luglio 2015)
OSSERVATORIO sulla CONTRATTAZIONE SOCIALE
Sesto Rapporto
sulla Contrattazione Sociale Territoriale
La contrattazione sociale negli anni della crisi
(luglio 2015)
Il coordinamento e l’impostazione del rapporto si devono a Xxxxx Xxxxxxxx (responsabile del coordinamento dell’Ocs), Xxxxx Xxxxxxxx (responsabile Spi Cgil per l’Ocs)
e Xxxxx Xx Xxxxx (ricercatore Fondazione Xx Xxxxxxxx).
I testi, quando non diversamente indicato, sono di Xxxxx Xx Xxxxx.
Il data management è a cura di Xxxxxxxx Xxxxxxxx (Fondazione Xx Xxxxxxxx)
Per la classificazione e l’inserimento dei documenti si ringraziano i responsabili Spi e Cgil degli osservatori regionali, Xxxxxxx Xxxxxxxxx (Spi Cgil nazionale), B. De Sario e X. Xxxxxxxx
INDICE
LA CONTRATTAZIONE SOCIALE NEGLI ANNI DELLA CRISI
Contrattazione, organizzazione, partecipazione: le sfide della Cgil, Xxxxxx Xxxxxxxx La contrattazione sociale per un welfare inclusivo e partecipato, Xxxxx Xxxxxxxx Contrattazione sociale territoriale e pratiche democratiche, Xxxxx Xxxxxxxx
p. 4
p. 6
p. 8
I dati e il profilo generale della contrattazione sociale p. 11
Tipologia dei documenti Livello territoriale
Andamento nel corso dell’anno Parti coinvolte
Destinatari Ripartizione territoriale
p. 12
p. 13
p. 15
p. 16
p. 20
p. 23
La contrattazione sociale nei temi di accordo p. 26
Le aree tematiche principali
Area 1. Relazioni tra le parti e definizione del processo
Area 2. Politiche e strumenti della partecipazione e cittadinanza attiva Area 3. Pubblica amministrazione
Area 4. Politiche di bilancio
Area 5. Politiche socio-sanitarie ed assistenziali Area 6. Politiche del lavoro e dello sviluppo Area 7. Politica locale dei redditi e delle entrate
Area 8. Azioni di contrasto delle discriminazioni e pari opportunità Area 9. Politiche abitative e del territorio
Area 10. Politiche dell’infanzia, per i giovani, educative e dell’istruzione Area 11. Politiche culturali, di socializzazione e sicurezza
p. 26
p. 29
p. 29
p. 32
p. 35
p. 36
p. 42
p. 46
p. 51
p. 52
p. 54
p. 56
APPENDICE: LA CONTRATTAZIONE SOCIALE 2014, LE TEMATICHE p. 58
Contrattazione, organizzazione, partecipazione: le sfide della Cgil
Xxxxxx Xxxxxxxx (coordinatore Area Contrattazione sociale, Cgil nazionale)
La presentazione del Rapporto sulla contrattazione sociale si colloca nel percorso della Conferenza d’organizzazione della Cgil che intende rappresentare una straordinaria occasione di dibattito, di orientamento e di decisione sui temi dell’iniziativa di natura contrattuale della nostra organizzazione. Una lettura ponderata e critica della iniziativa contrattuale della Cgil, nella dimensione sociale e territoriale, ci permette d’incrociare diverse tematiche che hanno caratterizzato la discussione a partire dalla stesura del documento e per i diversi livelli di approfondimento che si sono realizzati negli ambiti camerali e che troveranno sintesi nell’Assemblea nazionale dei prossimi 17 e 18 settembre.
Nelle diverse parti che compongono il rapporto si è provveduto all’analisi di dettaglio in termini quantitativi e qualitativi dell’azione negoziale e si rimanda alle parti specifiche per gli approfondimenti. I punti che però si intendono mettere in evidenza sono già compresi nel documento della Conferenza ed è utile analizzarli, seppure in sintesi, anche in termini interrogativi e di sollecitazione. A partire da quale relazione instaurare, rafforzandola dove presente, con la contrattazione aziendale e territoriale.
Infatti il punto della integrazione, anche in relazione agli altri capitoli della contrattazione in discussione nella Conferenza, è quello che ci può permettere di fare un oggettivo salto in avanti e di costruire un’azione contrattuale coordinata e integrata. L’esercizio dei diritti nel lavoro non può essere scisso da quelli relativi alla cittadinanza, i due ambiti si incrociano e in un contesto lavorativo, economico e sociale che ha carattere di polverizzazione, per le ragioni note, l’integrazione è una delle risposte di carattere confederale utile a indicare una strategia per l’azione del sindacato e della Cgil nel nostro tempo. Anche per il fatto che nella dimensione territoriale si ha la possibilità di provare a ricostruire quegli elementi di relazione che la frantumazione del lavoro rende sempre più complessi e difficili.
Il compito non è semplice; ma la sfida è chiara. Per far questo occorre che la Cgil – a partire dalla dimensione camerale – operi un aperto e visibile processo d’inclusione nell’ambito delle politiche contrattuali. Rivolto verso l’esterno, verso i luoghi di lavoro e il territorio, ma anche e preventivamente al suo interno. Oltre agli investimenti in competenze, occorre ampliare la gamma dei soggetti che incrociano le tematiche contrattuali e quelle di natura sociale e territoriale. La contrattazione si fonda sì sulla capacità negoziale, sulla conoscenza delle materie sempre più complesse e orientate oggettivamente dalle scelte in materia di finanza pubblica, ma il tema della partecipazione resta un nodo ineludibile.
E’ questo il tema che ci può far fare un passo in avanti: partecipazione delle strutture nell’analisi e nella definizione degli obiettivi e all’attività negoziale; partecipazione della nostra rete di delegate e delegati sugli obiettivi della contrattazione riferiti a specifici ambiti territoriali e ai singoli comuni; partecipazione delle nostre iscritte e dei nostri iscritti alla fase di definizione delle piattaforme, incrociando anche gli ambiti aziendali intorno al tema della contrattazione sociale e territoriale. Sperimentazione di forme di partecipazione democratica, a partire dalle
assemblee nei luoghi di lavoro e nel territorio, utilizzando nei termini più opportuni la capillarità della nostra rete. Allargamento del campo di azione della contrattazione territoriale: dal sociale al lavoro, allo sviluppo, all’ambiente, alle politiche di area vasta declinate nei diversi temi (trasporti, orari, reti di servizi e altro).
Uno sforzo non indifferente; sarebbe sbagliato non guardare alla complessità della sfida e all’esigenza di definire tempi e obiettivi della iniziativa, che però poggia su quanto la Cgil fa in termini di contrattazione sociale e territoriale. Con precisione analizzeremo le tendenze della contrattazione, anche in relazione agli effetti della lunga crisi e di ciò che si è prodotto e modificato anche in termini di stratificazione dei bisogni sociali.
Ma il punto dal quale partire è presente: l’azione contrattuale diffusa nei territori, gli oltre ottocento documenti censiti, le buone pratiche presenti in tante realtà, la capacità del sindacato e della Cgil di costruire e dare delle risposte in un contesto molto complesso, anche in termini di riconoscimento istituzionale e della funzione sociale svolta dagli organismi di rappresentanza.
Ebbene, nonostante questi elementi di contesto, non semplici, è presente una capacità della Cgil di dare le risposte che occorrono. La Conferenza d’organizzazione si pone l’obiettivo di metterle a sistema, di dar loro la giusta e diffusa visibilità, di orientarle verso l’ampliamento dell’azione negoziale che poi si eserciterà con le modalità che ogni territorio definirà.
C’è materiale – e buon materiale – sul quale lavorare.
La contrattazione sociale per un welfare inclusivo e partecipato
Xxxxx Xxxxxxxx (Centro Doc. Politiche economiche e Osservatorio contrattazione sociale Spi Cgil)
Con il sesto Rapporto dell’Osservatorio sulla contrattazione sociale inizia a prendere corpo la possibilità di avere una serie storica di dati che possano aiutarci a identificare con maggiore chiarezza qual è stata l’evoluzione della contrattazione sociale negli anni recenti, quali sono le caratteristiche che hanno avuto continuità temporale, quali sono le problematiche sulle quali approfondire l’analisi e la lettura al fine di migliorare il livello di negoziazione in tutti i territori, partendo dalle specificità dei territori.
Il dato della flessione – seppur lieve – del numero dei protocolli complessivi è comunque indicativo di una difficoltà registrata dalle strutture che hanno contrattato e ciò anche nelle aree dove la pratica negoziale è ormai acquisita da molti anni. Ciò è dipeso da diversi fattori: la mancanza di un quadro di finanza locale ben definito (soprattutto per la parte inerente la fiscalità propria comunale) con la legge di stabilità che apporta annualmente modifiche sostanziali al sistema delle entrate; le modifiche dell’assetto istituzionale, la chiusura operata da talune amministrazioni verso le forze sindacali. Queste difficoltà vengono ulteriormente amplificate nelle aree del Centro–sud dove la contrattazione risulta già sottodimensionata rispetto alle aree del Nord-ovest e Nord-est, dove nonostante le citate difficoltà il risultato è stato comunque di sostanziale tenuta. Come esplicitato anche nel seminario Spi del 28-29 aprile 2015 sulla contrattazione sociale territoriale, c’è l’esigenza di dare un forte impulso alla negoziazione su tre versanti:
• un forte incremento delle intese sottoscritte;
• il progressivo azzeramento dell’attuale gap tra Centro-nord e Centro-sud;
• lo sviluppo non solo quantitativo, ma anche qualitativo della contrattazione sociale.
Un dato esemplificativo delle difficoltà è inoltre dato dall’aumento dei “verbali d’intesa” a scapito dei protocolli. Il verbale d’intesa esprime certamente una volontà di interventi da parte dell’amministrazione, ma non ha la caratteristica di impegno sostanziale nel quale siano individuati nel dettaglio impegni di spesa, iter programmatorio, verifica dei risultati conseguiti.
Il dato invece costante riguarda la continuità con la serie storica, già dagli anni ’90, relativo ai referenti istituzionali. I comuni continuano ad essere l’ente principale di riferimento della contrattazione sociale territoriale. In sé il dato ha valenza positiva, ma anche problematica. Positiva per il ruolo consolidato dei comuni nella gestione del welfare territoriale. Ma tale ruolo va coniugato a un problema ancora non risolto, quello del processo di aggregazione intercomunale previsto dalla riforma degli enti locali e non ancora portato a compimento. Su questo versante la spinta delle forze sindacali può essere utile a dare cogenza a quanto previsto dal legislatore.
Ultimi due elementi sul quale soffermare brevemente l’attenzione sono il sistema di welfare territoriale e la partecipazione democratica. La rigidità imposta dal patto di stabilità interno e la spending review hanno avuto come ricaduta – ora visibile – una flessione degli stanziamenti in
particolare degli enti locali nel welfare cosiddetto “allargato”. Nonostante ciò molte amministrazioni hanno continuato a cercare soluzioni condivise con le forze sindacali. Anche nelle amministrazioni locali si sta prendendo consapevolezza che il welfare può e deve essere occasione, non solo di buon governo e servizi erogati, ma anche strumento per uno sviluppo economico e occupazionale. Su questo versante sarà di particolare importanza la risposta sul tema della non autosufficienza e delle tutele della popolazione anziana, che rappresenta un quarto della popolazione totale. Il terreno della partecipazione democratica è fondamentale e lo sarà ancora di più per la realizzazione di un vero “stato delle autonomie” che dia realmente attuazione a un processo di federalismo amministrativo e fiscale nel quale le forze sociali, i sindacati, siano parte attiva di un nuovo percorso di “programmazione condivisa”, a tale scopo vanno riprese le esperienze del bilancio sociale e partecipato rendendole pratica comune da mettere in sinergia con il nuovo ordinamento contabile regionale e degli enti locali.
Contrattazione sociale territoriale e pratiche democratiche
Xxxxx Xxxxxxxx (responsabile Osservatorio sulla contrattazione sociale Cgil e Spi)
L’attività di negoziazione sociale e territoriale del 2014 si riconferma centrale e strategica nell’affrontare le concrete condizioni di vita dei cittadini. La crisi, e le emergenze che ne derivano sono condizionanti, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. È più difficile stipulare accordi, aumentano i verbali di incontro, a conferma, comunque, di una relazione con gli enti locali che non si interrompe, ma deve confrontarsi con le difficoltà economiche ed organizzative del welfare territoriale e, più in generale, delle politiche locali nel loro complesso che subiscono pesantemente gli effetti della politica di austerità nazionale ed europea.
La tassazione locale e la povertà sono i temi largamente prevalenti e consegnano alla nostra attenzione due sofferenze: l’impennata dei tributi locali e il progressivo impoverimento di fasce sempre più ampie di popolazione, dovuto non solo alla mancanza di lavoro ma anche a un lavoro sempre più precario e mal retribuito.
Le risposte sono molto diverse e vanno al di là della normale diversificazione territoriale; emergono approcci diversi (quando non divergenti) che disegnano un patchwork che trova parziale giustificazione nella necessità di dare una risposta all’emergenzialità delle situazioni, ma che non può assolutamente rimanere il solo modo di intervenire. In particolare per quanto riguarda gli interventi di sostegno al reddito e di contrasto alla povertà, essi vanno assumendo sempre più rapidamente le caratteristiche di un occasionale assistenzialismo caritatevole che non può in alcun modo rispondere al diritto delle persone a un reddito e alle correlate politiche di inclusione sociale e lavorativa che sono diventate una scelta ineludibile di carattere nazionale.
Il lungo periodo di crisi ha generato e continua a generare disuguaglianze sempre più ampie: economiche, sociali, territoriali, culturali. Servirebbero risposte dedicate e specifiche, tese ad affrontare efficacemente le peculiari condizioni dei soggetti interessati; questi, al contrario, sono entrati in una sorta di “cono d’ombra”: le donne e i temi della conciliazione tra attività di cura e lavoro, gli immigrati, l’infanzia – presente significativamente (e riduttivamente) solo per quanto riguarda la compartecipazione alla spesa dei servizi –. Sono esempi che dovrebbero occupare i primi posti delle priorità di interesse politico e sociale, e che invece si diluiscono nel generale “disagio sociale” senza trovare risposte adeguate.
Questo non vuole essere un sintetico e sbrigativo giudizio teso a evidenziare le criticità della negoziazione territoriale, bensì una duplice sottolineatura: la sua incontestabile importanza e necessità e, contemporaneamente, le condizioni di grave difficoltà in cui si svolge per realizzare le necessarie, coerenti e conseguenti scelte politiche e organizzative.
Il Rapporto ci fornisce informazioni importanti per ridefinire linee di politica negoziale territoriale sulla base di scelte condivise e interagenti tra il livello nazionale e quelli locali; linee che affrontino il tema delle risorse certe da destinare al welfare e ai servizi territoriali, le nuove governance necessarie, gli assetti istituzionali, il lavoro nei servizi, i partenariati possibili e auspicabili, il rapporto pubblico/privato, ecc.
Il tema di come si agisce concretamente la confederalità, la ricomposizione tra produzione e riproduzione sociale, il rapporto tra luogo di lavoro e territorio debbono tradursi in proposte e pratiche negoziali attraverso le quali ritessere una relazione solida con i/le lavoratori/trici, i/le pensionati/e, i cittadini, tali da restituire contenuto e piena legittimità alla rappresentanza e alla rappresentatività del sindacato.
L’organizzazione, a tutti i livelli, deve attrezzarsi per instaurare e far vivere con continuità e intensità un effettivo rapporto democratico non solo tra base e vertice dell’organizzazione sindacale ma nel territorio, con gli attori organizzati, con i singoli cittadini, per rispondere alla necessità di una reale rappresentatività di interessi più vasti, ed evitare il rischio di agire sulla base di una “delega di interpretazione” dei bisogni altrui che nessuno gli ha affidato e indebolire, in tal modo, la qualità e l’efficacia della sua azione.
Le scelte del Congresso Cgil, riproposte anche nei documenti della Conferenza di organizzazione, riguardo alla contrattazione sociale e territoriale come terzo pilastro contrattuale, devono uscire dalla dimensione delle intenzioni e divenire pratica quotidiana su cui rimodulare anche le forme organizzative e su cui investire competenze e attenzione politica, al fine di recuperare i divari territoriali che riguardano anche noi, non solo le istituzioni.
La fotografia che il rapporto ci restituisce sull’attività degli ultimi anni, nel pieno della crisi, hanno molte ombre che debbono essere diradate, vuoti che debbono essere riempiti, ma ci dicono anche di una presenza diffusa e “resistente”, capace non solo di “contenere i danni” ma anche di proposte innovative. È da qui, dalla valorizzazione di queste esperienze, che si deve partire per fare della contrattazione sociale territoriale una grande e diffusa pratica democratica che non solo difende e afferma nuovi diritti ma crea consapevolezza, impegno diffuso, assunzione di responsabilità, fiducia. Una forma di negoziazione che contribuisce a ridare senso alla cittadinanza e alle sue pratiche, un antidoto alla desolante solitudine e alle paure che nascono dall’individualismo, restituendo alle persone, anche per questa via, la loro dimensione più naturale di socialità e relazionalità.
La contrattazione sociale negli anni della crisi
La crisi economica e sociale in cui siamo tuttora coinvolti si è sviluppata lungo fasi e cicli differenti, a seconda delle periodizzazioni considerate (2008-2011, 2011-2014, 2014-?), nelle quali l’alternanza e il reciproco influsso dei vari fattori in gioco hanno alimentato una spirale recessiva che ha eroso alcune risorse profonde e di base delle società avanzate: le aspettative sociali, la motivazione e le prospettive di sviluppo delle forze di lavoro, l’innovazione del sistema produttivo, le capacità di indirizzo e governance dei poteri pubblici, la tenuta del legame sociale.
Le politiche di livello nazionale, e la loro dipendenza dagli orientamenti europei all’insegna dell’austerità, hanno avuto in questo un ruolo decisivo, e si ritrovano certamente sullo sfondo dell’analisi della contrattazione sociale territoriale negli anni più acuti della crisi. Difatti, gli effetti più evidenti della crisi stessa (l’aumento deciso dei tassi di disoccupazione, la crescita quantitativa e il cambiamento qualitativo della condizione di povertà, la frattura Nord-sud, la stagnazione dei consumi senza innovazione dei mercati e dei prodotti, etc.) non possono che prendere corpo nei territori e fare appello alle capacità di reazione degli attori sociali e politici. Questi processi, se possono essere osservati in modo segmentato nell’agenda politica e sociale di livello nazionale, nei livelli territoriali – laddove essi precipitano – si rivelano nella loro dimensione complessa. Risultano più evidenti gli scivolamenti progressivi e le connessioni tra i diversi piani; in particolare tra l’incertezza occupazionale e le (nuove) povertà, tra la crisi finanziaria degli enti pubblici e il ritiro del welfare, tra le crisi aziendali e il cambiamento assai materiale della qualità urbana di quartieri e territori.
In questa prospettiva, la contrattazione sociale territoriale può essere intesa in maniera duplice: sia come sensore degli orientamenti e dell’andamento delle agende istituzionali e delle politiche pubbliche sia come cartografia delle nuove questioni sociali che insistono nei territori. È vero che il nesso tra politiche e processi sociali vale per ogni livello dell’iniziativa pubblica, del confronto tra le parti e dell’azione delle organizzazioni sociali; tuttavia, nel contesto italiano la prevalenza del livello territoriale nell’offerta di prestazioni e servizi sociali in genere rende particolarmente cruciale la contrattazione sindacale a questo livello. Peraltro, alla fase di crisi economica si sono sommati cambiamenti sia endogeni sia esogeni riguardanti la governance e l’amministrazione pubblica in senso stretto: la spinta (forzosa, in prevalenza) verso tagli ai trasferimenti, spending review ed economie di scala nella spesa sociale; l’orientamento a nuovi assetti di relazione tra le amministrazioni (associazionismo tra comuni, gestioni associate, società partecipate, ecc.); tutto questo connesso alla crisi delle finanze locali e alla configurazione mutevole delle entrate tributarie e tariffarie.
Realizzare processi negoziali di contrattazione sociale e territoriale, pertanto, significa per il sindacato tenere simultaneamente in conto gli effetti della crisi e i vincoli politici e amministrativi; quindi sia la domanda sociale che ne emerge sia le necessità di cambiamento dei sistemi di governo e dell’amministrazione pubblica. La preparazione e l’attivazione delle competenze, l’orientamento all’obiettivo, la capacità negoziale e coalizionale del sindacato si confrontano dunque su un duplice piano, sia interno sia esterno al campo della rappresentanza tradizionale del sindacato stesso.
I dati e il profilo generale della contrattazione sociale
L’analisi proposta per il Rapporto 2014 può utilizzare una base dati complessivamente consolidata, almeno a partire dal 2011-2012. Il Rapporto di quest’anno si giova quindi di questi elementi e offre non solo una rappresentazione puntuale dell’andamento della contrattazione sociale nel 2014 (schematizzata inoltre nelle tabelle in Appendice), ma soprattutto si propone di mettere in evidenza le tendenze registrate negli anni più recenti, sia quelle di configurazione della contrattazione – attinenti alle variabili di andamento, luogo, tipologia dei documenti, partecipazione degli attori, destinatari – sia quelle relative alle tematiche contrattate che è possibile e utile evidenziare per l’iniziativa e la riflessione sindacale.
