese non dovrebbe eccedere quello che sarebbe stato attribuito se la pretesa risarcitoria fosse stata fatta valere mediante azioni individuali. Non è consentito il risarcimento dei cd. punitive damages, vale a dire di misure risarcitorie sovra-compensative rispetto al danno effettivamente subito da ciascun membro della classe. La possibilità di essere condannato al pagamento di danni punitivi costituisce, infatti, nel sistema di class action un elemento che incide in modo determinante sulla disponibilità del convenuto di transigere la controversia, anche a fronte di richieste di risarcimento di dubbia fondatezza, inducendolo a rinunciare all’effettivo esercizio del diritto di difesa. Il divieto dei danni punitivi auspicato dalla Commissione rappresenta, in tal senso, un importante presidio contro la distorsione degli incentivi ad agire e a resistere in giudizio.76
In tema di controversie transfrontaliere si detta un principio che intende favorire l’economia processuale assieme ad un’efficiente amministrazione della giustizia. L’art. 17 della Raccomandazione prevede che gli Stati membri garantiscano che,
74 Artt. 14-16 della Raccomandazione.
75 Art. 32 della Raccomandazione
76 Art. 31 della Raccomandazione
In conclusione la Commissione afferma chiaramente la necessità di strumenti di ricorso collettivo alla giustizia nella consapevolezza che i pregiudizi di massa non possono essere adeguatamente fronteggiati con i modelli del processo tradizionale. Tuttavia, ne accompagna l’introduzione con una serie di garanzie volte ad impedire che i paesi europei optino per un meccanismo processuale che evochi l’americana class action. In questa chiave vanno visti i principi fondamentali enunciati: la restrizione della legittimazione ad agire ad organizzazioni riconosciute ex ante o certificate in vista della promozione dell’azione secondo parametri ben definiti dalla legge, garanzia di contenimento e serietà delle azioni promosse; il ruolo attivo svolto dal giudice durante tutte le fasi del procedimento; l’operare della regola della soccombenza relativamente alla rifusione delle spese processuali; l’esclusione, salvo eccezioni, di contingency fees; l’impossibilità di danni punitivi. Ma, a ben vedere, queste salvaguardie si trasformano in barriere che non rendono realmente efficiente lo strumento processuale. Ne è la dimostrazione che quegli Stati membri che hanno deciso di introdurre azioni collettive dopo la Raccomandazione si sono volutamente distaccati, nel segno dell’efficienza, da alcuni dei parametri dettati. Il Belgio prima, che ha introdotto un’azione di classe nel 2014, e la Gran Bretagna poi, con l’approvazione del Consumer Rights Act del 2015, si dissociano dalle indicazioni della Commissione Europea in due aspetti chiave: la settorialità del rimedio e la previsione di un modello di azione che contempla per il giudice la facoltà di scelta per un sistema alternativo in cui gli effetti vincolanti del procedimento si producono nei confronti di tutti i soggetti riconosciuti titolari di pretese
77 L’art. 18 della Raccomandazione indica anche che qualsiasi organizzazione designata in via preliminare da uno Stato membro per l’esercizio di azioni rappresentative dovrebbe poter adire il giudice dello Stato membro competente a trattare la fattispecie di danno collettivo.
omogenee derivanti dall’illecito seriale oggetto del giudizio, a meno che questi ultimi non decidano di auto-escludersi (cd. opt-out). Nelle pagine che seguono i rispettivi interventi normativi saranno oggetto di analisi.
3. L’azione di classe nell’ordinamento belga
Il Belgio approva il 28 marzo 2014 una riforma che introduce nel Code of Economic Law un’azione di classe che entra in vigore l’1 settembre 2014. La riforma, che si innesta in un quadro più ampio di interventi legislativi tesi a migliorare la protezione del consumatore, deriva dalla consapevolezza della necessità di un meccanismo di tutela collettiva a contenuto risarcitorio, vista la comprovata inidoneità degli strumenti esistenti alla gestione di controversie coinvolgenti un cospicuo numero di persone78.
L’introduzione dell’azione di classe si pone a completamento di un percorso di riflessione che aveva visto la presentazione a partire dalla fine del 2009 di tre
78 X. XXXX, Consumer Collective Redress in Belgium: Class Actions to the Rescue?, in European Business Organization Law Rev, 2015, 16, p. 121 ss.; e dello stesso autore Cultural dimension of group litigation: The Belgian case, in Georgia J. of International Comparative Law, 2013, 1, p. 433 ss.
79 X. XXXXXXX and X. XXXX, Belgium and collective redress: the last of the European Mohicans, in The Belgian reports at the Congress of Washington of the International Academy of Comparative Law, edited by
X. Xxxxx, Y. X. Xxxxx, 0000, Xxxxxxxx, Xxxxxxxx, p. 305 ss.
proposte di legge mai approvate dal governo per il mancato raggiungimento del consenso richiesto. La prima proposta prevedeva un’azione di classe formulata sulla falsariga della class action: ciascun consumatore avrebbe potuto rappresentare in giudizio un numero non determinato di soggetti che, titolari di diritti soggettivi omogenei, erano riconducibili ad un'unica classe e nei cui confronti si sarebbero prodotti gli effetti vincolanti del giudizio, anche se definito con una transazione, indipendentemente dal loro consenso. La seconda proponeva, invece, l’introduzione di una procedura collettiva a struttura bifasica molto simile all’«azione collettiva risarcitoria» che il legislatore italiano introdusse, con il comma 445 dell’art. 2 della legge n. 244/2007, nella prima versione dell’art. 140-bis cod. cons. e mai entrata in vigore. Il procedimento avrebbe dovuto articolarsi in due fasi: un primo stadio a dimensione collettiva, durante il quale era prevista la risoluzione delle questioni comuni e i membri della classe che intendevano partecipare al procedimento avrebbero dovuto esercitare il diritto di adesione (cd. opt-in); un secondo stadio che, lasciato all’iniziativa individuale, avrebbe riguardato le questioni personali a ciascun class member, provvedendo alla quantificazione e liquidazione dei danni singolarmente subiti. La terza proposta, presentata dal Flemish Bar Council, prevedeva un’azione di classe che in prima istanza avrebbe dovuto essere promossa dinnanzi alla District Court (che in Belgio è un organo giurisdizionale superiore simile alla nostra Corte di Cassazione), cui spettava certificare l’azione per poi rinviarla al giudice competente in primo grado per la trattazione nel merito. Nessuno dei tre disegni di legge venne mai approvato per mancato raggiungimento del consenso richiesto. È solo il 28 marzo del 2014 che il Parlamento approva l’introduzione di un’azione di classe risarcitoria riservata al solo consumatore, che entra in vigore l’1 settembre 2014 (art. XVII Code of Economic Law). Il Belgio ha in previsione entro il 2017 una rivalutazione della normativa con la volontà, in caso di esito positivo, di estenderne l’applicazione ad altre aree del diritto sostanziale.
Il rimedio si presenta per alcuni aspetti simile all’azione di classe italiana dell’art. 140-bis del codice del consumo, in primis perché è concepito come uno strumento per la protezione del solo consumatore. Non tutte le fattispecie sono
È compito del giudice verificare che l’ente associativo sia adeguatamente rappresentativo degli interessi della classe in termini di risorse economiche disponibili e di assenza di un conflitto di interessi; che l’azione non si presenti manifestamente infondata; che sussistano quelle circostanze tali da rendere in concreto il rimedio collettivo maggiormente idoneo, rispetto a strumenti di carattere individuale, alla tutela degli interessi dei soggetti coinvolti82. Sotto questo profilo il sistema normativo belga guarda al superiority test dell’esperienza statunitense. L’azione di classe deve presentarsi come lo strumento più efficiente in termini di garanzia del diritto al giusto processo, come può chiaramente evincersi dai requisiti di cui il giudice nella sua valutazione può tener conto: la dimensione della classe, l’esistenza di danni individuali che potrebbero portare
80 Art. XVII. 37 Code of Economic Law.
81 Art. XVII. 32, 2°; Art. XVII 39 Code of Economic Law. Il Consumer Ombudsman Xxxxxxx ha soltanto il potere di avviare un’azione di classe e di proporre la sua definizione con una transazione; laddove questa non sia raggiunta e l’azione, ottenuta la certification, deve essere decisa nel merito, è un’associazione a continuare il procedimento.
82 Art. XVII. 36, 3° Code of Economic Law.
ciascun soggetto alla promozione di un separato giudizio individuale relativamente alla propria pretesa, la complessità della controversia e le difficoltà che potrebbero doversi affrontare nella sua gestione in forma collettiva. Non costituisce, invece, fattore decisivo per il diniego dell’ammissibilità il valore della pretesa vantata o la circostanza che le somme da risarcire non abbiano lo stesso ammontare.
Relativamente alla scelta tra opt-in e opt-out l’ordinamento belga contempla entrambe le opzioni. Come si è detto la Commissione nella Raccomandazione del 2013 suggerisce l’adozione di un modello di azione collettiva in cui gli effetti vincolanti del giudizio si producono esclusivamente nei riguardi di quei consumatori che hanno espressamente manifestato la volontà di aderire all’azione, configurando l’opt-out come eccezione che, prevista dalla legge o concessa dal giudice, dovrebbe essere debitamente giustificata da motivi di buona amministrazione della giustizia. Il legislatore belga non costruisce il meccanismo di adesione come regola di default e, salvo casi eccezionali in cui la previsione dell’opt-in è obbligatoria, (es nel procedimento sono coinvolti anche cittadini che non risiedono in Belgio o il risarcimento ha ad oggetto anche danni fisici o morali), la corte, dopo aver valutato tutte le caratteristiche specifiche del caso concreto, può liberamente scegliere83. Il sistema di opt-out, non richiedendo che il soggetto leso da un illecito seriale si attivi per dichiarare di voler prendere parte agli esiti del procedimento, è quello che risulta sicuramente più adatto nelle controversie in cui la pretesa risarcitoria individualmente vantata da ciascun membro della classe è di modesto valore, garantendo anche il convenuto dal rischio di successivi giudizi individuali promossi da quanti abbiano deciso di non aderire. Viene quindi rimessa alla corte, dinnanzi alla quale l’azione è promossa, la scelta tra l’automatica inclusione dei titolari di pretese isomorfe nella classe, salvo il diritto di auto-esclusione, e quella di riconoscere ai singoli consumatori la facoltà di decidere se aderire o meno al procedimento. È ovviamente necessario che i soggetti lesi siano, in entrambi i casi, messi in condizione di
83 Art. XVII. 43, Code of Economic Law.
poter aderire o auto-escludersi. A tal fine si prevede che il provvedimento con cui si dichiara l’ammissibilità dell’azione (così come l’omologazione del giudice di un’eventuale transazione tra attore o convenuto o la pronunzia che definisce la controversia nel merito) sia pubblicato nella Gazzetta Ufficiale o sul sito internet della Federal Public Service Economy e, entro un dato termine dall’avvenuta pubblicazione, il consumatore è chiamato a comunicare se intende aderire al procedimento (o auto-escludersi nel caso di opt-out); la scelta è irrevocabile. Il fine è chiaramente quello di determinare la dimensione della classe, e conseguentemente il valore della controversia, in una fase iniziale del procedimento, così da agevolare la conclusione di transazioni, evitando al contempo che la scelta tra opt-in o opt-out sia dettata unicamente dagli esiti della procedura. Appare criticabile la mancata previsione della facoltà di revocare l’atto di adesione, quantomeno nell’ipotesi in cui attore e convenuto intendano definire la controversia con una transazione84.
Differentemente dall’art. 140-bis cod. cons., il sistema belga contiene una dettagliata disciplina relativa alla possibilità di definire la controversia attraverso una transazione, che può essere tentata prima dell’inizio del procedimento, dopo che l’azione è stata certificata (in cui sussiste un tentativo di transazione obbligatoria) o successivamente nella fase della trattazione del merito. Un approccio di tal genere è sicuramente da valutare positivamente, se si tiene conto, guardando all’esperienza statunitense, che quasi tutte le azioni di classe si concludono con un accordo transattivo, e che la Commissione Europea nella Raccomandazione del 2013 ha affermato che ogni Stato membro dovrebbe predisporre strumenti tali a che le parti siano incoraggiate in ogni stadio del giudizio a definire la controversia collettiva attraverso un accordo, a condizione che sia demandato al giudice il potere di controllarne il contenuto a tutela delle parti assenti. La proposta di accordo dovrà contenere una serie di dettagliate informazioni relative a attore e convenuto, alle modalità di formazione della classe, se si è scelto di adottare un meccanismo di opt-in piuttosto che di opt-out,
84 X. XXXX, Consumer Collective Redress in Belgium: Class Actions to the Rescue? cit., pp. 132-133.
incluse le modalità e i tempi entro i quali dovrà essere esercitata la facoltà di adesione o di auto-esclusione, al compenso spettante al difensore dell’attore e che il testo dell’accordo è stato trasmesso ai class members. Nel caso di condanna del convenuto il risarcimento del danno potrà essere fissato su base individuale, con il conseguente obbligo per questi di pagare l’ammontare della somma risarcitoria riconosciuta a ogni componente della classe, o invece, laddove ciò si presenti impossibile o impraticabile, su base globale.
