LUISS
LUISS
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Cattedra di European Business Law
LE RETI DI IMPRESE NELL’UNIONE EUROPEA
RELATORE
Xxxxx.xx Prof. Xxxxxx xx Xxxx
CANDIDATO
Xxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxx
Matr. 143423
CORRELATORE
Chiarissimo Xxxx. Xxx Xxxxxxx Xxxxxx
Anno Accademico 2019/2020
INDICE
CAPITOLO I – IL CONTRATTO DI RETE TRA ANALOGIE ED ESIGENZE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
1. Mater artium necessitas
2. Cornice normativa ed evoluzione della disciplina
3. Nozione economica di rete di imprese
4. “Reti non gabbie”: verso l’internazionalizzazione del contratto di rete. Il modello tedesco
5. Reti di imprese e consorzi
6. Reti di imprese e gruppo europeo d’interesse economico (GEIE)
CAPITOLO II – PROFILI SPECIFICI DEL CONTRATTO DI RETE
1. Parti, accordo, scopo, causa e programma del contratto di rete
2. Natura giuridica del contratto di rete
3. Partecipazione delle reti di imprese ai procedimenti amministrativi
4. Corporate governance delle reti di imprese
5. Profili anticoncorrenziali delle reti di imprese
CAPITOLO III – CONTRATTO, RETE, SOGGETTO, FALLIMENTO
1. Autonomia patrimoniale e profili di responsabilità del contratto di rete nelle sue diverse configurazioni
I. La rete-soggetto
II. La rete-contratto
2. Fallimento delle reti di imprese nella normativa previgente
3. Fallimento delle reti di imprese alla luce della nuova normativa sul contratto di rete di imprese
I. La rete-soggetto
II. La rete-contratto
III. La rete leggera e leggerissima
CAPITOLO I – IL CONTRATTO DI RETE TRA ANALOGIE ED ESIGENZE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
Mater artium necessitas
Nell’ambito dell’attuale panorama economico, la conformazione delle imprese industriali si connota per la preminente presenza di gruppi nei quali i soggetti preposti alle funzioni di direzione strategica sono diversi da quelli preposti alle funzioni operative.
Difatti, i raggruppamenti fra imprese sono diventati la forma giuridica più idonea a svolgere attività nel contesto dell’economia post-industriale.
Ciò non solo per l’esigenza di diversificare i rischi, ma anche per consentire la possibilità di essere presenti in mercati differenti.
Quindi, il rapporto di gerarchia che vede l’imprenditore quale unico vertice decisionale viene sempre più sostituito da un modello che prevede un rapporto dialettico tra i partecipanti, che può assumere le più differenti forme in relazione ai vantaggi e agli obbiettivi che si intende raggiungere.
In tale contesto, risulta evidente come attualmente l’impresa costituisca soggetto e oggetto dell’economia.
Oltretutto stiamo assistendo anche a un fenomeno di frammentazione della nozione di soggettività giuridica: i centri di interesse non sono più individuali, ma plurisoggettivi.
Infatti, se in passato i capitali utilizzati e investiti in un determinato settore potevano transitare da un campo all’altro con difficoltà, è indubbio che oggi gli stessi circolino con maggiore facilità.
È un dato di fatto che le grandi imprese decidono sempre più spesso di delocalizzare i propri centri produttivi, collocandoli nei luoghi ove la produzione può essere realizzata con maggiore convenienza.
In tale composito contesto, la leadership dell’economia globale non spetta più allo Stato, ma si sposta verso le grandi imprese multinazionali.
Per effetto della globalizzazione, con il superamento del binomio mercato- territorio, si è realizzato anche il superamento del rapporto impresa-Stato.
Il singolo Stato non può più essere considerato l’unico protagonista del mercato in quanto, da un lato il tessuto economico interno è profondamente mutato “con la conseguenza che gli organismi produttivi di beni e servizi hanno assunto i lineamenti di istituzioni autonome, capaci di condizionare le scelte economiche nell’ambito del mercato”1, e d’altro lato l’Unione Europea impone agli Stati membri il rispetto delle regole dalla Stessa poste (si pensi ad esempio alla materia dell’antitrust).
Venendo all’Italia, nel passato la Stessa ha avuto tra i punti di maggiore forza i distretti industriali, aggregazioni industriali di imprese localizzate le une vicino alle altre.
Alla data odierna, le nuove tecnologie hanno permesso alle imprese di instaurare (e di mantenere) reciproci contatti pur non risultando le stesse collocate in posizioni contigue; infatti la concentrazione geolocalizzata di più imprese in un territorio non costituisce più il fattore determinante per la cooperazione tra le imprese.
Le considerazioni ora svolte hanno spinto e spingono nella direzione di nuove forme di aggregazione, nuove forme di aggregazione che hanno trovato nella categoria del contratto uno strumento tipico e adeguato a configurare nuovi assetti imprenditoriali.
Ciò in quanto, se è vero che con il contratto è possibile dare seguito alla esigenza di una libera cooperazione tra le imprese, è altresì vero che tale strumento consente la predisposizione di modelli per così dire “preconfezionati”2 dove gli elementi schematici sono offerti dal legislatore per rispondere alle più disparate esigenze.
Tornando all’Italia, e venendo alle piccole imprese, come sopra accennato, l’economia del nostro paese non è stata in grado di crescere nello stesso modo in cui sono cresciute numerose altre economie, a causa di una crisi generale e strutturale che è andata a minare le risorse e gli investimenti; in tal modo le nostre imprese non sono risultate in condizione di affrontare le nuove sfide proposte a livello mondiale, non risultando sufficientemente competitive, non avendo abbandonato i modelli produttivi risalenti agli anni 70, che oggi si rivelano quale causa della frammentarietà e della staticità del mercato interno.
1 XXXXX G., I contratti di rete tra imprese, Giappichelli Editore, Torino, p. 3
2 Cfr. XXXXXXXX E., I contratti-tipo, Napoli, 2017 pp. 17 ss.
Ecco le ragioni per le quali le piccole imprese – da sempre preziosissima risorsa per la nostra economia e caratteristica strutturale della stessa - non risultano più in grado di fronteggiare le sfide della concorrenza, della produzione e dello scambio che si giocano nel nuovo mercato, un mercato globale non più ristretto negli angusti confini nazionali.
La conquista di nuove quote di mercato è oggi legata all’aumento della produttività e della qualità dei servizi offerti, obbiettivi che richiedono non solo ingenti capitali, ma soprattutto capacità coordinate, dovendo le imprese necessariamente operare rapportandosi le une con le altre.
Eccoci allora al contratto di rete.
Il legislatore nazionale ha istituito e disciplinato, invero non senza difficoltà, un modello di cooperazione rivolto agli imprenditori che, per accrescere la rispettiva capacità innovativa e competitività sul mercato, istituiscono un’organizzazione volta alla realizzazione di un programma comune, collaborando in forme e in ambiti relativi all’esercizio delle proprie attività, scambiandosi informazioni e/o prestazioni ed esercitando una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa.
Risulta in tal modo evidente come il legislatore, consapevole dei caratteri strutturali e organizzativi delle nostre imprese, abbia inteso predisporre uno strumento “ad hoc” che consenta alle imprese retiste di mantenere la propria autonomia e la propria individualità, consentendo, allo stesso tempo, di presentarsi all’esterno come un unicum. In tal modo, peraltro, avendo un più facile accesso al mondo del credito3, le imprese risultano in grado di aumentare la produzione, di essere più competitive sul mercato e (soprattutto) di attrarre sempre maggiori investimenti.
Operando in tal modo il legislatore è venuto incontro all’esigenza della classe imprenditoriale alla definizione – al fine di collocarsi utilmente nel mercato globalizzato - di modelli collaborativi idonei a garantire stabilità e integrità dei rapporti, rapporti che tuttavia non devono comportare la perdita di autonomia.
Pertanto, sebbene il fenomeno delle reti d’imprese non rappresenti una novità4; preesistendo allo stesso molteplici schemi di relazioni contrattuali di imprese o di
3 Le possibilità di ottenere maggiori finanziamenti per agire collettivamente costituisce un profilo utile per comprendere le ragioni del corrente sviluppo delle reti
4I temi del c.d. contratto relazionale e delle conseguenze giuridiche connesse all’utilizzo di schemi di collegamento negoziale caratterizzati da una stabilità temporale sono stati approfonditi da parte della dottrina americana. Cfr. XXXXXXX X., Contracts, Adjustment of long-term economic relations under
organizzazioni collegiali, è solo con le reti di imprese che nascono relazioni paritarie tra i partecipanti, che non compromettono la identità e l’autonomia di ogni singola impresa.
E proprio questo risulta essere il peculiare carattere innovativo dell’istituto, che lo connota e che gli consente di rispondere appieno alle esigenze delle imprese operanti nell’ambito del nostro ordinamento.
classical, neoclassical and relational contract law, in Northwesterm University Law Review, 1978, pp. 854 ss.
Cornice normativa ed evoluzione della disciplina
Il legislatore italiano negli ultimi anni ha mostrato un sempre crescente interesse per il fenomeno delle reti di imprese, e ciò, in particolare, in conformità di quanto stabilito dalla Decisione 1639/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 2006, che istituisce un programma quadro per la competitività e l’innovazione (2007-2013)5.
Il legislatore comunitario, istituendo il predetto programma quadro per l’innovazione e la competitività, ha delineato un quadro coerente per migliorare la competitività e il potenziale d’innovazione all’interno dell’Unione Europea, attraverso azioni, sostenute dal programma, volte a favorire lo sviluppo e la promozione della competitività delle imprese, dell’innovazione, della società dell’informazione e dell’efficienza energetica, nonché lo sviluppo sostenibile basato su una crescita economica equilibrata.
Nel dare atto che gli interessi delle piccole e medie imprese (PMI) costituiscono priorità trasversali caratterizzanti l’insieme del programma, il predetto programma risulta composto da tre sottoprogrammi specifici6, nell’ambito dei quali assume particolare rilievo il “Programma per l’innovazione e l’imprenditorialità” che riunisce azioni volte a promuovere l’imprenditorialità, la competitività industriale e l’innovazione e riguarda in maniera specifica le PMI, le «gazzelle» (imprese a forte
5 Decisione 1639/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 2006, in G.U. L 310 del 9.11.2006; cfr. anche Regolamento (UE) n. 670/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2012, in X.X.X.X. X 000 xxx 00.0.0000, xxxxxxx “Modifica la decisione n. 1639/2006/CE che istituisce un programma quadro per la competitività e l’innovazione (2007-2013) e il regolamento (CE) n. 680/2007 che stabilisce i principi generali per la concessione di un contributo finanziario della Comunità nel settore delle reti transeuropee dei trasporti e dell’energia”
6 Nel dettaglio: il programma per l’innovazione e l’imprenditorialità, il programma di sostegno strategico in materia di TIC e il programma «Energia intelligente – Europa» (EN)
potenziale di crescita) ad alta tecnologia, fino alle microimprese e alle imprese familiari rappresentanti la grande maggioranza delle imprese europee.
Finalità del programma è quella di facilitare l’accesso delle PMI al finanziamento e agli investimenti nella loro fase di avviamento e di crescita, nonché l’accesso delle imprese a informazioni e consulenze sul funzionamento del mercato interno e sulle sue possibilità, nonché sulla normativa comunitaria ad esse applicabile e sulla normativa futura cui esse possono prepararsi e adattarsi a basso costo7. E’ altresì previsto lo scambio fra Stati membri delle migliori prassi seguite, al fine di creare un migliore ambiente normativo e amministrativo per le imprese e l’innovazione.
Quindi, a livello dell’Unione, il progresso tecnologico e la promozione di nuove forme di cooperazione rappresentano e costituiscono la chiave di volta per il successo delle PMI e, più in generale, dell’intera Unione.
In tale contesto assumono, per il legislatore dell’Unione, particolare importanza le “attività di rete”.
Illuminante risulta, in proposito, il considerando 35 della richiamata Decisione 1639/2006/CE in forza del quale “Le azioni comunitarie in materia di innovazione mirano a sostenere lo sviluppo di una politica dell’innovazione negli Stati membri e nelle loro regioni, e a facilitare lo sfruttamento degli effetti sinergici tra politica nazionale, regionale ed europea in materia d’innovazione, con le relative attività di sostegno. La Comunità è in grado di agevolare gli scambi transnazionali, l’apprendimento reciproco e le attività di rete, e può guidare la cooperazione sulla politica dell’innovazione. Le attività di rete fra le parti interessate sono fondamentali per favorire il flusso di competenze e idee necessario per l’innovazione”.
Nell’ambito di una tale cornice, uno dei più efficaci strumenti per perseguire le predette finalità e per adattarsi al cambiamento è stato rinvenuto in un nuovo modello negoziale di cooperazione e collaborazione, che incentra la propria ragione d’essere su un meccanismo fiduciario in grado di contemperare interessi comuni e scopo egoistico, competitività e innovatività, garantendo un più rapido reperimento di finanziamenti, una implementazione di nuovi know-how e un miglioramento nel rating aziendale.
Nel nostro ordinamento, la prima disposizione specificamente riferita alle reti di imprese è rappresentata dall’art. 7 del disegno di legge recante «Interventi per
7 Sottolineandosi, a riguardo, l’importantissimo ruolo svolto dalla rete Enterprise Europe.
l’innovazione industriale», presentato dal responsabile dello Sviluppo economico e approvato il 22 settembre 2006 dal Consiglio dei ministri, il cui articolo 7 (rubricato “Delega in materia di configurazione giuridica delle reti di impresa”), recava delega al Governo ad adottare uno o più decreti legislativi, volti, in conformità alla normativa comunitaria, a: “a) definire le forme di coordinamento stabile di natura contrattuale tra imprese aventi distinti centri di imputazione soggettiva, idonee a costituire in forma di gruppo paritetico o gerarchico una rete di imprese; b) definire i requisiti di stabilità, di coordinamento e di direzione necessari al fine di riconoscere la rete di imprese; c) definire condizioni, modalità, limiti e le tutele che assistono l’adozione dei vincoli contrattuali di cui alla lettera a); d) definire, anche con riguardo alle conseguenze di natura contabile e impositiva, gli effetti giuridici della rete di imprese, eventualmente coordinando o modificando le norme vigenti in materia di gruppi e consorzi di imprese; e) con riferimento alle reti che comprendono imprese aventi sede legale in diversi Paesi, prevedere una disciplina delle reti transnazionali, eventualmente distinguendo tra reti europee e reti internazionali; f) prevedere che ai contratti di cui alla lettera a) possano aderire anche imprese sociali, nel rispetto della disciplina di cui al decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155, nonché, seppure in posizione minoritaria, enti senza scopo di lucro che non esercitino attività d’impresa”.
Il predetto disegno di legge non completò il suo corso.
La rete di imprese ha fatto la sua prima (e fugace) apparizione nel nostro ordinamento con l’art. 6-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito in legge”, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (rubricato “Distretti produttivi e reti di imprese”) che testualmente disponeva8:
"1. Al fine di promuovere lo sviluppo del sistema delle imprese attraverso azioni di rete che ne rafforzino le misure organizzative, l'integrazione per filiera, lo scambio e la diffusione delle migliori tecnologie, lo sviluppo di servizi di sostegno e forme di collaborazione tra realtà produttive anche appartenenti a regioni diverse, con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
8 La riportata disposizione è stata dapprima modificata dall’art. 3, comma 1 del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito con modificazioni dalla Legge 9 aprile 2009, n. 33, e successivamente abrogata dall’art. 1, comma 2 della Legge 23 luglio 2009, n. 99.
le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono definite le caratteristiche e le modalità di individuazione delle reti delle imprese e delle catene di fornitura.
2. Alle reti, di livello nazionale, delle imprese e alle catene di fornitura, quali libere aggregazioni di singoli centri produttivi coesi nello sviluppo unitario di politiche industriali, anche al fine di migliorare la presenza nei mercati internazionali, si applicano le disposizioni concernenti i distretti produttivi previste dall'articolo 1, commi 366 e seguenti, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, come da ultimo modificati dal presente articolo, ad eccezione delle norme inerenti i tributi dovuti agli enti locali”.
Di rilievo, a riguardo, è la definizione di reti di imprese quali “libere aggregazioni di singoli centri produttivi coesi nello sviluppo unitario di politiche industriali”.
La riportata disposizione9 - nell’individuare uno strumento negoziale duttile tramite il quale condurre in maniera condivisa e in rapporto di collaborazione e cooperazione, attività di impresa per raggiungere i vantaggi competitivi della grande scala (come ad esempio lo sfruttamento di economie di scala), senza ricorrere al tramite di scelte limitative della individualità imprenditoriale come fusioni, integrazioni di tipo gerarchico o acquisizioni – rende manifesta la determinazione del legislatore di stimolare il progresso e la competitività delle imprese secondo un nuovo schema, e non più esclusivamente attraverso norme di diritto pubblico, di diritto societario o di diritto della concorrenza.
Nasce quindi il contratto di rete, istituto immediatamente accolto con favore dal sistema delle imprese10.
Istituto già novellato più volte, dalla genesi particolarmente articolata e, probabilmente, non ancora conclusa.11
9 Di rilievo è sottolineare come la disposizione demandasse la definizione delle caratteristiche e delle modalità per individuare le reti d’imprese a un successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico e come, inoltre, venissero estese le previsioni di favore dettate per i distretti produttivi alle cooperazioni reticolari.
10 Il successo di tale istituto è confermato dai dati statistici forniti dall’Osservatorio sui contratti di rete di Unioncamere, consultabili sul sito web: xxx.xxxxxxxxxxxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx. Da tale analisi risulta che, al 1° giugno 2014, i contratti di rete stipulati sono 1590 e coinvolgono 7870 soggetti giuridici. Si registra inoltre, una capillare diffusione su tutto il territorio nazionale senza eccessive disuguaglianze tra il settentrione e il meridione.
11 Per un’analisi delle principali criticità della genesi del contratto di rete v. X. XXXXXXX, “Il contratto” e la “rete”: brevi note sul riduzionismo legislativo, in GRANIERI M., Il contratto di rete: una soluzione
La disposizione normativa di riferimento, con la quale il legislatore è intervenuto organicamente, è rappresentata dall’art. 3, comma 4-ter e ss. del D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, introdotto dalla Legge di conversione 9 aprile 2009 n. 3312.
Tale disposizione, in netta controtendenza rispetto alla disciplina previgente, è pervenuta a una vera e propria tipizzazione della figura di reti di imprese.
Il fenomeno è stato dunque identificato, a livello normativo, in più imprese tenute a esercitare comunemente una (o più) attività economica rientrante nei rispettivi oggetti sociali, con lo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato attraverso l’istituzione di un organo comune, disciplinato dalle regole ordinarie della comunione nel difetto di una espressa previsione legislativa, non dotato di autonomia patrimoniale.
Il legislatore, come detto, è tuttavia immediatamente tornato sul tema, dettando disposizioni profondamente modificative, con la l. 23 luglio 2009, n.9913, e ciò anche in considerazione del fatto che la definizione di rete di imprese di cui all’originario testo dell’art. 3, comma 4-ter del D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, risultava incompleta e del tutto distante dal modello economico di rete così come tipizzato dalla secolare letteratura economica.
Nel dettaglio, il nuovo intervento del legislatore ha apportato modifiche di rilevo e di sostanza, tra le quali è necessario segnalare l’espressa estensione – attraverso l’inserimento di un inciso alla lettera c) del predetto comma 4-ter - al fondo patrimoniale delle disposizioni dettate in tema di fondo consortile (artt. 2614-2615 c.c.), seppure con il limite della compatibilità, permettendo dunque agli imprenditori aderenti di poter beneficiare, per il fondo della rete, di un’autonomia e di una separatezza necessarie per assicurare garanzia a terzi e a nuovi aderenti.
Ancora è da segnalare la riformulazione della lett. b) dell’art. 3, co. 4-ter citato, in forza del quale le imprese sono tenute a indicare all’interno del contratto la natura strategica degli obiettivi perseguiti dalla rete e le modalità con le quali tali obiettivi (e le attività in comune) possano apportare un “miglioramento della capacità innovativa
in cerca del problema?, in Reti d’impresa e contratto di rete: spunti per un dibattito, (a cura di) XXXXXXX X. – XXXXXXXXXXXXX X., in Contratti, 2009, pp. 936 ss.
12 Il testo integrale della legge, rubricata “Conversione in legge, con modificazioni del decreto-legge 10 febbraio 2009, n.5, recante misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario”, è pubblicato in G.U., 11 aprile 2009, n. 85, suppl. ord. n. 136.
13 Legge 23 luglio 2009, n.99, “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”; pubblicata in G.U., 31 luglio 2009, n.176, suppl. ord. n. 136.
e della competitività sul mercato”, e ciò a differenza della previgente disciplina che richiedeva, in modo più generico, “l’indicazione delle attività comuni poste a base della rete”.
