La convivenza di fatto dopo la L. 2016/76
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La convivenza di fatto dopo la L. 2016/76
SOMMARIO: 1. Premessa; 2. I fatti costitutivi; 3. I fatti impeditivi; 4. Gli effetti; 5.
Il contratto di convivenza; 6. Gli effetti dell’estinzione; 7. Il diritto intertemporale.
§ 1. La legge 20 maggio 2016 n. 76, rubricata <<Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze>>, ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento una disciplina parallela a quella del matrimonio per le coppie omosessuali.
Le ben note vicissitudini politiche e non politiche delle unioni omosessuali hanno indotto il governo a porre la fiducia su un maxi-emendamento. Ciò ha determinato una peculiare struttura normativa, in quanto la L. 2016/76 è composta da un unico articolo composto di ben 69 commi, di cui i primi 35 riguardano le unioni civili, ed i commi da 36 a 65 riguardano le convivenze1.
Dei due istituti, quello che a mio avviso presenta maggiori problematicità è il secondo: infatti, le unioni civili omosessuali nella sostanza ricalcano la disciplina del matrimonio, con qualche differenza di dettaglio: ad es., per le unioni civili non è previsto l’istituto della separazione, ma unicamente lo scioglimento del rapporto.
Invece la disciplina delle convivenze si presenta in molti suoi snodi fondamentali come bisognosa di una seria ricostruzione sistematica, tante sono le incertezze e le omissioni della legge, certamente dovute all’assoluta, prevalente attenzione che è stata dedicata alle unioni civili.
Tanto per indicare subito due problemi fondamentali, che saranno esaminati più approfonditamente in seguito, possiamo chiederci: ma la disciplina della convivenza si applica anche se gli interessati non la vogliono2? Il legislatore ha ancora lasciato ai cittadini,
1 Evidentemente il legislatore non concorda con il ben noto aforisma napoleonico: <<les concubins se passent de la loi; la loi se désintéresse d’eux>>. Solo che il disinteresse della legge conduce ad una scelta di libertà; mentre l’interesse della legge può – se non calibrato bene – essere causa di una illiberale intromissione nella libera scelta dei cittadini.
2 Si ricordi quanto affermato da Corte cost. 1998 n. 166 a proposito dei rapporti fra matrimonio e convivenza di fatto: le parti. << nel preferire un rapporto di fatto hanno dimostrato di non voler assumere i diritti e i doveri nascenti dal matrimonio; onde la imposizione di norme, applicate in via analogica, a coloro che non hanno voluto assumere i diritti e i doveri inerenti al rapporto coniugale si potrebbe tradurre in una inammissibile violazione della libertà di scelta tra matrimonio e forme di convivenza>>. Lo stesso tipo di ragionamento può essere fatto anche a chi oggi, di comune accordo, vuole convivere senza assumere obblighi.
xxxxxxxxxxx e vaccinati, la libertà di convivere senza sottostare alla disciplina della legge? E ancora: i diritti che, in via interpretativa, venivano finora riconosciuti alle coppie di fatto possono ancora riconoscersi a chi non può o non vuole instaurare una convivenza ai sensi della L. 2016/76?
§ 2. Il comma 36 definisce conviventi di fatto <<due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile>>. Il comma successivo afferma che << ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 2233>>.
Una facile considerazione preliminare: la convivenza ai sensi della L. 2016/76 è limitata a due persone: questo esclude ogni possibilità che un matrimonio poligamico possa essere, nell’ordinamento italiano, qualificato come convivenza.
Ciò precisato, il primo e forse principale problema che si pone riguarda la fattispecie costitutiva della convivenza: deve certamente sussistere (sia pur con le precisazioni che faremo in questo stesso §) il presupposto fattuale dell’unione fondata su legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale. Tuttavia è necessaria anche la convivenza abbia il requisito della <<stabilità>>, e questa è <<accertata>> – fermo appunto il presupposto fattuale di cui sopra – dalle risultanze anagrafiche.
