Contract
n. 14 del 14/07/2015
DIPARTIMENTO SCIENTIFICO della FONDAZIONE STUDI
Xxx xxx Xxxxxxxxxx 00 00000 Xxxx (XX)
xxxxxxxxxxxxxxx@xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx
Contratto a termine e somministrazione LE NOVITA’
Considerazioni introduttive
Attraverso il decreto legislativo 15 giugno 2015, n.81, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.34 del 24 giugno 2015 ed in vigore dal giorno successivo conformemente a quanto stabilito dall’art. 1 (co. 7) della X. Xxxxx n. 183/2014, sono state apportate diverse modifiche volte a “riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo”.
Il Legislatore è intervenuto su una stratificazione normativa complessa e variegata, elaborando un testo più semplice ed efficace, e al contempo innovativo sotto molteplici aspetti.
In xxx xxxxxxxxxxx xx rappresenta che la legge in commento interessa i rapporti part-time, il lavoro intermittente, il lavoro a tempo determinato, la somministrazione di lavoro, l’apprendistato, i contratti di collaborazione, il lavoro accessorio, nonché il mutamento di mansioni. Nella presente circolare, pertanto, saranno analizzate quelle che sono le novità principali relative ai contratti a termine e alla somministrazione.
1. Contratto a termine
Il Capo III del decreto legislativo n. 81/2015 regolamenta il contratto a tempo determinato negli articoli da 19 a 29, apportando alcune modifiche alla disciplina sostanziale del rapporto, così come regolamentato dalla precedente normativa.
Apposizione del termine e durata massima (art. 19)
Rimane il limite temporale, già in vigore, per cui è consentita l’apposizione del termine non superiore a 36 mesi al contratto di lavoro subordinato. Nel computo di tale termine di 36 mesi si considera la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato
ANNO 2015 CIRCOLARE NU MERO 14
Le Circolari della Fondazione Studi
intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale (operai, impiegati e quadri), indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro.
Inoltre, nel computo del termine di 36 mesi vanno considerati anche periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato. Il riferimento a “mansioni di pari livello e categoria legale”, mentre nella precedente disposizione il riferimento era a “qualunque mansione”, parrebbe avere un connotato meno restrittivo per il datore di lavoro, che potrebbe assumere il medesimo lavoratore con un nuovo contratto a tempo determinato, in categorie legali differenti, per superare così il limite massimo di durata. Tale indicazione parrebbe essere in conflitto proprio con le limitazioni di estensione indicate all’art. 19, comma 1. Dal 25 giugno 2015, quindi, il datore di lavoro dovrà aver cura di verificare l’inquadramento (livello e categoria) del lavoratore sia nei rapporti in somministrazione intercorsi, sia nei contratti a tempo determinato, per determinare l’eventuale loro cumulabilità ai fini del raggiungimento del limite massimo temporale.
Il legislatore, poi, fissa la conversione del rapporto a tempo indeterminato al superamento dei 36 mesi, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, a nulla rilevando l’interruzione tra un contratto e l’altro, specificando che il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di tale superamento. Si evince che, come in precedenza, ai fini della conversione del rapporto per il computo dei 36 mesi non rileva che il rapporto sia caratterizzato da un unico contratto o da una pluralità di contratti.
Il legislatore prevede, invece, che il contratto si consideri a tempo indeterminato dalla data della stipula, nel caso in cui:
a) trascorso il termine di 36 mesi, gli stessi soggetti stipulino un altro contratto a tempo determinato, senza osservare l'apposita procedura alla Direzione territoriale del lavoro competente per
territorio, presso cui è possibile stipulare un ulteriore contratto della durata massima di 12 mesi;
b) in caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto stipulato presso la Direzione territoriale del lavoro competente per territorio precedentemente indicata.
Per quanto concerne la possibilità di derogare alla durata massima di 36 mesi si segnala quanto segue:
- la norma fa salva la possibilità che i contratti collettivi possano derogare alla durata massima di 36 mesi;
- il lavoro stagionale viene considerato un'eccezione rispetto alla medesima durata massima di 36 mesi, ricevendo una apposita regolamentazione nell’art. 21, comma 2.
