INDIVIDUALE E COLLETTIVO NEL DIRITTO DEL LAVORO
Capitolo IV
LA LIBERTA` DI COALIZIONE
E LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
Sezione I
INDIVIDUALE E COLLETTIVO NEL DIRITTO DEL LAVORO
Sommario: 48. L’interesse collettivo, ovvero i motivi della negoziazione collettiva delle condizioni di lavoro. — 49. L’orientamento dottrinale tendente al superamento della distinzione e separatezza fra diritto del rapporto individuale e diritto del rapporto collettivo.
48. L’interesse collettivo, ovvero i motivi della negoziazione collettiva delle condizioni di lavoro. — Il motivo principale che fin dagli albori dell’industrialismo ha spinto i lavoratori a coalizzarsi per la negoziazione collettiva delle proprie condizioni di lavoro e a dare alla coalizione la struttura dell’associazione permanente e` costituito dalla necessita` di riequilibrare il rapporto di forza negoziale nel mercato, contrapponendo al potere monopsonistico dell’imprenditore (§ 4) un monopolio dell’offerta (1).
Il monopolio dell’offerta puo` poi, ovviamente, giovare ai lavoratori, limitando la concorrenza tra di loro, anche quando lo sviluppo economico abbia determinato il superamento della struttura monopsonistica del mercato con il moltiplicarsi delle imprese che esprimono una domanda di manodopera. In questa ipotesi, che meglio corrisponde al contesto economico attuale delle relazioni di lavoro nei Paesi piu` sviluppati, puo` distinguersi in linea teorica il caso in cui il monopolio dell’offerta sia controllato e gestito dai lavoratori occupati regolari (insiders) nel proprio interesse esclusivo, al fine implicito o esplicito (2) di escludere gli altri (outsiders) (§ 3), o sia invece gestito da una organizzazione capace di mediare tra gli interessi degli uni e degli altri riconducendoli a un interesse comune.
Un altro possibile motivo determinante della coalizione fra i lavoratori e` costituito dalla necessita` di correggere alcune asimmetrie informative che tipicamente li penalizzano nei confronti degli imprenditori. Il singolo lavoratore e`, solitamente, assai meno informato di quanto non sia la sua controparte sulla congiuntura economica, l’andamento dell’azienda, la posizione che essa occupa nel mercato dei beni prodotti (§ 5) (3); e l’associarsi puo` consentire di creare una sorta di memoria collettiva, nonche´ di avvalersi di persone informate e esperte nella negoziazione con la controparte.
I lavoratori possono essere, inoltre, motivati alla coalizione dalla solidarieta` che lega i piu` forti ai piu` deboli e dall’interesse che accomuna i primi e i secondi a limitare la valutazione comparativa cui l’imprenditore tenderebbe costantemente a sottoporli (generatrice per tutti, in maggiore o minore misura, del c.d. stress da esame): donde la disponibilita` anche dei lavoratori piu` produttivi — e non soltanto per motivi di ordine politico-morale — a sacrificare una parte del trattamento che potrebbero conseguire mediante la negoziazione individuale e la competizione con gli altri nel lugo di lavoro, in funzione di un regime di parita` di trattamento fondato sulla negoziazione collettiva.
Anche gli imprenditori, d’altra parte, possono essere interessati, individualmente o collettivamente, alla negoziazione accorpata delle condizioni di lavoro: essa infatti li esime dal compito di conciliare gli interessi dei diversi gruppi di lavoratori, compito che in quel processo negoziale viene svolto dalla coalizione dei lavoratori stessi (soprattutto se questa è un sindacato intercategoriale e non un « sindacato di mestiere », cioe` una coalizione che organizza soltanto i lavoratori dotati di una determinata qualifica). Quando poi la negoziazione avvenga tra una coalizione di lavoratori e una coalizione di imprenditori, con la conseguente determinazione di uno standard di trattamento uniforme nell’ambito del settore produttivo cui il contratto si riferisce, tale standard puo` costituire uno strumento di regolazione della concorrenza fra imprenditori, inibendo la riduzione dei costi conseguita attraverso la riduzione dei livelli di trattamento dei dipendenti (§ 7).
Va infine menzionato, non ultimo per importanza, un interesse alla negoziazione collettiva comune alle parti contrapposte: il drastico risparmio, per entrambe, dei costi di transazione. Le esigenze di rapidita`, sicurezza e semplicita` della costituzione dei rapporti individuali caratteristiche del mercato del lavoro moderno sono soddisfatte assai bene mediante la negoziazione accorpata di condizioni di lavoro che poi rifluiscono — attraverso diversi possibili meccanismi giuridici — piu` o meno automaticamente nei contratti individuali (4). E il risparmio dei costi di transazione tanto piu` si incrementa, quanto piu` la coalizione assume il carattere dell’associazione permanente (sia essa associazione di prestatori o di datori di lavoro): il rapporto di lavoro, essendo un rapporto di durata — e per lo piu` di durata considerevole —, e` infatti tipicamente esposto a una miriade di sopravvenienze che il singolo individuo difficilmente e` in grado di prevedere, o e` in grado di farlo soltanto al prezzo di una costosa consulenza; l’associazione sindacale o imprenditoriale, invece, ha conoscenza e memoria diretta di tutte — o quasi — le possibili sopravvenienze ed e` quindi in grado di negoziarne agevolmente una adeguata regolamentazione.
49. L’orientamento dottrinale tendente al superamento della distinzione e separatezza fra diritto del rapporto individuale e diritto del rapporto collettivo. — Il fenomeno della coalizione ricorre nei rapporti fra prestatore e datore di lavoro nell’azienda moderna con tale frequenza, a tutte le latitudini e longitudini, da indurre una parte della dottrina a considerare — sul piano della teoria generale — la coalizione stessa, o quanto meno la « suscettibilita` di coalizione »,
come elemento essenziale e caratterizzante della fattispecie a cui il diritto del lavoro si riferisce (5). Senonche´ il censimento delle situazioni generatrici dell’interesse alla coalizione e alla negoziazione collettiva (§§ 3-7 e 48) mostra quanto numerosi, eterogenei e di segno politico-sociale diverso siano i fattori capaci di determinare questo fenomeno, i quali possono presentarsi congiuntamente o disgiuntamente in ciascun caso concreto di rapporto di lavoro; e in qualche caso possono non presentarsi affatto, senza che per questo possa fondatamente escludersi la configurabilita` del rapporto di lavoro subordinato (6). Viceversa, alcuni di essi ben possono presentarsi — e di fatto si presentano — anche in rapporti di lavoro sicuramente non riconducibili alla figura del lavoro subordinato (come i rapporti di agenzia commerciale), e persino in rapporti di natura diversa da quelli di lavoro, quali ad esempio i rapporti di locazione abitativa, o i rapporti fra utenti e somministratori dei servizi piu` vari, determinando cosi` il manifestarsi del fenomeno della coalizione e della negoziazione collettiva del contenuto dei rapporti individuali anche in campi diversi da quello del lavoro. Coalizione e negoziazione collettiva non possono dunque, secondo l’opinione largamente prevalente, essere assunte ne´ quali elementi essenziali, ne´ quali elementi peculiari della fattispecie a cui il diritto del lavoro si riferisce (7).
La teoria tendente a fare della coalizione un elemento costitutivo essenziale del rapporto di lavoro subordinato, poco feconda forse sul piano della qualificazione della fattispecie del rapporto di lavoro subordinato, ha pero` aperto la strada a un ripensamento della distinzione e della separatezza tradizionale fra diritto sindacale e diritto del rapporto individuale di lavoro.
Vedremo a suo luogo (§§ 67-68) come, nella lunga e vana attesa dell’attuazione da parte del legislatore ordinario della norma costituzionale che prevede e disciplina l’autonomia collettiva, in giurisprudenza e in dottrina si siano fronteggiati due modi di concepirla: da un lato una concezione dell’autonomia collettiva come prerogativa attribuita dall’ordinamento al sindacato a titolo originario, quindi del contratto collettivo come fonte eteronoma di disciplina del rapporto individuale, dall’altro una concezione del contratto stesso come contratto stipulato in forza di un mandato conferito dal singolo lavoratore al sindacato o comunque di un atto di autolimitazione dell’autonomia individuale in favore dell’autonomia collettiva. Le soluzioni via via proposte in dottrina e in giurisprudenza al problema dell’efficacia del contratto collettivo sul rapporto individuale hanno lungamente oscillato, e tuttora in parte oscillano, fra questi due poli teorici; nella dialettica fra questi due orientamenti, tuttavia, la teoria della coalizione come elemento costitutivo della fattispecie del rapporto di lavoro subordinato ha contribuito a ridimensionare il rilievo dell’alterita` fra associazione sindacale e lavoratore come soggetti del diritto del lavoro, nonche´ fra contratto collettivo e contratto individuale come fonti regolatrici del rapporto (8).
Oggi sembra prevalere la tendenza a concepire il rapporto fra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro non piu` in termini di espropriazione del potere dispositivo del secondo in favore del primo, quanto piuttosto in termini di intreccio fra fonti concorrenti — ancorche´ gerarchicamente ordinate fra loro — di disciplina del rapporto, entrambe espressione di una autonomia negoziale propria dei lavoratori e da loro esercitata di volta in volta in forme diverse (9). E` questo il modo in cui, nel campo dei rapporti di lavoro, la liberta` contrattuale, superando l’impasse in cui il diritto dei contratti e` venuto a trovarsi — in questo come in altri campi — in conseguenza della massificazione dei rapporti economici, « ha saputo rigenerare se stessa » (10).
Sezione II
LA LIBERTa` DI COALIZIONE
Sommario: — 50. Il principio di liberta` sindacale, positiva e negativa, e i suoi corollari nell’ordinamento internazionale e nel nostro ordinamento interno. — 51. Il divieto di discriminazione per motivi sindacali. Sua riferibilita` soltanto agli atti unilaterali del datore di lavoro, o alle sue pattuizioni con terzi. — 52. L’associazione sindacale. — 53. La legislazione di sostegno all’attivita` sindacale in azienda. L’opzione del legislatore del 1970 per le rappresentanze aziendali come organo periferico delle associazioni sindacali esterne. — 54. L’utilizzazione del « guscio vuoto » delle
r.s.a. da parte delle confederazioni maggiori nei due decenni successivi all’entrata in vigore dello Statuto. — 55. La crisi del sistema e il referendum del 1995. Il nuovo criterio selettivo delle associazioni sindacali destinatarie della normativa di sostegno. — 56. La questione di costituzionalita` del nuovo criterio selettivo. — 57. Conciliabilita` del nuovo criterio selettivo con l’assetto delle rappresentanze aziendali delineato dal protocollo del 23 luglio 1993. — 58. Le prerogative delle rappresentanze sindacali aziendali. La convocazione dell’assemblea e del referendum nel luogo di lavoro. — 59. Permessi e aspettative per i rappresentanti e i dirigenti sindacali. Tutela speciale contro il licenziamento e il trasferimento (rinvio). — 60. Altre prerogative delle rappresentanze sindacali aziendali: locali per le riunioni, spazi per le affissioni e raccolta di contributi. — 61. Il divieto di comportamento antisindacale del datore di lavoro. — 62. La direttiva comunitaria n. 45/1994 sui comitati aziendali europei e la sua attuazione in Italia mediante l’accordo interconfederale 27 novembre 1996.
50. Il principio di liberta` sindacale, positiva e negativa, e i suoi corollari nell’ordinamento internazionale e nel nostro ordinamento interno. — Osteggiata all’origine, e sovente vietata anche dalla legge penale, come una forma di limitazione indebita della libera concorrenza fra gli operatori economici (11), piu` largamente tollerata nel periodo della prima legislazione liberale (12), poi, nel ventennio corporativo, costretta in forme pubblicistiche sostanzialmente
impeditive di qualsiasi liberta` di scelta associativa dei lavoratori come degli imprenditori (13), nel nostro ordinamento attuale la coalizione sindacale e` protetta dalla Costituzione. Protezione generica e` data dal principio generale della liberta` di associazione sancito dagli artt. 2 e 18 Cost.; protezione specifica dal principio di liberta` sindacale sancito dal primo comma dell’art. 39, la cui particolare collocazione nel titolo III della Carta sta a sottolinearne il collegamento funzionale con il riconoscimento dell’autonomia collettiva (art. 39, c. 4o: v. § 66) e del diritto di autotutela collettiva mediante lo sciopero (art. 40).
Alla tutela della liberta` di associazione sindacale la Repubblica e` vincolata anche sul piano internazionale, innanzitutto per effetto delle convenzioni O.I.L. n. 87/1948 e n. 98/1949 (14), attuative del corrispondente principio fondamentale enunciato nella Costituzione della stessa Organizzazione (§ 14) (15). In particolare, la conv. n. 87 obbliga l’ordinamento nazionale a garantire la liberta` positiva dei prestatori e dei datori di lavoro di coalizzarsi in qualsiasi forma per la promozione e difesa dei propri interessi, vietando che il riconoscimento della personalita` giuridica all’associazione sia sottoposto a condizioni che ne limitino sostanzialmente la liberta`. Nessun accenno e` stato invece inserito in quella convenzione alla liberta` dei singoli di non adesione a un’organizzazione sindacale; il contenuto pratico della liberta` sindacale e` dunque qui limitato alla facolta` dei lavoratori e degli imprenditori di organizzarsi per l’autotutela: l’obbligo per gli Stati aderenti di assicurare ai lavoratori anche la liberta` sindacale negativa e` stato volutamente ignorato per non precludere la possibilita` di adesione alla convenzione n. 87 da parte degli Stati nei quali era ammessa e praticata la c.d. clausola di closed shop, cioe` la disposizione collettiva che impone l’affiliazione al sindacato stipulante di tutti i dipendenti dell’impresa (16). Ma e` stato giustamente osservato che « una liberta` di associarsi che non includa la liberta` di non associarsi non e` piu` una liberta` » (17); e in questo senso ha avuto occasione di pronunciarsi anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (18).
Salva l’« amputazione » di cui si e` ora detto, il principio di liberta` sindacale e` definito dalla conv. n. 87 in modo molto ampio; e i due elementi ivi indicati (art. 10) per individuare la coalizione oggetto della tutela — organizzazione di una pluralita` di prestatori o datori di lavoro e finalita` di tutela « degli interessi » degli associati, senza delimitazione della loro possibile natura, quindi con inclusione anche di interessi lato sensu politici — sono pacificamente riconosciuti dalla nostra dottrina come necessari e sufficienti per il configurarsi della fattispecie tutelata anche nel nostro ordinamento interno (19): si giunge pertanto a ricomprendere nella fattispecie protetta anche la coalizione spontanea limitata all’ambito di un’unita` produttiva e quella a carattere meramente occasionale, nonostante che il modello associativo-rappresentativo esplicitamente privilegiato dal Costituente, come vedremo fra breve (§ 52), sia di tutt’altro tipo (20).
Dal vincolo posto dalla conv. n. 87 viene desunto anche il divieto per gli Stati aderenti di operare — sia pure soltanto mediante sovvenzioni selettive — per favorire il determinarsi di una situazione di monopolio sindacale: la norma tutela la piena liberta` di scelta dei lavoratori e dei datori di lavoro fra un regime di unita` o di pluralismo sindacale (21).
Il quadro delle norme internazionali nelle quali e` sancito il principio di liberta` sindacale si completa con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 (§ 15), dove nell’art. 23, n. 4, e` menzionata espressamente soltanto la liberta` sindacale positiva; con la Carta sociale europea del 1961 (marcatamente e volutamente ispirata all’ordinamento dell’O.I.L.), art. 5, dove si sancisce l’obbligo degli Stati aderenti di garantire e promuovere « la liberta` dei lavoratori e dei datori di lavoro di costituire organizzazioni locali, nazionali o internazionali per difendere i loro interessi economici e sociali e di aderire a queste organizzazioni » (22); con il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966 (§ 15), dove il riconoscimento della liberta` sindacale anche negativa deve leggersi nella parte dell’art. 8 in cui si parla di « diritto di ogni individuo ... di aderire al sindacato di sua scelta »; e con la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 (23), dove il principio di liberta` sindacale e` esplicitamente enunciato in entrambe le accezioni, rispettivamente nel primo e nel secondo comma dell’art. 11. A tutt’oggi, invece, il principio della liberta` sindacale non e` esplicitamente fatto proprio dall’ordinamento comunitario (24).
Vedremo a suo luogo (§ 72) un rilevantissimo corollario del principio di liberta` sindacale individuato dalla dottrina sulla base dell’art. 39 della nostra Costituzione, che invece lo stesso principio non sembra portare necessariamente con se´ negli ordinamenti internazionali ora citati: la liberta` di determinazione della « categoria » sindacale ad opera della contrattazione collettiva.
Ancora nell’ambito dell’ordinamento dell’O.I.L., l’art. 1 della convenzione n. 98/1949 (25) perfeziona il sistema di protezione della liberta` sindacale vincolando l’ordinamento nazionale a imporre un divieto generale delle discriminazioni motivate dall’adesione del lavoratore a una associazione sindacale (26): vincolo poi ribadito, con particolare riferimento al licenziamento discriminatorio, nell’art. 1 della conv. n. 135/1971 (27).
L’art. 2 della conv. n. 98 obbliga gli Stati aderenti a impedire la possibilita` di costituzione di sindacati di comodo. In linea con la convenzione n. 87, le convenzioni n. 98 e n. 135 non contengono alcun riferimento esplicito alla discriminazione tendente a penalizzare il lavoratore che non aderisca a una determinata associazione.
Sul piano della legislazione ordinaria, nel nostro diritto interno, la liberta`, positiva e negativa, di associazione e di attivita` sindacale e` oggetto di tutela speciale nello Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970 n. 300), che non si limita a enunciarne il principio (artt. 1 e 14), ma contiene un insieme di regole finalizzate a garantirne l’effettivita`: in particolare il divieto di discriminazioni motivate dall’affiliazione o attivita` sindacale dello stesso lavoratore (artt. 15 e 16: §§ 51 e 166), con il quale il nostro ordinamento ottempera alla conv. O.I.L. n. 98, di cui si e` detto sopra; le regole poste a protezione del diritto di riservatezza del lavoratore nel luogo di lavoro (artt. 2, 3, 4, 6, 8), la cui ragion d’essere e` anche quella di prevenire la possibilita` di discriminazioni; il diritto di svolgere proselitismo e raccogliere le quote
associative nel luogo di lavoro (§ 60); il diritto alla sospensione della prestazione dei lavoratori chiamati a ricoprire cariche direttive in seno alla propria associazione (art. 31: § 59) (28); il divieto dei sindacati di comodo, intendendosi per tali le associazioni di lavoratori promosse o sorrette dal datore di lavoro (art. 17) (29).
A questo insieme di norme, posto a tutela di qualsiasi forma di aggregazione dei lavoratori nel luogo di lavoro, si aggiunge la « normativa di sostegno » contenuta nel titolo III dello Statuto, consistente nell’attribuzione di prerogative speciali alle associazioni che rispondano a determinati criteri di rappresentativita` effettiva, finalizzata non soltanto ad assicurare la liberta` di coalizione sul piano sostanziale, ma anche a promuovere l’aggregazione stabile dei lavoratori nel luogo di lavoro e la loro capacita` di gestione aggregata dei propri interessi nel rapporto con l’imprenditore (§§ 53- 57): alle sole associazioni maggiormente rappresentative e` attribuito il diritto a convocare assemblee e indire referendum (§ 58) e a permessi retribuiti e non retribuiti per lo svolgimento da parte dei loro rappresentanti dell’attivita` sindacale in azienda (§ 59).
51. Il divieto di discriminazione per motivi sindacali. Sua riferibilita` soltanto agli atti unilaterali del datore di lavoro, o alle sue pattuizioni con terzi. — Vedremo piu` approfonditamente nella parte della trattazione dedicata al principio di parita` di trattamento e ai divieti di discriminazione in generale (§§ 162-175) che, mentre il primo — laddove esso sia applicabile anche nei rapporti di lavoro privatistici — impone al datore di lavoro di riservare ai propri dipendenti trattamento uguale in situazioni uguali e trattamento diverso in situazioni corrispondentemente diverse, i secondi, invece, impongono al datore di lavoro di ignorare una determinata differenza di situazione (per lo piu`, non sempre, una differenza attinente alla persona del prestatore o alle circostanze esterne al rapporto, ma non al contenuto della prestazione lavorativa dedotta in contratto). Il divieto di discriminazione antisindacale, dunque, impone al datore di lavoro di ignorare, nella determinazione del trattamento riservato ai propri dipendenti o a coloro che aspirano a diventarlo, la loro adesione a una coalizione o alle indicazioni di comportamento da questa provenienti sul piano dell’autotutela collettiva.
Cosi`, ad esempio, la regola qui in esame vieta al datore di lavoro di adottare criteri che penalizzino o escludano gli iscritti a uno o piu` sindacati (o altre forme di coalizione, anche occasionali) nella scelta dei nuovi dipendenti da assumere, o nella scelta dei dipendenti da promuovere a livelli professionali superiori, o di quelli a cui assegnare premi o aumenti retributivi; e poiche´ il divieto di discriminazione vigente nel nostro ordinamento interno, a differenza di quello posto dall’ordinamento dell’O.I.L. (§ 50), tutela esplicitamente anche la liberta` sindacale negativa (art. 15 St. lav.) (30), deve pacificamente ritenersi vietata al datore di lavoro anche l’adozione, ai fini delle suddette scelte, di criteri che penalizzino o escludano i lavoratori non aderenti ad alcuna coalizione o non aderenti a una determinata coalizione (31).
In riferimento al divieto di discriminazioni fondate sulla scelta sindacale del lavoratore si pone un problema in larga parte analogo a quello che abbiamo gia` esaminato a proposito del divieto di discriminazioni fondate sulla nazionalita` o provenienza geografica del lavoratore (§ 22): se siano vietate soltanto le disparita` di trattamento determinate dalla volonta` del datore di lavoro di coartare la liberta` di scelta sindacale dei propri dipendenti, oppure anche quelle correlate obiettivamente all’affiliazione sindacale del lavoratore, ma non determinate da un intento discriminatorio del datore di lavoro. In dottrina sul punto si contrappongono l’orientamento nel senso di considerare irrilevante, ai fini del divieto, l’elemento psicologico (32) e l’orientamento opposto (33). A favore di quest’ultimo milita non soltanto il tenore letterale della norma (art. 15 St. lav.: « E` nullo qualsiasi patto o atto diretto a ... »), ma anche e soprattutto il fatto che l’allargamento della fattispecie vietata a qualsiasi diversificazione del trattamento obiettivamente correlata alla diversa affiliazione sindacale del lavoratore potrebbe causare pregiudizio gravissimo proprio a quella liberta` sindacale, positiva e negativa, la cui tutela costituisce invece la ragion d’essere essenziale della norma.
Consideriamo il caso in cui la differenza di trattamento collegata all’affiliazione del lavoratore non nasca da una scelta unilaterale del datore di lavoro volta a penalizzare una determinata scelta sindacale o privilegiarne un’altra, bensi` dalla negoziazione del trattamento stesso fra i due soggetti; e in particolare il caso in cui, in un’impresa nella quale fino a oggi si e` applicato a tutti i dipendenti un trattamento inferiore a quello previsto dal contratto collettivo di categoria, venga assunto un gruppo di lavoratori iscritti al sindacato firmatario di quel contratto, i quali ne esigono l’applicazione. Il comportamento del datore di lavoro che riservasse soltanto a quel gruppo di dipendenti lo standard collettivo di trattamento piu` elevato non potrebbe evidentemente essere qualificato come discriminatorio: potra` discutersi della legittimita` del trattamento deteriore riservato agli altri dipendenti, ma non sotto il profilo di una discriminazione lesiva della loro liberta` sindacale, bensi` soltanto sotto il profilo della « sufficienza » della retribuzione ex art. 36 Cost.
Consideriamo ora il caso diverso di un’azienda nella quale gli iscritti a una associazione sindacale accettano una proposta avanzata dall’imprenditore, che prevede un cospicuo aumento retributivo in cambio di una marcata flessibilita` nella collocazione temporale della prestazione lavorativa nell’arco della settimana o dell’anno, mentre gli iscritti a un’altra associazione (o i non iscritti ad alcuna associazione) la respingono. Non potrebbe certo qualificarsi come discriminazione vietata il comportamento dell’imprenditore che concordasse con i primi l’aumento retributivo in cambio della flessibilita` della loro prestazione, mantenendo invece nei confronti dei secondi il vecchio assetto retributivo e il regime di orario rigido: se infatti questo comportamento fosse vietato e l’imprenditore fosse obbligato a trattare tutti i lavoratori allo stesso modo, verrebbe imposta ai primi la scelta dei secondi, o ai secondi la scelta dei primi, determinandosi in entrambi i casi la frustrazione dell’opzione compiuta da uno dei due partiti dissenzienti, cioe` un effetto esattamente contrario a quello cui mirano il principio di liberta` sindacale e il divieto di discriminazione.
Poiche´ la norma in esame e` essenzialmente finalizzata ad assicurare l’effettivita` della liberta` sindacale del lavoratore, appare diametralmente contraria alla ratio legis una sua interpretazione che porti a vanificare gli effetti della
scelta sindacale del lavoratore. L’imposizione a chi aderisce a un sindacato delle scelte negoziali compiute da un altro sindacato puo` avvenire, come vedremo a suo luogo, in applicazione di altre norme, volte a stabilire degli standard minimi di trattamento con efficacia generalizzata nell’ambito di una categoria; ma non certo in applicazione del divieto di discriminazione. A ben vedere, quando una norma imponga la generalizzazione del trattamento previsto nel contratto collettivo stipulato da un sindacato o gruppo di sindacati ritenuto maggiormente rappresentativo, e` proprio l’autonomia dei sindacati concorrenti (eventualmente disposti ad accettare trattamenti inferiori) a essere sacrificata, sull’altare del principio della « giusta retribuzione » o di altri principi di tutela del lavoro, comunque diversi dal principio della liberta` sindacale.
Se ne deve concludere che il divieto di discriminazione ha per oggetto qualsiasi atto del datore di lavoro che sia mirato a penalizzare l’adesione (o non adesione) di un lavoratore a una associazione sindacale, dovendosi pero` escludere dal divieto le pattuizioni che il datore di lavoro stipuli con l’associazione sindacale a cui il lavoratore stesso abbia aderito, o quelle che il datore di lavoro stipuli direttamente con il lavoratore dissenziente rispetto alle scelte di altra associazione (34).
Il « patto » discriminatorio vietato dall’art. 15 St. lav., dunque, non e` quello con il quale il lavoratore esercita la propria liberta` sindacale, compiendo attualmente la propria scelta di adesione o di rifiuto di adesione a una associazione, o traendo attualmente da tale scelta le conseguenze da lui stesso volute sul piano della disciplina del rapporto; e neppure quello con il quale una associazione dispone dell’interesse collettivo dei lavoratori che rappresenta. Il patto vietato e` soltanto quello — stipulato dal datore di lavoro con il lavoratore, con una associazione sindacale, o con terzi — volto a limitare direttamente o indirettamente tale liberta` di scelta nello svolgimento futuro del rapporto. Cosi`, ad esempio, dovra` considerarsi nulla l’ipotetica clausola collettiva che preveda una penalizzazione nel trattamento del lavoratore in conseguenza della sua non adesione all’associazione che stipula il contratto, o della sua adesione a una associazione diversa; dovra` considerarsi parimenti nulla la clausola del contratto individuale con la quale il lavoratore accetti per il futuro analoga penalizzazione della propria liberta` di scelta; ma non potra` ritenersi discriminatoria — e dovra` pertanto ritenersi di per se´ valida, salvo che essa contrasti con norme diverse dal divieto di discriminazione — la pattuizione con la quale egli eserciti attualmente quella liberta` di scelta optando per l’applicazione o la disapplicazione del contratto collettivo stipulato da una determinata associazione sindacale.
Questa delimitazione degli effetti del divieto di discriminazione antisindacale assume particolare rilievo pratico in una situazione — quale e` sempre piu` diffusamente quella che si presenta in concreto nel sistema delle relazioni industriali del nostro Paese — di pluralismo sindacale e/o di contrapposizione fra interessi degli occupati regolari, rappresentati da un sindacato, e interessi degli outsiders, che il sindacato stesso non e` in grado di rappresentare (v. §§ 3-4): la liberta` sindacale dei secondi sta anche nella loro facolta` di sottrarsi a scelte relative alla disciplina dei rapporti di lavoro alle quali essi sono rimasti del tutto estranei e che possono contrastare con i loro interessi. Questo, ovviamente, non significa che l’ordinamento non possa imporre l’applicazione generalizzata di standard di trattamento inderogabili in pejus, negoziati da alcune associazioni e rifiutati da altre o da singoli lavoratori: vedremo (§ 66) come questo sia espressamente previsto dalla stessa Costituzione; ma tale imposizione costituira` attuazione di principi diversi da quello di liberta` sindacale. Proprio in considerazione del sacrificio della liberta` sindacale che tale imposizione comporta, equita` impone comunque che l’estensione degli effetti inderogabili del contratto collettivo ai dissenzienti avvenga atrtaverso un un meccanismo che garantisca un adeguato contemperamento di tutti gli interessi in gioco (§ 69).
Sugli ulteriori problemi di interpretazione dell’art. 15 St. lav., comuni a tutti i divieti di discriminazione e non peculiari del divieto di discriminazione antisindacale, rinviamo alla trattazione generale della materia (§§ 166-175).
52. L’associazione sindacale. — La forma piu` diffusa, oltre che piu` rilevante sul piano giuridico, di coalizione dei lavoratori e` l’associazione sindacale a carattere permanente, che nel linguaggio comune e nell’art. 39 Cost. — a differenza della legge ordinaria — e` indicata come sindacato.
Come si e` gia` visto (§ 50), gli elementi costitutivi della coalizione protetta dal principio generale di liberta` sindacale, a norma del primo comma dell’art. 39 Cost. e della conv. O.I.L. n. 87, sono l’aggregazione di una pluralita` di prestatori o di datori di lavoro e la sua finalizzazione alla tutela di interessi degli associati che siano in qualsiasi modo collegati al rapporto di lavoro di cui questi sono titolari. Dalla fattispecie generale si passa a quella piu` ristretta dell’associazione sindacale, cui si riferiscono i commi successivi dell’art. 39, quando ai due elementi menzionati si aggiunge quello del carattere stabile, ovvero non meramente occasionale, della coalizione, essendo irrilevante la forma giuridico- organizzativa nella quale tale stabilita` si realizza (35).
La norma costituzionale prevede che alle associazioni sindacali non possa essere imposto altro « obbligo », se non quello della registrazione in sede amministrativa (2o c.), e che la registrazione sia subordinata alla condizione dell’« ordinamento interno a base democratica » (3o c.): dove il termine « obbligo » deve intendersi nel senso di
« onere » (36), dal quale la norma fa dipendere la possibilita` per le associazioni sindacali di conseguire il riconoscimento da parte dell’ordinamento statuale di una piena personalita` giuridica.
La mancata attuazione di questa previsione — dovuta anche al suo stretto collegamento funzionale con l’ulteriore previsione, contenuta nel quarto comma, relativa al meccanismo della contrattazione collettiva con efficacia generale
(37) — fa si` che nel nostro ordinamento attuale le associazioni sindacali, pacificamente inquadrate quali soggetti di diritto privato (38), si qualifichino come associazioni non riconosciute (art. 36 c.c.), prive quindi di una piena autonomia patrimoniale (39). Cio` non impedisce, tuttavia, all’ordinamento di riconoscere alle associazioni stesse una soggettivita` assai piu` ricca di contenuto rispetto alla generalita` delle associazioni non riconosciute di diritto comune (40), attribuendo loro prerogative peculiari sul piano del diritto sostanziale e su quello del diritto processuale (41).
Della prerogativa peculiare di gran lunga piu` rilevante delle associazioni sindacali, costituita dalla capacita` di disporre dell’interesse collettivo di prestatori e datori di lavoro con effetti diretti sulla disciplina dei rapporti individuali, si dira` nella sezione seguente di questo capitolo. Ad essa si aggiungono le prerogative ulteriori di cui si e` gia` fatto cenno nel paragrafo precedente, relative all’organizzazione e all’attivita` sindacale dei lavoratori all’interno delle aziende, per la maggior parte previste dallo Statuto dei lavoratori del 1970, secondo l’intendimento esplicito del legislatore di « aprire i cancelli delle aziende alla Costituzione ». Tra queste assumono particolare rilevanza le prerogative previste dalla c.d. normativa « di sostegno » alle associazioni sindacali che rispondano a particolari requisiti di rappresentativita`.
53. La legislazione di sostegno all’attivita` sindacale in azienda. L’opzione del legislatore del 1970 per le rappresentanze aziendali come organo periferico delle associazioni sindacali esterne. — Nel panorama comparatistico si contrappongono due modelli di legislazione di sostegno alla coalizione nel luogo di lavoro: quello nel quale la legge tutela un organo deputato alla rappresentanza dei lavoratori, e quello nel quale la legge tutela invece un organo deputato alla rappresentanza in azienda delle associazioni sindacali esterne (42). Nel primo modello l’investitura alle rappresentanze e` data dal basso, mediante elezione da parte dei lavoratori; nel secondo l’investitura ai rappresentanti e` data — per cosi` dire — dall’alto, o meglio dal di fuori dell’azienda, mediante nomina da parte dell’associazione sindacale: qui e` l’associazione ad essere « rappresentata » (in senso atecnico) (43) da un proprio organo periferico e i lavoratori lo sono soltanto per il tramite dell’associazione.
L’opzione compiuta a questo proposito dal legislatore del 1970 con l’art. 19 dello Statuto non e` apparsa su`bito chiara all’indomani dell’emanazione della legge. Resa equivoca dal riferimento alla necessita` dell’« iniziativa dei lavoratori » per la costituzione delle r.s.a. (riferimento aggiunto nell’art. 19 per iniziativa del Governo durante la discussione parlamentare del disegno di legge nel dicembre 1969, in omaggio allo spontaneismo di ispirazione luxemburghista che aveva trionfato nell’« autunno caldo », sull’onda lunga del movimento studentesco del 1968), la norma e` stata letta da una parte dei primi commentatori come tentativo di conciliare dialetticamente i due principi opposti dell’« investitura dal basso » e del rapporto organico tra rappresentanze aziendali e associazioni esterne (44), giungendosi da parte di alcuni a dedurre dalla particolare formulazione del testo legislativo l’obbligatorieta` del carattere elettivo delle rappresentanze aziendali e dell’attribuzione dell’elettorato attivo a tutti i lavoratori, iscritti e non iscritti (45). Ma gia` fin dai primi anni settanta altra parte della dottrina aveva invece drasticamente ridimensionato, per non dire azzerato, il valore precettivo dell’inciso « movimentista » (46); ed esso e` stato comunque del tutto ignorato nei contratti collettivi nazionali di settore, nei quali le r.s.a. hanno continuato a essere — come gia` nei primi rinnovi contrattuali della tornata 1969-70 — sempre qualificate a tutti gli effetti come organo periferico delle organizzazioni sindacali (47). E`, del resto, proprio al contratto collettivo dei metalmeccanici del dicembre 1969, oltre che alla legge francese di poco precedente sulle sections syndicales d’entreprise (48), che paiono ispirati altri incisi del testo legislativo, dove si indicano esplicitamente le associazioni sindacali come soggetti abilitati a costituire le rappresentanze aziendali (art. 20, c. 3o), o si sottolinea il rapporto organico che lega le seconde alle prime (art. 29, c. 1o).
Sta di fatto che l’interpretazione della legge che ha nettamente prevalso e l’applicazione che ne e` stata fatta nella generalita` dei casi lasciano alle organizzazioni sindacali una liberta` pressoche´ assoluta circa le modalita` di designazione dei membri (« dirigenti ») della rappresentanza, salva la necessita` della presenza in azienda di almeno un lavoratore aderente all’associazione interessata, che faccia da « testa di ponte » per il suo ingresso in azienda (49). La legge pone cosi` a disposizione dell’organizzazione sindacale un « guscio vuoto » (50), di dimensione variabile a seconda delle dimensioni dell’unita` produttiva (ma non delle dimensioni del consenso di cui l’organizzazione sindacale gode nell’unita` produttiva stessa): un « guscio » che puo` essere utilizzato per proteggere e incrementare l’azione sindacale di attivisti che l’associazione sindacale decide di lasciar scegliere dalla generalita` dei lavoratori, oppure di far scegliere ai soli propri iscritti, o persino di designare dall’esterno omettendo di coinvolgere la base in un procedimento formale di scelta, come e` accaduto e accade in numerosi casi, soprattutto nelle aziende di dimensioni minime.
Le r.s.a. di cui all’art. 19 dello Statuto traggono dunque la propria investitura essenzialmente dalle rispettive associazioni sindacali; non dai lavoratori in quanto tali, siano essi costituiti in assemblea o in corpo elettorale. Il fatto che le associazioni stesse decidano — come e` prevalentemente accaduto da quando la legge e` in vigore — di far eleggere i propri rappresentanti sindacali aziendali da tutti i lavoratori non e` legalmente necessario (51).
L’interpretazione dell’art. 19 che ha finito col prevalere anche in dottrina, nel senso dell’assenza di qualsiasi vincolo circa le modalita` di scelta dei rappresentanti sindacali aziendali, corrisponde, a ben vedere, perfettamente alla scelta politica fondamentale che e` sottesa alla legge del 1970, nonostante l’ambiguita` della sua formulazione. Lo Statuto dei lavoratori e` stato scritto ed emanato in un periodo nel quale, mentre per un verso il processo di unificazione delle tre confederazioni sindacali maggiori — Cgil, Cisl e Uil — appariva rapido e irreversibile, per altro verso nessun’altra organizzazione sembrava poter ragionevolmente proporsi di insidiare l’egemonia delle confederazioni stesse.
All’indomani dell’« autunno caldo » del 1969 lo spirito di reciproca collaborazione tra queste, la loro forza e il loro prestigio erano tali, che il legislatore non soltanto non avvertiva alcun bisogno di verifiche della loro rappresentativita` effettiva nei luoghi di lavoro, ma addirittura nutriva una sostanziale diffidenza nei confronti di qualsiasi formazione
« autonoma » che si proponesse di contrapporsi ad esse, di intaccarne il monopolio della rappresentanza del mondo del lavoro. Se in una azienda Cgil, Cisl e Uil erano per avventura del tutto assenti, l’obiettivo (quasi esplicitamente dichiarato) era quello di favorire il piu` possibile il loro insediamento in quell’azienda, piegando l’eventuale opposizione del datore di lavoro, poiche´ il loro entrarvi e mettervi radici erano considerati a priori come garanzia di migliore tutela dei lavoratori. Il prevedere una qualsiasi forma di censimento obbligatorio dei consensi dei lavoratori azienda per azienda sarebbe stato dunque non soltanto inutile rispetto agli obiettivi perseguiti dal legislatore, ma
addirittura in contrasto con essi, xxxxxx´ avrebbe ostacolato l’ingresso e il rafforzamento delle confederazioni maggiori nelle aziende in cui esse erano deboli o assenti. Si spiega cosi` perche´ nello Statuto venisse escluso qualsiasi riferimento all’entita` dei consensi (« rappresentativita` ») di cui l’associazione sindacale godesse nella singola azienda; e perche´ venisse adottato un criterio selettivo che pareva fatto su misura per rafforzare ed estendere a tutte le aziende di dimensioni medio-grandi l’egemonia gia` conquistata sul campo nella maggior parte di esse dalle tre confederazioni maggiori (52).