Mancano regole specifiche per il finanziamento dell’azione i cui costi dovranno essere sostenuti dall’associazione che avvia il procedimento o dal Consumer Ombudsman Service anche se, in quest’ultimo caso, valutazioni politiche potrebbero fungere da criterio selettivo nella scelta delle azioni di classe da promuovere. È probabilmente questo il profilo che rischia maggiormente di paralizzare il successo dell’istituto: l’adozione del principio di soccombenza e il divieto di patti di quota lite non costituiscono sicuramente un incentivo all’avvio di un’azione di classe, col rischio di compromettere le potenzialità di una disciplina complessivamente ben formulata85.
La scelta di conferire ad enti adeguatamente rappresentativi una legittimazione ad agire autonoma e immediata, che prescinde dal conferimento di un mandato da parte del singolo consumatore o utente, è sicuramente da leggere favorevolmente. La circostanza che il promotore dell’azione sia un soggetto diverso da quello leso può contribuire a risolvere il problema della mancanza di risorse finanziarie e attenuare il rischio di conflitti di interesse insiti nell’azione di classe, dal momento che non è o non dovrebbe essere l’interesse personale dell’attore o del suo difensore a rappresentare il motivo propulsore dell’azione, ma quello della classe collettivamente considerata. Sarebbe, tuttavia, opportuno ampliare la categoria dei soggetti legittimati, includendovi anche quelle associazioni o organizzazioni costituite, sulla base di parametri predeterminati dalla legge, in vista della promozione di una determinata azione di classe; il
85 X. XXXX, The Crux of the Matter: Funding and Financing Collective Redress Mechanisms, in Swedish Studies in European Law, 2016, 7, p. 201 ss.
conferimento del potere di agire unicamente ad enti associativi certificati ex ante in via amministrativa rischia di creare un’eccessiva dipendenza dal governo, dal momento che la possibilità di iniziare il procedimento dipenderà de facto da un’autorizzazione ministeriale. Ma è soprattutto l’opzione per un modello di azione risarcitoria che, accanto al meccanismo dell’adesione, attribuisce al giudice la facoltà di istituire meccanismi di opt-out, qualcosa che l’Italia dovrebbe, in una prospettiva de iure condendo, prendere in esame. Il metodo dell’opt-in presenta sicuramente il vantaggio di vincolare agli esiti del giudizio coloro che desiderano sinceramente prendere parte alla controversia, oltre ad essere coerente con le tradizioni giuridiche dei paesi di civil law che vedono nella partecipazione volontaria un elemento fondamentale del processo civile. Tuttavia è probabile che, soprattutto relativamente a preteste di esiguo valore economico, il consumatore non si attivi per manifestare la volontà di aderire al procedimento. Questo rischia non solo di vanificare le finalità sottese alla introduzione dell’istituto, cioè garantire l’effettività della giustizia, ma anche pregiudicare la stessa impresa convenuta in giudizio che è esposta al rischio di successive azioni individuali, soprattutto nel momento in cui la disciplina, come accade per l’art. 140-bis cod. cons., non vieta ai membri della classe, che non hanno esercitato la facoltà di adesione rispetto ad una precedente controversia, di partecipare ad un’altra azione collettiva riguardante le medesime questioni e nei confronti dello stesso soggetto. L’instaurazione di un regime misto, accompagnato da una serie di criteri stabiliti ex lege che dovranno orientare la scelta del giudice, consente di dare maggiore flessibilità all’istituto adeguandolo alle caratteristiche della singola fattispecie86.
86 X. XXXX, Consumer Collective Redress in Belgium: Class Actions to the Rescue? cit., p. 139 ss.; X. XXXXXXXX, The case for an opt-out class action for European member states: a legal and empirical analysis, cit., p. 409 ss.
4. L’azione di classe in Gran Bretagna dopo il «Consumer Rights Act».
Nel marzo 2015 il Parlamento inglese approva per la prima volta un’azione di classe basata sul meccanismo di opt-out e preordinata al risarcimento del danno derivante dalle violazioni della normativa antitrust, per la quale è competente il Competition Appeal Tribunal (CAT). La disciplina viene inserita nella sezione 8 del Consumer Rights Act del 2015, modificando significativamente il Competition Act del 1998 e l’Enterprive Act del 2002 (sezioni 47B – 49 A e B)87. La nuova procedura rappresenta una fase significativa nel processo evolutivo relativo alla tutela collettiva nell’ordinamento inglese, che prima di questa riforma non conosceva azioni di classe basate sul meccanismo di auto-esclusione. La riforma riflette il desiderio del Governo di creare un giusto equilibrio tra la necessità di rendere la tutela collettiva uno strumento efficiente, in termini di accesso alla giustizia, e quella di predisporre adeguate garanzie processuali al fine di evitare l’abuso del contenzioso. La legislazione viene denominata da uno dei suoi promotori, la professoressa Xxxxxxx Xxxxxxxx della Queen Xxxx Xxxxxxxxxx di Londra come la “third generation” delle legislazioni in tema di azioni di classe, perché frutto della sintesi dell’esperienza americana, australiana e canadese88.
Antecedentemente l’ordinamento inglese prevede esclusivamente i cd. “Group litigation orders” (GLO), introdotti nel 2000 con la riforma del codice di procedura civile89. In presenza di questioni di fatto o di diritto comuni ad un cospicuo numero di cause, proposte separatamente dinnanzi alla stessa corte o a corti diverse, le parti o anche il giudice d’ufficio, possono chiedere la disposizione di
87 Per un commento alla riforma B.J. XXXXXX, The Consumer Rights Xxx 0000 and collective redress for competition law infringements in the UK: a class act?, in J. of antitrust enforcement, 2015, 3, p. 258 ss.; X. XXXXXXX, Driving with the Handbrake on: Competition Class Actions under the Consumer Rights Act 2015, in The Modern Law Rev., 2016, 79, p. 443 ss.; A. M. MOZETIC, Collective redress: a case for opt- out class actions in England and Wales, in Civil Justice Quartely, 2016, 35, p. 29 ss.
00 X. XXXXXXXX, Xxxxxxxx Xxxxxx Xxx 0000 - The UK Class Action: A Reaction, presentazione della legge tenuta al British Institute of International and Comparative Law, 21 April 2015.
89Sul sistema inglese di tutela collettiva antecedentemente alla riforma per tutti X. XXXXXX,
Multi-party Actions, Oxford University Press, 2001
un order che, identificando il complesso delle controversie aggregate, le sottopone alla cognizione di un’unica autorità giudiziaria. Si è in presenza, in sostanza, di una riunione di cause, applicabile a qualunque ipotesi di contenzioso seriale, che è autorizzata in virtù di un numero sufficiente di istanti, le cui azioni individualmente proposte sono caratterizzate da comuni questioni di fatto e di diritto, tali da concentrare la causa presso un’unica autorità giudiziaria. Quest’ultima dispone l’apertura di un registro, in cui potranno essere iscritte tutte le cause riconducibili al gruppo e, unicamente rispetto alle parti le cui liti sono iscritte al momento dell’adozione del provvedimento, basato sulla trattazione di cause pilota, potranno prodursi gli effetti vincolanti del giudicato di massa. Gli aspetti particolari relativi ad ogni singola causa saranno trattati, invece, in separati processi di completamento, nell’ambito dei quali la prima pronuncia dispiegherà i suoi effetti. Appare evidente che il sistema si basa su un meccanismo di adesione: gli effetti vincolanti della decisione si producono esclusivamente nei confronti di chi ha aderito all’azione, sebbene sia consentito al giudice imporre a chi non aderisce di subire comunque gli effetti della decisione, se non altro come precedente. Il sistema si è rivelato difettoso, proprio per la scelta del modello di opt-in, che in più di un’occasione ha determinato l’insuccesso della procedura per l’esiguo numero di soggetti aderenti.
L’alternativa al GLO consiste in una forma di azione rappresentativa caratterizzata dal comune interesse di più persone in una controversia; l’azione può essere avviata da una o più persone che avrebbero agito in rappresentanza di tutti gli altri. Gli esiti deludenti, derivanti dall’applicazione di questo istituto, furono dimostrati nel leading case Emerald Supplies v. British Airwais, relativo ad un cartello price fixing per il trasporto aereo che aveva coinvolto la British Airwais. L’Emerald Supplies, una società che utilizzava il servizio di trasporto per l’importazione di fiori, avviava l’azione rappresentativa per proprio conto e per conto degli acquirenti diretti o indiretti che erano stati danneggiati dal cartello.
La Corte d’Xxxxxxx non dichiarava ammissibile l’azione per il potenziale conflitto di interessi tra i membri della classe90
Relativamente alle azioni risarcitorie derivanti da una violazione della normativa sulla concorrenza, il Competition Act del 1998 (section 47 A) prevedeva una forma di azione di classe a tutela dei soli consumatori, in cui la legittimazione ad agire spettava ad organizzazioni e associazioni autorizzate ex ante. L’azione poteva essere avviata solo successivamente all’accertamento da parte dell’Autorità garante della condotta anticoncorrenziale (follow-on) e prevedeva per i consumatori la facoltà di aderire all’azione; solo se aderenti questi ultimi sarebbero stati vincolati dagli esiti del procedimento. Nel vigore della precedente normativa soltanto un’azione venne promossa a seguito di una sanzione imposta dall’Office of Fair Trading alla JJB Sports rea di aver bloccato i prezzi di t-shirts da calcio tra il 2000 e il 2001. Venne raggiunto nel 2008 un accordo con la JJB in virtù del quale questa si obbligava a pagare la somma di 20 sterline a quanti avessero aderito al procedimento. La percentuale di consumatori aderenti fu bassissima, meno dell’1% dei componenti della classe; a quel punto apparve chiara la necessità di introdurre un opt-out class action 91.
Il dibattito che ha preceduto la riforma è stato caratterizzato da due opposte esigenze: da un lato la consapevolezza dei benefici che sarebbero derivati dall’introduzione di un modello di azione di classe basata sull’opt-out in termini di effettività di tutela ai consumatori e alle imprese vittime di condotte anticoncorrenziali, di sottrazione del convenuto al rischio di affrontare successivi giudizi individuali da parte di quanti non avessero esercitato l’adesione all’azione di classe ed infine di rendere più semplice l’aggregazione delle pretese omogenee derivanti dal medesimo illecito. Dall’altro, però, sussisteva il timore di introdurre un istituto processuale che producesse gli effetti distorsivi della class action statunitense.
90 Emerald Supplies Ltd and another v British Airways, EWCA Civ 1284, (2010)
91 The Consumer Associations v. JJB Sports plc (CAT case 1078/7/9/07).
La riforma viene introdotta nel marzo 2015 con l’approvazione del Consumer Rights Act che modifica il Competition Act del 1998 e introduce nuove regole procedurali per il CAT competente per la decisione del giudizio. Rispetto alla precedente, la nuova disciplina è estesa alle imprese e l’azione può essere avviata anche prima di un eventuale intervento dell’Autorità garante volto a constatare la violazione della normativa antitrust da parte dell’impresa responsabile. La legittimazione all’azione è attribuita non solo ad enti rappresentativi previamente autorizzati, ma anche al soggetto privato che provi di aver subito un pregiudizio da una pratica anti-concorrenziale. Spetta al tribunale verificare l’adeguata rappresentatività del soggetto che promuove l’azione sulla base di una serie di criteri elencati dal nuovo articolo 47 B. In particolare il soggetto dovrà essere in grado di condurre la controversia in maniera tale da garantire un’equa ed adeguata protezione degli interessi della classe; non essere in una posizione di conflitto di interessi con i class members; avere la risorse sufficienti per poter gestire la procedura e rifondere, in caso di soccombenza, le spese processuali sostenute dalla controparte; aver predisposto un programma per la gestione delle diverse fasi del procedimento, comprese quelle relative agli adempimenti pubblicitari, alle consultazioni con i membri della classe e al pagamento delle spese processuali o dei compensi spettanti al legale della classe92. Il tribunale è chiamato a verificare l’omogeneità delle pretese fatte valere in giudizio da ogni class member; omogeneità che è da intendersi come comunanza delle questioni di fatto e di diritto da cui dipende la risoluzione della controversia, per la quale l’azione collettiva deve presentarsi, in termini di costi e benefici derivanti dall’avvio o dalla continuazione della procedura, come lo strumento più idoneo ad una sua efficiente ed equa trattazione93. Spetta sempre al Tribunale la scelta tra opt-in e opt-out al fine di stabilire se gli effetti vincolanti della decisione resa in giudizio si produrranno esclusivamente nei confronti di quanti, individuati come membri della classe, abbiano deciso di aderire al procedimento o se, invece, gli effetti della res iudicata si produrranno autonomamente nei confronti dei membri
92 CAT, Rule 78
93 CAT, Rule 78
della classe, a meno che questi non decidano di auto-escludersi. La valutazione deve essere effettuata considerando la fondatezza delle pretese vantate e se per quest’ultime, soprattutto sulla base della somma attribuibile a ciascun membro della classe, risulti, invece, soluzione preferibile il sistema di adesione94. Nel momento in cui intervenga, nel corso del procedimento, una transazione tra attore e convenuto, spetta al giudice verificarne il contenuto in termini di equità e ragionevolezza; l’accordo sarà vincolante solo successivamente all’avvenuta omologa95.