Divieti (art. 20)
Viene riproposta la disciplina di cui al precedente art. 3 del D.Lgs. n. 368/01, con però l'abrogazione della possibilità, da parte di accordi sindacali, di derogare al divieto di assunzione a tempo determinato in unità produttive interessate da licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto a termine. Si tratta evidentemente di una previsione più restrittiva rispetto alla previgente disposizione normativa.
Tale previsione normativa si ritiene possa derivare dalla scelta del legislatore di indurre, in caso di crisi aziendale, il datore di lavoro a privilegiare l’utilizzo di manodopera propria anziché ricorrere a nuova forza lavoro. Rimane però un elemento di criticità allorquando il datore di lavoro si trovi nella condizione di aver sottoscritto contratti a termine, ante inizio della procedura di licenziamento collettivo, e di avere necessità, durante i sei mesi successivi ai recessi, di prorogare i contratti stipulati. Stante il tenore letterale della norma “l’apposizione di un termine alla durata…non è ammessa…” si potrebbe ritenere possibile, salvo diverse interpretazioni ministeriali, la proroga proprio per la natura stessa dell’evento e per il fatto che, nel rispetto della ratio della norma, non vi sarebbe una nuova assunzione, ma la mera prosecuzione di un rapporto di lavoro sino a nuova scadenza.
Nello specifico, poi, il decreto in commento mantiene la già nota quadruplice serie di divieti all'apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato, ovvero:
- a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
- b) presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli artt. 4 e 24 della Legge n. 223 del 1991, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti, per assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, o abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi;
c) presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione del lavoro o una riduzione dell'orario, in regime di cassa integrazione guadagni, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato;
d) da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.
Proroghe e rinnovi (art. 21)
Il comma 1 dell’art. 21 fissa i seguenti principi:
- la proroga richiede il consenso (scritto) del lavoratore, essendo una clausola contrattuale;
- la proroga è ammessa solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a 36 mesi;
- la proroga potrà aversi per un massimo di cinque volte nell'arco di 36 mesi a prescindere dal numero dei contratti;
- qualora il numero delle proroghe sia superiore a cinque, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla data della sesta proroga.
Il legislatore, quindi, ha eliminato la condizione in precedenza richiesta dall' art 4, comma 1 del D.Lgs. n. 368/2001, ossia che la proroga si riferisse alla stessa attività lavorativa per il quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato
Al comma 2 dell’art. 21 viene riproposto l’istituto della riassunzione (vedi art. 5 D.lgs. n. 368/01), che comporta la c.d. successione di contratti.
In proposito il decreto prevede che, qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato .
Dalla normativa in questione vengono espressamente esclusi i lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con apposito decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Sul punto, va sottolineata l’estrema necessità di una individuazione attuale del lavoro stagionale, dato che la norma prevede una provvisoria ultrattività del decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525. I limiti a proroghe e rinnovi non si applicano alle imprese start-up innovative per il periodo di quattro anni dalla costituzione della società oppure per il periodo più limitato introdotto dal comma 3, art. 25, L. n. 221/2012.
Numero complessivo di contratti a termine (art. 23)
Come già nella precedente normativa (vedi art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/01) viene riproposto il limite quantitativo di contratti a termine stipulabili. Viene infatti assegnata alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare limiti percentuali massimi sui lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione, con arrotondamento al decimale dell’unità superiore qualora esso sia uguale o superiore a 0,5. In assenza di limitazioni collettive occorrerà riferirsi al limite legale percentuale legale pari al 20 per cento del
numero dei lavoratori come sopra specificati, tenendo, comunque, presente che:
- i contratti collettivi, anche aziendali, possono quindi modificare in aumento la predetta percentuale - in questo modo il legislatore supera le divergenze interpretative circa la superabilità o meno della percentuale medesima;
- in caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale del 20 per cento si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento dell’assunzione;
- per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.