Il nuovo intervento normativo, nel ridisegnare l’istituto, ha delineato alcuni tratti peculiari e ha evidenziato diversi elementi particolarmente significativi (che avvicinano l’istituto delle reti di imprese a quello oggi delineato dal legislatore), quali: la natura di contratto plurilaterale con comunione di scopo; l’obbligo d’istituzione di un organo comune cui è attribuita la gestione del programma di rete e la rappresentanza delle imprese aderenti; l’obbligo di esercizio in comune di una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali al fine di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività; l’obbligo di previsione di un patrimonio di rete nella duplice (e alternativa) forma del fondo comune o della costituzione di patrimoni destinati all’affare, ai sensi dell’art.2447-bis cod. civ.; l’obbligo di forma per la stipulazione il contratto (atto pubblico o scrittura privata autenticata); l’obbligo di indicazione di una durata; l’obbligo di iscrizione del contratto in tutti i registri delle imprese nei quali hanno sede le imprese aderenti.
Ma ancora una volta, a poco tempo di distanza, il legislatore ha sentito la necessità di intervenire nuovamente sulla disciplina dell’istituto. Ciò anche facendo proprie le richieste della dottrina, delle associazioni di categoria e del notariato che, sebbene da punti di vista differenti, avevano evidenziato la necessità di adottare talune disposizioni correttive.
Con l’art.4214 della l. 30 luglio 2010, n. 12215, il legislatore ha quindi dettato nuove disposizioni ridisegnando alcuni tratti peculiari dell’istituto.
In particolare la novella ha operato il testuale riferimento a “imprenditori”16, con ciò superando i profili problematici che originavano dal previgente dato normativo che gettava ombra sul requisito soggettivo dell’istituto operando riferimento a due o più “imprese” (e a maggior ragione per il riferimento ai “rispettivi oggetti sociali”), elementi questi tali da suscitare non poche perplessità in particolare con riferimento a
14 Rubricato “Rete di imprese”
15 Di conversione del d.l. 31maggio 2010, n. 78, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica”
16 In assenza di chiarimenti o specificazioni, il termine imprenditore deve essere interpretato in senso sostanziale di cui all’art. 2082 cod. civ. anche se nella prassi viene spesso ricompreso chi può qualificarsi tale (imprenditore) unicamente in senso formale (ovvero colui che soddisfa il requisito della avvenuta iscrizione nel registro delle imprese). Sul punto x. XXXXXXX P., Xxxx e contratto di rete, Cedam, Padova 2012, pp. 88, 173.
quelle imprese organizzate in forma non societaria. Ancora è stato operato un intervento sull’oggetto del contratto; sempre al fine di non impedire agli imprenditori individuali di aderire alle reti, è stata sostituita la previsione di “esercitare in comune una o più attività economiche rientrante mi rispettivi oggetti sociali” con quella di “collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese, scambiarsi informazioni o prestazioni, esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”.
Infine la disposizione è stata modificata al fine di ricomprendere nell’ambito della definizione della rete di imprese tutti quei caratteri che da sempre connotano le reti economiche.
L’istituto del contratto di rete, quindi, si evolve e le caratteristiche di rilievo diventano le seguenti: facoltatività dell’istituzione di un organo comune e del patrimonio di rete; espresso richiamo, con riferimento ai rapporti tra organo comune e impre(se)nditori retisti, alla disciplina dettata in tema di xxxxxxx00; sostituzione della previgente (lacunosa) disciplina in tema di recesso con la introduzione di particolari e puntuali disposizioni, in ogni caso rimanendo ferma l’applicazione delle regole generali in materia di scioglimento dei contratti plurilaterali con comunione di scopo; precisazione nella descrizione della causa del contratto con la l’aggiunta degli avverbi “individualmente e collettivamente” in relazione all’accrescimento della capacità innovativa e della competitività; sospensione d’imposta che riguarda la quota di utili di esercizio destinati dalle imprese retiste al fondo patrimoniale per il raggiungimento degli obiettivi strategici indicati in contratto e lo svolgimento delle attività definite nel programma di rete.
Prima di ulteriori interventi di carattere specifico, nell’anno 2011 il legislatore è intervenuto sul tema delle reti di imprese con una disposizione di carattere generale, e precisamente con la Legge 11 novembre 2011, n. 180, recante “Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese”, che all’art.1, comma 5, lett. h) indica tra le finalità dello statuto dell’imprenditore quella di “adeguare l’intervento pubblico e l’attività della pubblica amministrazione alle esigenze delle micro, piccole e medie
17 Sebbene autorevole Xxxxxxxx (CAFAGGI F., Il nuovo contratto di rete: “learning by doing?, in I Contratti, 2010, 12) abbia rilevato che questa sia una delle novità più rilevanti portate dalla riforma, è opportuno ricordate che tutti i contratti di rete stipulati ante riforma regolavano i rapporti tra organo comune e soggetti retisti rinviando alla disciplina del mandato.
imprese nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.
Quindi, la promozione di politiche volte all’aggregazione tra imprese, anche attraverso il sostegno ai distretti e alle reti di impresa, è stata espressamente contemplata quale principio generale che concorre a definire lo statuto delle imprese e dell’imprenditore, dall’art. 2, lett. n) della richiamata Legge 11 novembre 2011, n. 180.
Inoltre – e correlativamente - il legislatore ha stabilito all’art. 13, comma 2, lett. c) che la pubblica amministrazione e le autorità competenti debbano “semplificare l’accesso agli appalti delle aggregazioni fra micro, piccole e medie imprese, privilegiando associazioni temporanee di imprese, forme consortili e reti di impresa, nell’ambito della disciplina che regola la materia dei contratti pubblici”.
Le disposizioni richiamate, pur auspicando l’accesso delle reti di imprese alle procedure di gara per l’affidamento di contratti pubblici, non individuavano le modalità attraverso le quali potesse concretamente realizzarsi tale partecipazione, con la conseguenza che sono risultati necessari, al fine, ulteriori interventi del legislatore e dell’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici (che saranno esaminati nell’ambito del paragrafo 3 del capitolo II del presente scritto) anch’essi confermativi del favor legislativo nei confronti di questo istituto.
Tornando alle disposizioni che sono specificamente intervenute sulla (configurazione e sulla) disciplina dell’istituto, osservo come il legislatore sia ancora più di recente, intervenuto per semplificare e rendere ancora più “appetibile” la conclusione di contratti di rete, con la disposizione di cui all’art. 45, d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, in l. 7 agosto 2012, n. 13418, recante “Misure urgenti per la crescita del paese”.
Ancora una volta il legislatore ha quindi dettato nuove disposizioni ridisegnando alcuni tratti peculiari dell’istituto.
Viene stabilito, all’evidente fine di semplificare il procedimento di conclusione del contratto, che il contratto può essere redatto, oltre che per scrittura privata autenticata e atto pubblico, anche per “atto firmato digitalmente a norma degli articoli 24 o 25
del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 e successive modificazioni”19. Ai fini pubblicitari, viene stabilito che è consentito dare pubblicità alle eventuali modifiche del contratto di rete per mezzo di una singola e unica iscrizione nel registro delle imprese della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura presso cui è iscritta l’impresa indicata in contratto come incaricata di tale adempimento, risultando poi di competenza del predetto ufficio darne comunicazione a tutti gli altri registri presso cui sono iscritte le imprese retiste20. Ancora, viene stabilita la possibilità di riconoscimento di soggettività giuridica alla rete per il tramite dell’iscrizione nel registro delle imprese dove è stabilita la sede della rete, con necessità che la stessa sia dotata di un fondo patrimoniale comune. Viene inoltre tipizzato un nuovo obbligo avente a oggetto la redazione da parte della rete, entro due mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale, di una situazione patrimoniale osservando, per quanto compatibili, le norme dettate in tema di bilancio di esercizio delle società per azioni e di depositarla presso l’ufficio delle imprese ove ha sede la rete. Infine, viene estesa alle reti – con disposizione che manifesta ulteriormente il favor del legislatore nei confronti dell’istituto - la concessione dei contributi previsti dall’art. 42, co. 6, del d.l. 83/2012, convertito, con modificazioni, in l. 7 agosto 2012, n. 13421, in favore dei consorzi aventi ad oggetto “la diffusione internazionale dei prodotti e dei servizi delle piccole e medie imprese, nonché il supporto alla loro presenza nei mercati esteri anche attraverso la collaborazione e il partenariato con imprese estere”.
Tuttavia, a distanza di pochissimi mesi il legislatore è di nuovo intervenuto sull’argomento.
L’art. 36, comma 4 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, in legge 17 dicembre 2012, n. 221, recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese (decreto sviluppo bis)”, ha stabilito testualmente che “Il contratto di rete
19 Art. 3, co. 4-xxxxxx, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, cit.
20 Art. 3, co. 4-xxxxxx, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, cit; in ragione delle esigenze di certezza del diritto e dei traffici giuridici, sembrerebbe corretta la tesi che vede opponibile la modifica solo a seguito dell’ultima iscrizione.
che prevede l’organo comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività salva la facoltà di acquisto della stessa ai sensi del comma 4-quater ultima parte”22.
Una tale precisazione – resasi necessaria in relazione alla portata dirompente della precedente novella - chiarisce definitivamente – quanto meno a livello normativo – i termini della soggettività della rete, resa completamente facoltativa e rimessa alla scelta discrezionale delle imprese retiste, subordinandone il riconoscimento a un mero adempimento formale.
In conclusione, l’evoluzione del quadro di regolamentazione giuridica delle reti di imprese consente di svolgere talune brevi considerazioni.
Il legislatore italiano ha istituito e disciplinato, invero con molteplici interventi susseguitisi anche a breve distanza di tempo, un nuovissimo e innovativo modello di cooperazione, caratterizzato da un rapporto fiduciario e da una comunione di scopo, senza alcuna alterazione dell’autonomia delle imprese retiste “in grado di perseguire due obbiettivi contrapposti e difficilmente conciliabili per una singola impresa: economie di scala e flessibilità”23.
Tale intervento si pone perfettamente in linea con i principi e le disposizioni di cui alla Comunicazione COM (2008) 394 del 25 giugno 200824 in tema di Small Business Act e con il principale principio inspiratore della predetta Comunicazione “think small first”, costituendo a ben vedere uno dei primi interventi di attuazione della predetta Comunicazione, facendo sì che la tipizzazione a livello nazionale di tale figura giuridica costituisca un unicum nel panorama di riferimento25.
Fermo restando il fatto che la regolamentazione del fenomeno, pur rivestendo carattere applicativo, costituisce solo il punto di partenza per una sempre più effettiva ed efficiente collaborazione e aggregazione tra le PMI.
È di rilievo sottolineare come l’evoluzione del quadro normativo, sopra passata in rassegna, presenti sempre una costante, al pari delle disposizioni dell’Unione sopra
22 Decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, in Suppl. ordinario n. 194 alla Gazz. Uff., 19 ottobre 2012, n. 245, convertito con modificazioni in legge 17 dicembre 2012, n. 221, in Suppl. ordinario n. 208 alla Gazz. Uff., 18 dicembre 2012, n. 294.
23 ROMANO F., Contratti di rete e processo di modernizzazione dell’economia italiana, in Notariato,
2012, p. 78
24 Comunicazione COM (2008) 394 del 25 giugno 2008 della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, recante “Una corsia preferenziale per la piccola impresa” Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (un “Small Business Act” per l’Europa)”.
25 GUZZARDI X., Cooperazione imprenditoriale e contratto di rete, CEDAM, 2014, p. 40
richiamate: un evidente e sempre maggior favor legislativo nei confronti di questo istituto.
È altresì di rilievo sottolineare, come sopra anticipato, che l’evoluzione del quadro normativo non ha seguito un andamento lineare.
A riguardo deve tuttavia ricordarsi come le reti d’impresa, oltre a (e prima di) essere state tipizzate a livello giuridico, costituiscono un fenomeno economico di ampio respiro difficile da ricomprendere e da “incanalare” in una disciplina unitaria; a riguardo basti pensare che prima dell’introduzione di una esplicita disciplina, il modello reticolare si dimenava tra tre principali modelli: società (in particolar modo consortili), contratti plurilaterali (associazione temporanee d’imprese, joint ventures e consorzi), contratti collegati (come franchising o subfornitura).
In tale quadro il legislatore è dovuto intervenire al fine di ricomprendere tutti questi fenomeni (nonché le loro più varie configurazioni e combinazioni) in una sola figura denominata rete di imprese26.
Figura la cui rilevanza riveste carattere generale (e generalizzato) e istituzionale, come peraltro reso evidente dal fatto che, come visto, il già richiamato “Statuto delle imprese”, definite le reti di impresa come “le aggregazioni funzionali tra imprese che rientrano nelle definizioni recate dal decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, e dall'articolo 42 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122” (art. 5, lett. f), ha espressamente indicato tra i princìpi generali, che concorrono a definire lo statuto delle imprese e dell'imprenditore, “la promozione di politiche volte all'aggregazione tra imprese, anche attraverso il sostegno ai distretti e alle reti di imprese” (art. 2, comma 1, lett. n).
26 Di diverso avviso è quella parte della dottrina (cfr. XXXXXXX X., “Il contratto” e la “rete”: brevi note sul riduzionismo legislativo, cit.) che ritiene tale tipizzazione anomala, avendo il legislatore provveduto solamente a definire, e non disciplinare, un nuovo tipo di contratto.
Nozione economica di rete di imprese
Gli economisti indicano con la locuzione reti di imprese “differenti forme di aggregazione imprenditoriale riconducibili a modelli organizzativi intermedi tra la gerarchia ed il mercato: non si tratta infatti di legami di tipo proprietario-gerarchico tali da annullare l’indipendenza decisionale delle imprese coinvolte, ma di relazioni di tipo stabile e cooperativo, volte a generare e gestire rapporti di interdipendenza tra differenti ed autonomi soggetti economici”27.
Le reti di imprese rappresentano, come reso evidente dalla richiamata definizione, una modalità organizzativa alternativa all’impresa integrata verticalmente, modalità volta a fronteggiare esigenze competitive legate all’accesso alle informazioni, all’internazionalizzazione e alla delocalizzazione della filiera produttiva e distributiva e alla necessità di dare corso a investimenti in innovazione
Due risultano i requisiti che connotano e caratterizzano la fattispecie in esame e che, necessariamente, devono coesistere.
In primo luogo la “cooperazione”.
Trattasi di una collaborazione stabile, in qualsiasi forma la stessa si realizzi, di regola finalizzata al perseguimento di vantaggi e guadagni in termini di efficienza connessi allo svolgimento delle rispettive attività d’impresa dei soggetti partecipanti.
Tale collaborazione, chiaramente, può riguardare molteplici profili e vari momenti del ciclo economico, dando vita a una ampissima gamma di fenomeni, quali le reti di produzione o quelle di distribuzione.
In secondo luogo, la “interdipendenza”.
Il rapporto di interdipendenza che lega i partecipanti si può concretizzare o nella complementarità tra gli asset specifici di cui ciascun partecipante è titolare, ovvero nella condivisione tra i partecipanti di investimenti e risorse concernenti talune delle proprie attività.
27 GARILLI C., Il contratto di rete e diritto antitrust, Giappichelli editore, Torino, 2017, p. 8
Tale interdipendenza costituisce un carattere intrinsecamente correlato al fenomeno reticolare.
Collaborazione e interdipendenza consentono di creare un modello (di rete) che permette di esternalizzare un’attività senza spogliarsi completamente del controllo di essa, in tal modo beneficiando degli effetti positivi di riduzione dei costi e, contemporaneamente, di neutralizzare gli effetti negativi collaterali connessi al suo abbandono.
In breve “si tratta di non perdere di vista opportunità che potrebbero emergere successivamente nel processo di negoziazione futura”28.
Ciò in quanto il ricorso agli scambi di mercato ha un costo determinato che, in talune situazioni, può arrivare a rappresentare un importo significativo e molto elevato. Per tale ragione le imprese sono spinte da un lato a “internalizzare” le funzioni di cui hanno maggiormente bisogno, e d’altro lato a “esternarnalizzare” le funzioni che risultano più lontane rispetto agli obiettivi dalle stesse perseguiti, con determinazioni volte a non disperdere le conoscenze del processo produttivo e a orientare la produzione nel modo più puntuale.
Negli ultimi anni lo studio del fenomeno reticolare è stato molto vivace, e le relative tematiche hanno apportato nuova linfa all’analisi economica del diritto.
I risultati di tale dibattito si connotano per una sostanziale unitarietà di indirizzi, diversamente da quanto accade nell’ambito del dibattito sulla natura giuridica delle reti di imprese.
Il punto di partenza dell’analisi economica è il seguente: un’impresa, per essere e rimanere competitiva sul mercato, deve necessariamente ottimizzare i costi di transazione necessari per l’espletamento della propria attività.
Sotto il profilo organizzativo, nel passato le imprese hanno preferito modelli organizzativi di integrazione verticale, dirette a controllare tutte le fasi della propria attività. Con questa modalità si incentivano significative economie di scala e produzioni massive di beni standardizzati.
Più di recente, l’intero processo produttivo è stato suddiviso in più fasi, abbandonandosi il precedente modello, al fine di ridurre i costi di organizzazione. Pertanto le imprese hanno iniziato ad acquistare i beni e servizi in precedenza realizzati
28 Xxxxx G., I contratti di rete tra imprese, cit., p. 202
all’interno, in tal modo facendo lievitare significativamente il numero (e i costi) delle transazioni.
Questo processo di esternalizzazione ha comportato il proliferare di contratti di “outsourcing” o di approvvigionamento esterno, e le imprese hanno adottato prassi in forza delle quali le stesse ricorrono ad altri soggetti per svolgere alcune fasi del proprio processo produttivo o alcune fasi dei processi di supporto alle loro principali attività.
Quindi l’impresa affida a soggetti terzi le attività non rientranti nella propria specifica vocazione imprenditoriale, concentrando le proprie risorse sulle proprie specifiche e peculiari competenze che le consentono di raggiungere una posizione di preminenza, disponendo direttamente dei mezzi a ciò necessari.
Da ciò, conseguentemente, risultati particolarmente significativi, potendosi abbattere i costi diretti razionalizzando gli investimenti e raggiungendo una più ampia flessibilità gestionale.
Ma gli effetti non sono solo positivi.
Infatti, quale effetto (collaterale) di tali pratiche, può verificarsi la perdita di conoscenza del settore (conoscenza che si trasferisce a terzi) e il pericolo di una dipendenza da altre imprese (o anche dal solo outsoucer) per gli ambiti dismessi.
Al fine di neutralizzare – per quanto possibile – tali effetti, si sono sviluppati significativamente sia il “backsourcing”, sia lo “insourcing”.
Il “backsourcing” – che rappresenta un’inversione di tendenza – trova ragione nella necessità di riportare nell’ambito di funzioni interne il controllo e la gestione delle attività precedentemente esternalizzate.
Lo “insourcing” implica la determinazione di continuare a svolgere un’attività all’interno della propria impresa non direttamente, ma per mezzo della collaborazione con un soggetto in grado di garantire le conoscenze e i know how necessari per il processo produttivo. L’organizzazione e la esecuzione del processo produttivo, in tal modo, restano all’interno dell’impresa.
Tornando allo outsourcing, la realizzazione della esternalizzazione – che chiaramente può avere differenti ambiti, potendo concernere interi comparti o avere a oggetto un ambito specifico più ristretto senza incidere significativamente sull’assetto generale - può essere attuata con differenti modalità, potendo anche essere portata avanti per gradi. Si pensi alla possibilità di una cessione di un ramo di azienda in favore di una società controllata al 100%, ovvero all’integrale trasferimento di beni e rapporti richiesti per l’esercizio dell’attività dismessa. Ancora si pensi al trasferimento al
soggetto terzo, in modo totale o parziale, della gestione di un determinato settore, mantenendosi il controllo degli aspetti considerati più importanti. Ancora si pensi alla possibilità di costituzione con un’altra impresa di una joint venture. Qualora poi risultasse necessario il rinnovo di un intero ramo aziendale, l’esternalizzazione del servizio potrebbe accompagnarsi a una ristrutturazione del settore aziendale dismesso, potendo l’impresa utilizzare le risorse disponibili per il raggiungimento di differenti finalità.
All’esternalizzazione si accompagna, sovente, la riduzione delle dimensioni dell’impresa, in un processo di c.d. downsizing con collegato superamento della produzione di massa standardizzata. Fattori che spingono in tale direzione sono la crisi globale e la contrazione delle economie di scala.
In tale contesto, si manifesta evidente una tendenza alla riduzione delle dimensioni delle imprese cui corrisponde una maggiore specializzazione nelle attività e nel lavoro.
Correlativamente, a riguardo, si segnalano – e si registrano - due fenomeni significativi.
Da un lato, globalizzazione e possibilità di offrire merci in un mercato senza confini spingono le imprese a unirsi e a collaborare per essere presenti anche in mercati esteri. Le imprese scelgono di diversificare le loro attività per essere più competitive, unendosi con chi condivide i medesimi interessi e competenze.
Dall’altro, le imprese preferiscono concentrare risorse verso attività principali, delegando a terzi gli aspetti organizzativi di natura accessoria. Le imprese investono nella specializzazione settoriale riducendo i costi e ristrutturandosi all’interno; in questa ipotesi, per evitare di abbassare i livelli di produzione e per poter disporre di personale specializzato, le imprese formano un vincolo di rete in modo da scambiare il capitale umano necessario a raggiungere gli obbiettivi prefissati.
Trattasi all’evidenza di fenomeni tra di loro antitetici che hanno origine dalla medesima situazione.
Ebbene, entrambi tali fenomeni giustificano la nascita delle reti di imprese.