Il Consumer Rights Act rappresenta sicuramente un significativo passo in avanti nell’evoluzione degli strumenti previsti dal sistema normativo inglese in tema di tutela collettiva. Il procedimento presenta, tuttavia, dei punti critici e non solo perché sarebbe auspicabile che un modello di opt-out class action venisse esteso anche ad altri settori normativi e non essere limitato ai soli illeciti antitrust.
Le condizioni previste per l’ammissibilità dell’azione, alla cui verifica il tribunale è tenuto al fine di evitare un abuso del contenzioso, rischiano di concedere un eccessivo potere discrezionale all’organo giudicante, che potrebbe non necessariamente risolversi nella direzione di consentire l’accesso alla giustizia a pretese meritevoli di tutela giuridica, determinando il rischio di under-deterrence dei comportamenti anti-concorrenziali96. In particolare la disciplina, relativamente al costs/benefits test che il giudice è chiamato ad effettuare al fine dell’ammissibilità dell’azione, non indica i criteri sulla base dei quali debba essere effettuata la comparazione tra costi e benefici o come questi debbano essere calcolati. Se ad esempio la comparazione fosse effettuata sulla base del valore economico delle pretese risarcitorie vantate da ciascun soggetto leso, come pure appare possibile, il giudice potrebbe ritenerle meritevoli di tutela giurisdizionale, ma ciò nonostante non ammettere l’azione, perché i costi ad essa connessi, in termini
94 CAT, Rule 78 3(a)
95 CAT, Rule 93. La disciplina prevede che siano comunicati al tribunale i termini della proposta di transazione che dovrà indicare le modalità di pagamento delle spese di lite e del compenso spettante al legale della classe e le modalità di distribuzione delle somme pattuite ai class member che dovranno rilasciare una dichiarazione contenente l’accettazione delle condizioni dell’accordo.
96 X. XXXXXXX, op. cit., pp. 456-457
economici, sarebbero di molto superiori alla somma risarcitoria ottenibile da ciascun class member.
Allo stesso modo la disciplina lascia eccessiva discrezionalità al giudice nella verifica della manifesta fondatezza della domanda cui egli è tenuto al fine di scegliere tra opt-in e opt-out. Appare evidente che l’obiettivo perseguito con la previsione di un merits test è di evitare che siano fatte valere in giudizio pretese pretestuose; tuttavia, la scelta di un modello di azione risarcitoria che prevede la facoltà di adesione o quella di auto-esclusione dovrebbe essere fondata su una serie di altri fattori, che riguardano la finalità della procedura, l’efficiente uso di risorse economiche pubbliche o private, l’adeguata rappresentatività del soggetto agente, ed è soltanto in relazione a quest’ultima che la facoltà di adesione rivela la sua superiorità, dal momento che ciascun membro della classe, decidendo di aderire al provvedimento, ha modo di conoscere chi lo rappresenta97. L’incertezza sull’esito dell’ammissibilità dell’azione, che dipenderà in parte da come il giudice abbia valutato discrezionalmente i criteri obbligatoriamente previsti, non contribuisce ad agevolare il finanziamento dell’azione di classe, che di per sé costituisce una questione di primaria importanza, visto che è quella che maggiormente rischia di frustrare le finalità perseguite con l’approvazione del Consumer Rights Act.
Il sistema normativo inglese, come la maggioranza dei paesi europei, opta per il principio della soccombenza e non ammette, relativamente all’opt-out class action, patti di quota lite (cd. damages based agreements)98. Rimane, pertanto, il problema di chi può sostenere le spese della procedura: nessuna delle vittime di una condotta anti-concorrenziale avrà l’incentivo ad assumere per prima un rischio economico elevato nel momento in cui non sussista la concreta possibilità di essere adeguatamente ricompensata per le spese sostenute. Una soluzione può essere rappresentata dal fenomeno del third-party funding: un soggetto terzo, in cambio
97A. XXXXXXX, op. cit., p. 457; X. XXXXXX, Response to Private Actions in Competition Law: A
Consultation on Options for Reform, (July 2012) 10.
98 X. XXXXXXXX, The damages based agreements regulations 2013: some condrums in the brave new world of funding, in Civil Justice Quartely, 2013, 32, p. 241 ss.; A. M MOZETIC; op. cit., p. 33 ss.
di una quota della somma complessivamente riconosciuta alla classe a titolo di risarcimento del danno, decide di finanziare il giudizio. Il sistema inglese non vieta il third-party funding, ma non lo rende facilmente praticabile. Il Consumer Rights Act prevede che, in caso di condanna del convenuto, la parte dei danni che non sia stata reclamata dai membri della classe possa essere assegnata al suo rappresentante, (e per esso al soggetto finanziatore), a titolo di compensazione dei costi e delle spese legali sostenute (sezione 47 C). Il meccanismo, che potrebbe rappresentare uno strumento indiretto di finanziamento dell’azione, crea, però, un inevitabile conflitto di interessi tra il class representative e i membri della classe, dal momento che la possibilità di essere compensato per il rischio economico sostenuto sarà tanto maggiore quanto più bassa sarà la percentuale di membri della classe che reclameranno la quota di risarcimento ad essi spettante. Pertanto, il sistema di norme predisposto non solo non agevola il finanziamento dell’azione, ma soprattutto appare contrario alla logica che ha portato all’introduzione dell’opt-out, che è proprio quella di superare la razionale apatia del consumatore di fronte a pretese di modesto valore economico; apatia che nella previsione dell’articolo 47C rappresenta il presupposto per il finanziamento dell’azione. Da questo punto di vista appare evidente che il Consumer Rights Act necessiti di una riforma e la strada più semplice è quella, come ritengono alcuni, di ammettere i patti di quota lite99.
99 X. XXXXXXX, op. cit., pp. 459 ss.; B.J. XXXXXX, op. cit., p. 280 ss.
CAPITOLO III
L’AZIONE DI CLASSE NEL DIRITTO ITALIANO. I SOGGETTI DELL’AZIONE E LE CONDIZIONI DI
AMMISSIBILITÀ
SOMMARIO:1. L’approvazione dell’art. 140-bis del codice del consumo. Un iter tormentato e complesso. – 1.1 (Segue). Interrogativi sulla legittimità costituzionale dell’art. 49 della legge n. 99/2009. – 2. L’azione di classe come rimedio esclusivo a tutela del consumatore. – 3. I soggetti legittimati all’azione. -
4. L’opt-in e lo status soggettivo del consumatore aderente. - 5. Le speciali condizioni di ammissibilità dell’azione.
1. L’approvazione dell’art. 140-bis del codice del consumo. Un iter
tormentato e complesso
In seguito al dibattito dottrinale sviluppatosi in Italia fin dalla fine degli anni 70, il Parlamento italiano adottava a partire dalla XIV Legislatura diverse iniziative legislative tese all’introduzione nel nostro ordinamento di nuove forme di azioni collettive. Il solo modello di tutela collettiva fino a quel momento esistente era rappresentato dall’azione inibitoria che, introdotta con l’art. 3 della legge n. 281 del 30 luglio 1998 e poi trasfusa nell’art. 140 del codice del consumo, costituisce qualcosa di profondamente diverso da quella che è l’attuale fisionomia dell’azione di classe. Sono le associazioni dei consumatori elencate nell’art. 137 cod. cons. a poter promuovere l’azione che è finalizzata all’ottenimento di un provvedimento diretto a inibire la continuazione degli atti lesivi degli interessi collettivi dei consumatori e a correggere ed eliminare gli effetti dannosi derivanti dalle violazioni accertate. L’azione ha, quindi, ad oggetto una situazione di vantaggio che viene qualificata come propria della categoria di riferimento e non anche dei suoi singoli componenti e il provvedimento conclusivo del procedimento è di condanna della parte soccombente ad un comportamento di astensione lesivo dell’interesse indifferenziato di più soggetti.
Le proposte legislative che si seguirono negli anni antecedenti all’approvazione della prima versione dell’art. 140-bis cod. cons., per quanto ispirate a diversi modelli - alcuni più vicini alla class action statunitense altri al modello di azione inibitoria collettiva già vigente nell’ordinamento - erano tutte accomunate dalla medesima esigenza di fondo: garantire in un unico giudizio la tutela risarcitoria di situazioni soggettive di vantaggio ascrivibili a un numero elevato di soggetti riconducibili ad una medesima classe, senza la necessità di ricorrere ad azioni individuali. D’altro canto, l’idea di introdurre un’azione che, sulla falsariga del modello americano, attribuisse al singolo danneggiato il diritto di agire per conto di tutti gli altri, generava non poche perplessità relativamente ai profili di compatibilità con l’efficacia intra-partes del giudicato (art. 2909 c.c.) e con il principio del contraddittorio (art. 24 Cost)101.
100 La consapevolezza dell’inefficienza di una forma di tutela che non consentiva il ristoro del pregiudizio subito veniva avvertita anche dalla dottrina che, per superare l’ostacolo legislativo, affermava che, attraverso l’azione inibitoria, era possibile ottenere anche una condanna al risarcimento dei danni derivanti dalla condotta anti-giuridica. Sul punto X. XXXXXXXXX, La tutela collettiva dei consumatori in materia contrattuale, in I contratti dei consumatori, a cura di X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, in Trattato dei contratti diretto da X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, 2005, p.507 ss.; X. XXXXXXXX, La tutela di interessi collettivi nella nuova disciplina dei diritti dei consumatori, in Danno e resp., 1998, p. 1061 ss. L’impostazione, tuttavia, per quanto ragionevole sotto il profilo funzionale e sistematico, non ha mai ricevuto l’avallo della giurisprudenza che ha sempre negato la coesistenza di un provvedimento risarcitorio, sia pure secondario, ed uno inibitorio sulla base di una rigida contrapposizione tra interesse collettivo e diritto individuale omogeneo. Cfr. Cass. S.U., 6 maggio 1972 n. 1380, in Xxx. xxxx. xxx., 0000, XX, x. 000; Cass. 24 maggio 1976 n. 1050, in Giur. it., 1976, p. 477, entrambe in materia antisindacale.
101 X. XXXXXXX, Class action fuori dagli USA? (Un’indagine preliminare sul versante della tutela dei crediti di massa: funzione sostanziale e struttura processuale minima), in Riv. dir. civ., 1993, p. 609 ss.; X. XXXXXXXXX, Per la chiarezza di idee in tema di tutele collettive dei consumatori alla luce della legislazione vigente e dei progetti all’esame del Parlamento, in Le azioni collettive in Italia. Profili teorici e aspetti applicativi,
Il 27 marzo 2003 il Parlamento presentava due progetti di legge - i nn. 3838 e 3839 - che confluivano in un unico disegno di legge che non veniva licenziato dal governo, essendo mancata l’approvazione decisiva del Senato. La proposta
Si susseguirono negli anni successivi, soprattutto a seguito degli scandali finanziari che avevano visto coinvolte le società Parmalat e Xxxxx e degli esiti
a cura di X. Xxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 25 ss.; X. XXXXXXXX, Studi sulle class actions, cit., p. 376 ss.; X. XXXXXXXX, Xxxxx compatibilità tra il modello processuale della class action e i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, in Giur. it., 2000, p. 2224; X. XXXXXXX, La tutela collettiva: interessi in gioco ed esperienze a confronto, in Le azioni collettive in Italia. Profili teorici ed aspetti applicativi, cit., p. 19 ss.
102 X. XXXXXXXX, Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, Bologna, 2008, p.191 ss.; X. XXXX, Class actions all’italiana:" Paese che vai, usanza che trovi "(l’esperienza dei principali ordinamenti giuridici stranieri e le proposte di legge n.3838 e n.3839), in Corr. giur., 2004, p. 397 ss.
deludenti dei procedimenti giudiziali instaurati, diversi disegni di legge volti a rafforzare gli strumenti di tutela collettiva pensati in particolare per la protezione del risparmiatore nel settore dei servizi finanziari. Nel 2005, dopo aver esaminato le diverse proposte avanzate, approdava al Senato la proposta di legge n. 3058, che contemplava una nuova tipologia di azione collettiva, esperibile dalle associazioni di categoria dei consumatori e dei professionisti o dalle Camere di Commercio, attraverso cui ciascun consumatore o utente avrebbe potuto ottenere un risarcimento dei danni subiti per effetto di illeciti pluri-offensivi commessi nell’ambito di rapporti contrattuali seriali. Il procedimento, seguendo lo schema bifasico delineato dalla proposta n. 3839, si sarebbe concluso con una sorta di sentenza di condanna «generica», contenente, ove possibile, i criteri per la quantificazione della misura del risarcimento minimo spettante al singolo soggetto leso, o con una conciliazione giudiziale. A questa prima fase ne sarebbe seguita una successiva in cui, per effetto della pubblicazione della sentenza di condanna o della dichiarazione di esecutività del verbale di conciliazione ad opera di una camera di conciliazione o ricorrendo agli strumenti di composizione non contenziosa della lite previsti dall’art. 39 del d.lgs. n. 5/2003, ciascun consumatore o utente avrebbe potuto conseguire la liquidazione dei danni a lui spettanti. Tuttavia, anche questa proposta non veniva approvata dal Senato.