Xxxxxx, in primo luogo la norma sembra chiara nel non ammettere equivalenti per la prova della stabile sussistenza: occorre che questa risulti da una dichiarazione anagrafica. Il presupposto fattuale è necessario ma non sufficiente: occorre anche che esso sia in qualche modo formalizzato in un atto conoscibile dall’esterno4.
3 Le norme richiamate sono le seguenti:
art. 4 – Famiglia anagrafica - 1. Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune.
2. Una famiglia anagrafica può essere costituita da una sola persona.
art. 13 – Dichiarazioni anagrafiche - 1. Le dichiarazioni anagrafiche da rendersi dai responsabili di cui all'art. 6 del presente regolamento concernono i seguenti fatti:
…..
b) costituzione di nuova famiglia o di nuova convivenza, ovvero mutamenti intervenuti nella composizione della famiglia o della convivenza.
4 Conf. XXXXXXX e LEO, Formazioni sociali con doppia disciplina a “geometria variabile”, in Guida al Diritto 2016, n. 25, 62; sul punto v. anche XXXXXXX, Convivenza di fatto, si “gioca la partita” degli orientamenti, in Guida al diritto 2016, n. 26, 14 ss.; ID., L’elemento costitutivo passa per l’iscrizione agli uffici anagrafici, ivi 22 ss.
Poiché la formazione di questo atto dipende da una dichiarazione (ed esattamente, dalla dichiarazione resa da uno dei soggetti indicati nell’art. 6 del d.p.r. 1989/2235), cioè da un atto volontario (ancorché non negoziale), ne consegue che i due conviventi possono decidere di non rendere la detta dichiarazione e quindi di escludere l’applicazione della normativa sulle convivenze di fatto. Come già accennato, dovremo poi vedere quale disciplina si applica al questa categoria di convivenze di fatto.
Ma se, dunque, l’ordinamento consente ancora a due persone di convivere senza assumere i vincoli, sia pur minori rispetto al matrimonio, previsti dalla L. 76, è pur sempre vero che la dichiarazione di convivenza, allo stato della normativa vigente, può essere resa da uno solo dei componenti la coppia: l’art. 6, comma primo, del d.p.r. 1989/223 è chiarissimo in tal senso.
Dunque la conclusione è che una convivenza, che abbia il presupposto fattuale di cui al comma 36, può rimanere esclusa dall’applicazione delle legge se e fintanto che uno dei due componenti la coppia lo vuole. Ma se uno di essi cambia opinione e rende la dichiarazione anagrafica, con la sua decisione unilaterale muta anche il regime giuridico della convivenza. Dall’altro lato, dato che la dichiarazione resa all’anagrafe è unilaterale, niente impedisce che l’altro a sua volta renda una successiva dichiarazione contraria.
Evidentemente, la previsione del comma 37 presenta forti difficoltà operative allo stato dell’attuale normativa sull’anagrafe6.
Ma, ancora a monte, la possibilità che si instauri un rapporto giuridico senza il consenso di tutti gli interessati fa sorgere fondate perplessità: una legge, politicamente giustificata come tutela dei diritti civili, ha il risultato di fondare l’applicazione di obblighi giuridici senza o anche contro la volontà del soggetto interessato7.
Un secondo problema riguarda invece la rilevanza da attribuirsi al dato fattuale << legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale>>. Sembra ovvio che il legislatore, con tale doppia qualificazione, abbia inteso descrivere un rapporto in cui è determinante il dato sessuale. Tuttavia, mentre l’elemento costituito dalla reciproca assistenza ha una base fattuale, difficilmente il legame affettivo di coppia può manifestarsi
5 Art. 6 – Responsabili delle dichiarazioni anagrafiche - 1. Ciascun componente della famiglia è responsabile per sé e per le persone sulle quali esercita la potestà o la tutela delle dichiarazioni anagrafiche di cui all'art. 13. Ciascun componente può rendere inoltre le dichiarazioni relative alle mutazioni delle posizioni degli altri componenti della famiglia.