“Reti non gabbie”: verso l’internazionalizzazione del contratto di rete. Il modello tedesco
Nel presente paragrafo procederò a svolgere talune considerazioni in merito alla collocazione delle reti d’imprese nell’ambito del mercato italiano e in merito alla necessità di avere riguardo ai mercati esteri per decretare il successo di tale innovativo strumento legislativo.
Evidenziata tale necessità, procederò, anche al fine di poter disporre di utili termini di raffronto, a descrivere brevemente i tratti salienti del quadro normativo che disciplina il fenomeno in Germania.
In ragione dell’attuale fase stagnante dell’economia italiana, le imprese del nostro paese, al fine di poter conseguire uno sviluppo concreto e solido, hanno la necessità di disporre di uno sbocco sui mercati esteri di tutto il mondo, e in particolare, oggi, di quelli dei paesi in via di sviluppo.
In una tale ottica, assume particolare importanza, al fine di poter avere accesso e di competere adeguatamente in questi mercati, la caratteristica della dimensione delle imprese, e ciò soprattutto avuto riguardo al fatto che il panorama nazionale contempla in significativa prevalenza imprese medio-piccole.
A riguardo è doveroso precisare come la dimensione dell’impresa non rappresenti mai di per sé un obiettivo, risultando essa imposta dalle scelte imprenditoriali che, nel determinarla, tengono conto di tutti i fattori inerenti all’esercizio d’impresa (e non ultimo il sistema di governance che va a modellare la struttura amministrativa ovvero considerazioni volte a far sì che la produzione possa continuare a essere svolta all’interno non ricorrendo a fattori esterni).
In ogni caso, la nostra economia è caratterizzata dal fatto che risultano di gran lunga prevalenti le PMI; circostanza, questa, che sotto taluni profili costituisce un handicap.
Un tale carattere limita fortemente le prospettive dell’economia nazionale: la attuale dimensione globale del mercato pone in una situazione di oggettivo vantaggio le imprese di dimensioni più ampie; inoltre, la recente crescita esponenziale delle economie orientali (basti pensare a Singapore, snodo cruciale del Sud-Est asiatico) e la distanza rispetto a tali realtà non fanno altro che inasprire il problema di fondo.
In passato, una tale problematica (come detto legata alla dimensione delle imprese) veniva affrontata e arginata attraverso l’organizzazione in distretti industriali; in tal modo si rendeva possibile una ripartizione dei costi fissi necessari per raggiungere un mercato estero.
Oggi però tali sistemi non risultano più adeguati né idonei al fine, e ciò anche alla luce del fatto che il fenomeno risulta di ben diverse (e maggiori) dimensioni.
E, proprio da tale situazione, le reti di imprese: strumento innovativo per la aggregazione delle diverse PMI volto a rendere possibile la condivisione di una piattaforma comune per conseguire l’accesso ai (distanti) mercati d’esportazione.
In proposito, e anche in relazione a quanto di seguito si dirà, risulta necessario richiamare la nozione di catene del valore globale (global value chains), nozione che rende possibile cogliere le direttive lungo le quali si espande l’economia mondiale.
Il processo produttivo - inteso come la completa gamma di attività che imprese e lavoratori pongono in essere al fine di condurre un prodotto dal suo concepimento al suo utilizzo finale e anche oltre - si articola per ripartizioni dei compiti. In tale ambito risultano ricomprese molteplici attività quali produzione, distribuzione, marketing e assistenza al consumatore finale. Ebbene, in forza della estensione della globalizzazione e delle innovazioni tecnologiche, il modello di produzione che oggi si è affermato vede una pluralità di attori dislocati nelle più varie zone del pianeta.
Conseguentemente, numerosissime imprese sono oggi specializzate in singoli o particolari segmenti del processo produttivo e di tale specializzazione si avvalgono per entrare a far parte e per rimanere nella catena del valore globale, instaurando rapporti di fornitura a monte o a valle.
Atteso che ogni passaggio nel processo produttivo si traduce in un flusso di beni che entrano ed escono da un paese all’altro, si assiste a una rilevantissima crescita nella produzione internazionale di beni intermedi.
Trattasi della “frammentazione internazionale”, fenomeno che, anche in considerazione di quanto sopra premesso, pone seri problemi di competitività per le nostre imprese.
Alla luce di tali considerazioni, dunque, risulta possibile comprendere l’importanza del fenomeno delle reti di imprese: tali reti favoriscono la apertura alle catene del valore globale.
L’importanza per le imprese italiane di “agganciare” le global value chains è evidente. L’effetto positivo si produce non solo in relazione alla produttività, ma anche alla qualità dei prodotti. Inoltre, in tal modo si garantisce (o meglio si rende possibile) l’accesso a una domanda globale, sempre attiva e dai volumi rilevantissimi. In sostanza, allora, reti, non gabbie.29
Evidenziata quindi la necessità di avere riguardo ai mercati esteri per decretare il successo di tale innovativo strumento legislativo, posso procedere a descrivere brevemente i tratti salienti del quadro normativo che disciplina il fenomeno in altri un altro paese europeo: la Germania.
Nell’ordinamento giuridico tedesco il fenomeno delle reti di imprese assume rilevanza non come autonoma fattispecie negoziale, ma come relazione contrattuale30. Più che un fenomeno tipizzato, le reti d’imprese rappresentano quindi un’esperienza di tipo socio giuridico che rende protagonisti i retisti, legati da un rapporto contrattuale di cui la rete costituisce la fonte di aggregazione per la
realizzazione dello scopo comune.
In ogni caso, anche nell’ordinamento tedesco l’obiettivo perseguito tramite il contratto di rete costituisce il punto qualificante della rete, rappresentando l’elemento che tiene uniti tutti i retisti e che funge da collante tra la figura e i vari rapporti che si intrecciano per costituire la base contrattuale fondamentale per tutti i partecipanti alla rete, il c.d. GeschaftsGrundlage.
In quel paese, il modello, che nasce dalle pratiche commerciali che hanno a oggetto la costruzione di macchinari, va a costituire la figura di riferimento ogni qual volta per la realizzazione di un prodotto particolarmente complesso risultino
29 Cfr. ALTOMONTE C. - XXXXX X., Per lo sviluppo d’impresa: reti non gabbie, in Il contratto di rete per la crescita delle imprese, (a cura di) CAFAGGI F., IAMICELI P., XXXXX G.D., Quaderni di Giurisprudenza Commerciale, Xxxxxxx editore, 2012, pp. 15 ss.
30 Cfr. Sezione 705 del codice civile tedesco
necessarie sinergie di più imprese al fine di raggiungere al meglio l’obbiettivo prefissato.
La predetta relazione contrattuale si caratterizza per la circostanza che non vi è un unico contratto cui partecipano più imprenditori, ma una pluralità di fattispecie negoziali tra diversi partners con un’interazione che crea una rete di interconnessione negoziale.
Il profilo di maggior rilievo è rappresentato dai rapporti tra i singoli contratti e dalla relazione contrattuale intesa come sistema, dal momento che spesso, tali rapporti, non hanno un confine preciso.
Nel sistema tedesco, difatti, la rete si configura come modello ibrido tra contratto e società.
E proprio per tale ragione non se ne è avuta una diffusione significativa: la commistione tra le diverse fattispecie rende difficoltosa la applicazione pratica, non avendosi certezza sulla regolamentazione da applicare.
A ciò si aggiunga che la rete acquisisce (autonoma) rilevanza solo in relazione a determinati profili che si manifestano non teoricamente, ma a livello pratico, e in particolare allorché si prospettino soluzioni diverse rispetto a quelle che discendono dal singolo contratto autonomamente considerato.
Ciò spiega il perché l’interesse per la figura si fondi essenzialmente sullo studio dei legami contrattuali, che si affianca all’analisi dogmatica dell’istituto.31
A riguardo, per la dottrina32, sul presupposto che i contratti di rete spiegano effetti per tutti i partecipanti i quali vantano reciprocamente diritti e obblighi, il principio di adesione alla rete comporta, quale inevitabile conseguenza, che le determinazioni assunte a livello gestionale spiegano effetto nei confronti di tutti i partecipanti.
In Germania l’associazione di rete o di retisti è influenzata sia dalla cooperazione che dalla competizione: ciascun retista in primo luogo tutela i propri interessi egoistici, per poi tutelare gli interessi comuni, con la consapevolezza che la realizzazione dello scopo comune non è parte interna di un contratto unico.
31 La struttura dogmatica dei contratti di rete deve essere ancora compiutamente definita: XXXXXXX X.,
Ibridi ed attanti. Attori collettivi ed enti non umani nella società e nel diritto, Mimesis, 2015. 32 MOSCHEL W., Dogmatische Strukturen des bargeldolsen Zahlungsverkerhrs, Archiv fur die civilistiche Praxis, pp. 186-236
Con riferimento alla fattispecie in esame, pertanto, non risultano di immediata applicazione i principi in materia di partnership né quelli che connotano il contratto di rete di imprese nel nostro ordinamento.
Reti di imprese e consorzi
Le analogie tra il contratto di rete e il contratto di consorzio sono molteplici. Il tema, in verità, sarà in più occasioni affrontato nel presente scritto.
Riservando al prosieguo la puntuale trattazione di specifici profili e tematiche, mi soffermerò ora sulle più rilevanti ed evidenti analogie e differenze tra i due istituti.
In via preliminare, devo osservare come in dottrina non siano mancate opinioni di chi, sottolineando le analogie tra i due istituti, ha classificato il contratto di rete come species rispetto al genus dei consorzi con attività esterna.33
Secondo una diversa opinione dottrinaria, consorzio e rete costituiscono fenomeni del tutto distinti che non possono in alcun modo essere accostati in ragione del fatto che la finalità di costituzione della rete è differente rispetto a quella propria dell’organizzazione consortile, il cui programma è quello di incrementare lo sviluppo economico delle imprese34.
In ogni caso, il contratto di rete presenta indubbie analogie con i consorzi con funzione di coordinamento, quale strumento di cooperazione tra imprese.
Dato atto che in entrambe le fattispecie la qualifica soggettiva rivestita dai contraenti deve necessariamente essere quella di imprenditore, lo scopo del contratto di rete è la predisposizione e l’attuazione di un programma collaborativo tra i contraenti con la finalità di innalzare le rispettive capacità innovative e di competitività.
In tale ambito risulta con certezza consentito, analogamente a quanto avviene nel consorzio, dare corso alla costituzione di un’organizzazione comune, nonché svolgere in comune determinate fasi delle rispettive attività di impresa.
33 Cfr. XXXXXX D., Dal consorzio al contratto di rete: spunti di riflessione, in Riv. Comm., 2010, pp. 795 ss.
34 DI SAPIO A., I contratti di rete tra imprese, in Riv. Not., 2011, p. 212; CIRIANNI F., Il contratto di rete, in Notariato, 2010, pp. 442 ss.
Quindi, il contratto di rete si distingue in ragione della obbligatoria presenza di un programma comune perseguito dai retisti. Trattasi tuttavia di un elemento di distinzione di carattere formale, e non certo di sostanza.
In piena coerenza con le analogie tra i due istituti, la disciplina del contratto di consorzio risulta più volte richiamata da quella in tema di contratti di rete, e ciò in particolare con riferimento alla responsabilità per le obbligazioni.
A differenza del consorzio, tuttavia, la costituzione di un’organizzazione comune è facoltativa nei contratti di rete.
In aggiunta a ciò, data l’ampia formulazione legislativa, l’oggetto della collaborazione può essere rappresentato da qualsiasi attività concretamente in grado di permettere ai contraenti il raggiungimento degli obiettivi prefissati e indicati nel programma comune di rete.
In ragione di tale ampiezza, mentre nei consorzi lo scopo è quello di tipo mutualistico, il contratto di rete è inquadrabile come contratto con scopo sia di tipo lucrativo che di tipo mutualistico a seconda dell’attività in concreto espletata in conformità alle direttive consacrate nel programma comune35.
Ribadito come per parte della dottrina non sussistano significative differenze tra consorzio e contratto di rete36, l’intento dei retisti potrà essere sia quello di ripartirsi gli utili conseguiti sia quello di conseguire un vantaggio diretto per le proprie imprese in termini di minori costi o di maggiori ricavi.
Il contratto di rete, quindi, può rappresentare uno strumento alternativo non solo al consorzio, ma anche alla costituzione di una società con scopo di lucro tra i partecipanti37.
Nella rete, infatti, è possibile ritrovare tutti caratteri indicati dall’art. 2247 c.c. per il contratto di società (conferimenti, attività in comune e scopo di lucro).
Più in generale, quindi, l’attività d’impresa esercitata dalla rete dà vita ad un’ulteriore ipotesi di impresa collettiva non societaria: un’impresa esercitata da un ente collettivo diverso dalle società.
35 Cfr. XXXXX G.D., Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, in Giur. Comm., 2010, pp. 839 ss.
36 XXXXXX D., Dal consorzio al contratto di rete: spunti di riflessione, in Le reti di imprese e i contratti di rete, (a cura di) IAMICELI P., Torino, 2009, pp.267-268
37 XXXXXXXX G., in Aa. Vv., Reti d’impresa: profili giuridici, finanziamenti e rating, Milano, 2011 pp. 3 ss.
Infatti, come si vedrà in seguito, la rete di imprese “costituisce una nuova forma associativa tipica, diversa sia dalle società, sia dai consorzi, e soggetta ad autonoma disciplina”38.
Di converso, le finalità tipiche del contratto di rete possono essere perseguite per mezzo della costituzione di una società. Il fenomeno delle società consortili attesta una tale conclusione.
E ancora: sebbene nulla sia disposto dal legislatore in proposito, riterrei legittima la costituzione di una rete in forma di società.
38 CAMPOBASSO G.F., Diritto Commerciale, 1 Diritto dell’impresa, UTET, Torino, p. 299
Reti di imprese e gruppo europeo d’interesse economico (GEIE)
L’esperienza tedesca, passata in rassegna precedentemente, dimostra come non sussista una uniformità di disciplina nei singoli stati dell’Unione con riferimento alle reti di imprese, e come difettino anche disposizioni di coordinamento tra le varie discipline nazionali.
In questa prospettiva potrebbe risultare auspicabile un espresso intervento del legislatore dell’Unione, intervento che di certo avrebbe l’effetto di stimolare gli operatori nella direzione della costituzione di reti di imprese.
D’altronde, a livello comunitario numerosi sono stati gli interventi volti alla creazione e alla regolamentazione di forme di aggregazione delle imprese – quali ad esempio quelli riferiti alle società europee (Societas Europea, SE) - interventi tutti finalizzati allo sviluppo e alla tutela delle companies.
Il primo organico intervento normativo sul tema è stato quello con il quale è stato dato corso alla creazione di una tipologia di business organizations di carattere sovranazionale che prende il nome di gruppo europeo di interesse economico (GEIE ovvero European Economic Interest Grouping EEIG).39
Il riferimento è al Regolamento 1985/2137/CEE del 25 luglio 1985 con il quale è stato istituito il gruppo europeo di interesse economico.
Le ragioni sottese alla adozione del predetto Regolamento risultano espressamente indicate nel preambolo del provvedimento, ove risulta chiaramente affermato quanto segue: “ … considerando che uno sviluppo armonioso delle attività economiche ed una espansione continua ed equilibrata nell'insieme della Comunità dipendono dall'instaurazione e dal buon funzionamento di un mercato comune che assicuri condizioni analoghe a quelle esistenti in un mercato nazionale; che la
39 Per una rassegna relativa al GEIE v. XX XXXX X., European Company Law: Text, Cases and Materials, Cambridge University Press, 2017, pp. 45 ss.; XXXXXXXXXX A., European Economic Law, Alphen Aaan den Rijn, Kluwer Law International, 3rd edn., 2014, pp. 173-180
realizzazione di tale mercato unico e il rafforzamento della sua unità rendono auspicabile segnatamente la creazione per le persone fisiche, società' ed altri enti giuridici, di un contesto giuridico che faciliti l'adattamento delle attività alle condizioni economiche della Comunità; che a tal fine è necessario che le persone fisiche, la società e gli altri enti giuridici possano effettivamente cooperare oltre le frontiere; considerando che tale cooperazione può incontrare difficoltà di carattere giuridico, fiscale o psicologico; che la creazione di uno strumento giuridico adatto a livello comunitario sotto forma di un gruppo europeo di interesse economico contribuisce alla realizzazione dei suddetti obiettivi ed è quindi necessaria …”.
Quindi, per il legislatore comunitario, il GEIE, da un lato costituisce un valido strumento, peraltro di carattere generale, per rafforzare la uniformità di condizioni – di legge e di mercato – che deve sussistere nell’ambito dell’Unione, e d’altro lato rappresenta uno strumento idoneo a facilitare e a sviluppare le attività economiche delle imprese.
Con specifico riferimento a tale secondo profilo, il GEIE costituisce, nell’ottica del legislatore dell’Unione, un’organizzazione, dotata, per quanto possibile, di personalità giuridica, che espleta attività di “ancillary nature”; il gruppo deve facilitare o sviluppare le attività economiche dei propri membri al fine di consentire agli stessi di ottenere un miglioramento dei loro singoli (e successivamente collettivi) risultati. Quindi le attività del gruppo non si sostituiscono – ma accedono - a quelle delle singole imprese partecipanti.40
Sotto il profilo strutturale, il GEIE è una business organization creata per mezzo di un contratto stipulato tra due o più soggetti che devono possedere il requisito soggettivo previsto all’art. 4 del richiamato Regolamento; nel dettaglio: “le società (…) , nonché gli altri enti giuridici di diritto pubblico o privato, costituiti conformemente alla legislazione di uno stato membro ed hanno la sede sociale o legale e l'amministrazione centrale nella Comunità; qualora, secondo la legislazione di uno stato membro, una società o altro ente giuridico non sia tenuto ad avere una sede sociale o legale, è sufficiente che la società o altro ente giuridico abbia l'amministrazione centrale nella Comunità (…) le persone fisiche che esercitano
40 In rapporto alle attività espletate dal GEIE cfr. BADINI CONFALONIERI V., Il GEIE. Disciplina comunitaria e profili operativi nell’ordinamento italiano, Torino, 1999, pp. 3 ss.
un'attività industriale, commerciale, artigianale, agricola, una libera professione o prestano altri servizi nella Comunità.”
Tali soggetti devono avere la sede dell’amministrazione centrale in due o più paesi diversi dell’Unione Europea se enti, ovvero, se persone fisiche, devono esercitare la loro attività principale in due o più paesi membri dell’Unione Europea; questa connotazione soggettiva colora l’istituto di un carattere prettamente comunitario e internazionale.
Il contratto con cui viene istituito il gruppo deve necessariamente contemplare: oggetto, ragione o denominazione sociale, forma giuridica, domicilio o sede sociale e, eventualmente, numero e luogo di iscrizione, e infine durata (salvo che non sia costituito a tempo indeterminato).
La legge che disciplina il gruppo è la legge nazionale dello Stato ove si trova la sede stabilita dal contratto di gruppo. A tale regola fanno eccezione le questioni di stato o di capacità delle persone fisiche nonché di capacità delle persone giuridiche, nonché le questioni relative al funzionamento interno del gruppo.
Per ciò che riguarda la determinazione di quest’ultima (la sede), essa deve essere fissata o nel luogo in cui il gruppo ha l’amministrazione centrale ovvero nel luogo in cui uno dei membri del gruppo ha l’amministrazione centrale (o l’attività a titolo principale se trattasi di persona fisica) purché il gruppo vi svolga un’attività effettiva e reale.
Una volta ottenuta la registrazione di cui sopra, il gruppo, in tal modo costituito, possiede la capacità di essere titolare di diritti e di obblighi di qualsiasi natura, di stipulare contratti o di compiere altri atti giuridici e di stare in giudizio personalmente a mezzo del proprio rappresentante.
Essendo dotato di una propria capacità giuridica e di agire autonoma (purché la fase della costituzione sia stata eseguita ottemperando alle formalità richieste), è certo che l’ente sia dotato di soggettività giuridica.41
Difatti, appare inconfutabile la distinzione del GEIE dalle persone fisiche e giuridiche che lo compongono, e la conseguente imputabilità di rapporti giuridici autonomi in capo al gruppo quale soggetto; negare tale conclusione significherebbe porsi in
41 Cfr. SACERDOTI G., I caratteri del GEIE e il suo impiego nell’ordinamento italiano, in Giur. Comm., 1992, I, pp. 875 ss.
contrasto con la dizione letterale della norma la quale prevede che il GEIE dispone di capacità, a nome proprio, di essere titolare di diritti e obblighi.
Per ciò che attiene alla responsabilità dei partecipanti, analogamente a ciò che avviene nelle partnerships, i membri rispondono illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni di qualsiasi natura mentre viene demandato alla legge nazionale di determinare le conseguenze di tale responsabilità.42
In ogni caso, i creditori del gruppo, fino alla chiusura della liquidazione del gruppo stesso, possono far valere i propri diritti nei confronti di un membro soltanto dopo aver richiesto al gruppo di dare corso all’adempimento e qualora un tale adempimento non sia stato effettuato entro un congruo termine.