Esempio: un datore di lavoro che al 1 gennaio 2015 occupa 38 lavoratori a tempo indeterminato può assumere, nel corso del 2015, fino a 8 lavoratori a tempo determinato.
I commi 2,3 dell’art. 23 del decreto elencano in via tassativa le esenzioni dal limite quantitativo del 20% 1.
1Sono esenti dal limite di cui al comma 1, nonché da eventuali limitazioni quantitative previste da contratti collettivi, i contratti a tempo determinato conclusi:
a) nella fase di avvio di nuove attività, per i periodi definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e comparti merceologici;
b) da imprese start-up innovative di cui all’articolo 25, comma 2, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito con legge n. 221 del 2012, per il periodo di quattro anni dalla costituzione della società, ovvero per il più limitato periodo previsto dal comma 3 del suddetto articolo 25 per le società già costituite;
c) nelle attività stagionali di cui all’articolo 19, comma 2; d) per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici radiofonici o televisivi; e) per sostituzione di lavoratori assenti; f) con lavoratori di età superiore a 55 anni. 3. Il limite percentuale di cui al comma 1 non si applica, inoltre, ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra università pubbliche o private, istituti pubblici di ricerca ovvero enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere attività di insegnamento, ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa. I contratti di lavoro a tempo determinato che hanno ad oggetto in via esclusiva lo svolgimento di attività' di ricerca scientifica possono avere durata pari a quella del progetto di ricerca al quale si riferiscono.
Una interessante novità è presente al comma 3 dell’art. 23, in cui viene stabilito che il limite percentuale, di cui al comma 1 del medesimo articolo 23, non trova applicazione nei confronti dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra università pubbliche o private, istituti pubblici di ricerca ovvero enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa.
Viene poi finalmente chiarito in modo espresso che la violazione del limite quantitativo del 20%, sopra illustrato, non determina la trasformazione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato, avendo il legislatore al comma 4 dell’art. 23 previsto, all’uopo, la sola applicazione di una sanzione amministrativa, per ciascun lavoratore, di importo pari:
a) al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non e' superiore a uno;
b) al 50 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale é superiore a uno.
Il comma 5 impone alla contrattazione collettiva la definizione delle modalità e dei contenuti delle informazioni da rendere alle RSA o RSU in merito ad utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato.
Diritti di precedenza (art. 24)
L’art. 24 del decreto in commento non innova la disciplina già contenuta nell’art. 5, comma 4-quater, D.Lgs. n. 368/01. Infatti declina un diritto soggettivo di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi dalla cessazione del rapporto o rapporti a termine, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine medesimi. Tale diritto di precedenza viene riconosciuto a favore di quel lavoratore che abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi. La norma, peraltro, precisa che sono salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale.
Da ciò si evince che la contrattazione collettiva indicata potrà diversamente modificare sia nell’an sia nel quantum l’ambito di applicazione del diritto di precedenza citato.
Innovativo è il comma 4 dell’art. 24, il quale regolamenta la forma e le modalità di esercizio del diritto di precedenza, fissando i seguenti principi:
1) la menzione del diritto in questione deve essere in forma scritta e deve essere espressamente indicata nel contratto di assunzione, nel quale viene stabilito il termine del rapporto;
2) il lavoratore deve manifestare la volontà di esercitare il diritto di precedenza obbligatoriamente in forma scritta (tale indicazione, voluta dal legislatore, era estremamente necessaria visto il contenzioso possibile) e nel termine di 6 mesi (3 mesi nel caso di lavoro stagionale) decorrenti dalla data di cessazione del rapporto stesso;
3) in ogni caso, manifestata la propria volontà di esercitarlo, il diritto di precedenza si estingue trascorso un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro
Si può, quindi, asserire che il primo termine (di 6 mesi o 3 mesi) abbia natura decadenziale, ponendosi, invece, il secondo termine dell’anno in un ambito essenzialmente prescrizionale.