2. Agli effetti degli stessi adempimenti la convivenza ha un suo responsabile da individuare nella persona che normalmente dirige la convivenza stessa.
3. Le persone che rendono le dichiarazioni anagrafiche debbono comprovare la propria identità mediante l'esibizione di un documento di riconoscimento.
6 Occorre tuttavia rilevare che alcune amministrazioni comunali hanno, a mio avviso del tutto opportunamente, predisposto dei modelli per la dichiarazione di costituzione della convivenza di fatto, che prevedono la sottoscrizione di tutti e due i componenti la coppia: v., ad es., il modello del Comune di Milano in Guida al Diritto2016, n. 26, 20.
7 Cosi anche MIGLIETTA, Convivenze di fatto: gli spiacevoli effetti collaterali, in Guida al Diritto 2016, n. 25, 8 ss.; FINOCCHIARO, Sottoposti a norme due maggiorenni con un legame stabile, ibidem, 59.
all’esterno. Neppure la diversità di sesso è oramai più rilevante. Detto in altri termini, niente impedirà a due amici che vogliono convivere di formalizzare la loro convivenza ai sensi della L. 79/2016, ancorché non vi sia un legame affettivo di coppia fra i due.
§ 3. Il comma 36 enuncia gli elementi ostativi alla realizzazione di una convivenza8: questa non può essere costituita se le due persone sono minorenni, o sono vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile. Qui ovviamente occorre distinguere quando l’elemento ostativo deve riguardare ambedue i soggetti oppure è sufficiente che riguardi uno solo di essi.
Indubbiamente è sufficiente la minor età di uno solo dei soggetti interessati per impedire la convivenza si realizzi. Altrettanto deve dirsi quando uno di essi è vincolato da un matrimonio o da un’unione civile, ovviamente con una terza persona. Non avrebbe senso, infatti, ipotizzare che il vincolo del matrimonio o dell’unione civile, ostativo alla realizzazione della convivenza, debba sussistere fra i due interessati, in quanto in tal caso, ovviamente, la realizzazione di una convivenza costituirebbe una superflua duplicazione al ribasso di un rapporto già esistente.
Viceversa, il rapporto di parentela, affinità o adozione è ostativo se intercorre fra i due soggetti. Qui però nasce la questione di individuare l’esatto grado di parentela ed affinità rilevante per impedire la realizzazione della convivenza.
La normativa generale è costituita dagli artt. 77 e 78 c.c., secondo i quali la parentela ha rilevanza giuridica fino al sesto grado, ed altrettanto vale per l’affinità. Tuttavia, questa soluzione porterebbe all’assurdo che i limiti alla realizzazione della convivenza sarebbero maggiori dei limiti stabiliti dall’art. 87 c.c. per il matrimonio.
Un’interpretazione sistematica della norma porta quindi a ritenere che la rilevanza della parentela e dell’affinità, come elemento ostativo alla convivenza, coincide con quanto previsto dal codice civile per il matrimonio.
Possiamo concludere, dunque, che vi sono ipotesi in cui due soggetti non possono realizzare gli effetti previsti dalla L. 2016/76, ancorché si verifichino tutti i presupposti di cui alla prima parte del comma 36. Di ciò occorrerà tener conto quando, nel prossimo paragrafo, affronteremo il problema degli effetti da ricollegare ad una convivenza di fatto che non soddisfa le condizioni previste dalla L. 2016/76.