54. L’utilizzazione del « guscio vuoto » delle r.s.a. da parte delle confederazioni maggiori nei due decenni successivi all’entrata in vigore dello Statuto. — L’idea di alcuni tra i primi commentatori che l’art. 19 imponesse una scelta elettiva dei rappresentanti a suffragio universale era stata presumibilmente favorita e rafforzata dal fatto che, mentre veniva approvata ed emanata la legge, stava maturando la scelta dei sindacati dei principali settori aderenti a Cgil, Cisl e Uil — destinata a essere generalizzata e formalizzata unitariamente di li` a poco (53) — di riconoscere a priori come propri organi di base i consigli dei delegati: chiunque fosse stato eletto delegato dai propri colleghi di reparto o ufficio, iscritti e non iscritti, sarebbe stato riconosciuto come rappresentante sindacale delle tre confederazioni, cosi` sancendosi anche il tendenziale superamento di qualsiasi distinzione organizzativa fra di esse al livello aziendale (54) (e proprio in funzione di questa scelta unitaria era stato inserito all’ultimo momento nel testo dello Statuto l’art. 29 sulle
« rappresentanze sindacali unitarie »: si perfezionava cosi` il « guscio vuoto » destinato ad accogliere i nuovi consigli dei delegati).
Solo organizzazioni sindacali molto sicure della propria forza e del consenso della stragrande maggioranza dei lavoratori potevano compiere una scelta di questo genere, che equivaleva sostanzialmente a firmare una sorta di mandato generale in bianco a tutti coloro che sarebbero stati eletti dai lavoratori, iscritti e non iscritti. Fatto sta che con questa scelta della neo-nata Federazione Cgil-Cisl-Uil pareva risolversi perfettamente il problema di coniugare, negli organismi di rappresentanza dei lavoratori in azienda, l’investitura dal basso con il rapporto organico nei confronti dell’associazione sindacale esterna, il movimento con l’organizzazione, Xxxx Xxxxxxxxx con Xxxxx: sembrava la quadratura del cerchio. In realta` piu` che coniugare il movimento con l’organizzazione, si era subordinata questa a quello (55): per effetto del mandato in bianco che era stato loro conferito, i consigli di fabbrica non erano vincolati nella propria politica rivendicativa ad alcuna disciplina di organizzazione; tanto e` vero che quel mandato in bianco era stato reso possibile dalla sostanziale (ancorche´ non formalizzata) rimozione della clausola di tregua (56) dai contratti collettivi nazionali di settore, nella tornata di rinnovi del 1969-70. Dopo l’« autunno caldo » la contrattazione aziendale era stata lasciata libera da qualsiasi vincolo: la si chiamava ancora « contrattazione articolata », ma in realta`, per tutto il decennio, il sistema e` stato caratterizzato da una sostanziale disarticolazione tra il livello nazionale e il livello d’impresa: i consigli erano di fatto liberi di promuovere qualsiasi iniziativa rivendicativa nelle aziende, su qualsiasi materia e in qualsiasi momento, anche all’indomani del rinnovo del contratto nazionale.
Un sistema siffatto puo` funzionare soltanto fino a che il movimento sia abbastanza forte, oltre che omogeneo in tutte le sue componenti di base, da consentire al sindacato di imporre alla controparte la contrattazione al livello nazionale senza assumere alcun impegno in riferimento ai livelli inferiori. Infatti il sistema stesso entro` in crisi non appena quella condizione venne meno, tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta: il progressivo svuotamento del potere contrattuale delle associazioni sindacali nazionali, conseguente soprattutto alla disarticolazione del sistema della contrattazione collettiva, consenti` allora alla maggiore confederazione imprenditoriale, la Confindustria, di rifiutare l’apertura dei negoziati per il rinnovo dei contratti di settore, xxxxxx´ non fosse stato ripristinato un nesso vincolante tra i livelli della contrattazione. Perche´ i contratti collettivi nazionali potessero essere rinnovati fu necessario imporre regole precise alla contrattazione aziendale con l’accordo interconfederale del 22 gennaio 1983, il c.d. « protocollo Xxxxxx »; e cio` che consenti` allora ai sindacati confederali di compiere quella scelta — poi di consolidarla e affinarla nel decennio successivo, fino al « protocollo Giugni » del 23 luglio 1993 — fu la loro capacita` di ripristinare un vero ed efficiente rapporto organizzativo con le proprie rappresentanze aziendali, cioe` di far accettare loro come utile e necessaria una disciplina organizzativa che era stata praticata poco o nulla nel decennio precedente.
Senza il recupero del rapporto organico con le rappresentanze aziendali, non avrebbe potuto nascere l’attuale sistema di contrattazione collettiva articolata, poiche´ Cgil, Cisl e Uil non avrebbero potuto stipulare credibilmente, al livello nazionale, le clausole di tregua assoluta e relativa su cui tale sistema si basa, ne´ avrebbero potuto assicurare efficacemente il loro rispetto al livello aziendale.
Al modello organizzativo degli anni settanta — caratterizzato come si e` visto dalla subordinazione strategica del rapporto organico tra rappresentanti sindacali e associazione all’investitura assembleare dei rappresentanti stessi, dell’organizzazione al movimento — si e` dunque sostituito un modello nuovo, caratterizzato dal recupero del rapporto organico. Le tre confederazioni maggiori non hanno, beninteso, rinunciato a configurare la propria organizzazione all’interno delle aziende in modo unitario e a dotarla di adeguati momenti di verifica del consenso dei lavoratori, iscritti e non iscritti; non hanno, cioe`, rinunciato a dar vita a rappresentanze aziendali unitarie la cui rappresentativita` effettiva fosse periodicamente confermata dalla consultazione elettorale di tutti i lavoratori; ma hanno cercato di strutturare questa investitura dal basso in modo da non compromettere l’efficienza del rapporto organico tra le rappresentanze e l’associazione. In altre parole, hanno cercato nuove vie per quella « quadratura del cerchio », che non poteva piu` essere perseguita nelle forme essenzialmente « movimentiste » sperimentate negli anni settanta. Si e` tentato di farlo, nel corso degli anni ottanta, con correzioni in senso proporzionalistico al sistema elettorale dei consigli dei delegati (57). Poi, nel marzo 1989, con i « consigli aziendali di rappresentanza sindacale » (Cars), infine con le « rappresentanze sindacali unitarie (Rsu) nella prima versione del marzo 1991, concordata da Cgil Cisl e Uil ma attuata solo in due settori, e nella
seconda delineata nel « protocollo Giugni » del luglio 1993, compiutamente precisata con l’accordo interconfederale del 20 dicembre dello stesso anno per il settore industriale e con altri accordi per gli altri settori: tutte soluzioni, queste ultime, sostanzialmente fondate su di una composizione mista della rappresentanza sindacale, istituendosi in seno ad essa, accanto a uno spazio riservato a rappresentanti incondizionatamente eletti dalla generalita` dei lavoratori, uno spazio predeterminato riservato alle tre confederazioni stipulanti: nel protocollo e nell’accordo interconfederale del 1993 un terzo dei seggi in seno alle r.s.u. e` riservato alle confederazioni stipulanti.
Tutte soluzioni, comunque, pienamente compatibili con l’art. 19 dello Statuto, cioe` perfettamente inseribili nel « guscio vuoto » predisposto dalla legge per tutelare la presenza e l’attivita` delle associazioni sindacali nei luoghi di lavoro, stante la piena liberta` lasciata alle associazioni stesse circa i contenuti organizzativi con cui riempire quello spazio (58).
55. La crisi del sistema e il referendum del 1995. Il nuovo criterio selettivo delle associazioni sindacali destinatarie della normativa di sostegno. — Nonostante questi tentativi di soluzione del problema in sede sindacale e la loro piena compatibilita` con la disciplina legislativa della materia contenuta nell’art. 19, la necessita` di una modifica o integrazione della norma nasceva tuttavia dal fatto che l’idea del legislatore del 1970, di una grande confederazione unitaria o comunque di una federazione delle tre confederazioni maggiori, capace di organizzare nel proprio seno tutte le correnti e tutti i fermenti interni al movimento sindacale e quindi candidata naturale e incontestata a esercitare il monopolio della rappresentanza dei lavoratori, gia` a dieci anni di distanza sembrava definitivamente tramontata: a utilizzare il « guscio » predisposto dallo Statuto, o ad aspirarvi, gia` nei primi anni ottanta erano in molti, anche in concorrenza con le confederazioni maggiori.
Tramontata quell’idea, e` quindi diventato impraticabile il progetto che si esprimeva nella lettera a dell’art. 19: il progetto, cioe`, di riservare i diritti di cui al titolo III alle sole grandi confederazioni, la cui « maggiore rappresentativita` » rispetto a tutte le altre organizzazioni fosse talmente generalizzata e talmente evidente da non dar luogo ad alcun problema di ragionevolezza e costituzionalita` del privilegio che ad essa si ricollegava. A questo punto, conservare a Cgil, Cisl e Uil l’esclusiva di quel privilegio in forza di una sorta di presunzione assoluta di fonte legale sarebbe stato evidentemente iniquo (59); per questo fin dai primi anni ottanta la diga ha incominciato a cedere, il numero delle confederazioni concorrenti cui i giudici del lavoro hanno riconosciuto il carattere della « maggiore rappresentantivita` » e` andato via via aumentando. E piu` esso aumentava piu` appariva evidente la perdita di consistenza concettuale del filtro posto dalla lettera a dell’art. 19.
Per altro verso, proprio la frammentazione del movimento sindacale ha riportato all’ordine del giorno il problema del dissenso individuale o collettivo nei confronti dell’attivita` negoziale svolta dalle organizzazioni maggiori, ovvero del campo soggettivo di applicazione dei contratti aziendali recanti clausole dismissive o « di gestione ». Una riforma legislativa era dunque necessaria. Ma la vischiosita` del procedimento legislativo ordinario ha fatto si` che la riforma, pur propugnata anche da forze politiche vicine alle confederazioni sindacali maggiori (60), fosse preceduta dal referendum del giugno 1995.
Bocciato per una manciata di voti il quesito « massimalista », che tendeva all’eliminazione totale di qualsiasi filtro per l’accesso ai diritti di cui al titolo III dello Statuto, il corpo elettorale ha risposto invece positivamente a larga maggioranza (quasi due terzi dei voti espressi) al quesito che di fatto, nonostante le intenzioni dei promotori, portava al risultato opposto (61); donde l’abrogazione della sola lettera a dell’art. 19, con conseguente caduta del criterio selettivo dell’appartenenza del sindacato alle « confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale », e la modifica del contenuto della lettera b, con l’effetto di assicurare il godimento dei privilegi previsti dal titolo III dello Statuto a tutte e sole le associazioni sindacali che siano firmatarie di un contratto collettivo, anche aziendale, applicabile nell’unita` produttiva. Per effetto del referendum, il criterio attraverso il quale l’ordinamento statuale seleziona le associazioni sindacali cui assicurare « sostegno » nelle aziende viene quindi a coincidere con il criterio di selezione dei soggetti negoziali tipicamente proprio dell’ordinamento intersindacale (62): quello, cioe`, della capacita` dell’associazione sindacale, verificata nell’esperienza concreta, di conquistarsi un posto al tavolo delle trattative contrattuali e di negoziare utilmente con la controparte imprenditoriale.
Merito indiscutibile di questa « miniriforma » — che ha indotto addirittura qualcuno a salutarla come « la » riforma definitiva della materia — e` stato quello di sgombrare il campo da distorsioni, equivoci e arbitrii connessi con l’ormai incerta regola della « maggiore rappresentativita` » e di conservare, nel contempo, la configurazione dell’istituto della rappresentanza sindacale aziendale come organo periferico dell’associazione sindacale, lasciando quest’ultima libera di determinarne la struttura, nonche´ i criteri di scelta/elezione dei membri dell’organo stesso. E` stato sottolineato in proposito il rischio di una proliferazione di organizzazioni sindacali o parasindacali « aziendaliste », come conseguenza dell’estensione referendaria dei diritti di cui al titolo III dello Statuto alle associazioni firmatarie anche soltanto di contratti aziendali (63); ma a far argine contro tale rischio resta il divieto dei sindacati di comodo (art. 17), corollario del divieto generale di comportamenti fraudolenti; resta altresi` l’impegno assunto dalle associazioni imprenditoriali con il § 1 dell’accordo del dicembre 1993 sulle r.s.u. (64); e resta soprattutto il naturale interesse dell’imprenditore a evitare il frazionamento del fronte sindacale, in funzione della governabilita` dell’azienda.
D’altra parte, al di fuori dell’ipotesi del sindacato di comodo, del tutto infrequente e comunque facilmente identificabile in concreto, non si vede perche´ si dovrebbe, e come si potrebbe, impedire all’imprenditore la scelta di gravarsi degli obblighi di cui al titolo III dello Statuto nei confronti di associazioni sindacali che egli ritenga effettivamente rappresentative di una parte consistente dei lavoratori occupati nell’azienda. Xxxxx tentato di opporvisi le Corti superiori (65) e alcuni giudici di merito; ma quell’orientamento appare strettamente legato al vecchio contesto
normativo, in particolare all’odium del vecchio ordinamento nei confronti del sindacalismo di livello esclusivamente aziendale. Nel nuovo regime instaurato dal referendum, il solo criterio che conta e` quello della capacita` effettiva dell’associazione sindacale di proporsi, e all’occorrenza imporsi, alla controparte imprenditoriale come interlocutore negoziale stabile, quale che sia il livello della contrattazione. Cio` che l’ordinamento statale intende garantire — e il giudice deve quindi accertare nel caso concreto — e` soltanto la genuinita` di tale dialettica sindacale (66).
Conseguentemente, sembra logico considerare come necessaria — in stretta aderenza al dato letterale del dettato legislativo — la natura associativa del soggetto sindacale; e necessaria altresi` l’effettiva negoziazione da parte sua di un contratto di contenuto normativo, cioe` destinato a regolare i singoli rapporti di lavoro nell’impresa.
Con il referendum, in conclusione, l’ordinamento statale prende atto del fallimento di una parte rilevante di quello che fu il progetto iniziale dello Statuto: dell’idea, cioe`, di fornire sostegno legislativo al consolidarsi di una grande confederazione generale unitaria capace di proporsi come titolare monopolistico della rappresentanza dei lavoratori. Dismesso quel progetto, abbandonata ogni idea di orientare in modo incisivo gli sviluppi del sistema delle relazioni sindacali in senso favorevole al sindacalismo confederale, l’ordinamento statale si riserva ora il ruolo minimale di garante di alcune regole di elementare fair play, di contenuto parzialmente differente a seconda che le parti contrapposte si siano gia` reciprocamente « riconosciute » o no (e in questo la norma conserva un suo ruolo non trascurabile), lasciando che il sistema delle relazioni sindacali si evolva per il resto secondo le linee che il libero gioco delle forze in campo di volta in volta determinera`: dove per « libero gioco » deve intendersi un gioco i cui protagonisti siano del tutto liberi di « riconoscersi » a vicenda o no, e quindi anche di aprire o no trattative e addivenire o no alla stipulazione del contratto (67), senza che l’ordinamento statale manifesti alcuna preferenza per un tipo di associazione o per un modello di sindacalismo piuttosto che per un altro. In questo senso — ma solo in questo — si puo` parlare del prevalere nel nostro ordinamento di una sorta di nuovo laissez faire collettivo (68).
Il godimento dei diritti di cui al titolo III dello Statuto non e` dunque piu` assicurato alle tre confederazioni maggiori da una scomoda patente di rappresentativita` presunta, bensi` soltanto dall’essere negoziatrici e firmatarie di accordi interconfederali e contratti collettivi nazionali di settore che hanno un campo di applicazione esteso di fatto alla quasi totalita` delle imprese: il requisito dell’« applicazione » del contratto collettivo, infatti, secondo l’interpretazione che ne e` stata data fino a oggi in riferimento alla disciplina degli sgravi contributivi, deve ritenersi sussistente anche nei casi in cui del contratto stesso sia applicata nell’azienda la sola parte normativa e non la parte obbligatoria (69), non essendo l’imprenditore iscritto all’associazione firmataria; e il requisito stesso deve, secondo l’orientamento oggi prevalente, ritenersi sussistente anche quando tale applicazione avvenga soltanto de facto, per spontanea adesione dell’imprenditore in assenza di specifica formalizzazione del relativo impegno, o per essere il contratto assunto come riferimento per la determinazione degli standard minimi di trattamento ex art. 36 Cost. (v. in proposito § 69) (70).
Dalla modifica dell’art. 19 vengono invece penalizzate le associazioni sindacali di piu` recente costituzione, quali quelle dei quadri (§§ 177 e 184), che non sono ancora riuscite a imporsi alla controparte imprenditoriale come interlocutori negoziali: per queste l’esito del referendum comporta la perdita dei diritti di cui al titolo III, conquistati tra la meta` degli anni ’80 e la meta` dei ’90 in virtu` dell’interpretazione estensiva della lettera a dell’art. 19, di cui si e` detto. E sembrano destinate a esserne penalizzate, altresi`, le confederazioni minoritarie, anch’esse beneficiarie prima del 1995 della stessa interpretazione estensiva della norma ora abrogata, che sono state fino a ieri ammesse a sottoscrivere i contratti collettivi nazionali — pur non avendo partecipato o avendo partecipato solo formalmente alla loro negoziazione — dopo che l’accordo di rinnovo era stato raggiunto con le confederazioni maggiori: tale sottoscrizione
« passiva » del contratto, secondo il condivisibile orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza, non soddisfa il requisito di cui alla lettera b dell’art. 19 (71); e comunque la nuova disciplina legislativa risultante dal referendum potrebbe indurre le associazioni imprenditoriali ad abbandonare in tutto o in parte quella prassi, per escludere dal godimento dei diritti di cui al titolo III le formazioni sindacali meno rappresentative e ridurre notevolmente la frammentazione delle rappresentanze nelle aziende.
56. La questione di costituzionalita` del nuovo criterio selettivo. — La penalizzazione delle organizzazioni sindacali piu` deboli rispetto alle maggiori ha spinto le prime a sollevare la questione di costituzionalita` della disciplina legislativa risultata dal referendum (72), questione che e` stata pero` ritenuta infondata dalla Corte costituzionale (73). Riconosciuta — come gia` piu` volte in passato, in riferimento alla formulazione originaria dell’art. 19 — l’opportunita` e anzi necessita` di selezione delle associazioni sindacali destinatarie del « sostegno » legislativo, la Corte ha ritenuto ragionevole che tale selezione venga operata privilegiandosi le associazioni sindacali piu` forti e rappresentative rispetto alle piu` deboli; e nel campo delle relazioni sindacali proprio la capacita` di imporsi alla controparte imprenditoriale come interlocutrice nella contrattazione collettiva costituisce un indice assai attendibile della forza e rappresentativita` di una associazione sindacale (74). Certo, il referendum ha chiuso una delle due « porte » che con lo Statuto del 1970 erano state aperte per l’accesso ai diritti di cui al titolo III, quella riservata ai sindacati « confederali », la cui ragion d’essere era di privilegiare il sindacalismo portatore di istanze di solidarieta` intersettoriale, ovvero — per usare un’espressione diffusa a quell’epoca — il sindacalismo « di classe ». Ma il mantenimento dell’apertura di quella
« porta » non costituiva una scelta costituzionalmente obbligata per il legislatore ordinario.
La realta` e` che, come si e` visto, quella « porta », concepita originariamente come varco piu` stretto, attraverso il quale soltanto le tre confederazioni maggiori avrebbero dovuto poter passare, e` stata in seguito progressivamente allargata per consentire che la varcasse, in pratica, qualsiasi organizzazione sindacale, per quanto debole e minoritaria, che fosse in grado di darsi un minimo di struttura « confederale ». Poiche´ le tre confederazioni maggiori soddisfano comunque anche il requisito necessario per varcare la seconda « porta » prevista dall’art. 19, la chiusura della prima ha prodotto
sostanzialmente il risultato di restituire alla norma un grado di selettivita` assai vicino a quello a cui concretamente pensava il legislatore del 1970. Se si guarda agli effetti concreti, l’unica vera innovazione rispetto al disegno originario sta nel varco aggiuntivo che ora e` stato aperto alle organizzazioni sindacali capaci di imporsi nella contrattazione collettiva soltanto al livello aziendale; e anche a questo proposito puo` osservarsi come la scelta contraria di penalizzare il sindacalismo di livello esclusivamente aziendale non costituisca una scelta costituzionalmente obbligata per il legislatore ordinario.
In altre parole, cio` che e` venuto meno rispetto al disegno originario dello Statuto e` essenzialmente l’intendimento dell’ordinamento statale di « correggere » gli effetti del libero gioco delle forze in campo, favorendo il sindacalismo confederale con una presunzione assoluta di « maggiore rappresentativita` » e penalizzando il sindacalismo di orizzonti limitati. Se non collideva con il principio costituzionale della liberta` sindacale il disegno originario dello Statuto, decisamente piu` « dirigista », a maggior ragione deve considerarsi compatibile con quel principio la « correzione di rotta » della legislazione ordinaria operata dal referendum, che ha l’effetto sostanziale di una valorizzazione piena delle dinamiche spontanee interne al sistema delle relazioni sindacali, e pertanto di una piu` compiuta armonizzazione dell’ordinamento statale con l’ordinamento intersindacale spontaneo (75).
Per altro verso, se non collide con il principio della liberta` sindacale il riconoscimento di determinati effetti giuridici da parte dell’ordinamento statale al contratto collettivo di livello nazionale o aziendale, quali che ne siano le parti stipulanti, non puo` considerarsi incompatibile con quel principio l’attribuzione, da parte dell’ordinamento statale, a quello stesso contratto collettivo, di alcuni effetti ulteriori, quali quelli di cui al titolo III dello Statuto.
Fondata, invece, appare la questione di costituzionalita` — prospettata per ora, a quanto consta, soltanto in sede dottrinale (76) — della disposizione contenuta nell’art. 28, che riserva alle sole associazioni sindacali di dimensioni nazionali la legittimazione attiva nel procedimento per la repressione della condotta antisindacale del datore: quella disposizione mal si inserisce, dopo la modifica referendaria dell’art. 19, in un quadro normativo dal quale e` stato espunto il privilegio in precedenza riconosciuto alle confederazioni « nazionali »; e, viceversa, il diniego di tutela processuale a un’associazione sindacale di dimensione soltanto aziendale sembra entrare in insanabile contrasto con l’art. 24 Cost. nel momento in cui una siffatta associazione viene abilitata dalla legge a candidarsi al godimento dei diritti di cui al titolo III.
57. Conciliabilita` del nuovo criterio selettivo con l’assetto delle rappresentanze aziendali delineato dal protocollo del 23 luglio 1993. — Secondo una parte della dottrina l’esito del referendum del 1995 avrebbe determinato una situazione di attrito fra la disciplina legislativa che ne risulta e la disciplina delle r.s.u. contenuta nel « protocollo » del luglio 1993 sulle relazioni sindacali (di cui si e` detto nel § 54) e negli accordi interconfederali che vi hanno dato concreta attuazione (77). Puo` osservarsi tuttavia in proposito che la modifica referendaria del testo dell’art. 19 concerne soltanto i criteri di selezione delle associazioni sindacali beneficiarie del « sostegno » di fonte legislativa, ma non altera in alcun modo l’opzione originaria dello Statuto — di cui si e` detto sopra (§ 53) — nel senso della piena liberta` delle associazioni stesse nella determinazione della struttura delle rappresentanze aziendali e nella regolamentazione della scelta dei singoli rappresentanti. Anche dopo il referendum la r.s.a. continua a configurarsi come un « guscio vuoto » allo stesso modo di prima (78): muta soltanto (e solo in parte) il criterio di selezione delle associazioni che di quel
« guscio » hanno diritto di fare uso. I sindacati aderenti a Cgil, Cisl e Uil, cosi` come gli altri sindacati firmatari del protocollo del 1993, in quanto associazioni rispondenti al criterio selettivo stabilito dal nuovo art. 19, restano liberi, nella stessa misura in cui lo erano prima, di riempire il « guscio » con i contenuti organizzativi che preferiscono. E addirittura ancor piu` di prima sono liberi gli imprenditori di vincolarsi nei confronti delle tre confederazioni maggiori
— come si sono vincolati con il « protocollo Giugni » — a non negoziare con rappresentanze sindacali costituite al di fuori del sistema delineato nel protocollo stesso.
Non e` dunque da un inesistente attrito tra la nuova disciplina legislativa e la disciplina contrattuale collettiva della materia che nasce l’esigenza della riforma (79): se oggi tale esigenza e` avvertita quasi unanimemente come urgente, e` perche´ il sistema di rappresentanza delineato dall’art. 19 dello Statuto, lasciando alle associazioni sindacali beneficiarie del « sostegno » una totale liberta` circa le modalita` di organizzazione delle r.s.a., non prevede alcun meccanismo obbligatorio di misurazione precisa della loro rappresentativita`, ne´ con riferimento al numero dei lavoratori formalmente associati (secondo la disposizione contenuta nell’art. 39 Cost.), ne´ con riferimento ai consensi che esse raccolgono nella grande platea dei lavoratori iscritti e non iscritti; né prevede alcuna commisurazione del numero di rappresentanti di cui ciascuna associazione può disporre al numero degli iscritti o dei consensi elettorali da questa conseguiti nell’unità produttiva (§ 59) (80).
58. Le prerogative delle rappresentanze sindacali aziendali. La convocazione dell’assemblea e del referendum nel luogo di lavoro. — Alle rappresentanze sindacali aziendali di cui all’art. 19 St. lav. gli artt. 20 e 21 attribuiscono le prerogative della convocazione dell’assemblea e dell’indizione del referendum tra i lavoratori nell’unita` produttiva. Gli istituti dell’assemblea e del referendum costituiscono tipica espressione del principio di democrazia diretta, cioe` di partecipazione di tutti gli interessati alla formazione delle decisioni, in contrapposizione al principio della delega dei poteri, ovvero della democrazia rappresentativa; ma coll’attribuire alle r.s.a. il potere di attivare queste due forme di partecipazione di base il legislatore del 1970 ha inteso ricondurle entrambe nel quadro della normativa di sostegno alle associazioni sindacali nel luogo di lavoro: il dibattito che ha accompagnato l’iter parlamentare della legge mostra inequivocabilmente come si sia inteso, con questa scelta, evitare un loro uso in chiave di contrapposizione alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, permettendo invece a queste di utilizzare i due istituti per rafforzare la propria capacita` di interpretare gli orientamenti della base, di cogliere tempestivamente e mediare i
conflitti d’interesse che possono manifestarsi al suo interno (81). La scelta stessa implica che il diritto all’assemblea nel luogo di lavoro e al referendum non sia qualificabile come diritto della persona garantito dagli artt. 2, 17 e 21 Cost. (82): il diritto del lavoratore alla partecipazione e` condizionato all’iniziativa della rappresentanza sindacale. In presenza di tale iniziativa esso tuttavia si configura come un diritto perfetto, cioe` non condizionato nella sua attuazione all’assenso del datore di lavoro (83), il quale e` obbligato non soltanto a consentire la partecipazione dei lavoratori alla riunione, ma anche a predisporre il locale idoneo per il suo svolgimento.
L’assemblea puo` essere convocata per la totalita` dei dipendenti dell’unita` produttiva, per un suo singolo reparto o per una categoria di essi (art. 20, c. 2o). Il diritto dei singoli lavoratori di parteciparvi puo` essere esercitato anche nei periodi di sospensione — a qualsiasi causa dovuta — della loro prestazione lavorativa (84). Il diritto stesso non dipende, di regola, dal loro essere iscritti all’associazione sindacale di cui e` espressione la r.s.a. che ha disposto la convocazione; deve pero` ritenersi, per quanto si e` appena detto circa la ratio dell’art. 20, che la r.s.a. abbia il potere di delimitare il novero dei lavoratori ammessi, anche eventualmente escludendo i non iscritti.
Il diritto di convocazione dell’assemblea e` condizionato dall’art. 20 all’indicazione preventiva, da parte della r.s.a. interessata, di un ordine del giorno riguardante « materie di interesse sindacale e del lavoro », dovendo intendersi per tali tutte le materie che abbiano attinenza alla condizione dei lavoratori, dentro e fuori dell’azienda: quindi anche materie di carattere politico generale, non specificamente attinenti al settore produttivo particolare a cui l’azienda appartiene, e anche non di carattere strettamente sindacale (85).
L’assemblea in azienda puo` svolgersi fuori dell’orario di lavoro senza limiti di estensione temporale, oppure durante l’orario di lavoro, nel limite di dieci ore annue (86). Questo limite deve essere riferito alla corrispondente sospensione della prestazione lavorativa di ciascun lavoratore interessato: le assemblee convocate dalle diverse r.s.a. possono pertanto avere durata complessiva ben superiore alle dieci ore, quando la partecipazione ad esse non sia totalitaria, aderendo ciascun lavoratore soltanto ad alcune convocazioni e non ad altre. Nel limite suddetto il tempo dedicato dal lavoratore all’assemblea e` considerato a tutti gli effetti e retribuito normalmente come tempo di lavoro.
All’assemblea possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti dell’associazione sindacale di cui e` espressione la r.s.a. che ha operato la convocazione, anche non appartenenti all’azienda (c. 3o).
L’ultimo comma dell’art. 20 prevede che « ulteriori modalita` per l’esercizio del diritto di assemblea » possano essere stabilite « dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali ». Nonostante qualche pronuncia in senso contrario (87), mi sembra che questa disposizione consenta esplicitamente la pattuizione in sede collettiva di vincoli finalizzati a evitare o ridurre al minimo il pregiudizio che dall’esercizio del diritto di assemblea puo` derivare al normale svolgimento dell’attivita` aziendale; cio` anche in considerazione del fatto che tale pattuizione appartiene alla parte obbligatoria del contratto collettivo e incide su di un diritto che — come si e` detto — la legge attribuisce in prima istanza al sindacato, subordinando al suo esercizio da parte del sindacato il sorgere di un diritto dei singoli lavoratori. La pattuizione suddetta deve, poi, considerarsi addirittura dovuta, in applicazione analogica della legge n. 146/1990, nei settori dei servizi pubblici, per la garanzia degli standard minimi di efficienza dei servizi stessi e della garanzia di conoscibilita` preventiva delle eventuali sospensioni da parte degli utenti. Anche in assenza di una disciplina pattizia della materia, comunque, l’osservanza di un ragionevole termine di preavviso da parte della r.s.a. appare esigibile in applicazione del principio di buona fede nell’attuazione del rapporto contrattuale (art. 1375 c.c.) (88).
A differenza del diritto di convocazione dell’assemblea, che come si e` visto puo` essere esercitato anche dalla singola
r.s.a. isolatamente dalle altre, riguardare una parte soltanto dei dipendenti dell’unita` produttiva e svolgersi anche nell’orario di lavoro, il referendum (« su materie inerenti all’attivita` sindacale ») deve invece, a norma dell’art. 21, essere indetto da tutte le r.s.a. congiuntamente, essere aperto a tutti i lavoratori interessati e svolgersi sempre fuori dell’orario di lavoro: in caso contrario il datore di lavoro puo` opporsi a che la consultazione si svolga all’interno dell’azienda. La norma sembra dunque voler impedire l’uso della consultazione referendaria da parte di una organizzazione sindacale volto a contrastare le scelte di un’altra organizzazione; e ancor piu` l’utilizzazione di questo istituto da parte di istanze di base contro le scelte delle organizzazioni (89).
Il silenzio della norma legislativa circa il valore dell’esito del referendum consente di escludere con sicurezza che esso possa essere considerato vincolante per le associazioni sindacali o le r.s.a. che lo hanno indetto: al pari dell’esito della votazione in asssemblea, si tratta infatti di una vicenda tutta interna alla dialettica tra organizzazione sindacale e lavoratori (90).
Anche per il referendum e` prevista la possibilita` di pattuizione in sede collettiva, di qualsiasi livello, di « ulteriori modalita` » di svolgimento (art. 21, u. c.); valgono in proposito le stesse osservazioni gia` svolte in riferimento alla norma analoga contenuta nell’art. 20 u. c. in riferimento all’assemblea.
59. Permessi e aspettative per i rappresentanti e i dirigenti sindacali. Tutela speciale contro il licenziamento e il trasferimento (rinvio). — L’art. 23 St. lav. attribuisce ai rappresentanti sindacali aziendali il diritto a permessi retribuiti, dei quali puo` fruire a) un rappresentante (nient’altro significa il termine « dirigente » usato qui dal legislatore) (91) per ciascuna associazione rappresentata nelle unita` produttive che occupano « fino a 200 dipendenti della categoria per cui la stessa e` organizzata », b) un rappresentante per ogni 300 o frazione di 300 dipendenti nelle unita` produttive che occupano fino a 3000 dipendenti, c) un rappresentante ogni 500 o frazione di 500 dipendenti nelle unita` produttive di dimensioni maggiori (1o c.). Ciascuno dei rappresentanti titolari del diritto puo` fruire nel caso a) di un’ora all’anno di permesso retribuito per ciascun dipendente, nei casi b) e c) di otto ore al mese (2o c.); in tutti i casi l’esercizio del diritto e` assoggettato all’onere di un preavviso, di regola non inferiore a 24 ore. La quantita` dei permessi fruibili e` dunque del tutto insensibile al numero degli aderenti all’associazione sindacale, o dei consensi che questa altrimenti raccolga
nell’unita` produttiva: tutte le associazioni che abbiano superato il vaglio dell’art. 19 possono nominare lo stesso numero di rappresentanti sindacali e questi sono abilitati a godere della stessa quantita` di permessi, indipendentemente dal fatto che rappresentino un solo dipendente dell’azienda o ne rappresentino centinaia o migliaia (ragione non ultima, questa, dell’urgenza di una riforma della materia: v. 57).
Agli stessi membri delle r.s.a. l’art. 24 attribuisce il diritto a permessi non retribuiti per la loro partecipazione a trattative o convegni sindacali, nel limite di otto giorni all’anno. Il godimento di questo diritto e` assoggettato all’onere di un preavviso di regola non inferiore a tre giorni.
I contratti collettivi, nazionali o aziendali, sovente prevedono un aumento, talora molto considerevole, sia del numero dei membri delle rappresentanze sindacali che possono godere dei permessi, sia della quantita` dei permessi medesimi. La nomina dei membri delle rappresentanze, come si e` visto a suo luogo (§§ 53-54) e` — ormai pacificamente — riservata alle rispettive associazioni sindacali, che possono procedervi dopo averli fatti eleggere dai lavoratori dell’unita` produttiva, oppure dai soli lavoratori iscritti, oppure avendoli scelti autoritativamente dall’esterno, oppure ancora in parte in un modo e in parte in un altro (come previsto dal « protocollo » del luglio 1993).
Si discute invece se il godimento del permesso sia subordinato al consenso della rappresentanza (o dell’associazione) sindacale di appartenenza, o costituisca oggetto di un diritto perfetto del singolo membro della r.s.a.; la previsione (sia nell’art. 23, sia nell’art. 24) che la richiesta del permesso venga presentata al datore di lavoro « tramite le rappresentanze sindacali aziendali » induce a ritenere che il legislatore abbia inteso assoggettare la fruizione del beneficio al controllo della r.s.a., il cui esito e` peraltro insindacabile (92). La questione perde comunque gran parte della sua rilevanza pratica, nell’eventuale controversia tra associazione e rappresentante, se si concorda sul punto che la
r.s.a. e` organo dell’associazione sindacale e che la nomina del singolo rappresentante puo` essere revocata dall’associazione stessa in qualsiasi momento: onde il comportamento di quest’ultimo che venisse considerato abusivo da parte dell’organizzazione di appartenenza potrebbe sempre essere da essa sanzionato con la revoca della nomina e la sostituzione del rappresentante.
Quanto alla motivazione dell’astensione dal lavoro da parte dei rappresentanti, per il permesso retribuito la genericita` della formulazione della norma (art. 23, 1o c.: « per l’espletamento del loro mandato ») lascia ben poco spazio al vaglio da parte dell’imprenditore (93); per il permesso non retribuito deve invece riconoscersi a quest’ultimo la possibilita` di controllo sull’effettiva utilizzazione del permesso per la partecipazione a trattative o convegni sindacali, come disposto dall’art. 24. Questo, tuttavia, secondo l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale assolutamente prevalente, non significa invece che il godimento del permesso sia subordinato a una autorizzazione preventiva da parte dell’imprenditore, bensi` soltanto che, qualora risulti una diversa utilizzazione del permesso, l’astensione dal lavoro potra` essere contestata al rappresentante sindacale come ingiustificata (94).
Al lavoratore che sia componente di organo direttivo provinciale o nazionale di una organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa ex art. 19, l’art. 30 St. lav. attribuisce il diritto a permessi retribuiti, « secondo le norme dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle riunioni degli organi suddetti ». Nonostante il rinvio alla contrattazione sindacale per la determinazione delle modalita` di godimento di questi permessi, la giurisprudenza e` orientata nel senso della precettivita` immediata della disposizione, con conseguente attribuzione al giudice della funzione di determinare limiti e modi di esercizio del diritto in difetto di disciplina collettiva (95).
Allo stesso lavoratore membro di organo direttivo provinciale o nazionale di una organizzazione sindacale (cosi` come al lavoratore eletto al parlamento nazionale o europeo o a una assemblea regionale, oppure ad altra carica pubblica elettiva) l’art. 31 St. lav. — modificato dalla legge 11 agosto 1979 n. 384 — attribuisce il diritto a collocarsi in aspettativa non retribuita per tutta la durata della carica, disponendo la prosecuzione figurativa della contribuzione previdenziale sia ai fini pensionistici, sia ai fini dell’assicurazione contro le malattie (96).
Dei diritti analoghi previsti dall’art. 32 St. lav. e dalla legge 27 dicembre 1985 n. 816 per i lavoratori eletti a cariche pubbliche negli enti locali si dira` nella parte della trattazione dedicata alla sospensione della prestazione lavorativa. Alle parti della trattazione dedicata alla disciplina del trasferimento e a quella del licenziamento (vol. II) si rinvia invece per l’esposizione della tutela speciale dei rappresentanti sindacali disposta rispettivamente dall’art. 22 e dall’8o comma dell’art. 18 St. lav.
60. Altre prerogative delle rappresentanze sindacali aziendali: locali per le riunioni, spazi per le affissioni e raccolta di contributi. — Il diritto delle rappresentanze sindacali a comunicare con i lavoratori nell’unita` produttiva non si esercita soltanto per mezzo dell’assemblea, ma anche mediante la disponibilita` di locali idonei per lo svolgimento di riunioni piu` ristrette e di spazi idonei a ospitare comunicazioni scritte.
Il diritto delle r.s.a. all’uso di spazi « all’interno dell’unita` produttiva o nelle immediate vicinanze di essa » per lo svolgimento della propria attivita` e` previsto dall’art. 27 St. lav., il cui primo comma prevede la disponibilita` permanente di almeno un locale, comune a tutte le rappresentanze, nelle unita` produttive che occupino almeno 200 dipendenti; il secondo comma prevede invece soltanto, nelle unita` produttive di minori dimensioni, la disponibilita` per le rappresentanze sindacali di un luogo idoneo allo svolgimento delle loro riunioni, per la sola durata delle riunioni stesse. La norma delimita l’uso che del locale puo` essere fatto da parte delle r.s.a. (« per l’esercizio delle loro
funzioni », « per le loro riunioni »), consentendo cosi` all’imprenditore di esigere che del locale non venga fatto un uso diverso (97).
