LEGGE 28 giugno 2012, n. 92
LEGGE 28 giugno 2012, n. 92
Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita. (GU n.153 del 3-7-2012 - Suppl. Ordinario n. 136 )
Entrata in vigore del provvedimento: 18/07/2012
DISPOSIZIONI SUI TIROCINI
Commi 34-36, Art. 1 (Disposizioni generali, tipologie contrattuali e disciplina in tema di flessibilita' in uscita e tutele del lavoratore)
34. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo e le regioni concludono in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano un accordo per la definizione di linee-guida condivise in materia di tirocini formativi e di orientamento, sulla base dei seguenti criteri:
a) revisione della disciplina dei tirocini formativi, anche in relazione alla valorizzazione di altre forme contrattuali a contenuto formativo;
b) previsione di azioni e interventi volti a prevenire e contrastare un uso distorto dell'istituto, anche attraverso la puntuale individuazione delle modalita' con cui il tirocinante presta la propria attivita';
c) individuazione degli elementi qualificanti del tirocinio e degli effetti conseguenti alla loro assenza;
d) riconoscimento di una congrua indennita', anche in forma forfetaria, in relazione alla prestazione svolta.
35. In ogni caso, la mancata corresponsione dell'indennita' di cui alla lettera d) del comma 34 comporta a carico del trasgressore l'irrogazione di una sanzione amministrativa il cui ammontare e' proporzionato alla gravita' dell'illecito commesso, in misura variabile da un minimo di 1.000 a un massimo di 6.000 euro, conformemente alle previsioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689.
36. Dall'applicazione dei commi 34 e 35 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx, 7 gennaio 2013
Quali linee guida per i tirocini
di Xxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxxxx Xxxxx
Mancano poco più di dieci giorni alla scadenza dei sei mesi previsti dalla “Legge Fornero” per la riforma dei tirocini. Com’è noto, essa deve passare per l’adozione di linee guida da definire in accordo con le Regioni e le Province autonome. La traccia era già segnata dalla legge e lasciava intuire la volontà di un certo irrigidimento, con l’obiettivo di valorizzare “altre forme contrattuali a contenuto formativo” e di “prevenire e contrastare un uso distorto dell’istituto”.
Che non sia un problema solo italiano è dimostrato dai documenti recentemente prodotti dalla Commissione europea, che punta proprio su questo strumento, insieme all’apprendistato, per creare a beneficio dei giovani percorsi formativi più coerenti e più spendibili, nel tentativo di combatterne la disoccupazione e la dispersione (si veda X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, Verso una regolazione europea dei tirocini).
La materia, da molti sottovalutata, è particolarmente controversa, tanto è vero che in Italia è il secondo tentativo in poco più di anno. Il primo tentativo di fornire linee-guida per i tirocini, dell’estate 2011, era nato dall’accordo per il rilancio dell’apprendistato dell’ottobre 2010 e con i medesimi obiettivi dell’attuale (si tratta di un documento di lavoro inedito del 6 luglio 2011).
Esso tuttavia non aveva mai visto la luce ed aveva aperto la strada all’intervento del Legislatore nella manovra estiva bis, recentemente dichiarato incostituzionale (sentenza n. 287/2012, con commento di X. Xxxxxxxxxx, Tirocini: il rischio di un vuoto normativo).
Allora come oggi, dunque, l’esigenza è la medesima: circoscrivere l’utilizzo dei tirocini perché tornino alla propria funzione originaria senza essere utilizzati come strumento di flessibilità e fornire al contempo una disciplina minimale comune per le Regioni.
La strada oggi prescelta, tuttavia, appare assai diversa da quella del 2011. Basti considerare che nell’agosto del 2011, accanto a Governo e Regioni, lavoravano anche le Parti sociali, grandi assenti nelle linee guida di prossima emanazione. Elemento, questo, che già da solo mostra la prospettiva adottata, di rigida regolamentazione “burocratico-amministrativa” e senza condivisione con i soggetti (quali le imprese) che poi, nei fatti, saranno gli unici a poter garantire un tirocinio di qualità. Del pari, a differenza del 2011, si assiste alla costruzione di una regolazione di dettaglio, piuttosto che puntare sui pochi elementi che possono garantire un utilizzo genuino di questo strumento, lasciando ai legittimi titolari la disciplina di dettaglio.
Quanto ai contenuti delle linee guida, ben venga la volontà, pure espressa dalla legge, di operare sugli aspetti sanzionatori, onde punire severamente l’abuso, ma certo non si può pensare che la soluzione a tutti i problemi sia il “riconoscimento di una congrua indennità, anche in forma forfettaria, in relazione alla prestazione svolta”, come invece sembra evincersi dalle prime indiscrezioni sulle linee guida.