Qualora il gruppo produca profitti, gli stessi sono destinati a essere devoluti ai singoli membri secondo le proporzioni stabilite nel contratto o, in assenza, in proporzioni identiche. Allo stesso modo, i membri del gruppo contribuiscono al pagamento dell’eventuale eccedenza delle uscite rispetto alle entrate nella proporzione prevista nel contratto di gruppo o, in mancanza di questo, in parti uguali.43
La governance del Gruppo ricalca quella della partnership: gli organi tipici del Gruppo sono i membri (che agiscono collegialmente) e l'amministratore o gli amministratori; solo i primi, però, hanno titolo per prendere le decisioni ai fini della realizzazione dell'oggetto di gruppo.
A tal proposito, l’art.17 del Regolamento detta una previsione che ricalca, in parte, il nostro diritto societario prescrivendo che “Ciascun membro dispone di un voto. Tuttavia il contratto di gruppo può attribuire più voti a taluni membri, a condizione che nessuno di essi disponga della maggioranza dei voti”.
È in ogni caso richiesta l’unanimità, salvo che il contratto non disponga altrimenti, al fine di modificare l'oggetto del gruppo, di modificare il numero di voti attribuito a ciascuno dei componenti, di modificare le condizioni di adozione delle decisioni, di prorogare la durata del gruppo oltre il termine fissato nel contratto, di modificare la quota del contributo a carico di ciascuno dei membri o di alcuni di essi al finanziamento del gruppo, di modificare qualsiasi altro obbligo di un membro. Inoltre, in tutti i casi in cui il regolamento non prevede che le decisioni debbano essere prese all'unanimità, il contratto di gruppo può determinare a quali condizioni di numero
42 Cfr. XXXX X., Il gruppo europeo di interesse economico, Giappichelli Editore, Torino, 1994, pp. 30 ss.
43 Cfr. XXXXXXXXX A., Il gruppo europeo di interesse economico (GEIE), Padova, 1994, pp. 378 ss.
legale e di maggioranza le stesse (o alcune di esse) potranno essere assunte. In mancanza di disposizioni contrattuali, le decisioni sono prese all'unanimità.
Sempre in tema di governance di notevole importanza è la regola che pone i manager nella condizione di poter stipulare contratti e assumere obbligazioni a nome del gruppo nei confronti di terzi.44
Chiariti caratteri e struttura del gruppo europeo di interesse economico, risulta necessario procedere a un confronto con le reti di imprese.
Nell’ambito delle molteplici ed evidenti analogie tra i due istituti, la più significativa è quella concernente la finalità: sviluppare e rendere più agevole lo svolgimento delle attività dei membri attraverso la condivisione di attività, risorse, esperienze, know- how, al fine di conseguire la realizzazione in comune del migliore risultato (economico) possibile, risultato che, singolarmente, sarebbe molto più difficile (se non impossibile) conseguire.
Sebbene, pertanto, gli obbiettivi perseguiti risultino per lo più gli stessi (e ciò anche avuto riguardo alle concrete applicazioni pratiche degli istituti), resta il fatto che la finalità del gruppo non risulta esclusivamente limitata alla maggiore competitività sul mercato, atteso che il richiamato Regolamento 2137/85 si limita a operare riferimento a un miglioramento, non richiamando, di contro, né la capacità innovativa né la competitività.
A riguardo alla (generica) definizione del legislatore comunitario si contrappone quella (più specifica) contenuta nell’art. 3, comma 4-ter del Decreto-Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, nella Legge 9 aprile 2009, n. 33 [“(…) scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato (…)”].
In ordine alla personalità giuridica, come si è visto, al gruppo questa deve essere sempre riconosciuta. Ciò anche in ragione del carattere infra-nazionale e dei molteplici interessi di soggetti terzi coinvolti. Di contro, come si vedrà nel capitolo terzo, esistono più “tipi” di rete, l’una dotata di personalità giuridica (e di autonomia patrimoniale), l’altra invece sprovvista di personalità.
Anche in ordine alla governance le differenze sono di rilievo: la norma comunitaria delinea con notevole scrupolo il modello di amministrazione del gruppo, lasciando un
44 XXXXXXX X. – SALANTRINO N, (a cura di) XXXXXX X., Diritto Commerciale, 2015, Xxxxxxx, 2015, p. 510
relativamente angusto spazio d’azione alla volontà dei partecipanti. Di contro, le reti di imprese godono di una totale flessibilità in ogni aspetto strutturale, dalla dotazione patrimoniale al modello di amministrazione, costituendo proprio, una tale flessibilità, uno dei tratti distintivi dell’istituto.
Volendo concludere, è certo che con la tipizzazione del GEIE il legislatore comunitario abbia compiuto un significativo passo nella direzione della cooperazione e della collaborazione tra imprese.
Trattasi tuttavia di una figura diversa dalla rete di imprese.
E ciò sebbene le finalità sottese alle disposizioni normative che hanno istituito e disciplinato le due figure risultino le stesse, mirando entrambe a fornire una significativa spinta verso la ricrescita dell’economia nazionale (in un caso) e comunitaria (nell’altro).
Con la conseguenza che, ferma restando la considerazione che la rete c.d. “strutturata” sembrerebbe avvicinarsi al modello del gruppo quale disegnato dal Regolamento 2137/85, le due figure devono continuare a essere tenute distinte e separate.
Di certo, però, non mancano i punti di (stretto) contatto.
Infatti, una rete può di certo stipulare il contratto istitutivo di un GEIE.
Ma l’ipotesi di GEIE costituito tra più reti di imprese, ovvero tra reti e altri soggetti giuridici, non sembra una ipotesi di larga applicazione. Anche a prescindere dalla tendenziale modesta dimensione delle imprese facenti parte delle reti, con la stipula di un contratto di GEIE le caratteristiche di flessibilità e autonomia che caratterizzano il contratto di rete (e sulle quali ci si soffermerà nel prosieguo) rischierebbero di essere perse, dovendosi fare e dare applicazione alle specifiche disposizioni dettate in sede comunitaria.
Manca tuttavia, allo stato, una disciplina che raccordi le due figure, e ciò anche a livello sistematico.
CAPITOLO II – PROFILI SPECIFICI DEL CONTRATTO DI RETE
Nel presente capitolo intendo soffermarmi su alcuni profili specifici attinenti alle reti di imprese.
Partendo da considerazioni meramente descrittive - quali i caratteri fondamentali del contratto di rete (parti, accordo, forma e programma), il dibattito riguardante la natura giuridica di un tale contratto e la governance reticolare - muoverò verso profili più critici, quali la partecipazione delle reti d’imprese ai procedimenti amministrativi e la disciplina in materia di antitrust applicabile alle reti.
Attraverso una tale analisi risulta possibile avere contezza di come il favor legislativo permei l’intera disciplina in materia.
Ho selezionato tali profili proprio perché, a mio avviso, gli stessi si rivelano di grande attualità e consentono di mettere in luce la versatilità dell’istituto nonché l’evidente sforzo del legislatore di rendere il più possibile “appetibili” le aggregazioni reticolari. A riguardo, in particolare, rimando alle considerazioni che di seguito svolgerò in tema di governance, volte a evidenziare la grandissima duttilità delle opzioni in merito alla adozione dei modelli di amministrazione.
Analoghe considerazioni possono essere svolte con riferimento alla disciplina di favore dettata in tema di partecipazione ai procedimenti amministrativi delle reti e al corpus normativo, derivante da norme nazionali e comunitarie, dettato in relazione alla materia antitrust.
Si vedrà, quindi, come le reti di imprese possano, liberandosi dalle maglie dettate dal legislatore, guadagnarsi sempre più un posto di rilievo all’interno dell’economia nazionale e, magari in un prossimo futuro, comunitaria.
Parti, accordo, scopo, causa e programma del contratto di rete
L’introduzione del contratto di rete nel nostro ordinamento è stata vista con sfavore da taluni autori i quali sostengono che la creazione di nuovi tipi contrattuali debba essere sempre lasciata all’autonomia privata45. Ciò in quanto il dinamismo delle relazioni economiche non dovrebbe essere “ingabbiato” in un rigido schema concettuale o meglio contrattuale46.
A ciò è stato, correttamente, replicato che, in ragione dell’evidente preesistenza del fenomeno reticolare, il legislatore è (correttamente) intervenuto nel fornire un quadro giuridico unitario di riferimento per queste figure di collaborazione imprenditoriale, lasciando, oltretutto, ampi margini all’autonomia privata. In definitiva, in media stat virtus.
Tale considerazione di base risulta valida per tutti i profili che verranno di seguito analizzati.
Per ciò che attiene alla qualifica di “parte”, la versione originaria del comma 4-ter dell’art. 3 del D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, convertito nella L. 9 aprile 2009 n. 33, utilizzava, come evidenziato nel capitolo precedente, il termine “imprese” in luogo di quello di “imprenditori” attualmente recato dalla disposizione in commento.
I termini non costituiscono due sinonimi. Il primo indica l’attività o il comportamento, il secondo invece è il soggetto che tale attività svolge o che tiene un tale comportamento.
45 XXXXXXX X., The weakest link: Legal implications of the network architecture of supply chain, in (a cura di) AMSTUZ M. - TEUBNER G., Networks, Legal issues of multilateral cooperation, Xxxx, 200, p. 187
46 TUNISINI A., Relazioni tra imprese, reti e contratto di rete in AA.VV., Contratto di rete, Lo strumento Made in Italy per integrare individualità e aggregazione, Milano, 2013 p. 69
In ogni caso, la qualifica imprenditoriale dei soggetti partecipanti permette di far rientrare la categoria del contratto di rete nell’ambito di quella più ampia di contratto di impresa47.
A conferma della qualifica che devono rivestire i soggetti partecipanti ai fini della sottoscrizione del contratto, il citato comma 4-ter fa riferimento a “ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti”.
Inoltre, a conferma della duttilità e della malleabilità dell’istituto in esame, il legislatore, con i molteplici interventi normativi susseguitisi successivamente all’introduzione della fattispecie nel 2009, ha ampliato la categoria dei soggetti che possono ricoprire la veste di partecipanti: basti in proposito pensare alla originaria formulazione della disposizione che si riferiva all’esercizio di attività economiche rientranti negli oggetti sociali, in tal modo escludendo gli enti imprenditoriali non societari e le gli imprenditori persone fisiche.
Tale riferimento è oggi scomparso.
Alla data odierna le seguenti categorie di soggetti hanno titolo per stipulare il contratto, dovendosi a riguardo ricordare come, nel difetto del possesso di una tale qualifica, il contrato è nullo ai sensi dell’art.1418, commi 1 e 2 c.c.:
I. le società commerciali e non, senza alcuna limitazione di sorta;
II. i consorzi con attività esterna;
III. gli enti pubblici esercenti in via principale o esclusiva attività commerciale;
IV. gli imprenditori persone fisiche esercenti attività commerciale e non;
V. i gruppi europei di interesse economico (GEIE);
VI. tutti gli altri enti privati esercenti attività imprenditoriale (ad esempio fondazioni e associazioni);
VII. gli enti pubblici che possono definirsi esercenti attività imprenditoriale (ad esempio le imprese organo).
Di fondamentale importanza a riguardo, è la questione di quale sia la nozione di imprenditore da adottare nel contesto di riferimento: quella che si ricava dalla disposizione di cui all’art. 2082 c.c. oppure, come una valutazione transfrontaliera
47 In generale sui contrati d’impresa x. XXXXXXXXXX S. - XXXXXXXX G., I contratti dell’impresa, Torino 2013
imporrebbe, quella che fa leva sul coinvolgimento di soggetti che agiscono nell’esercizio della propria attività professionale, visti in tale ottica dal diritto contrattuale europeo.
In dottrina si è affermata la prima delle opinioni menzionate, in quanto la qualità di imprenditore di una persona o di un ente deve risultare espressamente dal registro delle imprese (o da registri a esso assimilati come il REA), registro cui possono iscriversi esclusivamente i soggetti esercenti attività d’impresa, con espressa esclusione di coloro che possono invece essere definiti quali professionisti intellettuali48.
A riprova della esattezza di una tale conclusione milita il tenore letterale della disposizione normativa di riferimento che opera, quanto alla qualificazione soggettiva (o meglio all’individuazione dei soggetti), un esplicito riferimento a: “il nome, la ditta alla ragione o denominazione sociale …” di ogni partecipante (cfr. lett .a) del comma 4-ter dell’art. 3 del D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, convertito nella L. 9 aprile 2009 n. 33). Una tale nutrita elencazione rende manifesto l’ampio respiro che il legislatore ha voluto dare all’istituto, non limitandosi alla semplice esplicitazione del nome.
In merito al numero dei partecipanti, se nel testo originario si prevedeva la partecipazione di due o più imprese, oggi, invece, la disposizione in commento opera riferimento testuale a “più imprenditori”, con un cambio di termini in larga parte analogo a quello sopra esaminato con riferimento alla qualifica di parte.
In ogni caso, sebbene l’espresso riferimento dualistico sia stato eliminato, non si può non notare che, riferendosi ad una pluralità di soggetti, la disposizione intrinsecamente postuli, come minimo, una dualità, assurgendo la stessa a requisito sufficiente e necessario per la costituzione di un contratto di rete.
Da ciò la considerazione del contratto di rete in termini di contratto plurilaterale ovvero, in ipotesi di due sole parti, di contratto bilaterale aperto all’adesione di terzi.
Ultimo elemento da analizzare con riferimento alla qualifica della parte che intende stipulare o aderire al contratto, è quello riguardante la natura dell’attività svolta da un tale soggetto.
48 XXXXXXXXXX S., Il contratto di rete, Monografie della rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, Piccin, Padova, 2015, p. 16
La dottrina49 “ante” riforma aveva evidenziato perplessità in ordine alla previsione secondo cui il contratto dovesse essere concluso solo per lo svolgimento di attività economiche rientranti nell’oggetto sociale delle imprese partecipanti.
Tale previsione appariva chiaramente limitativa della possibile adesione di imprenditori e, di conseguenza, allo stimolo che il contratto di rete avrebbe dovuto dare al benessere economico nazionale: basti pensare alla prescrizione che escludeva dall’ambito soggettivo le imprese che statutariamente svolgevano un’attività diversa da quelle delle retiste, imprese che per aderire avrebbero dovuto fare fronte ad alti costi di adeguamento dei propri statuti alle finalità delle imprese partecipanti al complesso reticolare. Tanto più che, con riferimento alle società, il carattere rigidamente vincolante dell’oggetto sociale sembrerebbe non costituire più un limite invalicabile a seguito della riforma delle società di capitali del 2003.
Tali ragioni hanno spinto il legislatore del 2010 a consentire ai soggetti partecipanti al contratto di rete di perseguire o di conseguire collaborazioni in ambiti predeterminati relativi all’esercizio della propria impresa, a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, tecnica, tecnologica e commerciale, ovvero a esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa (attività questa, oggi relegata all’ultimo posto).
In considerazione delle molteplici e amplissime attività che la rete oggi ha titolo di svolgere, i dubbi sollevati in dottrina non trovano più ragion d’essere.
Per ciò che attiene all’accordo, fermo restando quanto sopra chiarito in merito alla classificazione del contratto e alla conseguente applicazione della correlata disciplina civilistica, di fondamentale importanza è la disamina della tematica relativa alle modalità di adesione di soggetti terzi.
Il dato positivo – e precisamente la lett.d) del comma 4-ter dell’art. 3 del D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, convertito nella L. 9 aprile 2009 n. 33 - impone ai retisti di inserire necessariamente nel contratto l’indicazione delle modalità di adesione degli ulteriori imprenditori.
Fisiologicamente la rete è quindi aperta50.
49 XXXXXXX X., Xxxxx reti d’impresa al contratto di rete nella recente prospettiva legislativa, in I contratti, 2009, pp. 928 ss.
50 Cfr. XXXXXXX X. - SPADA P., Il contratto di rete, Consiglio Nazionale del notariato, Studio n.1-2011, pp. 10
Xxxxxx, inoltre, corretto ritenere che non si possa né imporre agli imprenditori di accettare la partecipazione di altri soggetti né, allo stesso tempo, imporre a questi di inserire la previsione che li vincoli ad accettare eventuali future adesioni; tale conclusione si fonda sul principio cardine in materia contrattuale: l’autonomia privata non può soffrire eccezioni se non in presenza di espliciti divieti o cause che vanno oltre gli interessi dei singoli contraenti (retisti).
In ogni caso, la successiva adesione del terzo dovrà rispondere ai requisiti formali dettati dalla legge per i contraenti originari; con l’evidente (e scontata) conseguenza che sarà necessario rispettare tutte le disposizioni in tema di pubblicità del contratto stesso.
Altra questione attinente all’adesione di terzi, è quella relativa alla ipotesi in cui manchi una espressa previsione che regolamenti l’ingresso di nuovi partecipanti; a tale ipotesi si ritiene di poter applicare 51 la previsione dell’art. 1332 c.c., che recita: “Se ad un contratto possono aderire altre parti e non sono determinate le modalità dell’adesione, questa deve essere diretta all’organo che sia stato costituito per l’attuazione del contratto o, in mancanza di esso, a tutti i contraenti originari”; sarà necessario, quindi, il consenso unanime dei contraenti originari che dovranno accettare la proposta dell’aspirante retista solo qualora non venga istituito un organo comune.
Per ciò che attiene a un’eventuale modificazione soggettiva nell’ambito dell’originaria compagine contrattuale, non si può prescindere dal menzionare l’ipotesi di cessione dell’azienda da parte di uno dei contraenti; in tal caso appare ragionevole applicare la disciplina civilistica (artt.2556 e seguenti c.c.): salvo patto contrario il trasferimento dell’azienda fa subentrare il cessionario in tutti i contratti in corso di esecuzione al momento del trasferimento52.
La cessione andrà iscritta nel registro delle imprese e sarà idonea a rappresentare l’atto di fuoriuscita del cedente dal contratto di rete e l’atto di ingresso del cessionario nel medesimo; pertanto, dovrà essere dato corso a due distinte procedure di pubblicità, una relativa alla cessione, l’altra relativa alla modifica del contratto.
Tutto ciò salvo che non venga stabilito diversamente in sede di cessione dell’azienda ovvero nel caso in cui il contratto sia stato stipulato intuitu personae: tale
51 XXXXXXXXXX S., Il contratto di rete, cit., p. 20
52 In conformità di quanto previsto dall’art. 2610 cod. civ. in tema di consorzi.
ipotesi si verifica quando, in sede di conclusione del contratto, gli imprenditori abbiano fatto risultare come fondamentali le qualità personali del retista, facendo sì che la partecipazione venga a qualificarsi come essenziale ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dall’art.1420 c.c. Ciò, invero, allo stato risulta molto frequente, in considerazione dei settori di mercato nei quali, a oggi, un tale contratto risulta operativo.
Sotto correlato profilo deve evidenziarsi come, con l’ingresso del cessionario nel contratto di rete, venga attribuito agli imprenditori originari il diritto di recesso ricorrendo una giusta causa, da identificarsi nell’esistenza di condizioni economiche, personali o aziendali dell’acquirente che consentano di fare affidamento sulla successiva regolare esecuzione del contratto53.
Per ciò che attiene lo scopo del contratto, l’art. 3 comma 4-ter del D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, convertito nella L. 9 aprile 2009 n. 33, stabilisce che “Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”.
Ribaditi i numerosi tratti comuni con il contratto di consorzio, oggetto di trattazione nel capitolo che precede, occorre preliminarmente mettere in risalto l’errore terminologico in cui è incorso il legislatore nel riferirsi alla capacità degli imprenditori piuttosto che quella delle rispettive aziende. Inoltre, è da notare la latitudine di tali locuzioni, che tendono a ricomprendere numerosissimi tipi di fenomeni.
L’interrogativo più rilevante, con riferimento al tema in trattazione, concerne la possibilità di perseguimento con il contratto di rete di scopi ulteriori rispetto a quelli tipizzati dalla disposizione riportata. E subito dopo, qualora dovesse concludersi per il riconoscimento di una tale possibilità, quali possano essere gli altri eventuali scopi che possono essere legittimamente perseguiti.
La latitudine dei termini utilizzati, nonché l’estrema genericità e l’astrattezza della previsione, già sottolineate, propendono per far ritenere ammissibile il perseguimento di finalità ulteriori rispetto a quelle tipizzate dal legislatore, e quindi di finalità direttamente stabilite dalle parti54.
53 Cfr. CERATO S. - CIGNOLI U. - XXXX X., Reti d’impresa – Profili aziendali, civilistici, contabili e finanziari, Milano, 2012, p. 55
54 X. XXXXXXXXXX S., Il contratto di rete, cit., p. 23
Venendo ora alla causa del contratto di rete, occorre preliminarmente richiamare la nozione moderna e contemporanea della causa quale funzione economico individuale55 e caratteristica autonoma che funge da nesso teleologico tra tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del contratto. Dunque, la causa indica il parametro per valutare la complessiva razionalità del contratto e la sua idoneità a produrre una funzione utile.