Quanto al diritto di affissione, l’art. 25 impone all’imprenditore l’obbligo di predisporre spazi idonei « in luoghi accessibili a tutti i lavoratori all’interno dell’unita` produttiva », nei quali le r.s.a. possono affiggere « pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro ». La giurisprudenza e` univoca nell’escludere
che l’imprenditore stesso possa sottoporre le affissioni a un controllo preventivo di conformita` ai requisiti oggettivi indicati nella norma e che egli possa procedere direttamente alla defissione dei testi privi di tali requisiti (98): unica eccezione puo` forse essere costituita dal caso in cui il testo affisso abbia contenuto offensivo o diffamatorio nei confronti di un dipendente della stessa unita` produttiva, prevalendo in tal caso il diritto di quest’ultimo sulla liberta` di espressione della rappresentanza sindacale e configurandosi pertanto un obbligo per l’imprenditore ex art. 2087 di tutelare la personalita` morale del dipendente stesso nell’ambiente di lavoro, suscettibile di prevalere sul suo obbligo di consentire l’affissione (99).
Il 2ocomma dell’art. 26 St. lav. nella sua versione originaria attribuiva alle associazioni sindacali il « diritto di percepire, tramite ritenuta sul salario, i contributi sindacali che i lavoratori intendono loro versare, con modalita` stabilite dai contratti collettivi di lavoro, che garantiscano la segretezza del versamento effettuato dal lavoratore a —ciascuna associazione sindacale », configurandosi in tal modo un obbligo per il datore di lavoro di accettare ed esercitare la delega di pagamento da parte del singolo dipendente. La norma e` stata poi integrata, ad opera del 2o comma dell’art. 18 della legge n. 223/1991, con l’estensione del diritto, originariamente limitato al rapporto tra associazioni e datori di lavoro, anche al rapporto tra le stesse e gli istituti previdenziali, i quali erano cosi` obbligati a effettuare le ritenute sui trattamenti pensionistici, sulle indennita` di malattia e sulle rendite di invalidita` (100). E il 2o comma dell’art. 4 la legge n. 146/1990 aveva previsto la perdita di questo diritto come sanzione per la violazione da parte dell’associazione sindacale delle norme in materia di sciopero nei servizi pubblici essenziali. Il 2o comma dell’art. 26 e` stato poi abrogato, insieme al 3o, per effetto del D.P.R. 28 luglio 1995 n. 313, emanato all’esito del referendum popolare celebrato nel giugno precedente.
In conseguenza dell’abrogazione del secondo e del terzo comma dell’art. 26, della norma originaria resta in vigore soltanto il primo, che attribuisce ai singoli lavoratori — ma per quanto si e` detto a suo luogo (§§ 49 e 52) la titolarita` del diritto deve intendersi estesa all’associazione sindacale — « il diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attivita` aziendale » e senza la possibilita` di imporre al datore di lavoro l’aggravio amministrativo costituito dall’esecuzione delle ritenute sulle retribuzioni e del relativo versamento alle associazioni sindacali (101).
Nulla vieta, tuttavia, al datore di lavoro di accettare la delega di pagamento del singolo dipendente, o di obbligarsi per contratto, individualmente o per il tramite della propria associazione, a eseguire la riscossione dei contributi sindacali mediante le ritenute sulle retribuzioni di tutti i dipendenti che ne facciano richiesta; e poiche´ in questo senso dispongono per lo piu` i contratti collettivi nazionali, l’abrogazione della norma ha prodotto conseguenze pratiche poco rilevanti, limitate alle associazioni sindacali non beneficiarie delle suddette pattuizioni collettive (102).
61. Il divieto di comportamento antisindacale del datore di lavoro. — Il sistema dei diritti di liberta` e attivita` sindacale nei luoghi di lavoro e` completato e al tempo stesso garantito da una norma di chiusura, l’art. 28 St. lav., che per un verso vieta al datore di lavoro tutti i « comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della liberta` e della attivita` sindacale nonche´ del diritto di sciopero », per altro verso, sul piano processuale, istituisce una procedura cautelare estremamente rapida ed efficace per la repressione di tali comportamenti e la rimozione dei loro effetti (103). Il divieto sostanziale ha per oggetto innanzitutto, come e` ovvio, ogni comportamento specificamente contrastante con un diritto attribuito all’associazione sindacale o alla sua rappresentanza aziendale dallo stesso Statuto dei lavoratori, da un’altra norma legislativa o da un contratto collettivo. Ma la formulazione « aperta » del divieto consente di comprendervi qualsiasi altro comportamento, ancorche´ non tipizzato come illecito, volto a impedire od ostacolare il rapporto fra l’associazione sindacale e i lavoratori o l’esercizio del diritto di sciopero.
Si e` molto discusso e tuttora si discute sulla questione della rilevanza dell’elemento soggettivo, cioe` dell’intenzione del datore di lavoro di recare danno all’associazione sindacale o alla riuscita dello sciopero, ai fini della configurabilita` del comportamento vietato dall’art. 28. La soluzione preferibile, oltre che corrispondente all’orientamento giurisprudenziale oggi prevalente, sembra quella dell’irrilevanza dell’elemento psicologico quando nel comportamento si configuri la violazione di un diritto espressamente attribuito all’associazione sindacale dalla legge o dal contratto, rilevanza invece dell’intendimento antisindacale del datore di lavoro quando si tratti di un comportamento non tipizzato come illecito dalla legge o dal contratto (104). Sulla rilevanza dell’elemento psicologico per la qualificabilita` come comportamento antisindacale del trattamento differenziato nei confronti di un rappresentante sindacale o lavoratore sindacalizzato v. § 51.
Secondo i principi generali, non puo` costituire condotta antisindacale l’esercizio da parte del datore di lavoro di un diritto: in particolare il diritto di espressione del pensiero (quand’anche vivacemente critico nei confronti dell’associazione sindacale o di suoi singoli rappresentanti), il diritto di modificare l’organizzazione del lavoro mediante l’esercizio legittimo del potere direttivo o dell’autonomia negoziale al fine di ridurre gli effetti dannosi di uno sciopero sull’andamento economico dell’azienda, il diritto di recedere da un contratto collettivo a tempo indeterminato (§ 73), o il diritto di sanzionare sul piano disciplinare i comportamenti scorretti dei dipendenti anche quando tenuti in occasione di conflitti sindacali.
Non costituisce di per se´ comportamento antisindacale la violazione da parte del datore di lavoro di clausole inerenti alla regolamentazione dei rapporti individuali di lavoro, cioe` appartenenti alla « parte normativa » del contratto collettivo (§ 63). Prevale però l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale nel senso della configurabilita` del comportamento antisindacale in una violazione sistematica e generalizzata del contratto collettivo, che possa avere l’effetto indiretto di squalificare l’associazione sindacale e la sua funzione negoziale agli occhi dei lavoratori (105).
62. La direttiva comunitaria n. 45/1994 sui comitati aziendali europei e la sua attuazione in Italia mediante l’accordo
interconfederale 27 novembre 1996. — A differenza del nostro legislatore nazionale, che fino ad oggi ha optato in modo netto per il modello del rapporto organico fra rappresentanza aziendale e associazione sindacale esterna, il legislatore comunitario — stretto dalla necessita` di delineare una disciplina compatibile con gli svariati assetti della rappresentanza dei lavoratori negli Stati membri — ha optato per una soluzione aperta ai diversi modelli.
La direttiva n. 45/1994, con la quale sono stati istituiti i « comitati aziendali europei » per « l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie », e` intervenuta a generalizzare l’esperienza che si era sviluppata in precedenza, di accordi sindacali stipulati da imprese multinazionali con organismi — multinazionali anch’essi — spontaneamente costituitisi per iniziativa delle organizzazioni sindacali o delle rappresentanze aziendali dei lavoratori: accordi che per lo piu` introducevano obblighi di informazione periodica a carico dei vertici delle imprese stesse sulle strategie di gruppo suscettibili di produrre ripercussioni sulle condizioni dei lavoratori, ma non producevano effetti normativi sui rapporti di lavoro individuali (106). In linea con quell’esperienza spontanea, la direttiva n. 45/1994 si propone di « migliorare il diritto all’informazione e alla consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie » (art. 1), intendendosi per tali
— l’« impresa che impiega almeno 1.000 lavoratori negli Stati membri e almeno 150 lavoratori per Stato membro in almeno due Stati membri » e
— il « gruppo costituito da una impresa controllante e dalle imprese da questa controllate ... che ... impiega almeno
1.000 lavoratori negli Stati membri », dei quali almeno 150 alle dipendenze di un’impresa in uno Stato e 150 alle dipendenze di un’impresa in un altro Stato (art. 2) (107).
La direttiva demanda la determinazione delle modalita` di costituzione del « comitato aziendale europeo », o della procedura di informazione e consultazione, alla negoziazione fra la direzione centrale dell’impresa multinazionale o dell’impresa controllante del gruppo multinazionale e una « delegazione speciale », composta da un minimo di tre e un massimo di diciassette membri, eletta o designata secondo le modalita` stabilite dallo Stato membro (art. 5) (108); questo puo` adottare a tal fine lo strumento legislativo, o lasciare che la disciplina della materia sia dettata dalla contrattazione collettiva; ma nel secondo caso ha l’obbligo di accertarsi che le parti sociali « mettano in atto di comune accordo le disposizioni necessarie »: e` fatta salva, in questo modo, la possibilita` che la « delegazione speciale » risulti costituita da membri designati dalle organizzazioni sindacali e a queste legati da rapporto organico, oppure da membri eletti direttamente dai lavoratori (109).
In Italia si e` provveduto a dare attuazione alla norma comunitaria con l’accordo interconfederale 27 novembre 1996, il quale, modellato con grande precisione sul contenuto della direttiva del 1994, prevede (art. 7) che la « delegazione speciale » sia costituita — fra il limite minimo di tre membri e il massimo di diciassette — da un membro per ciascuno Stato in cui sia impiegato almeno un quarto dei lavoratori interessati, due membri per ciascuno Stato in cui sia impiegata almeno meta` di essi e tre membri per ciascuno Stato in cui siano impiegati almeno tre quarti di essi.
L’accordo prevede altresi` (art. 6, 2o c.) che i membri della delegazione cui compete la rappresentanza delle unita` produttive italiane dell’impresa o del gruppo siano designati dalle organizzazioni sindacali che abbiano stipulato il contratto collettivo nazionale applicato nelle unita` stesse, d’intesa con le rappresentanze sindacali unitarie ivi costituite. Prevede infine (art. 9, 6o c.) che i componenti italiani del comitato aziendale europeo siano designati « per un terzo dalle Organizzazioni sindacali ... e per due terzi dalle rappresentanze sindacali unitarie dell’impresa e/o del gruppo di imprese nell’ambito delle medesime rappresentanze, tenendo conto della composizione categoriale (quadri, impiegati, operai) ». Viene cosi` riprodotta nel comitato aziendale europeo la combinazione fra rappresentanza « sindacale » in senso stretto e rappresentanza diretta dei lavoratori che caratterizza il modello delineato nel « protocollo » 23 luglio 1993 e nell’accordo interconfederale che ne e` immediatamente conseguito (§§ 54 e 57) (110).
Sezione III
L’AUTONOMIA COLLETTIVA
Sommario: 63. L’autonomia collettiva come principio distinto da quello di liberta` sindacale. — 64. L’autonomia collettiva negli ordinamenti internazionali. — 65. L’autonomia collettiva nell’ordinamento comunitario. Possibilita` di violazione della disciplina della concorrenza fra imprese ad opera di un contratto collettivo. — 66. L’autonomia collettiva nel nostro ordinamento interno: il disordinato quadro legislativo. — 67. Il problema della coniugazione della natura negoziale privatistica del contratto collettivo con la sua funzione di norma generale. Il « contratto collettivo di diritto comune » e la L. 14 luglio 1959 n. 741. — 68. L’elaborazione dottrinale successiva in materia di efficacia del contratto collettivo sul contratto individuale. — 69. La questione dei limiti soggettivi dell’efficacia del contratto collettivo. — 70. Dove il problema dei limiti soggettivi di efficacia del contratto collettivo non si pone. — 71.
L’inderogabilita` in pejus del regolamento legale e l’area della disponibilita` collettiva dei diritti individuali. Problemi in materia di estensione dell’efficacia del contratto collettivo « dismissivo » e di rapporti fra contratti di diverso livello. Il contratto c.d. « di gestione ». — 72. La « categoria » e il c.d. campo oggettivo di applicazione del contratto collettivo. La questione dell’art. 2070 c.c.. — 73. L’efficacia del contratto collettivo nel tempo e la questione della recedibilita` unilaterale. — 74. La forma del contratto collettivo. — 75. L’interpretazione del contratto collettivo. — 76. L’uso aziendale.
63. L’autonomia collettiva come principio distinto da quello di liberta` sindacale. — Logicamente distinto, ancorche´ strettamente collegato al principio di liberta` sindacale, che ne costituisce il presupposto logico, e` il riconoscimento del potere della coalizione di negoziare efficacemente le condizioni di lavoro con la controparte, ovvero il c.d. principio dell’autonomia collettiva (111).
Va osservato in proposito che, laddove un ordinamento si limiti a tutelare la liberta` di coalizione dei prestatori e datori di lavoro, la negoziazione delle condizioni di lavoro da parte della coalizione potrebbe dispiegare i suoi effetti soltanto mediante gli strumenti propri del diritto comune dei contratti — quindi principalmente attraverso un conferimento di potere negoziale da parte dei singoli individui alla coalizione stessa — con tutti i limiti di efficacia che ne conseguono; riducendosi a questo la disciplina della materia, il riconoscimento dell’autonomia collettiva non avrebbe dunque alcun significato distinto dalla mera tutela della liberta` di coalizione. Se negli ordinamenti nazionali e sovranazionali i due principi sono oggetto — come vedremo nelle pagine che seguono — di interventi normativi distinti, e` perche´ con tali interventi si e` inteso riconoscere la funzione peculiare del contratto collettivo e attribuire ad esso effetti coerenti con tale funzione, anche quando questi non possano trovare fondamento compiuto nel diritto comune dei contratti.
Il contenuto minimo essenziale del principio dell’autonomia collettiva consiste dunque nell’attribuzione alla coalizione di
a) un potere originario, cioe` non giuridicamente derivato da uno specifico atto di conferimento da parte dei singoli soggetti associati, di regolare i rapporti di lavoro ad essi facenti capo, con efficacia diretta (reale) sui rapporti stessi: il che implica il riconoscimento alla coalizione di una soggettivita` giuridica estesa quanto meno alla capacita` di negoziare validamente il contratto collettivo, anche se non necessariamente estesa a una compiuta autonomia patrimoniale.
Il principio di autonomia collettiva puo` poi arricchirsi di contenuti ulteriori, distinti rispetto a quel contenuto minimo. In particolare:
b) gli effetti del contratto collettivo possono essere rafforzati dall’ordinamento mediante un divieto, variamente sanzionato, di pattuizioni individuali peggiorative rispetto ad essi (c.d. inderogabilita` in pejus del contratto collettivo);
c) il potere negoziale della coalizione puo` essere esteso, in varie forme e sotto diverse condizioni, alla regolamentazione dei rapporti di lavoro facenti capo a prestatori o datori di lavoro diversi dagli associati (c.d. efficacia erga omnes del contratto collettivo);
d) infine la soggettivita` della coalizione, anche quando non assurga a personalita` giuridica piena, puo` essere arricchita della capacita` di essere titolare di diritti e obblighi nei confronti della controparte e del potere di negoziare efficacemente una disciplina di tali rapporti obbligatori (cioe` la regolamentazione delle relazioni collettive).
La parte del contratto collettivo, avente per oggetto la disciplina dei rapporti fra la coalizione stipulante e la controparte, quindi la regolamentazione delle relazioni collettive (clausole di tregua (112), clausole inerenti alla struttura e alla modalita` della contrattazione o istitutive di procedure di consultazione fra le parti, ecc.), viene comunemente indicata come « parte obbligatoria » del contratto stesso, per distinguerla da quella avente per oggetto la disciplina dei rapporti individuali di lavoro, indicata come « parte normativa » (113).
Il riconoscimento, negli ordinamenti nazionali e sovranazionali, del principio dell’autonomia collettiva nella prima accezione cosi` individuata (titolarita` originaria del potere negoziale in capo alla coalizione ed effetti reali della disposizione collettiva sui rapporti individuali) ha consentito il superamento, nella costruzione teorica della natura e degli effetti del contratto collettivo, della prospettiva esclusivamente individualistica tradizionalmente propria del diritto comune dei contratti (§ 67) e l’affermarsi del diritto sindacale come disciplina avente fondamento e oggetto peculiari.
Questo non significa che nella nostra materia il diritto che regola il rapporto collettivo debba considerarsi nettamente distinto e separato dal diritto del rapporto individuale di lavoro, secondo la concezione giuslavoristica tradizionale, che tende a isolare la materia del rapporto individuale, oggetto di disciplina esclusivamente eteronoma, confinando l’autonomia negoziale nel campo dei rapporti collettivi. Prevale invece oggi — come gia` si e` accennato (§ 49) e come vedremo piu` analiticamente nel prosieguo della trattazione — la tendenza a considerare l’autonomia collettiva come forma di autodeterminazione negoziale dei lavoratori concorrente con la loro autonomia individuale e suscettibile di intrecciarsi con essa nella disciplina del rapporto individuale, ancorche´ rispetto ad essa nettamente privilegiata mediante la regola dell’inderogabilita`. Per effetto del riconoscimento dell’autonomia collettiva da parte dell’ordinamento nazionale, le forme di quell’intreccio e le regole che ad esso presiedono non sono piu` quelle proprie del diritto comune dei contratti; ma la materia e` pur sempre costituita da un insieme di rapporti di diritto privato e di natura contrattuale.
64. L’autonomia collettiva negli ordinamenti internazionali. — Affermato, come vedremo, in modo assai imperfetto nella nostra Costituzione (art. 39, 4o c.), il principio di autonomia collettiva e` sancito invece in modo piu` esplicito e compiuto da numerose fonti internazionali. La prima fra queste in ordine di tempo e` costituita dall’art. 4 della gia` citata conv. O.I.L. n. 98/1949 (114), che impone agli Stati aderenti di adottare le « misure appropriate alle condizioni nazionali per incoraggiare e promuovere il piu` ampio possibile sviluppo e utilizzazione di procedure di libera negoziazione di contratti collettivi fra datori di lavoro e loro organizzazioni, da una parte, e organizzazioni dei lavoratori dall’altra, al fine di regolare in questo modo le condizioni di lavoro »; l’art. 10 della successiva conv.
n. 117/1962 (115) ribadisce lo stesso principio in riferimento specifico alla materia della determinazione dei minimi retributivi. Una formulazione pressoche´ identica a quella della conv. n. 98/1949 compare nell’art. 6, n. 2, della Carta sociale europea del 1961 (116). L’art. 12 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali del 1989 (117) si limita invece a menzionare il « diritto di negoziare e concludere contratti collettivi », di cui sono titolari i datori di
lavoro o loro organizzazioni e le organizzazioni dei lavoratori « alle condizioni previste dalle legislazioni e dalle prassi nazionali ».
Le norme internazionali menzionate sembrano dunque limitarsi a imporre agli Stati ad esse vincolati il riconoscimento dell’autonomia collettiva nell’accezione minima sopra individuata (§ 63, alinea a): l’attribuzione, cioe`, alla coalizione del potere originario di regolare i rapporti di lavoro facenti capo ai singoli associati, con efficacia diretta sui rapporti stessi; ma non necessariamente l’estensione del campo di efficacia del regolamento collettivo al di fuori della cerchia degli iscritti all’associazione stipulante (ivi, alinea b), ne´ il particolare rafforzamento dell’efficacia stessa costituito dalla regola dell’inderogabilita` della pattuizione collettiva in sede di pattuizione individuale (ivi, alinea c).
Piu` ricca di contenuto e` la definizione dell’autonomia collettiva contenuta nella conv. O.I.L. n. 154/1981, non ratificata però dall’Italia (118), il cui art. 2 distingue, tra le funzioni del contratto collettivo, quella della disciplina delle condizioni di lavoro (parte normativa) da quella della disciplina del rapporto fra l’imprenditore o l’organizzazione di imprenditori e una o piu` organizzazioni di lavoratori (parte obbligatoria: § 63, alinea d); in posizione intermedia fra le due la norma internazionale pone la funzione del contratto collettivo che ha per oggetto la disciplina delle « relazioni [collettive] fra gli imprenditori e i lavoratori » (disciplina che infatti puo` ascriversi di volta in volta alla parte normativa o alla parte obbligatoria del contratto collettivo, a seconda che diritti e obblighi ivi previsti sorgano in capo ai singoli lavoratori o alle associazioni sindacali stipulanti). Qui, dunque, la norma internazionale impone il riconoscimento all’associazione sindacale di quell’elemento di soggettivita` aggiuntivo rispetto alla mera capacita` di negoziare la parte
« normativa » del contratto collettivo (§ 63, alinea a), che e` indispensabile per lo sviluppo di un vero e proprio e ben strutturato sistema permanente di relazioni sindacali. Neppure questa norma, tuttavia, impone che l’efficacia del contratto collettivo sui rapporti individuali sia assistita dalla regola dell’inderogabilita` (alinea c).
L’art. 5 della convenzione n. 154/1981 riprende e precisa il contenuto dell’art. 4 della conv. n. 96/1949, gia` menzionato, circa l’obbligo degli Stati aderenti di promuovere e facilitare la contrattazione collettiva. Qui, alla lett. d, e` enunciato un divieto che sembra formulato su misura in riferimento alla situazione di « diritto sindacale transitorio » in cui si trova l’Italia da mezzo secolo, a causa della difettosa formulazione del 4o comma dell’art. 39 Cost. e della sua conseguente mancata attuazione (§ 66): gli Stati aderenti sono obbligati a adottare misure finalizzate a che « la contrattazione collettiva non sia ostacolata dall’inesistenza di regole che disciplinino il suo svolgimento o dall’insufficienza o dal carattere inappropriato delle regole esistenti ». La mancata ratifica della convenzione da parte dell’Italia si spiega probabilmente proprio con la difficoltà del nostro ordinamento a uscire dalla fase del « diritto sindacale transitorio ».
65. L’autonomia collettiva nell’ordinamento comunitario. Possibilita` di violazione della disciplina della concorrenza fra imprese ad opera di un contratto collettivo. — Sul piano comunitario, a un primo timido riconoscimento del possibile ruolo negoziale delle « parti sociali », contenuto nell’art. 118B (ora art. 139, nella « versione consolidata ») aggiunto al Trattato istitutivo dall’Atto Unico del 1986, ha fatto se´guito, con il Trattato di Maastricht del 1992, il riconoscimento di un ruolo assai piu` rilevante della contrattazione collettiva (119), poi perfezionato con il Trattato di Amsterdam del 1997. E` qui prevista esplicitamente, in particolare,
— la possibilita` che uno Stato membro affidi alle parti sociali, su loro richiesta congiunta, l’attuazione nell’ordinamento interno delle direttive in materia di lavoro e sicurezza sociale (ora art. 137, 4o c.) (120);
— la possibilita`, in linea di principio assai piu` rilevante, che l’emanazione autoritativa di norme comunitarie nelle materie inerenti al lavoro e alla sicurezza sociale indicate nell’art. 137, 1o c., sia surrogata in tutto o in parte dalla contrattazione collettiva (121).
La portata effettiva di questo riconoscimento e` pero` ridimensionata dalla « dichiarazione » allegata al trattato di Maastricht, secondo cui la previsione del sostituirsi di accordi collettivi all’intervento normativo dell’Unione « non implica l’obbligo per gli Stati membri di applicare direttamente detti accordi o di elaborare norme per il loro recepimento ne´ l’obbligo di modificare le disposizioni interne in vigore per facilitarne l’attuazione ». Si esclude cosi` esplicitamente che dal Trattato del 1992 possa desumersi una qualsivoglia innovazione nelle normative nazionali che disciplinano l’esercizio dell’autonomia collettiva e l’efficacia dei contratti che ne derivano; donde la difficolta`, rilevata da piu` parti, « di costruire un corpo giuridicamente solido per il contratto collettivo europeo » (122). Quasi a conferma di tale difficolta`, il 2o comma dell’art. 139 prevede che, su richiesta congiunta delle parti sociali stipulanti e proposta della Commissione, il contenuto dell’accordo collettivo possa essere recepito e attuato da una delibera del Consiglio, adottata, a seconda della materia, a maggioranza qualificata o all’unanimita` (123) (e` quanto e` accaduto con la recezione dell’accordo collettivo quadro sui congedi parentali ad opera della direttiva 3 giugno 1996 n. 34).
Resta tuttavia, nelle norme citate del Trattato del 1992, un riconoscimento della fungibilita` fra disciplina autoritativa (sovranazionale o nazionale) e disciplina collettiva, la cui rilevanza sul piano dei principi generali non puo` essere sottovalutata (124).
La stessa fungibilita`, come si e` visto, e` espressamente prevista dalla direttiva n. 45/94 in materia di disciplina della costituzione dei comitati aziendali europei nelle imprese multinazionali (§ 62). Questa direttiva assume ulteriore rilievo per il tema che qui interessa, nella misura in cui il principio di informazione preventiva ed esame congiunto delle scelte strategiche dell’impresa — che essa afferma e di cui essa intende assicurare l’effettivita` — e` direttamente funzionale allo sviluppo della partecipazione dei lavoratori alla determinazione delle scelte stesse attraverso la contrattazione collettiva
Diverso dal discorso sulla contrattazione collettiva come possibile procedimento alternativo a quello legislativo per la regolamentazione di rapporti sociali e di lavoro e` il discorso sulla contrattazione collettiva come possibile forma di
limitazione della concorrenza fra imprese, in violazione dell’art. 85 (ora art. 81) del Trattato. La questione si e` posta recentemente in tre procedimenti davanti alla Corte di Giustizia (125), trovando una iniziale risposta nella sentenza relativa al primo dei tre, nella quale si legge che « gli accordi conclusi nell’ambito di trattative collettive tra parti sociali al fine di conseguire ... obiettivi [di politica sociale] debbono essere considerati, per la loro natura e il loro oggetto, non rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 85 » (126). La regola enunciata dalla Corte sancisce per la prima volta esplicitamente il diritto di cittadinanza della contrattazione collettiva nell’ordinamento comunitario anche quando essa rechi in qualche misura pregiudizio alla libertà di concorrenza fra le imprese; ma al tempo stesso apre un ampio varco al controllo giudiziale sulla natura degli « obiettivi » effettivamente perseguiti mediante la contrattazione collettiva, consentendo di ipotizzare l’illegittimita` di un contratto collettivo mediante il quale un gruppo di imprese, d’accordo con la controparte sindacale, si proponga, ad esempio, di limitare o controllare una determinata produzione o i suoi sbocchi di mercato, di limitare o rallentare il processo di innovazione tecnologica od organizzativa, oppure di ostacolare l’accesso di nuove imprese concorrenti nel settore (127).
Questa prima risposta giurisprudenziale alla questione dell’integrazione dell’autonomia collettiva nell’ordinamento comunitario sembra aprire piu` problemi di quanti non ne risolva: abbiamo visto, infatti, come la limitazione della concorrenza (anche) fra le imprese di un determinato settore costituisca fin dalle origini una delle funzioni economiche tipiche della contrattazione collettiva ai livelli superiori a quello aziendale (§§ 7 e 48); quanto agli interessi perseguiti mediante la contrattazione collettiva dalle associazioni sindacali dei lavoratori, puo` non essere affatto agevole la distinzione fra « obiettivi di politica sociale » e obiettivi di pura e semplice auto-difesa degli insiders contro la concorrenza degli outsiders, la quale ben può manifestarsi anche sotto forma di concorrenza fra vecche e nuove imprese.
Il punto e` che la limitazione della concorrenza fra lavoratori e fra imprese in materia di determinazione delle condizioni di lavoro — sia essa attuata per mezzo dello strumento legislativo o del contratto collettivo — e` resa in qualche misura necessaria dalle distorsioni monopsonistiche e dalle asimmetrie informative che caratterizzano il mercato del lavoro; e non e` stata ancora tracciata da nessuno la linea di confine fra le limitazioni della concorrenza finalizzate a correggere quelle distorsioni o asimmetrie e le limitazioni della concorrenza finalizzate ad assicurare agli insiders una rendita di posizione.
66. L’autonomia collettiva nel nostro ordinamento interno: il disordinato quadro legislativo. — L’autonomia collettiva e` espressamente riconosciuta nella nostra Costituzione — art. 39, 4o c. — in una accezione molto circoscritta: il sistema di contrattazione collettiva ivi previsto presuppone la costituzione di rappresentanze unitarie dei lavoratori e dei datori di lavoro di una determinata categoria, alle quali ciascuna associazione dell’una e dell’altra parte partecipi, previa registrazione in sede amministrativa, « in proporzione dei propri iscritti »; al contratto stipulato dalle due rappresentanze unitarie contrapposte e` attribuita efficacia erga omnes in seno alla categoria (128).
Non e` questa la sede per lo studio dei numerosi motivi della mancata attuazione del sistema di contrattazione collettiva progettato dal legislatore costituente, gia` da altri ampiamente indagati (129). Basti soltanto osservare in proposito come agli ostacoli di natura politico-sindacale, oltre che pratico-organizzativa, se ne sia aggiunto anche uno squisitamente logico-giuridico: l’istituzione delle rappresentanze unitarie in funzione della contrattazione collettiva presupporrebbe la determinazione autoritativa, in sede legislativa o in sede amministrativa, dei confini della « categoria » sindacale, la quale verrebbe cosi` a precedere il contratto collettivo invece che esserne conseguenza ed esserne determinata nei suoi confini (§ 72); col risultato di una rilevante menomazione della liberta` di organizzazione sindacale sancita dal 1o comma dello stesso art. 39 (130). Non e` un caso che la perdita pressoche´ definitiva di interesse per la prospettiva di attuazione del 4o comma dell’art. 39 da parte della nostra dottrina giussindacalistica sia maturata in perfetta coincidenza temporale coll’affermarsi, nella prima meta` degli anni ’60, della convinzione che debba essere il contratto a definire la categoria, e non la categoria — precostituita in sede legislativa o amministrativa — a definire il campo di applicazione del contratto; e che in cio` stia un elemento essenziale di distinzione del nuovo sistema di relazioni sindacali rispetto al sistema corporativo, caratterizzato dal c.d. « inquadramento costitutivo » (131).
Sta di fatto che la norma costituzionale nulla dice di un possibile esercizio dell’autonomia collettiva al di fuori del modello delineato nel 4o comma. E probabilmente l’intendimento di coloro che posero quella norma era proprio nel senso che al di fuori di quel modello non dovesse darsi luogo ad autonomia collettiva in senso proprio, bensi` soltanto, tutt’al piu`, all’aggregarsi e al negoziare di una pluralita` di individui mediante gli strumenti propri del diritto civile comune. Senonche´ le cose sono andate diversamente: dopo l’entrata in vigore della Costituzione la legislazione ordinaria ha su`bito preso a fare riferimento al contratto collettivo — quindi, di fatto, a un contratto stipulato al di fuori del modello costituzionale, che rimaneva inattuato — con formulazioni che apparivano dare per acquisita la sua capacita` di disciplinare direttamente i rapporti individuali di lavoro e che lasciavano trasparire quanto meno un netto favore del legislatore per l’estensione erga omnes dei suoi effetti. Lo ha fatto in un primo tempo in modo piu` timido e generico, poi via via con interventi sempre piu` frequenti e ricchi di contenuto specifico, con i quali e` stato progressivamente adempiuto l’obbligo di riconoscimento dell’autonomia collettiva che nel frattempo la Repubblica andava assumendo sul piano internazionale, nel 1958 con la ratifica della conv. O.I.L. n. 98/1949, poi nel 1965 con la ratifica della Carta sociale europea (§§ 14, 15 e 63).
La prima norma legislativa che ha fatto riferimento al contratto collettivo postcorporativo e` quella — tuttora formalmente in vigore, anche se il suo campo di applicazione e` stato drasticamente ridotto dall’abrogazione dei vincoli procedurali in materia di avviamento al lavoro (§ 27) — contenuta nell’ultimo comma dell’art. 14 della L. 29 aprile 1949 n. 264, che impone all’ufficio di collocamento di accertarsi, nel soddisfare la richiesta del datore di lavoro di
avviamento di un lavoratore, « che le condizioni offerte ai nuovi assunti siano conformi alle tariffe e ai contratti collettivi » (132). Accanto a questa si collocano le norme analoghe contenute rispettivamente nella L. 22 luglio 1961
n. 628, art. 4/b, dove si attribuisce all’ispettorato del lavoro il compito di « vigilare sull’esecuzione dei contratti collettivi di lavoro », nella L. 11 marzo 1970 n. 83, art. 12/6, sul collocamento nel settore agricolo e nella L. 22 settembre 1970 n. 1054 sul rapporto di lavoro del personale di servizi di trasporto automobilistico extraurbano.
Tutte queste disposizioni possono considerarsi come espressione di un netto favore dell’ordinamento per l’applicazione piu` estesa dei contratti collettivi nell’ambito della rispettiva categoria, ma non ancora come espressione compiuta del principio di autonomia collettiva, neppure nel suo contenuto minimo sopra individuato (§ 63). D’altra parte, che il contratto collettivo non potesse produrre effetti erga omnes per forza propria e` confermato dagli ulteriori interventi del legislatore ordinario tendenti a produrre tali effetti per altra via: il primo fra questi e` costituito dalla L. 14 luglio 1959
n. 741, c.d. « legge Xxxxxxxxx » (dal nome del ministro del lavoro che ne assunse l’iniziativa), con la quale il Governo venne delegato a emanare norme legislative di contenuto identico a quello dei contratti collettivi stipulati in precedenza, con efficacia estesa a tutti i rapporti di lavoro in seno alle rispettive categorie (133). Lo stesso obiettivo e` stato in se´guito perseguito dal legislatore per via diversa con l’art. 36 della L. 20 maggio 1970 n. 300, c.d. Statuto dei lavoratori (134), con l’art. 4 della L. 5 agosto 1978 n. 502 e con l’art. 6, c. 9o, lett. c, della L. 7 dicembre 1989 n. 389, che subordinano il godimento di agevolazioni finanziarie, fiscali e contributive da parte delle imprese all’applicazione generalizzata ai loro dipendenti degli standard retributivi stabiliti dai contratti collettivi delle rispettive categorie (135). Strutturalmente diverse da quelle fin qui citate sono altre quattro norme, che pure fanno riferimento all’efficacia dei contratti collettivi postcorporativi: l’art. 11/c della legge 19 gennaio 1955 n. 25 sull’apprendistato; il primo comma dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori in materia di provvedimenti disciplinari; l’art. 8 della L. 18 dicembre 1973 n. 877 sulla tutela del lavoro a domicilio, il cui contenuto ricalca sostanzialmente quello dell’art. 6 della precedente L.
n. 264/1958 sulla stessa materia; l’art. 8 della L. 30 dicembre 1986 n. 943, sull’applicazione dei minimi retributivi collettivi ai lavoratori extra-comunitari. Queste disposizioni impongono direttamente al datore di lavoro l’obbligo di applicare il contratto collettivo e altrettanto direttamente fanno sorgere il corrispondente diritto in capo al lavoratore: esse dunque possono considerarsi espressione del principio dell’autonomia collettiva, almeno nella sua accezione minima di cui si e` detto (§ 63, alinea a) e limitatamente al novero dei lavoratori compreso nel campo di efficacia proprio del contratto (136).
Con altre norme contenute nello Statuto dei lavoratori del 1970 si inaugura una tecnica normativa nuova, consistente nel condizionare l’esercizio di una prerogativa del datore di lavoro o la legittimita` di una sua pattuizione con il lavoratore al preventivo accordo con le organizzazioni sindacali o le loro rappresentanze aziendali: e` questo il caso — per limitarci agli esempi piu` rilevanti — degli artt. 4 e 6 dello stesso Statuto del 1970, in materia di impianti audiovisivi e di perquisizioni all’ingresso dell’azienda, dell’art. 5 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 in materia di lavoro notturno femminile, degli artt. 1 e 2 della L. 19 dicembre 1984 n. 863 in materia di riduzione dell’orario con ricorso alla Cassa integrazione guadagni in funzione dell’incremento dei livelli occupazionali o della loro difesa in situazioni di crisi aziendali (« contratti di solidarieta` ») (137), dell’art. 23 della L. 28 febbraio 1987 n. 56 in materia di contratti a termine, dell’art. 47, 5o comma, della L. 29 dicembre 1990 n. 428, in materia di trasferimento di aziende in situazioni di crisi, degli artt. 1, 8o c., 4, 11o c., e 5, 1o c., della L. 23 luglio 1991 n. 223, rispettivamente in materia di rotazione dei lavoratori collocati in Cassa integrazione, di dequalificazione dei lavoratori nelle situazioni di crisi occupazionale e di criteri di scelta dei licenziandi nelle riduzioni di personale. Queste norme attribuiscono in vario modo alla contrattazione collettiva una funzione di attenuazione di vincoli di carattere generale, oppure di controllo sull’esercizio da parte dell’imprenditore di poteri che la legge gli attribuisce nella gestione dell’azienda come prerogative derivanti direttamente dai contratti individuali, che arricchisce il principio dell’autonomia collettiva di un contenuto aggiuntivo rispetto a quelli fin qui esaminati, ponendo problemi specifici di selezione delle associazioni stipulanti e di individuazione degli effetti del contratto, che discuteremo a loro luogo (§§ 70 e 71).
Assume infine un rilievo non secondario, sul piano dell’affermazione del principio dell’autonomia collettiva e della definizione del suo contenuto, la riforma dell’art. 2113 c.c., disposta con l’art. 6 della L. 11 agosto 1973 n. 533, in materia di rinunce e transazioni: norma nella quale vengono esplicitamente indicate come non derogabili in senso peggiorativo per il lavoratore le disposizioni contenute nei contratti collettivi, cosi` risolvendosi « con un tratto di penna » il problema della spiegazione e giustificazione del prevalere della disposizione collettiva sulla pattuizione individuale meno favorevole per il lavoratore, sul quale la dottrina si era affaticata per un quarto di secolo (138). Il principio di autonomia collettiva si è così arricchito definitivamente e compiutamente, nel nostro ordinamento, del secondo suo possibile contenuto di cui si e` detto sopra (§ 63, alinea b).
67. Il problema della coniugazione della natura negoziale privatistica del contratto collettivo con la sua funzione di norma generale. Il « contratto collettivo di diritto comune » e la L. 14 luglio 1959 n. 741. — All’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione, come si e` visto, l’ordinamento pareva distinguere nettamente due possibili contratti collettivi: uno, stipulato dalle « rappresentanze unitarie » secondo la procedura prevista dall’art. 39, con effetti normativi generalizzati molto simili a quelli della legge (tanto che una parte della dottrina dubitava della sua natura di contratto di diritto privato) (139); l’altro, stipulato al di fuori di quella procedura, i cui effetti dovevano essere spiegati sulla base del diritto comune dei contratti e che per questo veniva indicato come « contratto collettivo di diritto comune ».