8 Si tenga presente che ulteriori elementi per chiarire i limiti alla realizzazione della convivenza possono essere ricavati dalla disciplina della nullità del contratto di convivenza: infra, § …
§ 4. Gli effetti della fattispecie costitutiva della convivenza sono disciplinati nei commi successivi: ed una buona parte di essi comporta l’equiparazione del convivente di fatto al coniuge. Così:
a) il comma 38 per quanto riguarda i diritti spettanti al coniuge dall’ordinamento penitenziario;
b) il comma 39 per quanto riguarda i diritti spettanti al coniuge in casi di malattia o ricovero;
c) il comma 44 per quanto riguarda i diritti spettanti al coniuge in caso di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione;
d) il comma 45 per quanto riguarda i diritti spettanti al coniuge per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare;
e) il comma 46 introduce una norma parallela all’art. 230-bis c.c. in materia di impresa familiare;
f) il comma 47 equipara il convivente al coniuge per quanto riguarda la domanda di interdizione o inabilitazione;
g) il comma 48 equipara il convivente al coniuge per quanto riguarda la nomina a tutore, curatore o amministratore di sostegno;
h) il comma 49 per quanto riguarda i diritti spettanti al coniuge in caso di decesso del convivente, derivante da fatto illecito di un terzo.
È facile rilevare che alcuni di questi diritti9 erano già riconosciuti, in via interpretativa, ai conviventi di fatto10.
Resta quindi da stabilire se e quali di queste regole si applichino anche ai conviventi che non vogliono (se si accede alla soluzione accolta nel § 2) o comunque che non possono (in base a quello che si è visto nel § 3), pur in presenza del presupposto fattuale di cui al comma 36, integrare la fattispecie costitutiva della convivenza.
Iniziando da questi ultimi – coloro che non possono realizzare una convivenza ai sensi della L. 2016/76 – mi sembra che difficilmente si possa sostenere che la riforma ha tolto ai conviventi <<di mero fatto>> i diritti che ad essi erano riconosciuti in precedenza. Le ragioni che, via via, hanno indotto dottrina e giurisprudenza a sostenere che dalla mera convivenza di fatto discendano taluni effetti, permangono immutate anche dopo l’entrata in vigore della legge.
9 Ad iniziare dalla successione nel rapporto di locazione: Corte cost. 7 aprile 1988 n. 404.
10 Non è certo questa la sede per una disamina della situazione preesistente: per ampi riferimenti, x. Xxxxx al diritto, 2016, n. 25, 68 ss.; CASABURI, in Foro it. 2014, I, 1154 ss.
Più articolato deve essere il discorso relativamente a chi non vuole, pur avendone la possibilità, realizzare una convivenza ai sensi della nuova legge. Qui si potrebbe sostenere che chi decide di non usufruire della possibilità prevista dalla riforma, non può più godere dei diritti sopra indicati.
Tuttavia, a mio avviso l’argomento sarebbe di quelli che provano troppo: perché allora anche in precedenza si sarebbe dovuto dire che, sussistendo la possibilità di contrarre matrimonio, nessun diritto doveva essere riconosciuto alle coppie di fatto che, pur potendolo, non si volevano sposare.
Ritengo quindi che la situazione preesistente rimanga immutata anche per coloro che non intendono sottoporsi alla disciplina della L. 2016/76. E non è neppure da escludere che si allarghi ancora, in via interpretativa, il catalogo dei diritti riconosciuti ai conviventi <<di xxxx xxxxxxx.
§ 0. Il legislatore dedica una lunga serie di disposizioni – i commi da 50 a 64 – al contratto di convivenza, destinato a <<disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune>>11. L’importanza del contratto di convivenza, dato il suo possibile contenuto, è inversamente proporzionale alla quantità di disposizioni che ad esso dedica il legislatore. La lacuna più grave è costituita dall’impossibilità di disciplinare con il contratto gli effetti derivanti dalla cessazione della convivenza.
Infatti, ai sensi del comma 53, il contratto può riguardare soltanto i seguenti profili:
a) l’indicazione della residenza;
b) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune;
c) la scelta del regime di comunione legale dei beni.