I documenti del 2014 analizzati e confrontati con gli anni precedenti sono nel complesso 8281. All’incirca un terzo proviene dalla raccolta, analisi, classificazione e inserimento operata direttamente sul sistema dell’Ocs da parte dei responsabili Cgil e Spi regionali, attivi in gran parte delle regioni. Oltre il 60% dei documenti, invece, sono stati acquisiti da osservatori e banche dati delle strutture confederali e di categoria regionali2, attraverso la riclassificazione dei testi presenti nei rispettivi osservatori.
Tabella 1, Documenti della contrattazione sociale (2011-2014)
Anno
2011 | 2012 | 2013 | 2014 | Totale | |
Accordi, intese, protocolli, verbali di intesa | 708 | 667 | 601 | 517 | 2493 |
Piattaforme negoziali | 35 | 37 | 22 | 27 | 121 |
Resoconti e verbali di incontri | 190 | 296 | 271 | 284 | 1041 |
Totale | 938 | 1000 | 894 | 828 | 3660 |
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Sul piano del confronto puramente quantitativo, i documenti del 2014 vedono un calo di circa il 10% rispetto al 2013, e quasi del 20% rispetto al 2012. Questa diminuzione quantitativa, come si osserverà, è distribuita nelle diverse ripartizioni territoriali. Per quanto i punti di maggiore difficoltà siano rilevabili nel Sud e nelle Isole, la difformità di andamento – con cali accentuati e riprese inaspettate – si ritrova anche in singole regioni e aree sub-regionali che invece nel complesso delle singole ripartizioni territoriali vedono una tenuta generale della contrattazione. Inoltre, già solo l’osservazione puramente quantitativa consente di evidenziare che il calo della contrattazione si concentra particolarmente su una diminuzione degli Accordi veri e propri, mentre i Verbali (ovvero gli Accordi mancati, le intese solo parziali o i resoconti non negoziati delle scelte amministrative) risultano in aumento, sia relativo sia assoluto.
1 Documenti (Accordi, Piattaforme, Verbali di incontro) siglati tra il 1 gennaio 2014 e il 31 dicembre 2014.
2 Si tratta dell’Osservatorio sulla Contrattazione Sociale Territoriale (Cgil, Spi, Fp dell’Xxxxxx Xxxxxxx), dell’Archivio Negoziazione (Spi, Fnp e Uilp Lombardia), dell’Osservatorio della Contrattazione Territoriale (Cgil Lombardia), la Banca Dati della Contrattazione sociale Territoriale del Piemonte (Cgil e Ires Piemonte).
Tipologia dei documenti
L’analisi dell’Osservatorio fin dal principio si è concentrata sui diversi documenti prodotti nel corso del processo negoziale: Piattaforme, Verbali e Accordi. Questo perché le premesse metodologiche dell’attività di osservazione vedono tra le priorità non solo la qualità degli esiti (gli Accordi) ma anche la concordanza di questi con le premesse, e cioè con le Piattaforme, le quali potrebbero indicare punti avanzati di elaborazione che, per quanto non assunti nelle intese, risulterebbero ugualmente utili per indicare nuove linee da percorrere, a favore dell’organizzazione sindacale nel suo insieme e delle strutture territoriali. Inoltre, si è valutato che anche i Verbali e i resoconti di riunione, che in forme e livelli di approfondimento assai vari caratterizzano il processo negoziale, siano un genere di documento utile a testimoniare l’attività di contrattazione sociale che non giunge a esiti pieni e conclusivi; ma anche a fornire una indiretta indicazione sullo stato di salute della contrattazione sociale stessa.
Nei rapporti pubblicati negli anni più recenti sono stati già evidenziati, anno su anno, progressivi cambiamenti di alcuni aspetti strutturali e di fondo dell’attività di contrattazione sociale. Uno di questi è proprio la composizione dei documenti per tipologia del materiale. In questo caso il tono del cambiamento risulta nella progressiva diminuzione degli Accordi in quanto tali, e cioè i documenti conclusivi del processo negoziale, che prevedono la condivisione tra le parti di temi, indirizzi, iniziative, provvedimenti ed eventualmente verifiche. Nel corso del quadriennio gli Accordi (Grafico 1) sul totale dei documenti inseriti sono passati dal 75,5% (2011) al 62,4% (2014); di conseguenza, l’aumento dei Verbali è stato corrispondente: dal 20,3% (2011) a circa un terzo dei documenti analizzati (34,3%, nel 2014). Permane invece costante il peso assai marginale delle Piattaforme negoziali rispetto al totale dei documenti: tra 2011 e 2014 oscilla circa tra il 2,5% e il 3,5%. Va evidenziato pertanto il dato di un numero esiguo di piattaforme, almeno considerando quelle pervenute e registrate dall’Osservatorio. Non è escluso che in diversi territori a una buona elaborazione di agende negoziali corrisponda, però, maggiore importanza data alla raccolta, classificazione e inserimento degli accordi; tuttavia, resta il fatto che la scarsa presenza – e quindi la scarsa condivisione, anche e soprattutto orizzontale – delle piattaforme formalizzate sia un indice del fatto che queste hanno un peso relativamente scarso nei processi di elaborazione delle agende sindacali. Tali processi, peraltro – e non a caso – nella contrattazione sociale risultano mediamente poco formalizzati, non standardizzati, e quindi se ne deduce che abbiano un valore prevalentemente contingente e legato allo spunto d’avvio di una trattativa, e di conseguenza una bassa incidenza sulla sedimentazione programmatica nella cultura sindacale dei territori.
75,5
66,7
67,2
62,4
29,6
30,3
34,3
20,3
3,7
3,7
2,5
3,3
Grafico 1, Tipologia del materiale (anni 2011-2014)
80,0
60,0
40,0
20,0
0,0
2011
2012
2013
2014
ACCORDI, INTESE, PROTOCOLLI, VERBALI DI INTESA
PIATTAFORME NEGOZIALI RESOCONTI E VERBALI DI INCONTRI
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Livello territoriale
Come è intuibile dalla natura prevalente della contrattazione sociale, centrata fortemente sul confronto sui bilanci di previsione dei comuni, la gran parte degli Accordi (Grafico 2) si colloca proprio a livello comunale: tra 2011 e 2014 la quota di Accordi siglati a livello di singoli comuni oscilla tra il 83% e 88%, rimanendo pressoché costante nel tempo. Per quanto in maniera non lineare, si può osservare per la restante quota di Accordi una tendenza a un lieve aumento della contrattazione collocata ai livelli superiori, sebbene vada segnalata una contrazione di quella intercomunale nel 2014. L’aumento invece è costante per quella regionale a cui si collocano vecchie e nuove prerogative amministrative e programmatiche: dal campo sanitario, assistenziale, socio-sanitario a iniziative più recenti per le quali il livello regionale tende a offrire linee guida e orientamenti omogenei (dai regolamenti Isee ai patti antievasione).
Nel complesso, la contrattazione sociale stenta a insediarsi stabilmente nei livelli intercomunali dell’amministrazione, come d’altra parte faticano a svilupparsi con intensità i processi di associazionismo tra comuni e le gestioni associate di funzioni e servizi. Nel corso degli ultimi anni, nonostante le innovazioni e le spinte che hanno trovato spazio nel Testo unico degli enti locali, il numero delle Unioni di comuni risulta solo in leggera crescita, raggiungendo nel settembre 2014 il numero di 381 su tutto il territorio nazionale e associando attualmente poco meno di 2000 comuni (Fonte: Anci – Area Piccoli Comuni/Unioni di Comuni). Peraltro, la crescita relativa e limitata delle Unioni è anche il risultato di una frammentarietà che ha visto diverse Unioni sciogliersi o trasformarsi, oppure realizzare il passaggio da precedenti Comunità montane. Anche la produttività dei processi di conferimento di competenze e l’attivazione di gestioni associate di funzioni e servizi sono assai ambivalenti e disomogenee. In parte ne è specchio proprio la contrattazione sociale, che solo in alcune aree si applica alla negoziazione intorno a questi temi e a questo livello, mentre generalmente la presenza di Unioni non si riflette sui temi contrattati e sugli ambiti di contrattazione. Quest’ultimo aspetto interroga particolarmente il sindacato, dal momento che raramente Accordi e Piattaforme mirano con precisione al livello delle Unioni (anche laddove sono presenti e attive) preferendo il
mantenimento di consolidate relazioni tra le parti a livello comunale. Ovviamente, a parte una fase costitutiva nella quale è implicato l’aspetto progettuale, una negoziazione ordinaria da parte delle Unioni di comuni con il sindacato è legata ai trasferimenti dai comuni stessi e quindi al budget disponibile. Un numero estremamente limitato di Unioni, nell’ordine di 30/35 ha budget proprio intorno ai 5 milioni di euro/anno; mentre le poche Unioni con budget più solidi si trovano sostanzialmente solo in Xxxxxx Xxxxxxx. Ciò non toglie che per tutti gli aspetti di pianificazione e organizzazione relativi ai profili dell’associazionismo comunale il sindacato possa e debba avere un ruolo maggiormente proattivo.
Grafico 2, Livello territoriale (Accordi, 2011-2014)
100,0 87,0
88,3
83,7
85,1
80,0
60,0
40,0
20,0
7,6 2,4 2,5
4,8 3,9 2,1
8,5 3,3 4,3
5,8 1,9 5,8
0,0
2011
2012
2013
2014
LIVELLO COMUNALE
LIVELLO INTER-COMUNALE
LIVELLO PROVINCIALE LIVELLO REGIONALE
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
86,8
88,9
83,8
91,5
5,8 3,2 3,7
7,1 2,4 1,7
12,2 1,8 0,7
6,3 0,4 0,7
Grafico 3, Livello territoriale (Verbali, 2011-2014)
100,0
80,0
60,0
40,0
20,0
0,0
2011
2012
2013
2014
LIVELLO COMUNALE
LIVELLO PROVINCIALE
LIVELLO INTER-COMUNALE
LIVELLO REGIONALE
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Se si osserva invece la distribuzione dei Verbali (ovvero sia resoconti di incontri sia accordi parziali o mancati, Grafico 3) risulta che nel 2014 accanto a un aumento del loro peso relativo emerge una maggiore incidenza dei Verbali stessi proprio sul livello comunale, segnalando per un altro verso un aumento dell’incertezza della contrattazione che si colloca a questo livello.
Un’altra dimensione della diffusione territoriale della contrattazione sociale si può osservare dal numero di comuni coinvolti in Accordi e Verbali di incontro (Grafico 4), considerando ovviamente i documenti non siglati al livello provinciale o regionale. La crescita di entità pluricomunali (Consorzi dei servizi, Unioni di comuni, ecc.) coerentemente con quanto appena accennato sembra segnare una battuta d’arresto nel 2014, dopo una tendenza alla crescita piuttosto lineare negli anni precedenti. Tuttavia, continuano a crescere – per quanto costituiscano una percentuale assai limitata – i documenti siglati da enti che vedono oltre dieci comuni partecipanti, a cui corrisponde generalmente la contrattazione di natura sociale e sanitaria (Asl, Distretti sanitari, Consorzi, ecc.) e meno quella relativa alle Unioni di comuni e all’associazionismo in genere tra amministrazioni. Quest’ultimo è anche un riflesso dei limiti dei processi di aggregazione amministrativa dei comuni e delle gestioni associate: in media, ciascuna Unione raggiunge solamente 5 comuni partecipanti e una popolazione di 22.000 persone, mentre studi e valutazioni considerano dimensioni ottimali decisamente superiori.
3,8
1,0
4,1
1,4
6,8
1,5
2,7 2,2
Grafico 4, Numero di comuni coinvolti, per classi (Accordi e Verbali, 2011-2014)
100,0
95,2
94,5
91,7
95,2
80,0
60,0
40,0
20,0
0,0
2011
2012
2013
2014
un comune da 2 a 10 comuni oltre 10 comuni
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Andamento nel corso dell’anno
Insieme al cambiamento progressivo della composizione dei documenti negoziali, secondo la loro tipologia (Accordi, Verbali e Piattaforme), nel corso degli anni più acuti della crisi la complessità del processo negoziale e le chance di condivisione delle scelte di politica sociale locale vengono in luce dalla collocazione nel corso dell’anno delle date di sigla degli Accordi. Questi, che si presume siano il termine di un percorso di negoziazione più o meno lungo e accidentato, nel corso di quattro anni hanno modificato radicalmente il loro andamento nell’anno solare. Si tratta del dato strutturale più evidente che ha attraversato gli anni della crisi. Difatti, se ancora nel 2011 oltre la metà degli Accordi (54,2%, Grafico 5) veniva siglata nel
primo trimestre dell’anno, nel 2013 la maggioranza relativa vedeva la firma apposta nel secondo trimestre. Nel 2014 l’onda è proseguita e ha collocato ben il 34,5% degli Accordi nel terzo trimestre dell’anno, e in particolare nel mese di luglio. In controluce, emergono le sempre più grandi difficoltà delle finanze locali, strette tra bisogni sociali vecchi e nuovi sollecitati dalla crisi e la stretta sui bilanci indotta dalle continue riduzioni dei trasferimenti, dall’incertezza normativa sulla tassazione locale, dalle rigidità del patto di stabilità interno.
54,2
48,2
30,4
32,4
34,5
28,9 27,4
29,1
23,8
21,8
16,7
11,3
14,6
7,0
8,3
11,4
Grafico 5, Andamento nel corso dell’anno (stipula Accordi, 2011-2014)
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
2011
2012
2013
2014
I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Parti coinvolte
Le parti coinvolte nel negoziato, e cioè i firmatari di Accordi e Verbali, sono in genere legate al livello territoriale del negoziato e alla complessità delle materie trattate. In linea generale, considerata la prevalenza di Accordi con i comuni sui bilanci di previsione annuali, la parte prevalentemente implicata nel negoziato sono proprio le amministrazioni comunali (Grafico 6). In una parte consistente degli Accordi, per quanto calante negli ultimi anni, i firmatari sono due: amministrazione e Cgil Cisl Uil, oppure Spi Fnp Uilp. Questa associazione binaria dei partecipanti al negoziato presenta delle differenze: i sindacati dei pensionati, da soli, sono impegnati prevalentemente negli Accordi con i comuni medio-piccoli, mentre le confederazioni sono presenti da sole perlopiù nei comuni medio-grandi e ai livelli intercomunali e superiori. Una componente crescente, e nel 2014 prevalente in termini relativi, è rappresentata da accordi con tre parti coinvolte, in genere le amministrazioni affiancate congiuntamente dai sindacati confederali e dei pensionati. Va sottolineato che la grandissima parte degli Accordi vede una presenza unitaria dei sindacati (confederali e/o dei pensionati).
Crescono nel corso del tempo, inoltre, gli Accordi con quattro o più parti coinvolte; la composizione di queste intese è più variegata: vi sono accordi con i comuni che oltre i sindacati includono le associazioni di categoria dei commercianti, degli artigiani, della cooperazione o dell’industria; vi è la presenza – per quanto rara – delle categorie sindacali degli attivi e in particolare della funzione pubblica. Oppure si tratta di accordi di livello sovracomunale in cui sono rappresentate le Aziende sanitarie, i Consorzi dei servizi sociali, o anche soggetti del Terzo
settore. Questa “specializzazione” del profilo degli attori coinvolti nei negoziati, ai diversi livelli, per un verso può risultare funzionale e legata all’aumento di complessità della contrattazione ai livelli amministrativi superiori, o rispetto a tematiche specifiche (sanità, lavoro e sviluppo, etc.); tuttavia, ciò non esime dall’interrogarsi su quale possa essere la configurazione dei soggetti coinvolti più appropriata, a tutti i livelli, per una maggiore rappresentatività e un più profondo coinvolgimento nelle scelte sociali disposte nella contrattazione.
Grafico 6, Numero di parti coinvolte, per classi (Accordi, 2012-2014)
60,0
50,0
40,0
30,0
49,1
52,2
41,9
43,4
38,8
36,0
20,0
8,6
10,0
6,2
8,4
3,5
5,7
6,3
0,0
2 parti coinvolte
3 parti coinvolte
4 parti coinvolte oltre 4 parti coinvolte
2012 2013 2014
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
51,0
49,4
42,1
23,6
23,8
22,4
5,9 5,3
2,7
2,6
6,0
Grafico 7, Numero di parti coinvolte, per classi (Verbali, 2012-2014)
70,0
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
65,1
2 parti coinvolte 3 parti coinvolte 4 parti coinvolte oltre 4 parti coinvolte
2012 2013 2014
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Osservando la composizione per parti coinvolte dei Verbali (Grafico 7), si nota nel corso del tempo un calo analogo – semmai più accentuato – delle trattative non multilaterali, e cioè quelle che presentano solo 2 parti coinvolte, e una crescita assai significativa dei Verbali siglati da tre soggetti, ovvero le trattative svolte prevalentemente a livello comunale tra amministrazione locale da una parte, e Cgil Cisl Uil e Spi Fnp Uilp dall’altra. Questo dato è sì un segnale di aumento della complessità e del coinvolgimento degli attori sindacali nei negoziati; tuttavia, considerando che si tratta di Verbali a cui in genere non è seguito un Accordo vero e proprio, oppure testi che indicano solo parziali punti di intesa, si rileva la difficoltà diffusa di concludere trattative pur in presenza di componenti attive nel negoziato più ampie e rappresentative.
Nel dettaglio delle singole voci presenti tra le parti coinvolte (Grafico 8), le due componenti “tradizionali” e più diffuse – le amministrazioni comunali e i sindacati dei pensionati – calano leggermente nel corso degli anni più recenti; queste si attestano comunque, nel 2014, all’86,1% (comuni) e intorno al 81% (Spi Fnp Uilp, più la singola presenza dello Spi). Le confederazioni acquistano maggiore presenza, e nel 2014 hanno siglato il 54% degli accordi a cui si aggiunge, per la sola Cgil, un ulteriore 6,6%.
Nessun altro attore del territorio raggiunge una presenza superiore al 5% dei documenti; pertanto le amministrazioni dei livelli territoriali superiori, o trasversali, quali Regione, Provincia, ambiti del welfare territoriale e Unioni di comuni rappresentano una presenza nel complesso minore e parcellizzata, così come le parti datoriali (associazioni del commercio, artigianato, industria e cooperazione).
Grafico 8, Parti convolte (Accordi, 2012-2014, prime 15 voci al 2014)
AMMINISTRAZIONE COMUNALE
86,1
86,2
90,9
SPI/FNP/UILP
72,3
80,0
83,5
CGIL/CISL/UIL
47,3
47,7
54,0
SPI
4,8
3,7
8,9
CGIL
6,6
5,7
6,3
FNP
6,0
3,5
1,9
ASS. COMMERCIO E ARTIGIANATO
4,6
4,2
0,6
ALTRE ORGANIZZAZIONI SINDACALI
4,6
2,7
2,1
AMMINISTRAZIONE REGIONALE
4,3
3,2
1,6
CATEGORIE LAVORATORI
4,1
2,0
10,9
ALTRI ENTI
4,1
3,7
3,0
AZIENDE PUBBLICHE
3,9
1,5
1,3
DISTRETTI, AMBITI SOCIALI, ECC.
3,5
4,2
2,5
ASS. DELL INDUSTRIA
3,5
4,7
1,0
ASS. DELLA COOPERAZIONE
3,1
2,8
0,9
0,0 10,0 20,0 30,0 40,0 50,0 60,0 70,0 80,0 90,0 100,0
2014 2013 2012
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Destinatari
La complessità e la varietà dei temi trattati rappresentano senz’altro un indice di una contrattazione sociale ricca e approfondita, almeno nelle intenzioni. Sulla strada per arrivare a questo obiettivo, è presumibile che altri indicatori risultino abbinati all’articolazione dei temi negoziati, suggerendo quanto meno la spinta a un approfondimento dei confronti. Uno è senz’altro la molteplicità delle parti coinvolte, come è stato appena osservato: un maggiore coinvolgimento delle diverse strutture sindacali, a differenti livelli, può essere indice di una maggiore confederalità dell’elaborazione autonoma del sindacato e del piano del confronto con le amministrazioni. Un altro aspetto risiede nella qualità e quantità dei beneficiari dei provvedimenti (Grafico 9). Dal punto di vista quantitativo, se l’andamento degli Accordi rivolti a un numero esiguo (o concentrato) di beneficiari ha avuto un andamento altalenante, tra 2012 e 2014, è invece l’andamento dei documenti più corposi, da questo punto di vista, a evidenziare la crescita più sostenuta: difatti gli Accordi che vedono tra i 7 e i 9 destinatari passano dal 15,2% del 2012 al 21,5% del 2014; anche gli Accordi con più di 9 destinatari seguono la stessa tendenza, ma in termini più contenuti, sfiorando il 9% di tutti gli accordi del 2014.
41,8
42,1
35,0 34,8
33,9
35,0
21,5
15,2
18,0
7,7
6,3
8,7
Grafico 9, Numero destinatari, per classi (Accordi, 2012-2014)
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
1-3 destinatari
4-6 destinatari
7-9 destinatari
oltre 9 destinatari
2012 2013 2014
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Stesso andamento si ritrova nei Verbali (Grafico 10), la cui complessità sotto il profilo dei destinatari aumenta nel corso degli anni più recenti, per quanto vada considerato che in questo caso si tratta nella maggior parte di temi di discussione non finalizzati, di recepimento delle linee di programma e di bilancio autonomamente impostate dalle amministrazioni, o di accordi parziali. Questo elemento va a sottolineare nuovamente un andamento della contrattazione sociale negli anni più recenti: un aumento dei Verbali che non indica tanto una maggiore formalizzazione del processo negoziale, dal momento che ben pochi Verbali sono stati seguiti da Accordi veri e propri all’interno del medesimo confronto tra le parti, ma piuttosto un aumento delle intese mancate; oppure una semplice informazione da parte delle amministrazioni alle organizzazioni sindacali. Difatti, pur essendo nettamente diversi negli esiti Accordi e Xxxxxxx
assumono nel corso degli anni più recenti profili tendenzialmente convergenti: sotto l’aspetto delle parti coinvolte, dei destinatari, dei livelli territoriali a cui si situano i negoziati.