Nel corso della XV legislatura il Governo decideva di recuperare il testo approvato dalla Camera nella precedente legislatura e, nonostante il parere contrario della maggioranza della dottrina che aveva evidenziato le criticità di un rimedio così congegnato103, introduceva, con il comma 445 dell’art. 2 della legge
n. 244/2007 (finanziaria del 2008) la prima versione dell’art. 140-bis cod. cons., disciplinante «l’azione collettiva risarcitoria». L’azione, che viene qualificata dal legislatore come strumento generale di tutela dei diritti dei consumatori e degli
103 X. XXXXXXX, Fra nuovi riti civili e riscoperta delle class actions, alla ricerca di una «giusta» efficienza, in Corr. giur., 2004, p. 565 ss.; X. XXXXXXXXXX, La tutela collettiva: un tentativo di proposta ragionevole, in Foro it., 2007, V, p. 140 ss.; X. XXXXXXXX, Il consumatore come parte debole nel processo civile tra esigenze di tutela e prospettive di riforma, in Riv. trim. dir. proc., 2005, p. 525 ss.; C. XXXXXXX’, La controriforma della «class actions», in Danno e resp., 2006, p. 124 ss.
utenti, si pone come un completamento nel segno della continuità della tutela inibitoria 104.
La proposizione dell’azione veniva attribuita non al singolo consumatore o utente ma alle associazioni già legittimate a promuovere l’inibitoria, alle quali si aggiungevano le associazioni e i comitati che, se dotati di adeguata rappresentatività, avrebbero potuto tutelare gli interessi super-individuali dei singoli consumatori e utenti. Il controllo sull’adeguata rappresentatività non era quindi rimesso esclusivamente all’autorità governativa sulla base di parametri fissati ex ante dal legislatore, ma demandato ad una valutazione discrezionale del giudice da effettuare caso per caso. Relativamente all’ambito di applicazione dell’istituto questo concerneva, data la collocazione della norma, le controversie originate da rapporti di consumo, comprendendo non solo illeciti contrattuali commessi nell’ambito di rapporti giuridici conclusi ai sensi dell’art. 1342 c.c., ma anche le pretese derivanti da illeciti extra-contrattuali, pratiche commerciali scorrette e comportamenti anticoncorrenziali. Era previsto ad opera del tribunale un vaglio preventivo di ammissibilità della domanda risarcitoria, che poteva essere autorizzata nel caso di sua non manifesta infondatezza, di assenza
104 Numerosi i commenti relativi all’art. 140-bis cod. cons. che qui si riportano senza pretesa di esaustività: X. XXXX, Un «mostro giuridico» da riscrivere integralmente, in Il Sole 24-ore, 17 novembre 2007, p. 7 e dello stesso A. L’azione collettiva risarcitoria. Alcune osservazioni di diritto sostanziale, in Contratti, 2008, p. 545 ss.; AA.VV., Class action e tutela collettiva dei consumatori, a cura di X. Xxxxx e
X. Xxxxxxxx, Bari, 2008; AA.VV., Dall’azione inibitoria all’azione risarcitoria collettiva, a cura di X. Xxxxxxxx, Milano, 2009; AA.VV., Class, Action ! (?), a cura di X. Xxxxx e X. Xxxxxxxx, in Analisi giuridica dell’economia, 2008; X. XXXXXX, Azioni collettive: interessi protetti e modelli processuali di tutela, in Riv. dir. proc., 2008, p. 1205 ss., e dello stesso A., Litisconsorzio «aggregato». L’azione risarcitoria in forma collettiva dei consumatori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, p. 819 ss. e ancora Variabilità dell’oggetto del processo nell’azione collettiva risarcitoria, in Riv. dir. proc., 2009, p. 47 ss.; X. XXXXXXX, L’azione collettiva risarcitoria e restitutoria: presupposti ed effetti, in Riv. dir. proc., 2008, p.723 ss.; X. XXXXXXXXX, Il nuovo articolo 140-bis del codice del consumo: azione di classe o azione collettiva, in Anal. giur. econ., 2008,
p. 107 ss.; X. XXXXXXX, È legge una disposizione sull’azione collettiva risarcitoria: si è scelta la via svedese dell’«opt-in» anziché quella danese dell’«opt-out» e il filtro («L’inutil precauzione»), in Corr. giur., 2008, p.5 ss.; X. XXXXXXX, X. XXXX e X. XXXXXXXX, Obiettivo Class Action: l’azione collettiva risarcitoria, Milano 2008; X. XXXXXXXXXX, La tutela collettiva risarcitoria: note a prima lettura dell’art. 000-xxx xxx xxxxxx xxx xxxxxxx, xx Xxxx xx., 2008, V, p. 20 ss.; X. XXXXXX, L’oggetto dell’azione collettiva risarcitoria e la tutela degli interessi collettivi dei consumatori, in Giur. merito, 2009, p. 1445 ss.; X. XXXXXXXX, L’azione collettiva risarcitoria nell’art. 140-bis cod. cons., in Riv. dir. proc., 2008, p. 1227 ss.; I. XXXXX, Azione inibitoria delle associazioni e azione di classe risarcitoria: la forma di tutela del codice del consumo tra illecito e danno, in Anal. giur. econ., 2008, p. 127 ss.; X. XXXXXXXX, Class action e azione collettiva risarcitoria. La legittimazione ad agire e altro, in Contr. e impr. 2008, p. 729 ss.
di un conflitto di interessi e laddove ricorresse la presenza di un interesse collettivo suscettibile di adeguata tutela. Il legislatore, relativamente all’efficacia ultra partes del giudicato, escludeva l’automatica estensione degli effetti favorevoli o sfavorevoli della sentenza resa nel procedimento collettivo ai consumatori appartenenti alla categoria rappresentata dall’associazione, subordinandola ad un’esplicita manifestazione di volontà da parte degli stessi. Ciascun consumatore avrebbe dovuto comunicare al proponente - anche nel giudizio di appello fino all’udienza di precisazione delle conclusioni oppure attraverso un atto di intervento - la propria adesione: in altri termini il legislatore italiano adottava il modello dell’opt-in e non quello dell’opt-out.
La questione sulla quale il vecchio testo dell’art. 140-bis cod. cons. risultava maggiormente ambiguo era rappresentata dall’oggetto del giudizio. La disposizione citava in un primo momento gli «interessi collettivi», successivamente il «diritto al risarcimento del danno e alla restituzione delle somme spettanti ai singoli consumatori e utenti» ed infine «i diritti di una pluralità di consumatori o di utenti». Di fronte a due differenti tipologie di modelli - la class action statunitense e l’azione collettiva di matrice europea - si poneva il problema di stabilire come il legislatore avesse inteso qualificare il rimedio, se come un’azione di classe diretta a tutelare diritti individuali omogenei o come un’azione collettiva avente ad oggetto la tutela da parte di associazioni rappresentative di consumatori e utenti di interessi collettivi imputabili alla categoria di riferimento.
Parte della dottrina riteneva che l’azione avesse una struttura bifasica: un primo stadio del procedimento, attivato su impulso delle associazioni, aveva dimensione collettiva e ad oggetto l’accertamento dell’illiceità del comportamento imprenditoriale e della sua dannosità (valutata secondo criteri standardizzati o attraverso la determinazione, laddove possibile, di un quantum rappresentante la somma minima da corrispondere a ciascun consumatore o utente); un secondo stadio, lasciato all’iniziativa individuale, era diretto alla liquidazione conciliativa o giudiziale dei danni individualmente patiti da ciascun
La prima versione dell’art.140-bis cod. cons. fu oggetto di numerose censure da parte della dottrina107. Si lamentava che l’istituto fosse stato concepito esclusivamente per la tutela dei consumatori e utenti e non anche di altri soggetti deboli dell’ordinamento giuridico, nonché l’incongruità, relativamente al profilo della responsabilità contrattuale, del riferimento ai soli contratti conclusi mediante moduli o formulari (art. 1342 c.c.) e non anche a quelli contenenti condizioni generali di contratto. Per quanto concerne la legittimazione ad agire, si osservava che il sistema dell’adesione avrebbe potuto giustificare l’attribuzione
105 X. XXXXXXXX, Introduzione, in Dall’azione inibitoria all’azione collettiva risarcitoria, cit., p. 5 ss.; X. XXXX, L’oggetto del processo «collettivo» dall’azione inibitoria all’azione risarcitoria, in Dall’azione inibitoria all’azione collettiva risarcitoria, cit., p. 77 ss.; X. XXXXXXXXX, Il nuovo articolo 140-bis del codice del consumo: azione di classe o azione collettiva, cit., p.116 ss.; X. XXXXXXXXXX, La tutela collettiva risarcitoria. Note a prima lettura dell’art. 140-bis cod. consumo, cit., p.20; A. D. DE SANTIS, L’azione risarcitoria collettiva, in Class action e tutela collettiva dei consumatori, cit., p. 187 ss.
106 X. XXXXXXXX, L’azione collettiva risarcitoria nell’art. 140-bis c. cons., cit., p. 1229 ss.; X. XXXXXX, Litisconsorzio «aggregato». L’azione risarcitoria in forma collettiva dei consumatori, cit., p. 829; X. XXXXXXX, È legge una disposizione sull’azione collettiva risarcitoria: si è scelta la via svedese dell’«opt-in» anziché quella danese dell’«opt-out» e il filtro («L’inutil precauzione»), cit., 2008, p. 4 ss.
107 Tra i tanti X. XXXXXXXX, Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, cit., p. 224 ss.; G. ALPA, Un «mostro giuridico» da riscrivere integralmente, cit., p.7; P. F. GIUGGIOLI, L’azione collettiva risarcitoria: una prima lettura, in Corr. giur., 2008, p. 430 ss.
della titolarità dell’azione anche ai singoli consumatori, senza limitarla alle associazioni di categoria previamente riconosciute in via amministrativa o alle associazioni o comitati adeguatamente rappresentativi degli interessi in gioco. La norma si era rivelata mal formulata, avendo generato numerose perplessità relativamente alla qualificazione - se come sentenza di mero accertamento o di condanna generica - dell’oggetto del giudizio; ed infine la previsione della facoltà di esercitare l’adesione all’azione anche in grado di appello fino alla precisazione delle conclusioni, assieme alla facoltà di intervento per proporre domande aventi il medesimo oggetto, rischiava di rendere il procedimento eccessivamente lento e macchinoso, nonché poco efficiente tanto per le parti quanto per l’amministrazione della giustizia, vista anche l’assenza di una regolamentazione del coordinamento delle azioni collettive e individuali all’interno del medesimo giudizio.
Per trarre le fila delle considerazioni fin qui svolte può dirsi che l’originaria versione dell’art. 140-bis cod. cons. risultava, per un verso, troppo lacunosa e approssimativa nel suo contenuto e incapace di offrire adeguate soluzioni normative capaci di durare nel tempo, per l’altro era evidente all’occhio dell’interprete la soluzione di eccessivo compromesso sposata dal legislatore. L’azione collettiva risarcitoria si configurava come un rimedio troppo aderente all’esperienza collettiva dell’azione inibitoria, seppur con quegli adattamenti e quelle diversità pensati per la realizzazione di un’effettiva tutela in termini risarcitori dei diritti individuali omogenei vantati dai singoli consumatori e utenti vittime di una medesima condotta illecita.
L’azione non è mai entrata in vigore, dal momento che la data di applicabilità della normativa fu oggetto di una serie di consecutivi rinvii fino ad essere superata per effetto dell’art. 49, comma 1, della legge n. 99/2009 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese in materia di energia). Nella nuova versione il legislatore sembra abbandonare le ambiguità del passato, optando per un istituto che si avvicina o almeno tenta di avvicinarsi all’americana class action.
La nuova vocazione è resa chiara sin dalla rubrica del nuovo art. 140-bis cod. cons.: dall’«azione collettiva risarcitoria» si passa all’«azione di classe»108.