Ligie a questa distinzione, che pareva corrispondere all’intendimento originario del legislatore costituente (§ 66), dottrina e giurisprudenza prevalenti, nella vana attesa che il 4o comma dell’art. 39 venisse attuato dal legislatore
ordinario, hanno dunque spiegato l’efficacia del « contratto collettivo di diritto comune » sul rapporto di lavoro individuale — secondo una costruzione che aveva incominciato a essere elaborata fin dai primi anni del secolo (140) — col mandato rappresentativo irrevocabile conferito all’associazione stipulante dal singolo prestatore o datore di lavoro all’atto dell’iscrizione, o con la recezione tacita o esplicita del contenuto del contratto collettivo nel contratto individuale (141). Ma questa, che poteva ben considerarsi come una sostanziale riduzione del contratto collettivo a un fascio di contratti individuali, o — se si preferisce — alla figura del contratto plurisoggettivo, poneva una serie di problemi insolubili, o risolvibili soltanto al prezzo di acrobazie logiche; e soprattutto condannava la costruzione giuridica riferita all’ordinamento statuale a un crescente distacco rispetto alla realta` del sistema delle relazioni sindacali, dominato dalla figura del sindacato come portatore di un interesse collettivo non riducibile a una mera sommatoria di interessi individuali, titolare di un potere negoziale non riducibile a un insieme di « incarichi » conferiti dai singoli lavoratori.
Fu anche questo a indurre una parte della dottrina, alla fine del primo decennio del regime di c.d. « regime sindacale transitorio », a sottolineare la maggiore produttivita` dello studio del sistema delle relazioni sindacali come ordinamento originario e autonomo, nascente spontaneamente dal compromesso fra i poteri sociali contrapposti, al fine di spiegare fenomeni altrimenti non spiegabili come effetti prodotti dall’ordinamento statuale (142): contributo, questo, destinato a produrre in seguito, piu` che la configurazione del diritto sindacale come ordinamento autosufficiente rispetto all’ordinamento statuale, le premesse culturali necessarie per una maggiore ricettivita` di quest’ultimo nei confronti delle dinamiche spontanee del sistema delle relazioni sindacali (143), nonche´, sul piano della teoria del contratto collettivo, per la rinuncia definitiva a un intervento legislativo « pesante », volto a fare della negoziazione sindacale delle condizioni di lavoro un processo di produzione normativa strutturato rigidamente (144).
Stante la difficolta` di attuazione del disegno costituzionale, il legislatore statuale tento` di porvi transitoriamente rimedio istituendo il meccanismo provvisorio di recezione dei contratti collettivi in norme legislative, di cui gia` si e` fatto cenno: con la L. 14 luglio 1959 n. 741 (c.d. xxxxx Xxxxxxxxx) il Governo e` stato delegato a emanare decreti di contenuto identico a quello dei contratti collettivi nazionali o provinciali, stipulati prima dell’entrata in vigore della legge (3 ottobre 1959) (145) e previamente depositati presso il ministero del lavoro dalle associazioni stipulanti interessate; contratti le cui disposizioni venivano in tal modo estese autoritativamente a tutti i rapporti di lavoro nell’ambito delle rispettive categorie (146). Nell’esercizio di questa delega sono stati emanati un migliaio di decreti legislativi, contenenti una disciplina dei rapporti di lavoro che per molti aspetti — e in particolare per la parte relativa alla determinazione dei minimi retributivi — e` ormai largamente superata, per effetto della svalutazione della moneta e dell’incremento generale degli standard di trattamento verificatosi nei decenni successivi; ma per alcuni aspetti puo` assumere rilievo pratico ancora oggi, a quarant’anni di distanza.
La Corte costituzionale, investita della questione di costituzionalita` di questo meccanismo, in quanto tendente all’estensione erga omnes degli effetti dei contratti collettivi al di fuori della procedura prevista dall’art. 39, ritenne la questione infondata, in considerazione del carattere provvisorio del meccanismo stesso, come istituito dalla legge Vigorelli. Ritenne invece incostituzionale la successiva legge 1o ottobre 1960 n. 1027, con la quale la delega era stata reiterata, proprio perche´ tale reiterazione contrastava con il carattere necessariamente provvisorio dell’intervento legislativo difforme dal modello costituzionale (147). La stessa Corte intervenne successivamente piu` volte per dichiarare i decreti legislativi illegittimi, per eccesso rispetto ai limiti della delega, nella parte in cui recepivano clausole dei contratti collettivi non attinenti ai « minimi inderogabili di trattamento economico e normativo » (parte normativa del contratto, cui fa esclusivo riferimento l’art. 1 della legge del 1959), bensi` attinenti ai rapporti fra le associazioni stipulanti (parte obbligatoria) (148).
Con la legge Xxxxxxxxx, dunque, si risolveva provvisoriamente la contraddizione fra la natura negoziale privatistica del contratto collettivo di diritto comune e la funzione di norma generale astratta ad esso attribuita dalle parti stipulanti e dalla coscienza civile diffusa, ma la si risolveva al prezzo della conferma implicita dell’inidoneita` del contratto stesso a svolgere quella funzione: cio` che produce l’effetto normativo generale, nel regime transitorio della legge Xxxxxxxxx, e` infatti un atto legislativo ben distinto dal contratto collettivo, ancorche´ legato a questo dall’identita` di contenuto dispositivo per cio` che riguarda la disciplina dei rapporti individuali di lavoro (149).
68. L’elaborazione dottrinale successiva in materia di efficacia del contratto collettivo sul contratto individuale. — La contraddizione fra il « corpo » negoziale privatistico del contratto collettivo e la sua « anima » (o vocazione) normativa restava dunque apertissima. E in essa si rispecchiava la divisione, in seno alla dottrina, fra la c.d. corrente privatistica, largamente maggioritaria, di cui si e` detto poc’anzi, e una minoritaria, indicata come corrente « normativistica », tendente sostanzialmente — ancorche´ talora confusamente e senza una adeguata distinzione fra ius conditum e ius condendum — a fondare l’efficacia del contratto collettivo nei confronti dei rapporti di lavoro individuali su di un principio a se´ stante rispetto al diritto comune dei contratti.
Nell’ambito di questa seconda corrente, nel corso degli anni ’60 si sono registrati due primi tentativi di distinguere, nell’art. 39 Cost., il riconoscimento del principio dell’autonomia collettiva dal meccanismo particolare di negoziazione e stipulazione ivi delineato, al fine di fondare l’efficacia del contratto collettivo direttamente sul primo nonostante l’inattuazione del secondo (150). Pur isolate in un panorama dottrinale nel quale dominava ancora solidamente la teoria del mandato rappresentativo irrevocabile individuale, queste erano, a ben vedere, le prime manifestazioni di un orientamento tendente a valorizzare il principio dell’autonomia collettiva nell’ambito dell’ordinamento statuale, a emancipare il potere negoziale del sindacato dal diritto comune dei contratti e a liberare la teoria del contratto collettivo dalle questioni insolubili e dalle contraddizioni in cui essa era costretta a dibattersi xxxxxx´ rimaneva legata
all’impostazione civilistica tradizionale (151).
Il passo decisivo in questa direzione e` stato compiuto all’inizio degli anni ’70 con due saggi (152) che, pur nella loro diversita` di impostazione, convergevano nel costruire il potere negoziale collettivo come prerogativa originaria, attribuita al sindacato direttamente dall’ordinamento, e non come potere derivato da una serie di negozi individuali dei singoli iscritti. Chiave di volta di entrambe le costruzioni era l’individuazione dell’oggetto della disposizione collettiva nella diretta regolamentazione dei rapporti individuali di lavoro, i quali venivano cosi` ad avere una duplice possibile fonte contrattuale (privata) di disciplina: quella individuale e quella collettiva (153). Entrambe definivano dunque l’autonomia collettiva come autonomia dispositiva, ma non « normativa » in senso stretto (154), risolvendo tuttavia la questione del fondamento di tale autonomia coll’affermarne la titolarita` originaria e non derivata in capo al sindacato, fosse esso concepito come soggetto di diritto nettamente distinto dall’insieme degli iscritti (155), o come un mero simbolo linguistico dell’insieme dei rappresentati (156). Entrambe, infine, risolvevano l’ulteriore questione dell’inderogabilita` individuando direttamente nell’art. 39 Cost. (157), o comunque nelle « valutazioni accolte dalla Costituzione » (158), il fondamento della prevalenza della disposizione collettiva su quella individuale e preparando cosi` la strada alla novella dell’art. 2113 c.c., che di li` a poco avrebbe convalidato quella soluzione con il sigillo esplicito del legislatore (§ 66).
Sciolti i legami con cui in passato si era assoggettata l’autonomia collettiva a un atto di autolimitazione dell’autonomia individuale, il contratto collettivo si distingueva cosi` definitivamente dal contratto plurisoggettivo « di diritto
comune », evitando pero` di assumere la natura dell’intervento normativo eteronomo, che gli era stata assegnata nel regime corporativo e che avrebbe potuto essergli nuovamente assegnata da una legge attuativa del 4o comma dell’art.
39. E al contratto stesso, per la parte destinata a disciplinare i rapporti individuali, venivano riconosciuti non soltanto effetti obbligatori, ma effetti dispositivi in senso stretto, cioe` efficacia reale (159). In questo modo veniva eliminata la ragion d’essere principale della contrapposizione fra la concezione « normativistica » e quella « privatistica » del contratto collettivo (160), destinata infatti da allora in poi a non essere piu` riproposta nei termini in cui lo era stata in precedenza (161).
Quella contrapposizione non poteva e non puo`, tuttavia, considerarsi superata del tutto. Una traccia di quella contrapposizione e` rimasta ben visibile lungo tutto l’arco di questi ultimi tre decenni nelle oscillazioni che hanno caratterizzato l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in questa materia: sempre in attesa di una sistemazione costituzionale e legislativa organica delle condizioni e dei limiti oggettivi e soggettivi di efficacia del contratto collettivo, dottrina e giurisprudenza, pur ormai solidamente ancorate alla definizione dell’autonomia collettiva come specie particolare dell’autonomia privata, si sono caratterizzate per una dialettica irrisolta tra la sottolineatura della sostanziale fungibilita` o integrazione fra legge e contratto collettivo nel sistema delle fonti del diritto del lavoro, con conseguente estensione, almeno tendenziale, dei suoi effetti normativi anche al di fuori della cerchia degli iscritti al sindacato (162), e la sottolineatura della sua natura di atto di autonomia privata, con la conseguente limitazione piu` o meno drastica dei suoi effetti al di fuori di quella cerchia (163). Vedremo come l’adesione all’uno o all’altro orientamento possano assumere rilievo decisivo per la soluzione di alcune questioni assai rilevanti in materia di recesso unilaterale, di forma e di interpretazione del contratto collettivo (rispettivamente §§ 73, 74 e 75).
E` comunque tuttora pacifica in linea generale, in dottrina come in giurisprudenza, l’esclusione del contratto collettivo dal novero delle fonti di diritto oggettivo la cui conoscenza da parte del giudice deve presumersi (164): esistenza e contenuto del contratto collettivo devono sempre essere provati in giudizio dalla parte che vi abbia interesse (165).
69. La questione dei limiti soggettivi dell’efficacia del contratto collettivo. — Con la ratifica delle convenzioni internazionali (§ 64), gli sviluppi della legislazione (§ 66) e l’evoluzione dottrinale (§§ 67-68) di cui si e` detto, puo` dirsi compiuto il riconoscimento nel nostro ordinamento del principio di autonomia collettiva nella prima e nella seconda accezione sopra individuate: quella della titolarita` originale del potere negoziale con effetti diretti sui singoli rapporti di lavoro e quella dell’inderogabilita` di tali effetti (§ 63, rispettivamente alinea a e b). Ma non nella terza: a tutt’oggi, come si e` visto, ne´ la legge ne´ l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale hanno chiarito condizioni e limiti dell’efficacia del contratto collettivo sui rapporti di lavoro di diritto privato (166) di cui non siano titolari prestatori e datori di lavoro iscritti alle associazioni stipulanti.
Mentre, per un verso, sono venute moltiplicandosi le norme legislative che sembrano indicare il contratto collettivo stipulato dalle associazioni maggiormente rappresentative come fonte di disciplina per la generalita` dei rapporti nell’ambito della categoria e ancor piu` le multiformi manifestazioni del favore dell’ordinamento per la massima possibile estensione dell’applicazione dei contratti collettivi (v. ancora § 66), per altro verso il quarto comma dell’art. 39 Cost. ha continuato a costituire un ostacolo insuperabile per qualsiasi tentativo di realizzare, per via legislativa ordinaria o per via interpretativa, un regime generale di estensione erga omnes dell’efficacia del contratto collettivo (167). E il problema, sia sul piano dell’interpretazione del diritto vigente, sia su quello della sua riforma, e` reso se possibile piu` arduo dal progressivo accentuarsi, nell’ultimo ventennio, del pluralismo sindacale, dall’aggravarsi del dualismo del mercato del lavoro (§§ 3 e 4) e dal complicarsi degli interessi in gioco.
E` ben vero che la questione si e` parzialmente risolta con l’orientamento giurisprudenziale, consolidatosi fin dai primi anni successivi all’entrata in vigore della Costituzione, nel senso dell’assunzione dei minimi collettivi come parametri per la determinazione della « giusta retribuzione » ex art. 36, con conseguente estensione di fatto erga omnes di quella che nel linguaggio sindacale corrente viene indicata come la « parte economica » dei contratti collettivi; e che un meccanismo analogo di sostanziale estensione erga omnes degli standard fissati dai contratti stessi si attiva per la determinazione equitativa del periodo di comporto per malattia e del preavviso di licenziamento, per espressa
disposizione degli artt. 2110 e 2118 c.c. Ma anche questi meccanismi di estensione per via giudiziale dell’efficacia dei contratti collettivi, fondati sulle clausole generali della « giusta retribuzione » e dell’equita`, incominciano a scricchiolare nel momento in cui la scarsa comunicazione, nel mercato del lavoro, fra il comparto degli occupati regolari e quello degli irregolari e dei disoccupati mette in discussione l’unitarieta` dell’« interesse collettivo » dei lavoratori (168), o nel momento in cui la capacita` delle associazioni firmatarie del contratto collettivo di rappresentare compiutamente quell’interesse e` messo in discussione dal moltiplicarsi delle associazioni sindacali nell’ambito della stessa categoria.
Per risolvere il problema, una parte della dottrina ha fatto ricorso al divieto della discriminazione fra i lavoratori fondata sulla loro affiliazione sindacale: differenziare il trattamento fra due gruppi di lavoratori per il solo motivo che i primi sono iscritti al sindacato e i secondi no violerebbe il divieto posto dall’art. 15 St. lav. anche quando la differenziazione sia a vantaggio degli iscritti (169). Senonche´, come si e` visto a suo luogo (§ 51), il divieto di discriminazione antisindacale non puo` essere interpretato nel senso di un divieto di pattuizioni che costituiscano diretto esercizio della liberta` sindacale positiva o negativa; e tali devono considerarsi sia la pattuizione collettiva — ancorche´ stipulata da una coalizione minoritaria — di un trattamento diverso da quello previsto da altro contratto collettivo, sia la pattuizione individuale con la quale il lavoratore non aderente alla coalizione firmataria di un contratto collettivo rifiuti l’applicazione di quest’ultimo (170).
Un’altra parte della dottrina, riprendendo e perfezionando un discorso che era stato proposto in precedenza dalla c.d. corrente normativista (§ 68), ha sostenuto la necessita` di distinguere, nell’art. 39 Cost., una parte caduca, cioe` quella strettamente procedurale nella quale si prevede la registrazione dei sindacati e la costituzione delle loro
« rappresentanze unitarie », legata a una cultura politico-sindacale e a un contesto socio-economico che tutti considerano superati (§ 66), dalla parte tuttora vitale, costituita dal principio democratico maggioritario, che e` suscettibile di applicazione diretta da parte del giudice anche senza che la strumentazione prevista dalla norma sia stata attuata dal legislatore ordinario: in questo ordine di idee, ben potrebbe essere considerato efficace erga omnes il contratto collettivo che risulti stipulato da sindacati di cui si possa comprovare la rappresentativita` maggioritaria, nell’ambito della categoria a cui il contratto stesso si riferisce, rispetto al complesso delle forze sindacalmente organizzate (171). Si supera in tal modo l’ostacolo costituito dall’ultimo comma dell’art. 39 per la realizzazione dell’estensione erga omnes dei contratti collettivi nel contesto attuale del sisetma di relazioni sindacali, giungendosi anzi a una sorta di attuazione diretta della parte della norma costituzionale maggiormente rilevante sul piano dei principi (efficacia generalizzata del contratto e principio maggioritario), pur in assenza della legge ordinaria attuativa del meccanismo ivi previsto.
Quest’ultima costruzione, l’unica sulla base della quale il problema possa essere risolto positivamente nell’attuale quadro normativo, ha pero` incontrato un atteggiamento guardingo da parte della dottrina (172), e ha raccolto soltanto isolate adesioni da parte della giurisprudenza (173), la quale pure non perde occasione per confermare la propria tendenza alla massima estensione possibile del campo di applicazione dei contratti collettivi. D’altra parte, nel dibattito de iure condendo si manifesta una tendenza largamente maggioritaria a considerare ormai superata l’idea di fondo su cui si basa il meccanismo delineato nell’art. 39: l’idea, cioe`, secondo cui la misura della rappresentativita` di un’associazione sindacale e` data essenzialmente dal rapporto fra il numero dei suoi iscritti e il numero degli iscritti alle altre associazioni concorrenti nell’ambito della stessa categoria. Si avverte sempre piu` diffusamente la necessita` che la verifica della rappresentativita` delle associazioni sindacali non sia riferita soltanto alla platea dei lavoratori
« organizzati » (secondo il modello che in seno alla Costituente aveva visto la convergenza delle concezioni leniniste della sinistra con quelle « associazioniste » di cui allora era fautrice la corrente cattolica del movimento sindacale), ma anche alla platea piu` ampia di tutti i lavoratori non iscritti ad alcun sindacato, i cui consensi e dissensi possono essere censiti soltanto mediante votazioni periodiche nei luoghi di lavoro, svolte secondo regole predeterminate e uniformi su tutto il territorio considerato (in questo senso si e` orientata la riforma della materia per il settore del pubblico impiego) (174). Per altro verso, in una situazione come quella italiana attuale di marcata dualizzazione del mercato del lavoro (§§ 3 e 4) si avverte sempre piu` diffusamente anche l’impossibilita` di identificare senz’altro l’interesse della generalita` dei lavoratori con l’interesse di cui si fanno in concreto portatrici associazioni composte soltanto da lavoratori occupati regolari, in grande prevalenza appartenenti a imprese medio-grandi: la sicura rappresentativita` maggioritaria di una associazione nei confronti della platea degli insiders non e` affatto garanzia di rappresentativita` della stessa associazione nei confronti della platea degli outsiders.
Viceversa, l’orientamento giurisprudenziale oggi dominante, sempre tendente in vari modi all’estensione dell’applicazione del contratto collettivo (stipulato dai sindacati piu` forti) anche ai non iscritti (175) in nome di una pretesa — ma non corrispondente alla realta` fattuale — indivisibilita` dell’interesse collettivo, rischia di costituire un ostacolo all’affermarsi di qualsiasi organizzazione che si proponga di promuovere interessi in tutto o in parte diversi (176): privare l’organizzazione concorrente, sia essa attuale o soltanto potenziale, della possibilita` effettiva di negoziare efficacemente in rappresentanza di un gruppo di lavoratori minoritario porta a una sorta di ingessatura del sistema di relazioni sindacali, a una limitazione della sua capacita` di evolversi, che puo` a sua volta favorire il processo di dualizzazione del mercato del lavoro, accentuando la sua divisione fra un settore dei protetti e un settore degli esclusi, fra loro non comunicanti (177). Di questo dovra` tenere conto il legislatore nella soluzione del problema dell’estensione erga omnes dell’efficacia dei contratti collettivi (178).
70. Dove il problema dei limiti soggettivi di efficacia del contratto collettivo non si pone. — Pur nell’incerto quadro normativo e giurisprudenziale teste` delineato, la questione dell’applicabilita` della parte normativa del contratto
collettivo ai rapporti di cui siano titolari soggetti non iscritti alle associazioni stipulanti puo` dirsi risolta in modo sufficientemente chiaro e uniforme da parte della giurisprudenza in riferimento ad alcune situazioni assai diffuse.
La parte normativa del contratto collettivo di settore (cioe` quella destinata a disciplinare i rapporti individuali: § 63) si applica pacificamente nella sua interezza, innanzitutto, quando ad essa faccia rinvio il contratto individuale, ancorche´ stipulato da un datore o da un prestatore di lavoro non iscritto ad alcuna delle associazioni firmatarie: rinvio che puo` manifestarsi anche in forma tacita, con la « costante e prolungata osservanza delle clausole del contratto collettivo, o almeno di quelle piu` rilevanti e significative » (179). In tal caso, anche quando (come accade sovente) la pattuizione individuale faccia riferimento specifico a un determinato contratto collettivo nazionale gia` in vigore, essa viene comunemente interpretata come rinvio aperto al sistema di contrattazione collettiva nell’ambito del quale questo si inserisce, con la conseguente applicabilita` anche dei contratti e accordi di diverso livello — interconfederale o aziendale — gia` stipulati o la cui stipulazione intervenga successivamente nell’ambito del sistema stesso (180). In altre parole, i giudici tendono a ritenere che l’adesione individuale comporti l’accettazione non soltanto della disciplina collettiva vigente al momento dell’adesione stessa, ma anche della sua evoluzione nelle sue diverse articolazioni.
Si ritiene, inoltre, che il datore di lavoro sia vincolato all’applicazione del contratto collettivo — interconfederale o di settore, nazionale o provinciale — stipulato dall’associazione della quale egli faccia parte, anche quando non sia iscritto ai sindacati stipulanti il lavoratore (181). Questo orientamento giurisprudenziale meriterebbe tuttavia un ripensamento in considerazione di quanto abbiamo osservato sopra circa la tutela della liberta` sindacale, positiva e negativa, del lavoratore stesso (§ 51): nell’ipotesi — peraltro assai rara, ma che potrebbe in futuro avere maggiore diffusione — in cui questi decida di sottrarsi alle scelte compiute da un sindacato o coalizione di sindacati a cui egli non aderisca, il regolamento collettivo nascente da quelle scelte non potrebbe considerarsi inderogabile nei suoi confronti se non per effetto di una efficacia erga omnes che, come si e` visto, al contratto collettivo non viene ancora riconosciuta nel nostro ordinamento quale regola generale. La pattuizione individuale in contrasto con quel regolamento viola, certo, un’obbligazione verso i sindacati stipulanti, che grava sull’imprenditore per effetto della sua iscrizione all’associazione imprenditoriale costipulante; ma, a stretto rigore, non potrebbe considerarsi nulla e sostituita di diritto dalla clausola collettiva, fino a quando non sia risolta la questione dell’estensione erga omnes.
Un discorso analogo vale in riferimento al contratto collettivo aziendale, nel quale l’obbligo di applicazione generalizzata del trattamento pattuito e` solitamente assunto, nei confronti dei sindacati stipulanti, direttamente dal singolo imprenditore (182): l’orientamento dominante e` nel senso che da questo obbligo discenda l’applicabilita` diretta dell’accordo aziendale a tutti i rapporti individuali di lavoro di cui l’imprenditore stesso sia titolare nell’ambito dell’azienda (183). Un’applicazione rigorosa del principio di liberta` sindacale positiva e negativa dovrebbe indurre, invece, a ritenere che la pattuizione da parte dell’imprenditore con altri soggetti, individuali o collettivi, di una disciplina difforme violi, si`, l’obbligo da lui assunto verso l’associazione sindacale con cui egli ha stipulato il primo contratto, ma non sia di per se´ affetta da nullita`, ne´ sostituita di diritto dalla clausola contenuta in quel primo contratto.
Efficacia generale deve essere riconosciuta anche al contratto collettivo nazionale, territoriale o aziendale stipulato dalle
« confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale » a norma dell’art. 23 della legge n. 56/1987, per consentire la stipulazione di contratti a termine in casi ulteriori rispetto a quelli gia` previsti dalla legge, oppure al contratto collettivo nazionale stipulato dalle associazioni sindacali di settore maggiormente rappresentative a norma dell’art. 1, c. 2o, lett. a) della legge n. 196/1997, per l’individuazione di casi ulteriori nei quali puo` essere stipulato legittimamente il contratto di fornitura di lavoro temporaneo. In questi casi, a ben vedere, il contratto collettivo non dispone di alcun diritto o interesse attuale dei singoli lavoratori: esso ha solo l’effetto di rendere possibile la stipulazione futura di un contratto a termine o di fornitura di lavoro temporaneo, operando qui come evento produttivo di effetti normativi secondo lo schema concettuale del contratto collettivo come fonte-fatto (184).
71. L’inderogabilita` in pejus del regolamento legale e l’area della disponibilita` collettiva dei diritti individuali. Problemi in materia di estensione dell’efficacia del contratto collettivo « dismissivo » e di rapporti fra contratti di diverso livello. Il contratto c.d. « di gestione ». — Alla ragion d’essere principale dell’intervento legislativo in materia di lavoro, costituita dalla necessita` della correzione autoritativa delle distorsioni monopsonistiche tipiche del mercato del lavoro (§ 4) corrisponde la regola generale della non derogabilita` della disciplina legale in senso sfavorevole ai lavoratori, che opera come limite all’autonomia privata sia individuale, sia collettiva (185). Il contratto collettivo non puo` dunque dismettere un diritto che al lavoratore sia attribuito da una norma legislativa, salvo che la norma stessa preveda la propria derogabilita` in sede collettiva. Ne´, secondo l’opinione largamente prevalente, possono tracciarsi dei confini a difesa di una materia « riservata » alla contrattazione collettiva e preclusa all’intervento del legislatore (186), cosi` come, per altro verso, non possono tracciarsi a priori, sul piano del diritto costituzionale, dei confini a difesa di una materia riservata alla legge — o alla determinazione unilaterale del datore di lavoro (187) — e preclusa alla contrattazione collettiva (188).
E` inoltre opinione prevalente — ma non pacifica — quella secondo cui il contratto collettivo non puo` dismettere un diritto che al lavoratore derivi dal contratto individuale, salvo che quest’ultimo contratto espressamente preveda tale disponibilita` in sede collettiva (189). Il contratto collettivo postcorporativo puo` invece derogare alla consuetudine (190), nonche´ ai contratti corporativi (D.lgs.lgt. 23 novembre 1944 n. 369, art. 43) (191).
L’autonomia collettiva puo` invece disporre di tutti i diritti che al lavoratore derivino dalla disciplina collettiva del rapporto, anche quando la pattuizione dismissiva sia stipulata a un livello inferiore rispetto a quello della pattuizione da cui il diritto dismesso trae origine (cosi`, ad esempio, il contratto collettivo aziendale puo` modificare anche in pejus la
disciplina dettata dal contratto nazionale) (192). E` infatti ormai pacifico in dottrina e in giurisprudenza che — a differenza del contratto plurisoggettivo (193) e dell’uso aziendale i cui effetti si configurino come una integrazione tacita dei contratti individuali (§ 76) — l’efficacia diretta del contratto collettivo sul rapporto individuale non produce l’effetto di una « incorporazione » delle clausole collettive nel contratto individuale: la disciplina collettiva puo` dunque mutare nel tempo, mutando di conseguenza il contenuto del rapporto tra datore e prestatore di lavoro (194).
Nessun problema dovrebbe sorgere, a questo proposito, nel caso in cui il contratto collettivo dismissivo o limitativo di un diritto attribuito al lavoratore da un contratto collettivo precedente sia stipulato dalle stesse associazioni sindacali firmatarie del precedente: escluso, infatti, che le clausole del primo contratto collettivo possano considerarsi
« incorporate » nel contratto individuale, sembra oggi fuori discussione il potere delle associazioni stipulanti di modificare la disciplina del rapporto che esse stesse hanno negoziato in precedenza; e se quella disciplina era applicabile al rapporto prima della modifica, essa puo` e deve ritenersi applicabile anche dopo (195). Questa essendo la regola applicabile nel caso in esame, il quesito se con il contratto successivo si sia inteso o no derogare al precedente, e in quale misura, si riduce a mera quaestio voluntatis (196). In proposito puo`, a seconda delle circostanze e di quanto emerge circa l’intendimento effettivo delle parti stipulanti, applicarsi il c.d. « criterio di specialita` » (197), che porta alla prevalenza del contratto di livello inferiore, in quanto stipulato tenendosi conto piu` puntualmente della specifica situazione concreta; oppure del criterio della successione temporale, che porta alla prevalenza dell’ultimo contratto stipulato in ordine di tempo (198).
Il problema e` meno facilmente risolvibile (199) nel caso in cui il contratto dismissivo sia stipulato da associazioni sindacali diverse rispetto a quelle che hanno in precedenza stipulato il contratto dal quale nasce il diritto oggetto della rinuncia: torna a porsi in questo caso il problema dell’estensione dell’efficacia del contratto collettivo ai lavoratori non iscritti all’associazione firmataria, oggi risolvibile nel senso dell’efficacia erga omnes soltanto sulla base della costruzione dottrinale di cui e` detto sopra (200), altrimenti risolvibile in senso positivo (cioe` nel senso dell’efficacia della disposizione dismissiva) soltanto sulla base dell’adesione tacita o esplicita del singolo lavoratore interessato (201). Diverso dal caso del contratto collettivo dismissivo e` quello del c.d. contratto di gestione, cioe` dell’accordo sindacale col quale venga disciplinato l’esercizio, da parte dell’imprenditore, di una facolta` di cui egli potrebbe altrimenti fare unilateralmente uso discrezionale, in quanto conferitagli direttamente dalla legge (202): ad esempio, la facolta` di sospensione della prestazione lavorativa con ricorso alla Cassa integrazione guadagni, di trasferimento geografico dell’unita` produttiva, di ristrutturazione o riconversione produttiva dell’azienda, di alienazione parziale o totale della stessa. In questo caso l’efficacia erga omnes del contratto collettivo — per lo piu` di livello aziendale — e` effetto diretto e immediato dell’auto-limitazione, negoziata dall’imprenditore con il contratto collettivo, di un potere che egli avrebbe comunque potuto esercitare nei confronti di ciascun singolo suo dipendente (203).
Si discute se alla categoria del contratto di gestione possa essere assimilato l’accordo fra datore di lavoro e rappresentanze sindacali aziendali previsto dagli artt. 4 e 6 St. lav. quale condizione per la legittima istallazione e attivazione degli impianti di controllo a distanza nell’unita` produttiva resi necessari da obiettive esigenze tecnico- organizzative, o per la legittima sottoposizione del lavoratore, selezionato casualmente, a perquisizione all’uscita dall’azienda. Qui, a ben vedere, oggetto dell’accordo sindacale non e` soltanto la regolamentazione di un potere che il datore di lavoro potrebbe — in assenza dell’accordo — esercitare unilateralmente (poiche´, al contrario, tale potere e`, in linea generale, negato dalle stesse due norme legislative che disciplinano la materia) (204), bensi` il contemperamento fra un interesse gestionale dell’imprenditore e un interesse alla riservatezza del lavoratore. Qui, dunque, sembra preferibile la tesi secondo cui la legge deve essere interpretata alla luce del principio maggioritario sancito dall’art. 39: in caso di dissenso fra le rappresentanze sindacali presenti nell’unita` produttiva, l’accordo deve essere raggiunto almeno con le rappresentanze sindacali che rappresentino la maggioranza degli iscritti nell’ambito dell’unita` stessa (si osservi come in questo caso non si ponga, o si ponga soltanto in misura ridottissima, il problema della mediazione fra interessi degli insiders e interessi degli outsiders di cui si e` detto nel § 69 a proposito del problema generale dell’estensione erga omnes degli effetti dei contratti collettivi).
72. La « categoria » e il c.d. campo oggettivo di applicazione del contratto collettivo. La questione dell’art. 2070 c.c.
— In un ordinamento nel quale la determinazione del campo di applicazione del contratto collettivo non dipenda in alcun modo dall’adesione individuale, si pone il problema di definire secondo un diverso criterio la « categoria » dei rapporti di lavoro che ne sono disciplinati. E` questo il caso dell’ordinamento corporativo, nel quale il problema e` stato risolto attraverso la predeterminazione autoritativa della categoria sindacale (c.d. « inquadramento costitutivo »): questa veniva cosi` a definire preventivamente l’ambito di competenza dell’associazione sindacale e della contrapposta associazione imprenditoriale, l’alveo nel quale la negoziazione del contratto collettivo doveva svolgersi e il settore del tessuto produttivo nel quale il contratto stesso doveva inderogabilmente applicarsi. A questo ordinamento appartiene la norma contenuta nell’art. 2070 c.c., che definisce appunto il campo di applicazione dei contratti collettivi presupponendo una preesistente suddivisione del sistema economico in categorie in relazione alle quali ciascuno di essi sia stato stipulato, regolando inoltre il caso dello svolgimento da parte dell’imprenditore di attivita` appartenenti a due diverse categorie (2o comma: se le due attivita` sono tra loro autonome si applicano i contratti collettivi corrispondenti alle rispettive categorie, altrimenti si applica a tutti i dipendenti il contratto corrispondente all’attivita` principale), nonche´ il caso dello svolgimento di una determinata attivita` in forma non imprenditoriale (3o comma: si applica il contratto collettivo corrispondente alla categoria delle « imprese che esercitano la stessa attivita` »).
Lo stesso problema non dovrebbe porsi in un ordinamento in cui l’efficacia del contratto collettivo dipenda esclusivamente dall’atto di autolimitazione del singolo datore o prestatore di lavoro, sia esso ravvisato nell’adesione
all’associazione stipulante o nell’adesione individuale tacita o esplicita alla disciplina collettiva: qui il campo di applicazione del contratto stesso non puo` che essere determinato attraverso l’individuazione dei soggetti che hanno compiuto quell’atto di autolimitazione; e la questione della c.d. efficacia oggettiva non si distingue in nulla da quella dell’efficacia soggettiva del regolamento collettivo. Lo stesso discorso vale evidentemente in riferimento a un ordinamento che riconosca l’autonomia collettiva come prerogativa originariamente propria dell’associazione sindacale (non derivata, cioe`, da un conferimento di potere negoziale da parte degli individui interessati), ma che non attribuisca al contratto collettivo un’efficacia estesa al di fuori della cerchia degli iscritti all’associazione stessa e di coloro che comunque volontariamente si assoggettino al regolamento collettivo.
Stupisce dunque — e puo` imputarsi soltanto a un fenomeno di vischiosita` culturale (205) — che per oltre quattro decenni, dopo l’abrogazione dell’ordinamento corporativo e in una situazione di perdurante inattuazione del 4o comma dell’art. 39 Cost., la Corte di cassazione abbia continuato a ritenere applicabile l’art. 2070 c.c. anche ai contratti postcorporativi, deducendone una limitazione inderogabile dell’autonomia privata individuale e collettiva (ma non chiarendo in base a quale criterio potesse individuarsi una « categoria » precostituita nel cui alveo l’autonomia individuale e collettiva avrebbero dovuto incanalarsi) (206). Anche sotto la pressione della critica unanime della dottrina (207), tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 questo orientamento e` stato finalmente abbandonato dalla Corte di cassazione (208).
Resta tuttavia anche nelle sentenze successive (209) l’affermazione — gia` contenuta in una sentenza della Corte costituzionale (210) — secondo cui l’art. 2070 c.c. continuerebbe ad applicarsi, oltre che ovviamente in riferimento ai contratti corporativi di cui resti in vigore qualche disposizione (211), anche in riferimento ai contratti collettivi recepiti in decreto legislativo a norma della L. n. 741/1959 (§ 67). Affermazione che tuttavia non puo` essere interpretata nel senso di un ritorno al regime in cui la categoria preesisteva al contratto collettivo e poteva essere determinata prescindendosi da quanto in esso contenuto circa il suo campo di applicazione: la categoria resta definita dal contratto il cui contenuto e` recepito nel decreto delegato (212). L’applicabilita` dell’art. 2070 c.c. ha dunque il solo effetto pratico rilevante di una integrazione della disposizione collettiva circa il campo di applicazione, con le disposizioni sopra citate contenute nei commi 2o e 3o, rispettivamente in riferimento ai casi di esercizio di attivita` plurime da parte dello stesso imprenditore o di esercizio di attivita` produttiva di beni o servizi da parte di un datore di lavoro non imprenditore.
Un problema analogo di determinazione dell’« efficacia oggettiva » del contratto collettivo si pone anche, nel nostro ordinamento attuale, nei casi e nella misura in cui — nonostante la perdurante inattuazione dell’art. 39 Cost. e la lacuna legislativa in proposito — e` possibile in via interpretativa estendere erga omnes l’efficacia dispositiva del contratto collettivo. Quando di vera estensione dell’efficacia del contratto collettivo si tratti, e non di mera assunzione dello stesso come parametro per la determinazione del giusto trattamento (poiche´ in questo caso la valutazione del giudice si caratterizza per una larga discrezionalita`), anche qui deve farsi riferimento prioritario alla definizione che il contratto collettivo stesso da` del proprio campo di applicazione e alle regole eventualmente in esso contenute per la soluzione dei casi marginali (213), mentre l’art. 2070 c.c. puo` tutt’al piu` fornire un criterio di soluzione per i casi per i quali il contratto non disponga.
73. L’efficacia del contratto collettivo nel tempo e la questione della recedibilita` unilaterale. — All’orientamento dottrinale e giurisprudenziale oggi dominante (§§ 68 e 69), tendente a sottolineare del contratto collettivo la natura di atto di autonomia privata piuttosto che quella di fonte eteronoma di disciplina dei rapporti individuali, corrisponde l’opzione per un regime di piena liberta` di scelta delle parti stipulanti circa l’estensione temporale degli effetti del contratto collettivo stesso. Dottrina e giurisprudenza prevalenti concordano nell’affermare che per la delimitazione dell’efficacia nel tempo del contratto collettivo, anche in riferimento alla sua parte normativa, occorre fare riferimento alla libera determinazione delle parti, dovendo ritenersi anche per questo aspetto inapplicabile ai contratti collettivi postcorporativi la disciplina contenuta nel codice civile, riferita ai contratti corporativi (art. 2071, 3o c., dove si dispone l’obbligo di determinazione della durata del contratto collettivo; art. 2073, concernente la « denuncia » del contratto collettivo; art. 2074, dove si prevede l’ultrattivita` del contratto scaduto, fino al rinnovo) (214). Spetta dunque all’autonomia collettiva stabilire, oltre alla data di decorrenza degli effetti della pattuizione (eventualmente anche retroattiva) (215), un termine finale, alla scadenza del quale l’efficacia del contratto cessa senz’altro; oppure disporre la sua estensione a tempo indeterminato (216); oppure ancora compiere la scelta intermedia, corrispondente alla previsione dell’art. 2074 c.c. riferita ai contratti corporativi, di fissare un termine, scaduto il quale il contratto continua a produrre i propri effetti fino al rinnovo, trasformandosi cosi` in contratto a tempo indeterminato (217).
Quando il contratto non preveda alcun termine finale dei propri effetti, si pone il problema della legittimita` del recesso unilaterale (218). In proposito la giurisprudenza, dopo alcuni pronunciamenti in senso negativo (219), si e` nettamente orientata nel senso opposto (220), per lo piu` traendo argomento dal principio della necessaria temporaneita` dei vincoli contrattuali, o dal principio di buona fede nell’attuazione del rapporto contrattuale (221).