57,1
51,7
45,4
39,1
33,1
35,4
7,4
10,3
14,1
2,4 2,6 1,4
Grafico 10, Numero destinatari, per classi (Verbali, 2012-2014)
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
1-3 destinatari
4-6 destinatari
7-9 destinatari
oltre 9 destinatari
2012 2013 2014
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Rispetto ai destinatari concreti delle iniziative di politica sociale locale (Grafico 11), negli anni più recenti la gran parte degli Accordi vedono la preponderanza di misure di tipo universalistico, specie ovviamente nel campo tributario e tariffario, ma anche in quello dei servizi sanitari e territoriali. Nel 2014 la voce più diffusa, intorno all’80% degli Accordi, è stata appunto la Generalità degli individui e delle famiglie. Ciononostante, per sua natura la contrattazione sociale interviene su bisogni, e quindi attraverso servizi, prestazioni e provvedimenti di vario genere, a favore di gruppi di popolazione specifici; il loro andamento nel tempo e il loro peso relativo di anno in anno consentono di osservare in controluce anche i processi sociali che agiscono nei territori. I destinatari specifici storicamente più presenti negli Accordi, e cioè gli Anziani, vedono un calo sensibile della loro presenza tra 2012 e 2014, passando dall’83,7% al 66,3%. Questo dato, tuttavia, va anche letto in connessione con l’aumento di altre due categorie, nelle quali la componente anziana è particolarmente significativa: si tratta delle Persone non autosufficienti (dal 27,4% al 48,5% tra 2012 e 2014) e dei Disabili (dal 34,6% al 45,6%). Questo può suggerire un maggiore impegno sulle misure sociali e sanitarie più urgenti per le fasce di popolazione anziana in condizioni di salute più critiche.
Il vero boom tra i destinatari degli interventi nel periodo 2012-2014 è però da assegnare alle Famiglie e individui in condizione di povertà: presenti in oltre la metà degli Accordi del 2012 e 2013, raggiungono i due terzi degli Accordi (65,8%) nel 2014. Come sarà possibile osservare nel dettaglio delle misure contrattate, questo aumento del contrasto della povertà nel corso degli anni più recenti vede anche tentativi più o meno incoraggianti di modificare il set di interventi disposti, in primo luogo dai comuni, segnalando in prevalenza, tuttavia, la difficoltà strutturale di adeguate politiche anti-povertà se impostate al solo livello locale. A questa chiara tendenza quantitativa si affiancano meno chiari orientamenti ai soggetti vittime della crisi ma più strutturati nel mercato del lavoro (lavoratori di aziende in crisi, in cassa integrazione, ecc.) o
figure definite sempre rispetto alla loro collocazione tra le forze di lavoro (disoccupati e inoccupati).
In sostanza, gli interventi emergenti nella contrattazione sociale a sostegno dei soggetti colpiti dalla crisi paiono evidenziare uno scivolamento da iniziative contro le fragilità occupazionali e reddituali (i primi fondi “anticrisi”, le agevolazioni e il sostegno al reddito definiti in tariffe e tributi locali, ecc.) ai tentativi di contrasto di una sempre più evidente, e radicata, area delle povertà.
Grafico 11, Destinatari (Accordi, 2012-2014, prime 15 voci al 2014)
79,7
77,7
66,3
70,0
82,7
65,8
54,7
56,2
48,5
36,4
27,4
46,4
39,9
44,4
45,6
31,6
34,6
29,6
29,5
25,0
25,0
19,0
29,6
19,0
20,5
21,7
17,4
19,6
17,0
14,3
15,3
14,3
13,7
9,2
8,6
10,6
10,6
13,7
9,1
11,8
12,8
7,2
7,2
7,1
GENERALITÀ DI CITTADINI/FAMIGLIE
92,6
ANZIANI
FAMIGLIE/INDIVIDUI IN CONDIZIONE DI POVERTÀ
NON AUTOSUFFICIENTI
MINORI E INFANZIA
DISABILI
LAVORATORI/TRICI DI AZIENDE IN CRISI
DISOCCUPATI
GIOVANI
TERZO SETTORE
LAVORATORI/TRICI
IMPRESE
IMMIGRATI
DONNE
INOCCUPATI
0,0 10,0 20,0 30,0 40,0 50,0 60,0 70,0 80,0 90,0 100,0
2014 2013 2012
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Tra gli altri destinatari principali, i Minori e infanzia oscillano negli anni intorno al 40-45%, con misure che tuttavia – come si osserverà – si concentrano maggiormente sulla vasta riorganizzazione tariffaria dovuta alla generalizzazione dello strumento Isee nella compartecipazione ai costi dei servizi scolastici e per l’infanzia, invece che su misure per l’estensione, il potenziamento o la riorganizzazione dei servizi stessi.
Il Terzo settore risulta in una percentuale di Accordi tra il 15% e il 20%, una presenza costante e non irrilevante negli Accordi che allude sia a iniziative di sostegno di attività svolte autonomamente, specie nel campo assistenziale e culturale, sia a contributi puramente economici che configurano servizi e prestazioni sociali erogati in convenzione. Naturalmente alcune di queste attività sono complementari ai servizi della pubblica amministrazione, ma in parte si tratta di servizi sostitutivi. Anche le Imprese risultano tra i destinatari degli Accordi, in una misura contenuta ma crescente (dall’8,6% del 2012 al 13,7% del 2014), segnalando perlopiù iniziative di sostegno alle piccole attività economiche, anche attraverso limitati investimenti pubblici.
Infine, c’è un gruppo di destinatari che nel corso degli ultimi anni di crisi ha visto una presenza altalenante negli Accordi, e soprattutto una trasformazione qualitativa degli interventi: Giovani, Donne, Immigrati. Al 2014, donne e immigrati sono presenti in circa un Accordo su dieci, mentre i giovani raggiungono il 19%. Va segnalato però che di anno in anno, parallelamente a processi che hanno esercitato forti pressioni sui bilanci comunali e sulla contrattazione sociale, la natura e qualità degli interventi ha subito una torsione generalmente minimalistica: minori interventi di integrazione e di inclusione sociale, di tutela e promozione delle opportunità; soprattutto, pochi cenni a politiche integrate che inseriscano al proprio interno declinazioni specifiche rivolte ai soggetti (in questo caso, appunto, giovani, donne, immigrati) nell’ambito di politiche più vaste: dal sociale al lavoro, dal territorio allo sviluppo.
Ripartizione territoriale
Un dato strutturale decisivo della contrattazione sociale risiede nella diversa intensità e capillarità con la quale essa si realizza a livello territoriale. La contrattazione sociale è sempre stata legata alle specificità territoriali, sia di organizzazione sindacale sia amministrative, culturali, sociali ed economiche. La congiuntura della crisi e la sua insistenza sulle specificità territoriali ha certamente reso più fragili le possibilità di interlocuzione con le amministrazioni locali, e senz’altro viene confermato il divario tra le diverse zone del paese anche sotto il profilo di questa attività negoziale, cui corrispondono ovviamente diverse capacità, sia oggettive sia soggettive, delle amministrazioni di avere una relazione produttiva con le parti sociali e i diversi attori locali. Non è un elemento marginale, infatti, sottolineare come rispetto alla negoziazione sociale le aree più lacunose del Paese risultino quelle in cui sono più intensi gli indicatori della crisi sociale ed economica, senza contare che a ciò si sovrappone, nelle stesse aree, anche la debolezza e la rarefazione della contrattazione di secondo livello.
L’osservazione dei dati per il periodo 2011-2014 (Grafico 12) conferma l’ampio insediamento della contrattazione nel Nord-ovest del paese, che oscilla nei diversi anni tra circa il 50% e il 60% di tutti gli Accordi siglati. Nelle altre ripartizioni territoriali, proprio in virtù di differenti tendenze, anche di livello regionale o sub-regionale, gli andamenti sono maggiormente discontinui: nel Centro, allo scatto del 2012 che ha portato a conseguire per quest’area il 27,6%
degli Accordi sono seguiti anni più difficili e un peso degli Accordi che si orienta intorno al 20%. A Nord-est, invece, un calo costante fino al 2013 sembra incontrare una controtendenza nel 2014, con il 19,5%. Sud e Isole, invece, si rivelano aree di difficile insediamento della contrattazione sociale, quantomeno di quella maggiormente formalizzata che giunge a intese e con grande difficoltà a “tracciare” i processi negoziali (mediante Verbali).
59,5
53,4
51,7
56,5
27,6
18,6 21,6
15,1
20,0
20,5 19,5
13,3
6,4
5,5
7,2
3,5
Grafico 12, Ripartizione territoriale (Accordi, 2011-2014)
70,0
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
2011
2012
2013
2014
Nord-ovest Nord-est Centro Sud e Isole
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Le tensioni e le difficoltà differenziate tra le diverse aree del paese, spesso dal lato delle amministrazioni, risultano nella loro evidenza osservando la distribuzione dei Verbali (Grafico 13) nelle ripartizioni territoriali: si osserva quindi una crescita significativa dei Verbali, e delle difficoltà di giungere a intese piene e soddisfacenti, soprattutto a Nord-est, dove si concentra per il 2014 ben il 41,2% dei Verbali; tuttavia in quest’area sono in aumento anche gli Accordi veri e propri, segno in ogni caso di una vivace attività negoziale. Più limitata la presenza di Verbali al Centro, un indicatore di maggiore efficacia (riferito ai percorsi negoziali che si è scelto o è stato possibile avviare) ma non necessariamente di una maggiore facilità di intesa con le amministrazioni locali.
46,3
47,9
46,8
41,2
27,9
24,7
16,3
14,5
9,5
10,5 11,8
14,6
12,7
10,6
1,4
Grafico 13, Ripartizione territoriale (Verbali, 2011-2014)
70,0
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
63,2
2011 2012
2013
2014
Nord-ovest Nord-est Centro Sud e Isole
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Per quanto sia complesso osservare con precisione quantitativa le dinamiche della contrattazione sociale scendendo verso il livello territoriale, è possibile comunque suggerire alcune evidenze generali. A partire dalle parti coinvolte, che in effetti mostrano specializzazioni e particolarità, almeno al livello delle grandi ripartizioni geografiche. Considerando la media degli anni 2011-2014, gli Accordi che vedono la presenza delle amministrazioni comunali sono la quasi totalità a Nord-ovest, segno di una contrattazione capillare nei comuni medio-piccoli, intorno ai bilanci di previsione. Ampia e diffusa anche a Nord-est e al Centro (rispettivamente 84,3% e 81,2%), mentre nel Sud e Isole la media del quadriennio si attesta al 64,9% a cui corrisponde una presenza considerevole di consorzi, distretti sociali e sanitari, ambiti sociali con ben il 31,3% (nelle altre aree questa voce oscilla tra il 2% e il 5% circa degli Accordi). Rispetto alle parti sindacali, il peso delle confederazioni, o della sola Cgil, nella firma degli Accordi è più limitata a Nord-ovest (38%), mentre i sindacati dei pensionati, o lo Spi da solo, firmano il 92,8% degli Accordi. Altrove, invece, la situazione è differente: le confederazioni raggiungono a Nord- est una presenza nel 71,6% degli Accordi, nel Centro l’84,4%; mentre i sindacati dei pensionati rispettivamente il 72,5% e il 74,8%. Al Sud e Isole, pur essendo significativa una contrattazione svolta nei livelli intercomunali dei servizi sociali, le confederazioni sono presenti in media nel 64% degli Accordi e i pensionati nel 76,1%.
Rispetto ai destinatari, una contrattazione specifica per i suoi dati strutturali (tipologia del materiale, tematiche contrattate, etc.) si riflette anche nella composizione dei soggetti a cui sono rivolti gli interventi. A una contrattazione universalistica preponderante in gran parte del paese, rivolta alla Generalità di individui e famiglie (tra l’83% e l’89%), corrisponde una minore ampiezza dei valori registrati nel Sud e Isole (51,4%). La presenza degli Anziani, Disabili e Non autosufficienti tra i destinatari è significativa ovunque, ma si riduce da Nord-ovest a Nord-est fino al Centro, per poi risalire al Sud e Isole. L’attenzione alle Famiglie e individui in condizione di povertà si attesta in ogni ripartizione su valori compresi tra il 50% e il 60% degli Accordi. A Nord- ovest si segnalano valori mediamente più bassi delle medie delle altre ripartizioni per diversi soggetti, quali Giovani, Donne, Immigrati, Lavoratori (sia della Pa sia privati), Lavoratori/trici di aziende in crisi, Imprese; la cui presenza risulta più diffusa a Nord-est e nel Centro.
La contrattazione sociale nei temi di accordo
Le aree tematiche principali
Il profilo tematico della contrattazione sociale è senz’altro l’indicatore principale per osservare sia gli orientamenti delle agende sindacali e delle scelte ammnistrative sia per intravedere, indirettamente, i processi sociali che emergono dai territori. Il confronto generale tra le macro- aree di politica sociale e territoriale consente un primo sguardo su queste tendenze. Come emerge dal Grafico 14, si conferma di anno in anno il peso preponderante del “cuore” della contrattazione sociale intorno alle Politiche socio-sanitarie e assistenziali (presenti tra il 75% e 80% degli Accordi, nel periodo 2012-2014) e le Politiche dei redditi e delle entrate (tra 80% e 85% circa).
Le aree restanti, rispetto alle tendenze generali, si dividono sostanzialmente in due gruppi: quelle che con il 2014 sembrano invertire – per quanto in maniera ambivalente, eppure con valori inequivocabili compresi tra +10% e +20% circa sull’anno precedente – una precedente tendenza alla diminuzione; accanto a esse vi sono quelle che invece confermano un trend di crescita già impostato negli anni precedenti. Nel primo gruppo ritroviamo l’area che si concentra su casa e territorio, quella dedicata a infanzia e giovani, e l’area in cui si ritrovano le tematiche legate a cultura socialità e sicurezza. Nel secondo gruppo, invece, si ritrovano le iniziative su partecipazione e cittadinanza attiva, quelle incentrate sulla pubblica amministrazione, nonché progetti e interventi focalizzati su lavoro e sviluppo. Xxxxxxxx, invece, è il peso marginale delle tematiche relative al contrasto delle discriminazioni e delle pari opportunità, che si ritrovano nei tre anni considerati nel 10-12% degli Accordi. Tuttavia, questa prima osservazione generale deve tener conto di movimenti e “saldi” che sono il risultato di scelte specifiche le quali, all’interno di ciascuna area, hanno spostato significativamente il peso di alcuni temi a scapito di altri; senza contare inoltre la qualità e l’orientamento sostanziale delle iniziative, al di là delle “etichette” tematiche che li rappresentano nella classificazione dell’Osservatorio. Questo potrà essere osservato nel dettaglio delle tendenze in seguito riportate di alcune principali tematiche di politica sociale territoriale.
I contenuti negoziati, e quindi gli effetti della contrattazione sociale che emergono in politiche, provvedimenti amministrativi, iniziative rivolte ai cittadini, sono ovviamente desumibili più precisamente se osservati nelle tematiche oggetto di Accordo. Tuttavia, come è stato già sottolineato trasversalmente nei paragrafi precedenti, la tendenza all’aumento dei Verbali è un elemento indiscutibile e di conseguenza dovrebbe rappresentare un tema di riflessione approfondita. Ne è un segno anche l’analisi generale delle tendenze dei temi presenti nei Verbali nel periodo 2012-2014: tutte le aree tematiche vedono un incremento delle voci trattate, in particolare per le aree cruciali della contrattazione. Crescono fortemente nei tre anni i temi legati alla Pubblica amministrazione (dal 13,6% del 2012 al 52,5% del 2014) all’area Lavoro e sviluppo (dal 23,1 del 2012 al 33,8% del 2014) e la Politica dei redditi e delle entrate (dal 72,2% al 88,4%). Da ciò risulta come la trattazione dei tributi, delle tariffe e della compartecipazione dei cittadini ai costi dei servizi sia un tema centrale nelle iniziative del sindacato, così come l’attenzione ai processi di riorganizzazione e ammodernamento della macchina amministrativa, anche nella difficoltà negoziale che si ferma sulla soglia di un Verbale di incontro.
Grafico 14, Aree tematiche di I livello (Accordi, 2012-2014)
PARTECIPAZIONE E CITTADINANZA ATTIVA
27,1
21,6
36,6
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
27,6
24,9
35,0
POLITICHE SOCIO-SANITARIE ED ASSISTENZIALI
76,4
76,7
81,6
LAVORO E SVILUPPO
47,1
45,7
53,0
POLITICA DEI REDDITI E DELLE ENTRATE
82,4
80,2
84,6
CONTRASTO DISCRIMINAZIONI E PARI OPPORTUNITÀ
11,2
12,5
10,5
ABITARE E TERRITORIO
43,6
55,3
54,6
INFANZIA E GIOVANI
27,5
44,7
40,9
CULTURA SOCIALITÀ E SICUREZZA
28,5
30,1
39,7
0,0 10,0 20,0 30,0 40,0 50,0 60,0 70,0 80,0 90,0
2014 2013 2012
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
La complessità e la ricchezza dei testi negoziali è senz’altro un indice della produttività, almeno sulla carta, della contrattazione sociale. Il Grafico 15 illustra il numero di aree tematiche mediamente trattate negli Accordi, per gli anni 2012-2014. In linea generale, nel periodo considerato la grande maggioranza degli Accordi si colloca tra le 3-5 tematiche contrattate e le 6-8. Il 2014 conferma un peso centrale per questo genere di intese, pur mostrando un aumento degli Accordi maggiormente articolati: le intese che prevedono tra le 9 e le 11 aree tematiche raggiungono il 15,9% del totale.
Grafico 15, Aree tematiche I livello, per classi (Accordi, 2012-2014)
50,0
47,5
43,4
40,0
33,1
32,5
35,6
30,0
28,0
20,1
20,0
16,1
15,9
10,8
10,0
8,5 8,5
0,0
1-2 aree tematiche 3-5 aree tematiche 6-8 aree tematiche 9-11 aree tematiche
2012 2013 2014
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
43,3
39,3
38,7
39,1
31,9
26,4
25,6
27,0
16,9
2,4
4,1
5,3
Grafico 16, Aree tematiche I livello, per classi (Verbali, 2012-2014)
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
1-2 aree tematiche 3-5 aree tematiche 6-8 aree tematiche 9-11 aree tematiche
2012 2013 2014
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Un’analoga tendenza alla complessità dei documenti si riscontra nei Verbali (Grafico 16), segno ulteriore di una difficoltà a portare a termine intese vere e proprie. Va tuttavia ricordato che
una quota dei documenti qui indicati come Verbali rappresentano la verbalizzazione di resoconti, più o meno unilaterali, delle scelte di bilancio già compiute dalle amministrazioni comunali, per cui una maggiore complessità indica semplicemente un aumento di tale modalità di relazione tra le parti.
Area 1. Relazioni tra le parti e definizione del processo
L’area delle Relazioni tra le parti e definizione del processo negoziale rappresenta un indicatore indiretto della salute del metodo e delle procedure negoziali. La formalizzazione del processo negoziale è un aspetto particolarmente importante nella contrattazione sociale, e attiene al metodo dei rapporti tra le parti. In tale formalizzazione rientrano accordi e protocolli specifici sulle relazioni sindacali, per quanto assai rari e disomogenei sul piano territoriale. In misura assai più ampia, invece, nelle premesse degli Accordi sono riportate dichiarazioni comuni di intenti, valutazioni sulle politiche – specie nazionali – che incidono sulle scelte di bilancio e programmatiche, oltre che considerazioni generali sulle priorità da conseguire.
Al di là dei numeri rilevati nell’analisi dei documenti, si riscontrano generalmente buone relazioni tra le parti, a volte sostenute da buone pratiche di metodo negoziale: nei tavoli di confronto tra i diversi soggetti coinvolti, nonché nella previsione di un monitoraggio delle politiche e verifiche periodiche degli esiti. Questo risulta essenziale non solo per seguire in corso di realizzazione i temi di accordo che, spesso, per loro natura non sono immediatamente esigibili diversamente dalle disposizioni contrattuali vere e proprie; ma anche per consentire al sindacato e ai cittadini di monitorare l’amministrazione rispetto alle scelte compiute e alla loro realizzazione effettiva.
Area 2. Politiche e strumenti della partecipazione e cittadinanza attiva
L’area della Politiche e strumenti della partecipazione e cittadinanza attiva comprende le iniziative definite all’interno della contrattazione sociale attinenti principalmente al metodo del confronto con la cittadinanza, con le organizzazioni sociali, il non profit, in materia di informazione, comunicazione, consultazione e partecipazione nonché di accountability della pubblica amministrazione stessa.