Ora, com’è evidente, l’ambito di operatività del contratto è molto ridotto. La scelta della comunione legale può essere fatta solo da sprovveduti: eppure è solo tale possibilità che ha costretto il legislatore a predisporre tutta una serie di meccanismi pubblicitari, disciplinati dai commi 51, 52, 60, 61, 62 e 63, per rendere opponibile tale scelta ai terzi. Certamente i terzi non sono interessati al profilo sub b) e quanto a quello sub a) per essi vale quanto risulta dall’anagrafe.
Il comma 57 individua delle ipotesi di nullità del contratto di convivenza, ipotesi che possono essere utili anche per chiarire il profilo degli elementi ostativi alla stessa realizzazione della convivenza.
11 X. XXXXXXXXXXX, Contratto stipulabile con atti pubblici o scritture autenticate, in Guida al Diritto 2016, n. 26, 26 ss.x
Il comma 57 prevede infatti che il contratto di convivenza è affetto da nullità insanabile se concluso:
a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza;
b) in violazione del comma 36;
c) da persona minore di età;
d) da persona interdetta giudizialmente;
e) in caso di condanna per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile.
Premesso che, ai sensi della lettera b), gli ostacoli alla realizzazione della convivenza determinano anche la nullità del contratto (ad es., la sussistenza di un rapporto di parentela, affinità o adozione), i punti interessanti sono i seguenti: la sussistenza di un altro contratto di convivenza; l’interdizione; la condanna ex art. 88 c.c. Tutti elementi non previsti nel comma 36.
Le soluzioni sono ovviamente due: o ritenere che questi elementi ostino esclusivamente alla stipulazione di un contratto di convivenza, oppure ritenere che essi ostino a monte alla stessa realizzazione della convivenza ex comma 36.
A mio avviso, decisiva è la constatazione che non c’è alcuna ragione per ritenere lecita la convivenza, ma nullo il contratto di convivenza. Non si saprebbe individuare la ratio di una disposizione che consentisse la realizzazione di una convivenza ma impedisse la stipulazione di un contratto di convivenza.
La conclusione, quindi, può essere una sola: ciò che costituisce ostacolo al contratto di convivenza costituisce ostacolo alla convivenza stessa. Dobbiamo dunque aggiungere alle fattispecie ostative individuate nel § 3 anche l’interdizione e la condanna per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile.
Non direi, invece, che costituisca ostacolo alla realizzazione di una convivenza la sussistenza di una convivenza precedente. Poiché, infatti, come vedremo immediatamente, il rapporto si estingue con la cessazione di fatto della stabile unione, la realizzazione di una convivenza costituisce necessariamente estinzione della precedente.
§ 6. La convivenza ex comma 36 ha come suo fatto costitutivo una situazione fattuale, e si estingue con il venir meno di questa situazione. Si può tuttavia ipotizzare che gli interessati decidano di continuare a convivere di fatto, ma dichiarino all’anagrafe che non costituiscono più una famiglia ai sensi dell’art. 4 del d.p.r. 1989/223. Poiché, come
abbiamo visto, il dato formale del comma 37 è elemento costitutivo della fattispecie, il suo venir meno comporta l’estinzione del rapporto di convivenza.
Concentrando ora l’attenzione sul venir meno del substrato fattuale, cioè della convivenza, questa può dipendere o da una decisione degli interessati, anche unilaterale; oppure dalla morte di uno di essi.
Gli effetti che la legge ricollega alla cessazione della convivenza costituiscono la novità più importante della L. 2016/76 ed anche quella più discutibile. Si ricordi che questi effetti non possono essere esclusi dalla volontà dei conviventi, perché non rientrano fra i possibili contenuti del contratto di convivenza.
Se la convivenza viene meno per atto volontario, si applica il comma 65 della legge, in base al quale <<in caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente [e]12 gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell'articolo 438, secondo comma, del codice civile. Ai fini della determinazione dell'ordine degli obbligati ai sensi dell'articolo 433 del codice civile, l'obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle>>.