Quest’ultimo orientamento e` stato contrastato da una parte della dottrina con diversi argomenti. Cosi`, si e` esclusa la classificabilita` del contratto collettivo come contratto di durata sottolineandosi la sua natura e funzione normativa: di durata sarebbero soltanto i rapporti individuali di lavoro che ne sono disciplinati; solo dai contratti individuali potrebbe dunque recedersi, non dal contratto collettivo (222). Oppure si e` negata l’esistenza nel nostro ordinamento di un divieto generale della pattuizione di vincoli obbligatori perpetui (223). Ma queste argomentazioni mal si conciliano con la concezione, oggi largamente dominante (e del tutto condivisibile), della contrattazione collettiva come manifestazione di un processo continuo di negoziazione delle condizioni di lavoro, nel quale autonomia privata individuale e collettiva si intrecciano inestricabilmente allo stesso modo in cui si intrecciano e interferiscono tra loro rapporti individuali e
rapporti collettivi (§§ 49 e 68): in questo processo il contratto collettivo non e` che un momento particolare di definizione di una disciplina in costante divenire; attribuirgli, con il divieto di recesso unilaterale, il carattere della perpetuita` e` possibile soltanto sulla base di ragionamenti giuridici astratti, che prescindono totalmente dalla realta` del sistema delle relazioni industriali (224).
Nel senso della legittimita` del recesso unilaterale dal contratto collettivo a tempo indeterminato, anche quando esso non sia espressamente previsto nel contratto stesso, si registra comunque oggi l’orientamento nettamente prevalente, cosi` come della giurisprudenza, anche della dottrina (225).
74. La forma del contratto collettivo. — Xxxx` come la sottolineatura della natura negoziale privatistica della parte normativa del contratto collettivo rispetto alla sua natura di fonte di disciplina eteronoma dei rapporti individuali, o la sottolineatura inversa, influiscono sulla soluzione della questione della recedibilita` unilaterale, allo stesso modo l’opzione in un senso o nell’altro influisce sulla questione della liberta` di forma del contratto stesso. Alla considerazione esclusiva del contratto collettivo come atto di autonomia negoziale privata corrisponde logicamente la tesi dell’applicabilita` ad esso — in assenza di disposizioni legislative contrarie — del principio generale di liberta` della forma dell’atto. Alla considerazione del contratto collettivo come fonte di disciplina eteronoma di rapporti individuali intercorrenti fra soggetti terzi corrisponde invece meglio la tesi della necessita` della forma scritta: occorre infatti riconoscere che i terzi non possono essere adeguatamente informati del contenuto della pattuizione, e quindi darle attuazione, senza disporre di un suo testo scritto.
Nel primo ordine di idee si colloca chi sottolinea l’assenza, nell’ordinamento postcorporativo, di qualsiasi norma che imponga per il contratto collettivo la forma scritta ad substantiam, per affermare che tale forma puo` tutt’al piu` essere necessaria di fatto, ai fini della piu` agevole applicazione della pattuizione, o ai fini dell’estensione del suo campo di efficacia al di fuori della cerchia degli iscritti alle associazioni stipulanti (226).
Nell’ordine di idee opposto si colloca invece chi sottolinea l’analogia che corre fra il contratto collettivo corporativo e quello postcorporativo, con conseguente applicabilita` anche a quest’ultimo della norma dettata per il primo (legge 3 aprile 1926 n. 563, art. 10, 2o c.) (227); oppure chi fonda la necessita` della forma scritta del contratto collettivo su di un uso normativo che sarebbe invalso in tale senso (228); chi fa derivare direttamente la necessita` della forma scritta del contratto collettivo dalla « finalita` dell’istituto » (229); oppure chi trae argomento, a sostegno della necessita` della forma scritta, dagli adempimenti previsti da alcune norme di legge, nel campo amministrativo (art. 17 della legge
n. 936/1986, che prevede l’obbligo a carico dei soggetti stipulanti di depositare presso il C.N.E.L. copia autentica dei contratti collettivi entro 30 giorni dalla stipulazione; art. 3, 2o c., della legge n. 402/1996, che prevede il deposito del contratto collettivo presso l’Ufficio provinciale del lavoro e gli istituti previdenziali competenti in funzione della determinazione della retribuzione imponibile a fini contributivi) o in quello giudiziale (art. 425 c.p.c.), al fine di assicurare la conoscibilita` del contenuto dei contratti collettivi (230).
Sul piano pratico la questione puo` porsi, piu` che altro, al livello aziendale, nei rapporti fra imprenditore e rappresentanze sindacali, quando il primo assuma soltanto verbalmente un determinato impegno di fronte alle seconde riguardo a un determinato trattamento da riservare ai dipendenti, oppure quando, con la reiterazione di un determinato comportamento da parte dell’imprenditore nei confronti dei dipendenti, si instauri tacitamente un uso aziendale suscettibile di essere assimilato a una pattuizione collettiva (§ 76) (231); oppure ancora quando le rappresentanze aziendali esprimano soltanto verbalmente o manifestino tacitamente il consenso richiesto da una norma di legge al fine della legittimita` dell’esercizio di una determinata facolta` da parte dell’imprenditore (§ 71). E` appunto in riferimento a questi casi che la questione dell’ammissibilita` della pattuizione collettiva in forma soltanto verbale o tacita e` stata affrontata da una sentenza delle Sezioni Unite (232), che sembra potersi considerare oggi un riferimento risolutivo a questo proposito.
Nella motivazione della sentenza la Corte osserva come, oltre al requisito di forma ad substantiam (condizione per la validita` dell’atto e per la sua produttivita` di effetti giuridici) e al requisito di forma ad probationem (divieto di prova testimoniale o di accertamento dell’avvenuta stipulazione per presunzione), possa assumere rilievo un requisito di forma integrativa, quando una determinata forma sia necessaria affinche´ il negozio « produca effetti ulteriori rispetto a quelli tipici e immediati fra le parti ». E` questo, secondo le Sezioni Unite, il caso dei contratti collettivi, per i quali di un requisito di forma scritta si puo` parlare solo « a fini diversi dalla validita` del contratto », quali quelli amministrativi di cui si e` detto sopra, per i quali la legge prevede il deposito e la conservazione di una copia del contratto presso un determinato ufficio. Una soluzione, questa, che ben si concilia, per un verso, con la natura privatistica del contratto collettivo e gli effetti del negozio ad essa corrispondenti, per altro verso con la funzione di disciplina eteronoma dei rapporti individuali che al contratto stesso viene sempre piu` frequentemente ed estesamente assegnata dalla legge.
75. L’interpretazione del contratto collettivo. — Analogamente a quanto puo` dirsi in tema di forma del contratto collettivo, anche per cio` che riguarda il problema della sua interpretazione (che si pone esso pure soprattutto in relazione alla sua parte normativa) la soluzione piu` logica e preferibile e` quella fondata al tempo stesso sulla considerazione del contratto collettivo come atto di autonomia negoziale privata, con conseguente attribuzione di rilievo all’accertamento della volonta` negoziale delle parti stipulanti, e sulla considerazione della sua funzione di fonte eteronoma di disciplina di rapporti intercorrenti fra soggetti terzi, con conseguente attribuzione di adeguato rilievo al significato oggettivo delle parole con cui le disposizioni collettive sono formulate e all’affidamento che su di esso devono poter fare le parti del rapporto individuale di lavoro (233). Qui piu` che altrove si manifesta la sostanziale unitarieta` del procedimento di interpretazione degli atti giuridici — siano essi di natura unilaterale, pattizia, autoritativa o di altro genere — sempre volto in ultima analisi a individuare, in riferimento a una fattispecie concreta, cio` che gli
stipulanti hanno voluto, salve le integrazioni o correzioni imposte da altra fonte di rango superiore.
Si puo` osservare in proposito, per un verso, come anche nell’ordinamento corporativo, nel quale pure i contratti collettivi erano collocati tra le fonti del diritto oggettivo, la loro interpretazione fosse, per espressa disposizione di legge, assoggettata alle regole dell’ermeneutica contrattuale (234). Per altro verso e in senso contrario va sottolineata la peculiare difficolta` di desumere la volonta` negoziale delle parti del contratto collettivo dal loro comportamento nella fase di negoziazione (235), nonche´ in quella di attuazione del contratto stesso (art. 1362 c.c., 2o c.), dal momento che questo — per la parte normativa, in relazione alla quale il problema dei criteri ermeneutici presenta le maggiori difficolta` — e` destinato a essere attuato da soggetti terzi, restando in questa seconda fase le parti stipulanti, per cosi` dire, nella posizione di « spettatrici » (236).
Dottrina e giurisprudenza oggi nettamente prevalenti ritengono dunque che nell’interpretazione del contratto collettivo debbano bensi` applicarsi i criteri propri dell’ermeneutica contrattuale, stabiliti negli artt. 1362 ss. c.c., ma che il criterio della ricerca dell’intenzione comune delle parti oltre il senso letterale delle parole debba avere uno spazio meno ampio che nell’interpretazione degli atti di autonomia individuale, poiche´ la tutela dell’affidamento dei soggetti terzi destinatari delle disposizioni collettive impone di attribuire adeguato rilievo anche al significato letterale del testo in cui esse sono espresse (237): « partendo dall’analisi del dato letterale (artt. 1362-1366), interpretato anche alla luce del comportamento delle parti antecedente e successivo alla stipulazione (art. 1362, 2o c.), si dovra` pervenire, se necessario attraverso l’utilizzazzazione progressiva di criteri ulteriori (artt. 1367-1371), al conferimento alla manifestazione negoziale di quel significato obiettivo che integra il contenuto specifico della fattispecie, prescindendosi da qualunque introspezione psicologica circa l’effettivo risultato voluto dai contraenti » (238).
L’ancoraggio dell’interpretazione del contratto collettivo ai criteri propri dell’ermeneutica contrattuale impedisce, peraltro, che la disposizione collettiva possa essere applicata in via analogica a fattispecie estranee al suo campo di applicazione, cioe` a rapporti di lavoro non appartenenti alla categoria definita dal contratto stesso (c.d. « analogia esterna »), come invece puo` farsi in riferimento alla norma legislativa (239). Ma si osservi come tale preclusione fosse gia` esplicitamente disposta dalla legge (art. 13 disp. prel.) in riferimento ai contratti collettivi corporativi (240): anche quelli, dunque, nonostante l’assetto marcatamente pubblicistico dei loro effetti, vedevano prevalere per questo aspetto la loro natura contrattuale; anche in quel regime, come in quello oggi vigente, ogni clausola collettiva doveva intendersi come parte di un equilibrio complessivo di interessi, pertanto non suscettibile di applicazione isolata rispetto alle altre parti.
Per lo stesso motivo e` invece ammessa la c.d. « analogia interna » al contratto collettivo, cioe` l’applicazione analogica di una clausola a materia non disciplinata dalla clausola stessa, ma inerente allo stesso rapporto di lavoro disciplinato dal contratto collettivo a cui la clausola appartiene (241).
Per molti aspetti analogo al problema dei criteri ermeneutici e` il problema della censurabilita` in sede di cassazione dell’interpretazione del contratto collettivo operata dal giudice di merito: negato in linea di principio da una massima giurisprudenziale consolidata (242), sulla quale peraltro non mancano voci di dissenso in dottrina (243), di fatto un sostanziale controllo di merito si manifesta anche in alcune sentenze di cassazione. E nel settore del pubblico impiego la disciplina speciale di cui ai commi 3o e 4o dell’art. 68-bis, inserito nel D.L. n. 29/1993 dall’art. 30 del D.lgs. n. 80/1998, prevede la possibilita`, in difetto di accordo interpretativo fra le parti stipulanti, di un intervento della Corte di cassazione per la soluzione delle questioni che sorgano circa l’efficacia, la validita` o l’interpretazione delle clausole di un contratto collettivo nazionale (244).
76. L’uso aziendale. — Xxx termine « uso aziendale » la giurisprudenza e` solita indicare il comportamento unilaterale del datore di lavoro nei confronti di tutti i propri dipendenti — o di una parte di essi delimitata in base a elementi oggettivi —, consistente nell’erogazione di un determinato beneficio aggiuntivo rispetto a quanto espressamente previsto nel contratto collettivo e in quello individuale (ad esempio: la distribuzione di un dono in occasione delle feste natalizie, la concessione di un permesso retribuito in occasione della morte di un congiunto, la corresponsione di un premio in denaro al raggiungimento di una determinata anzianita` di servizio), beneficio che, in virtu` del proprio ripetersi nel tempo, perde l’originario carattere di liberalita`, diventando oggetto di un obbligo.
Dottrina e giurisprudenza tradizionali (245) appaiono nettamente orientate nel senso di negare l’autonomia dogmatica dell’istituto dell’uso aziendale, nonche´ la sua riconducibilita` alla categoria degli usi normativi (consuetudine come fonte di diritto oggettivo ex art. 1, n. 4, disp.prel.): in altre parole, si esclude qualsiasi rilievo giuridico della reiterazione del comportamento datoriale quale fatto in se´ idoneo a fondare obblighi di natura individuale o collettiva. La reiterazione puo` bensi` far nascere un diritto in capo ai lavoratori nei confronti dei quali il comportamento e` stato tenuto, ma soltanto in quanto essa determini una integrazione del contenuto del contratto individuale, potendo ravvisarsi in essa un comportamento concludente del datore di lavoro, cui abbia corrisposto l’accettazione — per lo piu` tacita — da parte dei singoli destinatari (individuabile da parte dell’interprete a norma dell’art. 1362, 2o c., o dell’art. 1333, 2o c., c.c.) (246), oppure, secondo un orientamento della giurisprudenza di cassazione che data dall’inizio degli anni ’80 (247), configurandosi con la reiterazione del comportamento del datore una sorta di clausola d’uso sulla quale possa presumersi un consenso implicito delle parti (art. 1340 c.c.).
La dottrina piu` recente (248) — con un significativo riscontro nella giurisprudenza di merito (249) — ha peraltro sottolineato la necessita` di tenere ben distinte due questioni inerenti agli effetti dell’uso aziendale, che in precedenza invece erano state per lo piu` confuse tra loro:
— una e` quella che riguarda la trasformazione del carattere spontaneo e unilaterale dell’erogazione del beneficio in un vero e proprio obbligo giuridico nei confronti del lavoratore che ne e` stato destinatario, modificabile o revocabile solo
con il consenso di quest’ultimo; questione che si risolve agevolmente secondo lo schema del comportamento concludente del datore accettato tacitamente dal prestatore;
— questione diversa e` quella dell’ultrattivita` del comportamento stesso, cioe` della sua idoneita` a dispiegare i propri effetti anche al di fuori del novero dei lavoratori che hanno goduto del beneficio essendo venuti a trovarsi in una determinata situazione (ad es.: hanno goduto di un permesso retribuito in occasione della morte di un congiunto, oppure hanno ricevuto un premio al raggiungimento di una certa anzianita` di servizio), producendo tali effetti progressivamente a favore di tutti coloro che non ne hanno goduto in passato ma vengono col tempo a trovarsi nella stessa situazione.
Questa seconda questione puo` risolversi spiegandosi l’ultrattivita` del comportamento del datore di lavoro con l’integrazione del regolamento contrattuale individuale conseguente all’affidamento legittimamente riposto dal lavoratore nella reiterazione del trattamento come attuazione di una clausola d’uso: l’uso aziendale resta, in tal modo, confinato nel campo del contratto individuale, del quale segue in tutto e per tutto la sorte. In proposito non sono mancate, pero`, ricostruzioni in tutto o in parte difformi. Soprattutto su sollecitazione della dottrina piu` critica nei confronti di questa opzione interpretativa (250), alcune decisioni della Corte di cassazione si sono proposte di esplorare percorsi diversi, ponendo maggiore attenzione alla delicata relazione che viene a instaurarsi fra la dimensione interindividuale del vincolo obbligatorio che lega il datore di lavoro a ciascuno dei propri dipendenti e la rilevanza superindividuale di determinate scelte di gestione del personale: una decisione del 1996 (251) — le cui argomentazioni sono state riprese e approfondite da una sentenza del 1999 (252) — ribadendo la necessita` dell’indagine circa lo specifico intento negoziale desumibile dal comportamento del datore di lavoro, ha ritenuto che, laddove il contenuto e la durata del comportamento stesso risultino idonei a configurarsi quale consapevole impegno a estendere il trattamento favorevole anche a tutti coloro che in futuro si troveranno nella medesima situazione, l’uso aziendale che ne consegue agisca « sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale ».
L’equiparazione dell’uso aziendale al contratto collettivo aziendale dovrebbe, secondo logica, comportare la non incorporazione nei contratti individuali del diritto nascente dal comportamento del datore (§ 71) e la possibilita` per il datore stesso di recedere unilateralmente dal vincolo (253), nello stesso modo in cui egli puo` recedere dal contratto collettivo aziendale a tempo indeterminato (§ 73). Ma non consta che la giurisprudenza si sia ancora mai spinta a questa conclusione.
(1) Prevedono la necessità del passaggio attraverso la costituzione di un monopolio dell’offerta di lavoro anche le dottrine rivoluzionarie del movimento operaio e in particolare quella marxiana: « Il lavoro salariato poggia esclusivamente sulla concorrenza degli operai tra di loro. Il progresso dell’industria ... fa subentrare all’isolamento degli operai risultante dalla concorrenza la loro unione rivoluzionaria, risultante dall’associazione » (X. Xxxx, X. Xxxxxx, Manifesto del partito comunista, 1848, ult. pagina del primo capitolo; c. m.).
(2) L’esclusione esplicita si realizza mediante la c.d. clausola di closed shop, sulla quale v. § 50 e ivi particolarmente note 16-18.
(3) All’esigenza di correzione dell’altra asimmetria informativa che tipicamente penalizza il lavoratore, cioè quella inerente alle possibilita` di lavoro offerte dal mercato (v. in proposito la parte del § 4 relativa alla nozione di monopsonio dinamico), risponde soltanto l’associazione sindacale che svolga (anche) attivita` di mediazione fra domanda e offerta nel mercato.
(4) Sul fenomeno della « massificazione » della contrattazione nelle economie moderne e sull’esigenza che ne deriva di rapidita` e semplicita` della negoziazione del singolo contratto, con la conseguente inevitabile erosione del ruolo della volonta` individuale, v. X. Xxxxx, Il contratto, Bologna, 1977, pp. 266-278. Per la nozione di « gestione accorpata dei rapporti di lavoro » v. X. Xxxx’Xxxx, L’organizzazione e l’azione sindacale, Xxxxxx, 0000, particolarmente pp. 97-109.
(5) X. Xxxxxxxxxx, Democrazia industriale e subordinazione, Milano, 1985.
(6) V. in proposito cap. V.
(7) V. la critica acuta di X. Xxxxxx, Contratto e rapporti di lavoro, oggi, nel secondo tomo de Le ragioni del diritto. Scritti in onore di Xxxxx Xxxxxxx, Milano, 1995, pp. 1057-1142, nonche´ nella raccolta dello stesso A. Questioni di diritto del lavoro (1992-1996), Torino, 1996, pp. 3-66, e partic. 25- 34; v. inoltre ultimamente X. Xxxxxxxxx, Liberta` e pluralismo sindacale, Padova, 1998, pp. 176-182. Per una esposizione analitica — qui preclusa dai limiti di spazio — delle ragioni per cui la prospettazione di X. Xxxxxxxxxx, pur assai suggestiva e stimolante, mi sembra avara di risultati concreti apprezzabili sul piano della costruzione sistematica della fattispecie del lavoro subordinato e su quello dell’interpretazione delle norme che presiedono alla qualificazione nel nostro ordinamento, devo rinviare alla mia monografia Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, Milano, 1989, pp. 21-26.
(8) V. soprattutto X. Xxxxxxxxx, Lavoratore subordinato e autotutela collettiva, Milano, 1993, e X. Xxxxxxx, Individuale e collettivo nel contratto di lavoro, Milano, 1993 (dove peraltro l’A. disconosce la confluenza della propria riflessione con quella sopra citata di X. Xxxxxxxxxx, criticando di quest’ultima un aspetto essenziale: v. partic. pp. 113-114 e ivi nota 38). A una ricomposizione della dimensione collettiva con quella individuale dei rapporti di lavoro tendevano anche, in precedenza, per altra via, X. Xxxxxxxx, Saggio sull’autonomia privata collettiva, Padova, 1972, e X. Xxxx’Xxxx, op. e loc. cit. nella nota 4.
(9) Cfr. X. Xxxxxxxxx, Lavoratore subordinato e autotutela collettiva, cit.: « l’ordinamento assomma nel singolo lavoratore subordinato il potere di autotutela collettiva con quello espresso dall’autonomia individuale — collocandoli in una sfera omogenea e non in un rapporto di ‘‘alterita`’’ — entrambi in un significato, anche se tra loro differenziato, di autonomia Dal combinarsi e integrarsi dell’esercizio delle due forme di autonomia, ed
eventualmente con l’integrazione eteronoma della fonte legale, sorge quindi il regolamento contrattuale del rapporto di lavoro » (p. 304-306).
(10) X. Xxxxx, Il contratto, cit., pp. 291-292.
(11) Durante la Rivoluzione francese, insieme all’abrogazione di quasi tutte le antiche corporazioni di origine medioevale e di ogni altro vincolo alla liberta` delle attivita` produttive e commerciali caratteristico dell’ancien re´gime, con la legge Le Chapelier del 1791 vennero vietate anche le coalizioni operaie (compagnonnages), considerate contrarie al principio della libera concorrenza (v. in proposito X. Xxxxxxxx, La Rivoluzione francese, Torino, 1958, pp. 199 e 209-210); di contenuto ancora piu` esteso, contro ogni forma di restraint of trade, e` il Combination Xxx 0000 britannico (che recepisce appieno la lezione di X. Xxxxx). Durante la prima parte del secolo successivo le coalizioni operaie furono vietate e penalmente sanzionate, cosi` come vietato e penalmente sanzionato era lo sciopero, in gran parte degli ordinamenti europei: in Italia il codice penale sardo del 1859, poi fatto proprio dall’ordinamento unitario del Regno con la legge 29 maggio 1864 n. 1797, puniva le « intese degli operai allo scopo
di sospendere, ostacolare o far rincarare il lavoro senza ragionevole causa ». Negli Stati Uniti provvede nello stesso senso lo Sherman Act del 1890.
(12) La fase della tolleranza, di ispirazione liberale, fu inaugurata nell’Italia unita con l’emanazione del codice penale Zanardelli del 1889, parzialmente ispirato per questo aspetto al precedente codice toscano. Per una lettura riduttiva della portata liberalizzatrice di questa riforma v. X. Xxxxx Xxxxxx, Sciopero, potere politico e magistratura 1870-1922, Bari, 1969, dal quale dissente per questo aspetto X. Xxxx, Diritto del lavoro, Xxxxxx, 00000, pp. 21-22; v. inoltre T.L. Xxxxx, La legislazione sociale della nuova Italia (1876-1900), Napoli, 1988, partic. pp. 17-51.
(13) Con la legge 3 aprile 1926 n. 563 e il suo regolamento 1o luglio 1926 n. 1130 il regime fascista istitui` un ordinamento, poi perfezionato sul piano sanzionatorio con il codice penale del 1930, caratterizzato — nonostante la possibilita`, puramente formale e di facciata, di un pluralismo sindacale — dal riconoscimento giuridico di un unico sindacato di categoria dei lavoratori, contrapposto al corrispondente sindacato unico degli imprenditori (anch’esso riconosciuto in via esclusiva), entrambi dotati di personalita` di diritto pubblico e sottoposti al controllo giuridico e politico dello Stato, nonche´ dotati di un potere di rappresentanza esteso all’intera categoria: v. in proposito, fra gli altri, X. Xxxxxxx, Diritto sindacale e corporativo, Xxxxxx, 00000, pp. 115-325; X. Xxxxxx, Xxxxxxx xxxxxxxxx x xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, pp. 68-126; X. Xxxxxxxxx, Xxxxxxx xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 00000, pp. 93-366, il quale peraltro sottolinea come l’ordinamento in esame non vieti le associazioni sindacali di fatto, « regolate dal diritto comune e soggette a una speciale vigilanza politica » (pp. 101 e 104-112): private, comunque, in realta`, quasi totalmente di una effettiva liberta` d’azione e di qualsiasi potere di rappresentanza negoziale dei propri iscritti; X. Xxxxxx, Esperienza corporativa (1929-1935), Xxxxxxx, 00000, pp. 389-526; X. Xxxxxxxx, Xxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 00000, pp. 87-236.
(14) Entrambe ratificate dall’Italia con L. 23 marzo 1958 n. 367. Nel settore agricolo le due convenzioni erano state precedute dalla conv. O.I.L.
n. 11/1921 sul « diritto di associazione » dei lavoratori della terra e sono state integrate — ancora limitatamente a quel settore — dalla conv.
n. 145/1975. Ma v. gia` in precedenza l’enunciazione del principio generale della liberta` sindacale nell’art. 427 del trattato di Versailles del 1919.
(15) Il principio di liberta` di associazione sancito dalle due convenzioni era stato inserito nella Costituzione dell’O.I.L. con la Dichiarazione di Filadelfia (adottata il 10 maggio 1944 nel xxxxx xxxxx 00x xxxxxxxx xxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxxxxxx xxx Xxxxxx), parte I, lett. b. Cfr. in proposito § 14 e ivi nota 26; inoltre X. Xxxxxxxxxxx, L’autonomia sindacale, in Nuovo trattato di diritto del lavoro dir. da X. Xxxx Xxxxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, vol. I, Padova, 1971, partic. pp. 12-15. Oggi soltanto meta` della popolazione mondiale vive in Paesi che abbiano ratificato la conv. n. 87 (122 Paesi sui 174 aderenti all’O.I.L.), nonostante che essa sia considerata come parte integrante della Costituzione dell’Organizzazione e come tale vincolante per tutti gli Stati aderenti. Sul principio di liberta` sindacale nell’ordinamento dell’O.I.L. e in particolare la conv. n. 87 v. il numero speciale di RIT, 1998, n. 2, dedicato al tema Droits du travail, droits de l’homme, con articoli di X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxx, X. xxx Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx; ivi anche una nota bibliografica ragionata in argomento. Per una panoramica storica dell’attivita` svolta dall’O.I.L. per la promozione dei principi della liberta` sindacale, dell’autonomia collettiva e della partecipazione dei lavoratori nell’impresa, v. inoltre X. xx Xxxxx, Droits de l’homme travail et syndicats, Xxxxx, 0000.
(16) La conv. O.I.L. n. 87/1948 e` stata infatti ratificata anche dall’Australia, dal Canada e dalla Gran Bretagna (ma non dagli U.S.A.), Paesi tutti dove la clausola di closed shop e` stata per lungo tempo ammessa, pur con alterne vicende legislative. In Gran Bretagna piu` che altrove il closed shop e` stato largamente praticato fino alle riforme thatcheriane degli anni ’80: v. in proposito X. Xxxxxxxxx, Liberta` sindacale e closed shop nel diritto del lavoro britannico, Milano, 1981.
(17) X. Xxxxxx, International Labour Law, Deventer, 1993, pp. 75-76; ivi (pp. 75-82) una trattazione relativamente ampia della questione dell’esclusione del principio della liberta` sindacale negativa dalle convenzioni O.I.L. n. 87 e n. 98.
(18) Sent. 13 agosto 1981, causa Young, Xxxxx e Xxxxxxx x. Regno Unito, FI, 1982, IV, c. 133 (con nota di X. Xxxxxxxxx, Liberta` sindacale
« negativa » e Convenzione europea dei diritti dell’uomo), nella quale la Corte ha ritenuto implicito il principio di liberta` sindacale negativa, con la conseguente illegittimita` delle clausole di closed shop, nella norma contenuta nell’art. 11 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta` fondamentali del 1950 (§ 15): norma in tutto e per tutto ricalcata su quella contenuta nella conv. O.I.L. n. 87, nella quale si menziona soltanto il diritto di costituire l’organizzazione e di aderirvi, ma non il divieto per la legge e le parti collettive di imporre al lavoratore l’adesione. Apprendiamo da X. Xxxxxx, X. Xxxxxx, Droit social europe´en (Paris, 1991, p. 16) che in una successiva sentenza, del 18 ottobre 1983, la stessa Corte ha condannato il Regno Unito a un cospicuo risarcimento dei danni derivati ai tre lavoratori ricorrenti dal licenziamento subi`to in applicazione della clausola di closed shop precedentemente dichiarata illegittima.
(19) V. per tutti X. Xxxxxxxxxxx, voce Liberta` sindacale: premesse generali, Enc dir, XXIV, 1974, pp. 494-501; X. Xxxx, voce Liberta` sindacale: diritto vigente, ivi, partic. pp. 512-522; X. Xxxxxx, L’attivita` sindacale nell’impresa, Milano, 1976, pp. 2-23. X. Xxxx’Xxxx, L’organizzazione e l’azione sindacale, cit., aggiunge quale elemento necessario quello della volontarieta` della coalizione, quindi della sua natura contrattuale (pp. 18- 33).
(20) X. Xxxx, op. ult. cit., p. 516.
(21) X. Xxxxxx, International Labour Law, cit., pp. 82-85: un corollario, questo, del principio di liberta` sindacale di fonte internazionale, le cui rilevanti implicazioni nel nostro ordinamento interno sono forse state fino a oggi sottovalutate. Sulla legislazione « di sostegno » alle associazioni sindacali maggiormente rappresentative nei luoghi di lavoro e i suoi sviluppi piu` xxxxxxx x. §§ 00-00.
(22) X. xx xxxxxxxxx § 00, nota 31, e nota 18 a questo paragrafo.
(23) Sul cui limitato rilievo giuridico v. § 12 e ivi nota 13.
(24) Cfr. in proposito § 12. Sulla non appartenenza, a tutt’oggi, all’ordinamento comunitario della c.d. Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, non sottoscritta dal Regno Unito, v. ancora la nota 13 allo stesso paragrafo.
(25) V. nota 14.
(26) Sul contenuto delle due convenzioni v. X. Xxxxxxx, Le convenzioni internazionali del lavoro e l’ordinamento giuridico italiano, Padova, 1973, pp. 178-195. Sul divieto delle discriminazioni per motivi sindacali v. il paragrafo seguente.
(27) Ratificata dall’Italia con L. 10 aprile 1981 n. 157.
(28) Con i quali il nostro ordinamento adempie l’obbligo, assunto con la ratifica della conv. O.I.L. n. 135/1971 (v. nota 27), di predisporre idonee agevolazioni per lo svolgimento « rapido ed efficace », da parte dei rappresentanti sindacali aziendali, delle loro funzioni di rappresentanza e tutela dei lavoratori nei luoghi di lavoro (art. 2 della convenzione).
(29) Anche questo divieto costituisce adempimento di un obbligo imposto all’Italia dall’art. 2 della conv. O.I.L. n. 98/1949, di cui si e` detto sopra. Tra i commenti all’art. 17 St. lav. v. soprattutto X. Xxxxxxx (X. Xxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx), Statuto dei diritti dei lavoratori, Xxxxxxx- Xxxx, 00000, pp. 233-242; 2a ed., 1981, pp. 67-78; X. Xxxxxxx (X. Xxxx), Commento allo statuto dei diritti dei lavoratori, Padova, 1972, pp. 185-190; Marc. De Cristofaro, in Commentario dello Statuto dei lavoratori, dir. da X. Xxxxxxxxxxx, Milano, 1975, vol. I, pp. 458-497; X. Xxxxxxx ne Lo Statuto dei lavoratori. Commentario, dir. da X. Xxxxxx, Milano, 1979, pp. 236-248;
(30) Non cosi` l’art. 4 della legge 15 luglio 1966 n. 604, che ha preceduto l’art. 15 St. lav. istituendo il primo divieto esplicito di discriminazione antisindacale sul terreno dei licenziamenti, e che menziona — per vietarlo — soltanto il caso del licenziamento motivato dall’« appartenenza a un sindacato », ma non il caso di quello motivato dalla non appartenenza.
(31) V. per tutti in proposito X. Xxxxxx (X. Xxxxxxxxx, G.F. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxx), Statuto dei diritti dei lavoratori, cit., sub art. 15, pp. 221-224; e, nella seconda edizione dello stesso commentario, del 1981, X. Xxxxxxxxx, pp. 37-40.
(32) V. in tal senso soprattutto X. Xxxx, Condotta antisindacale e atti discriminatori, Milano, 1974, pp. 125-130. In riferimento al divieto di discriminazioni per motivi di genere v., in questo stesso senso, gli scritti citt. nella nota 98 al § 167.
(33) Per il quale v. soprattutto X. Xxxxxxxxx (X. Xxxxxx, G.F. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxx), op. ult. cit., pp. 43-46.
(34) Questa distinzione non sembra essere stata colta dai primi commentatori dell’art. 15 dello Statuto: v. soprattutto X. Xxxxxxx (X. Xxxx), Commento allo statuto dei diritti dei lavoratori, cit. (1972), sub art. 15, pp. 165-176; X. Xxxxxx (X. Xxxxxxxxx, G.F. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxx), op. ult. cit.; X. Xxxxxxxxx, ne Lo Statuto dei lavoratori. Commentario, dir. da X. Xxxxxx, Milano, 1979, pp. 000-000 (xxxx l’A. esclude che la norma tuteli la liberta`
« del singolo lavoratore a una obiezione di coscienza individuale — che, almeno nella nostra esperienza sindacale, assume il significato di una mistificazione »: pp. 221-222). V. pero` X. Xxxxx, in Commentario dello Statuto dei lavoratori dir. da X. Xxxxxxxxxxx, cit., sub art. 15: « non la differenziazione come tale ... ma la differenziazione pregiudizievole al lavoratore e` rilevante agli effetti della discriminazione, la quale consiste percio` in una differenziazione svantaggiosa per il lavoratore » (p. 438); « la tutela dell’interesse alla eguaglianza attuale o potenziale di trattamenti non e` fine a se stessa, essendo piuttosto collegata teleologicamente alla tutela dell’interesse alla liberta` sindacale e politica del lavoratore e alla sua realizzazione sul piano della effettivita` » (p. 443). La questione e` invece stata affrontata negli studi di X. Xxxxx e X. Xxxxxxxxxxx citt. nella nota 176, cui si rinvia per la sintesi delle tesi ivi sostenute dai due autori, e costituisce oggetto centrale della monografia di X. Xxxxxxxxx, Liberta` e pluralismo sindacale, cit., dove l’A. pero` giunge a conclusioni per alcuni aspetti diverse rispetto a quelle qui proposte (v. nota 170).
(35) Sul « principio di effettivita` » come unico principio che presiede all’individuazione della forma dell’autotutela collettiva protetta dall’ordinamento v. X. Xxxxxxxxx, Lavoratore subordinato e autotutela collettiva, cit., partic. pp. 236-252. Tale principio e` estremizzato, al punto da tradursi in principio di « immunita` » dell’associazione sindacale, in X. Xxxxxxxxx, Liberta` e immunita` del sindacato, Napoli, 1986.
(36) V. per tutti in proposito X. Xxxx Xxxxxxxxxxx, Diritto sindacale, Torino, 19824, p. 141.
(37) Sul contenuto di questa norma e le ragioni della sua mancata attuazione da parte del legislatore ordinario x. xxxxx, § 00.
(00) Xx xxxx della natura pubblicistica delle associazioni sindacali, pur nel regime transitorio di inattuazione dell’art. 39 (C. Mortati, Il lavoro nella Costituzione, DL, 1954, I, pp. 159 ss., dove peraltro si precisa che natura pubblica non significa assoggettamento dell’associazione a controllo da parte dei pubblici poteri), e` rimasta isolata e priva di alcun seguito anche in giurisprudenza.
(39) Sui problemi del rapporto fra identita` patrimoniale e identita` associativa e sulla necessita` di non sopravvalutarne la portata v. soprattutto X. Xxxx, L’organizzazione sindacale, Milano, 1970, partic. pp. 91-157.
(40) X. Xxxxxxx (Ordinamento, ruolo del sindacato, dinamica contrattuale di tutela, Padova, 1981, partic. pp. 405-407) parla in proposito di un vero e proprio riconoscimento di personalita` giuridica, ancorche´ in forme diverse da quelle previste dal diritto comune.
(41) Il riferimento e` soprattutto alla legittimazione processuale delle associazioni sindacali nazionali, mediante i loro organismi periferici, nel procedimento speciale per la repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro previsto e disciplinato dall’art. 28 St. lav.
(42) V. in proposito soprattutto l’indagine comparatistica di X. Xxxxx, Rappresentanza e democrazia in azienda. Profili di diritto sindacale comparato, Xxxxxx, 0000. Sui limiti delle prospettive attuali di sviluppo della partecipazione dei lavoratori nelle imprese e la necessita`, comunque, che non ne risultino pregiudicate le funzioni proprie delle organizzazioni sindacali, v. recentemente X. Xxxxxxxx, Democrazia impossibile? I modelli collaborativi nell’impresa: il difficile cammino della partecipazione tra democrazia ed efficienza, Bologna, 1995.
(43) Non si tratta di « rappresentanza » in senso tecnico-giuridico, poiche´ fra associazione e organo aziendale non vi e` alterita` soggettiva, bensi` corre un rapporto organico.
(44) Sull’ambiguita` della formulazione della norma, vista in positivo come fonte di una feconda dialettica tra movimento e organizzazione, v. soprattutto l’ampia trattazione di X. Xxxxxxx, in Statuto dei diritti dei lavoratori, Bologna-Roma, 1972, pp. 337-348, nella quale e` fortemente percepibile lo spirito movimentista dell’epoca; in argomento, all’incirca sulla stessa lunghezza d’onda, v. anche X. Xxxx, Sindacato e rappresentanze aziendali, Bologna, 1971, pp. 176-191 (ma v., di questo A., il saggio dell’anno precedente, loc. cit. nella nota 46), dove una ambivalenza e` vista piu` nelle nuove strutture nascenti dal movimento dei delegati che non nella nuova norma legislativa). La stessa ambivalenza e` rilevata nel testo legislativo, ma con atteggiamento piu` disincantato, in X. Xxxxxx, Diritto sindacale, Bari, 19771, 19919, pp. 100-101, e nelle trattazioni del secondo decennio: G.C. Xxxxxx, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, Padova, 1981, pp. 82-92; X. Xxxxxx, X. Xxxxxxxxx, Il diritto sindacale, Bologna, 19821, 19872, pp. 93-94; X. Xxxxxxx, X. Xx Xxxx, Xxxx, X. Xxxx, Il diritto sindacale, Torino, 19831, 19872, pp. 140-145. X. Xx Xxxx Xxxxxx x
X. Xxxxxx (xxxx Rappresentanza sindacale aziendale, Enc dir, XXXVIII, 1987, partic. pp. 609-612) indicano invece nel duplice riferimento
all’« iniziativa dei lavoratori » e al rapporto organico con l’associazione l’espressione di un disegno razionale del legislatore, volto al tempo stesso a
« garantire un minimum di istituzionalizzazione delle nuove realta` organizzative aziendali » e a evitare « costituzioni di rappresentanze sindacali aziendali o designazioni di rappresentanti provenienti esclusivamente da strutture sindacali esterne ».
(45) Cosi` X. Xxxxxxx, nel Commentario dello Statuto dei lavoratori diretto da X. Xxxxxxxxxxx, 1975, cit., vol. II, particolarmente pp. 643-644. Per una interpretazione della norma come garanzia del diritto di iniziativa e di partecipazione dei lavoratori non iscritti v. altresi` F. Peschiera, Sindacato e rappresentanze operaie, Roma, 1973, pp. 63-66; e X. Xxxxx, L’assemblea nei luoghi di lavoro, Milano, 1976, dove la svalutazione della necessita` di rapporto organico tra organismo aziendale prodotto dall’iniziativa di base e organizzazione sindacale assurge a tesi centrale del saggio (sul punto che qui interessa v. particolarmente pp. 453-464). La tesi secondo cui la norma assicurerebbe l’elettorato attivo anche ai non iscritti sembra sorprendentemente tuttora accreditata da X. Xxxxxxx, X. Xx Xxxx, X. Xxxx, X. Xxxx, op. cit., p. 140. Dalla particolare formulazione della norma deduceva invece, piu` genericamente, la necessita` di « intese tra i lavoratori interessati e il sindacato » sulla costituzione della r.s.a. X. Xxxxxxx (X. Xxxx), Commento allo statuto dei diritti dei lavoratori, 1972, cit., 247.