La definizione di strumenti di informazione, partecipazione, coinvolgimento dei cittadini, nelle forme più varie, dovrebbe essere insita nel metodo stesso della contrattazione sociale. Difatti, l’area 2 presenta voci tematiche specifiche che attengono sia a strumenti di trasparenza amministrativa e informazione dei cittadini sia a momenti di maggiore coinvolgimento e promozione della partecipazione sociale. Come emerge dal Grafico 17, l’area nel suo complesso vede accrescere la propria presenza, tra 2012 e 2014: dal 21,6% al 36,6% degli Accordi. Questa tendenza alla crescita – senza dubbio un aspetto da valorizzare nell’evoluzione recente della contrattazione sociale – si compone di diversi elementi: in parte significativa, essa è dovuta alla costante crescita dei vari strumenti di informazione e coinvolgimento dei cittadini (nel 19,7% degli Accordi del 2014: dagli sportelli sociali agli Urp, dagli Informagiovani agli uffici di mediazione culturale e accoglienza di categorie specifiche di cittadini). Una parte non irrilevante di questa voce fa anche riferimento a specifiche iniziative di diffusione dei risultati o di condivisione delle scelte prese nei percorsi negoziali stessi, anche in forme non episodiche e associative, come con la costituzione di “consulte sociali” a cui è rimandata la valutazione
sull’applicazione degli Accordi. Altro elemento che concorre alla crescita dell’area 2 è la promozione del terzo settore e della partecipazione sociale (dal 7,5% del 2012 al 13,7% del 2014); in linea di principio, in questa voce ricorrono provvedimenti di sostegno (in strutture, servizi, opportunità di promozione e naturalmente in termini di risorse) rivolti in specie all’associazionismo e al volontariato di solidarietà sociale. Ma il sostegno puro e semplice allo sviluppo del settore associativo rappresenta un tipo ideale dell’intervento delle amministrazioni locali; nel concreto vi sono situazioni di confine, rappresentate negli accordi, che prevedono contributi in ragione di servizi prestati dalle associazioni stesse, generalmente nel sostegno a minori, disabili e persone non autosufficienti. Accanto a ciò, e in relazione agli interventi anti- povertà, compaiono iniziative per stimolare la partecipazione sociale dei soggetti economicamente e socialmente più fragili, prevedendo l’erogazione di un sostegno economico diretto o indiretto. Per quanto riguarda lo stimolo alla partecipazione sociale sono rari i progetti diretti di volontariato organizzato per iniziativa dei comuni; ma si possono segnalare iniziative originali di alcune amministrazioni locali, come l’incentivo alla partecipazione (ad esempio alle esperienze di Banca del tempo) mediante sconti sulle tariffe di mense e trasporti scolastici.
Se queste due voci di intervento hanno sospinto alla crescita l’area 2, altre voci più legate alle prerogative delle amministrazioni mostrano un contributo inferiore, per quanto promettente. Si tratta di forme di bilancio partecipato/partecipativo e varie esperienze di bilanci di qualità sociale (di genere, bilancio sociale, ambientale). Nel complesso, queste voci passano dal 1-3% del 2012 al 4-8% circa del 2014.
14,1
13,2
13,7
7,5
8,5
7,0
3,5
7,9
4,1
2,4
0,9
36,6
27,1
21,6
19,7
Grafico 17, Area 2 – Politiche e strumenti della partecipazione e cittadinanza attiva (Accordi, 2012-2014)
40,0
35,0
30,0
25,0
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
2012
2013
2014
2. PARTECIPAZIONE E CITTADINANZA ATTIVA
2.1. BILANCI DI QUALITÀ SOCIALE
2.2. BILANCIO PARTECIPATO/PARTECIPATIVO
2.3. INFORMAZIONE E COINVOLGIMENTO DEI CITTADINI
2.4. PROMOZIONE TERZO SETTORE E PARTECIPAZIONE SOCIALE
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
La riforma del Terzo settore – Xxxxxxx Xxxxxxx (responsabile Politiche della salute, Area Contrattazione sociale, Cgil nazionale)
Il Disegno di legge delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale ha subito modifiche rispetto al testo originario presentato dal Governo, con l’approvazione di alcuni emendamenti in aula alla Camera il 9 aprile 2015. Il testo emendato è ora composto da 11 articoli e non più da 6 articoli. Ora la discussione si è spostata al Senato. (xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xx/xxx/0000_00_00_xxxXXXXX_XXXXXXXxxxxXXXXXX.xxx).
Rispetto alle Osservazioni di Cgil Cisl Uil presentate in sede di audizione presso la Commissione Affari Sociali (xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xx/xxx/0000_00_XXXXXxxxxXXXXXxxxxxxxxxxx.xxx), il nuovo testo e contiene alcune novità positive, ma mantiene aspetti negativi e preoccupanti, soprattutto sull’Impresa Sociale.
Prima ancora di valutazioni specifiche – come già si segnalava chiaramente nel documento di Cgil Cisl Uil – è necessario collocare la riforma in un disegno più complessivo, riferito allo sviluppo dell’economia sociale e del welfare universale. Un disegno che invece sembra ancora mancare, se non addirittura, come nel caso delle norme sull’Impresa Sociale, prefigurare una decisa apertura a logiche di mercato nell’ambito del welfare.
La Cgil ha già espresso una prima valutazione nel documento “Riforma Terzo Settore, Cgil: Impresa Sociale rischio deriva commerciale nei servizi alla persona”: “Il disegno di legge, dopo le modifiche approvate alla Camera, definisce in modo più chiaro l'ambito della riforma del Terzo settore, quindi dove interverranno i successivi decreti delegati del governo, e preserva il ruolo peculiare del volontariato e il suo carattere gratuito. Purtroppo, però, conferma norme che snaturano l'impresa sociale, accentuandone il carattere commerciale. Con questo provvedimento si allarga anziché restringere la possibilità di agire per imprese profit, con il serio rischio che irrompano logiche di mercato nei servizi del welfare, già duramente colpito dai tagli alla spesa per la protezione sociale. A questo si aggiunge un’altra grave mancanza, da colmare in quanto mina un tratto distintivo dell'impresa sociale: devono essere riconosciuti ruolo e diritti dei lavoratori con strumenti adeguati quali informazione, consultazione, contrattazione e clausole sociali.
Di seguito, in sintesi, un commento al nuovo testo del Disegno di legge:
Articolo 1 - La definizione di Xxxxx Xxxxxxx è meglio precisata e distingue, come richiesto dal Sindacato, le formazioni sociali dagli enti privati dal terzo settore. In particolare si precisa che oggetto delle riforma è il Terzo settore inteso come il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento senza scopo di lucro, di finalità civiche e solidaristiche.
La previsione di due nuovi e distinti articoli – articolo 3, Revisione del titolo II del libro primo del codice civile e articolo 4, Riordino e revisione della disciplina del Terzo settore e codice del Terzo settore - rende più logico e preciso l’ambito di intervento dei decreti delegati al Governo.
Ancora sull’articolo 4, sull’affidamento dei servizi ad enti del Terzo settore, è positivo aver previsto l’obbligo di iscrizione al registro unico del Terzo settore per enti che si avvalgono prevalentemente o stabilmente di finanziamenti pubblici o che esercitano attività in accreditamento e convenzione o che intendono godere delle agevolazioni previste; e aver previsto standard di qualità e impatto sociale del servizio. Ma è opportuno precisare che ciò avverrà anche tramite l’adozione di criteri per l’autorizzazione e l’accreditamento, e con la previsione di clausole sociali per gli appalti.
Articolo 5 - Attività di volontariato, di promozione sociale e di mutuo soccorso: si precisa, recependo una richiesta del Sindacato, che la disciplina in materia sarà adottata “valorizzando i principi di gratuità, democraticità e partecipazione e riconoscendo la specificità e le tutele dello
status di volontario all’interno degli enti del Terzo settore”. Accolta anche una seconda osservazione: si dovranno riconoscere le competenze acquisite dai volontari.
Sempre nell’articolo 5, il giusto divieto di dividere utili e patrimonio dell’ente (per mantenere la natura no profit) è vanificato dalle deroghe concesse al successivo articolo 6 comma 1 lettera c). Articolo 6 - Negative le norme sull’Impresa Sociale:
▪ il nuovo testo ne conferma esplicitamente il rafforzamento del ruolo commerciale, indebolendo le finalità sociali. Si allarga anziché restringere la possibilità di agire per imprese profit, con il serio rischio che irrompano logiche di mercato nei servizi del welfare, già duramente colpito dai tagli alla spesa per la protezione sociale.
▪ Un’altra grave mancanza, da colmare, è il riconoscimento, con strumenti adeguati, del ruolo e dei diritti dei lavoratori, (informazione, consultazione, contrattazione, clausole sociali), che dovrebbe invece essere tratto distintivo dell'impresa sociale.
▪ Si pongono alcune condizioni ma non si esclude che l’Impresa Sociale possa remunerare il capitale e ripartire gli utili, che oltretutto non sono destinati esclusivamente a finalità sociali.
▪ Negativo è anche sia confermata la possibilità di presenza di rappresentanti di imprese private o pubbliche negli organi delle Imprese Sociali.
▪ Così come aver previsto che le cooperative sociali e i loro consorzi acquisiscono di diritto la qualifica di impresa sociale, anziché lasciarla come libera facoltà.
▪ Aver limitato l’ampliamento delle attività di utilità sociale solo ad alcuni ambiti (commercio equo e solidale, alloggio sociale e microcredito) è positivo, mentre per i servizi di inserimento dei lavoratori svantaggiati si apre il rischio di un allargamento indistinto della platea, che penalizza proprio i soggetti più deboli e che potrebbe scaricare sull’impresa sociale improprie funzione di ammortizzatore.
Il ruolo e i diritti dei lavoratori, e delle loro rappresentanze, restano sottovalutati: non è prevista alcuna consultazione delle Parti Sociali prima dell’adozione dei Decreti Legislativi.
Mentre per gli enti del Terzo Settore è ora prevista l’adozione di strumenti idonei a garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori, nell’impresa sociale vi è solo un richiamo al “coinvolgimento dei dipendenti” ma nulla di esplicito è previsto circa il rispetto dei diritti nel lavoro (diritto all’informazione, consultazione e contrattazione, previsione di contratti di lavoro di riferimento, introduzione di clausole sociali per appalti, regole per autorizzazioni e accreditamenti).
Articolo 7 - Vigilanza, monitoraggio e controllo: Viene dedicato uno specifico articolo a tali funzioni, che sono certamente meglio precisate rispetto al precedente testo. Ora si dispone che sia il Ministero LPS a svolgerle, anche promuovendo forme di autocontrollo da parte degli enti del Terzo Settore. Cgil Cisl Uil hanno proposto invece l’istituzione di un Authority dell’Economia Sociale e del Terzo Settore.
Articolo 8 - Servizio Civile universale bene venga indicata la durata del servizio civile (in otto - dodici mesi), resta da prevedere un adeguato finanziamento. Bisogna precisare che si rivolge a giovani sia italiani che stranieri .
Articolo 9 - Agevolazioni e vantaggi: non sono rivolte solo ai soggetti no profit, anzi si confermano misure agevolative volte a favorire gli investimenti di capitale e la possibilità di accedere a forme di raccolta di capitali a rischio. Aprendo così a rischi di operazioni speculative. Per una valutazione unitaria sul Disegno di Legge in discussione al Senato si veda il Documento CGIL CISL UIL del 3 giugno 2015 (xxxx://xxx.xxxx.xx/Xxxxxxxx/Xxxxxxx/Xxxxxxxxx della salute/2015.06.03_TERZO_SETTORE_CGIL_CISL_UIL.pdf).
Area 3. Pubblica amministrazione
Le politiche locali più strettamente legate alla Pubblica amministrazione rappresentano un fronte decisivo per l’azione negoziale del sindacato. Questo per motivazioni che spaziano su più livelli: per le necessità di riforma spinte dal Testo unico degli enti locali, per i provvedimenti di trasformazione delle province, per la costante necessità di implementare le strutture del welfare locale (uffici di piano, consorzi dei servizi, ambiti sociali e distretti sanitari, ecc.). La contingenza di questi anni, inoltre, a causa dell’austerità calata sugli enti locali – sia con il taglio dei trasferimenti centrali sia con le nuove e incerte normative fiscali e tributarie – ha reso via via più necessaria non solo la contrattazione ma anche il coinvolgimento del sindacato nei processi di cambiamento degli apparati chiamati ad adattarsi a questi processi.
Nel merito dell’andamento dell’area 3, complessivamente si registra un aumento del suo peso negli Accordi, passato dal 24,9% del 2012 al 35% del 2014 (Grafico 18). Questa chiara tendenza è sostenuta soprattutto dall’incremento dei riferimenti alle relazioni tra amministrazioni e alle gestioni associate, che passano dal 10% degli Accordi 2012 al 23% di quelli siglati nel 2014. Come è stato già osservato, a ciò non corrisponde linearmente un aumento del numero e della penetrazione territoriale delle Unioni di comuni o delle gestioni associate; ed è indubbio che anche nella contrattazione sociale il numero di negoziati svolti effettivamente a livello intercomunale rappresenti una quota assai limitata. Pertanto, la gran parte dei riferimenti ai rapporti tra amministrazioni si riferisce al contributo dei singoli comuni alle Unioni di cui fanno parte, sia in termini di risorse sia di condivisione dei servizi. In prevalenza, tali riferimenti, specie se si tratta di servizi pubblici e servizi sociali, vedono più una presa d’atto degli indirizzi delle amministrazioni comunali che vere e proprie scelte d’indirizzo condivise. In altri casi si allude alla condivisione negoziale del percorso – eventualmente anche di consultazione e partecipazione dei cittadini – in vista di costituire future Unioni di comuni. Raramente – ma è comunque riscontrabile – viene approcciato il percorso di unificazione o associazionismo tra comuni tenendo in conto anche le altre dimensioni intercomunali, in particolare quelle del welfare, per favorire meccanismi di integrazione e complementarietà con distretti sanitari, ambiti sociali, ecc. In crescita anche una voce particolarmente delicata nell’area della pubblica amministrazione; si tratta di quella relativa a organizzazione e razionalizzazione degli apparati pubblici: dal 3,3% del 2012 al 10,8% del 2014. Vi si ritrovano iniziative di riordino – anche in funzione di conseguire risparmi economici – della struttura amministrativa nel suo complesso, o nel caso di necessità specifiche legate a innovazioni o progetti mirati per stabilire sinergie operative tra diversi settori dell’amministrazione (riconfigurazione dei servizi sociali con trasferimento di attività e personale ad ambiti sociali e consorzi dei servizi, obiettivi di contrasto dell’evasione fiscale e tributaria, adattamento delle necessità organizzative in base al nuovo Isee, etc.). Assai più limitati invece gli interventi che possono avere un effetto economico più rilevante sulla macchina amministrativa, in virtù della configurazione delle prerogative e dei centri di spesa: tra il 3% e il 6% degli Accordi affrontano voci relative a esternalizzazioni e internalizzazioni, aziende partecipate, accreditamento, uso e valorizzazione del patrimonio pubblico; solamente la trattazione di appalti e subappalti, in particolare per la definizione di regole l’applicazione dei contratti nazionali e la regolarità del lavoro delle aziende fornitrici – e più raramente la previsione di accordi multilaterali anche con le associazioni datoriali – si colloca negli anni tra l’8,5% e il 6,8%, comunque in leggero calo.
24,9
23,0
16,8
10,0
8,5
7,3
10,8
7,5
6,8
3,3
7,0
5,5
4,5
Grafico 18, Area 3 – Pubblica amministrazione (Accordi, 2012-2014)
40,0
35,0
35,0
30,0
27,6
25,0
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
2012
2013
2014
3. PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
3.1. PERSONALE E FORMAZIONE
3.3. APPALTI E SUBAPPALTI
3.5. ORGANIZZAZIONE E RAZIONALIZZAZIONE
3.7. RELAZIONI TRA AMMINISTRAZIONI E GESTIONI ASSOCIATE
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Contrattazione e lavoro pubblico – Xxxxxxx Xxxxxxx (Area Politiche contrattuali, responsabile Settori pubblici, Cgil nazionale)
Il disegno di legge sulla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche non è quella annunciata rivoluzionaria riforma della PA, anzi si muove in una logica di assoluta continuità con le riforme varate dai governi precedenti a cominciare dalla legge Xxxxxxxx e con una politica incentrata sul “valore salvifico” dei tagli alla spesa pubblica senza preoccuparsi delle ricadute sul paese, sui cittadini, sui lavoratori. La prossima legge di stabilità sarà un ulteriore esempio di cosa il Governo intende per “spending review” con tagli per almeno 10 miliardi di spesa. Il Disegno di legge diviene così lo scenario nel quale si colloca la nuova stagione di tagli di spesa. Per interrompere tale continuità si sarebbero dovuti assumere 2 principi guida:
1. una riforma basata su alcuni principi generali, chiari ed omogenei validi per tutte le Pubbliche Amministrazioni regolata dalla legislazione statale e dalla contrattazione collettiva con una forte attenzione alle peculiarità del complesso delle pubbliche amministrazioni e alle diverse funzioni svolte nel rispetto dei principi di autonomia a partire da quelli propri dei livelli costituzionalmente riconosciuti;
2. fare della qualità dei servizi pubblici dei quali fruiscono i cittadini, coinvolgendoli in una pratica di protagonismo e di partecipazione e valorizzando la risorsa del lavoro pubblico il baricentro politico della riforma. Come la campagna Riformo Io lanciata dalla Cgil.
Le innumerevoli stagioni di riforma del lavoro pubblico hanno dimostrato come governare i processi con disposizioni e vincoli di dettaglio, limitandosi ad operazioni sui contenitori e ignorando il tema dei contenuti del servizio pubblico sia sbagliato ed inefficace. Il tutto poi nel disegno viene affidato a non meno di 13 decreti delegati, da vararsi nei 12/18 mesi successivi alla approvazione della legge, ognuno dei quali dovrà essere sottoposto ad almeno 3 passaggi, dai tempi e dai percorsi di attuazione lunghi ed indecifrati. Esce fuori un disegno di amministrazione pubblica antistorica – da anni 50 -, centralista, legificata in tutti i suoi aspetti che prescinde dall’impianto istituzionale plurale e dalle diverse missioni che regolano il mondo delle pubbliche amministrazioni. E ciò nonostante abbondino parole tipo “innovazione, rinnovamento, flessibilità, dinamicità nel rapporto tra obiettivi e assetti”. In questo quadro emergono ogni giorno di più aspetti “inquietanti” che hanno tutti una cifra comune.
Nel rapporto tra la politica e le pubbliche amministrazioni – rapporto definito dall’art. 97 della Costituzione- la politica prevale e subordina l’amministrazione. Senza parlare del complesso tema delle nomine e della loro cifra nel mondo del sistema pubblico, basti vedere la nuova disciplina della dirigenza pubblica, o l’ostracismo contro la contrattazione collettiva, o addirittura il diritto del lavoro nel sistema pubblico. Così in tema di dirigenza pubblica il sistema delle garanzie; i meccanismi di nomina dei dirigenti; le causali delle revoche degli incarichi dirigenziali, rimangono evanescenti nella delega e preludono a misure- peraltro già annunciate- nelle quali prevale sicuramente la volontà della politica e il rapporto fiduciario tra dirigenza e politica. E’ bene avere a mente che nel nostro paese il principio per il quale la politica che vince si prende anche la dirigenza è palesemente fuori della Costituzione. Così come fuori della Costituzione è la negazione di un principio di garanzia in base al quale la dirigenza pubblica risponde a legalità e correttezza. La Corte Costituzionale rimane a presidio dell’art.97 della Carta.
La riforma della dirigenza è parte della riforma delle pubblica amministrazione, ma la subordinazione alla politica da un lato o l’uomo solo al comando- come nel caso della dirigenza scolastica -è fuori dal nostro ordinamento. Anche la negazione ostinata e pervicace della contrattazione è parte di questo tentativo di subordinare il lavoro alla politica. Il lavoro viene privato del diritto di intervenire con i propri strumenti ed in autonomia sull’organizzazione del lavoro. Viene privato del diritto di definire le proprie condizioni di lavoro, la propria retribuzione, gli istituti del rapporto di lavoro. E così con decreti legge o con leggi delega generiche ed indistinte, si stabilisce che esiste la mobilità obbligatoria in deroga al Codice Civile che vige nel mondo del lavoro; si stabilisce il demansionamento che ha preceduto quanto previsto poi nel Jobs act; si stabilisce per legge, sottraendolo alla contrattazione, il tema della mobilità del personale e così facendo si arriva al paradosso di stabilire che a seconda dei settori la mobilità viene regolata diversamente e contraddittoriamente. Potenza della Legge!
Si stabilisce che esistono materie sottratte alla contrattazione nazionale e di secondo livello e, come nel caso della scuola, si annullano per legge i contratti negli istituti regolati dalla legge stessa. La stessa recente sentenza della Corte costituzionale sui contratti pubblici rischia di rimanere lettera morta, non solo per la situazione finanziaria del paese, ma anche perché è la legge stessa che sottrae alla contrattazione gli istituti del rapporto di lavoro (dalla carriera al salario di produttività, alle relazioni sindacali; etc.) propri dei contratti collettivi.
A livello decentrato poi l’accanimento contro le amministrazioni locali ha come vittime i cittadini che pagano di più i servizi e i lavoratori pubblici ai quali vengono negati i contratti e la possibilità di condividere le scelte sempre più unilaterali sul funzionamento dei servizi. In sostanza si continua con una politica contro la pubblica amministrazione ed il lavoro pubblico da parte di una compagine governativa che annuncia discontinuità, ma sempre più si muove in continuità con le politiche dei governi precedenti. Così anche la riforma della pubblica amministrazione annunciata diviene il paradigma della continuità di politiche sbagliate.