Criteri di computo (art. 27)
Il legislatore adotta un criterio generalizzato di computabilità dei lavoratori a tempo determinato (compresi i dirigenti), ai fini dell’applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale, lasciando la possibilità che eventuali norme speciali o contrattuali diversamente dispongano (la differenza con il D.Lgs. n. 368/01 va rinvenuta nel fatto che quest’ultimo disciplinava i criteri di computo dei lavoratori con contratto a tempo determinato ai soli fini dell’applicabilità dei diritti sindacali di cui al Titolo III dello Statuto dei Lavoratori).
Ai fini del parametro di computo si dovrà tenere conto:
- sia del numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato, compresi i dirigenti, impiegati negli ultimi due anni;
- sia della effettiva durata dei loro rapporti di lavoro.
Decadenze e tutele (art. 28)
Il legislatore riprende il contenuto dell’art. 32, commi 3 e 5, della Legge n. 183/2010 (c.d. Collegato lavoro): trattasi dell’impugnazione del contratto a termine e delle conseguenze conseguenti a detta impugnazione in sede giudiziaria.
Ne deriva che:
- il contratto a tempo determinato deve essere impugnato entro centoventi giorni dalla cessazione del singolo contratto;
- l’impugnazione dovrà avvenire con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso (cfr. art. 6, comma 1, della Legge 15 luglio 1966, n. 604, applicabile per espresso rimando dell’art. 26);
- l'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso (cfr. art. 6, comma 2, della Legge 15 luglio 1966, n. 604, applicabile per espresso rimando dell’art. 26).
Il comma 2 dell’art. 28 stabilisce che, nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della Legge n. 604 del 1966: cioè avuto riguardo alla dimensione dell'impresa, all'anzianità di servizio del
prestatore di lavoro ed al comportamento delle parti. Importante il successivo paragrafo del comma 3 dell’art. 26, in virtù del quale la menzionata indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro. In questo modo il legislatore raccoglie l’ultimo insegnamento della Suprema Corte, secondo la quale in tema di risarcimento del danno conseguente alla conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’art. 32, commi 5 e 6,
L. 4/11/10 n. 183 (cd. Collegato Lavoro) costituisce una sorta di penale ex lege a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo, trattandosi di una indennità forfetizzata e omnicomprensiva di ogni danno sofferto dal lavoratore nel periodo compreso tra la scadenza del termine nullo e la sentenza di conversione. (Cass. 7/9/2012 n. 14996).
Esclusioni e specifiche discipline (art. 29)
Rimangono escluse dalla predetta normativa le seguenti fattispecie:
- le assunzioni di lavoratori a termine di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità (cfr. dell’articolo 8, comma 2, della Legge n. 223 del 1991);
- i rapporti di lavoro tra i datori di lavoro dell’agricoltura e gli operai a tempo determinato (cfr. art. 12, comma 2, del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 375);
- i richiami in servizio del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Inoltre, rimangono esclusi sia i contratti di lavoro a tempo determinato con i dirigenti (che non possono avere una durata superiore a cinque anni, salvo il diritto del dirigente di recedere ai sensi dell’art. 2118 del Codice Civile, una volta trascorso un triennio), sia i rapporti per l’esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a tre giorni, nel settore del turismo e dei pubblici esercizi, nei casi individuati dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Viene altresì specificato che debbono essere esclusi dal campo di applicazione della normativa sul contratto a termine i contatti a tempo determinato stipulati con il personale docente ed ATA per il conferimento di supplenze e con il personale sanitario, anche dirigente, del SSN. Al personale accademico e al personale artistico e tecnico delle fondazioni di produzione musicali non si applicano i limiti di durata massima del contratto a tempo indeterminato, nonché le disposizioni in tema di proroghe e rinnovi.
2. Somministrazione di lavoro
La riforma che ha interessato il rapporto di somministrazione muove lungo due direttrici: da un lato c’è un ampliamento delle maglie della normativa, che consente il ricorso in maniera diffusa a questa particolare tipologia di contratto di lavoro; dall’altro vengono posti dei limiti, di natura legale, oggettivamente non sempre comprensibili.