Entrando maggiormente nel dettaglio di queste linee-guida, si trovano conferme rispetto all’impostazione del d.l. n. 138/2011 ed alcune, significative, novità, che non appaiono sempre coerenti con le finalità del tirocinio.
Quanto alle conferme, sembra che rimangono in vita le varie “tipologie” e le relative definizioni di tirocinio, già contenute nel provvedimento del 2011 (che si rivolgeva ai soli tirocini formativi e di orientamento) e poi meglio definite dalla circolare n. 24/2011: tirocini formativi e di orientamento, tirocini di inserimento e reinserimento, tirocini destinati a categorie “svantaggiate”.
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Sarebbero fuori dall’ambito di applicazione delle linee guida, invece, sia i tirocini curriculari, sia i periodi di pratica professionale (per un approfondimento si veda X. Xxxxx, Un legislatore contraddittorio: il tirocinio nella riforma della professione legale).
Rimane inalterato, per quanto riguarda i tirocini formativi e di orientamento, il periodo di 12 mesi che deve intercorrere tra il conseguimento del titolo e l’inizio dello stage. Nessuna grossa novità neppure sul versante delle durate, che rimangono di sei mesi per i tirocini formativi e di orientamento e di massimo 24 mesi per i disabili; vengono innalzate solo nel caso dei tirocini di inserimento e reinserimento (dai 6 previsti dal d.m. 142/1998 – e non toccati nel 2011 – a 12 mesi, sulla scia della normativa toscana e ligure), tutti comprensivi di proroghe. Viene inoltre chiarito che il tirocinante ha diritto ad una sospensione del tirocinio per maternità o malattia lunga (di durata pari o superiore ad un terzo del tirocinio) e che tale periodo di sospensione non concorre al computo della durata complessiva del tirocinio.
Sembrano riconfermate anche le norme su un passaggio delicato, qual è quello dei soggetti promotori, che rappresentano la garanzia più importante di uno stage genuino e di qualità. Correttamente la selezione dei soggetti viene lasciata alle regioni, scelta questa coerente con le loro competenze in materia di mercato del lavoro. La lettura della normativa regionale ci segnala, però, che raramente esse hanno colto l’occasione per mettere a sistema gli attori e gli strumenti del proprio mercato del lavoro, limitandosi spesso ad una pedissequa riproposizione della normativa nazionale vigente (si veda X. Xxxxxxx, X. Xxxxx, La mappa aggiornata dei tirocini formativi e di orientamento in Italia). Con il che è facile dimostrare come ancora oggi siano ben poche le Regioni dotate di una disciplina organica e autosufficiente della materia.
Anche nelle nuove linee guida, in assenza di uno specifico intervento regionale (visto che le linee guida non potranno essere applicate senza loro recepimento a livello regionale), vengono riproposti ancora i vecchi soggetti promotori di cui al d.m. n. 142/1998, a cui vengono aggiunti i “soggetti autorizzati alla intermediazione dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ai sensi del D.lgs. 276/2003”, unico riferimento da cui si riesce ad intuire che dal 1998 ai giorni oggi qualcosa è cambiato nel modello di organizzazione e disciplina del mercato del lavoro. Ed è qui, in realtà, che il provvedimento si mostra lacunoso e poco o nulla coerente con la più recente evoluzione del mercato del lavoro e del sistema educativo di istruzione e formazione. Una grave lacuna che, allo stato della normativa regionale oggi vigente, rischia di pregiudicare la qualità dei tirocini.
Quanto ai soggetti ospitanti, accanto alla conferma dei limiti numerici nelle stesse proporzioni
ormai note, sembra sia precisato che non si potrà accogliere lo stesso tirocinante per più di un stage
e comunque questi dovrà essere coinvolto in attività coerenti con gli obiettivi formativi. Formulazione, quest’ultima, che rischia di essere di mero principio, se non accompagnata da un rigido controllo degli enti promotori.
Una infelice previsione, poi, è quella che riguarda le imprese multi localizzate. In controtendenza rispetto alle indicazioni ministeriali del passato e ad ogni esigenza di semplificazione, viene ribaltato il principio: non più quello della sede legale ma quello del luogo di svolgimento del tirocinio (si veda X. Xxxxxxxxx, Tirocini nelle imprese multilocalizzate: un passo avanti e due indietro).