Area 4. Politiche di bilancio
Nel complesso, l’area delle Politiche di bilancio conferma la natura profonda della contrattazione sociale e il suo legame con la negoziazione intorno ai bilanci di previsione dei comuni. Nel dettaglio, tuttavia, va evidenziato che la percentuale di Accordi siglati sotto questa tematica sia passata negli anni più recenti da circa l’80% a circa il 60% degli Accordi. Solo in parte ciò è dovuto all’aumento – assai contenuto – di Accordi su tematiche specifiche o a livelli sovracomunali. Emerge piuttosto una tendenza a concludere Accordi meno ampi e comprensivi delle diverse aree che attengono alle politiche sociali locali, configurando quindi intese mirate a questioni di emergenza o di particolare rilievo (vd. tasse e tributi locali), mentre emerge assai meno un approccio complessivo alla struttura del bilancio per ciò che concerne la spesa sociale e il suo finanziamento. Questo si deve anche alla presa d’atto che i tempi delle intese sui bilanci, anche quando sono nominalmente definite tali nei titoli degli Accordi, si collocano sempre più in là nel corso dell’anno, in periodi nei quali le principali scelte delle amministrazioni sono state già compiute in autonomia rispetto al confronto negoziale.
La condizione delle autonomie locali e i processi in atto – Xxxxx Xxxxxxxx (Spi Cgil nazionale)
Dopo l’avvio della riforma istituzionale avvenuta con i cosiddetti “provvedimenti Bassanini” la Legge 59 del 1997, il Dlgs. 112 del 1998 e la riforma del Titolo V della Costituzione del 2000 si è avuto un periodo di stallo, per poi avere una nuova accelerazione dal 2009 con la Legge 42 sul federalismo fiscale e i nove decreti attuativi emanati tra il 2010 e 2011. Un ulteriore intervento sull’assetto amministrativo locale è venuto dalla Legge 56 2014, comunemente definita “legge Del Rio” sulle città metropolitane, province unioni e fusioni di comuni. Nel 2015 il governo ha affrontato la riforma del sistema istituzionale e costituzionale (modifica del Senato, sistema elettorale, nuova modifica del Titolo V, abolizione del Cnel). In attuazione della legge sul federalismo fiscale è iniziata dal 2013 la sperimentazione delle nuove modalità di bilancio armonizzato, il nuovo ordinamento contabile investe tutte le amministrazioni pubbliche per quanto concerne regioni ed enti locali sarà adottato integralmente dal 2016. Un primo elemento di riflessione riguarda il permanere di uno stato di instabilità che ha investito il sistema amministrativo locale e le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite dalla normativa. Dopo 18 anni dall’emanazione della Legge 59 del 1997 che ha iniziato il trasferimento delle funzioni dallo stato centrale verso le regioni e gli enti locali, non si è ancora giunti alla definizione di un organico e compiuto “stato delle autonomie”. In particolare rimane aperta la questione dell’associazionismo intercomunale, per il superamento della frammentazione che vede ancora la presenza di oltre 5.000 piccoli comuni, con una continua proroga dei termini per la costituzione delle Unioni di comuni, così come fatica a prendere corpo lo strumento delle “fusioni” tra comuni, che consentirebbe di superare le difficoltà gestionali che sono state fonte dello scarso utilizzo delle Unioni di comuni. Analogamente il superamento delle Province è stato affrontato senza una linearità, procurando molte più difficoltà rispetto ai benefici previsti, tra le questioni ancora aperte quella fondamentale della ricollocazione del personale presso altri enti. L’incertezza del quadro amministrativo di riferimento ha rallentato sicuramente la crescita di una contrattazione sociale diffusa. I piccoli comuni in particolare costituiscono l’anello debole in quanto le amministrazioni singolarmente non sono in grado di proporre una programmazione adeguata dei servizi sul territorio, ma potrebbero invece realizzare servizi adeguati attraverso la gestione aggregata, si pensi in particolare ai servizi di assistenza domiciliare o altri servizi alle persone. Sulle misure di sostegno ai piccoli comuni è stata presentato una proposta di legge che unificava precedenti testi nel 2014, ma ancora non è giunta in dirittura d’arrivo. Per la contrattazione sociale è utile sviluppare un confronto che sappia cogliere le difficoltà, ma anche i
suggerimenti da parte delle amministrazioni locali. In tal senso è importante ad esempio la rilevazione condotta nel 2014 dall’Xxxx Xxxxxxxx per lo Spi Lombardia con questionari strutturati che verificavano lo stato di attuazione degli accordi sottoscritti con i comuni, chiedendo agli amministratori il loro punto di vista e giudizio. In quel contesto risultava che 4 accordi su 10 hanno raggiunto l’obiettivo fissato dalla negoziazione; altro dato importante è che nei medi- grandi comuni un amministratore su cinque ritiene che debba essere potenziata la contrattazione sociale fissando scadenze legate alle procedure di bilancio. Da queste brevi estrapolazioni della ricerca si evince che è fondamentale per una contrattazione sociale sempre più efficace l’ascolto anche della parte istituzionale, per costruire percorsi negoziali strutturati che abbiano come finalità una programmazione partecipata e condivisa, nella quale i diversi soggetti interloquiscano costantemente.
Concludendo il ragionamento possiamo affermare che per una migliore contrattazione sociale sono indispensabili quattro condizioni fondamentali: un sistema amministrativo compiuto, un modello stabile di fiscalità locale, una maggiore flessibilità delle regole sul patto di stabilità interno, un processo di aggregazione dei piccoli comuni da realizzare in modo certo.
Area 5. Politiche socio-sanitarie ed assistenziali
Le Politiche socio-sanitarie e assistenziali rappresentano il cuore, insieme a quelle fiscali tributarie e tariffarie, della contrattazione sociale territoriale. Nel complesso, l’area si attesta negli anni più recenti su valori compresi tra il 75% e l’80% degli Accordi sottoscritti. Osservando il dato più in dettaglio (Grafico 19), le tematiche legate direttamente a Prestazioni e servizi mostrano un andamento analogo, di leggera contrazione, posizionandosi tra il 55% e il 60% degli Accordi. Entro questa contrazione, legata principalmente ai servizi di maggior onere economico e finanziario (le strutture residenziali e semiresidenziali), si rileva una stabilità degli Accordi riguardanti i servizi domiciliari (tra 46% e 47% di tutti gli Accordi) e un calo di quelli territoriali (dal 30% circa al 24% del 2014). Nel primo caso, buona parte della contrattazione non mostra un quadro in particolare movimento: si tratta di conferme o aggiustamenti al margine dell’offerta di servizi, sia rispetto agli stanziamenti sia per le risorse umane impegnate. Sul piano regolamentare si interviene sempre più sull’adozione dell’Isee per la definizione dell’accesso e della compartecipazione ai servizi domiciliari. Assai meno trattata è la sfera della governance: dall’affidamento di servizi in convenzione a modalità di integrazione dei servizi domiciliari con la dimensione sanitaria, da una parte, e con quella sociale e di inclusione, dall’altra. Rispetto ai servizi territoriali, invece, nonostante una battuta d’arresto quantitativa tra i temi negoziati, nei testi di accordo si rileva una maggiore propensione a intervenire sul sistema e sulla rete dei servizi, specie nel campo sanitario e socio-sanitario: all’insegna dell’integrazione tra progetti di Casa della salute, medicina di iniziativa, implicazione dei medici di medicina generale; per quanto ciò si realizzi in maniera disomogenea sul territorio nazionale. Questo è confermato anche dalla crescita delle iniziative di Prevenzione socio-sanitaria e promozione della salute (dal 5,8% del 2012 al 12,5% del 2014) che si legano significativamente alle iniziative di territorializzazione della sanità.
54,5
76,7
76,4
Grafico 19, Area 5 – Politiche socio-sanitarie ed assistenziali (Accordi, 2012-2014)
90,0
81,6
5. POLITICHE SOCIO-SANITARIE
ED ASSISTENZIALI
80,0
5.3. PRESTAZIONI E SERVIZI
70,0
60,7
59,3
5.4. INTERVENTI DI CONTRASTO
ALLA POVERTÀ
60,0
5.3.3. DOMICILIARI
50,0
47,1
46,0
5.3.4. TERRITORIALI
46,8
38,7
44,3
41,8
44,3
40,0
29,9
30,0
5.3.6. PREVENZIONE SOCIO-
SANITARIA E PROMOZIONE DELLA SALUTE
30,5 30,8
27,2
24,1
22,3
5.4.2. CONTRIBUTI ECONOMICI
UNA TANTUM
20,0
13,9
5.4.3. CONTRIBUTI IN SERVIZI O
BENI DI PRIMA NECESSITÀ
10,0
8,8
12,5
3,2
5,8
2,9
6,5
4,7
0,0
5.4.4. INTERVENTI
PROMOZIONALI E PER L'INCLUSIONE SOCIALE
2012
2013
2014
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Altro gruppo di temi cruciali nel campo delle politiche sociali in senso stretto sono gli Interventi di contrasto della povertà (Grafico 19). Come è stato osservato nell’analisi dei destinatari e come emergerà trasversalmente dalle tematiche focalizzate su lavoro e sviluppo e sui temi fiscali, la povertà è diventata sempre più un’urgenza dell’iniziativa territoriale, e dunque della contrattazione. I dati specifici sui temi negoziati lo confermano, ma invitano anche a una riflessione più profonda sulla “torsione” (e le distorsioni) che un’attenzione in crescita – e pur necessaria – a questo tema possa riservare alle altre aree delle politiche sociali territoriali.
Complessivamente, il peso negli Accordi di Interventi di contrasto alla povertà oscilla nel periodo nella fascia 40%-45%. Tuttavia, nel giro di pochi anni è mutata significativamente la struttura interna di queste iniziative: i Contributi economici una tantum, e cioè elementi monetari non vincolati oppure associati a sconti su utenze domestiche, tariffe, contributi per l’affitto, passano dal 38,7% del 2012 al 27,2% del 2014. Rispetto alla struttura di tali contributi, raramente sono previsti fondi – o sistemi di fondi “sociali” – specificamente creati per durare nel tempo e dedicati permanentemente al contrasto della povertà; in genere è più comune che i contributi siano definiti di anno in anno, distinti e non integrati in un unico sistema di offerta e
presa in carico. Viceversa, segna una crescita assai significativa (dal 3,2% del 2012 al 22,3% del 2014) l’area dei Contributi in servizi o beni di prima necessità: pacchi alimentari, vestiario, carte acquisti e convenzioni. In crescita significativa anche la voce riguardante Interventi promozionali e di inclusione sociale (dal 2,9% del 2012 al 13,9% del 2014), sotto i quali vengono in luce principalmente le iniziative di inserimento lavorativo (borse lavoro, voucher per attività socialmente utili, ecc.) che tuttavia a livello locale rappresentano esperienze assai limitate per il loro peso e diffusione. Sotto un’altra dimensione, quella dell’organizzazione e della qualità dei servizi, emergono altri elementi di tendenza. Nel periodo 2012-2014 gli interventi riguardanti Modelli organizzativi e dell’offerta (Grafico 20) crescono dal 20,4% degli Accordi al 25,5%. Le voci specifiche segnalano un aumento riguardanti la Presa in carico degli utenti (al 9,8%, nel 2014, soprattutto nel campo sanitario e assistenziale delle cure domiciliari), una contrazione di quelli per i Percorsi di accesso ai servizi (sportelli sociali, segretariato sociale, ecc.) che oscillano tra il 14% del 2013 e l’8,6% del 2014. Ciò è controbilanciato dalla crescita degli interventi relativi agli Standard dei servizi/Regolamenti (7,8% nel 2014), con la definizione di standard di qualità e azioni di trasparenza/informazione nei servizi per l’infanzia e quelli territoriali sociali e sanitari.
Un ultimo elemento di questa voce riguarda le Modalità di affidamento dei servizi che dal 3,7% dal 2012 passano all’11,9% del 2014; sotto questa voce – e in rapporto a questo aumento – si segnalano soprattutto modalità di affidamento rivolte all’associazionismo solidaristico, in forme assai varie che possono oscillare da un buon coordinamento fondato sulla complementarietà e sussidiarietà a vere e proprie cessioni di competenza da parte degli enti pubblici su determinati servizi (specie di assistenza ad anziani, disabili, non autosufficienti).
Grafico 20, Area 5 – Politiche socio-sanitarie ed assistenziali (Accordi, 2012-2014)
90,0
81,6
80,0
76,7
76,4
70,0
5. POLITICHE SOCIO-SANITARIE
ED ASSISTENZIALI
60,0
50,0
40,0
5.2. MODELLI ORGANIZZATIVI E
DELL'OFFERTA
5.2.2. MODALITÀ DI AFFIDAMENTO
5.2.3. PERCORSI DI ACCESSO
30,0
5.2.4. PRESA IN CARICO
20,0
5.2.5. STANDARD DEI
SERVIZI/REGOLAMENTI
13,5 14,0
10,0
4,8
3,7
11,9
9,8
8,6
7,8
0,0
4,0
2,1
2012
3,9
2013
3,4
2014
25,5
20,4
22,3
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Lotta alla povertà e integrazione delle politiche sociali – Xxxxxx Xxxxxxxx (coordinatore Area Contrattazione sociale, Cgil nazionale)
Nel dibattito pubblico di questi ultimi mesi si è affacciato con forza il tema della povertà e dei possibili strumenti di contrasto, sia nella dimensione nazionale sia rispetto agli interventi in ambito locale. I fenomeni d’impoverimento sono evidenti e certificati dalle rilevazioni dei diversi istituti di statistica con una incidenza della povertà assoluta che arriva a superare i due milioni di nuclei familiari e i sei milioni di persone.
Il punto che abbiamo inteso evidenziare con la proposta del Reddito d’Inclusione Sociale (Reis) avanzata dall’Alleanza contro la povertà, della quale fanno parte Cgil Cisl Uil insieme ad oltre trenta associazioni, è la necessità di dotare il nostro sistema di welfare e di protezione sociale di una misura a carattere universale che costituisca un livello essenziale delle prestazioni senza per questo trascurare il contributo che può derivare dalle misure che possono essere individuate in ambito locale. Da un lato l’iniziativa in ambito regionale, in diverse realtà sono presenti percorsi di possibile intervento alcuni già tracciati, e dall’altro l’azione in ambito locale per le competenze in capo alle amministrazioni comunali.
Tracciare un bilancio di quanto si è fatto nell’ambito della più recente stagione di contrattazione sociale non è semplice, da un lato per l’articolazione degli accordi che intervengono sulle diverse materie e dall’altro per il fatto che il profilo può non riguardare in termini espliciti gli strumenti di contrasto alle povertà per l’incrocio con le altre fattispecie. In questo quadro si possono condurre alcune considerazioni, anche in termini sistematici e di possibile orientamento dell’azione di natura contrattuale e rivendicativa. Se guardiamo alle iniziative di ambito regionale, anche di natura legislativa, è opportuno che emergano condizioni di omogeneità tali da poter considerare questi percorsi propedeutici e di avvicinamento alla definizione di uno strumento nazionale. È opportuno che tali aspetti siano considerati nei percorsi di contrattazione, in particolare per quanto attiene i requisiti soggettivi (in particolare accesso universale, anzianità di residenza, indicatore Isee per limiti di reddito) e le misure di inclusione e attivazione. Su questi elementi occorre fare qualche riflessione rispetto alla contrattazione, per ciò che si rileva dagli accordi. Difatti, prevalgono negli interventi di sostegno al reddito e di contrasto alla povertà misure che sempre più assumono un profilo di natura meramente assistenziale, non accompagnate dai necessari progetti e processi di reinserimento sociale – anche sotto il profilo formativo e dei percorsi di istruzione – e occupazionale. Inoltre, questi si configurano con un perimetro d’intervento e di interrelazione con l’ambito dei servizi, come per l’ambito dei Centri per l’Impiego, molto relativo.
E’ noto che l’efficacia delle politiche e delle misure di contrasto alla povertà hanno una diretta relazione con la capacità e l’efficacia delle politiche di attivazione. Ciò è necessario anche in ambito locale, e la contrattazione sociale è opportuno che orienti il proprio profilo in tal senso: alle misure di carattere assistenziale si accompagnino percorsi che partendo dalla presa in carico della persona – in una ottica di integrazione tra le diverse competenze settoriali – possano avviare percorsi di natura formativa, scolastica e professionale e nella costituenda rete dei Centri per l’Istruzione degli Adulti (Cpia) e di inserimento/reinserimento lavorativo. In una ottica di stretta relazione tra le azioni di politica sociale e l’ambito delle politiche attive e per il lavoro, sfruttando le opportunità che derivano inoltre dall’impiego mirato delle risorse comunitarie.
Un percorso non semplice, che presuppone un forte raccordo anche all’interno delle amministrazioni comunali e tra le istituzioni locali, che però se orientato in questi termini dall’azione della contrattazione sociale può determinare l’efficacia e il buon utilizzo degli strumenti di contrasto alla povertà.
Strategie per l’inclusione sociale – Xxxxx Xxxxxxxx (Spi Cgil nazionale)
La lotta alla povertà e per l’inclusione sociale sono temi centrali per la contrattazione sociale territoriale. Negli anni recenti sono state articolate diverse proposte per affrontare il problema, da parte delle forze politiche, dai soggetti istituzionali, dalle parti sociali. Nel 2014 è stata lanciata l’Alleanza contro la povertà in Italia, cartello che vede la presenza di 33 soggetti che vanno da quelli istituzionali come l’Anci, ai sindacati Confederali Cgil Cisl Uil, alle associazioni di impegno sociale cattoliche come Acli e Sant’Xxxxxx, al terzo settore. Tale progetto è finalizzato all’introduzione di un Reddito di inclusione sociale (Reis), che possa far fronte alla povertà che in Italia tocca 6 milioni di persone, ovvero quasi il 10% della popolazione. E’ un grande problema sociale che investe diverse tipologie di popolazione: giovani, anziani, famiglie numerose, disoccupati, chi ha perduto il lavoro, ma anche chi ha un lavoro. Il progetto prevede che ogni nucleo familiare riceve mensilmente una somma pari alla differenza tra la soglia di povertà e il proprio reddito. L’importo medio mensile è 322 Euro (1 persona), 380 (2 persone), 395 (3 persone) e 451 (4 persone). Il principio guida è l’adeguatezza: nessuno deve essere privo delle risorse necessarie a raggiungere un livello di vita “minimamente accettabile”; oltre alla parte monetaria è previsto un intervento sia per il reinserimento lavorativo (per chi ha perduto il lavoro), ma anche di servizi alla persona (in particolare per l’infanzia e gli anziani). Il costo del progetto a regime (2019) è quantificato in 7,1 miliardi di euro annui da parte dello Stato. Ovviamente è prevista una fase intermedia che intervenga subito sulle situazioni più difficili della platea di riferimento, con un impegno finanziario più contenuto.
Su questo progetto di politica di contrasto alla povertà e di inclusione la contrattazione sociale può svolgere un ruolo fondamentale, affinché questi princìpi abbiano applicazione da subito, impegnando anche risorse locali, mettendo in sinergia le amministrazioni regionali e i comuni con protocolli territoriali che dopo una attenta mappatura predispongano misure di intervento, sia in termini di sostegno economico che di servizi. L’interfaccia di questo approccio è quello costituito dallo sviluppo di servizi sul territorio e di un welfare che possa rispondere in modo adeguato ai bisogni di diverse problematiche sociali, tale progettualità si coniuga in modo diretto con il Piano del lavoro della Cgil per la crescita di nuova occupazione nell’ambito di un welfare da ampliare e riqualificare.
Campagna Salviamo la Salute – Xxxxxxx Xxxxxxx (responsabile Politiche della salute, Area Contrattazione sociale, Cgil nazionale)
La campagna Salviamo la Salute. Attraversa l’Italia promossa dalla Cgil, lanciata con una grande assemblea a Roma il 20 giugno 2014, è partita nel mese di settembre e si è snodata lungo l’intero territorio nazionale, con giornate di mobilitazione in tante città italiane. Salviamo la Salute nasce per rilanciare “idee e proposte per la contrattazione nel welfare socio sanitario” (come recita il sottotitolo della campagna). Parte da un’idea forte e innovativa di ripresa economica e sociale, che rovescia le fallimentari politiche di austerity, e che vede nel sistema di welfare sociale e sanitario pubblico e universale un grande volano di sviluppo. E’ pensata proprio per durare nel tempo e per diffondersi ovunque.
Salviamo la Salute ha un titolo volutamente drammatico. Perché il diritto alla tutela della Salute (intesa nel senso autentico di benessere fisico psichico e sociale e non solo come accesso alle cure) è compromesso dagli effetti della crisi: crescono impoverimento e disoccupazione, si
riducono servizi sociali e sanitari, molte persone rinunciano a curarsi per problemi economici. Effetti negativi “ammortizzati” sin qui dal nostro Servizio sanitario nazionale, che però fatica sempre di più a reggere. Ecco perché per salvare - e restituire ai cittadini - il diritto alla tutela della salute bisogna invertire le politiche di austerity di questi anni. E riconoscere il welfare come scelta strategica di ripresa economica e sociale: un grande investimento capace di garantire diritti e di alimentare la crescita economica e la creazione di posti di lavoro.
Salviamo la Salute ha fatto tappa in tutta Italia: con 84 tappe regionali e 35 eventi nazionali in dieci mesi. Tra gli appuntamenti nazionali, alcuni hanno trattato temi specifici:
• “la legalità contro la corruzione”: organizzati insieme all’altra campagna Cgil “legalità una svolta per tutte”. Con un primo seminario interregionale del Nord a Milano, cui seguiranno due seminari per le regioni del Centro e per quelle del Sud;
• “Lavoro e qualità dei servizi sociosanitari in appalto e convenzione”: organizzato con la Fp Cgil a cui ha partecipato anche Filcams Cgil;
• “Salute (e medicina) di genere”: organizzata dallo Spi Cgil nazionale.