(46) V. la prima « lettura » dello Statuto proposta in modo molto limpido e netto, nell’immediatezza dell’entrata in vigore della legge, da X. Xxxx, L’organizzazione sindacale, 1970, cit., pp. 202-216 (e in particolare il brano riportato infra, nella nota 50); poi soprattutto da M. Grandi, Le rappresentanze sindacali aziendali, ne L’applicazione dello Statuto dei lavoratori. Tendenze e orientamenti, Milano, 1973, pp. 246-253; Id., L’attivita` sindacale nell’impresa, cit., particolarmente pp. 73-80 e 103-105, dove, per svalutare la contrapposizione tra iniziativa dei lavoratori e iniziativa del sindacato (contrapposizione in cui l’A. vede il frutto di una distorsione interpretativa imputabile a « spontaneismo di matrice gruppuscolare »), si sottolinea che « l’azione organizzativa del sindacato, se correttamente intesa, e` l’azione stessa dei lavoratori organizzati: non vi e` ragione di principio o di esperienza pratica per contrapporre l’una all’altra o per separare l’una dall’altra » (p. 75). Sostanzialmente nello stesso senso X. Xxxxxxx, Diritto di associazione nei luoghi di lavoro e costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali, relazione introduttiva al seminario di diritto sindacale dell’Un. di Firenze, 18 ottobre 1974, atti ne L’attivita` sindacale nei luoghi di lavoro, Milano, 1976, particolarmente pp. 22-23.
(47) Ne fornisce un’ampia rassegna X. Xxxxxxxx, Organizzazione sindacale e rappresentanza dei lavoratori in azienda, Padova, 1989, pp. 58-108, dove e` anche documentata la scelta operata dalle parti collettive in tutti i principali contratti nazionali di settore nel senso di riservare alle organizzazioni sindacali il potere di designare insindacabilmente i membri delle proprie r.s.a.; l’A. denuncia pero` come una « difformita` » tra la disciplina autonoma e quella legislativa delle r.s.a. l’obliterazione da parte dei contratti collettivi del requisito dell’« iniziativa dei lavoratori » previsto dall’art. 00 xxxxx Xxxxxxx (x. particolarmente p. 77).
(48) L. 27 dicembre 1968, art. L. 412-3 del Code du Travail.
(49) In tal senso, oltre agli scritti di X. Xxxx, X. Xxxxxx e X. Xxxxxxx citati nella nota 46, X. Xxxxxx, P. Curzio, ne Lo Statuto dei lavoratori. Commentario, dir. da X. Xxxxxx, Milano, 1979, sub art. 19, p. 321; X. Xx Xxxx Xxxxxx, X. Xxxxxx, op. cit., pp. 619-620; tra le pubblicazioni piu` recenti X. Xxxxxxxxx, Diritto sindacale, Torino, 19955, pp. 83-84. In giurisprudenza x. Xxxx. 00 ottobre 1988 n. 5652, MGL, 1988, p. 633, dove si afferma che l’« iniziativa » dei lavoratori cui fa cenno la legge puo` realizzarsi con « qualsiasi forma di collegamento, pur implicito, tra la r.s.a. e la base »; v. inoltre, nel senso della revocabilita` della nomina del rappresentante sindacale — ancorche´ originariamente designato in seguito a elezione da parte dei lavoratori nell’unita` produttiva, P. Milano 13 gennaio 1992, a quanto consta inedita; T. Milano 22 dicembre 1993, NGL, 1994, p. 281; T. Milano 21 febbraio 1998, OGL, 1998, p. 570. V. pero`, in senso contrario su quest’ultimo punto, P. Milano 16 gennaio 1992, D&L, 1992, p. 623. Sul requisito della presenza di una « testa di ponte » dell’organizzazione sindacale in seno all’azienda va segnalata, come voce del tutto isolata, P. Milano 10 giugno 1995, OGL, 1995, p. 284, la quale, dalla condivisibile premessa secondo cui « la ratio della norma in esame e` di evitare l’esercizio delle funzioni degli organismi sindacali da parte di singoli individui o di piccoli gruppi isolati di lavoratori, ... con pregiudizio per gli stessi interessi collettivi dei lavoratori », trae (arbitrariamente, a mio avviso) la conclusione secondo cui l’iniziativa della costituzione della r.s.a. deve essere presa da
« un numero [di lavoratori] di una certa consistenza, da valutarsi in relazione al numero dei dipendenti e degli aderenti alle varie associazioni sindacali ».
(50) Cfr. X. Xxxx, L’organizzazione sindacale, cit.: « la legge 20 maggio 1970 n. 300 sembra presupporre quali beneficiari dei diritti sindacali in azienda strutture a base associativa ... quali ... le sezioni sindacali. Ma si tratta di un presupposto di fatto che, pur risultante dalla storia del provvedimento, non trova riflesso nel suo contenuto normativo, il quale si astiene chiaramente dal definire le forme della rappresentanza sindacale aziendale lasciandone programmaticamente la scelta alle stesse organizzazioni interessate. Che l’impostazione dello Statuto dei lavoratori contribuisca a rivitalizzare gli istituti tradizionali o invece a rafforzare le nuove figure organizzative generali, dipendera` pertanto, qui piu` chiaramente che altrove, dall’uso concreto che dei benefici previsti dalla legge faranno i sindacati indicati dall’art. 19 » (pp. 203-205). Nello stesso senso X. Xxxxxxx, Les droits et les fonctions des syndicats dans l’entreprise, relazione all’VIII congresso internazionale di diritto del lavoro, Xxxxx xx Xxxxxx, 0000, nel primo volume degli atti, Milano, 1977, p. 51 (dove l’A. parla, a proposito delle r.s.a. di cui all’art. 19, di « un espace vide de formes juridiques »).
(51) V. ancora sul punto, in modo molto netto, X. Xxxxxxx, Diritto di associazione ecc., cit., p. 23.
(52) Cfr. sul punto X. Xxxxxxx, Ordinamento, ruolo del sindacato, dinamica contrattuale di tutela, cit., pp. 60-62; X. Xxxxxxxx, Contratto collettivo e autonomia sindacale, in Trattato di diritto privato dir. da X. Xxxxxxxx, anticipato in volume autonomo, Torino, 1984, 104-106.
(53) Nel marzo 1970 i sindacati metalmeccanici aderenti a Cgil-Cisl-Uil avevano deciso di istituire i consigli di fabbrica, inizialmente intesi come organi collegiali composti dai direttivi delle sezioni sindacali aziendali, dai membri delle commissioni interne e dai delegati eletti nei gruppi omogenei (col sistema del collegio uninominale e su scheda bianca). Nel « patto » del 3 luglio 1972 istitutivo della Federazione Cgil-Cisl-Uil i
« Consigli dei delegati » eletti da tutti i lavoratori vennero poi formalmente indicati come strutture di base della federazione stessa, legittimate alla contrattazione collettiva al livello aziendale: « Il Consiglio dei delegati e` l’istanza sindacale di base con poteri di contrattazione sui posti di lavoro; alla sua formazione concorrono in primo luogo gli iscritti alle tre Confederazioni e i lavoratori non iscritti che, su iniziativa delle stesse, per loro libera scelta intendono parteciparvi ».
(54) Gia` nel 1972, pero`, in seguito all’accantonamento del progetto di unificazione organica lanciato dai Consigli generali delle tre Confederazioni il 24 novembre 1971, veniva avvertita la necessita` di un correttivo contro il rischio che l’elezione diretta da parte dei lavoratori dei rappresentanti sindacali col sistema del collegio uninominale penalizzasse una delle tre componenti: la disposizione sui consigli dei delegati contenuta nel patto federativo del 3 luglio 1972 (v. nota precedente) proseguiva infatti prevedendo che « in tale organismo e, dove esiste, nell’esecutivo deve essere assicurata la rappresentanza delle forze sindacali che operano nell’azienda ... e che costituiscono la Federazione ».
(55) Il rischio insito nella scelta della Federazione Cgil-Cisl-Uil di qualificare senz’altro i consigli di fabbrica nati spontaneamente dall’« autunno caldo » come propri organi di base viene colto con grande precisione fin dal 1974 da X. Xxxxxxx nella sua relazione di Selva di Fasano (cit.): « le syndicat ne peut garder son roˆle de guide du mouvement, si ce n’est qu’en ‘‘se collant’’ aux revendications de ce dernier, sans controˆler leur compatibilite´ avec le système, dont le syndicat est cependant une partie inte´grante » (p. 54; v. anche pp. 65-67). Una percezione precisa di quanto autonomi di fatto fossero i consigli di fabbrica dalle tre confederazioni maggiori, delle quali pure si qualificavano come « organismi di base », puo` trarsi dalla lettura dei loro statuti: una raccolta di quelli delle principali aziende metalmeccaniche milanesi e` proposta da X. Xxxxxxxxxxx, Statuti dei consigli di fabbrica. Il settore metalmeccanico milanese 1970-1980, Milano, s.d. ma 1985. V. pure I. Regalia, Xxxxxx e abbandonati. Modelli e stili di rappresentanza in fabbrica, Bologna, 1984, spec. pp. 263 ss.
(56) Cioe` della clausola afferente alla c.d. « parte obbligatoria » del contratto collettivo (§ 63), con la quale l’associazione sindacale assume l’impegno a non promuovere agitazioni entro un determinato termine per nessun motivo (clausola di tregua assoluta), oppure limitatamente a una o piu` determinate materie (clausola di tregua relativa).
(57) V. ad esempio il Regolamento per l’elezione e il funzionamento dei Consigli di fabbrica concordato nel febbraio 1986 da Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm-Uil (che puo` leggersi in RIDL, 1986, III, pp. 100-108), dove alla vecchia regola dell’elezione del delegato nel collegio uninominale costituito dal piccolo gruppo omogeneo viene sostituita quella delle « aree elettorali » (§ 4), definite in modo tale da « garantire l’espressione delle rappresentanze della pluralita` delle organizzazioni e delle realta` professionali esistenti in azienda »; si aggiungeva inoltre che « l’insieme dei delegati dovra` rappresentare in termini proporzionali la realta` della consistenza di operai, impiegati, tecnici e quadri all’interno dell’azienda »; con l’ulteriore correttivo in senso proporzionalista per cui « comunque in ogni area e` necessario eleggere almeno quattro delegati ».
(58) Sostengono invece l’incompatibilita` dell’accordo interconfederale del dicembre 1993 con l’assetto legislativo della materia X. Xxxxxx (Poteri del sindacato ed efficacia della contrattazione collettiva, GC, 1995, II, p. 456) in riferimento al vecchio testo dell’art. 19 e X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, La nuova disciplina delle rsa dopo i referendum, DPL, 1995, n. 40, inserto, p. VIII, in riferimento al nuovo testo risultante dalla parziale abrogazione referendaria. Sul punto v. infra, § 55-56.
(59) Xxx` nella seconda meta` degli anni ’70, del resto, la legge 18 novembre 1977 n. 902 sulla ripartizione del patrimonio delle organizzazioni sindacali fasciste disciolte aveva riconosciuto esplicitamente il quadro marcatamente pluralistico del sistema delle relazioni sindacali.
(60) Sui progetti di legge in proposito (che possono leggersi in RIDL, 1989, III, pp. 142-153, 157-175, 137-141 e 153-157) v. il commento di X. Xxxxxxxxx, Il sindacato dalla rappresentanza alla rappresentativita`, in Rappresentanza e rappresentativita` del sindacato, Milano, 1990 pp. 36-42.
(61) Xxxx’erroneita` dell’opinione secondo cui i due quesiti sarebbero stati tra loro in rapporto di continenza (opinione enunciata anche nella motivazione della sentenza 12 gennaio 1994 n. 1, con la quale la Corte costituzionale aveva ammesso entrambi i quesiti alla prova del voto: FI, 1994, I, c. 306, con nota di X. Xxxxxxx) v. le giuste osservazioni di X. Xxxx in AA.VV., Poteri dell’imprenditore, rappresentanze sindacali unitarie e contratti collettivi, Milano, 1996, pp. 148-150, e di X. Xxxxxxx, Forme di rappresentanza degli interessi organizzati e relazioni industriali in azienda, DRI, 1996, pp. 5-13.
(62) X. xx xxxxxxxxx xxxxx, § 00 x xxx xxxx 000.
(63) V. tra gli altri X. Xxxxxxxx, in AA.VV., Poteri dell’imprenditore, rappresentanze sindacali unitarie e contratti collettivi, cit., e in DLRI, 1995, pp. 219-220.
(64) Comma 2o: « Hanno potere di iniziativa anche le associazioni sindacali firmatarie del c.c.n.l. applicato nell’unita` produttiva ovvero le associazioni sindacali abilitate alla presentazione delle liste elettorali ai sensi del punto 4, parte seconda, a condizione che abbiano espresso adesione formale al contenuto del presente accordo ». Nel senso dell’idoneita` della disciplina collettiva interconfederale a costituire argine efficace contro la
« proliferazione incontrollata di microorganismi sindacali » v. anche X. Xxxxxxx, Agenti sindacali, Protocollo del luglio 1993 ed esiti referendari in tema di r.s.a. e di contributi sindacali, DPL, 1995, n. 40, inserto, p. XXXII.
(65) Cass. 19 marzo 1986 n. 1913, RIDL, 1996, II, p. 699, con nota fortemente critica di X. Xxxxxxxxx, La liberta` sindacale in azienda secondo la Cassazione: diritto di « esclusiva » per le confederazioni maggiormente rappresentative; C. cost. 26 gennaio 1990 n. 30, FI, 1992, I, c. 30, peraltro soltanto in motivazione: non si tratta pertanto di principio vincolante, ne´ per il legislatore ne´ per i giudici del lavoro.
(66) Cfr. P. Milano 13 novembre 1995, RIDL, 1996, II, p. 24, con nota adesiva di X. Xxxx, Dopo il referendum del giugno 1995.
(67) Ne consegue, ovviamente, l’esclusione, anche nel nuovo regime, di qualsiasi « obbligo di trattare » di fonte legislativa a carico dell’imprenditore nei confronti delle associazioni sindacali, indipendentemente dal fatto che esse rispondano o no ai requisiti di cui all’art. 19. Nello stesso senso v. X. Xxxxxxx, Prime osservazioni sulle « nuove » rsa, DPL, 1995, n. 40, inserto, p. XIII; X. Xxxxxxx, Forme di rappresentanza degli interessi organizzati ecc., cit. In senso contrario a una piena liberta` dell’imprenditore o dell’associazione imprenditoriale nella scelta della controparte negoziale v. pero`
X. Xxxx, Rappresentanze sindacali e contrattazione aziendale, RIDL, 1995, p. 520: « non si puo` stipulare con chicchessia », poiche´ osta a tale liberta` il principio costituzionale della rappresentativita` maggioritaria nell’area investita dagli effetti del contratto. A questa tesi puo` tuttavia obiettarsi che il principio maggioritario e` enunciato dall’art. 39 Cost. soltanto ai fini della stipulazione di contratti collettivi con efficacia erga omnes (§ 66): tanto e` vero che la dottrina appare unanime nel considerare la registrazione ivi prevista delle associazioni sindacali come oggetto di un onere (ai fini appunto della contrattazione collettiva con effetti generalizzati) e non come un obbligo in senso proprio (§ 52).
(68) L’espressione « collective laissez faire » e` usata da X. Xxxxxxxxxx (British Labour Law at the Court of Justice: A Fragment, cllir, 1994, pp. 342 e ss.) e da X. Xxxxxx (The future of Labour Law, ILJ, 1995, pp. 305 ss.) in riferimento al diritto sindacale britannico. In riferimento
all’ordinamento italiano attuale, caratterizzato pur sempre dal « sostegno » legislativo alla presenza organizzata del sindacato nei luoghi di lavoro, la stessa espressione puo` essere utilizzata soltanto attribuendole il significato meno intenso precisato nel testo.
(69) La materia disciplinata deve comunque costituire « un aspetto non marginale del rapporto di lavoro »: cosi` T. Milano 30 giugno 1999, OGL, 1999, p. 317; in dottrina sul punto v. X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, La nuova disciplina delle rappresentanze sindacali aziendali dopo i referendum, ADL, 1996, pp. 8-10; X. Xxxxxxx, Le rappresentanze sindacali aziendali dopo il referendum (problemi interpretativi e prime osservazioni), ivi, p. 40. Sulla distinzione fra « parte normativa » e « parte obbligatoria » del xxxxxxxxx xxxxxxxxxx x. xxxxx, § 00.
(70) Nello stesso senso X. Xxxxxxx, Prime osservazioni sulle « nuove » rsa, cit., p. XIV; inoltre X. Xxxxxxx, Le rappresentanze aziendali dopo i referendum. La soluzione e` una legge, LI, 1995, n. 13, p. 6, il quale esprime pero` la preoccupazione circa la possibilita` che si determini in proposito un orientamento giurisprudenziale contrario.
(71) Xxxx`, in dottrina, tra i primi commentatori dell’art. 19, X. Xxxxxxx, in Statuto dei diritti dei lavoratori, cit.; X. Xxxxxxx, Commento allo statuto ecc., cit.; M. Grandi, Le rappresentanze sindacali aziendali, cit.; nello stesso senso, in riferimento alla nuova disciplina risultante dall’abrogazione referendaria, I. Xxxxxxx, Effetti del referendum parzialmente abrogativo dell’art. 19, L. n. 300/1970, sulle r.s.a. precedentemente costituite, MGL, 1995, p. 548; X. Xxxx, Dopo il referendum del giugno 1995, cit.; X. Xx Xxxxxxx, Flashes sulla rappresentanza sindacale in azienda dopo il referendum, DRI, 1996, pp. 29-31); Id., Questioni transitorie in tema di rappresentanza sindacale in azienda dopo il referendum, FI, 1966, I, cc. 322 ss.; X. Xxxxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, I referendum in materia sindacale ecc., RIDL, 1996, III, pp. 20-21; X. Xxxxxxx, Le rappresentanze sindacali aziendali dopo il referendum ecc., cit., pp. 31-33. In giurisprudenza, nel senso della non sufficienza della mera sottoscrizione per adesione, x. X. xxxx. 00 xxxxxx 0000 x. 000, XX, 1996, I, c. 2968, e XXXX, 1996, II, p. 447; in riferimento alla disciplina previgente Xxxx. 5 dicembre 1988 n. 6613, NGL, 1989, p. 1; in senso contrario v. pero` in precedenza Cass. 1o marzo 1986 n. 1320, FI, 1986, I, c. 652.
(72) P. Milano ord. 27 novembre 1995 n. 11263, NGL, 1995, p. 693. Nel senso della manifesta infondatezza della questione di costituzionalita` v. invece i decreti ex art. 28 St. lav. della stessa Pretura 13 novembre 1995, cit. nella nota 66, e 18 dicembre 1995, OGL, 1996, p. 829.
(73) C. cost. 12 luglio 1996 n. 244, RIDL, 1996, II, p. 447, con nota dissenziente di X. Xxxx; C. cost. 18 ottobre 1996 n. 345, ADL, 1997, p. 285; C. cost. 26 marzo 1998 n. 76, NGL, 1998, p. 521 (ord.).
(74) Cfr. in proposito gia` in precedenza il significativo obiter dictum contenuto in C. cost. 4 dicembre 1995 n. 492, FI, 1996, I, c. 5 (con nota di X. Xxxxxxx, Nuovo intervento della Corte costituzionale sulla nozione di « maggiore rappresentativita` » delle associazioni sindacali e possibili riflessi aull’art. 19 dello Statuto dei lavoratori): « in esito al referendum ... il criterio del grado di rappresentativita` continua ad avere la sua rilevanza in forza dell’... indice previsto [dall’art. 19, lett. b] ... e precisamente di quello che fa riferimento alle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unita` produttiva. Viene cosi` valorizzata l’effettivita` dell’azione sindacale desumibile dalla partecipazione alla formazione della normativa contrattuale collettiva, quale presunzione di detta ‘‘maggiore rappresentativita`’’ ».
(75) Nel senso della legittimita` costituzionale della nuova norma risultante dall’abrogazione referendaria v. anche X. Xxxxxxx, Le rappresentanze sindacali aziendali dopo il referendum ecc., cit., pp. 28-30.
(76) V. sul punto la trattazione approfondita di X. Xx Xxxxxxx, L’art. 28 dello Statuto dei lavoratori dopo l’esito referendario, FI, 1996, I, cc. 477- 480; inoltre X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, La nuova disciplina delle rappresentanze ecc., cit., p. 14; in senso parzialmente contrario sul punto specifico v. X. Xxxxxxx, Le rappresentanze sindacali aziendali dopo il referendum ecc., cit., pp. 42-43.
(77) X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, loc. cit. nella nota 76. In senso nettamente contrario v. X. Xxxxxxx, Forme di rappresentanza degli interessi organizzati ecc., cit.
(78) Proprio perche´ nulla e` cambiato da questo punto di vista, non sembra sostenibile che nella nuova formulazione della norma legislativa debba ravvisarsi l’opzione per « un modello di rapporti sindacali contrassegnato da una rappresentanza di tipo privatistico basata sul mandato degli associati », incompatibile con il modello, delineato dall’accordo interconfederale del dicembre 1993, di « una rappresentanza di tipo istituzionale » che « riconosce ai lavoratori dell’azienda il diritto di designare, attraverso una consultazione elettorale, i propri rappresentanti sulla base di liste presentate da sindacati concorrenti » (X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, op. e loc. ult. cit.; per la tesi dell’incompatibilita` dell’accordo interconfederale del dicembre 1993 con l’art. 19 nella sua formulazione originale v. supra, nota 58).
(79) Lo riconosce in modo netto anche un deciso sostenitore dell’intervento legislativo su questa materia, quale e` X. Xxxxxxxx, I referendum sindacali ecc., cit., pp. 12-13.
(80) Il testo della riforma delle rappresentanze sindacali aziendali gia` approvato dal Senato e attualmente all’esame della Camera in seconda lettura puo` leggersi in ADL, 1999, pp. 227-234. In proposito x. X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Prospettive di riforma della rappresentanza sindacale nel lavoro privato, ivi, pp. 33-51.
(81) Cfr. X. Xxxxxx, L’attivita` sindacale nell’impresa, cit. (1976), pp. 113-114. Per una concezione in parte diversa dei due istituti, ispirata a una concezione comunitaria dell’impresa, v. R. Pessi, L’assemblea nei luoghi di lavoro, Milano, 1976, dove l’assemblea e` vista come una sorta di organo necessario dell’autonomia collettiva, momento di « rifondazione democratica » del sindacato, indispensabile perche´ possa svilupparsi un « processo di identificazione tra la collettivita` dei lavoratori occupati nell’azienda e la loro struttura rappresentativa » (partic. pp. 163-164 e ivi nota 115).
(82) Cosi` X. Xxxxxx, op. ult. cit., pp. 114-116; considera invece il diritto di assemblea come espressione del diritto costituzionale di liberta` di espressione del pensiero e di riunione X. Xxxxxx (X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx), Statuto dei diritti dei lavoratori, cit. (1972), sub art. 20,
p. 349. Nel senso della legittimità costituzionale della disposizione che condiziona l’esercizio del diritto di assemblea alla convocazione da parte di una r.s.a. v. C. cost. 15 maggio 1995, n. 170, OGL, 1996, p. 860.
(83) Cfr. X. Xxxxx, X. Xxxxxx, Lo statuto dei lavoratori, cit. (1971), pp. 92-93.
(84) X. Xxxxxxx (X. Xxxx), Commento allo statuto dei diritti dei lavoratori, cit., p. 266.
(85) Cfr. X. Xxxx, Diritto del lavoro, cit. (19965), p. 181; in senso un poco piu` restrittivo v. G.C. Perone, in Commentario dello Statuto dei lavoratori, dir. da X. Xxxxxxxxxxx, cit. (1975), sub art. 20, pp. 675-676: « restano ... oggettivamente fuori materie propriamente politiche, per le quali il legame con la condizione dei lavoratori e con l’azione sindacale non puo` rilevare ». Per un’ampia rassegna di giurisprudenza su questo punto, come sulle altre questioni controverse in materia di diritto di assemblea, v. X. XXxxxx, Il diritto di assemblea, in Diritto del lavoro. Commentario. I. Le fonti. Il diritto sindacale, a cura di X. Xxxx, Xxxxxx, 0000, pp. 111-123.
(86) V. pero` X. Xxxxxx, op. ult. cit., pp. 350-352, dove si osserva che, al di la` delle dieci ore annue, la riunione non retribuita in azienda si configura come « azione diretta » legittima in quanto riconducibile al diritto di sciopero.
(87) V. recentemente Xxxx. 5 luglio 1997 n. 6080, NGL, 1997, p. 471; fra le prime in questo senso P. Torino 21 marzo 1983, GC, 1983, I, p. 2779. Nel senso, invece, della legittimità della disposizione limitativa contenuta in un contratto collettivo, x. Xxxx. 15 giugno 1994, n. 5799, RIDL, 1995, II, con nota di X. Xxxxxxxxxxx, La S.C. torna sulla questione del diritto di assemblea durante l’orario di lavoro per gli autoferrotramvieri; ivi ulteriori riferimenti.
(88) Per una trattazione organica della questione, estesa a tutta la materia dei diritti sindacali in azienda, v. F. Corso, Diritti sindacali e interesse dell’impresa, Napoli, 1986: ivi, in riferimento specifico alla regolamentazione pattizia dell’esercizio del diritto di assemblea, v. partic. pp. 106-133.
(89) In queste limitazioni sono stati ravvisati « i chiari segnali di una opzione legislativa ispirata da cautela e diffidenza nei confronti della figura del referendum e dal favore verso una sua collocazione in una dimensione riduttiva o, comunque, fortemente sindacalizzata, anche a costo di una sterilizzazione delle potenzialita` legate alla valorizzazione delle istanze emergenti dalla base »: cosi` X. Xxxxxxxx, Il referendum, in Diritto del lavoro. Commentario. I. Le fonti. Il diritto sindacale, cit., p. 124; ivi gli ulteriori riferimenti in proposito ai numerosi commentari dello Statuto.
(90) X. Xxxxxx (X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx), Statuto dei diritti dei lavoratori, cit. (1972), p. 370. In giurisprudenza, in questo senso, P. Torino 14 maggio 1988, OGL, 1988, p. 669; Cass. 28 novembre 1994 n. 10119, GC, 1995, I, p. 1265.
(91) Cfr. X. Xxxxxxxx, I permessi e le aspettative sindacali, in Diritto del lavoro. Commentario. I. Le fonti. Il diritto sindacale, cit., pp. 135-136; ivi i riferimenti giurisprudenziali in proposito.
(92) Nel senso del potere insindacabile dell’organizzazione sindacale di giustificare come « sindacali », anche ex post, le esigenze per le quali il permesso retribuito viene richiesto, v. X. Xxxxxxx, I permessi nelle vicende del rapporto di lavoro, Milano, 1984: « In sostanza, deve ritenersi che nella logica dello Statuto sia affidato alla responsabilita` delle organizzazioni sindacali anche il qualificare o riconoscere come inerenti al mandato le attivita` per le quali sia astrattamente possibile richiedere il permesso retribuito; al datore non resta che la ‘‘garanzia’’ rappresentata dalla affidabilita` dell’organizzazione stessa » (in quanto « maggiormente rappresentativa » ex art. 19 St. lav.) « ed anche (su di un piano piu` pedestre) la garanzia materiale rappresentata dal limite quantitativo delle ore retribuibili » (p. 129).
(93) Cfr. Cass. 20 novembre 1997 n. 11573, NGL, 1997, p. 693: « La disposizione dell’art. 23 ... configura, con prescrizione di carattere inderogabile, un vero e proprio diritto soggettivo, pieno e incondizionato, che esclude ogni potere discrezionale di concessione o autorizzazione del datore di lavoro in ordine alla fruizione dei permessi ..., nonche´ di ogni subordinazione dei medesimi alle compatibilita` con esigenze aziendali ».
(94) Cfr. X. Xxxxxxxx, I permessi ecc., cit., pp. 139-140; ivi ulteriori riferimenti dottrinali e giurisprudenziali in proposito.
(95) In questo senso x. xxxxxxxxxxxx X. Xxxxxx 0 maggio 1999, D&L, 1999, p. 508. Per ulteriori riferimenti dottrinali e giurisprudenziali in proposito
v. ancora X. Xxxxxxxx, op. ult. cit., p. 141.
(96) Nel senso dell’estensione del beneficio anche al membro di organo direttivo di organizzazione sindacale priva del requisito della « maggiore rappresentativita` » x. xxxxxxxxxxxx X. Xxxxxx 00 marzo 1999, D&L, 1999, p. 506.
(97) Per una rassegna analitica della dottrina e della giurisprudenza antiche e recenti sull’art. 27 St. lav. v. X. Xxxxxxxx, I locali delle r.s.a., in Diritto del lavoro. Commentario. I. Le fonti. Il diritto sindacale, cit., pp. 156-161.
(98) V. per tutte Xxxx. 23 marzo 1994, MGL, 1994, p. 325, dove si afferma tra l’altro che « la qualificazione del materiale da affiggere come inerente
... a materie di interesse sindacale e del lavoro deriva esclusivamente dalla scelta compiuta in proposito dall’organizzazione sindacale, posto che qualsiasi argomento puo` essere considerato di interesse sindacale ove il sindacato lo assuma ad oggetto della propria azione ».
(99) V. in questo senso P. Milano 22 febbraio 1991 (RIDL, 1992, II, p. 45, con nota di I. Milianti, Diritto di affissione e autotutela del datore di lavoro), che ha revocato il decreto ex art. 28 St. lav. con cui lo stesso giudice aveva precedentemente condannato la defissione come comportamento antisindacale del datore: P. Milano 9 luglio 1990, ivi, 1991, II, p. 27, con nota dissenziente di X. Xxxxxxxxx, La defissione da parte del datore di comunicati sindacali diffamatori: comportamento antisindacale o legittima difesa? Ma sembra prevalere, in giurisprudenza come in dottrina, l’orientamento contrario alla legittimità della defissione, anche in riferimento a casi di questo genere: su questo punto e sulle altre questioni sorte in materia di affissioni sindacali v. l’ampia rassegna di X. Xxxxxxxx, Il diritto di affissione, in Diritto del lavoro. Commentario. I. Le fonti. Il diritto sindacale, cit., pp. 151-156.
(100) Gia` la legge 4 giugno 1973 n. 311 aveva previsto questa modalita` di raccolta dei contributi sindacali, a carico dell’Inps, dell’Inam e dell’Inail, sottoponendola pero` all’autorizzazione del ministero del lavoro.
(101) Sulla legittimita`, conseguente al referendum del 1995, del rifiuto opposto dal datore di lavoro alla richiesta del sindacato di raccolta dei contributi mediante trattenute sulla busta paga, v. ultimamente T. Milano 12 ottobre 1999, OGL, 1999, p. 598. In dottrina v. in proposito P. Xxxxxxxxxxx, I contributi sindacali dopo il referendum, ADL, 1996, pp. 65-86; ivi anche una compiuta rassegna della dottrina e della giurisprudenza formatesi nei venticinque anni di applicazione della norma abrogata nel 1995. V. anche X. Xxxxxx, I contributi sindacali dopo la modifica referendaria dell’articolo 26 dello Statuto dei lavoratori, LPO, 1998, pp. 1879-1885.
(102) V. ancora P. Xxxxxxxxxxx, op. ult. cit., pp. 76-79.
(103) Sugli aspetti processuali della norma v. la rassegna critica di dottrina e giurisprudenza di X. Xxxxxxx, La condotta antisindacale. Aspetti processuali, in Diritto del lavoro. Commentario. I. Le fonti. Il diritto sindacale, cit., pp. 415-439.
(104) Cfr. Cass. 20 novembre 1997 n. 11573, cit. nella nota 93: « In materia di condotta antisindacale, l’intenzionalita` del comportamento del datore di lavoro e` irrilevante nel caso di comportamento contrastante con una norma imperativa ». Per gli ulteriori riferimenti giurisprudenziali sul punto v.
X. Xxxxxxxx, La condotta antisindacale. Aspetti sostanziali, in Diritto del lavoro. Commentario. I. Le fonti. Il diritto sindacale, cit., pp. 393-394, cui si rinvia anche per l’ampia rassegna critica di dottrina e giurisprudenza su tutte le altre questioni inerenti all’individuazione della nozione di
« comportamento antisindacale » (pp. 389-414).
(105) V. in questo senso X. Xxxx, Condotta antisindacale e atti discriminatori, cit. (1974), p. 83. Nello stesso senso, fra le altre, P. Roma 11 luglio 1988, RIDL, 1989, II, p. 18 con nota di X. Xxxxxxxx, Contro l’uso distorto dell’art. 28 dello Statuto; ma nel senso che non è comportamento antisindacale quello dell’imprenditore che insiste nella propria interpretazione di una clausola controversa del contratto collettivo x. X. Xxxxxx 0 ottobre 1989 e X. Xxxxx 00 dicembre 1989, RIDL, 1990, II, p. 87. Per un richiamo al rigore, contro la tendenza a una scorretta dilatazione della funzione dell’art. 28 St. lav. x. Xxxx. 00 gennaio 1990 n. 207, MGL, 1990, p. 144, con nota di X. Xxxxxxxx).
(106) Nel senso della natura essenzialmente « obbligatoria » e non « normativa » di questi accordi v. X. Xxxxxxxxxx, Ordinamento comunitario e autonomia collettiva. Il dialogo sociale, Milano, 1992, pp. 129-178 e partic. p. 140; X. Xxxxxxxx, X. Xxxx, Diritto del lavoro della Comunita` europea, Xxxxxx, 00000, pp. 378-381.
(107) Secondo i dati disponibili, le imprese o gruppi di imprese europei rispondenti a questi requisiti posti dalla direttiva erano nel 1995 circa 1200: v.
M.P. Xxxx, X. Xxxx, X. Xxxxxxxxx, op. cit. nella nota seg., p. 240.
(108) Sulla valorizzazione dell’autonomia collettiva da parte della direttiva n. 45/1994 v. M.P. Xxxx, X. Xxxx, X. Xxxxxxxxx, I comitati aziendali europei. L’attuazione della direttiva 94/45 CE nell’ordinamento italiano, in Contratto e impresa. Europa, a cura di X. Xxxxxxx, X. Xxx, Padova, 1999, pp. 209-212. Secondo i dati disponibili risalenti al 1998, gli accordi stipulati in attuazione di questa disposizione comunitaria erano circa 400 (op. ult. cit., p. 240). Xxx` in generale, per un’analisi rigorosa dei contenuti della direttiva, svolta anche alla luce dei lavori preparatori e degli orientamenti interpretativi della Commisisone, v. X. Xxxxxxxxx, European Works Councils. A legal and practical guide, Londra, Sweet & Xxxxxxx, 1996; ivi, in appendice, i testi degli accordi interconfederali belga e norvegese e di un disegno di legge tedesco per l’attuazione della direttiva.
(109) Per un panorama comparatistico delle modalita` di attuazione della direttiva v. European Works Councils. A legal analysis of the European Works Council: towards a revision of Directive (EC) no 94/95?, a cura di X. Xxxxxx e X. Dorssemont, Antwerpen-Groningen, 1999 (ivi una rassegna delle forme di attuazione della direttiva in Belgio, Francia, Germania e Paesi Bassi); X. Xxxxxxx, L’attuazione della direttiva sui comitati aziendali in Francia, Italia e Spagna: Unione europea e Stati nazionali dinanzi alle conseguenze negative della « globalizzazione », ne L’attuazione della Direttiva sui Comitati aziendali europei. Un’analisi comparata, a cura dello stesso XXxxxxx, Napoli, 1998, pp. 7-19.
(110) V. in tal senso, gia` prima della stipulazione dell’accordo del novembre 1996, X. Xxxxxxx, Oltre la partecipazione dei lavoratori nelle imprese. I consigli aziendali europei, in Scritti in onore di Xxxxxxx Xxxxxxxxx, vol. V, Napoli, 1997, partic. pp. 402-405 (gia` in AA.VV., Informazione e consultazione dei lavoratori nelle imprese bancarie europee, Suppl. NGL, 1995). Sui problemi di coordinamento fra la normativa comunitaria e la nostra disciplina interna delle rappresentanze sindacali v. X. Xxxxxxxxxxx, R.S.A., R.S.U. e CAE: modelli a confronto, ADL, 1996, pp. 169-187. Sui contenuti dell’accordo del 1996 X. Xxxxxxx, I Comitati aziendali europei e le procedure di informazione e consultazione nelle imprese europee: la direttiva 94/45 CE e la sua attuazione in Italia, ne L’attuazione della Direttiva sui Comitati aziendali europei, cit., partic. pp. 41-51.
(111) X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, voce Autonomia collettiva, Enc. dir., IV, 1959, pp. 369-374.
(112) Sulle quali x. xxxx 00 xx § 00.
(113) X. Xxxxxx, La responsabilita` contrattuale delle associazioni sindacali. La parte obbligatoria del contratto collettivo, Milano, 1963. Per la tesi secondo cui il contratto contenente soltanto clausole attinenti alla parte obbligatoria, ma non clausole destinate a disciplinare i rapporti individuali di lavoro, non sarebbe qualificabile come contratto collettivo, v. X. Xxxxxxx, Contenuto del contratto collettivo di lavoro, in Nuovo trattato di diritto del lavoro dir. da X. Xxxx Xxxxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, vol. I (1971), cit., pp. 297-299.
(114) Cfr. § 50 e ivi partic. nota 14. La convenzione da` attuazione al « diritto di contrattazione collettiva » inserito nella Costituzione dell’O.I.L. con la Dichiarazione di Filadelfia del 10 maggio 1944, parte III, lett. e (cfr. nota 15).
(115) Ratificata dall’Italia con L. 13 luglio 1966 n. 657.
(116) Cfr. § 50 e ivi partic. nota 22.
(117) Cfr. § 50 e ivi partic. nota 23.
(118) Sul presumibile motivo della mancata ratifica da parte dell’Italia v. infra in questo paragrafo. Sui lavori preparatori della convenzione, e in particolare sul dibattito in seno all’O.I.L. circa i limiti entro i quali deve essere ammesso l’intervento autoritativo dello Stato per la limitazione dell’autonomia collettiva in funzione di interessi generali, v. X. Xxxxxx, International Labour Law, cit., pp. 95-101.
(119) V. in proposito X. Xxxxxxxxxx, Ordinamento comunitario e autonomia collettiva, Milano, 1992; X. Xxxxxxx in AA.VV., Il dialogo fra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale del lavoro, Milano, 1994, pp. 67-109; Ead., Collective Agreements in the Hierarchy of European Community Sources, in AA.VV., European Community Labour Law: Principles and Perspectives, Xxxxxx, Xxxxxxxxx, 0000, pp. 189-212; J.A. Tovar, Contrattazione collettiva e fonti comunitarie, in Dizionario di Diritto del Lavoro Comunitario, Bologna, 1996, pp. 173-193; G.G. Balandi, La direttiva comunitaria sul distacco dei lavoratori: un passo in avanti verso il diritto comunitario del lavoro, in AA.VV., I contratti di lavoro internazionali, QDLRI, n. 20, 1998, partic. pp. 131-140 (ivi alcune considerazioni assai suggestive sulla situazione e le prospettive di sviluppo del diritto comunitario in questo campo); e ultimamente A. Lo Faro, Funzioni e finzioni della contrattazione collettiva comunitaria. La contrattazione collettiva come risorsa dell’ordinamento giuridico comunitario, Milano, 1999, dove a questo proposito si sottolinea la differenza della nozione e ruolo della contrattazione collettiva nell’ordinamento comunitario e in quello nazionale.