Tuttavia, la novità più significativa è quella, da sempre al centro del dibattito, della remunerazione del tirocinante, chiamata oggi “indennità di partecipazione”. La legge Xxxxxxx ne aveva già preannunciato sia l’obbligatorietà, sia la congruità. In tanti si erano chiesti quale forma tale congruità avrebbe preso. Ebbene essa appare declinata in un duplice senso: “In relazione alla preponderante componente formativa del tirocinio si ritiene che l’indennità sia da ritenersi congrua laddove la sua corresponsione sia prevista a partire dal 4° mese di tirocinio” e, poco oltre, “Al fine, da un lato, di rispettare il principio di congruità e, dall’altro, di evitare un uso distorto dell’istituto, l’indennità prevista, il cui importo dovrà essere congruo in relazione all’attività svolta e alle caratteristiche dei destinatari, non potrà essere inferiore a 400,00 euro mensili” (grassetto nostro).
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Congrua, dunque, in un duplice senso, perché erogata solo dopo il quarto mese e perché commisurata all’attività svolta. Tante sono le criticità connesse a questa previsione, sia dal punto di vista più strettamente tecnico, sia di opportunità, e la stessa segna un punto di rottura notevole rispetto alle interpretazioni precedenti.
Da una parte, infatti, appare assai rischioso porre la questione nei termini di una indennità correlata ad una prestazione, che ricorda inevitabilmente più il lavoro che la formazione; dall’altra, si impone una strada negata da quasi tutte le Regioni nell’ambito della proprio autonomia. Un’idea contraria al concetto stesso di tirocinio formativo e di orientamento, ove il giovane viene “remunerato” da una formazione e da un orientamento effettivi e di qualità. L’idea di un sostegno ai giovani, anche per questioni legate alla necessità di garantire ampio accesso a questo strumento (in linea con le indicazioni europee ma anche coerente con la nostra tradizione e collocazione sistematica del tirocinio), non è da rigettare in toto ma forse la strada del rimborso spese documentato, abbracciata nel già citato documento dell’estate 2011, non avrebbe creato inopportune commistioni tra lavoro e tirocinio. Il rischio più grave, infatti, è quello di trasformare quella che dovrebbe essere un’importante metodologia didattica legata al concetto di alternanza in una vera e propria prestazione lavorativa.
Appare critica, poi, la scelta di non fissare un termine per il recepimento delle linee guida, lasciando così aperta la possibilità di un vuoto normativo, specie a seguito della citata sentenza della Corte Costituzionale. In caso di mancato recepimento non tornerebbe ad applicarsi la normativa della legge Treu che infatti presenta caratteri ancor più invasivi delle competenze regionali rispetto all’articolo 11 del decreto legge n. 138/2011. Il rischio di caos normativo è reale come l’attuale mappa dimostra.
In conclusione, se l’obiettivo – comune a tutti i soggetti coinvolti – è combattere l’abuso dell’utilizzo di stage, l’approccio delle nuove linee guida appare rischioso. Vi si legge, infatti, solo la volontà di regolamentare in maniera estremamente dettagliata ogni aspetto, invece di lasciarlo ai titolari di tale competenza (ossia, le Regioni), e non quella di ricondurre il tirocinio al suo ruolo didattico-formativo, concentrandosi sui quegli aspetti indispensabili per un tirocinio di qualità.
Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxx ADAPT Research Fellow
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xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx, 7 gennaio 2013
Tirocini: i rischi di una riforma sbagliata*
di Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
Governo e Regioni si apprestano ad approvare, nei prossimi giorni, le linee-guida per la disciplina dei tirocini formativi e di orientamento, i cosiddetti stage. Per quanto poco discussa, la regolamentazione della materia non è affatto marginale. Non lo è in sé, dato l’imponente numero di tirocini attivati ogni anno. E non lo è neppure in una ottica di sistema per le inevitabili ricadute sul funzionamento del mercato del lavoro e, segnatamente, sull’utilizzo di strumenti concorrenti come l’apprendistato e i contratti di primo accesso al lavoro.
L’urgenza di una regolamentazione condivisa, applicata in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale, è fuori discussione. Non si tratta solo di rispettare la scadenza, fissata dalla legge Fornero, del 18 gennaio 2013. Ciò che più preoccupa è il vuoto normativo determinato da un recente intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 287 del dicembre 2012), che ha dichiarato l’illegittimità della regolamentazione nazionale dei tirocini, approvata nell’agosto del 2011, in quanto invasiva delle competenze riservate in materia alle Regioni. Solo poche Regioni si sono infatti dotate, in questi anni, di una disciplina organica e autosufficiente. In assenza di una regolamentazione comune, il giro di vite sulle tipologie contrattuali flessibili, avviato con la stessa legge Fornero, finirebbe per caricare sui tirocini funzioni improprie con il rischio, nelle non poche Regioni prive di adeguata disciplina, di aprire comode via di fuga rispetto alle nuove rigidità del mercato del lavoro.