In relazione al contratto di rete, muovendo dal dato normativo, occorre prendere in considerazione gli obiettivi strategici e le attività svolte in comune, le quali devono dimostrare il conseguimento di un miglioramento della capacità innovativa e della competitività sul mercato, elementi questi che assurgono, dunque, a indici di valutazione nel complesso della razionalità dell’operazione. Innovazione e competitività sono strutturalmente e funzionalmente legate nel senso che, l’incremento della prima deve essere funzionale all’accrescimento della seconda che, a sua volta, deve essere perseguito tramite la prima; inoltre, l’aumento deve essere individuale e collettivo ovvero riguardare tutte le imprese retiste in proporzioni sicuramente non analoghe, ma che di certo non potendosi prescindere dalla pluralità.56
Tali termini risultano tuttavia profondamente indeterminati e rendono difficile un inquadramento generale, e ciò anche in considerazione del fatto che queste due caratteristiche non godono di una definizione legislativa, ma risultano necessariamente e strettamente ancorate alle modalità tramite le quali la rete è organizzata e opera sul mercato.
Pertanto, la carenza dei requisiti della capacità innovativa e della competitività non sembrerebbe inficiare la validità del contratto per mancanza di causa, risultando infatti troppo complessa e sicuramente fuorviante una valutazione ex ante della meritevolezza del contratto in relazione a tali elementi57.
Allora tali elementi restano (e costituiscono) esclusivamente degli indici definitivi degli obiettivi strategici, come peraltro confermato dal dato normativo, e precisamente dall’art.4, comma 3-ter, lett. b) del D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, convertito nella L. 9 aprile 2009 n. 33.
55 X. XXXXX G.B., Xxxxx e tipo nella teoria del negozio giuridico, Xxxxxxx, Milano, 1966
56 In questo ordine di idee, XXXXX G.D., Il contratto di rete dopo la riforma: che tipo!, in Il contratto di rete per la crescita delle imprese, cit., p. 31
57 In questo ordine di idee, SCOGNAMIGLIO C., Il contratto di rete: il problema della causa, in I contratti, 2009, pp. 964 ss.
In questo ordine di idee, anche la mancata indicazione degli specifici obiettivi di innalzamento della competitività e dell’innalzamento della capacità innovativa non inficerà la validità del contratto, ma implicherà il necessario richiamo agli stessi in termini generali58.
Con uno sguardo d’insieme di carattere più generale alla figura di rete tipizzata dal legislatore, la causa non può allora che consistere nella collaborazione e nel coordinamento tra gli imprenditori partecipanti finalizzati a conseguire un interesse comune59, tipico, tra l’altro, dei contratti plurilaterali con comunione di scopo60.
Con la conseguenza che risulterà irrilevante, sotto il profilo causale, la circostanza se la rete abbia scopo di lucro oppure mutualistico, restando elemento necessario e sufficiente che questa conduca le proprie attività con metodo economico.
Di fondamentale importanza sistematica per il contratto di rete - e caratteristica indefettibile tipica e caratterizzante - è il suo programma.
Il dato normativo, all’art. 3, comma 4-ter, lett.b) del D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, convertito nella L. 9 aprile 2009 n. 33, impone ai contraenti in sede di redazione del contratto di indicare “gli obbiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti” nonché le modalità da usare per analizzare l’avanzamento verso tali obbiettivi.”
La necessaria presenza di tali elementi non può che mettere in luce l’intenzione del legislatore di inquadrare la fattispecie del contratto di rete all’interno di un preciso piano di strategia imprenditoriale perseguito dai contraenti, spingendo, dunque, gli imprenditori a un attento controllo in una logica non dissimile da quella che conduce all’imposizione societaria di tenuta di un’apposita contabilità.
Per ciò che attiene alle modalità con cui adempiere tale obbligo, il legislatore nulla dice, lasciando la concreta determinazione, anche in questo caso, all’autonomia negoziale delle parti.
Quanto al programma di rete, esso costituisce il vero e proprio oggetto del contratto e si estrinseca nella scelta delle attività da svolgersi in rete con la conseguente assunzione di diritti e obblighi in capo alle parti.
Come si è autorevolmente osservato, esso “… è dichiaratamente assunto dal legislatore quale dato unificante tra fattispecie, (scambio, collaborazione, esercizio in
58 XXXXXXXXXX S., Il contratto di rete, cit., pp. 25 ss.
59 CAFAGGI F., Il Contratto di rete, Il Mulino, Bologna, 2009, p. 29
60 Si veda il paragrafo che segue
comune di un’attività), che altrimenti rimarrebbero disaggregate e, data la loro eterogeneità, non potrebbero essere contemporaneamente oggetto di un medesimo contratto ...” 61.
Attualmente, la dottrina62 è solita distinguere diverse fattispecie di complessi reticolari:
I. la rete avente ad oggetto il mero scambio di informazioni o di prestazioni: il primo dei tipi di scambio menzionato è fortemente utilizzato nelle attività di research and development (R&D) all’interno delle singole imprese, il secondo, invece, consente alle governance di rete di gestire filiere particolari dove le prestazioni sono caratterizzate da un altissimo tasso di segmentazione63;
II. la rete avente ad oggetto un’attività di collaborazione: se il contratto di rete di scambio ha un contenuto relativamente certo e sicuramente definibile, con la collaborazione non vi sono previsioni ex ante in merito all’eventuale attività che si svolgerà, in quanto non determinata, ma determinabile ex post;
III. la rete avente ad oggetto l’esercizio in comune dell’attività: in tal caso la dizione non può che accostarsi a quella dell’art. 2247 c.c. che, nel descrivere il contratto di società, si riferisce all’esercizio in comune di un’attività economica. La dottrina64 , in ogni caso, ha rimarcato la differenza, ravvisandola nella sfera di operatività più ampia nel contratto di rete rispetto a quello di società, risultando il primo comprensivo di forme miste di collaborazione e coordinamento alle quali il secondo è estranea.
Nonostante tali classificazioni appaiano alquanto eterogenee, è pur tuttavia possibile un mix delle stesse, prospettandosi un’ampia gamma di ipotesi e configurazioni, fermo restando l’imprescindibile requisito della collaborazione inter- imprenditoriale che assurge a elemento fondante la razionalità dell’istituto, costituendone altresì la causa.
61 LOPREIATO S., Programma comune di rete ed efficacia normativa variabile, in Il contratto di rete per la crescita delle imprese, cit., p. 161
62 CAFAGGI F., Il nuovo contratto di rete: “learning by doing?”, cit., p. 1146
63 CAFAGGI F., Introduzione, in AA.VV., Contractual networks, interfirm collaboration and economic growth, (a cura di) CAFAGGI F., Xxxxxx Xxxxx, 2011, pp. 1083 ss.
64 CAFAGGI F., Il nuovo contratto di rete: “learning by doing?”, cit., p. 1147
Il successivo passo compiuto dalla dottrina è legato al quesito della tassatività o meno dell’elencazione sopra riportata, quesito per rispondere al quale è opportuno focalizzare l’attenzione sul dato testuale, così ampio e aperto da far propendere per il collocamento all’interno di questo di tutte le attività ausiliarie e ancillari pur se eterogenee rispetto alle attività principali; pertanto, non sembrano sussistere elementi sufficienti per ritenere non legittimo l’utilizzo di ulteriori fattispecie costituenti le attività in cui si sostanzia il programma comune di rete, le quali, però, devono permettere il raggiungimento dell’obiettivo prefissato, anche se in maniera minima.
Quanto al contenuto del programma, questo deve, a prescindere della configurazione reticolare adottata, specificare, in conformità di quanto stabilito dal comma 4-ter, lett.c) dell’art. 3 del D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, convertito nella L. 9
aprile 2009 n. 33:
I. i diritti e gli obblighi assunti da ciascun partecipante: tale enunciazione deve riguardare i singoli specifici adempimenti delle parti in vista del raggiungimento degli obbiettivi posti dal programma comune.
Gli obblighi sono funzionali all’interesse della rete e possono estrinsecarsi sia in obblighi di protezione che di prestazioni relativamente all’intera vita della rete.
Correlativamente, i diritti delle parti, specularmente agli obblighi, rappresentano le utilità che la rete apporterà alle singole imprese partecipanti;
II. le modalità tramite le quali realizzare lo scopo comune: queste indicazioni non riguardano le parti (come nel punto che precede), ma in concreto le modalità con cui la rete stessa andrà ad operare e ad agire sul mercato.
In ragione della fondamentale importanza del “braccio” (modalità) della macchina (rete), la specificazione di queste deve risultare chiaramente dal testo del programma o deve poter essere desunto dall’interpretazione negoziale.
In sua assenza o indeterminatezza, il contratto è nullo;
III. la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo (nel caso venga istituito il fondo comune reticolare);
IV. la possibilità di eseguire il conferimento tramite l’apporto di un patrimonio destinato ex art. 2447-bis comma 1 lett. a) c.c.
In ragione della stretta attinenza di questi due ultimi punti alla presenza del fondo comune di rete e al regime di responsabilità, gli stessi saranno trattati nel capitolo seguente.
Natura giuridica del contratto di rete
La natura del contratto di rete d’imprese, in passato, è stata oggetto di un ampio dibattito, che ha interessato la dottrina.
Dibattito che si è incentrato non tanto sulle caratteristiche generali del contratto, quanto sul tipo contrattuale, e in particolare sulla individuazione della macro-categoria, in ambito contrattuale, nella quale poter ricondurre la fattispecie del contratto di rete.
Una prima opinione riconduce la figura del contratto di rete, così come contemplata dal legislatore, a un particolare tipo di consorzio65.
Le evidenti affinità tra i due istituti sono state analizzate in precedenza; tuttavia conviene ribadire in questa sede come le (in larga parte) corrispondenti definizioni legislative e l’identità di scopo e di oggetto sembrerebbero consentire di assimilare il contratto reticolare al contratto di consorzio con attività esterna.
Ciò, tuttavia, con un adattamento: se l’art.2612 c.c. prevede che un estratto del contratto di consorzio, contenente l’indicazione delle modalità di formazione del fondo e le norme relative alla sua liquidazione, deve essere depositato presso il registro delle imprese, risulta evidente come la stessa disposizione non possa applicarsi al contratto di rete in ragione della non obbligatorietà dell’istituzione di un fondo comune66.
Una precisazione della opinione sopra richiamata è stata prospettata da quella parte di quella dottrina67 che ha sì confermato la natura consortile del contratto di rete, ma con talune precisazioni:
I. replicando l’identità di scopo (mutualistico) viene osservato che strutturalmente non vi è differenza alcuna tra il contratto di rete e contratto di consorzio, dal momento che l’attività consortile ovvero lo svolgimento
65 XXXXXX D., Dal consorzio al contratto di rete, in Le reti d’imprese e i contratti di rete, (a cura di) IAMICELI P., Torino 2009, pp. 170 ss.
66 Così XXXXXXXXXX S., Il contratto di rete, cit., p. 53 ss.
67 XXXXX X., Reti contrattuali tra imprese e conoscenza innovativa, in Le reti di imprese e i contratti di rete, (a cura di) IAMICELI P., Torino, 2009, pp. 183 ss.
in comune di determinate fasi delle imprese partecipanti sono del tutto riconducibili a una delle tre fattispecie in cui si estrinseca l’oggetto del contratto di rete: l’esercizio in comune di una o più attività economiche;
II. interpretando estensivamente il concetto di fase, è stato costatato che le attività economiche esercitate in comune per il tramite della rete non fossero altro che le fasi delle attività imprenditoriali facenti capo a ciascun partecipante, rendendo perfetta l’analogia con l’oggetto del consorzio68;
III. l’istituzione del fondo comune e il regime dettato per lo stesso con il richiamo agli articoli 2614 e 2615 c.c., dettati per l’appunto in tema di consorzi, accostavano ulteriormente le due figure;
IV. l’organo comune del complesso reticolare e l’ufficio comune che svolge attività con i terzi ex art. 2612 c.c. possono essere pressochè assimilati in toto.
Anche dando seguito a tali precisazioni, viene messo in evidenza come vi sia un rapporto di genus a species tra rete e consorzio, dal momento che non può esistere un contratto di rete non riconducibile nell’area consortile, ben potendo accadere il contrario.
A tale conclusione può essere replicato che, in primis, il contratto di rete non è necessariamente caratterizzato dallo scopo mutualistico, atteso che tale scopo non viene richiamato dalla specifica disciplina legislativa.
In secundis, se la causa del contratto di consorzio risiede nel perseguimento in comune di una o più fasi dell’attività imprenditoriale dei membri del consorzio stesso, quella del contratto di rete è diversa e viene a identificarsi, come già chiarito nel capitolo precedente, nella collaborazione vista in chiave di accrescimento dell’innovazione tecnologica e della competitività sul mercato tramite l’affidamento alla rete di un’attività economica nella sua interezza69.
Di conseguenza, si è precisato70 che, se la causa consortile è quella di frazionare le fasi produttive, quella del contratto di rete è decisamente (e volutamente) più ampia.
Inoltre, se nella disciplina previgente una e una sola era l’attività che poteva essere esplicata tramite il contratto di rete, oggi il testo del comma 4-ter del D.L. 10 febbraio
68 XXXXXX D., Dal consorzio al contratto di rete: spunti di riflessione, in Riv. Dir. Commerciale, 2010, p. 171
69 XXXXXXXXXX S., Il contratto di rete, cit., pp. 55 ss.
70 ZANELLI P., Reti e contratto di rete, Cedam, Padova, 2012, p. 33
2009 n. 5, convertito nella L. 9 aprile 2009 n. 33, menziona esplicitamente, accanto alla fattispecie tipica dell’esercizio in comune di una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa (attività propria della società consortile), la possibilità di collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese, riconducibile nell’alveo dei consorzi ed, in particolare, del consorzio di cooperazione interaziendale ex art. 2602 c.c., nonché la facoltà di “scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica”, non contemplata prima della novella del 2010.
D’altronde, con riferimento ai profili da ultimo evidenziati, è decisivo notare che il contratto di rete si caratterizza per “la piena libertà lasciata alle parti di dotarla di un’organizzazione e di un fondo patrimoniale comuni: entrambi sì disciplinati, ma per la sola ipotesi che il contratto ne preveda l’istituzione”71.
Anche alla luce delle considerazioni appena svolte, il successivo quesito da porsi ha a oggetto la riconducibilità (o meno) del contratto di rete nell’alveo dei contratti tipici ovvero tipizzati socialmente.
Parte della dottrina risponde negativamente a tale quesito, propendendo per la descrizione della fattispecie del contratto di rete come fattispecie transtipica72.
Tale inquadramento - che tra l’altro, mette in crisi la tradizionale contrapposizione tra contratto di scambio e contratto per l’esercizio in comune di attività economica – di fatto sottolinea come il legislatore non abbia creato con il contratto di rete un nuovo tipo contrattuale, ma abbia predisposto uno scheletro normativo idoneo a essere completato da strumenti negoziali già presenti nell’ordinamento (ad esempio rete-società o rete-consorzio), ovvero da strumenti di cooperazione e di organizzazione73.
In tale prospettiva, dunque, il contratto di rete altro non costituirebbe che un macro-tipo che ricomprende molteplici modalità di collaborazione tra imprese per il
71 XXXXX G., Il contratto di rete dopo la riforma: che tipo!, cit., pp. 39 ss.
72 X. XXXXXXX F., voce Contratto di rete, in Enc. Dir., Xxxxxx, IX, Milano, 2016, pp.234 ss.; ID., Il contratto di rete e il diritto dei contratti, in Contr. 2009, pp. 919 ss., IAMICELI P., Dalle reti di imprese al contratto di rete: un percorso (in)compiuto, in (a cura di) IAMICELI P., Le reti d’imprese e i contratti di rete, Torino, 2009, pp. 19 ss.; ID., Il contratto di rete tra percorsi di crescita e prospettive di finanziamento, in Contr. 2009, p. 945; SCOGNAMIGLIO C., Dal collegamento negoziale alla causa di collegamento nei contratti tra imprese, in (a cura di) IAMICELI P., Le reti d’imprese e i contratti di rete, Torino, 2009, pp.61 ss.
73 BULLO L. (a cura di), Profili del contratto di rete: autonomia privata e destinazione patrimoniale, in
Quaderni della rivista di diritto civile, Cedam, Padova, pp. 29 ss.
tramite di una pluralità di contratti socialmente tipici; e proprio questa disciplina che permea e incrocia più fattispecie consente di operare il riferimento alla transtipicità.
Un rilievo alla predetta opinione viene mosso da un’autorevole dottrina74 secondo cui tipico sarebbe il contratto di rete, mentre transtipico, semmai, sarebbe il fenomeno delle reti imprenditoriali complessivamente osservato, dal momento che il fenomeno economico sottostante si articola in numerosissime variabili, tali da non rendere possibile la sua riconduzione ad un singolo tipo contrattuale.
Il contratto di rete tipizzato dal legislatore invece rappresenta uno strumento capace di soddisfare solo in parte le esigenze richieste dal fenomeno economico reticolare.
Per gli autori75 che propugnano la tesi della (nuova) tipicità del contratto di rete, il tratto distintivo della fattispecie viene ravvisato nella collaborazione inter- imprenditoriale tra parti tra di loro indipendenti, collaborazione funzionale a un comune incremento di competitività e di innovazione.
La disciplina normativa andrebbe dunque a creare una fattispecie contrattuale autonoma corredata da una disciplina, anch’essa, autonoma.
Un contratto d’impresa, consensuale, ad effetti obbligatori, di durata, con comunione di scopo, associativo, tendenzialmente aperto, con causa cooperazionale e a forma vincolata76, ascrivibile alla categoria dei contratti plurilaterali con comunione di scopo, quale categoria contrapposta a quella dei contratti di scambio.
La natura di tale contratto (tipico, associativo e con comunione di scopo) per la corrente dottrinaria appena richiamata, viene fondata su più indici, e in particolare: su di un indice testuale, che fa leva sulla disposizione di cui alla lett.d) della comma 4-ter dell’art.3 del D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, convertito nella L. 9 aprile 2009 n. 33, e, più in generale, sulle regole in materia di scioglimento dei contratti plurilaterali con comunione di scopo; su di un indice funzionale: di fatto, per il tramite del contratto di rete, gli imprenditori perseguono lo scopo di accrescere individualmente e collettivamente la propria capacità innovativa e, a tal fine, si obbligano a svolgere le (tre) attività già più volte menzionate costituenti l’oggetto del contratto di rete.
74 DELLE MONACHE S. – XXXXXXXX X., Il contratto di rete, in Trattato dei contratti, diretto da Xxxxx e Xxxxxxxxx, III, Opere e servizi, Milano, 2014 pp. 1246 ss.
75 Così XXXXX G.D., Il contratto di rete dopo la riforma: che tipo!, cit., pp. 29 ss.; ID., Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, cit., 2010, pp. 839 ss.
76 XXXXXXX S., Il contratto di rete, in (a cura di) MONTALENTI P., I modelli di impresa societaria fra tradizione e innovazione nel contesto europeo, Milano, 2016, p. 112
La collaborazione è quindi funzionale al raggiungimento di un obiettivo, individuale e collettivo, come esplicitato nel programma e, qualora risultino previste anche prestazioni di natura corrispettiva, queste dovranno trovare collocazione e inquadramento in uno schema più ampio che persegua il comune obiettivo predeterminato dal legislatore.
Un dato risulta tuttavia certo e innegabile: l’introduzione del contratto di rete ha riacceso il dibattito circa l’ammissibilità dei contratti plurilaterali di scambio e circa la compatibilità tra la causa di scambio e quella associativa.
Occorre, in proposito, preliminarmente sottolineare come decisa sia la distinzione tra il contratto di scambio e quello associativo: mentre il primo ha struttura bilaterale e, per suo tramite, le parti perseguono scopi convergenti e contrapposti (c.d. sinallagma), con il contratto associativo gli interessi dei soggetti vertono in funzione di uno scopo comune da realizzare sulla base di un programma, anch’esso comune, che funge da elemento di raccordo tra le singole prestazioni.
A tale conclusione si oppone quella dottrina77 che ha osservato come la sinallagmaticità non risulti incompatibile con la multilateralità, carattere con il quale si può coniugare, ben potendo esistere contratti plurilaterali senza comunione di scopo (ad esempio la divisione) e contratti plurilaterli di scambio, come quelli che emergono dalla prassi contrattuale (leveraged buy out e leasing), nei quali i diversi scopi vengono riuniti nel medesimo accordo senza dovere relegare la giuridicizzazione del fenomeno economico sottostante ad una molteplicità di contratti di scambio, artificiosamente collegati tra di loro.
E proprio tramite l’osservazione della realtà sottostante a tali operazioni economiche, è possibile notare come vi possa ben essere la convivenza tra elementi di scambio e di collaborazione tra imprese, all’interno di una regolamentazione convenzionale unitaria.
E in tale quadro di riferimento sembrerebbe doversi inserire la fattispecie del contratto di rete come oggi tipizzato dal legislatore che ha avuto cura di specificare che “a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a
77 BARBA V., Appunti per uno studio sui contratti plurilaterali di scambio, in Riv. Dir. Civ., 2010 pp. 547 ss.; XXXXXXXX E., I contratti-tipo, Napoli, 2017, pp. 98 ss.
scambiarsi informazioni o prestazioni… ovvero ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”78.
L’operazione economica sottostante alle reti d’impresa fa sì che debbano essere ricompresi nell’area dello stesso contratto sia lo scambio, che la collaborazione, che ancora l’esercizio in comune di attività economica, imponendosi in tal modo agli interpreti una rivisitazione delle ordinarie categorie del diritto civile; costituisce infatti dato testuale quello secondo cui “lo scopo comune può essere raggiunto anche mediante lo scambio di prestazioni”79.