(120) La norma prosegue disponendo che « in tal caso [lo Stato] si assicura che, al piu` tardi alla data in cui una direttiva deve essere recepita a norma dell’articolo 249, le parti sociali abbiano stabilito mediante accordo le necessarie disposizioni, fermo restando che lo Stato membro interessato deve prendere le misure necessarie che gli permettano di garantire in qualsiasi momento i risultati imposti da detta direttiva ».
(121) Il 4o comma dell’art. 138, sostitutivo del vecchio art. 118A del Trattato, prevede a tal fine una sospensione, della durata massima di nove mesi prorogabile mediante accordo fra le parti sociali e la Commissione, dell’iniziativa normativa della Commissione stessa.
(122) X. Xxxxxxx, in AA.VV., Il dialogo fra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale del lavoro, cit., p. 81; v. anche Ead., Collective Agreements ecc., cit., partic. pp. 196-202. Sui problemi dell’efficacia soggettiva e di quella oggettiva del contratto collettivo europeo v. X. Xxxxxxx, Contratti collettivi internazionali e contratti collettivi comunitari, in AA.VV., I contratti di lavoro internazionali, cit., partic. pp. 170-178.
(123) Sui problemi di questa « recezione » v. X. Xxxxxxxx, X. Xxxx, Diritto del lavoro della Comunita` Xxxxxxx, Xxxxxx, 00000, pp. 387-389; J.A. Tovar, Contrattazione collettiva e fonti comunitarie, cit., pp. 188-190.
(124) Parla in proposito di « riconoscimento di un sistema di produzione di norme di origine extra-istituzionale » X. Xxxxxxxxxx, Ordinamento comunitario e autonomia collettiva, cit., p. 53. V. anche X. Xxxxxx, Ampliamento dell’Unione Europea e politica sociale: competenze comunitarie e contratto collettivo europeo, RGL, 1994, I, pp. 1-47; X. Xxxxxxxx, X. Xxxx, Diritto del lavoro della Comunita` Europea, cit., pp. 381-392; J.A. Tovar, Contrattazione collettiva e fonti comunitarie, cit., pp. 181-193.
(125) Cause Albany (C-67/96), Brentjens’ (C-115-116-117/97) e Maatschappij (C-219/97), nelle quali e` stato portato all’esame della Corte di Giustizia il problema della compatibilita` dell’estensione erga omnes degli effetti di un contratto collettivo con la tutela della liberta` di concorrenza e il divieto di abuso di posizione dominante di cui agli artt. 85, 86 e 90 (ora artt. 81, 82 e 86) del Trattato. L’Avvocato Generale Xxxxxx, nelle sue conclusioni relative a questi tre procedimenti rassegnate il 28 gennaio 1999, attraverso una lunga — e, invero, poco appagante — dissertazione (§§ 109-194), giunge ad affermare che: l’ordinamento comunitario non prevede un’eccezione alla disciplina generale della concorrenza in favore della contrattazione collettiva in materia di lavoro (§ 160); e` tuttavia ravvisabile nell’ordinamento comunitario un generico favor nei confronti del metodo della contrattazione collettiva per la regolamentazione dei rapporti di lavoro (§§ 181-183); l’esigenza di attribuzione di effetti vincolanti al contratto collettivo deve dunque essere ragionevolmente contemperata con la tutela generale della liberta` di concorrenza (§§ 190-194).
(126) Xxxxx xx Xxxxxxxxx 00 settembre 1999 nella causa Albany, n. C-67/96, in corso di pubblicazione in RIDL, 2000, II, fasc. n. 2, con una ampia nota di X. Xxxxxxx, Il rapporto problematico tra diritto della concorrenza e autonomia collettiva nell’ordinamento comunitario e nazionale; la citazione e` tratta dal § 60 della motivazione. La sentenza offre lo spunto per l’intervento di X. Xx Xxx, Considerazioni sull’applicabilità delle disposizioni antitrust alla contrattazione collettiva, in corso di pubblicazione in MCR, 2000, dove la questione è trattata anche alla luce della giurisprudenza statunitense.
(127) Un caso di questo genere potrebbe ravvisarsi in un contratto collettivo nazionale che, in funzione della tutela dei lavoratori contro il rischio di licenziamento per obsolescenza professionale, limitasse od ostacolasse l’introduzione di nuove tecnologie produttive, o imponesse il mantenimento di un determinato rapporto minimo fra numero dei lavoratori impiegati e fatturato aziendale. Si avvicina pericolosamente a questa ipotesi il contratto collettivo per il settore delle pulizie e disinfezione 24 ottobre 1997, che impone, nel caso di subentro di un’impresa a un’altra in un appalto, l’assorbimento dei dipendenti della seconda da parte della prima. Qualche cosa di molto simile è previsto dal D.Lgs. 13 gennaio 1999 n. 18 — imperfettamente attuativo della Direttiva 15 ottobre 1996 n. 67 sui servizi aeroportuali — a norma del quale (art. 14, 2o c.) « ogni trasferimento di attività concernente una o più categorie di servizi di assistenza a terra... comporta il passaggio del personale, individuato dai soggetti interessati d’intesa con le organizzazioni sindacali dei lavoratori, dal precedente gestore... al soggetto subentrante »; la Commissione ha già aperto contro l’Italia la procedura di infrazione della discipilna della concorrenza in riferimento a questa disposizione.
(128) Sulla genesi della norma costituzionale, soluzione mediana fra proposte tendenti a una drastica liberalizzazione del sistema delle relazioni sindacali e proposte di pura e semplice democratizzazione del modello corporativo del sindacato unico di diritto pubblico, v. X. Xxxx, Problemi costituzionali del diritto sindacale italiano, Milano, 1960, pp. 19-141. V. in proposito anche, tra le numerose ricostruzioni storico-critiche della vicenda legislativa, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxx, I sindacati in Italia dal ’45 a oggi: storia di una strategia, Bologna, 1977, pp. 18-43; ultimamente X. Xxxx, Perche´ la nostra Costituzione puo` a ragione definirsi sociale e come fu che i costituenti diedero vita, approvando l’articolo 39, a un vero e proprio « mostro » giuridico e culturale, in AA.VV., Il contributo del mondo del lavoro e del sindacato alla Repubblica e alla Costituzione, Roma, 1998, pp. 87-94.
(129) V. soprattutto X. Xxxx, op. e loc. ult. cit.; X. Xxxxxxx, Liberta` sindacale e contratto collettivo « erga omnes », RTDPC, 1963, pp. 570 ss., nonche´ nella raccolta di saggi dello stesso X., Costituzione e movimento operaio, Bologna, 1976, pp. 133-162; X. Xxxxxx, nel Commentario della Costituzione a cura di X. Xxxxxx, sub art. 39, Bologna-Roma, 1979, pp. 257-260: ivi ulteriori riferimenti.
(130) Scriveva infatti X. Xxxx (che pure e` stato fra gli Autori piu` aperti alla prospettiva dell’attuazione del meccanismo previsto dall’art. 39): « se si ritiene, com’e` sotto un certo aspetto vero, che la liberta` di autodeterminazione della sfera di interesse da parte del sindacato liberamente costituitosi sia il primo, essenziale aspetto della liberta` sindacale, ... allora il problema e` automaticamente chiuso e si puo` mettere fine alla disputa, dichiarando onestamente che non solo l’art. 39 e` inapplicabile, ma che nemmeno un qualsiasi altro sistema di contrattazione collettiva generalmente obbligatoria e` possibile in via alternativa » (op ult. cit, p. 145); e infatti proprio a questa conclusione arriva, facendone propria appieno la premessa, X. Xxxxxxx nella sua notissima prolusione bolognese citata nella nota precedente. Sulla contraddizione fra le nozioni di « categoria sindacale » desumibili rispettivamente dal 1o comma dell’art. 39 (come interpretato unanimemente dalla dottrina giussindacalistica italiana) e dal 4o comma, v. anche X. Xxxxxxx, Teorie e ideologie nel diritto sindacale. L’esperienza italiana dopo la Costituzione, Milano, 1967, pp. 105-106.
(131) V. soprattutto X. Xxxxxxx, Liberta` sindacale e contratto collettivo « erga omnes », cit. partic. pp. 582-583; X. Xxxxxxxxx, Il contratto collettivo di impresa, Milano, 1963, pp. 41-42; X. Xxxxxx e altri, Categoria contrattuale e categoria sindacale. I vari livelli di contrattazione, in AA.VV., La categoria e la contrattazione collettiva. Aspetti giuridici della problematica contrattuale, Milano, 1964, pp. 159-190; X. Xxxxxx, I soggetti del contratto collettivo di impresa, RDL, 1964, p. 111. Sull’intera vicenda dottrinale v. X. Xxxx, Teorie e ideologie nel diritto sindacale (a proposito di un recente libro), RTDPC, 1968, pp. 1652-1654. V. pero` piu` recentemente X. Xxxxx, Questioni sulla contrattazione collettiva. Legittimazione, efficacia, dissenso, Milano, 1994, pp. 69-73, dove l’A. sostiene che anche il riferimento alla « categoria » contenuto nell’ultimo comma dell’art. 39 avrebbe potuto essere interpretato nel senso che l’individuazione della nozione e dei confini della categoria contrattuale fosse, comunque, demandata alle libere determinazioni dell’autonomia collettiva. Sulla disciplina del contratto collettivo nell’ordinamento corporativo v. gli scritti dell’epoca citati nella nota 13 al § 50. Sul ruolo del contratto collettivo corporativo nel sistema delle fonti oggi vigente v. X. Xxxxxxx, Funzione del contratto collettivo,
in Nuovo trattato di diritto del lavoro dir. da X. Xxxx Xxxxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, vol. I, cit., pp. 218-225; X. Xxxxxxxxxx, Delle fonti del diritto, nel
Commentario del codice civile a cura di X. Xxxxxxxx x X. Xxxxxx, Xxxxxxx-Xxxx, 0000, pp. 337-346.
(132) La dottrina e` da tempo ferma nell’escludere che la norma si riferisca soltanto ai contratti collettivi corporativi o a quelli stipulati secondo il regime di cui all’art. 39 Cost.: v. X. Xxxxxxxxx, I contratti di lavoro agli effetti della legge sull’avviamento dei lavoratori disoccupati, RDL, 1956, I, pp. 112-121; G.G. Xxxxxxx, Le « clausole a favore dei lavoratori » e l’estensione dell’applicazione del contratto collettivo, RTDPC, 1973, pp. 700- 701. La dottrina prevalente ritiene che la norma si riferisca soltanto ai contratti collettivi « in quanto applicabili per efficacia propria » e non possa quindi essere assunta come fondamento di un’estensione erga omnes di tale efficacia: cosi` X. Xxxx, Fondamento ed efficacia del contratto collettivo di diritto comune, in Scritti in onore di Xxxxx Xxxxxxxxxxx, V, Padova, 1958, p. 135; X. Xxxx Xxxxxx, Istituzioni di legislazione sociale, Milano, 197912, pp. 152-153; G.G. Xxxxxxx, op. cit., pp. 702-703, il quale tuttavia ritiene che il trattamento minimo fissato dal contratto collettivo debba essere considerato come standard « al di sotto del quale un ufficio pubblico com’e` quello di collocamento deve rifiutarsi di procedere all’avviamento ».
(133) X. xxx` ampiamente in proposito il paragrafo seguente.
(134) V. in proposito, oltre ai numerosi commentari dello Statuto, G.G. Xxxxxxx, Le clausole a favore dei lavoratori e l’estensione dell’applicazione del contratto collettivo, cit., pp. 698 ss.; ivi ulteriori riferimenti. La Corte costituzionale e` intervenuta recentemente a integrare il contenuto dell’art. 36 St. lav. con la previsione dell’inserimento obbligatorio in tutti gli atti di concessione di servizi pubblici della clausola che obbliga il concessionario ad « applicare o far applicare ai propri dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona » (sent. 19 giugno 1998 n. 226, OGL, 1999, p. 857); v. in proposito anche la sentenza della Corte di cassazione 23 aprile 1999 n. 4070, NGL, 1999, p. 495, OGL, 1999, p. 309, e XXXX, 2000, II, p. 24, con nota di M.T. Xxxxxxx, Sull’art. 36 St. lav.: la « clausola sociale » e la concessione di pubblico servizio.
(135) Le Sezioni unite hanno ultimamente precisato in proposito che il vincolo riguarda soltanto la parte della disciplina relativa ai livelli retributivi, ma non quella relativa ai c.d. « trattamenti normativi » (come ad esempio la materia del periodo di comporto per malattia, dei permessi o del preavviso di recesso): Xxxx. S.U. 21 luglio 1999 n. 486, OGL, 1999, p. 799.
(136) La Corte costituzionale, investita della questione di legittimita` dell’art. 11/c della legge del 1955 sull’apprendistato, sollevata in relazione all’art. 39 Cost., la ha ritenuta infondata, affermando che la disposizione deve interndersi riferita soltanto ai contratti collettivi in quanto applicabili per efficacia propria: sent. 26 gennaio 1957 n. 10, RGL, 1957, II, p. 1.
(137) Un discorso a parte merita il riferimento alla contrattazione collettiva contenuto nell’art. 5 della stessa L. n. 863/1984 in materia di disciplina del lavoro a tempo parziale, poiche´ si dubita della appartenenza delle pattuizioni collettive qui menzionate alla parte normativa del contratto: rinvio in proposito alla parte del secondo volume nella quale la materia sara` trattata.
(138) V. in proposito, anche per i riferimenti alla vicenda giurisprudenziale e al dibattito dottrinale precedente in argomento, X. Xxxxxxx, Il contratto collettivo nell’ordinamento giuridico italiano, in AA.VV., La contrattazione collettiva: crisi e prospettive, Milano, 1976, pp. 31-35; ora anche in Diritto e valori, Bologna, 1985, pp. 270-273.
(139) Cosi` X. Xxxxxxxx, Autonomia pubblica e privata, in Scritti vari di diritto pubblico, Milano, 1955, p. 392; in senso contrario, tra i primi, X. Xxxxxxx, Principi di diritto sindacale nel sistema della Costituzione formale, Milano, 1962, partic. pp. 298-315.
(140) V. soprattutto X. Xxxxxxx, I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, RDComm, 1904, ora anche in Scritti giuridici. IV. Scritti di diritto del lavoro, Milano, 1948, pp. 3-54 e partic. 26-28; sulla cui costruzione giuridica v. X. Xxxxxxx, Il contratto collettivo ecc., cit., pp. 15-27. Agli inizi del secolo un’altra parte della dottrina aveva tentato di spiegare l’efficacia del contratto collettivo ricorrendo alla categoria dogmatica del contratto a favore di terzi: v. X. Xxxxxxxxxx, Sui contratti di tariffa, RDComm, 1906, I, pp. 277-283 e partic. 279-280.
(141) Per la teoria del mandato rappresentativo irrevocabile come fondamento dell’efficacia del contratto collettivo di lavoro v. soprattutto X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Inderogabilita` dei contratti collettivi di diritto comune, DG, 1950, pp. 299 ss.; voce Autonomia collettiva (1959), cit.; Autonomia collettiva, giurisdizione, diritto di sciopero, ora in Saggi di diritto civile, I, Napoli, 1961, pp. 177 ss.; Norme corporative, autonomia collettiva, autonomia individuale, DE, 1958, pp. 1187 ss.; X. Xxxxxxx, Funzione del contratto collettivo, cit.: « coloro che non partecipano alla coalizione, i non iscritti al sindacato che non abbiano neppure conferito a questo una speciale procura, sono giuridicamente terzi rispetto al contratto collettivo. Essi possono percio` legittimamente ignorarne le norme. Per essi il contratto collettivo e` res inter alios acta, cosa che non li riguarda » (p. 217). Altri Autori hanno spiegato l’efficacia dei contratti collettivi come conseguenza dell’« autolimitazione dei poteri dei singoli appartenenti al gruppo » sindacale e di « un processo di fusione delle autonomie singole nell’autonomia collettiva »: cosi` X. Xxxxxxx, Il « favor » verso il prestatore di lavoro subordinato, Milano, 1966, p. 147; una costruzione analoga in X. Xxxxxxxxxx, Adesione al sindacato e prevalenza del contratto collettivo sul contratto individuale di lavoro, RTDPC, 1966, pp. 562-571; aderisce a quest’ultima costruzione X. Xxxxxxxxx, Le clausole di decadenza dei contratti collettivi, Padova, 1974, pp. 98-99. Mandato rappresentativo irrevocabile o « autolimitazione » insita nell’atto di associarsi, la sostanza del procedimento logico comunque non cambia: in entrambe le costruzioni l’efficacia del contratto collettivo viene fondata su di un atto di autonomia individuale avente per oggetto un conferimento di potere all’associazione sindacale. Sui possibili meccanismi della recezione tacita o esplicita del contenuto del contratto collettivo da parte del contratto individuale v. soprattutto X. Xxxx, Il problema della recezione del contratto collettivo da parte dei non soci, DL, 1957, II, p. 205; Id., L’efficacia soggettiva del contratto collettivo, in AA.VV., Il contratto collettivo di lavoro, Milano, 1968, partic. pp. 66-69; Id., L’efficacia del contratto collettivo, in Nuovo trattato di diritto del lavoro dir. da X. Xxxx Xxxxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, vol. I (1971), cit., pp. 312-321.
(142) X. Xxxxxx, Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Milano, 1960.
(143) Per la manifestazione piu` importante di questa apertura x. §§ 00 x 00-00.
(144) Cfr. X. Xxxxxxxxxx, Risoluzione e recesso nel contratto collettivo di lavoro, in Recesso e risoluzione nei contratti, a cura di X. Xx Xxxx, Xxxxxx, 0000, pp. 1089-1146: « Alla stregua del diritto positivo, la teoria dell’ordinamento intersindacale, nata con il proposito di superare le zone d’ombra della metodologia civilistica, finira` ... per riconfermare dal punto di vista interno all’ordinamento giuridico statuale la centralita` della soluzione privatistica, limitandosi a operare — nella relativita` e variabilita` storica dell’interpretazione giuridica — quale fattore di rinnovamento di quest’ultima » (p. 1091).
(145) Una delega legislativa aperta anche alla recezione dei contenuti della contrattazione collettiva futura si sarebbe infatti posta in contrasto con l’art. 76 Cost., che impone la delimitazione temporale della delega e una definizione sufficientemente precisa del suo oggetto.
(146) Sul significato che assume qui il termine « categoria » x. xxxx 000 xx § 00.
(147) C. cost.19 dicembre 1962 n. 106, RGL, 1962, II, p. 624, nonche´ 1963, II, p. 10, con nota di X. Xx Xxxxxxxxx, Il concetto di « transitorieta` » nella legge 14 luglio 1959 n. 741. Sul significato e la portata attuale di questa sentenza v. ultimamente M. D’Antona, Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione oggi, DLRI, 1999, pp. 665-698.
(148) V., fra le altre, C. cost. 13 luglio 0000 x. 000, XXX, 0000, XX, x. 000; C. cost. 6 luglio 1965 n. 56, RDL, 1966, II, p. 318.
(149) Identita` in virtù della quale l’eventuale nullita` di una clausola del contratto collettivo per contrasto con norma imperativa di legge fa si che detta clausola debba considerarsi automaticamente espunta dal decreto legislativo, e pertanto senz’altro disapplicata dal giudice ordinario: x. xxx xxxxx X. xxxx. 00 dicembre 1962 n. 107, RGL 1962, II, p. 625.
(150) X. Xxxxxxx xxxxx Xxxxx, Rappresentanza sindacale e mandato nel contratto collettivo, RTDPC, 1964, pp. 901 ss.; X. Xxxxxxx, Trattato di diritto del lavoro, vol. I, Torino, 1965, partic. pp. 426-427. In precedenza B. Balletti (Contributo alla teoria della autonomia sindacale, Milano, 1963), pur collocandosi in questa linea di pensiero, dedicava prevalentemente la propria attenzione alla contrattazione collettiva nel regime previsto dall’art. 39 Cost.
(151) V. un accenno divertito alla complessita` e insolubilita` di quei problemi in X. Xxxx Xxxxxx, Labour and the Law, London, 1972, p. 72.
(152) X. Xxxxxxxx, Saggio sull’autonomia privata collettiva, cit. (un’anticipazione parziale dell’opera era gia` stata pubblicata nel 1967); X. Xxxxxxxxxxxx, Autonomia sindacale ed efficacia del contratto collettivo di lavoro, RDC, 1971, pp. 140-166.
(153) X. Xxxxxxxx, op. cit., pp. 158-159; X. Xxxxxxxxxxxx, op. cit., pp. 162-163.
(154) Essendo in questo entrambe tributarie della dottrina di X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx (opp. citt. nella nota 141), al quale in particolare e` significativamente dedicato il saggio di X. Xxxxxxxxxxxx.
(155) X. Xxxxxxxxxxxx, op. cit., partic. pp. 160-162.
(156) X. Xxxxxxxx, op. cit., pp. 104-124: « si deve ritenere che il soggetto collettivo non sia che un nome, e cioe` un simbolo, la cui funzione si esaurisce e il cui significato si risolve nella designazione di una serie di rapporti interindividuali, aventi disciplina e contenuti particolari » (pp. 109- 110).
(157) X. Xxxxxxxxxxxx, op. cit., p. 160.
(158) X. Xxxxxxxx, op. cit., p. 59.
(159) Su questo punto v. in séguito X. Xxxxxxx, Legge e autonomia collettiva, MGL, 1980, pp. 692-698, ora anche nella raccolta di scritti dello stesso A, Diritto e valori, cit., pp. 287-306 e ivi particolarmente 288-292, dove si sottolinea come la difficolta` che si presenta nell’ordinamento tedesco, nel quale al contratto e` riconosciuta soltanto la capacita` di produrre obbligazioni fra le parti, non si presenti nell’ordinamento italiano, nel quale al contratto e` riconosciuta l’idoneita` a produrre anche « effetti dispositivi in senso stretto, cioe` immediatamente modificativi di situazioni di diritto o di potere senza il medium di un’obbligazione (cosiddetti effetti reali) ».
(160) Cfr. X. Xxxxxxxxxxxx, op. ult. cit.: « in tale ordine di idee si rivela dunque fuorviante e inadeguata l’alternativa, che si propone normalmente, tra l’efficacia obbligatoria e quella normativa (reale), per quanto attiene alla incidenza del contratto collettivo sulla disciplina del rapporto di lavoro; la quale si realizza invece, in linea diretta ed immediata, perche´ questa proprio e` la materia e la sfera di azione della autonomia collettiva sindacale » (pp. 162-163).
(161) V. pero` X. Xxxxx, Questioni sulla contrattazione collettiva, cit. (1994), il quale, ponendosi in una linea di argomentazione non dissimile da quella proposta alcuni anni prima da X. Xxxxxxxxxxx (op. cit. nella nota 163), propone di ricollocare il contratto collettivo tra le fonti del diritto oggettivo (tra le quali esso dovrebbe essere annoverato per effetto delle numerose leggi che allo stesso fanno riferimento come fonte di disciplina del rapporto individuale), considerandolo pero` alla stregua di fonte-fatto — al pari della consuetudine — e non alla stregua di fonte-atto.
(162) V. in questo senso, nella dottrina degli ultimi due decenni, soprattutto X. Xxxxxxx, Ordinamento, ruolo del sindacato, dinamica contrattuale di tutela, Padova, 1981; X. Xxxx, op. cit. nella nota 165. L’intreccio fra legge e contrattazione collettiva nella disciplina dei rapporti di lavoro, con la conseguente tendenziale estensione del campo di applicazione della disciplina negoziata in sede sindacale, e` sottolineato e studiato attentamente anche da X. Xxxxxxxx, Le fonti del diritto del lavoro, Torino, 1988, pp. 89-107, e La contrattazione collettiva, Bologna, 1985, partic. pp. 301-464; ma lo stesso A. ammonisce che « la contrattazione ... per quante virtu` ‘‘normative’’ ad essa vogliano attribuirsi, resta un fenomeno tipicamente ‘‘volontario’’, che trae cioe` la sua conclusiva legittimazione dalla diffusa e, per cosi` dire, spontanea adesione ai regolamenti da essa disposti da parte dei soggetti interessati ...: ove venga meno, oltre una certa soglia, l’adesione sociale agli assetti collettivi, la contrattazione inevitabilmente si svuota, poiche´ non esistono rimedi giuridici che possano surrogarne la perdita di effettivita` Percio` solo una certa miopia ricostruttiva puo` indurre ad
applicare alla contrattazione schemi analitici che, pur mossi dalla buona intenzione di rafforzarne le capacita` normative, finiscono con l’assegnare all’atto negoziale gli attributi dell’etero-comando: xxxx`, per salvare la contrattazione dalla situazione critica in cui essa e` venuta a trovarsi nel periodo della recessione, si rischia di snaturarla, consegnandola al sistema delle fonti di diritto con l’attribuzione di una autorita` derivata, e quindi inautentica » (op. ult. cit., p. 176). Gli « attributi dell’etero-comando » sembrano tuttavia ricomparire nel disegno proposto da M. D’Xxxxxx, Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione, oggi, cit. nella nota 147: « la funzione che la contrattazione collettiva assolve nella costituzione economico- sociale prevale sulle forme vincolate del quarto comma, ogni volta che il legislatore si imbatta in ‘‘materie del rapporto di lavoro che esigono
uniformita` di disciplina in funzione di interessi generali’’ (come il mercato del lavoro) » o si proponga di conformare i poteri di gestione dei datori di lavoro a criteri socialmente adeguati (p. 687).
(163) V. in questo senso, nella dottrina degli ultimi due decenni, X. Xxxxxxx, Contributo allo studio della contrattazione collettiva nell’ordinamento giuridico italiano, Milano, 1986; Id., Individuale e collettivo nel contratto di lavoro, cit. (1993); X. Xxxxxxxxxxx, L’efficacia dei contratti collettivi nel pluralismo sindacale, Milano, 1988 (dove l’A. ammette che il contratto collettivo possa divenire fonte di diritto oggettivo di applicazione generale, per effetto del rinvio operato dalla legge, ma soltanto in funzione della tutela di interessi generali quali quelli fondamentali della persona o l’ordine pubblico economico: al di fuori di queste materie, l’efficacia del contratto collettivo sul rapporto individuale sarebbe effetto soltanto del rinvio ad esso operato dal contratto individuale); X. Xxxxxxxxx, Lavoratore subordinato e autotutela collettiva, cit. (sul quale v. § 49 e ivi note 8 e 9); X. Xxxxxxxxxx, Risoluzione e recesso nel contratto collettivo di lavoro, cit. (1994); X. Xxxxx, Autonomia contrattuale e contratto collettivo di lavoro, Torino, 1996, dove l’A. sostiene che « l’efficacia normativa [del contratto collettivo] non e` oggetto di garanzia costituzionale, ma di possibile promozione
legislativa, che incontra [un limite] nella garanzia costituzionale della liberta` di organizzazione sindacale (p. 37).
(164) V. per tutti in proposito X. Xxxxxxx, Il contratto collettivo nell’ordinamento giuridico italiano, in Diritto e valori, cit., partic. pp. 272-273. L’affermazione e` tuttavia in qualche modo attenuata da X. Xxxxxxxxxx, Delle fonti del diritto, cit., che parla del contratto collettivo come di una fonte di diritto extra ordinem (partic. p. 350); l’espressione e` ripresa da M. D’Xxxxxx, Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione, oggi, cit. nella nota 147, pp. 686-687.
(165) Anche sul terreno processuale, pero`, la doppia natura del contratto collettivo si manifesta nell’art. 425, 4o c., c.p.c., che prevede la possibilita` per il giudice del lavoro di acquisire d’ufficio agli atti del giudizio, facendone richiesta alle associazioni sindacali firmatarie, « il testo dei contratti e accordi collettivi di lavoro, anche aziendali, da applicare nella causa ». V. in proposito anche, sul piano dello ius condendum, la proposta di riforma della materia di X. Xxxx (negli atti della giornata di studio a essa dedicata, Per una disciplina legislativa del contratto collettivo, Torino, Un. Industriale, 1986, pp. 7-9), che all’art. 13 prevede la denunciabilita` mediante ricorso alla Corte di cassazione della violazione o falsa applicazione
« degli accordi e dei contratti collettivi, con esclusione degli accordi o dei contratti di gruppo o aziendali ».
(166) Un discorso a parte è quello che riguarda i rapporti di lavoro nell’amministrazione pubblica, per i quali la materia e` oggetto di disciplina speciale: v. in proposito infra, nota 174.
(167) V. pero` M. D’Antona, Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione oggi, cit., il quale osserva come « la Corte costituzionale sembri aver progressivamente attenuato il rigore della sentenza del 1962, a misura che il sistema contrattuale autonomo e autolegittimato si andava istituzionalizzando al di fuori delle forme vincolate dell’art. 39 e che la legislazione ne assecondava gli svolgimenti materiali attraverso il sostegno selettivo ai suoi attori sindacali prima, e attraverso il riconoscimento legale dei contratti collettivi, successivamente »: non e` precluso al legislatore
« (delegare) alla contrattazione collettiva funzioni di produzione normativa con efficacia generale, configurandola come fonte di diritto extra
ordinem » (p. 687).
(168) Xxxxx contrapposizione fra il modello insider/outsider e il modello fondato sull’ipotesi dell’« interesse condiviso », per l’interpretazione della funzione effettiva della coalizione e del xxxxxxxxx xxxxxxxxxx, x. § 0.
(169) Cosi` X. Xxxx, Condotta antisindacale e atti discriminatori, cit. (1974), pp. 164-170, col quale concorda X. Xxxxxxx, Ordinamento, ruolo del sindacato, ecc., cit., pp. 274-275.
(170) V. pero` ultimamente X. Xxxxxxxxx, Liberta` e pluralismo sindacale, cit., secondo la quale il dissenso sindacale, per assumere rilievo sul piano giuridico, deve « organizzarsi ». In precedenza v. invece X. Xxxxxxxx, Il problema del contratto collettivo: il dissenso, GI, 1987, IV, cc. 65-90, partic.
§ 13: « I non aderenti ad alcun gruppo, neppure minoritario, o gli aderenti a un gruppo che non abbia rifiutato espressamente il contratto degli ‘‘altri’’
... per mantenere il dissenso dovranno rifiutare espressamente uno per uno il contratto indesiderato ».
(171) Cosi` X. Xxxx, Diritto del lavoro, Xxxxxx, 00000, pp. 145-147 (ma questa tesi risale alla terza edizione del manuale, del 1988), dove e` citato a questo proposito il mio Funzione ed efficacia del contratto collettivo nell’attuale sistema delle relazioni sindacali e nell’ordinamento statale, RGL, 1975, I, pp. 457-496. Per argomentazioni e conclusioni analoghe v. anche X. Xxxx, in Commentario della Costituzione a cura di X. Xxxxxx, cit. (1979), sub art. 36, pp. 87-89, e X. Xxxxxxx, op. ult. cit., pp. 276-278.
(172) Tra gli autori che hanno affrontato recentemente la questione, X. Xxxxx (Questioni sulla contrattazione collettiva, cit.) considera la tesi di X.
Xxxx come direttiva utile « per l’applicazione giurisprudenziale, ove ... la procedura di stipulazione del contratto collettivo si riavvicini, almeno sostanzialmente, al modello prefigurato dal legislatore costituente » (pp. 145-146, nt. 109); l’A. resta, tuttavia, quando non si verifichi la condizione indicata, ancorato all’idea dell’applicabilita` del contratto collettivo limitata agli iscritti alle associazioni stipulanti e ai non iscritti che lo abbiano successivamente accettato come fonte di disciplina del proprio rapporto. X. Xxxxxxxxx, Istituzioni di diritto del lavoro. I. Il diritto sindacale, Torino, 1998, p. 153, obietta invece che la teoria di X. Xxxx non garantirebbe alle formazioni sindacali minoritarie il diritto a partecipare alla trattativa che sarebbe invece loro garantito dal 4o comma dell’art. 39 nell’ambito della rappresentanza unitaria. Secondo X. Xxxxxxxxx (Lavoratore subordinato e autonomia collettiva, cit., pp. 135-136, nota 173), « anche un accostamento ispirato alla prospettiva della ‘‘costituzione materiale’’ non [potrebbe] condurre all’applicazione di una norma costituzionale senza l’attuazione e il rispetto delle regole e procedure in essa esplicitamente previste ». A quest’ultimo argomento potrebbe però controobiettarsi che le norme legislative incostituzionali dovevano essere disapplicate dai giudici anche quando la Corte costituzionale non aveva ancora incominciato a funzionare; che inoltre le associazioni sindacali maggiori si sono viste riconoscere in vari modi e a vari fini il carattere della « maggiore rappresentativita` » e le conseguenti prerogative anche senza che venisse realizzato il meccanismo della loro « registrazione » in sede amministrativa come era previsto dai commi 2o e 3o dell’art. 39; che infine l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici incontrava limiti nei diritti degli utenti anche prima che la legge lo disciplinasse come era previsto dall’art. 40.
(173) V., tra poche altre, P. Torino 14 maggio 1988, OGL, 1988, p. 669, MGL, 1988, p. 463, NGL, 1988, p. 301. Un obiter dictum circa l’efficacia erga omnes dell’accordo aziendale in materia di criteri di scelta dei lincenziandi in una procedura di riduzione degli organici, stipulato da associazioni che rappresentino la maggioranza del personale, si trova in Cass. 2 marzo 1999 n. 1760 (mass. in XXX, 0000, p. 2187).
(174) Il D.lgs. n. 29/1993, recante la cosiddetta « contrattualizzazione » del rapporto di pubblico impiego, condiziona la validita` del contratto collettivo alla sua stipulazione ad opera di associazioni sindacali che « rappresentino nel loro complesso almeno il 51% come media tra dato associativo e dato elettorale ... o almeno il 60% del dato elettorale » (art. 47-bis, c. 3o). Si osservi, pero`, come nel settore pubblico il problema giuridico dell’estensione erga omnes degli effetti del contratto si ponga in modo molto diverso rispetto al settore privato, stante l’obbligo di parita` di trattamento nei confronti di tutti i dipendenti, che grava sulle amministrazioni pubbliche (art. 49, c. 1o e 2o, dello stesso decreto). Sulla impossibilita` di una trasposizione meccanica di questa disciplina nel settore privato v. ultimamente X. Xxxxxxxxxx, Principio di maggioranza ed efficacia del contratto collettivo, RIDL, 1999, I, pp. 439-467. Sulla disciplina speciale dell’interpretazione del contratto collettivo nel settore pubblico v. § 75 e ivi nota 244.
(175) In linea teorica viene — beninteso — sempre riaffermata la limitazione del campo di efficacia soggettiva del contratto collettivo ai soli iscritti all’associazione stipulante e ai non iscritti che aderiscano al contratto collettivo (v. ultimamente, fra le tante, Xxxx. 23 aprile 1999 n. 4070, NGL, 1999,
p. 495); ma e` ben raro che il giudice non riesca a trovare, nel caso concreto, il modo per applicare anche al rapporto di lavoro di cui e` titolare il non iscritto lo standard di trattamento previsto dal contratto collettivo, considerandolo come parametro per la determinazione della giusta retribuzione ex art. 36 Cost., o comunque per l’integrazione in via equitativa del contratto individuale secondo quanto previsto dal codice civile in riferimento a diverse materie.
(176) Sulla divisibilita` dell’interesse collettivo in una pluralita` di interessi, riconducibili a diversi gruppi organizzati in concorrenza — se non addirittura in conflitto — fra loro, v. X. Xxxxxxxxxxx, L’efficacia dei contratti collettivi nel pluralismo sindacale, cit., partic. pp. 196-200; X. Xxxxx, Questioni sulla contrattazione collettiva, cit., partic. pp. 74-89.
(177) Per questo l’economista X. Xxxxx sottolinea la necessita` che al tavolo della negoziazione delle condizioni di lavoro venga data voce adeguata anche agli outsiders (Il mercato del lavoro come istituzione sociale, Bologna, 1994, pp. 75-78). L’art. 39 Cost., nella sua formulazione attuale, sembra non tenere conto di questo problema, del quale dovra` invece tenersi adeguatamente conto in sede di riforma della materia. Va tuttavia sottolineato come nella norma costituzionale l’attribuzione al contratto collettivo dell’efficacia erga omnes sia condizionata all’instaurazione di un rapporto di convivenza e confronto fra i diversi gruppi organizzati, maggioritari e minoritari, tendente non all’esclusione degli uni ad opera degli altri, ma a una mediazione tra di essi (v. in proposito X. Xxxxx, Questioni sulla contrattazione collettiva, cit., pp. 109-113; X. Xxxxxxxxx, loc. cit. nella nota 172).
(178) Di questo aspetto del problema non teneva conto la soluzione del problema da me proposta nello scritto citato nella nota 171, legata a una congiuntura politico-sindacale ben diversa dall’attuale. E ha dunque ragione X. Xxxxxxxxx quando critica quella soluzione in quanto legata a quel dato contingente (op. cit. nella nota 172, p. 135).
(179) Cosi` Cass. 30 gennaio 1992 n. 976, RIDL, 1992, II, p. 531, con nota di X. Xxxx.
(180) Su questo punto v. pero` in senso contrario X. Xxxxxxxx, Il problema del contratto collettivo: il dissenso, cit.: « Chi abbia effettivamente aderito a un contratto non si trova automaticamente vincolato al suo rinnovo ..., neppure se l’adesione sia ripetuta molte volte o addirittura sia stata ripetuta sempre nell’intera vita lavorativa » (§ 13). In giurisprudenza, recentemente, Xxxx. 23 aprile 1999 n. 4070, cit. nella nota 134.
(181) Cosi` Cass. 8 agosto 1978 n. 3867, FI, 1978, I, c. 2431.
(182) La qualificabilita` come contratto collettivo del contratto stipulato dal sindacato o da un soggetto diverso (quale la commissione interna) con il singolo imprenditore e` stata a lungo discussa in dottrina: fra i primi scritti in tal senso v. X. Xxxxxx, Contrattazione aziendale e democrazia industriale, ne il Mulino, 1956, n. 54, pp. 195 ss., e Introduzione a Ideologia e pratica dell’azione sindacale di X. Xxxxxxx, Firenze, 1956; X. Xxxxxxx, Personale occupato nell’impresa e commissione interna, DE, 1957, partic. pp. 1186 ss.; X. Xxxx Xxxxxxxxxxx, Osservazioni sul contratto collettivo di impresa, BSPT, 1957, n. 9, pp. 1 ss.. Sulla capacita` dell’imprenditore di stipulare il contratto collettivo aziendale, della quale all’indomani dell’abrogazione dell’ordinamento corporativo ancora si dubitava, v. tra i primi, oltre agli scritti teste´ indicati, X. Xxxxxxxxx, Xxxxx note introduttive al problema del contratto aziendale di lavoro, MGL, 1961, pp. 400-402; X. Xxxxxx, Considerazioni introduttive sul contratto collettivo aziendale, in Annuario Xxxxxx Xx. Xxxx, Xxxxxxx, 0000; X. Xxxxxxxxx, Il contratto collettivo di impresa, Milano, 1963, p. 30: « la rappresentanza sindacale bilaterale non e` essenziale al concetto di contratto collettivo »; la stessa affermazione, volta pero` a sottolineare la capacita` contrattuale delle commissioni interne, in X. Xxxxxxx, La rappresentanza dei lavoratori sul piano dell’impresa nel diritto italiano, ne La rappresentanza dei lavoratori sul piano dell’impresa nel diritto dei Paesi membri della Ceca, Milano-Lussemburgo, 1959, p. 286; nello stesso senso, pur nell’ambito di una concezione « comunitaria » dell’impresa che non ha avuto alcun seguito, X. Xxxxxx, Il contratto collettivo aziendale, Milano, 1961, p. 28. Deve dunque ritenersi che, quando l’associazione imprenditoriale stipula un contratto aziendale, cio` avvenga (questa volta si`) sulla base di un vero e proprio mandato conferito dall’imprenditore interessato.