Le caratteristiche strutturali della “nuova” azione di classe saranno dettagliatamente analizzate nelle pagine che seguono; per il momento ci soffermeremo sui profili della disciplina dai quali emerge il capovolgimento dell’impostazione attuata dal legislatore con la riforma del 2009. A mutare è
108 Sulla nuova disposizione si vedano: AA.VV., Lineamenti giuridico-economici dell’azione di classe, a cura di A.M. Xxxxxxx e X. Xxxxx, Xxxx, 0000; AA.VV., Class action: il nuovo volto della tutela collettiva in Italia, Milano, 2011; AA.VV., Funzioni del diritto privato e tecniche di regolazione del mercato, a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxx, Bologna, 2009; AA.VV., Futuro, giustizia, azione collettiva, mediazione, a cura di X. Xxxxxxxx x X. Xxxxx, Xxxxxx, 0000; S. L. XXXXXXXXX, X. GUSTADISEGNI, X. XXXXX e X. XXXXXXXX, Guida alla class action, Milano, 2009; X. XXXX, Profili processuali dell’azione di classe, in Giusto proc. civ., 2010, p.1015 ss.; e dello stesso A., La trattazione nel processo di classe in Giusto proc. civ., 2011, p.83 ss.; X. XXXXXX, Il nuovo volto della class action, in Foro it., 2009, V, p. 383 ss.; dello stesso A., La riforma della «class action,» il nuovo testo dell’art. 140-bis cod. cons. nell’emendamento governativo, in xxx.xxxxxxxx.xx; X. XXXXXXX e X. XXXXX, L’azione di classe ex art. 140-bis cod. cons. Lineamenti processuali, Padova, 2012; X. XXXXXXX, Come cambia, rilevando ormai a tutti e in pieno il suo volto, l’art. 140-bis e la class action consumeristica, in Corr. Giur., 2009, p. 1297 ss.; X. XXXXXXXXXX, L’azione di classe ai sensi dell’art. 140-bis del Codice del consumo. La sentenza di accoglimento. Il giudizio di ammissibilità, in Diritto econ. ass., 2010, p. 1130 ss.; e dello stesso A., La tutela collettiva risarcitoria 2009: la tela di Xxxxxxxx, in Foro it., 2009, V, p. 388 ss.; X. XXXXXXXXXX e X. XXXXXXX, Prime pronunce e qualche punto fermo sull’azione risarcitoria di classe, in Corr. Xxxx., 2010, p. 985 ss.; X. X’XXXXXXX, Sub art. 140-bis c. cons., in Commentario breve al diritto dei consumatori, Padova, 2010, p. 938 ss.; A. D. DE SANTIS, L’azione di classe a tutela dei consumatori, in La nuova class action e la tutela collettiva dei consumatori, a cura di X. Xxxxx e X. Xxxxxxxx, Roma, 2010, p. 110 ss.; M. DE XXXXXXXXXX, L’azione collettiva risarcitoria «di classe»: profili sistematici e processuali, in Resp. Civ., 2010, p. 1932 ss.; X. XXXXXXXX, L’azione di classe a tutela dei consumatori, Napoli, 2011; X. XXXXXXXX, L’azione di classe nel diritto italiano. Profili sostanziali, Padova, 2012; X. XXXXXX, L’azione di classe nel nuovo art. 104-bis e gli obiettivi di deterrenza e di accesso alla giustizia dei consumatori, in AA.VV., I diritti dei consumatori e la nuova class action, a cura di X. X. Xxxxxxxx, Xxxxxxx, 0000, p.487 ss.; X. XXXXXXXX, L’azione di classe italiana. Luci ed ombre, in Diritto econ. ass., 2010, p. 1111 ss.; P. F. GIUGGIOLI, I soggetti tutelati e le loro associazioni, in Diritto econ. ass., 2010, p.1120 ss.; X. XXXXXXXXX, La nuova azione di classe; profili processuali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, p. 917 ss.; X. XXXXXXXX, Tutela del consumatore e azioni collettive di classe, Roma, 2010, p. 235 ss.; X. XXXXXXXX e A. MOTTO, L’azione di classe dell’art. 140-bis c. cons., in Le nuove leggi civ. comm., 2010, p. 1415 ss.; X. XXXXXXXX, I primi provvedimenti relativi all’azione di classe dell’art. 140-bis cod. consumo, in www. xxxxxxxx.xx; I. XXXXX, L’azione di classe del nuovo art. 140-bis: le situazioni soggettive tutelate, l’introduzione del giudizio e l’ammissibilità della domanda, in Riv. dir. civ., 2010, p. 349 ss.; A. PROTO PISANI, Appunti sulla tutela giurisdizionale degli interessi superindividuali e sulle azioni di serie risarcitorie dei consumatori, in Foro it., 2010, V, p. 251 ss.; X. XXXXX, L’«azione di classe» a tutela dei consumatori e degli utenti, in Riv. dir. proc., 2010, p. 253 ss.; X. XXXXXXXXXX e X. XXXXXX, Il nuovo strumento di tutela collettiva risarcitoria: l’azione di classe dopo le recenti modifiche all’art. 140-bis cod. cons., in www. xxxxxxxx.xx; X. XXXXXX, La class action in funzione antitrust, in Diritto econ. ass., 2010, p. 1158 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Introduzione, in Class action: il nuovo volto della tutela collettiva in Xxxxxx, xxx., x. 0 xx; X. XXXXXXX, La tutela collettiva nell’ordinamento italiano: lineamenti generali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, p. 103 ss.; X. XXXXXXXXX, La nuova class action: il coordinamento con la disciplina del codice di procedura civile, in Obbligazioni e contr., 2010, p. 246 ss.; X. XXXXXXX, Alcune brevi riflessioni sulla riforma della disciplina in materia di «azione di classe», in Diritto econ. ass., 2010, p. 1125 ss.
innanzitutto il regime di legittimazione non più riconosciuto ad associazioni o enti adeguatamente rappresentativi, ma a «ciascun componente della classe» che potrà scegliere di avviare l’azione da solo o mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa. Scompare rispetto al testo precedente ogni riferimento ad interessi collettivi o super-individuali; oggetto dell’azione sono esclusivamente i diritti individuali dei consumatori o degli utenti purché rientranti in una delle categorie elencate dalla norma: diritti contrattuali derivanti dai rapporti con la medesima impresa (nei quali sono ora ricompresi non solo quelli derivanti dalla sottoscrizione di moduli o formulari, ma anche dalla predisposizione di condizioni generali di contratto); diritti spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del produttore, anche a prescindere dalla presenza di un rapporto contrattuale; diritti derivanti da pratiche commerciali scorrette o comportamenti anticoncorrenziali. I diritti dei consumatori o utenti per i quali si agisce debbono essere «omogenei» o
«identici» nel senso che, seppur dipendenti da fatti costitutivi che presentano elementi di differenziazione (concernenti le modalità di realizzazione della fattispecie costitutiva o il quantum del risarcimento dovuto), comune deve essere il tratto preponderante che li qualifica, così da determinare l’appartenenza alla medesima classe di tutti i soggetti interessati e da autorizzare il cumulo delle loro pretese in un unico procedimento.
Due sono i possibili esiti del giudizio: una sentenza di condanna, in cui il tribunale liquida in xxx xxxxxxxxxx xx xxx. 0000 x.x. xx xxxxx definitive spettanti al proponente e ai singoli consumatori aderenti o, laddove ciò non sia possibile, una pronuncia che stabilisce il criterio «omogeneo di calcolo per la liquidazione di dette somme». La sentenza ottenuta in giudizio non produce automaticamente effetto nei confronti dei membri della classe, ma esclusivamente nei riguardi di coloro che abbiano deciso di aderire all’azione. Il legislatore, in continuità col passato, opta ancora una volta per il regime dell’opt-in, che diventa l’unica modalità di partecipazione all’azione, essendo vietato l’intervento di terzi ai sensi dell’art. 105 c.p.c. L’adesione non può più essere esercitata fino al giudizio di appello, ma entro un termine piuttosto stringente stabilito dal giudice
nell’ordinanza di ammissibilità. Viene riconosciuto al giudice un ruolo fondamentale nella gestione del procedimento; egli non dovrà solo verificare, secondo requisiti predeterminati dalla legge, l’ammissibilità dell’azione, ma adeguare nelle fasi successive del procedimento il suo svolgimento alle caratteristiche della controversia collettiva che richiede un approccio non tradizionale per la complessità delle variabili che la caratterizzano.
È evidente come, con le novità apportate con la riforma del 2009, il legislatore esprima la chiara intenzione di abbondonare il modello dell’«azione collettiva risarcitoria» in senso proprio per approdare ad un’azione rappresentativa vicina alla class action statunitense. Con l’introduzione dell’azione di classe, da un modello di tutela a legittimazione associativa, finalizzato all’accertamento di interessi super-individuali facenti capo a un gruppo di consumatori lesi dal medesimo illecito pluri-offensivo, si approda ad un modello di tutela a legittimazione individuale, preordinato ad aggregare in un unico giudizio le pretese soggettive di una pluralità di consumatori accomunate da caratteristiche tali da giustificarne un apprezzamento seriale e una gestione processuale congiunta.
Sul contenuto dell’art. 140-bis cod. cons. interviene da ultimo l’art. 6 del D.L. n. 1/2012, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività. Con la riforma ogni riferimento all’«identità» dei diritti o delle situazioni è sostituito dall’«omogeneità» quale condizione per l’ammissibilità dell’azione109 e, accanto alla tutela dei diritti individuali omogenei, ritornano gli interessi collettivi. Non è ben chiara la ratio della scelta operata dal legislatore. Parte della dottrina afferma che l’esigenza sia quella di far in modo che l’interesse individuale, per il quale viene promossa l’azione, abbia una certa consistenza e sia realmente diffuso tra i consumatori e utenti. L’azione, quindi,
109 La novità recepisce sostanzialmente la lettura che la maggioranza della dottrina aveva dato del requisito dell’identità che, vista l’inevitabile presenza di elementi differenziati riferibili in via esclusiva alla pluralità di soggetti facenti parte della classe, non poteva tradursi in una reale e perfetta identità delle situazioni sostanziali oggetto di tutela. Si rinvia al paragrafo 1.1. del quarto capitolo per l’approfondimento della questione. In giur. Trib. Roma, (ord.) 25 marzo 2011, in Foro it., 2011, I, p. 1889; App. Torino, (ord.) 23 settembre 2011, in Foro it., 2011, I, p. 3422.
Relativamente al contenuto dell’azione due le modifiche apportate. Innanzitutto si precisa che l’azione ha ad oggetto «l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni» a favore degli utenti consumatori (art. 140-bis, comma 2, cod. cons.). Successivamente, al comma 12, la disposizione prevede che, laddove il tribunale, nell’accogliere la domanda
110 Così X. XXXXXXX e X. XXXXX, op. cit., p. 55.
111 X. XXXXXXXX, L’azione di classe nel diritto italiano. Profili sostanziali, cit., p. 11 ss., secondo cui, nel caso di azione a tutela dell’interesse collettivo, dovrà capirsi come e a che titolo il consumatore proponente l’azione possa elevarsi a soggetto esponenziale degli interessi super- individuali e beneficiare della condanna risarcitoria o restitutoria dell’imprenditore convenuto. Negli stessi termini X. XXXXXXXX, L’azione di classe: un primo bilancio, in Riv. dir. proc., 2012, p. 1177 ss., il quale ipotizza che sia il consumatore proponente l’azione a beneficiare della condanna al risarcimento del danno come incentivo alla promozione dell’azione o in alternativa l’adozione di un meccanismo simile alla fluid class recovery americana, in cui si dispone una liquidazione equitativa del danno da attribuire «a pioggia» ai vari consumatori.
112 Ritengono che l’azione di classe possa essere utilizzata al fine di ottenere anche una sentenza dichiarativa della responsabilità: X. XXXXXX, Il nuovo volto della class action, cit., p. 387; X. XXXXXXXX, Il nuovo art. 140-bis cod. cons., cit., p. 609 ss. che ritiene possibile tale decisione solo in presenza di un accordo tra attore e convenuto; X. XXXXXX, L’azione di classe nel nuovo art. 140- bis e gli obiettivi di deterrenza e di accesso alla giustizia dei consumatori, cit., pp. 525-526, X. XXXXX, Dalla tutela collettiva in senso proprio alla tutela cumulativa: l’azione di classe a protezione dei diritti dei consumatori e degli utenti, in Futuro, giustizia, azione collettiva, mediazione, cit., p. 65; X. XXXXXXXX, L’azione di classe a tutela dei consumatori, cit., p. 297 ss. Contra: X. XXXXXXX e X. XXXXX, op. cit.,
p. 284 ss.; A. D. DE SANTI, L’azione di classe a tutela dei consumatori, in La nuova class action e la tutela collettiva dei consumatori, a cura di X. Xxxxx e X. Xxxxxxxx, cit., pp. 164-165; X. XXXXXXXX e X. XXXXX, op. cit., pp. 1418-1419, secondo cui va esclusa l’ammissibilità di una domanda il cui oggetto sia dato esclusivamente dalla declaratoria della responsabilità del convenuto, il cui accertamento avviene senza efficacia di giudicato, ma soltanto incidenter tantum al fine di statuire sulle pretese risarcitorie o restitutorie dei singoli; X. XXXXXXX, L’azione di classe nel novellato art. 140-bis cod. consumo: considerazioni (e qualche interrogativo), cit., p. 185. In giur. App. Torino, (ord.) 27 ottobre 2010, in Corr. giur., 2011, p. 519, che, confermando l’inammissibilità di un’azione di classe intentata contro una banca per le commissioni di massimo scoperto, ha sottolineato come il legislatore abbia considerato l’accertamento della responsabilità dell’impresa non nella sua
In conclusione, il modello predisposto dal legislatore è quello di un’azione di condanna finalizzato ad una tutela risarcitoria o restitutoria, il ricorso alla quale, vista l’asimmetria delle poste in gioco, sarebbe precluso al consumatore in mancanza di uno strumento processuale di collettivizzazione dei costi. Tale finalità, unitamente a quella di fungere da deterrente nei confronti dell’impresa che ha posto in essere la condotta illecita, risulterebbe ovviamente frustrata da un uso del rimedio limitato alla semplice declaratoria dell’illecito commesso e alla sua imputabilità al convenuto, costringendo poi i singoli danneggiati ad avviare autonomi giudizi individuali di completamento aventi ad oggetto la dimostrazione dell’avveramento del danno e la sua quantificazione. Con la riforma del 2012 la liquidazione del quantum debeatur avviene sempre all’interno del giudizio di classe, dove troveranno definizione non solo le questioni comuni, ma anche quelle differenziate.