Le linee-guida attualmente in discussione sembrano tuttavia profondamente inadeguate rispetto agli obiettivi e alle attese. Un primo problema è di metodo. Per gli estensori della bozza, il documento è da ritenersi in continuità con l’accordo del 2010 tra Governo, Regioni e parti sociali per il rilancio dell’apprendistato là dove si prevedeva un contestuale intervento sui tirocini finalizzato a combatterne gli abusi. Eppure così non è, solo se si considera il mancato coinvolgimento delle parti sociali nella redazione delle linee-guida. La marginalizzazione delle parti sociali è uno dei grandi limiti della riforma Fornero in generale e lo è ancora di più in una materia delicata come quella dei tirocini che, per raggiungere il loro vero obiettivo, devono trovare il pieno e convinto consenso delle imprese chiamate a ospitare i tirocinanti. Si spiega così la presenza, tra i principi ispiratori delle linee-guida, dell’obbligo di prevedere un congruo compenso per la prestazione resa dallo stagista. Una soluzione sbagliata rispetto a un problema vero, quello del precariato, che finirà con lo snaturare un prezioso strumento dell’alternanza, come il tirocinio, destinato ora a veicolare mini- lavori a basso costo. Governo e Regioni, forse consapevoli del rischio, si stanno orientando verso una soluzione di compromesso tale da prevedere una indennità solo a decorrere dal quarto mese.
Anche questa soluzione finirà tuttavia per avere effetti controproducenti orientando le imprese verso percorsi di tirocinio assai brevi e, dunque, poco o nulla utili ai tirocinanti. Il nuovo tirocinio, con compensi medi di 400 euro mensili, finirà in ogni caso per depotenziare anche il rilancio del ben più complesso e oneroso contratto di apprendistato potendo contare le imprese su tirocini di durata semestrale e anche annuale, in caso di inserimento al lavoro, a fronte di vere e proprie “prestazioni lavorative” come testualmente recita la legge Fornero.
* Il presente articolo è pubblicato anche in Il Sole 24 Ore, 5 gennaio 2013, con il titolo I troppi rischi di una scelta che può rivelarsi inadeguata.
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L’osservazione del reale andamento del mercato del lavoro avrebbe semmai dovuto suggerire di vietare ogni forma di compenso, fatti salvi rimborsi spese adeguatamente documentati. Nei tirocini che funzionano il “compenso” del tirocinante non può che essere la formazione. Una formazione che deve essere vera e di qualità – e di questo dovrebbero occuparsi le linee-guida –, là dove esperienze di lavoro possono e devono essere remunerare in base agli standard contrattuali ovvero attraverso robusti percorsi di apprendistato.
La regolazione dei tirocini solleva, indubbiamente, problemi complessi che non possono tuttavia essere affrontati e risolti a colpi di soluzioni demagogiche che, alla lunga, aprono maggiori problemi di quanti ne vorrebbero risolvere. L'obiettivo di prevenire e sanzionare gli abusi richiede buon senso e un equilibrio tale da evitare di penalizzare le molte imprese che fanno un corretto utilizzo degli stage e, conseguentemente, i giovani che, con regolamentazioni insostenibili e sbagliate, potrebbero vedersi privare di importanti esperienze di formazione e orientamento. Ciò che davvero conta, per la prevenzione degli abusi, non è certo la previsione di un mini-compenso, ma piuttosto il fatto che i tirocinanti non vengano utilizzati per lavori meramente esecutivi ovvero per funzioni e attività che non rispettino gli obiettivi formativi del tirocinio stesso così come precisati e concordati nel progetto formativo e di orientamento validato dal soggetto promotore. Il problema, ancora una volta, non è dunque semplicemente regolatorio e richiama alle proprie responsabilità i soggetti promotori e i tutor aziendali che devono essere attrezzati per progettare e realizzare veri progetti formativi e di orientamento affiancando i giovani in quella che è - e deve restare - una moderna metodologia di apprendimento, in situazioni di compito, e non certo un surrogato dei tanti contratti flessibili di primo ingresso al lavoro.
Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
(xxxxxxxxxx@xxxxxxx.xx)
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