Un parte della campagna Salviamo la Salute si è svolta partecipando a iniziative, promosse dalla Cgil insieme a numerose altre associazioni, che sono state volutamente inserite nelle tappe (in tutto 19 appuntamenti):
• per la salute mentale e la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari con il comitato “stop Opg” e con il “Forum Salute Mentale”;
• sulle droghe con il “Cartello di Genova”;
• sui rischi del gioco d’azzardo (dipendenze) con la campagna “Mettiamoci in Gioco”;
• su legalità e Piani anti-corruzione con la campagna “Illuminiamo la Salute”.
Salviamo la Salute ha un logo (e un banner) e un sito web. Infatti è stata costruita una pagina web speciale dedicata – con un banner permanente in prima pagina del sito CGIL. L’indirizzo è xxxx://xxx.xxxx.xx/Xxxx/XxxxxXxxxx.xxxx?XXx00000. Nella pagina web è pubblicato il Calendario con tutte le tappe (qui cliccando sulla città si apre il volantino con il programma dell’iniziativa), la documentazione (piattaforma e menu) con gli approfondimenti sui singoli capitoli, le News e il materiale grafico.
Nella pagina sono in preparazione i materiali regionali e territoriali prodotti con la campagna (piattaforme, documenti, ecc).
Per Salviamo la Salute è stata preparata una piattaforma, presentata all’assemblea di apertura del 20 giugno 2014, che prevede un “menu” di proposte per la contrattazione sociale nel campo del welfare socio sanitario, per essere adattato e arricchito dalle singole realtà regionali e territoriali.
1. Welfare universale (per tutti), i bisogni diventano diritti:
• Stop all’austerity: welfare come investimento. Più Universalità.
• Stop austerity: basta tagli, adeguare il finanziamento.
• Una buona spending review: i risparmi restano nel Ssn e nel Sociale.
2. Lotta alla corruzione: trasparenza e integrità
3. L’Italia unita nei diritti
• Livelli essenziali sanitari e sociali uniformi in tutto il Paese;
• Dai Piani di rientro ai Piani di salute e risanamento;
• Il riparto del Finanziamento tra le regioni: tra solidarietà e responsabilità;
• Rendere facile e veloce l’accesso ai servizi, un piano straordinario: “Salute Semplice”.
4. Abolire i ticket: milioni di cittadini rinunciano a curarsi
5. Innovare il welfare socio sanitario, le 3 priorità:
• Prevenzione;
• Continuità Assistenziale e h24 nel Territorio;
• Integrazione tra Sociale e Sanità: dopo il Patto per la Salute un Patto per il Sociale.
6. Valore al lavoro e qualità dei servizi
7. Più potere ai cittadini, più spazio alla contrattazione
8. Il welfare fa bene all’economia e all’occupazione
Nelle Tappe che si sono tenute nelle varie città i temi affrontati sono stati in buona parte di carattere generale, cioè con documenti e proposte sulla contrattazione sociale in ambito socio- sanitario che affrontavano e tenevano insieme più questioni (dalla programmazione regionale, alla distribuzione delle risorse, al potenziamento dei servizi territoriali alle case della salute, liste di attesa, ecc.).
In altri casi per le tappe sono stati scelti argomenti più specifici, quali ad esempio:
• Lavoro e qualità dei servizi sociosanitari in appalto e convenzione (iniziativa nazionale organizzata con la Funzione Pubblica); Appalti nella PA (organizzata a Torino da Cgil, Fp, Filcams); Esternalizzazioni e spending review (organizzata da Cgil Lazio Roma).
• Cure primarie, servizi territoriali, Case della Salute: a Pasian di Prato (Ud), Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxx, x Xxxxx Xxxxxx (Xx), Xxxx, Xxxxxxxxxxxx Xxxxxx; Nuovo piano ospedaliero e riorganizzazione cure primarie nelle tappe in Campania Avellino, Benevento, e Caserta Salerno e Napoli).
• Corruzione e legalità: con tre seminari: ad Avigliana (To) con “Illuminiamo la Salute”, a Milano su “Il ruolo del Sindacato nei Piani anti-corruzione, per la trasparenza e la legalità”, (organizzato dalle due campagne Cgil Salviamo la Salute e Legalità una svolta per tutte), a Bologna sui Piani anti-corruzione.
• Salute di genere: a Roma dallo Spi nazionale. A Padova, Pasian di Prato Udine, Lecce, Fermo.
• Sul Welfare contrattuale (fondi sanitari): con un seminario a Desenzano.
In tutte le regioni le tappe sono state accompagnate dalla preparazione di materiali: un documento/piattaforma (a volte era già disponibile in quanto le tappe sono state inserite nella campagna di contrattazione sociale in corso), volantini, locandine. Gli eventi pubblici sono sempre stati ripresi da stampa e Tv. In alcune realtà le iniziative si sono svolte unitariamente (seppure utilizzando altri titoli e slogan). Alcune Tappe si sono svolte nell’ambito della “Festa di LiberEtà” la rivista dello Spi Cgil.
Le tappe regionali (circa il 70%) si sono svolte con assemblee/convegni/dibattito, altre sono state realizzate sotto forma di seminari, riunioni di delegati, incontri con esperti, che abbiamo comunque scelto di evidenziare come tappe per evidenziare “il processo” che accompagna una mobilitazione (e la stessa contrattazione sociale). In autunno del 2015 la Cgil farà un bilancio di Xxxxxxxx la Salute, anche per valutare il contributo della campagna allo sviluppo della contrattazione sociale.
Area 6. Politiche del lavoro e dello sviluppo
Per quanto le competenze degli enti locali prevalentemente impegnati nella contrattazione sociale non prevedano ampi strumenti di intervento, le Politiche del lavoro e dello sviluppo – nella loro declinazione locale e sociale – vedono una presenza rilevante nei percorsi negoziali. Nel complesso, si rileva un aumento progressivo nel corso degli anni compresi tra 2012 e 2014: dal 45,7% al 53% dell’anno passato (Grafico 21). L’articolazione interna di tale andamento si compone della somma di tendenze negative e positive. In particolare, appaiono stagnanti e assai limitati gli interventi di sostegno alle imprese e per una pianificazione dello sviluppo, con una presenza negli Accordi che oscilla tra il 3% e il 6% nel corso degli anni. Questo è legato ovviamente alle prerogative degli enti firmatari degli Accordi, che nella gran parte dei casi sono amministrazioni comunali, a loro volta vincolate in maniera stringente nelle loro strategie di investimento dal patto di stabilità interno e dalle difficoltà di bilancio.
A uno sguardo di maggiore dettaglio, viene in luce come la crescita complessiva dell’area sia dovuta principalmente a progetti speciali di inserimento lavorativo (che toccano il 23,1% degli Accordi del 2014). È importante sottolineare che il merito di questi interventi risulti assai poco legato a strategie di politica attiva del lavoro e, invece, sia sempre più connesso alle strategie anti-povertà degli enti locali. Difatti, sotto questa voce sono classificate in gran parte iniziative locali di borse lavoro, generalmente di piccola entità e rivolte a numeri limitati di beneficiari, gestite dalle amministrazioni locali per lavori di pubblica utilità. Le forme dell’attivazione delle persone in difficoltà possono essere anche assai differenti tra loro, e ciò è messo in luce dall’estrema varietà che si riscontra a livello territoriale: l’inserimento vero e proprio nel tessuto del lavoro autonomo e della piccola impresa, ma soprattutto l’intervento diretto dell’ente pubblico mediante la costituzione di vere e proprie “leve civiche” o “leve civiche volontarie”, ovvero liste di disoccupati inseriti in progetti di lavoro pubblico e graduatorie di accesso stabilite in base a Isee. Questa sfumatura di interventi raggiunge un limite in iniziative di scambio tra lavoro socialmente utile e sconti su tariffe e tributi locali (Tari e Tasi) per famiglie a basso reddito e disoccupati. Rispetto al sostegno monetario legato a queste attività di inserimento le formule sono altrettanto variegate: dalla retribuzione occasionale mediante voucher al rimborso spese per attività qualificata come formalmente volontaria.
Parallela, e inversa a questa tendenza, vi è la caduta degli interventi di Sostegno al reddito specificamente mirati alle figure indebolite e fragili del mercato del lavoro (cassaintegrati, lavoratori in mobilità, neo disoccupati, ecc.). La voce sostegno al reddito, infatti, dopo una crescita tra 2012 e 2013, sostenuta soprattutto dalla costituzione in sede locale di molti “fondi anticrisi” fin dal 2009-2010, si attesta sul 18,2% degli Accordi. Va sottolineato che il calo di questa voce va di pari passo all’aumento dei progetti di inserimento lavorativo e delle misure strettamente anti-povertà, segnalando uno scivolamento da politiche locali di attenuazione e sostegno temporaneo alle situazioni di crisi occupazionale al contrasto di una sempre più strutturata e consolidata area delle povertà. Queste scelte e questo travaso di risorse sottostanti fanno i conti principalmente con i limiti di bilancio degli enti locali; in questo modo l’emergenza povertà corre il rischio di erodere quel set di strumenti che hanno configurato di fatto una sorta “ammortizzatore sociale municipale” che l’inventiva della contrattazione sociale aveva concepito nel periodo iniziale della crisi: mediante “fondi sociali” e “anticrisi” che garantivano un sostegno integrato al reddito anche mediante esenzioni e contributi per l’affitto o per i servizi pubblici locali e quelli sociali in senso stretto.
Risultano invece assai più limitati, per quanto in leggero aumento, i temi legati al contrasto della precarietà, del lavoro irregolare e della salute e sicurezza. Nel complesso, queste voci passano da un complessivo 9,6% degli Accordi del 2012 al 12,2% del 2014; in controluce si intravedono intese per la regolamentazione degli appalti di beni e servizi per la pubblica amministrazione; intese che coinvolgono in alcuni casi le associazioni datoriali, con l’emanazione di regolamenti anche legati alle clausole sociali per l’esternalizzazione di alcuni servizi compresi quelli sociali.
53,0
47,1
45,7
60,0
6. LAVORO E SVILUPPO
50,0
6.4.3. INSERIMENTO SOCIO-
LAVORATIVO
40,0
6.5.1. CONTRASTO ED
EMERSIONE LAVORO IRREGOLARE
30,0
6.5.2. CONTRASTO DELLA
PRECARIETÀ E STABILIZZAZIONE
6.5.3. SALUTE E SICUREZZA
20,0
6.6.1. AMMORTIZZATORI
SOCIALI
10,0
6.6.2. SOSTEGNO AL REDDITO
0,0
2012
2013
2014
Grafico 21, Area 6 – Politiche del lavoro e dello sviluppo (Accordi, 2012-2014)
6,4 | 6,8 | 8,4 | DEI SOGGETTI INTERESSATI DA | ||
5,6 | 5,7 | CRISI | |||
4,0 | 3,2 | 3,3 | |||
1,1 | 2,2 | 2,5 |
27,1
23,1
21,5
18,2
14,8
11,6
3,4
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Mercato del lavoro e negoziazione sociale territoriale – Xxxxxxx Xxxx Xxxxxxxxxx (coordinatore Mercato del lavoro, Cgil nazionale)
Il legame tra politiche del lavoro e negoziazione territoriale ha una sua storia, ha un suo presente e avrà un suo futuro; in ciò ha sempre visto protagonista il sindacato e così deve continuare ad essere.
La contrattazione territoriale sociale, che fino ad ora ha agito positivamente sul mercato del lavoro, sebbene territorialmente in modo differenziato, può oggi essere messa in discussione per due significative ragioni. La prima, più di ordine politico. Il processo in atto di una nuova centralizzazione della politica e in particolare dei suoi livelli decisionali, favorito dall’irrisolta o incompiuta riforma costituzionale del Titolo V, rischia di diventare un freno allo sviluppo, così come anche per i risultati di quanto fino ad oggi si è potuto realizzare con la contrattazione sociale territoriale. Il rischio politico del tutto evidente è dato dal fatto che le diverse autonomie locali, regioni, province se ancora esistono, e soprattutto comuni, pur nelle loro nuove forme istituzionali, aree metropolitane, aree vaste e altro, vedranno ridursi le loro capacità di
mediazione dei conflitti sociali che a loro, in quanto più “prossimi”, riesce di certo più facile governare.
La seconda ragione è di natura economica. Va tenuto presente che, patto di stabilità, leggi di stabilità, riduzione delle risorse erariali, stanno fortemente indebolendo la capacità del raggio d’azione degli enti territoriali in materia di welfare.
Ad oggi con un complessivo pari al 23,1 % delle risorse impegnate dagli enti locali per le politiche di sviluppo su obiettivi legati all’inserimento lavorativo e sostegno al reddito, si è riusciti, sebbene a fatica, a fornire una risposta appena sufficiente ai micro bisogni legati all’inserimento lavorativo tramite interventi quali: borse o doti lavoro, retribuzioni per prestazioni occasionali presso amministrazioni pubbliche, voucher, brevi periodi d’inserimento lavorativo presso piccole imprese, oppure, brevi percorsi di formazione legati all’aggiornamento o alla riconversione professionale.
E’ invece pari al 18,2 % quanto dedicato per interventi di natura eccezionale finalizzati a sostenere le integrazioni salariali per lo più per le medie e piccole aziende manifatturiere, dato per altro in calo rispetto ai primi anni della crisi.
Il mantenersi delle due condizioni di cui sopra, comporterà una riduzione delle capacità di risposta mettendo tra l’altro a rischio anche la tenuta dello scenario di un welfare più generale. Il Governo, forte della scelta politica richiamata all’inizio, ha deciso di rilanciare le politiche attive per il lavoro con la nascente Agenzia Nazionale per l’Occupazione e il Lavoro, prevista dal Dlgs. figlio della legge delega 183 del 2014. Immaginata quale governo per una risposta territoriale di qualità in favore delle politiche attive, rischia di scontare un primo errore di ordine strategico se, come fino ad ora sembra, verrà sorretta da finanziamenti in gran parte frutto di economie derivanti dalla riduzione delle integrazioni salariali.
Gli obiettivi che questa si propone, ovvero, favorire e incentivare la ricerca attiva di una nuova occupazione, attraverso percorsi personalizzati d’istruzione, formazione professionale e lavoro, così come il rafforzamento delle capacità d’incontro tra domanda e offerta di lavoro, passeranno necessariamente attraverso le fasi di governo regionale.
Il protagonista centrale per la responsabilità dell’obiettivo sarà il Centro per l’impiego al quale viene affidata la competenza per la definizione dei criteri e dei livelli di collaborazione tra servizi pubblici e privati, compreso il terzo settore, la scuola secondaria e le università.
Inoltre, sul previsto “assegno individuale di ricollocazione”. Su come questo verrà finanziato per tramite delle competenze regionali, diventa fondamentale il confronto in sede regionale sull’ammontare delle risorse destinate, sulla verifica dell’azione sussidiaria della regione rispetto ai finanziamenti dello Stato, sulla sua consistenza rispetto al totale complessivo delle risorse disponibili per gli ammortizzatori avendo a riferimento la garanzia di continuità per la copertura. E’ necessario che questa “risorsa” sia frutto di una negoziazione rispetto alle sue caratteristiche generali a partire dalla puntuale declinazione del servizio di assistenza intensiva, le procedure per la definizione del profilo personale di occupabilità, la condizionabilità della decadenza dalla dote individuale, la congruità dell’attività d’impiego, e in particolare la definizione di regole eque e trasparenti per sua determinazione.
Le politiche attive, siano esse quelle dettate dal mercato del lavoro, così come quelle di ordine sociale e di welfare più in generale, devono allora, e ancor di più oggi, diventare l’asse di interesse portante di una piattaforma contrattuale sociale territoriale sulla quale avviare un confronto trilaterale tra ente locale, parti sociali e istituzioni al fine di poter governare localmente.
Ciò è ancora più importante sia considerando l’azione di difesa e tutela in favore dei diritti degli ex occupati e per chi è in cerca della prima occupazione a partire dal vedersi soddisfare coerentemente e realmente i bisogni espressi, ma lo è anche per l’opera di valorizzazione del Centro per l’impiego quale ente pubblico di riferimento.
Contrattazione e appalti - Xxxxxxx Xxxxxxxxxx (coordinatore Area Politiche contrattuali, Cgil nazionale)
La riflessione e l'elaborazione della Cgil su contrattazione e appalti ha avuto un suo momento importante nel congresso del 2014. E' proseguita con l'iniziativa nazionale del 2 ottobre 2014 sulle direttive europee in materia di appalti pubblici approvate ad aprile 2014. Ha poi avuto uno sviluppo importante con le proposte unitarie Xxxx Xxxx Uil del febbraio 2015 che ha contribuito a raggiungere un primo risultato con il testo di xxxxxx approvato al Senato con punti di merito importanti quali il criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, le tutele per il subappalto, gli appalti di servizi, le clausole sociali, il contratto di lavoro applicabile. In questo percorso la Cgil ha presentato una proposta di legge per le tutele del lavoro in appalto pubblico e privato che ha visto la sottoscrizione della proposta da parte di duecentomila persone di tutto il Paese, con centinaia di iniziative territoriali che rappresenta un tentativo di coinvolgimento su queste tematiche sicuramente migliorabile, ma anche significativo per lo sviluppo della nostra iniziativa futura.
A questo quadro va aggiunta l'iniziativa contrattuale nazionale delle categorie e quella aziendale per l'occupazione, che in particolare hanno visto accordi aziendali per le tutele occupazionali nei cambi di appalto e la conferma delle tutele in materia di licenziamenti precedenti alle modifiche introdotte con il Jobs act; inoltre l’iniziativa territoriale confederale con protocolli di intesa volti a incidere sui bandi gara, la loro trasparenza, il rispetto delle tutele contrattuali e dei diritti.
Un altro salto di qualità proveremo a farlo realizzando le indicazioni sindacali e organizzative avanzate con il documento della conferenza di organizzazione che vedono il loro centro nel migliorare la capacità di coordinamento confederale territoriale per la contrattazione inclusiva nei siti dove insistono committenti e appaltatori con diverse applicazioni contrattuali. L'obiettivo che ci si pone è quello di mettere assieme tutti i lavoratori e lavoratrici delle diverse aziende, elaborare proposte comuni, realizzare esperienze di contrattazione unitaria.
In questo senso sfuma anche la distinzione tra contrattazione inclusiva e contrattazione sociale. Il punto di partenza può essere un luogo di lavoro o un territorio, ma abbiamo bisogno di contrattare in entrambi e soprattutto che tali esperienze si parlino e che si valorizzi la rappresentanza interna ed esterna ai luoghi di lavoro, ammesso che questa distinzione abbia sempre un senso.
La strategia del Piano del lavoro può tenere assieme questi aspetti. Ad esempio si possono realizzare esperienze in cui salute e sicurezza del territorio partano dai luoghi di lavoro superando ogni contrapposizione. Oppure, come si sta tentando di fare, costruire vertenze sull'asse turismo beni culturali, che valorizzino le attività presenti sul territorio, difendano e creino nuovo lavoro, cerchino le sinergie con le infrastrutture materiali e immateriali necessarie, puntino a un corretto utilizzo dei fondi disponibili, investano sulle relazioni con le istituzioni.
Non abbiamo molto tempo a nostra disposizione per dimostrare che siamo in grado di intraprendere una strada di questo tipo. La seconda parte del 2015 dovrà essere utilizzata per dimostrare che siamo in grado di realizzare nuove esperienze contrattuali che portino il segno di questa impostazione.
Area 7. Politica locale dei redditi e delle entrate
L’area Politica locale dei redditi e delle entrate rappresenta, insieme alle politiche sociali, uno dei campi di intervento maggiormente trattati nella contrattazione sociale. La sua posizione complessiva all’interno degli Accordi è difatti dominante: nel periodo considerato 2012-2014 oscilla nella fascia 80%-85% (Grafico 22). Nella sua composizione interna, tuttavia, si possono osservare tendenze di vario genere, e si registrano impatti anche significativi sulle iniziative delle amministrazioni locali, specie in relazione ai bilanci comunali. In linea generale, si segnala un’attività frenetica di regolazione e aggiustamento delle componenti fiscali e tributarie, anche a causa dell’incertezza normativa che ha segnato gli ultimi anni attraverso la sequenza Ici, Imu, Tasi (in prospettiva della fisonomia ancora incerta che prenderà l’Imposta unica comunale). È in questo campo che si ritrovano i maggiori interventi di aumento del carico fiscale sui cittadini, ma anche dei tentativi (demandati dalla normativa nazionale al livello locale-territoriale) di introdurre elementi di maggiore progressività. I numeri sono eloquenti: nel 54,8% degli Accordi si tratta di Addizionale Irpef, e cioè la sua regolazione e fasciazione; nel 55% sono affrontati applicazione, regolamenti, eventuali detrazioni e fondi di restituzione legati alla Tasi; la stessa Imu, pur essendo stata esclusa dall’applicazione alle prime case, è presente ancora nel 51,7% degli Accordi, soprattutto in relazione alle conferme o modifiche delle aliquote e al trattamento riservato a situazioni specifiche (ad esempio per l’uso gratuito di abitazioni a parenti prossimi, o aliquote agevolate per abitazioni in locazione secondo i criteri degli accordi territoriali per la casa). Va segnalato che la specificità di questo gruppo di temi, per il 2014, risiede anche nella diffusione dello strumento Isee per intervenire su fasciazione, esenzioni o restituzioni parziali per una grande varietà di tributi, tasse e tariffe: Tasi, Irpef, Tari. A proposito di tariffe e interventi su di esse, uno degli aspetti più significativi riguarda gli interventi sulle Utenze domestiche, che passano dal 17,7% del 2012 al 28% del 2014, mettendo in luce non tanto aumenti generalizzati o interventi sulla struttura della tariffa stessa, quanto uno degli interventi più diffusi nel “paniere” di iniziative anti-povertà, e cioè il sostegno ai nuclei e agli individui più poveri per il mantenimento di standard di vita adeguati a una vita dignitosa.