Se osserviamo la parabola evolutiva dell’azione di classe, che pare non ancora terminata visto che una nuova riforma è attualmente al vaglio del Parlamento, può dirsi come il legislatore, pur avendo introdotto uno strumento rivoluzionario rispetto agli schemi processuali tradizionali, ne abbia poi accompagnato l’utilizzo con una serie di cautele e di limiti tali da depotenziarne l’impatto pratico. Al di là dei problemi interpretativi che la disciplina solleva, sussistono diversi profili che, destinati a ridurre l’esperibilità e l’efficacia dell’azione di classe, meritano di essere perfezionati o rivisti. Difatti, anche a seguito dell’intervento riformatore del 2012, residuano questioni non adeguatamente risolte e, anticipando alcune delle considerazioni che verranno riprese nel prosieguo della trattazione, può dirsi come manchi una compiuta regolamentazione del finanziamento dell’azione o delle spese alla stessa connesse, della composizione transattiva della controversia e dello status soggettivo del consumatore aderente.
autosufficienza a fondare la legittimazione all’azione, ma nella sua necessaria funzionalità all’ottenimento di una sentenza di condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. La formulazione della norma escluderebbe qualunque rapporto di alternatività tra accertamento e condanna, rappresentando il primo un semplice presupposto logico-giuridico della seconda.
Un quesito preliminare si pone alla nostra indagine: la disciplina dell’azione di classe ha natura processuale o sostanziale? La giurisprudenza, seguita dalla dottrina maggioritaria, afferma la natura processuale dell’azione di classe che si aggiunge ai mezzi di tutela ordinari già spettanti ai consumatori e utenti, senza creare nuovi diritti113. Tuttavia, non può negarsi che all’istituto siano ricollegabili effetti qualificabili come sostanziali, consistenti nella constatazione che attraverso l’azione di classe, e più generalmente attraverso il cd. collective private enforcement, diritti individuali e interessi collettivi raggiungono quell’efficacia ed effettività di tutela che né il processo individuale né l’azione dei pubblici poteri sembrano poter loro garantire. Trovare una risposta alla questione non appare, poi, così decisivo, anzi può osservarsi come l’azione di classe contribuisca ad evidenziare la correlazione esistente tra diritti e rimedi, nella consapevolezza del formalismo insito nell’idea della separazione tra la situazione giuridica soggettiva
113 Trib. Xxxxxx, (ord.) 4 giugno 2010, in Foro it., 2010, I, p. 2523, commentata in dottrina da X. XXXXXXXXX e X. XXXXXXX, Il giudizio di ammissibilità dell’azione di classe, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 882 ss.; X. XXXXX, L’azione di classe alla ribalta: l’egoismo necessario dell’attore, in Giur. it, 2010, p. 2605 ss.; X. XXXXX, La duplice debacle subita dalla prima azione di classe: la declaratoria di inammissibilità emessa dal Tribunale di Torino (confermata in sede di reclamo) e il rigetto del ricorso proposto avanti al Tar Lazio per il diniego dell’accesso agli atti della Banca d’Italia, in Giur. it., 2010, p. 2612 ss.; S.
A. XXXXXXX, Un debutto “stonato” per la “nuova” class action italiana, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, II, p. 619 ss.; X. XXXXXXXX, La prima “uscita” della class action all’italiana soffocata da meccanismi preclusivi penalizzanti, in Guida al dir., 2010, p. 16 ss. In dottrina, con riferimento alla prima versione dell’art. 000-xxx, X. XXXXXXXXX, Il nuovo art. 140-bis del codice del consumo: azione di classe o azione collettiva?, cit., p.111 ss.; X. XXXXXX, Azioni collettive: interessi protetti e modelli processuali di tutela, cit., p. 1209; X. XXXXXXXX, Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, cit., pp. 16-17, il quale sottolinea come l’introduzione di una nuova azione non permetta di immaginare che risulti tutelabile una nuova categoria di azioni di vantaggio sostanziali, e dello stesso A., Tutela individuale e tutela collettiva del consumatore dalle pratiche commerciali scorrette fra diritto sostanziale e processo, cit., p. 1678 ss., ove l’illustre studioso aggiunge che la prospettazione negli Stati Uniti di conferire alla disciplina dell’azione di classe valore sostanziale deriva dalla possibilità di dedurre in giudizio le pretese dei componenti della classe a prescindere dal loro consenso e dalla circostanza che la standardizzazione della liquidazione del danno determina una riallocazione della distribuzione del risarcimento alle vittime dell’illecito. Appare difficile ravvisare tale portata sostanziale nella disciplina italiana, dal momento che il prodursi degli effetti della res iudicata nei confronti dei membri dell’azione presuppone l’iniziativa giudiziaria, sia pure in forma semplificata, del titolare della pretesa sostanziale fatta valere in giudizio. Tra i contributi più recenti X. XXXXXXX e X. XXXXX, op. cit., pp. 59-60. Isolata in dottrina la posizione contraria di X. XXXXX, op. cit., p. 269 secondo il quale l’azione di classe avrebbe natura sostanziale. In giur. in senso conforme App. Torino, (ord.), 23 settembre 2011, cit., secondo cui: «l’istituzione per la prima volta di un’azione di classe (…) introducendo una forma di tutela prima non prevista, si pone, come pure recentemente osservato da autorevole dottrina, su un piano (non già processuale, ma) sostanziale, così come per ogni azione accordata dall’ordinamento; (…). La natura sostanziale del diritto di azione (in genere e, nella specie, di classe) ben si ricava dalla stessa collocazione, all’interno del codice civile».
e la sua effettività o detto diversamente che una pretesa effettiva possa considerarsi sostanzialmente identica a una pretesa ineffettiva. D'altronde costituisce oggetto di un’acquisizione metodologica ormai condivisa l’attenzione alla prospettiva dei rimedi come momento di cruciale importanza al fine di costruire lo statuto di una situazione giuridica soggettiva. Com’è stato autorevolmente affermato, il bisogno di tutela non va inteso in senso esclusivamente gius-processualistico, ma come bisogno “differenziato” di tutela che si afferma nel diritto sostanziale con riferimento a situazioni soggettive e al cui presidio figurano sia rimedi sostanziali che processuali114. A questo punto può dirsi che, se il diritto, e il modo in cui lo stesso si concretizza nel processo, ha la finalità di assicurare alla parte il soddisfacimento dell’interesse sostanziale protetto dalla norma, allora esaminare se il rimedio predisposto sia funzionale a garantire nel singolo caso la tutela più efficace alla situazione giuridica soggettiva rappresenta una prospettiva privilegiata di indagine soprattutto relativamente all’azione di classe. Non va dimenticato che la ragion d’essere dell’introduzione dell’istituto giuridico è da rinvenirsi proprio nel predisporre una tutela efficiente ed economica di situazioni giuridiche il cui titolare, avendo subito un pregiudizio di modesta entità, non sarebbe stato incentivato ad esperire la tutela ordinaria. La constatazione di questa corrispondenza funzionale e biunivoca tra rimedio e situazioni giuridiche protette porta ad osservare come l’azione di classe sia sicuramente un rimedio che non crea diritti sostanziali nuovi, prima non riconosciuti dall’ordinamento giuridico, ma contribuisce a rendere - e qui sta il profilo sostanziale dell’azione - quegli stessi diritti effettivi.
L’attenzione, in questo capitolo, si focalizzerà sulle questioni che potremmo definire “prevalentemente” sostanziali, che costituiscono quelle di maggior rilievo teorico e pratico, dal momento che è dalla loro interpretazione e soluzione che sarà possibile verificare se la tecnica rimediale in questione, come costruita dal legislatore, sia realmente efficiente rispetto alla conformazione dell’interesse
114 X. XXXXXXXXXXX, Relazione sui sistemi di enforcement e principio di effettività, in Processo e tecniche di attuazione dei diritti, a cura di X. Xxxxxxxxx, 1989, p. 210; X. XXXXXXXXX, Il contratto di diritto europeo, Torino, 2012, p. 33 ss.
protetto. L’individuazione dei soggetti legittimati all’azione, la diversità tra lo status del consumatore proponente e di quello aderente, l’ambito materiale e temporale di applicazione dell’istituto, l’omogeneità delle situazioni giuridiche soggettive tutelate hanno segnato, come risulta dall’analisi della giurisprudenza in materia, e sono destinate a segnare in futuro le sorti dell’azione di classe.
1.1. (Segue). Interrogativi sulla legittimità costituzionale dell’art. 49 della legge n. 99/2009
L’art. 140-bis cod. cons. diviene operativo a partire dal 1 gennaio 2010 e, se da un punto di vista oggettivo l’istituto concerne i soli rapporti di natura consumeristica, sotto il profilo temporale l’art. 49 della legge 2009 n. 99 ne limita l’applicazione «agli illeciti compiuti successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge». La disposizione, anziché regolare nel tempo l’accesso al nuovo rito, come sarebbe proprio delle norme processuali intertemporali, finisce per discriminare, per ragioni meramente temporali, i diritti e gli interessi che possono trovare tutela attraverso l’azione di classe. Esclusivamente i consumatori e utenti che hanno subito l’illecito in data posteriore al 15 agosto 2009 (data di entrata in vigore della legge n. 99 del 2009) possono usufruire della tutela in forma collettiva; gli altri, anche se hanno patito la compressione dei medesimi diritti, rimangono privi della possibilità di avvalersi dell’istituto e conseguentemente rimarranno di fatto privi di una qualsivoglia forma di protezione, visto che le caratteristiche dell’illecito subito rendono estremamente arduo l’esperimento dell’azione individuale.
La soluzione adottata non solo genera una serie di difficoltà interpretative derivanti dal dover accertare la collocazione cronologica dell’evento lesivo in relazione ad ogni componente della classe, laddove la medesima condotta illecita addebitata all’impresa convenuta in giudizio si configuri come una condotta
continuativa o protratta lungo un arco temporale a cavallo della data del 15 agosto, ma la discriminazione così operata ci sembra costituzionalmente illegittima per violazione del principio di uguaglianza posto dall’art. 3 della Costituzione, che rappresenta limite insuperabile alla discrezionalità del legislatore. Difatti la determinazione di una disparità di trattamento tra soggetti che versano nella medesima situazione ci appare irragionevole oltre che non coerente con le finalità sottese all’introduzione dell’istituto, finalità consistenti nel rafforzare la protezione dei consumatori e attenuare la condizione di debolezza economica e sociale in cui gli stessi versano quando interagiscono con un operatore professionale. Se l’azione di classe costituisce un mero strumento processuale che tutela le pretese sostanziali omogenee di consumatori e utenti, non si comprende per quale ragione tali diritti, a meno che non si siano prescritti, solo perché sorti in epoca anteriore all’entrata in vigore dell’art. 49 della legge n.
99 del 2009, non possano godere della tutela offerta dal nuovo istituto rimediale115.
115 Considerano la disposizione costituzionalmente illegittima X. XXXXXXXXXX, La tutela collettiva risarcitoria: La tela di Xxxxxxxx, cit., p. 391.; X. XXXXXXX e X. XXXXX, op. cit., p. 59 ss.;
X. XXXXXXXX, L’azione di classe nel diritto italiano. Profili sostanziali, cit., p. 183 ss., il quale reputa che la norma violi non solo l’art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della non- razionalità e della non-ragionevolezza della scelta operata dal legislatore ma anche l’art. 24 commi 1 e 2 Cost. Quest’ultima disposizione, nel riconoscere come diritto inviolabile del cittadino la garanzia alla tutela dei suoi diritti e interessi legittimi, è contraria a qualunque restrizione all’utilizzo dell’azione di classe che non sia fatta dipendere dalla natura della fattispecie sostanziale dedotta in giudizio, ma esclusivamente dal momento temporale in cui questa è sorta. X. XXXXXX, Il nuovo volto della class action, cit., p. 383, secondo cui la norma determina un’eccezione irragionevole alla regola secondo cui, se si introducono nuove norme processuali, è possibile dedurre in giudizio i diritti sorti in un momento anteriore a quello rispetto al quale la domanda giudiziale viene proposta. X. XXXXXX, L’azione di classe nel nuovo art. 140-bis e gli obiettivi di deterrenza e di accesso alla giustizia dei consumatori, cit., pp. 515-516.
116 Così X. XXXXXXXX e X. XXXXX, op. cit., p. 1417; A. PACE, Interrogativi sulla illegittimità costituzionale della nuova «class action», in Class action: il nuovo volto della tutela collettiva in Italia, cit., p.
la natura facoltativa dell’azione di classe escluda un sindacato sulla legittimità costituzionale della norma per contrarietà agli artt. 3 e 24 della Cost., rimanendo impregiudicata per il consumatore la proponibilità dell’azione individuale, non può essere pienamente condivisa. Se è vero che il consumatore è libero di optare o meno per l’azione di classe, una volta esercitata la facoltà di adesione questa determina la rinuncia ad ogni azione risarcitoria o restitutoria individuale fondata sul medesimo titolo (art. 140-bis, comma 3, cod. cons.). Appare, pertanto, ragionevole ritenere che, a controbilanciare l’avvenuta rinunzia alla tutela ordinaria, debba intervenire la garanzia della legittimità costituzionale della disciplina che regolamenta il processo di classe.