(183) Nella fase della prima elaborazione dottrinale in argomento questa affermazione non poteva dirsi pacifica. Nel senso dell’applicazione generalizzata del contratto aziendale v., con argomentazioni diverse, X. Xxxx Xxxxxxxxxxx, Osservazioni ecc., cit., e Il lavoro nell’impresa, Xxxxxx, 00000, p. 147; X. Xxxxxxx, Liberta` sindacale ecc., cit., p. 573 (con altri riferimenti dottrinali in nota); X. Xxxxxx, op. ult. cit., pp. 199-200, dove l’A. sostiene l’esistenza di un « naturale » rapporto di rappresentanza fra commissione interna e « comunita` dei lavoratori ». In senso contrario v. invece
X. Xxxxxxxxxx, Brevi note ecc., cit. (1961), p. 402; X. Xxxxx`, Note preliminari sul contratto collettivo aziendale, RDL, 1963, I, pp. 116-117. Negli ultimi tre decenni non si sono invece registrate voci dottrinali contrarie all’efficacia generalizzata del contratto aziendale: v. per tutti X. Xxxxxx, X. Xxxxxxxxx, Il diritto sindacale, Xxxxxxx, 00000, pp. 155-156. In giurisprudenza la questione puo` dirsi risolta nello stesso senso (salvo quanto si dira` tra breve circa gli effetti del contratto collettivo dismissivo di diritti del lavoratore: v. in proposito note 192-203) fin dai primi anni settanta, con le sentenze Xxxx. 10 febbraio 1971 n. 357, RGL, 1971, II, p. 373, e Xxxx. 19 ottobre 1973 n. 2645.
(184) Il riferimento e` all’opera di X. Xxxxx cit. nella nota 131.
(185) V. in proposito X. Xxxx, L’efficacia del contratto collettivo, cit., pp. 324-330; X. Xxxxxx, Osservazioni in tema di rapporti fra la legge e il contratto collettivo, XX, 0000, I, pp. 342 ss.; X. Xxxxxxxxxx, Delle fonti del diritto, cit., p. 559; X. Xxxxxxxx, Xxxxx, giudice e contratto collettivo, XX, 0000, I, pp. 17 ss.; X. Xxxxxxx, Xxxxx e autonomia collettiva, cit., pp. 297-301; X. Xxxx, Un libro e un dibattito sulle fonti del diritto del lavoro, MGL, 1981, pp. 528 ss. Sul predominio della legge nei confronti del contratto come principio generale in materia di autonomia privata, salva la
« rivincita » che il contratto si prende sulla legge nei numerosi casi di « legge contrattata » tra le forze sociali direttamente interessate, v. X. Xxxxx, Il contratto, cit., pp. 303-304. Una rassegna del dibattito dottrinale sui rapporti fra legge e contrattazione collettiva e` offerta da X. Xxxxxxx, Autonomia
collettiva e legge, in Letture di diritto sindacale, a cura di X. X’Xxxxxx, Napoli, 1990, pp. 49 ss.
(186) V. in questo senso tra gli altri A. Pizzorusso, Delle fonti del diritto, cit., pp. 219 e 350; X. Xxxxxxxx, Le fonti del diritto del lavoro, cit., dove pure si auspica una nuova regolazione della distribuzione delle competenze fra legge e contrattazione collettiva (partic. p. 112); X. Xxxxxxxxxxxx. I rapporti tra legge e contratto collettivo, in Diritto del lavoro. I. Le fonti. Il diritto sindacale a cura di X. Xxxx, cit. (1998), pp. 309-314. X. xxxxx X. Xxxxxxx, Xxxxxxxxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxx, Xxxxxx, 00000, p. 257; X. Xxxxxxxxx, Legge e contratto collettivo, Milano, 1985, dove l’A. sostiene la tesi di una ripartizione costituzionale di competenze fra legge e contrattazione collettiva in qualche modo analoga a quella che la stessa Costituzione prevede fra legge statale e legge regionale.
(187) È opinione ormai da tempo incontrastata quella secondo cui non esiste la possibilita` di stabilire un confine « naturale » fra cio` che puo` formare oggetto di contrattazione collettiva e cio` che puo` formare oggetto di regolamentazione unilaterale da parte dell’imprenditore sulla base dei poteri che egli acquisisce con i contratti individuali di lavoro. Per il dibattito in proposito, che ha impegnato la dottrina soprattutto fra la meta` degli anni ’50 e la meta` degli anni ’60, v. X. Xxxxxxx, Natura e limiti dei regolamenti interni aziendali, RGL, 1955, I, pp. 175-192; X. Xxxxxx, Regolamenti e contratti aziendali (1948-1961), DE, 1962, pp. 673-677; X. Xxxx Xxxxxxxxxxx, Regolamento interno e contrattazione articolata, in BSPTrieste,
n. 29, 1964, pp. 1-2; F. Peschiera, Il regolamento di impresa, Milano, 1965; X. Xxxxxx, Il contratto collettivo aziendale, cit., pp. 23-28; X. Xxxx Caen, Una anomalia giuridica: il regolamento interno o di azienda, RGL, 1969, I, pp. 425-433.
(188) Cfr. Corte cost. 20 aprile 1998 n. 143, RGL, 1999, II, p. 728 (con nota di X. Xxxxxxx, Autonomia collettiva e Corte costituzionale):
« l’autonomia collettiva, se non e` priva di limiti legali — potendo sempre il legislatore stabilire criteri direttivi o vincoli di compatibilita` con obiettivi generali —, non puo` tuttavia essere annullata o compressa nei suoi esiti concreti ... ; compressione e annullamento che possono verificarsi solo quando detta autonomia introduca un trattamento deteriore rispetto a quanto previsto dalla legge, ovvero, nell’ipotesi opposta, esclusivamente a salvaguardia di superiori interessi generali (cfr. le sentenze n. 34 del 1985 e n. 124 del 1991) » (motivaz., p. 731).
(189) V. in questo senso soprattutto X. Xxxx, Potere dei sindacati e diritti acquisiti dagli associati nella contrattazione collettiva, RDC, 1965, pp. 338- 344, dove si parla a questo proposito di inefficacia della clausola collettiva dismissiva. Sul punto v. pero` l’opinione contraria di X. Xxxx, Sulla disponibilita` sindacale dei diritti individuali, RIDL, 1986, I, pp. 927-941, col quale concorda M.V. Ballestrero, Riflessioni in tema di inderogabilita` dei contratti collettivi ivi, 1989, I, pp. 396-397.
(190) X. Xxxx, L’efficacia del contratto collettivo, cit., pp. 332-333; X. Xxxxxxxxxx, Delle fonti del diritto, cit., p. 559.
(191) X. Xxxx, op. ult. cit., pp. 330-332; X. Xxxxxxxxxx, loc. ult. cit.
(192) V. per tutte in questo senso Cass. 22 maggio 1987 n. 4658, RIDL, 1988, II, p. 920 in riferimento al rapporto fra contratto aziendale e contratto nazionale; Cass. 19 marzo 1987 n. 4758, RIDL, 1988, II, 107, in riferimento al rapporto fra contratto provinciale e contratto nazionale; Cass. 20 agosto 1991 n. 8946, NGL, 1992, p. 19; e ultimamente, in riferimento specifico alla deroga del contratto nazionale da parte del contratto aziendale, Cass. 4 marzo 1998 n. 2363, DPL 1998, p. 2127.
(193) Per un caso di accordo stipulato dal datore di lavoro con i propri dipendenti senza la partecipazione di associazioni sindacali o altre forme di rappresentanza collettiva, qualificato pertanto come contratto di lavoro individuale plurisoggettivo, x. Xxxx. 0 marzo 1999 n. 2022, OGL, 1999,
p. 325.
(194) « Fonte collettiva e fonte individuale mantengono ciascuna la propria fisionomia e vivono una vita parallela. Ne consegue che le vicende eventuali del contratto collettivo si svolgono sul rapporto individuale, ma non nel contratto corrispondente » (X. Xxxxxx, La funzione giuridica del contratto collettivo di lavoro, ne Il contratto collettivo di lavoro, Milano, 1968, p. 35). Nello stesso senso v. in giurisprudenza, fra le numerose altre, Cass. 17 maggio 1985 n. 3407, RGL, 1985, II, p. 508; Cass. 16 novembre 1985 n. 5648, NGL, 1986, p. 123; Cass 12 giugno 1986 n. 4517, RIDL, 1987, II, p. 435, con note di X. Xxxxx, Sull’applicazione del criterio di specialita` al concorso-conflitto tra contratti collettivi di diverso livello, e di X. Xxxxxxxxx, Osservazioni su di una recente pronuncia della Cassazione in tema di rapporti tra contratti collettivi di diverso livello; nonche´ FI, 1987, I, c. 51, con note di X. Xx Xxxxxxx, Recenti tendenze giurisprudenziali sui rapporti tra contratti collettivi di diverso livello e X. Xxxxxx, Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello: una « svolta » tra continuita` e rottura con il passato; Cass. 24 febbraio 1990 n. 1403 e Cass. 2 maggio 1990
n. 3607, MGL, 1990, p. 384, con nota di C. Xxxxxx Xxxxxxxxx; Cass. 18 febbraio 1998 n. 1735, RGL, 1999, II, p. 275, con nota di X. Xxxxxxx, e XXX, 1998, p. 394; Cass. 5 maggio 1998 n. 4534, RIDL, 1999, II, p. 3, con nota di X. Xxxx, e NGL, 1998, p. 404; Cass. 17 marzo 1999 n. 2429, NGL, 1999,
p. 441 (nel senso contrario del configurarsi, in conseguenza dell’applicazione di un contratto collettivo, di un « diritto acquisito » per i singoli lavoratori, insensibile al mutamento della disciplina collettiva applicabile, si registra soltanto, nell’ultimo decennio, X. Xxxxx Xxxxxxx 00 ottobre 1998, D&L, 1999, p. 373). Sul dibattito svoltosi al riguardo in dottrina — che puo` considerarsi oggi superato — v. X. Xxxx, Potere dei sindacati e diritti acquisiti degli associati nella contrattazione collettiva, cit. nella nota 189.
(195) V. per tutti in questo senso X. Xxxxxx, Diritto sindacale, cit. (1996), p. 193; X. Xxxxxxxx, Diritto sindacale, Xxxxxx, 00000, pp. 116-117.
(196) V. in questo senso Cass. 10 gennaio 1990 n. 15, mass.; Cass. 16 marzo 1990 n. 2155, mass.
(197) Sul quale v. X. Xxxxxx, Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, negli atti delle giornate di studio citt. nella nota 199, pp. 7-59. In giurisprudenza Cass. 12 luglio 1986 n. 4517, mass.; Cass. 19 febbraio 1988 n. 1759, mass.
(198) Cass. 4 ottobre 1985 n. 4819, mass.; Cass. 16 novembre 1985 n. 5648, NGL, 1986, p. 1223; Cass. 18 dicembre 1998 n. 12716, mass.
(199) Sulla questione nell’ultimo ventennio sono stati versati fiumi di inchiostro: v. soprattutto X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Derogabilita` del contratto collettivo e livelli di contrattazione, DLRI, 1980, pp. 617 ss.; gli atti delle giornate di studio dell’Aidlass del maggio 1981 su Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, Milano, 1982, e ivi particolarmente la relazione di X. Xxxxxx, cit. nella nota 197; X. Xxxxxxxx, Contratto collettivo e autonomia sindacale, cit., pp. 84-86; X. Xxxxxxx, Differenza di funzioni e di livelli fra contratti collettivi, LD, 1987, pp. 229 ss.
(200) § 69 e ivi particolarmente nota 171. In questo senso x. X. Xxxxxx 00 maggio 1988, cit. nella nota 173. Nel senso dell’applicabilita` generalizzata del contratto aziendale dismissivo v. anche Xxxx. 2 maggio 1990 n. 3607 cit. nella nota 194.
(201) In questo senso Cass. 24 febbraio 1990 n. 1403 cit. nella nota 194.
(202) Cosi`, incisivamente, X. Xxxxxxxxx, Liberta` e pluralismo sindacale, cit.: « Il proprium degli accordi gestionali sta ... in cio`, che essi producono effetti nella sfera giuridica del singolo non in via immediata, ma in via indiretta, solo a seguito della adozione del provvedimento unilaterale negoziato, e quindi fuori dei normali presupposti di efficacia dei contratti collettivi » (p. 196).
(203) V. in proposito C. cost. 30 giugno 1994 n. 268, GCost, 1994, I, partic. p. 2193, dove sono state ritenute non contrastanti con il 4o comma dell’art. 39 Cost. le norme legislative che estendono alla generalita` dei dipendenti dell’impresa gli effetti dell’accordo sindacale in materia di criteri di scelta dei lavoratori da collocare in Cassa integrazione. In proposito v. ultimamente M. D’Xxxxxx, Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione, oggi, cit.: « i contratti collettivi vengono richiamati dalla legge in una prospettiva ... [di] conformazione dei poteri di gestione del datore di lavoro ... estranea alla figura del contratto di categoria con efficacia erga omnes richiamata dall’art. 39 ». Sottolinea invece la piena riconducibilita` del contratto di gestione a una nozione unitaria di autonomia collettiva X. Xxxxxxxx, Contratti collettivi normativi e contratti collettivi gestionali, ADL, 1999, pp. 1-21. Sull’efficacia diretta del contratto collettivo gestionale, anche nei confronti dei lavoratori eventualmente dissenzienti, x. Xxxx. 00 ottobre 1993 n. 10129, NGL, 1993, p. 846.
(204) V. pero` X. Xxxxxxxx, Il problema del contratto collettivo: il dissenso, cit., e ivi partic. § 9.
(205) « si puo` fare l’ipotesi che, caduto il regime corporativo, xxxxxx´ a regolare i rapporti di lavoro concorrono, intrecciandosi, sia le disposizioni sopravvissute dei contratti corporativi ... sia quelle successive ... introdotte dai contratti collettivi stipulati dai liberi sindacati, le difficolta` sistematiche e interpretative siano talmente frequenti e notevoli da indurre a superarle accorciando il piu` possibile le distanze tra il ‘‘vecchio’’ e il ‘‘nuovo’’ tipo di contratto collettivo » (M. Xxxxxxxx, Contratto collettivo e autonomia sindacale, cit., pp. 19-20).
(206) V. tra le altre Cass. 2 luglio 1984 n. 3877, GC, 1985, I, p. 1442, con nota di X. Xxxxxxxxx, La persistente sopravvivenza dell’art. 2070 c.c.; Cass. 23 novembre 1984 n. 6063 e 21 gennaio 1985 n. 237, RIDL, 1985, II, p. 593, con nota di X. Xxxxxxxxx, L’art. 2070 c.c.: un problema ancora irrisolto; Xxxx. 10 novembre 1987 n. 8289, MGL, 1988, p. 88; Cass. 1o giugno 1988 n. 3712, RGL, 1989, II, p. 314, con nota di X. Xxxxxx, Significato
generale dell’art. 2070 c.c. e aperture per l’art. 36 Cost.
(207) Dall’inizio degli anni ’60 in poi la dottrina e` sempre stata pressoche´ unanime nel ritenere non applicabile l’art. 2070 c.c. ai contratti collettivi postcorporativi: oltre agli scritti citati nelle note 130 e 131 al § 66, v. in questo senso X. Xxxxxxx, In tema di categoria professionale ex art. 2070 c.c., MGL, 1960, p. 67; Id., Sospensione della vigenza o parziale abrogazione dell’art. 2070 c.c., xxx, 1965, p. 301; X. Xxxxxxx, I limiti di applicabilita` dell’art. 2070 c.c. e il potere sindacale di valutazione degli interessi collettivi, ivi, 1964, p. 107; X. Xxxxxxxxx, L’art. 2070 c.c. e` davvero compatibile con la Costituzione?, LPrev, 1977, p. 219. V. inoltre piu` recentemente oltre ai manuali di diritto sindacale di X. Xxxxxx, X. Xxxxxx e X. Xxxxxxxxx,
X. Xxxx, X. Xxxxxxx e altri, citt., X. Xxxxxxxx, op. ult. cit. (1984), pp. 34-54; X. Xxxxxxx (P. Curzio), Il contratto collettivo, Torino, 1984, pp. 185-193;
X. Xxxxxxxxx, opp. citt. nella nota 206; X. Xxxx, op. cit. nella nota 208.
(208) Cass. 4 febbraio 1989 n. 701, RIDL, 1990, II, p. 61, con nota di X. Xxxxxxxxx, Veri e falsi limiti alla liberta` del datore di lavoro di scegliere il contratto collettivo; Cass. 30 gennaio 1992 n. 976, RIDL, 1992, II, p. 531, con nota di X. Xxxx, L’art. 2070 c.c. e i contratti collettivi di diritto comune: una sentenza importante; Cass. 9 giugno 1993 n. 6412, RIDL, 1994, II, p. 291, con nota di G.L. Xxxxx, Il nuovo orientamento della Cassazione in ordine all’art. 2070. Nello stesso senso in precedenza, isolatissima nella giurisprudenza di legittimita`, Cass. 16 aprile 1981 n. 2311, mass.
(209) V. tra le altre Cass. 4 febbraio 1989 n. 701, cit. nella nota precedente. (210) C. cost. 10 giugno 1969 n. 105, RGL, 1969, II, p. 233.
(211) In forza dell’art. 43 del D.leg.lgt. 23 novembre 1944 n. 369, che nell’abrogare l’ordinamento corporativo ha tuttavia previsto la permanenza in vigore dei vecchi contratti collettivi, « salvo le successive modifiche ».
(212) In questo senso C. cost. 15 maggio 1963, n. 70, RGL, 1963, II, p. 144. In dottrina v. per tutti in questo senso X. Xxxxxxx, L’interpretazione dei contratti collettivi, Milano, 1963, pp. 119-120; X. Xxxxxx, Diritto sindacale, Bari, 199610, pp. 147-148.
(213) Cfr. in proposito X. Xxxxxxxxx, Xxxx e falsi limiti alla liberta` del datore di lavoro di scegliere il contratto collettivo, cit.: « tutto si riduce a una quaestio voluntatis, dovendosi accertare di volta in volta rigorosamente il campo di applicazione oggettivo del contratto collettivo in base alle sue stesse disposizioni » (p. 64).
(214) Sull’inapplicabilita` degli artt. 2071-2074 c.c. in materia di contratti collettivi postcorporativi v. per tutti, in dottrina, X. Xxxxxx, Diritto sindacale, cit. (1996), p 189; X. Xxxxxxxx, Diritto sindacale, cit., p. 109. In giurisprudenza Cass. 29 agosto 1987 n. 7140, mass.; Cass. 12 febbraio 1990 n. 987, MGL, 1990, p. 000, x XXXX, 0000, XX, xx motivazione, p. 292; Cass. 16 aprile 1993 n. 4507, ivi, 1993, II, p. 684, con nota di X.
Xxxxxxxxx, Recesso unilaterale dal contratto collettivo e principio di buona fede. X. xxxxx X. Xxxxxx 0 luglio 1991, cit. nella nota 220, dove si accenna a una possibile applicazione analogica dell’art. 2074 in materia di contratti postcorporativi.
(215) Nel senso della legittimita` della clausola di retroattivita` del contratto collettivo v. per tutti in dottrina A. Pizzorusso, Delle fonti del diritto, cit.,
p. 559; X. Xxxx, Diritto del lavoro, cit. (1996), p. 151. Sulla questione che sorge nel caso in cui il rapporto di lavoro venga a cessazione prima dell’entrata in vigore del nuovo contratto collettivo, recante la clausola di retroattivita`, la giurisprudenza e` prevalentemente orientata — pur sulla base di argomenti non del tutto logicamente rigorosi — nel senso dell’invocabilita` dell’applicazione del contratto collettivo da parte del titolare del rapporto cessato: Xxxx. 22 giugno 1982 n. 3811, GC, 1983, I, p. 219; Cass. 14 marzo 1990 n. 2051, RGL, 1992, II, p. 71, con nota di X. Xxxxxxxx.
(216) E` questa l’opzione piu` frequente negli accordi interconfederali, nonche´ negli accordi aziendali stipulati al di fuori della previsione contenuta nel « protocollo » interconfederale 23 luglio 1993.
(217) E` questa l’opzione che compare in pressoche´ tutti i contratti collettivi nazionali di settore, codificata nel « protocollo » interconfederale 23 luglio 1993, il quale prevede una durata quadriennale dei contratti stessi, con rinnovo biennale delle disposizioni relative ai minimi retributivi, in funzione del loro adeguamento all’eventuale aumento del costo della vita.
(218) Un caso clamoroso di recesso unilaterale da contratto collettivo e` quello della « denuncia » dell’accordo interconfederale 15 gennaio 1957 sulla indicizzazione delle retribuzioni dei lavoratori del settore industriale, notificato dalla Confindustria alle controparti immediatamente dopo la chiusura delle urne per il referendum della primavera del 1985 sul « taglio » di due punti dell’indennita` di contingenza disposto col D.L. 17 aprile 1984 n. 70, conv. in L. 12 giugno 1984 n. 219, e prima che si conoscessero i risultati della consultazione popolare. Appare assai significativo il fatto che — a quanto consta — in nessuna sentenza edita sia stata negata la legittimita` e l’efficacia di tale recesso: gli effetti del recesso sono stati contestati sotto altri profili, quale soprattutto quello dell’inadeguatezza della retribuzione non indicizzata. Nel senso dell’esclusione dell’ultrattivita` del contratto a tempo indeterminato non in esso espressamente prevista, nel caso di scadenza del termine o recesso unilaterale, v. ultimamente Cass. 5 maggio 1998 n. 4534, RIDL, 1999, II, p. 3, e NGL, 1998, p. 404.
(219) Cass. 22 dicembre 1983 n. 7579, mass.; Cass. 12 febbraio 1990 n. 987, cit nella nota 214, con motivazione molto succinta. Questa sentenza era riferita a un contratto aziendale in materia di previdenza integrativa, del quale peraltro par di capire che avesse un termine di scadenza (v. in proposito Cass. n. 4507/1993, cit., in motivazione, p. 690 e Cass. n. 6427/1998, cit. nella nota seguente, in motivazione, p. 562). Per la giurisprudenza di merito x. X. Xxxxxx 00 marzo 1983, L80, 1983, p. 795.
(220) X. Xxxx. 00 aprile 1993 n. 4507, cit. nella nota 214; Cass. 9 giugno 1993 n. 6408, NGL, 1994, p. 28; Cass. 20 settembre 1996 n. 8360, NGL, 1997, p. 5; Cass. 25 febbraio 0000 x. 0000, XX, 0000, XX, x. 000; Cass. 5 maggio 1998 n. 4534, cit. nella nota 218; Cass. 1o luglio 1998 n. 6427, MGL, 1998, p. 557, con nota di X. Xxxxxxx, Recedibilita` dai contratti collettivi e salvaguardia dei diritti quesiti in tema di previdenza complementare. Per la giurisprudenza di merito v. in questo senso X. Xxxxxxxxxx Xxxxxxx 00 dicembre 1988, GPiem, 1989, p. 63; P. Milano 3 agosto 1989, RIDL, 1990,
p. 74, con nota di X. Xxxxx, Successione di accordi aziendali, recesso tacito, efficacia nei confronti dell’associazione sindacale non firmataria e degli iscritti; X. Xxxxxx 0 giugno 1990, RIDL, 1991, II, p. 290; X. Xxxxxxx 29 marzo 1991, OGL, 1991, p. 000, x XXX, 0000, p. 2096, confermata da Xxxx.
n. 4507/1993 cit.; X. Xxxxxx 00 agosto 1991, NGL, 1991, p. 707, che tuttavia si riferisce a un contratto nel quale sembra che la facolta` di recesso unilaterale fosse prevista esplicitamente; T. Milano 3 luglio 1991, OGL, 1991, p. 515, che tuttavia sembra ammettere — con motivazione sul punto non chiara — una ultrattivita` del contratto disdetto in base a una applicazione analogica dell’art. 2074 c.c.
(221) Cosi`, in particolare, Cass. n. 4507/1993, cit. nella nota precedente.
(222) X. Xxxxx, In tema di recesso dal contratto collettivo (con cenni sulla « disdetta » dell’uso aziendale), nota a Cass. n. 987/1990 e X. Xxxxxx 5 giugno 1990, RIDL, 1991, II, pp. 302-314.
(223) X. Xxxxxxxxx, Istituzioni di diritto del lavoro. I. Il diritto sindacale, Torino, 1998, pp. 170-173.
(224) V. in questo senso la prima e — a quanto consta — per ora unica monografia dedicata specificamente a questo tema: X. Xxxxxxxxxx, Problemi e prospettive in tema di risoluzione e recesso nel contratto collettivo di lavoro, in Collana Dip. Ec. Az. Un. Modena, n. 20, 1992, dove il contratto collettivo e` conclusivamente indicato come espressione della « rilevanza momentanea di un equilibrio di interessi permanentemente suscettibili di modificazioni » (p. 108); ivi anche uno studio comparatistico in argomento, riferito agli ordinamenti europei, statunitense e giapponese. Le stesse opzioni di politica del diritto e alcune delle argomentazioni ivi svolte si trovano negli scritti di T. Risoluzione e recesso nel contratto collettivo di lavoro, cit., e L’efficacia temporale del contratto collettivo di lavoro: atipicita` dello schema negoziale, giuridicita` del vincolo e cause di scioglimento, DRI, 1994, pp. 83-132.
(225) V. in questo senso, oltre alla monografia di X. Xxxxxxxxxx cit. nella nota precedente, X. Xxxxxxxx, Diritto sindacale, cit., pp. 108-109, dove la tesi della recedibilita` unilaterale viene fondata sul principio di ordine pubblico che non tollera vincoli perpetui »; X. Xxxxx, Contratto collettivo a tempo indeterminato e recesso ad nutum, RIDL, 1993, I, pp. 449-493 (che anticipa parzialmente il contenuto del quarto capitolo della monografia dello stesso X., Autonomia contrattuale e contratto collettivo di lavoro, cit.), il quale invece fonda la propria tesi, piuttosto che su di un divieto generale della pattuizione di obbligazioni perpetue, di cui pone in dubbio l’esistenza nel nostro ordinamento, su di un « divieto generale di vincoli perpetui alla liberta` di contrarre ».
(226) In questo senso v. X. Xxxxxxxxx, Contributo alla teoria del contratto collettivo, Padova, 1974, pp. 69-73; X. Xxxxxxxxx, Sulla disciplina del contratto collettivo di lavoro, MGL, 1987, pp. 675 ss; X. Xxxxxxxx, Contratto collettivo orale: verba non volant?, NGCC, 1994, I, p. 231. In
giurisprudenza, nel senso della validita` della pattuizione collettiva verbale o tacita, tra le piu` recenti, Cass. 18 febbraio 1998 n. 1735, RGL, 1999, II,
p. 275, con nota di X. Xxxxxxx, e XXX, 1998, p. 394; Cass. S.U. 22 marzo 1995 n. 3318, FI, 1995, I, c. 1138; in precedenza Cass. 3 marzo 1994
n. 2088, DL, 1994, II, p. 251, con nota di A.M. Battisti; Cass. 3 aprile 1993 n. 4030, GC, 1993, I, p. 2999, con nota di X. Xxxxxx, e NGCC, 1994, I, con nota di X. Xxxxxxxx sopra cit.
(227) X. Xxxxxxx, Rilevanza e tipicita` del contratto collettivo nella vigente legislazione italiana, Milano, 1967, p. 110.
(228) X. Xxxxx, Manuale di diritto del lavoro, Milano, 1972, p. 681.
(229) X. Xxxx Xxxxxxxxxxx, Diritto sindacale, cit., pp. 269-270; nello stesso senso piu` recentemente X. Xxxxxxxxx, Considerazioni sulla forma del contratto collettivo, ADL, 1995, p. 143. In giurisprudenza v. in questo senso, fra le piu` recenti, Cass. 23 novembre 1989 n. 5034, MGL, 1990, p. 18, con nota dissenziente di X. Xxxxxxxxx, Contratto collettivo e forma ad substantiam; Cass. 4 febbraio 1993 n. 1377, GC, 1993, I, p. 1485.
(230) Ultimamente in questo senso A. Vallebona, Istituzioni di diritto del lavoro. I. Il diritto sindacale, cit., p. 136-137, col quale concorda su questo punto X. Xxxx nella recensione del libro, RIDL, 1999, III, p. 53 (indicando come folle la tesi contraria).
(231) Nel senso della configurabilita` di un contratto collettivo tacito v. pero` Xxxx. 19 marzo 1986 n. 1916, GC, 1986, I, p. 1906; X. Xxxxxxx,
Contributo allo studio della contrattazione collettiva ecc., Milano, 1986, p. 134. (232) Cass. 22 marzo 1995 n. 3318, FI, 1995, I, c. 1138.
(233) V. ultimamente in proposito gli scritti di X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxx e X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxxxx, C. Xxxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxx,
X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, in AA.VV., L’interpretazione dei contratti collettivi di lavoro, Roma, 1999; negli scritti di Xxxxx, XxXxxxxxxx e Xxxxxxxx, in particolare, si sottolinea l’evanescenza della distinzione concettuale fra interpretazione, applicazione e rinnovo del contratto collettivo. V. anche, nello stesso volume, l’excursus storico sull’evoluzione delle regole di interpretazione del contratto collettivo proposto da X. Xxxxxxxxxxx. Per una rassegna della dottrina precedente in argomento X. Xxxxxx, Contratto collettivo e processo, in Diritto del lavoro. Commentario. I. Le fonti. Il diritto sindacale, cit., pp. 372-385.
(234) Legge 3 aprile 1926 n. 563, art. 3. Sul dibattito svoltosi in proposito durante il ventennio v. X. Xxxxxxx, L’interpretazione dei contratti collettivi, cit. nella nota 212, pp. 41-45.
(235) Cfr. X. Xxxxxxxx, Diritto sindacale, cit., pp. 105-106: « una ricostruzione di tale volonta`, che potrebbe anche risultare in contrasto con il testo concordato, risulta difficile se non addirittura impossibile, sia per le tecniche di trattativa solitamente utilizzate, sia per l’assenza di verbalizzazioni e comunque della loro pubblicizzazione, sia, infine e soprattutto, perche´ l’atteggiamento delle parti durante le trattative, per poter essere determinante, dovrebbe essere comune ».
(236) Il che non ha impedito, comunque, alla Corte di cassazione di ribadire piu` volte l’applicabilita` nella nostra materia del canone ermeneutico di cui al 2o comma dell’art. 1362 c.c., e quindi la rilevanza del comportamento delle associazioni sindacali anche nella fase successiva alla stipulazione del contratto collettivo: v. in questo senso Cass. 21 febbraio 1984 n. 1260, mass.; Cass. 22 maggio 1990 n. 4611, mass.; Cass. 13 ottobre 1992
n. 11171, mass.; inoltre Cass. 5 novembre 1987 n. 8136, mass., dove si precisa che il comportamento rilevante ex art. 1362, 2o c., e` quello delle associazioni sindacali « e non gia` quello posto in essere, in sede di esecuzione, dal datore di lavoro o dai lavoratori, i quali, rappresentando soltanto i destinatari delle norme contrattuali, possono solo conformarsi o no alle stesse »; la stessa precisazione in Cass. 28 settembre 1996 n. 8569, NGL, 1997, p. 9, nonche´ RIDL, 1997, II, p. 319, con nota di X. Xxxxx; e in Cass. 27 febbraio 1997 n. 1772, NGL, 1997, p. 319.
(237) E` questa, in estrema sintesi, la posizione espressa nella prima — e a tutt’oggi unica — monografia specificamente dedicata a questo tema: X. Xxxxxxx, L’interpretazione dei contratti collettivi, cit.; xxx i riferimenti alla dottrina precedente. Sostanzialmente in questo senso, sia pure con sottolineature diverse, v. in precedenza X. Xxxxxx, Appunti sull’interpretazione del contratto collettivo, nota a Xxxx. 18 febbraio 1956 n. 472, RDL, 1957, II, pp. 169-184, il quale, pur sostenendo « la sostanziale unita` del processo interpretativo » della legge e del contratto collettivo, ritiene che
« alla diversa fisionomia giuridica dell’atto corrisponda, per cosi` dire, una diversa distribuzione gerarchica dei vari criteri specifici di cui si avvale in concreto l’interpretazione » (p. 176); lo stesso A., nella sua di poco successiva Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva (cit.), attribuisce al momento dell’applicazione giudiziale la funzione di comunicazione e collegamento fra l’ordinamento intersindacale, nell’ambito del quale il contratto collettivo e` essenzialmente fonte normativa, e l’ordinamento statuale, nell’ambito del quale il contratto stesso e` essenzialmente atto di autonomia privata. V. inoltre X. Xxxxxxx, Legge e autonomia collettiva, MGL, 1980, p. 693; X. Xxxxxx, X. Xxxxxxxxx, Il diritto sindacale, cit., pp. 169-171; X. Xxxxxxxx, Diritto sindacale, cit., pp. 105-108; e ultimamente X. Xxxxxx, L’interpretazione « logico-sistematica » dei contratti collettivi di diritto comune, XX, 0000, I, pp. 62-76, dove si sottolinea come in questa materia, al pari di altre, si assista « a una graduale svalutazione del criterio
letterale » (pp. 71-72); ivi ulteriori riferimenti. In giurisprudenza, nel senso della priorita` dell’interpretazione letterale rispetto alla ricerca della volonta` negoziale delle parti attraverso il loro comportamento precedente e successivo alla stipulazione, x. Xxxx. 21 febbraio 1984 nn. 1260 e 1261, mass.; Cass. 29 settembre 1988 n. 5288, mass.; Cass. 23 giugno 1992 n. 7674, mass.; Cass. 22 febbraio 1993 n. 2114, MGL, 1993, p. 244, con nota di
X. Xxxxxxx, OGL, 1993, p. 754, NGL, 1993, p. 522; Cass. 29 aprile 1994 n. 4121, AC, 1994, p. 1260; Cass. 17 gennaio 1998 n. 396, mass.; Cass. 29
marzo 1999 n. 3033, mass.; Cass. 19 giugno 1999 n. 6176, LG, 1999, p. 1172.
(238) X. Xxxxxxx, Contrattazione collettiva e regole dell’interpretazione, nota a Xxxx. 6 maggio 1998 n. 4592, MGL, 1998, p. 564. Sulla stessa sentenza v. anche la nota di X. Xx Xxxxx, Note sull’interpretazione della contrattazione collettiva, DRI, 1998, pp. 473-475.
(239) X. Xxxxxxx, L’interpretazione dei contratti collettivi, cit., pp. 169-171 (ivi i riferimenti alla dottrina precedente); X. Xxxxxxxxx, Diritto sindacale, Torino, 19999, p. 146; Cass. 20 dicembre 1983 n. 7519, RIDL, 1984, II, p. 618; Cass. 2 dicembre 1988 n. 6524, mass.
(240) V. in proposito X. Xxxxxxx, Analogia ed equita` nel diritto del lavoro, Padova, 1991, pp. 62-68 e 94.
(241) V. ancora, in questo senso, X. Xxxxxxx, op. ult. cit., pp. 171-173. In giurisprudenza, nel senso della necessita` dell’interpretazione del contratto collettivo sulla base di una considerazione complessiva delle sue clausole, secondo il criterio di cui all’art. 1363 c.c., v. ultimamente Xxxx. 6 maggio 1998 n. 4592, cit. nella nota 238, e Cass. 20 maggio 1999 n. 4873, OGL, 1999, p. 585.
(242) Ex plurimis Cass. 19 gennaio 1999 n. 480, DPL, 1999, p. 1705 (sentenza con la quale, peraltro, e` stata cassata una decisione di merito fondata su di una interpretazione di contratto collettivo ritenuta « non rispettosa dei canoni legali di ermeneutica contrattuale »).
(243) V. ultimamente L.V. Xxxxxxxxx, Riflessioni in tema di sindacato della Cassazione sull’interpretazione dei contratti collettivi, XX, 0000, I, pp. 381-404.
(244) Xxxxx specialita` del contratto collettivo nel settore del lavoro pubblico e sul procedimento di « interpretazione autentica » dello stesso (ma sarebbe probabilmente piu` esatto parlare in proposito di « rinegoziazione »), previsto dalla norma citata, v. X. Xxxxxxx, Appunti per uno studio sull’interpretazione « autentica » del contratto collettivo di lavoro pubblico, in AA.VV., L’interpretazione dei contratti collettivi di lavoro, cit., pp. 155-169.
(245) La prima e tuttora la piu` ampia trattazione monografica in argomento e` costituita dallo studio di X. Xxxxxxxxx Vigorita, Gli usi aziendali, Xxxxxx, 0000. Per un’ampia rassegna rassegna critica della giurisprudenza v. X. Xxxxxxx, Individuale e collettivo nel rapporto di lavoro: il problema degli « usi aziendali » nella giurisprudenza della Cassazione, DRI, 1991, 1, pp. 141-157, cui adde Id., Gli « usi aziendali » davanti alle Sezioni unite della Cassazione: l’occasione per un bilancio (e per alcune puntualizzazioni), ADL, 1995, pp. 215-236.
(246) X. Xxxxxxxxx Vigorita, Usi aziendali e diritto del lavoro, MGL, 1990, p. 684. Cosi` anche E. Del Prato, L’individuazione dell’uso aziendale, GI, 1987, I, c. 1369, nonche´, implicitamente, gia` X. Xxxxxxx, In tema di usi aziendali, MGL, 1978, p. 471.
(247) Cass. 19 aprile 1980, n. 2583, MGL, 1980, p. 732; Cass. 19 aprile 1980 n. 2585, FI, 1980, I, c. 2507; Cass. 14 luglio 1987, n. 6137, GC, 1988, I,
c. 1018; Cass. S.U. 17 marzo 1995 n. 3101, FI, 1995, I, c. 1143.
(248) X. Xxxxxxx, Gli « usi aziendali » davanti alle Sezioni unite della Cassazione, cit., pp. 218-221.
(249) X. Xxxxxx, 10 luglio 1998, MGL, 1999, pp. 41-43, con nota adesiva di X. Xxxxxxx, Prassi aziendali e autonomia privata.
(250) X. Xxxxxxx, In tema di usi aziendali, loc. cit.; X. Xxxxxxxxx Vigorita, Usi aziendali e diritto del lavoro, loc. cit.; X. Xxxxxxx, Gli « usi aziendali » davanti alle Sezioni unite della Cassazione, cit., pp. 230-236.
(251) Cass. 6 novembre 1996, n. 9690, GC, 1997, I, p. 1343, con nota adesiva di X. Xxxxxxx, « Usi aziendali », volonta` negoziale dell’imprenditore e autonomia collettiva. In proposito vedi gia` Xxxx. 19 marzo 1986, n. 1916, GC, 1986, I, c. 1906.
(252) Xxxx. 27 novembre 1999, n. 13294, a quanto consta ancora inedita.
(253) V., in questo senso, X. Xxxxxxx, Gli « usi aziendali » tra incertezze dottrinali ed equivoci giurisprudenziali, XX, 0000, I, partic. p. 543-544.