Volendo concludere, il legislatore, con l’introduzione del contratto di rete, è intervenuto nei rapporti di cooperazione e di collaborazione (generici) istituiti tra imprese, fornendo alla realtà imprenditoriale uno schema quadro sorretto da una causa cooperazionale che permette di mantenere l’autonomia più piena in capo ai contraenti. Più volte richiamato lo scopo comune che consente di unire la dimensione individuale a quella collettiva, questo rappresenta l’argomento principale che spinge l’interprete a ricomprendere il contratto di rete all’interno della categoria dei contratti plurilaterali con comunione di scopo, e ciò nonostante risulti innegabile l’immanente presenza di negozi di scambio (finalizzati, in ogni caso, al perseguimento dei suddetti
interessi).
In tal modo sistematicamente inquadrata la figura, il contratto di rete sembra permettere di ravvisare il connotato tipico dei contratti associativi in senso stretto, dal momento che, per il tramite di tale strumento negoziale, viene in essere una complessa organizzazione strutturale con la presenza autonoma (possibile) di un fondo comune e di un organo comune; tale ricostruzione propende verso la struttura di natura organizzativa della fattispecie reticolare.
Nella ipotesi della rete meramente contrattuale, ovvero priva di organo e fondo comuni, il contratto di rete sembra piuttosto accostarsi ai contratti c.d. plurilaterali di programma80, contratti che possiedono numerose caratteristiche in comune con i contratti di scambio, dal momento che le obbligazioni reciproche soddisfano l’interesse degli altri; in tal caso, pure, la rilevanza dello scopo comune discende da un programma condiviso che guida le diverse attività finalizzandole al perseguimento di
78 Art.3, comma 4-ter, del D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, convertito nella L. 9 aprile 2009 n. 33
79 BULLO L., Profili del contratto di rete: autonomia privata e destinazione patrimoniale, cit., p. 31
80 Su tale categoria x. XXXXXXX S., voce Contratto plurilaterale, in Enc. Giur. Treccani, vol. X, Roma, 1988, pp. 12 ss.
obbiettivi strategici condivisi, per il raggiungimento dei quali i singoli interessi individuali si fondono in un interesse meta-individuale presente nel contratto di rete, senza la creazione di una struttura complessa autonoma.
Infine due significative considerazioni conclusive, che esorbitano dalla tematica della classificazione del contratto di rete, ora affrontata.
In primis, attenendosi al tenore letterale della norma di riferimento, il contratto di rete è ricompreso, a prescindere dalle variazioni strutturali che lo stesso può assumere, nella categoria dei contratti ad assetto di interessi mediato da un programma (categoria che si contrappone a quella dei negozi ad assetto di interessi immediato)81 in ragione della centralità sistematica del programma comune (che segna, come si vedrà, addirittura il confine della responsabilità limitata).
In secundis, le analogie già più volte evidenziate tra il contratto di rete e quello di consorzio82 non vanno né “esorcizzate” né trascurate. Se infatti è vero che la normativa in tema di consorzi può colmare le lacune della normativa in tema di contratto di rete, è altresì vera l’ipotesi speculare. Ciò a maggior ragione ove si consideri che le norme sui consorzi costituiscono al più un retaggio della funzione originariamente impressa all’istituto, ovvero quella anticoncorrenziale, funzione che attualmente mal si concilia con la funzione preminentemente svolta attraverso tali istituti, ovvero quella di cooperazione interaziendale.
Ed è proprio sulla base delle predette considerazioni che “la nuova normativa speciale sul contratto di rete potrebbe sperimentare la potenzialità delle proprie, più recenti soluzioni normative ad essere generalizzate, anche al fine di ammodernare ed aggiornare la disciplina codicistica sui consorzi, in una sorta di correlazione biunivoca che può servire a limitare, se non ad eliminare, le aporie, logiche e normative, che connotano i due istituti”83.
81 Cfr. CAFAGGI F., Il contratto di rete e il diritto dei contratti, in Contratti, 2009, X, pp. 918 ss.
82 Si veda quanto osservato nel capitolo che precede e nel presente paragrafo
83 XXXXXXXXXX S., Il contratto di rete, cit., p. 57
Partecipazione delle reti di imprese ai procedimenti amministrativi
L’art. 6-bis. del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito in legge”, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (rubricato “Distretti produttivi e reti di imprese”) testualmente disponeva84:
"1. Al fine di promuovere lo sviluppo del sistema delle imprese attraverso azioni di rete che ne rafforzino le misure organizzative, l'integrazione per filiera, lo scambio e la diffusione delle migliori tecnologie, lo sviluppo di servizi di sostegno e forme di collaborazione tra realtà produttive anche appartenenti a regioni diverse, con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono definite le caratteristiche e le modalità di individuazione delle reti delle imprese e delle catene di fornitura.
2. Alle reti, di livello nazionale, delle imprese e alle catene di fornitura, quali libere aggregazioni di singoli centri produttivi coesi nello sviluppo unitario di politiche industriali, anche al fine di migliorare la presenza nei mercati internazionali, si applicano le disposizioni concernenti i distretti produttivi previste dall'articolo 1, commi 366 e seguenti, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, come da ultimo modificati dal presente articolo, ad eccezione delle norme inerenti i tributi dovuti agli enti locali”.
La riportata disposizione, con la quale, come già anticipato, la nuova realtà giuridica costituita dalle reti di imprese ha fatto la sua prima (fugace) apparizione nel
84 La riportata disposizione è stata dapprima modificata dall’art. 3, comma 1 del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito con modificazioni dalla Legge 9 aprile 2009, n. 33, e successivamente abrogata dall’art. 1, comma 2 della Legge 23 luglio 2009, n. 99.
nostro ordinamento85, rende evidente come la tematica dei rapporti e delle relazioni tra le reti di imprese e l’amministrazione pubblica sia di indubbia e oggettiva rilevanza.
D’altronde ciò risulta confermato anche dalle disposizioni che attualmente disciplinano il contratto di rete.
E infatti l’art. 3 comma 4-quinquies del D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, convertito nella L. 9 aprile 2009 n. 33, contiene alcune specifiche disposizioni relative alla partecipazione delle reti di imprese ai procedimenti amministrativi, parzialmente rinviando a quanto stabilito dalla legge 23 dicembre 2005, n. 266 in materia di distretti produttivi86. Disposizione normativa, questa, che, a sua volta, contiene rilevanti disposizioni in materia di partecipazione (dei distretti) ai procedimenti amministrativi nell’ottica della semplificazione sia in favore delle imprese [che attraverso la partecipazione ai distretti (e oggi alla rete) si assicurano una gestione unitaria ed efficiente dei procedimenti amministrativi cui partecipano] e sia in favore dell’amministrazione (la cui attività istruttoria nell’ambito procedimentale si avvale delle attività propedeutiche espletate dai distretti).
Si possono tuttavia ipotizzare, più in generale, ulteriori relazioni tra le reti di imprese e l’amministrazione.
A riguardo, lo stesso l’art. 3 del D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, convertito nella L. 9 aprile 2009 n. 33, al comma 4 – ter, prevede espressamente che l'organo comune incaricato di dare esecuzione al contratto di rete agisce in rappresentanza della rete, quando essa acquista soggettività giuridica e, in assenza della soggettività, degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al programma, anche nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni.
Risulta comunque chiaro che – fermo restando che la qualità di imprenditore dei partecipanti e la finalità di miglioramento della competitività sul mercato escludono che il contratto di rete possa aprirsi alla partecipazione a pubbliche amministrazioni – sia facilmente ipotizzabile la conclusione di accordi con
85 Peraltro al limitato scopo di consentire l’applicazione alle reti di imprese le disposizioni concernenti i distretti produttivi in materia di tassazione consolidata distrettuale e di tassazione concordata.
86 Segnatamente all’art. 1, comma 368, lett. b), c) e d) della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006).
amministrazioni pubbliche, ad esempio anche con finalità di sperimentazione di tecnologie innovative o di ricerca87.
D’altronde, come visto, sotto il profilo funzionale, con il contratto di rete le parti possono realizzare non solo obiettivi di integrazione verticale (ad es. governare una rete di sub-fornitura condividendo standard di produzione; coordinare un sistema di distribuzione, basato su rapporti di franchising), ma anche obiettivi di cooperazione di tipo orizzontale, anche rafforzando legami già in atto [basati su patti parasociali ovvero su (anche precedenti) rapporti negoziali] al fine di compiere attività d’interesse comune.
In tale contesto si colloca la partecipazione delle strutture di rete ai procedimenti amministrativi per l’aggiudicazione di contratti pubblici di lavori, forniture e servizi.
Dalla finalizzazione del contratto di rete all’aumento della competitività delle imprese sul mercato discende, quasi automaticamente, la utilizzazione della rete per aumentare la possibilità delle imprese di competere nel mercato delle pubbliche commesse.
Anche in ragione del carattere generale del fenomeno e della oggettiva rilevanza del tema, procedo di seguito ad approfondire il tema della partecipazione delle reti di imprese alle procedure di gara per l’aggiudicazione di contratti pubblici.
Il punto di partenza da cui prendere le mosse è rappresentato dalla Legge 11 novembre 2011, n. 180, recante “Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese”, che all’art.1, comma 5, lett. h) indica tra le finalità dello statuto dell’imprenditore quella di “adeguare l’intervento pubblico e l’attività della pubblica amministrazione alle esigenze delle micro, piccole e medie imprese nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.
Quindi, la promozione di politiche volte all’aggregazione tra imprese, anche attraverso il sostegno ai distretti e alle reti di impresa, è contemplata quale principio generale che concorre a definire lo statuto delle imprese e dell’imprenditore, dall’art. 2, lett. n) della richiamata Legge 11 novembre 2011, n. 180.
87 Come evidenziato da CAFAGGI F., Il contratto di rete e il diritto dei contratti, in Contratti, 2009, X,
p. 920 ss.. Concorde anche GRANIERI M., Il contratto di rete: una soluzione in cerca di un problema?, in Contratti, 2009, p. 934
Inoltre – e correlativamente - il legislatore ha stabilito all’art. 13, comma 2, lett. c) che la pubblica amministrazione e le autorità competenti debbano “semplificare l’accesso agli appalti delle aggregazioni fra micro, piccole e medie imprese, privilegiando associazioni temporanee di imprese, forme consortili e reti di impresa, nell’ambito della disciplina che regola la materia dei contratti pubblici”.
Le disposizioni richiamate, pur auspicando l’accesso delle reti di imprese alle procedure di gara, non individuavano le modalità attraverso le quali potesse concretamente realizzarsi tale partecipazione, alla luce delle regole dettate codice dei contratti pubblici (all’epoca Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163).
E a riguardo il predetto codice, all’articolo 34, indicava, in modo non tassativo, i soggetti ammessi a partecipare alle gare, consentendo, con specifico riguardo ai concorrenti plurisoggettivi, il ricorso a talune forme di aggregazione espressamente richiamate che presentano peculiarità e regole proprie, delineate principalmente in funzione del grado di strutturazione assunto dalla collaborazione imprenditoriale, quali i consorzi stabili (art. 34, comma 1, lett. c), i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro (art. 34, comma 1, lett. b) e i raggruppamenti temporanei di concorrenti (art. 34, comma 1, lett. c).
Il contratto di rete, tuttavia, non risultava riconducibile ad alcuna di tali forme, e ciò anche in considerazione dei suoi tratti peculiari quali anche sottolineati dalla Commissione europea88, secondo cui la “particolarità del contratto di rete è che le imprese partecipanti mantengono la loro autonomia sotto il profilo giuridico …, questa nuova figura giuridica lascia alle imprese la libertà di decidere quale tipo di cooperazione attuare e con quali mezzi, senza imporre alcuna forma di obbligo strutturato, come l'istituzione di un fondo o altre forme di fusione”, e secondo cui “mentre altre figure giuridiche di cooperazione strutturata, come le associazioni temporanee di imprese, raggruppano per un certo periodo di tempo società che intendono svolgere una determinata operazione, nella rete di imprese, (…), il contratto definisce un programma comune (come un programma industriale) con il quale le società partecipanti mirano ad accrescere, individualmente o collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato. Il contratto istituisce quindi la forma più flessibile e generale di associazione tra imprese, fissando
88 Bruxelles, 26.01.2011 C(2010)8939; Aiuto di Stato N 343/2010 - Italia - Sostegno a favore della costituzione di reti di imprese).
un numero limitato di norme al solo scopo di assicurare la trasparenza e la stabilità delle relazioni contrattuali”.
E un simile approccio, volto a dettare esclusivamente talune basilari regole che assicurassero il superamento di possibili incertezze giuridiche, ha caratterizzato anche la disciplina della partecipazione delle reti alle procedure di gara per l’aggiudicazione di contratti pubblici.
Ebbene, sulla scorta di quanto stabilito dal legislatore, dapprima l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici ha avviato delle consultazioni sul tema specifico e ha quindi dettato una segnalazione, la n. 2 del 27 settembre 201289; successivamente è intervenuto il legislatore che, al fine di permettere la partecipazione delle reti di imprese alle procedure di gara per l’aggiudicazione di contratti pubblici, è intervenuto in sede di conversione del Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179 (“Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”, c.d. decreto sviluppo bis) con la Legge 17 dicembre 2012, n. 221, il cui art. 36, comma 5-bis, lettera a) ha modificato gli articoli 34 e 37 del richiamato d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, codice dei contratti pubblici.
In particolare con una prima modifica è stata introdotta la nuova lett. e) bis dell’art. 34, comma 1, ammettendosi, espressamente, la partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici anche dalle “aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell’articolo 3, comma 4-ter, del decreto legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33”, inoltre afferma che a riguardo “si applicano le disposizioni dell’articolo 37”.
Con una seconda modifica, è stato introdotto il comma 15-bis, all’art. 37 del codice dei contratti pubblici, dedicato ai raggruppamenti temporanei e ai consorzi ordinari, in base al quale “le disposizioni di cui al presente articolo trovano applicazione, in quanto compatibili, alla partecipazione alle procedure di affidamento delle aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete, di cui all’articolo 34, comma 1, lettera e-bis)”.
89 Atto di Segnalazione n. 2 del 27 settembre 2012. Segnalazione ai sensi dell’art. 6, comma 7, lettera f), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, “Misure per la partecipazione delle reti di impresa alle procedure di gara per l’aggiudicazione di contratti pubblici” ove è dato leggere: “Attesi i possibili vantaggi che tale strumento può offrire per la competitività del sistema imprenditoriale, in una congiuntura economica particolarmente sfavorevole, l’Autorità, ha esperito una procedura di consultazione, dalla quale è emerso che le potenzialità applicative della fattispecie nell’ambito della contrattualistica pubblica possono meglio attuarsi mediante la definizione di un’idonea cornice giuridica di riferimento”.
Il legislatore, pertanto, ha lasciato all’interprete il non agevole compito di chiarire quali siano i limiti di compatibilità tra le ordinarie regole valide per i raggruppamenti temporanei di imprese e i consorzi e le specificità proprie del contratto di rete di imprese.
Ne sono dunque derivate rilevanti problematiche interpretative che hanno indotto l’Autorità di vigilanza ad assumere un atto a carattere generale, la determinazione n. 3 del 23 aprile 201390, al fine di offrire chiarimenti in ordine alle criticità derivanti dalle modalità di partecipazione delle reti di imprese alle procedure di gara.
L’individuazione di tali modalità di partecipazione deve tener conto delle peculiari caratteristiche del contratto di rete che, come rilevato, non è finalizzato alla creazione di un soggetto giuridico distinto dai sottoscrittori, ma alla collaborazione organizzata di diversi operatori economici.
Ciò postula, in primo luogo, un’attenta considerazione della volontà negoziale delle parti contraenti, le quali devono pattiziamente decidere di contemplare la partecipazione congiunta alle procedure di gara nell’oggetto del contratto di rete, individuandola come uno degli scopi strategici inclusi nel programma comune. Pertanto, la partecipazione della rete alla procedura è subordinata al fatto che i contraenti abbiano indicato espressamente nel programma della rete lo scopo di partecipare congiuntamente alle procedure di gara.
A tale condizione preliminare, deve poi fare seguito una differenziazione delle modalità partecipative a seconda dell’importanza concreta che le parti attribuiscono a detta finalizzazione, in base al grado di strutturazione proprio della rete e all’oggetto della specifica gara, dovendosi quindi effettuare una differenziazione tra reti dotate di organo comune di rappresentanza, da un lato, e reti che ne siano sprovviste, dall’altro.
Prima di esaminare nel dettaglio le predette modalità, è necessario precisare come il nuovo codice dei contratti pubblici di cui al Decreto Legislativo 18 aprile 2016,
n. 5091, adottato in attuazione della Direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e
90 Determinazione AVCP n. 3 del 23 aprile 2013, Partecipazione delle reti di impresa alle procedure di gara per l’aggiudicazione di contratti pubblici ai sensi degli articoli 34 e 37 del d.lgs. 12 aprile 2006,
n. 163, in Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 120 del 24/05/2013 (pag. 33).
91 In merito alla portata delle disposizioni del nuovo codice dei contratti pubblici in relazione alla disciplina dell’Unione europea cfr. CHIEPPA R. (a cura di), Nuovo codice dei contratti pubblici appalti e concessioni, Milano, 2016, 53 ss. Per un esame puntuale della disciplina comunitaria in materia di
del Consiglio del 26 febbraio 2014, ponendosi in linea con quanto precedentemente stabilito dal Decreto legislativo n. 163 del 2006, riconosca espressamente le “reti di imprese” quali “operatori economici” ai fini della partecipazione a procedure ad evidenza pubblica.
In tal senso dispone l’art. 45, comma 2, lett. f), del Decreto legislativo n. 50 del 2016, il quale, nell’ambito della definizione degli operatori economici che possono assumere contratti pubblici, ricomprende espressamente “f) le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell’art. 3, comma 4-ter, del decreto legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n.
33”92.
A riguardo, come visto, le disposizioni normative che disciplinano il contratto di rete sembrerebbero restringere il novero dei soggetti che possono stipulare un tale contratto ai soli soggetti che rivestono lo status di imprenditori ai sensi dell’art. 2082 c.c., giacché la stipula del contratto deve risultare nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante; inoltre, l’efficacia del contratto decorre dal momento in cui è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari. Una tale limitazione mal si concilia con la nozione comunitaria di “operatore economico” di cui all’art. 2, comma 1, numero 10 della richiamata Direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 201493 – la quale include qualsiasi entità che esercita un’attività economica a prescindere dallo status giuridico di detta entità e delle sue modalità di finanziamento - e con quella di attività economica - intesa come qualsiasi attività che si concretizzi nell’offerta di beni e servizi sul mercato94.
In ogni caso, merita di essere sottolineato come la richiamata disposizione del codice dei contratti pubblici si ponga nel solco di una delle linee direttrici della
appalti pubblici ed il suo recepimento nel D.lgs. 163/2006 si vedano, tra gli altri, XXXXXX F., Il nuovo codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Cedam. 2008; SANDULLI M.A., Trattato sui contratti pubblici, Xxxxxxx, 2008; DE XXXXXXXX X., I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Xxxxxxx, Milano, 2007
92 Sul punto, anche per ulteriori indicazioni bibliografiche e riferimenti giurisprudenziali, sia consentito il rinvio a CHIRULLI P., I soggetti ammessi alle procedure di affidamento degli appalti di lavori, servizi e forniture, in Trattato dei contratti diretto da XXXXXXXX P. e XXXXXXXXX, I contratti di appalto pubblico, (a cura di) XXXXXXXXX C., vol. I, 348 ss.
93 Nozione nella sostanza corrispondente a quella di cui alla definizione recata dall’art. 3, comma 1, lettera p) del codice dei contratti pubblici.
94 Sulla nozione di impresa nel diritto comunitario, LOTTINI M., Il mercato europeo. Profili pubblicistici, Napoli, 2010, 75 ss.
Direttiva 2014/24/UE, rappresentata dalla necessità di favorire l’accesso al mercato dei contratti pubblici delle micro, piccole e medie xxxxxxx00, e delle disposizioni, dettate dalla predetta Direttiva, con le quali sono state individuate specifiche misure atte a realizzare tale finalità.
Tra le principali misure adottate si richiamano quelle volte alla suddivisione degli appalti in più lotti e alla necessità di consentire il ricorso al subappalto, nonché quelle, di maggiore interesse in relazione al tema in trattazione, che si sostanziano nella specifica previsione di misure atte a semplificare l’accesso agli appalti delle aggregazioni tra micro, piccole e medie imprese, privilegiando, tra le altre forme associative, proprio le reti d’imprese.
Tornando alla disciplina di riferimento, il nuovo codice dei contratti pubblici, con specifico riferimento ai requisiti per la partecipazione e la qualificazione delle reti alle procedure di affidamento, al comma 14 dell’art. 48 testualmente richiama, “in quanto compatibili”, le disposizioni di cui allo stesso articolo 48 dettate in tema di partecipazione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari, con la precisazione che, nel caso in cui le reti abbiano tutti i requisiti del consorzio stabile96, le stesse sono ad essi equiparate ai fini della qualificazione97.