Sono invece in calo, e in qualche misura associate tra loro, le voci riguardanti l’Isee (dal 56,3% del 2013 al 46,8% del 2014) e gli interventi sulle Rette dei servizi pubblici (26,6% nel 2014, in particolare servizi per l’infanzia e domiciliarità). Questa contrazione di interventi (nuovi, oppure conferme) sul sistema di compartecipazione generalmente connesso all’Isee è anche spiegabile con l’incertezza che ha segnato il 2014, e che ancora appare non del tutto risolta, riguardante l’applicazione del nuovo strumento Isee previsto con il Dpcm 159 del 2013 e dei successivi dispositivi attuativi. Al di là dell’utilizzo finalizzato a un sistema equo di compartecipazione dei cittadini ai costi dei servizi, l’Isee si va generalizzando e allargando dalle prestazioni socio- assistenziali alle prestazione a domanda individuale, in senso più ampio, e ai servizi socio- educativi e socio-sanitari. Lo strumento sembrerebbe anche diffondersi per interventi di sostegno come per esempio le agevolazioni per le utenze domestiche e i contributi per l’affitto. Inoltre, l’Isee trova un ruolo anche nella definizione di una fase particolarmente critica della fiscalità locale; difatti, come detto, si diffondono gli interventi su Tari e Tasi, ma anche sull’Irpef locale, che implicano l’utilizzo dell’Isee con lo scopo di introdurre una maggiore progressività dell’imposizione. Ciò – in assenza di una normativa nazionale che preveda indicazioni omogenee
– avviene con modalità differenziate a livello territoriale, che vanno dalle detrazioni
(considerando i valori Isee combinati con altri elementi, quali la composizione del nucleo) o sistemi di rimborso anche tramite fondi perequativi, soprattutto nel caso della Tasi.
84,6
82,4
80,2
Grafico 22, Area 7 – Politica locale dei redditi e delle entrate (Accordi, 2012-2014)
90,0
80,0
70,0
60,0
7. POLITICA DEI REDDITI E DELLE
ENTRATE
7.1. ISEE
57,7
54,0
52,4
56,3
51,3
51,8
54,8 55,0
7.2.1. RETTE SERVIZI PUBBLICI
50,0
51,7
7.3.2. UTENZE DOMESTICHE
45,7
46,8
40,0
39,6
7.4.1. CONTRASTO EVASIONE
FISCALE E TRIBUTARIA
34,8 7.4.2. ADDIZIONALI IRPEF
30,0
29,3
29,9
28,0
26,6
7.4.3. IMU
20,0
20,4
7.4.5. TASI
17,7
10,0
0,0
2012
0,0
2013
2014
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Queste ampie manovre negoziali sul piano locale si collocano in un contesto preciso. Nel corso degli anni più recenti le entrate tributarie dei comuni sono aumentate significativamente, sia in termini assoluti (ma soprattutto per lo spostamento di competenza delle entrate relative alle abitazioni) sia in termini relativi e cioè legati al peso delle entrate tributarie sulle altre entrate (specie quelle per servizi pubblici) e in rapporto alla spesa sociale. I dati desumibili dai bilanci dei comuni (Fonte: Bilanci dei comuni italiani, elaborazioni Abt3 su database Bureau Van Dijk)
3 Cfr. Xxxxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxx Xx Xxxxx, Le prestazioni sociali tra universalismo e selettività, Associazione Xxxxx Xxxxxxx, rapporto di ricerca, giugno 2015.
indicano infatti un aumento delle entrate tributarie dei comuni da una media intorno ai 21 miliardi di euro (2007-2010) a oltre 32 miliardi nel 2013; nel complesso, ma al lordo dell’aumento dell’indice dei prezzi, la spesa sociale è passata da 7,7 miliardi a 8,4 miliardi (2007- 2013). La relativa tenuta della spesa sociale, che si mantiene intorno al 10% del totale delle uscite dei comuni (sempre al lordo dell’adeguamento all’indice dei prezzi, in questo caso dei servizi e delle prestazioni erogate), va tuttavia connessa a un indicatore più preciso, e cioè la spesa media per abitante/nucleo famigliare. La spesa sociale per abitante risulta in discesa fin dal 2010 (da 147 a 139 euro/abitante nel 2013), eppure ancora sopra i valori nominali del 2007. Tuttavia è verosimile che valori aggiornati all’indice dei prezzi fornirebbero in realtà un andamento stagnante. Inoltre se il confronto tiene conto dei nuclei famigliari risulta un ritorno alla situazione rilevata nel 2007, se non una discesa sostanziale della spesa sociale media: da 355 euro nel 2010 a 326 nel 2013. Ciò, da una parte, può essere il segnale di una mancata risposta (per pressioni di bilancio certamente, ma anche per limiti culturali delle politiche sociali stesse), alle evoluzioni socio-demografiche dei bisogni dei cittadini: ad esempio, a fronte di una certa stabilità dei cittadini residenti, crescono i nuclei famigliari e in particolare i nuclei unipersonali, o comunque ristretti, che non a caso raccolgono anche alcune componenti fragili della popolazione (anziani soli, famiglie monoparentali, single e convivenze non affettive, e così via). Sotto un altro punto di vista, la riduzione della spesa sociale media per nucleo famigliare mal si combina con un orientamento delle prestazioni sociali, dei servizi e dei trasferimenti ai cittadini che sempre più diffusamente sono vincolati ai valori Isee, e cioè al reddito e alla ricchezza convenzionalmente calcolati su base del nucleo famigliare.
In relazione a queste tendenze delle entrate locali e della spesa sociale, va segnalata la combinazione di questo elemento con le iniziative di Contrasto dell’evasione. In un periodo di indubbia crescita della pressione fiscale e tributaria, questa attività non è necessariamente associata a un’estensione della base imponibile complessiva per un recupero delle aree grigie e dell’evasione tout court. Si pone pertanto l’esigenza di potenziare gli strumenti di monitoraggio e contrasto, anche e soprattutto mediante la riorganizzazione e la cooperazione delle amministrazioni pubbliche competenti. Nel complesso dei dati dell’Osservatorio, l’evidenza di iniziative per il Contrasto dell’evasione fiscale e tributaria mostra un trend discendente piuttosto lineare: tra 2012 e 2014, la voce si ritrova presente rispettivamente nel 45,7%, 39,6% e 34,8% degli Accordi. Peraltro, molti accordi al punto specifico prevedono ancora – dopo anni dall’avvio dei cosiddetti Patti antievasione – pure manifestazioni di interesse per la stipula di patti tra amministrazioni e solo in pochi casi dispongono linee guida per la riorganizzazione amministrativa, funzionale al recupero dell’evasione, oppure prevedono la condivisione delle risorse eventualmente già recuperate e la loro destinazione per la spesa sociale.
Il nuovo Isee e la contrattazione sociale – Xxxxx Xxxxxxxx (Cgil nazionale)
A 15 anni dalla sua introduzione l’Isee è stato completamente riformato, con un lungo e complesso iter iniziato con la legge 22 dicembre 2011 n. 214 (manovra Salva-Italia) e conclusosi con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale n. 19 del 24/01/2014, Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 5 dicembre 2013 n. 159.
Di fatto però il nuovo Isee è entrato in vigore dal 1 gennaio 2015, con i vecchi regolamenti, e solo adesso inizia la fase di definizione dei nuovi regolamenti, con un importante elemento di incertezza per il futuro legato alle sentenze del Tar del Lazio depositate l’11 febbraio 2015 che accolgono i ricorsi presentati per richiedere l’esclusione dal calcolo dell’Isee dell’indennità di accompagnamento, e comunque, di ogni somma percepita a titolo risarcitorio e non soggetta ad Irpef. In merito a tali sentenze il Ministero ha presentato ricorso, quindi, in attesa dell’esito si procede con il testo in vigore.
L’esigenza di misurare con criteri oggettivi la ricchezza delle persone e delle famiglie, a garanzia dell’equità nell’accesso a prestazioni e servizi agevolati nasce già negli anni ‘80/’90 e, nel 1998, per la prima volta viene introdotto l’Isee. Numerose situazioni hanno contribuito a diminuirne l’efficacia mettendone sostanzialmente in discussione le finalità equitative costitutive: prima fra tutte l’altissimo tasso di evasione fiscale, l’assenza e/o inefficacia dei controlli, la scarsa incidenza del patrimonio rispetto al reddito, la vastissima diversificazione dello strumento a livello territoriale, l’incapacità, con l’inizio della crisi di valutare le situazioni economiche sui redditi attuali, per chi perdeva il lavoro, fino a situazioni in cui si è assistito ad una vera e propria “mutazione” dello strumento (es. con il “fattore famiglia”) che da misuratore di ricchezza si è trasformato in strumento di politiche a sostegno della famiglia, peraltro, con effetti redistributivi assolutamente regressivi.
Il nuovo Isee risolve molte di queste criticità, a partire, da una novità fondamentale: l’Isee è un livello essenziale per l’accesso alle prestazioni sociali, scelta su cui si è già positivamente espressa anche la Corte Costituzionale, in questo modo si riconosce l’esigenza di omogeneità nazionale nelle modalità di misurazione della ricchezza e accesso agevolato alle prestazioni e non si può modificare la scala di equivalenza che ha costituito il principale mezzo di distorsione dell’Isee. Tra le novità principali:
- tutti i redditi e i patrimoni entrano nel calcolo;
- assegna un peso maggiore alla componente patrimoniale sia mobiliare che immobiliare;
- tiene conto del reddito attuale effettivo delle persone che hanno perso il lavoro o chiuso l’attività;
- rafforza e generalizza i controlli.
Molte di queste novità positive nascono dalle buone pratiche della contrattazione territoriale, specialmente per quanto riguarda l’Isee corrente, ed è una dimostrazione della capacità della negoziazione che si pratica sul territorio di conoscere e trovare adeguate soluzioni ai nuovi bisogni che si manifestano e della necessità di una interazione fra i diversi livelli contrattuali e negoziali. Ora è necessario presidiare e monitorare l’attuazione concreta dell’Isee, fin dalla definizione dei nuovi regolamenti, verificare che le nuove platee dei beneficiari siano composte effettivamente da chi ne ha diritto, che si rispetti l’omogeneità del calcolo definendo regolamenti di ambito e non di singoli servizio, ecc.
L’Isee quindi come un esempio di pratica negoziale, sia nel processo che ha portato a definire le proposte di modifica a livello nazionale, sia nel percorso di attuazione che necessita della stessa collaborazione e integrazione di tutti i livelli e i soggetti interessati.
La fiscalità locale – Xxxxx Xxxxxxxx (Spi Cgil nazionale)
Il faticoso e controverso percorso avviato alla fine degli anni ‘90 per la modifica in senso federalista del sistema amministrativo e fiscale non è stato ancora portato a conclusione. Tale percorso prevede la piena autonomia di entrata delle Regioni e degli enti locali eliminando i trasferimenti da parte dello stato centrale. La legge sul federalismo fiscale n. 42 è stata varata nel 2009, dopo nove anni dalla modifica del Titolo V della Costituzione. Una prima criticità è data dal fatto che il federalismo amministrativo non ha marciato di pari passo con quello fiscale. Ciò ha prodotto effetti distorsivi, per quanto concerne la capacità programmatoria, in particolare dei comuni (incertezza costante su fonti e flusso delle entrate). Ciò ha avuto ricadute negative anche per quanto riguarda l’erogazione dei servizi. L’atipico federalismo fiscale che ha preso corpo, senza un disegno organico e senza prevedere una adeguata sperimentazione, ha portato a un forte aumento della pressione fiscale (come evidenziato nelle analisi della Corte dei Conti). In particolare ciò è dovuto alla somma tra prelievo centrale e quello locale. Mentre nelle intenzioni del legislatore il prelievo locale doveva sostituire parte di quello nazionale, nei fatti esso si è sovrapposto a quello nazionale (si pensi alle addizionali Irpef). La crescita dei tributi locali ha colpito in particolare i bassi e medi redditi da lavoro e da pensione. In tale situazione la contrattazione sociale assume un ruolo fondamentale, non a caso gli accordi che riguardano le politiche di bilancio e la fiscalità assumono, anche statisticamente, un ruolo preminente. Le agevolazioni sulle tasse e tributi locali consentono un importante recupero del potere reddituale per le fasce sociali più deboli e per quelle che senza misure adeguate potrebbero cadere in povertà. Il dato certo è che l’attuale modello di fiscalità locale ha prodotto un aumento impositivo e che il sistema non è razionale. Soprattutto a livello comunale si è realizzato un sistema impositivo instabile e spesso confuso nell’applicazione. Dopo l’eliminazione dell’Ici e della Tarsu, che erano stati per anni elementi solidi di autonomia di entrata, si è passati a Imu e Tasi sul fronte immobiliare. Sul versante della raccolta dei rifiuti dopo l’introduzione della Tarsu si è passati alla Tia (Tia 1 e Tia 2) alla Tares, fino a giungere alla odierna Tari. Ciò ha determinato una grande difficoltà gestionale da parte dei comuni, evidenziata dal costante rinvio dell’approvazione del bilancio annuale di previsione. Da qui inevitabili ricadute negative, anche sulla contrattazione sociale con i comuni, che rappresentano il principale interlocutore istituzionale. L’avvio del nuovo sistema di contabilità per regioni ed enti locali porrà ulteriori difficoltà, sia per le amministrazioni sia per la contrattazione sociale. Questa importante innovazione pone dunque tra le priorità per il sindacato anche quella della predisposizione di percorsi formativi e di aggiornamento per coloro che saranno chiamati a svolgere la contrattazione sui bilanci regionali e comunali. Tra gli elementi che hanno determinato una flessione nella contrattazione con i comuni un fattore determinante è costituito dai tagli e dai risparmi imposti agli enti locali dal 2010 ad oggi, che hanno pesato per oltre 17 mld di euro, nonché dalle rigide regole del patto di stabilità interno che ha bloccato gli investimenti. La pratica della “regionalizzazione” del patto di stabilità ha consentito di liberare risorse che le regioni distribuiscono verso i comuni cosiddetti virtuosi. E’ certamente un primo passo, che dà ai comuni ulteriori risorse da destinare agli investimenti, ma è ancora troppo poco. Per una programmazione locale efficiente ed efficace occorrono interventi risolutori che riguardano:
• La definizione di un sistema di fiscalità regionale e comunale certo, che non subisca continue modifiche annuali.
• Il prelievo fiscale locale non deve sovrapporsi a quello nazionale consentendo in tal modo la diminuzione della pressione fiscale locale sui redditi da lavoro e da pensione.
• Una fiscalità locale aderente al principio della progressività e legata ai servizi erogati portando di conseguenza ad un sistema più equo.
Area 8. Azioni di contrasto delle discriminazioni e pari opportunità
Nel complesso, il peso dell’area Azioni di contrasto delle discriminazioni e pari opportunità oscilla nei tre anni considerati tra il 10,5% e il 12,5% (Grafico 23). Nel 2014 si colloca all’11,4%, in leggero calo sull’anno precedente, e tuttavia tutte le voci dell’area mostrano un calo anche più significativo proprio nell’anno passato: per esempio la voce più rilevante, quella delle Pari opportunità e integrazione in senso stretto (sia rivolta a migranti sia alla componente femminile della popolazione, ai disabili, ecc.) passa dall’8-9% al 5,2% del 2014; si ritrovano in essa, peraltro, principalmente servizi di tipo informativo e orientativo, ma pochi progetti finalizzati allo scopo e integrati con gli altri attori territoriali (imprese, terzo settore, ecc.). Più marginale ma sostanzialmente stabile è il Contrasto della violenza su donne e minori (intorno al 4%, soprattutto con servizi di informazione e tutela, in alcuni casi legati ai Centri antiviolenza). In calo, fino quasi a scomparire, le Azioni di contrasto del razzismo e xenofobia (dal 3,1% del 2012 allo 0,4% del 2014).
Trasversalmente si è sottolineato che il peso complessivo dell’area sul totale degli Accordi risulti sostanzialmente analogo a quello degli anni passati; ciò, tuttavia, a fronte del calo delle singole voci tematiche può essere indice di una minore compresenza, negli stessi documenti, di diverse voci negoziali riferite al contrasto delle discriminazioni e pari opportunità, alludendo quindi a interventi più episodici e non integrati tra loro. Ciò significa che assai raramente l’integrazione e le pari opportunità si soffermano simultaneamente sui diversi soggetti implicati (donne, giovani, immigrati, disabili, ex detenuti, ecc.) e soprattutto appare una declinazione riduttiva dell’antidiscriminazione, essendo scarsa la presenza del tema all’interno delle iniziative per il lavoro, nel contrasto della povertà o dell’esclusione sociale, le quali risultano assai poco centrate su un’ottica trasversale, ovvero orientata alla specificità dei soggetti e alla loro capacitazione.
Grafico 23, Area 8 - Azioni di contrasto delle discriminazioni e pari opportunità (Accordi, 2012-2014)
14,0
12,5
12,0
11,2
10,0
10,5
8,8
9,7
8,0
6,0
4,0
3,7
4,3
5,2
3,9
3,1
2,0
1,0
0,0
2012
2013
0,4
2014
8. CONTRASTO DISCRIMINAZIONI E PARI OPPORTUNITÀ
8.1. PARI OPPORTUNITÀ ED INTEGRAZIONE
8.3. AZIONI CONTRO RAZZISMO/XENOFOBIA
8.6. CONTRASTO DELLA VIOLENZA SU DONNE E MINORI
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Le attività dell’Ufficio politiche per l’immigrazione – Xxxxx Xxxx (Cgil nazionale)
L’immigrazione costituisce una questione strategica per la Cgil. Le migrazioni nel mondo, nell’Unione europea e in Italia hanno assunto dimensioni e caratteristiche sempre più strutturali; la conoscenza di questa realtà risulta ancora limitata, offuscata da luoghi comuni e paure. Dalla metà degli anni ‘70, e in misura più consistente a partire dagli anni ‘80, l’Italia è diventata paese di immigrazione. I cittadini migranti residenti in Italia sono oltre 5 milioni su una popolazione complessiva di oltre 60 milioni di persone. Le donne sono il 52,7%, i minori oltre 1 milione e oltre 800.000 gli iscritti a scuola (dati Idos, 2013). L’incidenza dei residenti migranti sulla popolazione totale ha raggiunto oltre l’8% (1 ogni 12 abitanti) e 27 province supera il 10%. In Italia, paese maggiormente esposto per la sua posizione geografica ai flussi di migranti in fuga da guerre, conflitti povertà e persecuzioni attraverso il Mediterraneo, le persone sbarcate richiedenti asilo o di protezione umanitaria sono passate da 22.000 2006 a 130.000 nei primi 9 mesi del 2014.
Oltre 400.000 lavoratrici e lavoratori immigrati sono iscritti alla nostra organizzazione.
Ruolo e attività dell’ufficio immigrazione in una ottica trasversale all’interno dell’iniziativa politico sindacale della Cgil:
1. lotta alle discriminazioni nei luoghi di lavoro, contrasto al lavoro nero, sommerso e insicuro in sinergia con la Confederazione (contrattazione inclusiva) e con le Categorie (contrattazione che tiene conto delle specificità dei lavoratori migranti: ferie, mense ecc.), proposte, azioni rivendicative o vertenziali rivolte alle istituzioni e decisori politici per favorire politiche inclusive. Particolare attenzione è rivolta alle donne migranti e ai minori.
2. Iniziative e campagne contro il razzismo e xenofobia.
3. Iniziative per il pieno riconoscimento dei diritti di cittadinanza (pari opportunità per l’accesso al welfare, partecipazione alla vita pubblica, ecc.).
4. Iniziative e azioni politiche, rivendicative e vertenziali in sinergia con il sistema dei servizi della Cgil di tutela individuale, al fine per favorire attività di assistenza, informazione e consulenza rivolte ai cittadini migranti e loro famiglie nel rispetto dei diritti previsti dalle norme costituzionali, europee ed internazionali.
5. Proposte e iniziative per garantire diritti e accoglienza dignitosa per i richiedenti asilo, per le persone che chiedono protezione umanitaria.
6. Iniziative in collaborazione con le organizzazioni sindacali, istituzioni europee ed internazionali per diritti dei migranti.
Area 9. Politiche abitative e del territorio
L’area delle Politiche abitative e del territorio allude ai diversi interventi sugli aspetti multidimensionali dell’azione territoriale: la cura del territorio stesso e la progettazione infrastrutturale, le gestione della complessità dei sistemi urbani (mobilità, servizi, ambiente e rifiuti, energia) e la dimensione dell’abitare. L’area nel suo complesso è presente, con almeno una delle sue voci specifiche, in circa la metà degli Accordi nel periodo 2012-2014 (Grafico 24). L’andamento complessivo dell’area, più che in altri campi delle politiche sociali territoriali, rappresenta in qualche modo la generalità delle voci che vi sono incluse: difatti, a un calo generalizzato nel 2013, corrisponde una ripresa degli interventi in quasi tutti i campi di intervento nel corso del 2014. Appare un segno ancora debole di ripresa – desumibile anche dal
testo degli Accordi – di interventi di investimento nel campo delle piccole opere di manutenzione del territorio urbano (10%, nel 2014), ma anche iniziative di infrastrutturazione più rilevante (strade, edifici pubblici, ecc., nel 7,8% degli Accordi 2014), nonché di risparmio energetico in prospettiva di sostenibilità (8,6% nel 2014).