Allo stesso modo non appare condivisibile l’obiezione avanzata dalla giurisprudenza secondo cui il fluire del tempo sarebbe sufficiente a giustificare un trattamento diversificato di fattispecie identiche ma verificatesi in tempi diversi117. Il principio di ragionevolezza impone al legislatore di disciplinare in maniera uniforme fattispecie analoghe e in maniera difforme fattispecie diverse; conseguentemente il fluire del tempo potrebbe di per sé giustificare la regolamentazione differenziata di fattispecie diverse perché separate da un intervallo cronologico. Tuttavia, l’ammissibilità dell’intervallo temporale come elemento idoneo ad escludere l’illegittimità costituzionale dell’art. 49 della legge
n.99 del 2009 non significa ammettere che "in ogni caso" il trattamento differenziato ratione temporis di fattispecie convergenti sia legittimo, dal momento che deve comunque rinvenirsi una giustificazione ragionevole e obiettiva che non ci sembra poter rinvenire in questo frangente. L’art. 49 della legge 2009/99 subordina l’esperibilità dell’azione di classe non ad un intervallo temporale
129 ss., per il quale l’illegittimità costituzionale dell’art. 49 richiederebbe la dimostrazione dell’irrazionalità del divieto di retroattività da escludersi quando sia rinvenibile nella scelta del legislatore la volontà di perseguire un interesse generale, che nel caso di specie potrebbe essere il prefigurare la tutela collettiva relativamente a un gruppo di casi per numero e per gradualità temporale accettabile.
117 App. Torino, (ord.) 23 settembre 2011, cit., che esclude l’illegittimità costituzionale dell’art. 49 sulla base della considerazione che il fluire del tempo rappresenti un elemento sufficiente a giustificare il trattamento diversificato di fattispecie identiche ma verificatesi in tempi diversi. Così si legge nella motivazione dell’ordinanza: «il fluire del tempo costituisce in sé un elemento diversificatore che consente di trattare in modo differenziato le stesse categorie di soggetti, atteso che la demarcazione temporale consegue come effetto naturale alla generalità delle leggi»
118 A dimostrare la rilevanza della questione alcuni casi recenti in cui la giurisprudenza si è soffermata sulla ammissibilità dell’azione di classe ratione temporis. Un esempio è l’ordinanza del 25 marzo 2011 del Trib. di Roma chiamato a pronunziarsi sull’inserimento da parte di Unicredit Spa nei contratti posti in essere con la clientela di clausole contrattuali nulle ex art. 1418 cc., perché integranti il divieto di commissione di massimo scoperto. La condotta illecita contestata alla banca era stata posta in essere nell’ambito di un contratto di durata qual è il contratto di conto corrente. Il tribunale avrebbe potuto ritenere l’illecito compiuto al momento dell’inserimento delle nuove clausole, che nel caso di specie si era verificato in data anteriore al 16 agosto 2009, o invece qualificare l’illecito come permanente nel senso di considerare gli addebiti compiuti dalla banca, in forza delle clausole contrattuali asseritamente illegittime, elementi oggettivi dell’illecito rinnovantesi in ogni successivo prelievo della commissione. I giudici romani optavano per la prima soluzione escludendo così l’ammissibilità dell’azione di classe, vista l’inapplicabilità ratione temporis dello strumento processuale. In altri termini l’illecito, nell’opinione del tribunale, si era consumato al momento dell’inserzione unilaterale della clausola integrante gli estremi della condotta antigiuridica; l’atto dell’incasso, lungi dal costituire un’azione che perpetua l’originario comportamento contra legem, rappresentava un mero effetto consequenziale della stipulazione della clausola controversa, rilevante ai soli fini della determinazione del danno effettivo. La tesi non appare convincente. Nell’opinione della giurisprudenza di legittimità (Cass. 2 dicembre 2010, n. 24418, in Resp. civ. e prev., 2011, p. 697 ss.) il contratto di conto corrente costituisce un rapporto giuridico unitario che implica prestazioni di denaro ripetute e scaglionate nel tempo. L’unitarietà del rapporto e il fatto che lo stesso sia destinato a protrarsi nel tempo non impedisce di qualificare come indebito il singolo pagamento non dovuto, se ciò dipende dalla nullità del titolo giustificativo dell’esborso, sin dal momento in cui è stato effettuato, decorrendo sempre da tale momento il diritto alla ripetizione da parte del solvens. Ne consegue che, al fine di verificare l’applicabilità dell’azione di classe, occorre fare riferimento alla data del danno subito o del pagamento non dovuto, anche laddove la nullità del titolo giustificativo si sia verificata nel momento anteriore coincidente con l’inserimento nel contratto delle clausole contrattuali nulle. A questa conclusione è pervenuta la Corte d’Appello di Torino nell’ordinanza del 23 settembre 2011 in cui, relativamente ad una medesima fattispecie, ha riconosciuto che ogni attività di riscossione delle commissioni per scoperto di conto, se rappresentativa della volontà attuativa delle clausole contrattuali, integra il compimento di illeciti. Altro esempio è rinvenibile nel settore della tobacco litigation. Nel caso Xxxxxxx/Codacons c. British American Tobacco Italia, avente ad oggetto il risarcimento dei danni dovuti all’attività di produzione e di vendita di sigarette posta in essere senza l’adozione di tutte le misure idonee ad evitare conseguenze pregiudizievoli, si lamentava che il produttore, attraverso l’utilizzo di additivi assuefacenti, aveva generato nei fumatori uno stato di tossicodipendenza. Il tribunale, che dichiarava inammissibile la domanda per manifesta infondatezza e per disomogeneità dei diritti fatti valere, si pronunziava anche sull’inammissibilità ratione temporis dell’azione in quanto, a detta della parte convenuta in giudizio, l’illecito sarebbe stato commesso in epoca anteriore al 16 agosto 2009. In primo grado il Tribunale respingeva l’eccezione: i comportamenti commissivi ed omissivi imputati alla convenuta, sebbene avessero avuto inizio prima dell’entrata in vigore della legge del 2009, erano proseguiti in epoca successiva quale illecito permanente, determinando un incremento dello stato di dipendenza dalla nicotina. In secondo grado la Corte
2. L’azione di classe come rimedio esclusivo a tutela del consumatore
Il codice del consumo è la sedes materiae in cui il legislatore decide di collocare l’azione di classe che ne diventa parte integrante, condividendone le caratteristiche essenziali e i limiti sistematici. In attesa dell’approvazione del progetto di legge al vaglio del governo che aspira a fare dell’azione di classe un istituto di parte generale, l’orizzonte entro il quale lo strumento si muove è la tutela del consumatore.
Prima di affrontare i problemi esegetici derivanti dalla nozione di «consumatore» e «utente» cui l’art. 140-bis cod. cons. conferisce la legittimazione all’azione può osservarsi come la scelta legislativa di escludere portata generale al rimedio, non limitandolo a particolari soggetti e situazioni giuridiche, rappresenta l’espressione del timore delle possibili ripercussioni che un uso “allargato” dell’istituto avrebbe potuto produrre sulla stabilità delle imprese e del sistema economico. In una prospettiva de iure condendo ci sembra che il superamento della restrizione ai consumatori della disciplina dell’azione di classe è assolutamente auspicabile: la realizzazione sul piano dell’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti impone di pensare all’istituto come rimedio generale nella consapevolezza che il consumatore non è l’unico soggetto debole del mercato meritevole di protezione aggiuntiva da parte dell’ordinamento giuridico. Muovendosi in questa prospettiva la dottrina italiana discute da tempo della figura del cd. “terzo contratto”, alludendo ad un modello contrattuale concluso sostanzialmente tra imprenditori ma che, al pari dei contratti del consumatore, si caratterizza per un’asimmetria di potere tra le parti in termini di disparità di
d’Xxxxxxx riformava completamente la decisione resa in primo grado, qualificando il vizio da fumo come illecito istantaneo ad effetti permanenti. L’evento dannoso, nell’opinione dei giudici del reclamo, si era verificato prima dell’entrata in vigore della legge del 2009 e in particolare nel momento in cui «il fumatore rimanesse assoggettato alla coazione a ripetere determinata dalla dipendenza dal fumo e, in particolare, dalla nicotina che esso contiene»; le ulteriori conseguenze dannose, invece, di cui veniva richiesto il risarcimento, erano estranee alla sequenza condotta- evento, impedendo l’applicabilità dell’art. 140-bis cod. cons.
condizioni economiche, politiche e sociali119. Il tema è quello dell’emersione di nuovi soggetti deboli o se si preferisce dell’abuso di posizione contrattuale esercitato, però, in una dimensione soggettiva diversa, che non è quella incentrata sul rapporto tra consumatore e impresa perché in questo caso a subire la forza contrattuale altrui è un altro imprenditore. D’altro canto la Raccomandazione della Commissione Europea del 2013 in tema di principi comuni per i meccanismi di ricorso collettivo esprime la propensione comunitaria ad ampliare il novero dei soggetti fruitori della tutela collettiva, che costituisce un meccanismo preordinato a ristabilire l’equilibrio processuale tra contraenti forti e contraenti deboli, anche se questi ultimi non sono consumatori ma persone giuridiche che hanno subito un pregiudizio in una situazione di danno collettivo.
In questo panorama normativo l’art. 7 del D.L. n.1 del 2012, che costituisce l’ultimo intervento innovatore nella disciplina dell’azione di classe, sembra riconoscere la tendenza in atto, estendendo la tutela contro le pratiche commerciali scorrette alle micro-imprese (artt. 18, comma 1, e 19, comma 1), cod. cons.). Di fronte ad una pratica commerciale scorretta del professionista, il codice del consumo tutela non solo il consumatore ma anche quelle entità che, a prescindere dalla forma giuridica, esercitano un’attività economica con meno di dieci dipendenti e con un fatturato o bilancio annuo non superiore a due
119 L’espressione “terzo contratto” veniva coniata da Xxxxxxx Xxxxxxxxx nella Prefazione a X. XXXXXXXXX, L’abuso di dipendenza economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei contratti. Un’analisi comparata, Torino, 2004. L’illustre studioso prendeva atto dell’esistenza di una polarità contrapposta nel variegato universo del contratto: «(…) da un lato, il contratto nobile quello negoziato in ogni dettaglio da soggetti avvertiti, pienamente consapevoli del fatto di agire in un arena ruvida, dove gli errori di programmazione si pagano a prezzo carissimo (…) contratto che interviene tra soggetti sofisticati, consapevoli del fatto che, nell’agire contrattuale, quisique faber fortunae suae e pienamente avvertiti della necessità di “azzerare il rischio giudice”(…). Al polo opposto, (…) il vasto continente del contratto dei consumatori.» Accanto al primo e al secondo contratto Xxxxxxxxx individuava la figura del “terzo contratto”: «(…) c’é, insomma, la terra di mezzo. Fuori di metafora si deve convenire che, fra le situazioni in cui gli operatori corrono rischi consapevoli e quelle in cui lo herd behaviour dei consumatori invoca correttivi nel segno di norme imperative di sostegno, si stende un’ampia fascia di rapporti (…) che non si lasciano ricondurre ai modelli estremi. È l’area grigia del “terzo contratto”, quella che, forse più di ogni altra, richiama oggi (o dovrebbe farlo) l’attenzione dello studioso del diritto privato (…)». Sul terzo contratto si vedano i contributi in AA.VV., Il terzo contratto: l’abuso di potere contrattuale nei rapporti tra imprese, a cura di X. Xxxxx e G. Villa, Bologna, 2008.
milioni di euro (fermo restando che per le micro-imprese la tutela in materia di pubblicità ingannevole e comparativa illecita è assicurata in via esclusiva dal D.L.
2 agosto 2007, n.145). Tuttavia, sebbene le pratiche commerciali scorrette diventino una parte del codice del consumo che trascende lo status soggettivo di consumatore, l’art. 140-bis cod. cons. rimane rimedio fruibile esclusivamente da questi ultimi. In altri termini ad un ampliamento soggettivo delle posizioni tutelabili non corrisponde un ampliamento degli strumenti giurisdizionali utilizzabili per ottenere il ristoro del pregiudizio subito: alle micro-imprese non resta altro che l’esercizio della sola azione individuale.
Fatte queste considerazioni, non può mettersi in dubbio che l’attuale dato normativo richiede che tanto il proponente quanto i soggetti aderenti ad un’azione di classe siano consumatori120. L’art. 140-bis cod. cons. non provvede a dare una nozione di consumatore. Tuttavia la collocazione della norma all’interno del codice di settore deve portare a ritenere che la definizione di consumatore rilevante ai fini dell’applicabilità del rimedio è quella generale ex art. 3, lett. a), cod. cons.; pertanto il soggetto legittimato a proporre e ad aderire ad un’azione di classe è «la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta»121.