Alla luce del su riportato quadro normativo, posso ora procedere a esaminare le questioni correlate alle modalità di partecipazione delle reti d’impresa alle gare per l’aggiudicazione di contratti pubblici. All’esito esaminerò i profili di qualificazione della rete d’imprese per la partecipazione alle gare e, successivamente, il tema delle modifiche soggettive nella struttura di rete, Infine mi occuperò delle problematiche inerenti la fase esecutiva del contratto.
In ordine alle modalità di partecipazione delle reti d’impresa alle gare per l’aggiudicazione di contratti pubblici osservo quanto segue.
Sebbene anche il nuovo codice dei contratti pubblici non effettui alcuna espressa distinzione tra i vari tipi di contratti di rete previsti dalle disposizioni di riferimento (“rete-soggetto”, “rete-contratto forte” e “rete-contratto debole”), ad eccezione della sola espressa equiparazione delle stesse ai consorzi stabili, ai fini della
95 In particolare si vedano i considerando 2, 59, 78 e 124 della Direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014.
96 In ordine ai consorzi stabili si veda CARBONE P., Persistenti aspetti problematici della disciplina dei consorzi stabili di imprese, dopo il secondo correttivo al d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163, in Riv. Trim. appalti, 2007, 395
97 Mediante le società organismi di attestazione (SOA)
qualificazione, qualora in possesso dei requisiti del consorzio stabile, sono dell’avviso, in conformità di quanto espressamente stabilito dalla richiamata Determinazione dell’Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici n. 3 del 23 aprile 2013, che le modalità di partecipazione delle reti alle procedure di affidamento debbano differenziarsi in base all’effettiva forma e alla strutturazione assunta dalla rete.
In tale ottica risulta allora possibile distinguere tre ipotesi.
In ipotesi di rete dotata di organo comune e di soggettività giuridica (c.d. “Rete- soggetto”), la rete partecipa direttamente alla gara a mezzo dell’organo comune; l’organo comune, in sede di offerta, ha facoltà di indicare le imprese che effettivamente daranno corso all’esecuzione delle prestazioni. In tal caso, atteso il potere riconosciuto all’organo comune di agire in rappresentanza della rete (nel cui programma strategico rientri la partecipazione congiunta a procedure di gara), l’aggregazione tra le imprese aderenti al contratto di rete partecipa a mezzo dell’organo comune, esso stesso parte della rete e qualora in possesso dei requisiti di qualificazione previsti per la mandataria. Conseguentemente, la domanda di partecipazione o l’offerta presentata dall’organo comune, assieme alla copia autentica del contratto di rete, costituiscono elementi idonei ad impegnare tutte le imprese partecipanti al contratto di rete, salva diversa indicazione in sede di offerta. È corretto , infatti, ritenere che l’organo comune possa indicare, in sede di offerta, la composizione della aggregazione tra le imprese aderenti al contratto di rete che partecipa alla specifica gara; alle imprese indicate è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi altra forma, alla medesima gara98.
Per quanto riguarda le formalità di partecipazione alla gara, si rammenta che il contratto di rete - stipulato mediante atto pubblico, scrittura privata autenticata, ovvero atto firmato digitalmente a norma dell’art. 25 del codice dell’amministrazione digitale, vale a dire con firma elettronica o altro tipo di firma avanzata autenticata da notaio o altro pubblico ufficiale - deve essere prodotto, in copia autentica, all’atto della partecipazione alla gara, in quanto da esso emergono i poteri dell’organo comune per presentare l’offerta o la domanda di partecipazione e per sottoscrivere il relativo contratto. Qualora le suesposte condizioni siano rispettate, l’organo comune stipulerà il contratto in nome e per conto dell’aggregazione di imprese retiste.
98 Ciò in conformità di quanto stabilito, in via generale, per i raggruppamenti temporanei e i consorzi dal comma 7, dell’art. 48 del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50.
In ipotesi di rete dotata di organo comune con potere di rappresentanza, ma priva di soggettività giuridica (c.d. “Rete-contratto forte”), la rete (qualora il contratto di rete sia stato sottoscritto con atto pubblico o scrittura privata autenticata), per mezzo del proprio organo comune, può svolgere il ruolo di impresa mandataria (qualora in possesso dei necessari requisiti di qualificazione), ma all’atto dell’offerta le singole imprese partecipanti al raggruppamento devono confermare la volontà di partecipazione alla specifica gara mediante la diretta sottoscrizione della domanda di partecipazione ovvero dell’offerta. Il contratto verrà poi stipulato dall’organo comune. Nel dettaglio, nella ipotesi di rete priva di soggettività giuridica ma dotata di organo comune con potere di rappresentanza, quest’ultimo può svolgere il ruolo di impresa mandataria, laddove in possesso dei necessari requisiti di qualificazione e qualora il contratto di rete rechi il mandato allo stesso a presentare domande di partecipazione o offerte per tutte o determinate tipologie di procedure di gara. Tuttavia, il mandato, contenuto nel contratto di rete, è condizione necessaria ma non sufficiente, in quanto la volontà di tutte o parte delle imprese retiste di avvalersi di una simile possibilità, per una specifica gara, deve essere confermata all’atto della partecipazione, mediante la sottoscrizione della domanda o dell’offerta. Tale atto formale, unitamente alla copia autentica del contratto di rete, che già reca il mandato, integra un impegno giuridicamente vincolante nei confronti della stazione appaltante. È, altresì, necessario che, a monte, il contratto di rete sia stato redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per atto firmato digitalmente a norma dell’art. 25 del codice dell’amministrazione digitale al fine di fornire idonee garanzie alla stazione appaltante circa l’identità delle imprese retiste; in difetto di una tale forma il mandato nel contratto di rete non può ritenersi sufficiente e sarà obbligatorio conferire un nuovo mandato nella forma della scrittura privata autenticata anche ai sensi dell’art. 25 del codice
dell’amministrazione digitale.
Qualora le suesposte condizioni siano rispettate, l’organo comune stipulerà il contratto in nome e per conto dell’aggregazione di imprese retiste. Qualora, invece, l’organo comune non possa svolgere il ruolo di impresa mandataria (ad esempio perché privo di adeguati requisiti di qualificazione, neanche ricorrendo all’istituto dell’avvalimento di cui all’art. 49 del codice dei contratti pubblici) la partecipazione potrà avvenire con le modalità di partecipazione proprie della rete dotata di organo comune privo di potere di rappresentanza ovvero delle reti sprovviste di organo comune (vedi infra).
In ipotesi di rete dotata di un organo comune che non ha il potere di rappresentanza ovvero in ipotesi di reti sprovviste di organo comune (c.d. “Rete- contratto debole”), la rete partecipa nella forma del raggruppamento temporaneo di concorrenti, facendo applicazione integrale della relativa disciplina con esclusione delle regole sul mandato, che potrà avere la forma (nel caso in cui il contratto di rete sia stato sottoscritto con atto pubblico o scrittura privata autenticata) di scrittura privata non autenticata.
Nel dettaglio, laddove il contratto di rete escluda il potere di rappresentanza, per cui l’organo comune agisce in nome proprio, l’aggregazione delle imprese retiste partecipa nella forma del raggruppamento, costituendo o costituito, con applicazione integrale delle relative regole, salvo quanto si osserverà circa la forma del mandato. Nel caso di raggruppamento costituendo, devono, quindi, essere osservate le seguenti formalità: sottoscrizione dell’offerta o della domanda di partecipazione delle imprese retiste parte dell’aggregazione interessata all’appalto; sottoscrizione dell’impegno che, in caso di aggiudicazione dell’appalto, sarà conferito mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una delle imprese retiste partecipanti alla gara, per la stipula del relativo contratto. In alternativa, è sempre ammesso il conferimento del mandato prima della partecipazione alla gara, alla stessa stregua di un raggruppamento temporaneo di imprese già costituito.
Quanto alla forma del mandato, al fine di non gravare di oneri eccessivi le imprese che hanno già sottoscritto il contratto di rete, il mandato può avere, alternativamente, la forma di: scrittura privata non autenticata sottoscritta, anche digitalmente, dagli operatori economici aderenti alla rete, purché il contratto di rete sia stato redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata o firmata digitalmente ai sensi dell’art. 25 del codice dell’amministrazione digitale; in detta evenienza, si reputa che la scrittura non autenticata dovrà essere prodotta unitamente alla copia autentica del contratto di rete; scrittura privata autenticata, nel caso di contratto di rete redatto in forme diverse da quelle sora indicate.
Tali conclusioni trovano espressa conferma nel “Bando tipo n. 1/2017”99
approvato dal Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione con delibera n. 1228
99 Bando Tipo n. 1/2017, Schema di disciplinare di gara per l’affidamento di servizi e forniture nei settori ordinari, di importo pari o superiore alla soglia comunitaria, aggiudicati all’offerta economicamente più vantaggiosa secondo il miglior rapporto qualità/prezzo, approvato dall’ANAC ai
del 22 novembre 2017 ove viene espressamente disciplinata la partecipazione delle aggregazioni tra imprese aderenti al contratto di rete di cui all’art. 45, comma 2 lett. f) del codice, stabilendosi che le stesse devono rispettare la disciplina prevista per i raggruppamenti temporanei di imprese in quanto compatibile, e in particolare: “a) nel caso in cui la rete sia dotata di organo comune con potere di rappresentanza e soggettività giuridica (cd. rete - soggetto), l’aggregazione di imprese di rete partecipa a mezzo dell’organo comune, che assumerà il ruolo della mandataria, qualora in possesso dei relativi requisiti. L’organo comune potrà indicare anche solo alcune tra le imprese retiste per la partecipazione alla gara ma dovrà obbligatoriamente far parte di queste; b) nel caso in cui la rete sia dotata di organo comune con potere di rappresentanza ma priva di soggettività giuridica (cd. rete-contratto), l’aggregazione di imprese di rete partecipa a mezzo dell’organo comune, che assumerà il ruolo della mandataria, qualora in possesso dei requisiti previsti per la mandataria e qualora il contratto di rete rechi mandato allo stesso a presentare domanda di partecipazione o offerta per determinate tipologie di procedure di gara”. L’organo comune potrà indicare anche solo alcune tra le imprese retiste per la partecipazione alla gara ma dovrà obbligatoriamente far parte di queste; c) nel caso in cui la rete sia dotata di organo comune privo di potere di rappresentanza ovvero sia sprovvista di organo comune, oppure se l’organo comune è privo dei requisiti di qualificazione, l’aggregazione di imprese di rete partecipa nella forma del raggruppamento costituito o costituendo, con applicazione integrale delle relative regole”.
Viene inoltre espressamente previsto, nel predetto bando tipo, che, per tutte le tipologie di rete, la partecipazione congiunta alle gare deve risultare individuata nel contratto di rete come uno degli scopi strategici inclusi nel programma comune, mentre la durata dello stesso dovrà essere commisurata ai tempi di realizzazione dell’appalto. Il ruolo di mandante/mandataria di un raggruppamento temporaneo di imprese può essere assunto anche da una sub-associazione, nelle forme di un raggruppamento temporaneo o consorzio ordinario costituito oppure di un’aggregazione di imprese di rete. A tal fine, se la rete è dotata di organo comune con potere di rappresentanza (con o senza soggettività giuridica), tale organo assumerà la veste di mandataria della sub- associazione; se, invece, la rete è dotata di organo comune privo del potere di
sensi dell’art. 213, comma 2 del d.lgs. 50/2016 con delibera n. 1228 del 22 novembre 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.298 del 22 dicembre 2017.
rappresentanza o è sprovvista di organo comune, il ruolo di mandataria della sub- associazione è conferito dalle imprese retiste partecipanti alla gara, mediante mandato ai sensi dell’art. 48, comma 12 del codice dei contratti pubblici, dando evidenza della ripartizione delle quote di partecipazione.
In ordine ai profili della qualificazione delle reti d’imprese per la partecipazione alle gare, osservo quanto segue.
Con riferimento ai requisiti generali di cui all’articolo 80 del codice dei contratti pubblici, risulta necessario che tutte le imprese della rete che partecipano alla procedura di gara siano in possesso dei predetti requisiti e ne attestino il relativo possesso in conformità alla vigente normativa. E ciò a prescindere dalla tipologia e dalla struttura della rete.
Con riguardo ai requisiti speciali di partecipazione - poiché l’aggregazione tra gli aderenti al contratto di rete è stata “strutturalmente” assimilata dal codice dei contratti pubblici al raggruppamento temporaneo di imprese - per gli appalti di lavori, servizi e forniture trovano applicazione le (rispettive) regole in tema di qualificazione previste dall’art. 48 del codice dei contratti pubblici.
Le aggregazioni si dovranno strutturare secondo la tipologia dei raggruppamenti orizzontali e verticali in conformità alle disposizioni dell’articolo 48 del richiamato codice, fermo restando che, come già anticipato, sussiste, ai sensi dell’art. 48, comma 7, del codice dei contratti pubblici, il divieto di partecipazione alla gara in forma individuale delle imprese che già partecipano alla medesima per mezzo della aggregazione di imprese partecipanti alla rete.
Anche con riferimento alla tematica del possesso dei requisiti speciali di qualificazione risulta necessario distinguere tre ipotesi.
In ipotesi di rete dotata di organo comune e di soggettività giuridica (c.d. “Rete- soggetto”), le quote di partecipazione al raggruppamento devono essere riferite all’“aggregazione” tra le imprese retiste che partecipa all’appalto. Conseguentemente, al fine di permettere alla stazione appaltante di verificare il possesso dei requisiti di qualificazione, devono essere specificate nell'offerta, a pena di esclusione, le rispettive quote di partecipazione all’aggregazione, che devono corrispondere alle quote di qualificazione100. Risultano altresì applicabili le ulteriori disposizioni in tema di
100 A riguardo è di rilievo sottolineare come, pur essendo venuta meno la necessaria corrispondenza tra quote di partecipazione al raggruppamento e quote di esecuzione dei lavori, l’art. 92, comma 2 del DPR
n. 207/2010 sancisce il principio di necessaria corrispondenza tra le quote di partecipazione al
ripartizione tra mandataria e mandanti in caso di raggruppamenti di tipo verticale (art. 48, comma 6 del codice dei contratti pubblici). Per i servizi e le forniture, il riferimento è al comma 4 dell’art. 48 del predetto codice, per cui nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici retisti.
In ipotesi di rete dotata di organo comune con potere di rappresentanza, ma priva di soggettività giuridica (c.d. “Rete-contratto forte”), risultano applicabili le medesime regole richiamate con riferimento alla rete dotata di organo comune e di soggettività giuridica, dovendosi, in particolare, anche in tale ipotesi, le quote di partecipazione riferirsi all’“aggregazione” tra le imprese retiste che partecipa all’appalto.
Infine, in ipotesi di rete dotata di organo comune privo di potere di rappresentanza ovvero in ipotesi di reti sprovviste di organo comune (c.d. “Rete- contratto debole”), dal momento che l’aggregazione delle imprese retiste partecipa nella forma di un vero e proprio raggruppamento temporaneo di imprese, si applica integralmente la disciplina prevista dall’art. 48 del codice dei contratti pubblici.
Chiaramente, costituendo la rete uno strumento “ad hoc” che consente alle imprese retiste di presentarsi all’esterno come un unicum mantenendo la propria autonomia e la propria individualità, le singole imprese non perdono la capacità di partecipare singolarmente alle pubbliche gare d’appalto.
A riguardo è di rilievo sottolineare come la più recente giurisprudenza amministrativa sia giunta ad ammettere che a una medesima gara d’appalto possano partecipare singolarmente due imprese facenti parte di una rete di imprese101. Ciò in quanto una tale partecipazione non comporta di per sé la configurabilità della
raggruppamento e i requisiti di qualificazione posseduti. Con la conseguenza che, come stabilito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la decisione 27 marzo 2019, n. 6, il difetto del requisito di qualificazione in misura corrispondente alla quota dei lavori, cui si è impegnata una delle imprese costituenti il raggruppamento temporaneo in sede di presentazione dell’offerta, è causa di esclusione dell’intero raggruppamento dalla procedura di gara, anche se lo scostamento sia minimo e anche nel caso in cui il raggruppamento nel suo insieme (ovvero una diversa impresa del medesimo raggruppamento) sia in possesso del requisito di qualificazione sufficiente all’esecuzione dell’intera quota di lavori.
101 Secondo TAR Campania, Salerno, 3 giugno 2019, n. 927, in xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx, la esistenza di un contratto di rete “in assenza di una valutazione complessiva delle interferenze (oggettive e soggettive) tra le compagini sociali in occasione ed ai fini della gara de qua, è priva di qualsivoglia consistenza e, comunque, inidonea a suffragare ragionevolmente l’ipotesi che i due enti siano andati oltre la fisiologia del mercato, rispondendo, in realtà, ad unica (e ben individuata) volontà”.
sussistenza di un centro unico decisionale e, con essa, l’esistenza di una alterazione della concorrenza o dei principi di segretezza delle offerte.
E anzi, la utilizzazione da parte di entrambi gli operatori economici – nella predisposizione e nella formulazione delle rispettive offerte - delle strutture messe a disposizione in esecuzione del contratto di rete trova logica e legittima spiegazione proprio nella esistenza del contratto di rete, in tal modo ulteriormente confermandosi la peculiare natura della rete quale modello collaborativo idoneo da un lato a garantire stabilità e integrità dei rapporti, e d’altro lato a non comportare la perdita dell’autonomia di ciascuna delle imprese retiste102.
Per concludere sul tema, non può non essere richiamata la disposizione, particolarmente significativa, di cui all’ultimo inciso del comma 14 dell’art. 48 del codice dei contratti pubblici103, in forza della quale le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete possono acquisire un’autonoma qualificazione SOA qualora in possesso di tutti i requisiti del consorzio stabile di cui all'articolo 45, comma 2, lettera c) del codice dei contratti pubblici104. In tale ipotesi le predette aggregazioni, al pari di quanto stabilito per i consorzi stabili, potranno utilizzare sia i requisiti di qualificazione maturati in proprio, sia i requisiti posseduti dalle singole imprese facenti parte della rete designate per l’esecuzione e sia, mediante avvalimento, i requisiti di tutte le imprese facenti parte della rete ancorché non designate per l’esecuzione.
Infine, in ordine alla tematica dei profili riferiti alla fase esecutiva del contratto e delle modifiche soggettive nella struttura di rete, osservo quanto segue.
102 In termini v. TAR Lazio, Roma, 4 febbraio 2020, n. 1467, in xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx, con riferimento a una ipotesi di esclusione da una gara di appalto di due imprese retiste per collegamento sostanziale. Conf. TAR Lazio, Roma, 4 febbraio 2020, n. 1464, in xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx e TAR Lazio, Roma, 4 febbraio 2020, n. 1466, in xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx.
103 Il comma 14 dell’art. 48 del codice dei contratti pubblici testualmente recita: “Le disposizioni di cui al presente articolo trovano applicazione, in quanto compatibili, alla partecipazione alle procedure di affidamento delle aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete, di cui all’articolo 45, comma 2, lettera f); queste ultime, nel caso in cui abbiano tutti i requisiti del consorzio stabile di cui all'articolo 45, comma 2, lettera c), sono ad esso equiparate ai fini della qualificazione SOA”.
104 L’art. 45, comma 2, lett. c) del codice dei contratti pubblici testualmente stabilisce: “i consorzi stabili, costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile, tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro. I consorzi stabili sono formati da non meno di tre consorziati che, con decisione assunta dai rispettivi organi deliberativi, abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa”.
Con riguardo alla fase esecutiva del contratto d’appalto, sembrerebbe potersi affermare la responsabilità solidale, nei confronti della stazione appaltante - nonché nei confronti dei subappaltatori e dei fornitori - delle imprese retiste che stipulano il contratto di appalto, in conformità di quanto previsto dal comma 5 dell’art. 48 del codice dei contratti per i raggruppamenti temporanei di concorrenti105. Una tale responsabilità non può in alcun caso ritenersi estesa ai soggetti che, seppur sottoscrittori del contratto di rete, non abbiano partecipato alla specifica procedura di gara tramite l’aggregazione. Il citato art. 48, comma 5 del codice dei contratti pubblici deve intendersi quale norma speciale che prevale su eventuali pattuizioni di contenuto diverso volte a limitare detta responsabilità nei confronti della stazione appaltante.
Quanto alle modifiche soggettive nella struttura di rete in fase di partecipazione alla gara - ossia all’eventuale recesso di una o più imprese dal contratto di rete ovvero alla relativa estromissione dal contratto di rete in fase di partecipazione alla gara - trova applicazione la disciplina generale dettata dai commi 9, 17, 18 e 19 dell’art. 48 del codice dei contratti pubblici.
In particolare, ai sensi del suddetto comma 9, è vietata una qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti, e dunque della composizione delle reti di imprese rispetto a quella risultante dall’impegno presentato in sede di offerta.
Tale regola soffre di talune eccezioni, dettate per i raggruppamenti temporanei di concorrenti, ma applicabili anche alle reti d’imprese.
Ai sensi del comma 17 dell’art. 47 del codice dei contratti pubblici106, in caso di fallimento o di altra procedura concorsuale del mandatario ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario, purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o
105 Con la precisazione che per le imprese che assumono i soli lavori scorporabili ovvero le sole prestazioni di servizi e di forniture di carattere secondario, la responsabilità la responsabilità è limitata alle prestazioni di rispettiva competenza, ferma restando la responsabilità solidale della impresa mandataria.