Anche la dimensione collegata all’abitare ha avuto un andamento simile: discendente nel 2013 e ascendente nel 2014. Con l’eccezione assai rilevante della voce relativa ai contributi per gli affitti, che sono peraltro la voce più rappresentativa: dal 35,9% degli Accordi nel 2012 al 30,1% del 2014. Si tratta di una modalità di intervento di sostegno ai nuclei più disagiati tra quelle più diffuse nel “paniere” degli interventi antipovertà; tuttavia essa segna una tendenza negativa anche per l’incertezza del sistema dei fondi per l’affitto, a partire dalle oscillazioni considerevoli che hanno segnato il finanziamento del Fondo nazionale locazioni negli ultimi anni. Le altre voci, invece, risultano in crescita, e indicano (pur a parità di risorse, quasi per un travaso da una voce all’altra) l’insistenza delle politiche abitative sulle strategie antipovertà: difatti gli interventi sull’Emergenza abitativa passano da circa il 6-7% del 2012-2013 al 13,1% del 2014; la Programmazione dell’edilizia sociale raggiunge il 12,5% (in particolare con piccoli interventi sul patrimonio pubblico e con progetti speciali di social housing).
35,9
32,1
30,1
54,6
55,3
43,6
Grafico 24, Area 9 – Politiche abitative e del territorio (Accordi, 2012-2014)
60,0
50,0
9. ABITARE E TERRITORIO
40,0
9.1.2. RECUPERO URBANO E
CURA DEL TERRITORIO
30,0
9.1.3.
INFRASTRUTTURAZIONE DEL TERRITORIO
9.2.3. EFFICIENZA E
RISPARMIO ENERGETICO
9.3.1. PROGRAMMAZIONE EDILIZIA SOCIALE
20,0
9.3.3. EMERGENZA
ABITATIVA
9.3.4. INTERVENTI SUGLI
AFFITTI
10,0
0,0
2012
2013
2014
11,6
8,7
6,3 6,9
5,8
8,17,9
6,8
4,1
2,3
13,1
12,5
10,0
8,6
7,8
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Area 10. Politiche dell’infanzia, per i giovani, educative e dell’istruzione
L’area delle Politiche per l’infanzia, giovani, educative e dell’istruzione mostra un andamento assai simile a quello delle Politiche abitative: tra 2012 e 2014 segna rispettivamente una presenza nel 40,9%, nel 27,5% e nel 44,7% degli Accordi (Grafico 25). A una contrazione consistente nel 2013 è seguita una ripresa sui valori del 2012 durante l’anno passato. Ciò, invece che indicare un aumento di interventi e di risorse, pare dovuto al convergere di diversi fattori: un’estensione dei servizi educativi e socio-educativi sottoposti a Isee, in particolare per quanto riguarda la compartecipazione ai costi dei servizi (le rette di frequenza agli asili nido, la cui presenza negli accordi è del 18,8% nel 2014, e mense e trasporti scolastici che raggiungono il 22,5%). Tra gli interventi qualitativi che invece segnalano tentativi di innovazione dell’offerta dei servizi vi sono quelli per l’Integrazione (7,4% nel 2014, rivolti soprattutto a minori disabili e stranieri) e per l’implementazione del pre e post-scuola (che passa da circa il 6% del 2012-2013 al 16,2% del 2014). Da segnalare che aldilà dell’andamento quantitativo del negoziato sugli aspetti economici relativi a rette e tariffe, sono assai rari gli interventi legati all’incremento dell’offerta, in termini quantitativi, oltre che agli aspetti di qualità e organizzazione dei servizi. Sullo sfondo della contrattazione sociale, infatti, è utile osservare le tendenze più generali dei dati: gli asili nido e gli altri servizi socio-educativi per la prima infanzia (servizi integrativi) assorbono circa il 18% delle risorse dedicate dai comuni al welfare locale e il 46% della spesa rivolta all’area di utenza “famiglia e minori” (Istat, L’offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia. Anno scolastico 2012/2013). Rispetto all’andamento complessivo emergono anche elementi contraddittori: la compartecipazione alla spesa da parte degli utenti è in aumento negli anni della crisi (dal 17,9% del 2008/2009 al 19,2% del 2012/2013); nello stesso periodo l’indicatore di presa in carico (il numero di utenti rispetto alla popolazione di riferimento 0-2 anni) è in aumento per gli asili nido, dal 10,5% al 12,3%, ma si dimezza per i servizi integrativi, dal 2,3% al 1,2%.
44,7
40,9
27,5
Grafico 25, Area 10 – Politiche dell’infanzia, per i giovani, educative e dell’istruzione (Accordi, 2012-2014)
50,0
45,0
40,0
10. INFANZIA E GIOVANI
35,0
10.1. ASILI NIDO
30,0
25,0
20,0
15,0
10,0
10.2. SCUOLE
D’INFANZIA
10.3. SCUOLA PRIMARIA E MEDIE
10.5.1. PRE E POST- SCUOLA
10.5.2. MENSE E TRASPORTI
10.5.3. INTEGRAZIONE
5,0
0,0
2012
2013
2014
21,9
22,5
18,6
17,4
14,3
18,8
16,2
9,9
76,9
6,7
10,5
8,2
6,8
3,9
12,0
10,1
7,4
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Infanzia e integrazione delle politiche sociali – Xxxxx Xxxxxxxx (Cgil nazionale)
I temi legati alla condizione dell’infanzia hanno una scarsissima attenzione nella contrattazione territoriale, essi vengono affrontati solo in relazione all’accesso ai servizi educativi in particolare per quanto riguarda l’uso delle mense e, in misura ancora minore la compartecipazione ai costi del servizio.
Non si prende mai in considerazione la condizione dei bambini nella sua interezza. È in questa fase, nei primissimi anni di vita, che si che si determinano le condizioni per lo sviluppo delle capacità cognitive, delle competenze sociali, della relazione con se stessi e con gli altri, ecc.
Naturalmente l’ambiente circostante, familiare e sociale può favorire o ostacolare questi processi.
Gli ultimi dati ci rappresentano una situazione in cui gli elementi di rischio sono in forte aumento:
- dopo un periodo di aumento, dal 2011 per la prima volta si ha un decremento del numero di bambini che frequentano i nidi comunali, tendenza confermata per il 2012/2013.
- i bambini che si avvalgono di un servizio socio-educativo pubblico sono 218.412 (dati 2013 – Istat) pari al 13,5% della popolazione sotto i 3 anni, con situazioni nel Sud che arrivano al 2,1% della Calabria
- 1 bambino su sette è in condizione di povertà assoluta
- 1 bambino su 20 vive in aree fortemente inquinate
- 1 bambino su 8 nasce in punti nascita non sufficientemente attrezzati per offrire cure perinatali
- l’aumento dei minori stranieri non accompagnati
Questi sono solo alcuni macroscopici indicatori di rischio frutto delle crescenti disuguaglianze delle condizioni di partenza e dai trend sempre più polarizzati di distribuzione del reddito, che non si affrontano nella contrattazione sociale e territoriale.
Si tratta di affrontare il tema del benessere e dei diritti dell’infanzia sotto una pluralità di aspetti, per esempio, tra i più significativi:
a) servizi educativi concepiti fin dal primo anno di vita come presidi educativi ed universali e, solo di conseguenza, come servizi per la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, con azioni di coinvolgimento delle famiglie;
b) integrazione tra servizi sulla base di accordi e protocolli operativi comuni;
c) interventi a sostegno delle persone/famiglie in condizioni di povertà con la presenza di minori sia dal punto di vista economico che della disponibilità di servizi.
Naturalmente questi temi non si possono affrontare solo a livello locale, sono innegabili gli effetti negativi dell’assenza di un sistema organico di politiche per l’infanzia e la mancanza di una regia che riesca almeno a coordinare le risorse e gli interventi (diretti o collegati) dei singoli ministeri, che non intervenga più occasionalmente e solo sulle emergenze conclamate.
In questo contesto si rende assolutamente necessaria la definizione di livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti dell’infanzia. Il Garante nazionale per l’infanzia ha presentato una proposta di livelli essenziali frutto di un lavoro collegiale cui ha partecipato anche la Cgil.
L’infanzia è uno dei temi su cui sperimentare una nuova stagione negoziale attraverso la definizione di una “piattaforma generale” in cui siano espliciti il “dialogo” e l’interazione degli e fra gli interventi, ai vari livelli territoriali e istituzionali (dall’ente locale al governo nazionale) e che si avvalga di tutte le competenze necessarie di carattere confederale e di categoria.
Area 11. Politiche culturali, di socializzazione e sicurezza
L’Area delle Politiche culturali, di socializzazione e sicurezza aveva segnato nel corso degli anni più recenti una contrazione significativa, anche precedente ai dati da cui parte la serie del Grafico 26. In linea generale, l’area cresce da valori complessivi intorno al 28-30% (tra 2012 e 2013) al 39,7% del 2014. Osservando il dettaglio delle voci dei livelli inferiori, e la lettura degli accordi, si può notare come la crescita nel suo complesso si fondi in particolare sulla spinta di piccole e diffuse iniziative culturali (dall’1% degli Accordi nel 2012 al 13,1% del 2014%), in un tentativo di rianimare il tessuto urbano, sociale e associativo, spesso in relazione al sostegno di iniziative promosse dalle associazioni culturali del territorio. Altre tematiche, maggiormente legate a investimenti e iniziativa pubblica, vedono invece una costante contrazione: il sostegno al turismo sociale (che scende sotto il 10% degli Accordi, soprattutto rivolto ai cittadini anziani) e i contributi per i centri di aggregazione, prevalentemente destinati ai giovani, ma anche centri sociali per anziani (dal 17,5% del 2012 al 15,5% del 2014).
39,7
30,1
28,5
Grafico 26, Area 11 – Politiche culturali, di socializzazione e sicurezza (Accordi, 2012-2014)
45,0
40,0
35,0
30,0
25,0
20,0
11. CULTURA SOCIALITÀ E
SICUREZZA
11.1.1. BIBLIOTECHE E SERVIZI INFORMATIVI
11.1.2. ATTIVITÀ CULTURALI/INTERCULTURALI
11.2.1. CENTRI DI AGGREGAZIONE
15,0
11.2.2. TURISMO SOCIALE
11.2.3. SPORT DI BASE
10,0
5,0
0,0
2012
2013
2014
17,5
15,6
14,3
15,5
13,1
11,6
9,6
4,0
1,9
1,0
4,5
2,0
2,0
4,5
3,7
Fonte: dati Ocs, elaborazione Abt
Appendice: la contrattazione sociale 2014, le tematiche
Area 1. Relazioni tra le parti e definizione del processo
Accordi
Area primo livello Area secondo livello Area terzo livello
1. Relazioni tra le parti e definizione del processo (420 / 81,2%)
1.1. Valutazioni di premessa (387 / 74,9%)
1.2. Composizione tavoli di confronto (187 / 36,2%)
1.3. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori (71 /
13,7%)
Area 2. Politiche e strumenti della partecipazione e cittadinanza attiva
Accordi
Area primo livello Area secondo livello Area terzo livello
2. Politiche e strumenti della partecipazione e cittadinanza attiva (189 / 36,6%)
2.1. Bilanci sulla qualità sociale (41 / 7,9%)
2.2. Bilancio partecipato, partecipativo (21 / 4,1%)
2.3. Percorsi di informazione, consultazione coinvolgimento dei lavoratori e dei cittadini (102 / 19,7%)
2.4. Promozione del terzo settore e della partecipazione sociale (71 / 13,7%)
2.5. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori
2.1.1. Bilancio sociale (11 / 1,1%)
2.1.2. Bilancio di genere (1 / 0,1%)
2.1.3. Bilancio ambientale (0)
(12 / 2,3%)
Area 3. Pubblica amministrazione
Accordi
Area primo livello Area secondo livello Area terzo livello
3. Pubblica amministrazione (181 / 35,0%)
3.1. Politiche del personale (39 / 7,5%)
3.2. Esternalizzazioni e internalizzazioni (19 / 3,7%)
3.3. Regolazione appalti e subappalti (35 / 6,8%)
3.4. Accreditamento (3 / 0,6%)
3.5. Formazione del personale e organizzazione (56 / 10,8%)
3.6. Aziende pubbliche e partecipate (24 / 4,6%)
3.7. Relazioni tra amministrazioni e gestioni associate (119 / 23,0%)
3.8. Uso del patrimonio pubblico (19 / 3,7%)
3.9. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori (8 / 1,5%)
Area 4. Politiche di bilancio
Accordi
Area primo livello Area secondo livello Area terzo livello
4. Politiche di bilancio (320 / 61,9%)
4.1. Confronto sugli accordi di mandato (3 / 0,6%)
4.2. Confronto sui bilanci di previsione (293 / 56,7%)
4.3. Confronti su consuntivo e assestamento di bilancio (15 / 2,9%)
4.4. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori (7 / 1,4%)
Area 5. Politiche socio-sanitarie ed assistenziali
Accordi
Area primo livello Area secondo livello Area terzo livello
5. Politiche socio-sanitarie ed assistenziali (395 / 76,4%)
5.1. Programmazione servizi e
prestazioni (123 / 23,8%)
5.2. Modelli organizzativi e dell’offerta (132 / 25,5%)
5.3. Prestazioni e servizi (282 / 54,5%)
5.4. Interventi di contrasto alla povertà (229 / 44,3%)
5.5 Non autosufficienza (165 / 31,9%)
5.6. Welfare integrativo / mutualità territoriale (5 / 1,0%)
5.7. Monitoraggio, ricerca, raccolta
5.1.1. Piani e programmazione sociale (62 / 12,7%)
5.1.2. Piani e programmazione sanitaria (15 / 3,1%)
5.1.3. Piani e programmazione integrata (25 / 5,1%)
5.1.4. Piani di zona e/o distrettuali (73 / 14,9%)
5.2.1. Aziende speciali e società partecipate (16 / 3,
5.2.2. Modalità di affidamento delle prestazioni (58
5.2.3. Semplificazione percorsi di accesso (42 / 8,6%
5.2.4. Modalità di presa in carico (48 / 9,8%)
5.2.5. Carta dei servizi / Diritti degli utenti (38 / 7,8%
5.3.1. Residenziali (125 / 25,6%)
5.3.2. Semiresidenziali (34 / 7,0%)
5.3.3. Domiciliari (225 / 46,0%)
5.3.4. Territoriali (118 / 24,1%)
5.3.5. Accoglienza ed emergenza (28 / 5,7%)
5.3.6. Prevenzione socio-sanitaria e promozione dell benessere (61 / 12,5%)
5.4.1. Minimo vitale / Reddito minimo (28 / 5,7%)
5.4.2. Contributi economici una tantum (133 / 27,2%
5.4.3. Contributi in servizi / beni di prima necessità (
5.4.4. Interventi promozionali per l’inclusione social
5.5.1. Contributi economici (111 / 22,7%)
5.5.2. Servizi di sostegno alla non-autosufficienza (1
5.5.3. Regolarizzazione, formazione e accreditament (15 / 3,1%)
dati, osservatori (33 / 6,4%)
Area 6. Politiche del lavoro e dello sviluppo
Accordi
Area primo livello Area secondo livello Area terzo livello
6. Politiche del lavoro e dello sviluppo (274 / 53,0%)
6.1. Accordi di area e pianificazione
interventi (17 / 3,3%)
6.2. Sviluppo dell’economia sociale e solidale (14 / 2,7%)
6.3. Sostegno ad aziende e creazione di impresa (32 / 6,2%)
6.4. Azioni per l’inserimento lavorativo (146 / 28,2%)
6.5. Tutela del lavoro (63 / 12,2%)
6.6. Protezione sociale e del reddito (106 / 20,5%)
6.7. Azioni per la conciliazione (6 / 1,2%)
6.8. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati,
6.4.1. Sportello lavoro / servizi per l’impiego
6.4.2. Formazione continua / professionale (
6.4.3. Progetti speciali di inserimento socio-l (113 / 23,1%)
6.5.1. Contrasto ed emersione del lavoro ne irregolare
(28 / 5,7%)
6.5.2. Contrasto della precarietà e stabilizzaz lavoro
(16 / 3,3%)
6.5.3. Salute e sicurezza (41 / 8,4%)
6.6.1. Ammortizzatori sociali (12 / 2,5%)
6.6.2. Sostegno al reddito dei soggetti intere aziendali o occupazionali (89 / 18,2%)
6.6.3. Sostegno all’autoimpiego e microimpr
osservatori (15 / 2,9%)
Area 7. Politica locale dei redditi e delle entrate
Accordi
Area primo livello Area secondo livello Area terzo livello
7. Politica locale dei redditi e delle entrate (426 / 82,4%)
7.1. Isee (242 / 46,8%)
7.2. Compartecipazione costi welfare (188 / 36,4%)
7.3. Tariffe servizi pubblici (258 / 49,9%)
7.4. Imposte e tasse locali (360 / 69,6%)
7.5. Altre imposte tariffe e tasse locali (9 / 1,7%)
7.6. Calmieramento prezzi (5 / 1,0%)
7.6. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati,
7.2.1. Rette servizi pubblici (130 / 26,6%)
7.2.2. Ticket sanitari (79 / 16,2%)
7.3.1. Rifiuti (168 / 34,4%)
7.3.2. Utenze domestiche (137 / 28,8%)
7.3.3. Trasposti pubblici (25 / 5,1%)
7.4.1. Contrasto all’evasione fiscale e tributaria (170 / 34,8%)
7.4.2. Addizionali Irpef (268 / 54,8%) 7.4.3. Imu (253 / 51,7%)
7.4.4. Tasse di scopo (74 / 15,1%) 7.4.5. Tasi (269 / 55,0%)
osservatori (17 / 3,3%)
Area 8. Azioni di contrasto delle discriminazioni e pari opportunità
Accordi
Area primo livello Area secondo livello Area terz
8. Azioni di contrasto delle discriminazioni e pari opportunità (58 / 11,2%)
8.1. Pari opportunità e integrazione (27 / 5,2%)
8.2. Azioni contro le discriminazioni per età (3 / 0,6%)
8.3. Azioni contro razzismo e xenofobia (2 / 0,4%)
8.4. Azioni contro le discriminazioni di genere e scelta sessuale (1 / 0,2%)
8.5. Azioni contro le discriminazioni ai disabili (0 / 0,0%)
8.6. Azioni di contrasto della violenza su donne e minori (20 / 3,9%)
8.7. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori (3 / 0,6%)
Area 9. Politiche abitative e del territorio
Accordi
Area primo livello Area secondo livello Area terzo livello
9. Politiche abitative e del territorio (286 / 55,3%)
9.1. Pianificazione e gestione del
territorio (77 / 14,9%)
9.2. Politiche ambientali (97 / 18,8%)
9.3. Politiche per la casa e condizione abitativa (215 / 41,6%)
9.4. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati,
9.1.1. Definizione, attuazione e varianti dei piani (1 / 0,2%)
9.1.2. Programmazione, recupero urbano e cura 49 / 10,0%)
9.1.3. Programmi di infrastrutturazione del territ (38 / 7,8%)
9.1.4. Adeguamento tempi e orari della città (0 /
9.2.1. Organizzazione servizi igiene urbana, racco differenziata e verde pubblico (31 / 6,3%)
9.2.2. Mobilità urbana ed extraurbana (46 / 9,4%
9.2.3. Efficienza e risparmio energetico ed idrico
9.3.1. Programmazione edilizia sociale (61 / 12,5
9.3.2. Risanamento alloggi (24 / 4,9%)
9.3.3. Graduazione sfratti emergenza abitativa e (64 / 13,1%)
9.3.4. Interventi sugli affitti (147 / 30,1%)
9.3.5. Agevolazioni acquisto prima casa (5 / 1,0%
osservatori (4 / 0,8%)
Area 10. Politiche dell’infanzia, per i giovani, educative e dell’istruzione
Accordi
Area primo livello Area secondo livello Area terzo livello
10. Politiche dell’infanzia, per i giovani, educative e dell’istruzione (231 / 44,7%)
10.1. Asili nido (97 / 18,8%)
10.2. Scuole d’infanzia (62 / 12,0%)
10.3. Scuola primaria e medie inferiori (52 / 10,1%)
10.4. Università, scuole superiori, Centri di Formazione Professionale (8 / 1,5%)
10.5. Diritto allo studio (155 / 30,0%)
10.6. Apprendimento permanente e università popolari (3 / 0,6%)
10.7. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati,
10.5.1. Pre e post-scuola (79 / 16,2%)
10.5.2. Mense e trasporti (110 / 22,5%)
10.5.3. Integrazione (36 / 7,4%)
10.5.4. Convenzioni e agevolazioni per gli studenti (20 / 4,1%)
10.5.5. Contrasto della dispersione scolastica (13 / 2,7%)
osservatori (3 / 0,6%)
Area 11. Politiche culturali, di socializzazione e sicurezza
Accordi
Area primo livello Area secondo livello Area terzo livello
11. Politiche culturali, di socializzazione e sicurezza (205 / 39,7%)
11.1. Promozione dell’offerta e delle attività
culturali (73 / 14,1%)
11.2. Iniziative di socializzazione (149 / 28,8%)
11.3. Piani per la sicurezza urbana, la vigilanza ed i soccorsi (58 / 11,2%)
11.4. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati,
11.1.1. Biblioteche e servizi informativi (18 / 3,7%)
11.1.2. Promozione delle attività culturali e interculturali (64 / 13,1%)
11.2.1. Promozione centri di aggregazione (76 / 15,5%)
11.2.2. Promozione del turismo sociale (47 / 9,6%)
11.2.3. Promozione dello sport di base (22 / 4,5%)
osservatori (0 / 0,0%)