120 Lo conferma la prima pronunzia in tema di azione di classe, Trib. Torino, (ord.) 4 giugno 2010, cit., che, respingendo la questione di legittimità costituzionale dell’art. 140-bis cod. cons. (per violazione degli artt. 3 e 24 della Cost.), sottolinea che, ai fini dell’esperibilità del rimedio, occorre che l’attore sia un consumatore o utente secondo la definizione stabilita dall’art. 3, lett. a), del codice del consumo. Tra le varie nozioni di consumatore ivi rinvenibili il tribunale ritiene che quella alla quale il legislatore ha inteso riferirsi è quella generale applicabile «ove non sia diversamente previsto». Da ultimo App. Firenze, (ord.) 15 luglio 2014 in Giur. it., 2015, p. 89, che ha dichiarato inammissibile un’azione di classe proposta da un piccolo azionista per danno derivante da falsità del prospetto informativo di cui all’art. 94 del TUF, annoverando, tra le varie motivazioni addotte, l’impossibilità di considerare il socio un consumatore ai sensi dell’art. 3, lett. a), cod. cons. La corte d’Xxxxxxx ha ritenuto infondata la distinzione tra azionista imprenditore e azionista risparmiatore prospettata dall’associazione dei consumatori; l’acquisizione di una partecipazione inidonea a garantire un’influenza sullo svolgimento dell’attività di impresa non implica una mera finalità di risparmio, dal momento che l’entità della partecipazione è irrilevante ai fini dell’identificazione della causa del negozio di sottoscrizione delle azioni.
121 Molti sono gli studi dedicati alla nozione di consumatore; tra i contributi più recenti si veda
X. XXXXXXXXX, Il consumatore e il professionista, in I contratti dei consumatori, a cura di X. Xxxxxxxxx e
X. Xxxxxxxxx, cit., p. 5 ss.; F. MEZZASETTE, La nozione di consumatore nel codice del consumo: una
Il circoscrivere la proponibilità dell’azione di classe al consumatore/utente sottopone l’ammissibilità della domanda ad un ulteriore requisito che si aggiunge alle condizioni di ammissibilità previste dal comma 6 dell’art. 140-bis cod. cons.: chi agisce e chi aderisce all’azione dovrà provare la sua qualità di consumatore. La circostanza che il legislatore, nel fornire la definizione di consumatore, pone l’accento sullo scopo dell’atto, indirizza l’interprete verso una nozione relazionale di consumatore in cui a rilevare non sono le caratteristiche strutturali del soggetto, ma la posizione che quest’ultimo assume nella contrattazione con il professionista. Da ciò deriva che l’attore persona fisica, che intende provare di essere consumatore, dovrà fornire la prova negativa di agire per scopi estranei all’attività professionale eventualmente svolta. Ora se l’attore non è imprenditore o professionista - non esercita, cioè, alcuna attività di impresa o professionale - allora con la prova di questo fatto negativo potrà ritenersi soddisfatta la condizione imposta dall’art. 3, lett. a), cod. cons. Nel caso in cui egli sia, invece, operatore professionale, dovrà fornire la prova di aver agito per scopi estranei all’attività di impresa svolta122; prova che si presenta particolarmente problematica per quella categoria di atti aventi finalità promiscue, cioè tali da soddisfare sia bisogni professionali che extra-professionali.
questione ancora aperta, in Il diritto dei consumi: realtà e prospettive, a cura di X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxx,
X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 83 ss., X. XXXXX, Il consumatore, in Trattato di diritto privato europeo, a cura di X. Xxxxxx, I, Padova, 2003, p. 447; X. XXXXX XXXXXX, Sub art. 3, in Le modifiche del codice del consumo, a cura di X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxx Xxxxxx, Torino, 2009, p. 20 ss.
122 Va ricordato l’orientamento dottrinale secondo cui gli atti posti in essere da un soggetto qualificabile come professionista potrebbero essere distinti in due categorie: “atti della professione” e “atti relativi alla professione”. I primi sono quelli mediante i quali il soggetto esplica la sua professione e per i quali va esclusa la qualifica di contratti del consumatore; i secondi sono atti realizzati in collegamento con la propria attività professionale e quindi ad essa strumentali o semplicemente connessi, che vanno considerati atti di consumo proprio perché si tratta di attività diversa da quella normalmente svolta (es. uno scultore professionista stipula un contratto di trasporto per la sua opera d’arte, fattispecie decisa da Trib. Roma, 20 ottobre 1999, in Foro it., 2000, p. 645). In dottrina così X. XXXXXXXXX, Xxxxx nozione di consumatore, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, pp. 1166-1167. La giurisprudenza di legittimità adotta, invece, criteri più rigorosi, intesi chiaramente a limitare il numero dei soggetti ai quali applicare la disciplina particolarmente protettiva del codice del consumo. In particolare, si esclude la qualifica di consumatore anche quando il contratto posto in essere sia semplicemente connesso o strumentale all’attività professionale o imprenditoriale; in questo senso Cass. 10 luglio 2008, n. 18863, in Guida al dir., 2008, p. 48; Cass. 12 dicembre 2008, n. 29276, in Foro it., 2009, I, p. 2683; Cass. 8 giugno 2007, n. 13377, in Giust. civ., 2008, I, p. 996 ss.
La questione appare particolarmente interessante ai fini della presente trattazione, visto che nella prima azione di classe proposta dinnanzi al tribunale di Torino nel caso Xxxxxx/Codacons c. Intesa Sanpaolo i giudici venivano chiamati proprio a valutare se l’attività “ibrida” posta in essere dal proponente – nel caso di specie un contratto di deposito in conto corrente in cui alcune operazioni bancarie compiute dal correntista non potevano dirsi estranee all’attività professionale svolta – escludesse o meno la qualifica di consumatore123. Il tribunale nel pronunziare sul punto l’ammissibilità dell’azione adotta un criterio più rigido di quello della mera prevalenza, riconoscendo la qualità di consumatore nel momento in cui, sulla base di una comparazione per numero e rilevanza delle operazioni professionali rispetto a quelle non professionali, si rinvenga che le prime rivestono carattere di marginalità nel quadro globale dell’attività svolta dal proponente124.
Un altro spunto di riflessione, concernente la questione dell’attribuzione qualità di consumatore al soggetto proponente l’azione sulla base dell’effettiva destinazione dell’atto a finalità estranea all’attività professionale, è offerta dal caso Xxxxxxx/Codacons x. Xxxxx Medical Instruments S.p.a. riguardante un’azione di classe proposta innanzi al Tribunale di Milano per il risarcimento dei danni derivati a un gruppo di consumatori a causa della pubblicità ingannevole con cui era stato commercializzato un prodotto antinfluenzale125. Per il profilo della pronuncia che in questa sede interessa, la qualità di consumatore veniva negata in primo grado non in virtù dello status soggettivo dell’attore (un avvocato operante per il centro studi dell’associazione mandataria), ma perché si
123 Trib. Torino, (ord.) 4 giugno 2010, cit.
124 La pronunzia sembra sostanzialmente allinearsi all’orientamento della giurisprudenza comunitaria (Corte UE, 20 gennaio 2005, causa C-464/01, in Foro it., 2005, IV, p. 124 ss.) che, chiamata a pronunziarsi su una questione preliminare di rito riguardante la corretta selezione del giudice nazionale competente secondo la convenzione di Bruxelles del 1968, ha affermato la non applicabilità della disciplina sul foro del consumatore nel momento in cui il contratto sia stato stipulato per finalità di impresa, quand’anche secondarie e non prevalenti, a meno che queste non siano talmente marginali da avere un ruolo trascurabile nel contesto globale dell’operazione. 125 Trib. Milano, (ord.) 20 dicembre 2010, in Resp. civ. prev., 2011, p. 1096 ss.; Trib. Milano, (ord.) 13 marzo 2012, in Foro. it., 2012, I, p. 1909 ss., con nota di X. XXXXXXXX e A. D. DE SANTIS;
X. XXXXXXXXX e X. X XXXXXXX, Ancora sul giudizio di ammissibilità dell’azione di classe, in Nuova giur. civ. comm., 2011, p. 520 ss.
riconosceva che l’acquisto del vaccino era stato effettuato al fine di precostituire le condizioni necessarie alla proponibilità dell’azione. La precostituzione degli elementi di fatto per la proposizione dell’azione e la sua destinazione a scopo propagandistico o di visibilità personale costituivano, nell’opinione dei giudici, atti rientranti nell’attività professionale svolta dall’attore cui non può conseguentemente riconoscersi la qualità di consumatore ex art. 3, lett. a), cod. cons126. La sentenza viene ribaltata in sede di appello, essendo riconosciuto irrilevante, ai fini dell’attribuzione al proponente della qualità di consumatore, le motivazioni personali per le quali l’acquisto del test influenzale era stato effettuato. La modifica della pronunzia appare condivisibile l’acquisto di un test anti-influenzale per uso domestico non avrebbe mai potuto considerarsi strumentale all’esercizio della professione; qualificato l’atto come atto di consumo e il professionista consumatore ai fini dell’esercizio dell’azione, questa avrebbe potuto casomai considerarsi infondata laddove la corte non avesse rinvenuto gli estremi della pratica commerciale ingannevole, ma non perché l’attore era privo della qualità richiesta 127.
Se non può mettersi in dubbio una tendenziale coincidenza tra la nozione di consumatore cui l’art. 140-bis cod. cons. si riferisce e quella generale del codice del consumo, va rilevato che nel giudizio di classe non è il solo proponente ma anche il soggetto aderente a dover dimostrare di essere un consumatore nei termini di cui all’art. 3, lett. a), cod. cons., sebbene per quest’ultimo il diniego del tribunale inciderà non sull’ammissibilità dell’azione ma sulla validità della sua adesione. Ciò posto appare ragionevole ritenere che il giudice nell’ordinanza di ammissibilità conferisca un concreto contenuto alla nozione di consumatore
126 Così si legge nell’ordinanza: «(…) la questione effettivamente rilevante ai fini di causa non sta affatto nella qualifica professionale dell’attore in sé considerata o più in generale nei rapporti pregressi che possono esistere o essere esistiti tra l’odierna attrice Xxxxxxx e il Codacons intervenuto (…) ma piuttosto in una positiva valutazione dell’effettiva destinazione dell’acquisto di cui si discute (ai fini di consumo proprio ovvero di occasione e strumento per l’esercizio di attività professionale, come certo ben potrebbe in astratto qualificarsi la mirata precostituzione delle condizioni per l’avvio di un’azione legale di carattere “esemplare”)». Critica l’iter argomentativo della pronunzia X. XXXXXXXX, L’azione di classe nel diritto italiano. Profili sostanziali, cit., pp. 57-58.
127 App. Milano 26 agosto 2013, in Foro it., 2013, p. 3324.
valida per il procedimento. Tale attività, che consentirebbe una più agevole decisione relativamente all’adesione al procedimento, considerando l’omogeneità delle posizioni del proponente rispetto a quella dell’aderente, costituisce una possibile espressione di quei poteri di case management, che preordinati a evitare indebite ripetizioni o complicazioni, il comma 11 dell’art. 140-bis cod. cons. attribuisce all’organo giudicante.
Se l’art. 140-bis cod. cons. delimita in maniera abbastanza chiara l’ambito di applicazione dell’istituto relativamente alla legittimazione attiva, individuando nei «consumatori» e «utenti» i soggetti titolari del potere di promuovere l’azione di classe, altrettanto non fa per i soggetti passivamente legittimati. La norma menziona in più di una occasione «l’impresa» quale soggetto convenuto, senza darne però una definizione che non si rinviene neanche all’interno di altre disposizioni del codice del consumo128. L’impresa, inoltre, non esaurisce il novero dei soggetti passivi dell’azione cui si affianca il produttore (comma 2, lett. b), art. 140-bis cod. cons.)129 e il gestore di pubblici servizi o di pubblica utilità (comma 12, art. 140-bis cod. cons). Diverse quindi le questioni ermeneutiche da affrontare sotto tale profilo, la cui risoluzione va effettuata in funzione delle fattispecie sostanziali contemplate come tutelabili e delle peculiarità dello strumento processuale. In particolare relativamente al concetto di impresa si pone il problema di stabilire se la stessa debba essere individuata facendo riferimento alla nozione di imprenditore ex art. 2082 c.c. o a quella più estesa di professionista contenuta nel codice del consumo, che definisce tale «la persona
128 L’impresa figura quale controparte del consumatore o utente che agisce per la tutela dei diritti omogenei relativi a contratti stipulati ai sensi degli artt. 1341-1342 c.c. (comma 2, lett. a); rappresenta il criterio per stabilire la competenza territoriale dell’organo giudicante (comma 4) ed infine definisce i limiti del principio di consumazione del potere di azione. Infatti il comma 14 dell’art. 140-bis cod. cons. circoscrive il divieto di proposizione di ulteriori azioni di classe, una volta scaduto il termine per l’adesione, alle azioni proposte per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa.
129 Il codice del consumo contiene tre diverse nozioni di produttore: la prima inserita all’interno delle disposizioni di carattere generale (art. 3, lett. d); la seconda relativa alla disciplina in tema di sicurezza dei prodotti (art. 103, lett. d); la terza riguardante la responsabilità per danno da prodotto difettoso (art. 115, comma 2, bis). La scelta tra una delle diverse opzioni dipende dal titolo giustificativo della pretesa fatta valere in giudizio ai sensi del comma 2, lett. b) dell’art. 140- bis cod. cons.