Nonostante che la giurisprudenza della Corte di cassazione sia abbastanza restrittiva circa i presupposti dell’obbligo alimentare13, non vi è dubbio che questo effetto della (fine della) convivenza costituisce una dirompente novità, che rende ancora più bruciante la domanda che ci siamo posti all’inizio: ma è ancora possibile convivere di fatto senza dover sottostare agli obblighi previsti dalla L. 2016/76?
Ancora più dirompenti sono le conseguenze della cessazione del rapporto a causa di morte di una delle parti. In questo caso il comma 42 della legge stabilisce quanto segue:
<<Salvo quanto previsto dall'articolo 337-sexies del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni>>.
12 Così in Gazzetta ufficiale.
13 Il principio di diritto costante della Cassazione è il seguente: <<Il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche della impossibilità di provvedere, in tutto o in parte, al proprio sostentamento mediante l'esplicazione di un'attività lavorativa. Ove, pertanto, l'alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica o l'impossibilità, per circostanze a lui non imputabili, di trovarsi un'occupazione confacente alle proprie attitudini e alle proprie condizioni sociali, la relativa domanda deve essere rigettata>>: così Xxxx. 6 ottobre 2006 n. 21572. Nello stesso senso Cass. 14 febbraio 2007 n. 3334; Cass. 14 febbraio 1990 n. 1099; Cass. 30 marzo 1981 n. 1820.
L’art. 337-sexies del c.c. riguarda l’assegnazione della casa familiare, e quindi per la sua applicazione è irrilevante il tipo di rapporto sussistente fra i genitori. Se, invece, non vi sono figli minorenni o maggiorenni non autonomi dei conviventi, spetta al convivente superstite il diritto di continuare ad abitare la casa di comune residenza, sempre che questa sia di proprietà del convivente deceduto.
Tale diritto ha la durata minima di due anni (a prescindere dal periodo della convivenza: quindi anche se questa era iniziata pochi giorni prima del decesso); se la convivenza è stata superiore a due anni, il diritto ha durata pari alla convivenza, con un tetto massimo di cinque anni. Se, infine, coabitano con il superstite figli minori o figli disabili – che non sono figli anche del deceduto, altrimenti si applica l’art. 337-sexies c.c. – il periodo minimo sale a tre anni.
Dal punto di vista della qualificazione, il diritto del superstite deve equipararsi all’assegnazione della casa familiare. Dovrebbe quindi applicarsi l’art. 13, comma 2, lettera
c) della legge IMU (D.L. 2011/201, convertito con L. 2011/284), nel testo attualmente vigente.
Come si vede, dunque, si tratta di un peso non indifferente gravante sugli eredi.
§ 7. La legge, al contrario di quanto accade per le unioni civili (comma 35), non contiene disposizioni transitorie. Dunque essa si applica dal giorno della sua entrata in vigore, cioè dal 4 giugno 2016.
Tuttavia, è ben possibile che in tale data sia già in essere la fattispecie prevista dai commi 36 e 37: una convivenza di fatto, formalizzata all’anagrafe con la dichiarazione di costituire un unico nucleo familiare.
Ove ciò accada, si applicheranno le disposizioni della nuova legge, ovviamente a far data dalla sua entrata in vigore14. Pertanto, quando sia rilevante stabilire la durata della convivenza (ad es., agli effetti di cui al comma 42 ed al comma 63), tale durata dovrà essere calcolata a decorrere dal 4 giugno 2016, e non dal momento in cui si sono realizzati i presupposti della convivenza.
14 Conf. FINOCCHIARO, Sottoposti a norme, cit., 61, il quale peraltro afferma contrario ai principi costituzionali <<fare acquisire un nuovo status ai cittadini pur in assenza di qualsiasi loro manifestazione di volontà>>.