Quanto al primo aspetto, il decreto legislativo n. 81/2015, abrogando la casistica contenuta dal terzo comma dell’art. 20 del D.Lgs. n. 276/2003, esclude ogni nesso causale con il ricorso al contratto di somministrazione, che può adesso essere validamente concluso indipendentemente dal settore o dalla tipologia dell’attività o prestazione lavorativa richiesta.
A fronte di questa “liberalizzazione”, l’art. 31 introduce però la novità dei limiti quantitativi per l’impiego di lavoratori somministrati: il numero dei lavoratori somministrati con contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato non può eccedere il 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipula del contratto, con un arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora il valore percentuale sia eguale o superiore a 0,5. In caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento della stipula del contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato.
Tali alchimie algebriche possono essere modificate dai contratti collettivi applicati dall’utilizzatore. Continua invece a ricercarsi esclusivamente nella contrattazione collettiva applicata
dall’utilizzatore la limitazione del ricorso a contratti di lavoro di somministrazione a tempo determinato. Rimane il dubbio sull’opportunità dell’inserimento di queste limitazioni, rispetto al quadro normativo della somministrazione, che complessivamente pare oggettivamente prestare un adeguato grado di garanzia e stabilità per i lavoratori interessati.
Da notare come tra le ipotesi di divieto di ricorso al contratto di somministrazione, riguardo la mancata valutazione dei rischi circa la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, il riferimento alle imprese sia stato sostituito dalle parole datori di lavoro (art. 32, lett. d), con l’evidente intenzione di far rilevare l’inadempimento, alla luce dell'importanza dei diritti in gioco, a prescindere dal carattere imprenditoriale dell’attività lavorativa oggetto del contratto di somministrazione.
Si può ricondurre ancora ad effetti restrittivi, invece, la circostanza dell’abrogazione della deroga, per effetto di accordi sindacali, del divieto di somministrazione nei casi di crisi aziendale (art. 32, lett. b) in linea con quanto già disciplinato per il contratto a termine.
Somministrazione illegittima
Ribadita la nullità del contratto di somministrazione in caso di mancanza di forma scritta, dalla cui omissione discende la costituzione del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore (art. 38, comma 1), il legislatore delegato conferma l’attualità di quella tendenza normativa che, apertamente riconosciuta dalla Corte di Cassazione, ha di fatto esteso l’indennità onnicomprensiva già prevista per la conversione del contratto a tempo determinato illegittimo al contratto di somministrazione. Ciò sulla base della constatazione che quella scelta legislativa (l’indennità onnicomprensiva per il contratto a tempo determinato) può ritenersi principio e soluzione diffuso in via generale (Cass. civ. sez. lav., 1 agosto 2014, n. 17540).
Sulla scorta di questa affermazione, la cosiddetta tendenza normativa riconosciuta dai giudici trova collocazione normativa e si conclama nell’art. 39 dello schema di decreto legislativo, che al secondo comma dispone espressamente che, nel caso di sentenza costitutiva del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore
per violazione delle norme che disciplinano la legittima costituzione della somministrazione, il giudice condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno in favore del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 della Legge n. 604/66.
L’ultimo capoverso in esame chiarisce, a scanso di equivoci, che la predetta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l’utilizzatore e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la costituzione del rapporto di lavoro. Ogni altra pretesa economica è perciò da escludersi.
Aspetti sanzionatori
Scompare l’aleatoria figura della somministrazione fraudolenta, con la complicata ed infelice previsione delle “specifiche” finalità elusive, che da' luogo ad un’ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto per ciascun giorno di somministrazione.
L’apparato sanzionatorio predisposto dall’art. 40 opera un esplicito e più puntuale rinvio alle norme che impongono nell’ambito del contratto di somministrazione limiti, divieti, contenuti specifici del contratto, oneri di comunicazione e di garanzia di parità di trattamento tra lavoratori somministrati e dipendenti dell’utilizzatore, la cui violazione comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 250 euro fino ad un massimo di 1.250.