106 In forza di quanto disposto dall’art. 48, comma 19-ter del codice dei contratti pubblici, le previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19 trovano applicazione anche laddove le modifiche soggettive ivi contemplate si verifichino in fase di gara.
forniture ancora da eseguire, fermo restando che non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante può recedere dall’appalto.
Ai sensi del comma 18 dell’art. 47 del codice dei contratti pubblici, in caso di fallimento o di altra procedura concorsuale di uno dei mandanti107 ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale in una serie di casi quali la morte, l’interdizione, l’inabilitazione o il fallimento del medesimo ovvero nelle specifiche situazione previste dalla normativa antimafia, con contestuale mancata indicazione da parte del mandatario di altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, il mandatario è tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire.
Ai sensi del comma 19 dell’art. 47 del codice dei contratti pubblici, risulta ammesso il recesso di una o più imprese raggruppate, anche qualora il raggruppamento si riduca ad un unico soggetto, esclusivamente per esigenze organizzative del raggruppamento e sempre che le imprese rimanenti abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire. Chiaramente una tale modifica soggettiva non è ammessa qualora sia finalizzata ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara108.
Fermo quanto ora osservato, deve in ogni caso sottolinearsi come l’eventuale “uscita” di un’impresa dal contratto di rete non abbia automatico effetto anche in relazione al contratto di appalto stipulato dalla rete.
Infatti, come visto, il recesso o l’estromissione dal contratto di rete non comporta né implica una corrispondente e automatica modifica soggettiva relativamente al contratto pubblico stipulato con la stazione appaltante.
L’impresa retista, dunque, in termini generali può recedere o essere estromessa dalla rete, ma non può unilateralmente svincolarsi dall’impegno assunto
107 Ai sensi dell’art. 186-bis, comma 6 del X.X. 00 marzo 1942, n. 267, l’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale può partecipare a gare d’appalto anche riunita in RTI purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al RTI non siano assoggettate ad una procedura concorsuale.
108 A riguardo deve inoltre evidenziarsi che, come rilevato anche dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AS 963 del 2012), occorre impedire che le imprese non partecipanti alla gara o non risultate aggiudicatarie nella gara stessa possano comunque partecipare all’esecuzione del contratto accordandosi successivamente con le imprese vincitrici e dando luogo quindi ad un’intesa assai più ampia di quella iniziale e tale, per la sua consistenza finale, da comportare una spartizione del mercato.
dall’aggregazione di rete che ha siglato uno specifico contratto di appalto, se non conformandosi alle disposizioni sopra richiamate.
In altri termini, al di fuori delle ipotesi indicate, l’eventuale recesso dal contratto di rete non potrebbe in alcun caso essere opposto alla stazione appaltante e, pertanto, non potrebbe assumere alcuna rilevanza sia nel contesto della gara che in corso di esecuzione.
Corporate governance delle reti di imprese
La corporate governance rappresenta un settore di assoluta rilevanza nella configurazione dell’attuale sistema societario e imprenditoriale.
Muovendo le mosse dalla sua definizione, anche al fine di comprenderne la portata precettiva, è possibile fare riferimento a quanto ritenuto dalla Commissione Cadbury nel Dicembre del 1992, che la ha definita come il “… system by which companies are directed and controlled”.
Una specificazione di questa definizione – che, presa singolarmente, comprenderebbe numerosissimi aspetti – è data dal preambolo dei principi in tema di corporate governance (dettati nell’anno 1999) della Organisation for Economic Co- operation and Development (OECD), ove risulta specificato che la stessa “… involves a set of relationships between a company’s management, its board, its shareholders and other stakeholders”, aggiungendo inoltre che questa “provides the structure through which the objective of the company are set, and the means of attaining those objectives and monitoring performance are determined”.
La definizione sopra riportata pone l’accento sull’importanza che riveste la governance in ambito societario: governance che viene ravvisata nell’imposizione del sistema che va a governare e dirigere in toto la struttura societaria, regolando le diverse interrelazioni tra organi e agenti.
Tramite la configurazione della corporate governance, diversi potranno essere gli obiettivi ottenuti, risultando altresì possibile instaurare un meccanismo di monitoraggio degli stessi.
I diversi sistemi adottati (e adottabili) non rivestono un’importanza strettamente correlata alla singola entità economica, ma hanno un notevole riflesso sull’andamento economico generale di una nazione e, in un’ottica più ampia, comunitaria e globale: è per questo che la normativa europea è più volte intervenuta, “ritoccando” la materia, con interventi numerosi e incisivi.
Sostituendo i termini sopra indicati (riferiti evidentemente alle companies
ovvero alle società) con quelli di stampo reticolare, risulta evidente come la corporate
governance ricopra un ruolo importantissimo anche in tema di regolazione dei rapporti reticolari.
In ragione della fondamentale importanza del progetto imprenditoriale e degli obiettivi di innalzamento della capacità innovativa e della competitività sul mercato, la governance della rete andrà in concreto a definire e a specificare come questa opererà al fine del raggiungimento dei propri obiettivi.
Come già più volte ricordato, l’istituzione di un fondo e di un organo comune sono elementi facoltativi della rete.
Secondo il tradizionale schema bi-fasico attinente alla vita del complesso reticolare, si suole distinguere tra due momenti: la fase costitutiva e la successiva fase di attuazione; solo in quest’ultima assume rilievo l’organo comune che deve essere in grado di attuare gli obiettivi indicati dal progetto reticolare.
L’organo comune risponde a un’esigenza di organizzazione del fenomeno reticolare attraverso la ripartizione delle diverse funzioni in ragione delle competenze facenti capo a ciascun partecipante al fine di attuare il programma comune.
La presenza di tale organo all’interno della configurazione reticolare si pone in linea con quanto previsto in termini generali dal legislatore all’interno del corpus normativo dei contratti, in particolare in riferimento all’art. 1332 cod. civ. che, disciplinando i contratti c.d. aperti, menziona l’organo “che sia stato costituito per l’attuazione del contratto”.
In ogni caso, l’organo comune ha il compito di sovraintendere in toto l’attuazione del contratto stesso dato che, in sua mancanza, ogni decisione sull’attuazione del negozio sarebbe rimessa in modo evidente alle scelte dei partecipanti secondo regole da disciplinare alla stregua di quelle proprie degli organi deliberativi delle società.
La fondamentale e assoluta importanza del ruolo svolto dall’organo comune è testimoniata dai dati empirici relativi ai 214 contratti di rete stipulati tra il 2010 e il 2011, dai quali emerge che circa 200 contratti di rete contemplano la presenza di un tale organo109.
109 CAFAGGI F. - IAMICELI P. - XXXXX G.D., Prime evidenze sui contratti di rete (2010-2011), in (a cura di) CAFAGGI F. - IAMICELI P., - XXXXX G.D., Il contratto di rete per la crescita delle imprese, cit. pp.132 ss.
Di regola un tale organo è composto da due persone fisiche, mentre la configurazione che prevede l’adozione di una o più strutture societarie per dirigere la governance del complesso reticolare non ha ancora avuto particolare diffusione.
In generale, nell’ambito della rete è possibile configurare, a seconda degli indirizzi che si intende imprimere alla gestione, un organo comune seguendo un modello pluripersonale oppure un organo comune a modello monocratico; i soggetti chiamati a far parte dei predetti organi, in concreto, possono essere sia retisti (configurazione interna) sia elementi esterni alla rete (configurazione esterna).
In genere l’organo è composto da soggetti aderenti al contratto.
L’organo così istituito agisce, come detto e come di seguito si dirà, in rappresentanza della rete qualora questa abbia assunto soggettività giuridica, ovvero dei singoli imprenditori in mancanza di quest’ultima.
A beneficio di una più chiara trattazione della materia in esame, occorre rilevare che, nella prassi, sono emersi principalmente quattro modelli di gestione reticolare:
I. organo comune onnicomprensivo, ovvero composto da tutti gli aderenti al contratto di rete;
II. organo comune per il quale scatta l’onnicomprensività qualora il numero di aderenti sia sotto una certa soglia numerica oltre la quale questo diventa pluripersonale non onnicomprensivo;
III. organo comune pluripersonale composto da un numero di membri inferiore rispetto alle imprese contraenti;
IV. organo comune monocratico che accentra tutti i poteri in un soggetto (interno o esterno alla rete).
Restano ancora marginali le governance affidate a una società-organo (rappresentando poco più dello 0,93% dei casi) e quelle che vedono al vertice un organo comune bipartito composto da uno monocratico e uno pluripersonale ovvero da più organi pluripersonali (le quali rappresentano poco meno del 3%).
Alla luce di tali considerazioni, emerge chiaramente come la rete possa spaziare all’interno dei più vari modelli di governance ricercando la composizione organica che meglio riflette le scelte di gestione coerenti con l’indirizzo impresso dal programma comune, modello non ancorato alla tradizionale tripartizione presente in ambito di società per azioni.
Volendo tirare le fila del discorso, dunque, la governance può essere monista e pluralista.
Si ricade nel primo caso quando il mandato copre interamente il rapporto di rete; nel secondo qualora ci sia convivenza tra imprenditori retisti e organo comune.
Al di fuori di tale basilare distinzione, la composizione, la struttura e l’operatività dell’organo incaricato di agire per conto della rete (o dei retisti) vengono interamente demandate all’autonomia negoziale delle parti, offrendo un vasto e variegato (nonché eterogeneo) spettro di possibilità; spetterà agli imprenditori sperimentare diversi modelli di governance, e agli interpreti, ex post, tracciare una linea guida condivisa dai più.
Volendo soffermarsi sulle divergenze rispetto alla gestione in materia societaria, la prima differenza ha carattere strutturale: nelle società di capitali si è in presenza di un rapporto di immedesimazione organica tra organo di gestione e società, mentre nel caso delle reti d’impresa il rapporto sembrerebbe configurare un tale organo come un mandatario ad hoc110.
Una tale configurazione discende dalla considerazione che l’art. 3 comma 4-ter del
D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, convertito nella L. 9 aprile 2009 n. 33 recita: “Il contratto può anche prevedere l'istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l'esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso”, e subito dopo, alla lett.e), dispone: “L'organo comune agisce in rappresentanza della rete, quando essa acquista soggettività giuridica e, in assenza della soggettività, degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto salvo che sia diversamente disposto nello stesso …”.
Poteri di gestione e di rappresentanza che tracciano le linee guida lungo le quali la rete si muoverà.
Occorre, pertanto, soffermarsi sul contenuto del rapporto che lega l’organo alla rete tramite il legame di mandato, che, in via di prima approssimazione, si configura come collettivo.
La giurisprudenza della Suprema Corte è costante nel ritenere che un tale rapporto si configura allorché “… più persone conferiscano mandato ad una terza persona … se coesistono due requisiti: esso deve essere conferito con un unico atto nonché per un interesse comune” 111.
110 Cfr. XXXXXXX I., Xxxx e Judicium, Caucci Editore, Bari, 2018, p. 80
111 Cass. 26 novembre 2002, n. 16678, in Giust. Civ., 2003, I, p. 1019 ss.
Il contratto di rete deve essere pienamente inquadrato nell’ambito di una tale cornice, risultando il mandato conferito, plurisoggettivamente, da tutti i partecipanti al contratto; ciò rende possibile l’accostamento di tale figura con quanto stabilito dall’art.1726 c.c. che, rubricato “Revoca del mandato collettivo”, menziona espressamente una pluralità di parti conferenti con un unico atto il mandato per la realizzazione di un interesse comune112.
La limitazione alla revoca contenuta nel codice sembra perfettamente in linea con la natura del contratto di rete e con le esigenze di inscindibilità del programma comune, impedendo che si verifichino revoche da parte del singolo mandante tali da pregiudicare l’attuazione dell’intero programma, salvo che questa non sia supportata da una giusta causa.
Analogamente, se il mandato viene conferito a una impresa partecipante, si tratterà di un mandato conferito anche nell’interesse del mandatario, e la sua revocabilità soggiacerà, anche in tal caso, al ricorrere di una giusta causa ex. art. 1723 c.c.
Il mandatario deve operare con la diligenza del buon padre di famiglia, come previsto dall’art.1710 c.c., che richiama un canone indicante oneri di lealtà, impegno, rigore e lealtà.
In verità, sebbene potrebbe ritenersi auspicabile un espresso intervento normativo al riguardo, sembrerebbe possibile applicare per analogia il grado di diligenza qualificata previsto in tema di società per gli amministratori, diligenza che si espande in una triplice direzione: quella prevista dagli artt. 2392-2393 c.c. verso la società (la rete), quella prevista dall’art. 2394 c.c. verso i soci (imprenditori retisti) e quella dettata dall’art. 2395 c.c. verso i creditori sociali (i creditori della rete). Criteri questi che tutti ruotano attorno alla c.d. business judgement rule, regola che appare correttamente applicabile anche in termini di gestione della rete, specialmente se questa acquista soggettività giuridica, acquisto che, come specificato precedentemente, rende possibile un netto accostamento alla figura societaria.
Inoltre, il mandatario è sempre soggetto alle istruzioni fornite dal mandante, ex art. 1711 c.c., e non gli è consentito superare i limiti del mandato; qualora ciò dovesse verificarsi, l’atto esorbitante tali limiti resterebbe a carico del mandatario (organo
112 Cfr. FILÌ F., La Governance del contratto di rete: organo comune e codatorialità, in Contratto di rete (Trasformazione del lavoro e reti di imprese), (a cura di) TREU T., Assago (Milano), 2015, pp. 102 ss.
comune) stesso. Data comunque la latezza della previsione, la dottrina113 ha indicato la necessità di una dettagliata descrizione dei poteri e dei limiti del mandatario all’interno del contratto di rete in alternativa (o in aggiunta) alla previsione di un meccanismo di rendicontazione simile (o uguale) a quello previsto dall’art.1713 c.c.114, onde consentire ai partecipanti e ai terzi il controllo sull’operato dell’organo comune in vista della realizzazione del programma di rete.
Altro aspetto sul quale è opportuno, per i retisti, porre attenzione è quello della durata dell’incarico conferito all’organo comune.
In tal caso, però, non risulta possibile l’accostamento con la figura societaria, nell’ambito della quale gli amministratori, salvo rielezione da parte dell’assemblea, operano per tre esercizi e sono soggetti a cause di ineleggibilità e decadenza (art. 2382 c.c.) e devono possedere specifici requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza (art. 2387 c.c.).
L’applicazione analogica di tali previsioni contrasterebbe con la massima flessibilità impressa all’istituto da parte del legislatore.
In aggiunta a quanto sopra, al pari di quanto avviene nella disciplina del mandato, gli imprenditori partecipanti alla rete possono munire l’organo comune di ogni potere di rappresentanza. Rappresentanza che, tuttavia, sarà marcatamente diversa in ipotesi di rete-contratto rispetto a quella di rete-soggetto: nel primo caso, il regime di riferimento sarà quello della rappresentanza ordinaria, nel secondo si ricadrà invece nel rapporto rappresentativo tipico delle società, ovvero quello della rappresentanza organica, atteso che l’organo, secondo tale configurazione, esprimerà un rapporto di immedesimazione con il soggetto entificato rete.
Tramite il conferimento di poteri di rappresentanza all’organo comune, gli effetti degli atti posti in essere dallo stesso ricadranno immediatamente nella sfera giuridica di ciascuna delle imprese retiste mentre, qualora tale potere rappresentativo non fosse conferito, l’organo sarebbe obbligato a trasferire ai retisti tutti gli effetti giuridici degli atti compiuti.
A fini di completezza, con riferimento alla tematica in esame, risulta necessario fare menzione del rinvio di cui all’art. 3, comma 4-quinquies del D.L. 10 febbraio 2009
n. 5, convertito nella L. 9 aprile 2009 n. 33, rinvio che rende applicabile alle reti
113 FILÌ F., La Governance del contratto di rete: organo comune e codatorialità, cit., pp. 103 ss.
114 Anche in questo caso, un obbligo qualificato potrebbe risultare auspicabile
d’imprese la disposizione di cui all’art. 1, comma 368, lett.b) e c) della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006) in tema di distretti. Disposizione nella quale si prevede che “… i distretti hanno la facoltà di stipulare, per conto delle imprese, negozi di diritto privato secondo le norme in materia di mandato di cui agli artt.1703 ss. c.c.”.
Si è all’evidenza in presenza in un classico caso, tipizzato dal legislatore, di mandato ex lege operante senza necessità del conferimento di uno specifico potere di rappresentanza a opera delle parti, che, in relazione alle configurazioni reticolari, rende possibile una tripartizione di fattispecie:
I. rete priva di un gestore comune: secondo tale modello, la disciplina del mandato (senza rappresentanza) non sembra poter trovare applicazione in considerazione della mancanza di un soggetto che agisce per la rete. Pertanto o i retisti nomineranno un organo comune di gestione, oppure la previsione del suddetto mandato non troverà spazi applicativi. Si potrebbe, invero, ipotizzare che il mandato sia automaticamente sempre sussistente dal momento che il dato normativo non contempla eccezione alcuna; così, in mancanza dell’organo gestorio, potrebbe ipotizzarsi la possibilità di riferirsi ad un mandato conferito ex lege a ciascun partecipante in forma disgiuntiva (non potendosi prefigurarne uno congiuntivo dato che tutte le imprese in tal caso dovrebbero partecipare alla stipula dei contratti rendendo pressoché inoperante l’intera disposizione). In tale ottica, sembrerebbe ragionevole ritenere che, in ogni caso, essendo il mandato disgiuntivo, ogni partecipante possa rappresentare tutti gli altri. Una tale soluzione non risulta tuttavia sostenibile, atteso che in tal modo si legittimerebbe un aumento esponenziale dei conflitti per la possibilità di stipulazione di una pluralità di negozi, atteso che gli stessi potrebbero essere disgiuntivamente stipulati dai diversi imprenditori. Risulta allora corretto affermare (o meglio riaffermare) che, nel caso di rete senza istituzione di un gestore comune, la disposizione di cui al richiamato art. 1, comma 368, lett.b) e c) della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006) non troverà applicazione nella parte in cui si prevede la suddetta ipotesi di mandato ex lege;
II. rete priva di soggettività giuridica con organo di gestione: con riferimento a questa fattispecie, la norma in questione potrà venire applicata al pari di
ciò che avviene in tema di distretti industriali, attribuendo il potere di stipula all’organo individuato dai partecipanti in sede di contratto;
III. rete dotata di soggettività giuridica: in quest’ultima ipotesi, l’organo di gestione è il solo titolare del potere di rappresentanza generale della rete d’imprese, senza soffrire di eccezione alcuna; pertanto, appare non necessario ricorrere al rinvio di cui al comma 4-quinquies dell’art. 3 del
D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, convertito nella L. 9 aprile 2009 n. 33.
Profili anticoncorrenziali delle reti di imprese
Il regime concorrenziale all’interno di un mercato - su base locale, nazionale o comunitaria - rappresenta un valore preminente che necessita di specifiche cautele nella sua regolamentazione.
Tuttavia non risulta scontato che la tutela della concorrenza sia di così fondamentale importanza negli stati moderni e negli ordinamenti sovranazionali. Ciò in quanto la c.d. “Antitrust Law”, anche definita come il “guardiano notturno” dell’economia di mercato, ha come obiettivo quello di assicurare che il mercato funzioni nel modo migliore possibile a beneficio, non solo delle imprese, ma in favore di un generale miglioramento del “welfare” in conformità del criterio della “allocative efficiency”, venendo la predetta efficienza promossa per il tramite della messa a disposizione delle varie risorse disponibili e la relativa collocazione laddove le stesse soddisfano al meglio le preferenze dei consumatori.
Scontato dire che un mercato funzionante produce efficienza: non si verificano perdita di risorse nella produzione, gli output sono prodotti e venduti al più basso costo possibile e i produttori sono sempre spinti verso la ricerca di metodi e tecniche innovative per rendere il loro prodotto il migliore possibile. Il regime perfetto di concorrenza, ove correttamente regolato, porterebbe a una dynamic efficiency e le imprese sarebbero tutte il più innovative possibile. Un tale regime di perfetta concorrenza viene tratteggiato con i seguenti caratteri: numero infinito di compratori e venditori, nessuna barriera di entrata per le imprese, la posizione dei soggetti intervenuti è ininfluente sul prezzo; i prodotti sono omogeni; non sussiste un’asimmetria di informazione; il prezzo determinato esattamente dall’intersecazione tra la curva di domanda e quella di offerta.
Alle antipodi di un tale regime si colloca il monopolio, situazione (di fatto e/o di diritto) che viene generalmente ritenuta lesiva della concorrenza: in tale forma di mercato, per le più varie ragioni (ad esempio per l’esistenza di barriere alla entrata del settore di mercato, ovvero di un monopolio naturale a causa della presenza di
economie di scala ovvero l’esclusiva titolarità di input fondamentali), vi è un solo produttore. L’effetto del monopolio è quello di alzare il prezzo il più possibile, prezzo che sarà fissato da parte dell’unico venditore onde ottenere i maggiori ricavi possibili. Si tratta del c.d. “monopolistic price”, per definizione più alto del “competitive price”. L’oligopolio rappresenta, invece, una situazione intermedia: è una forma di mercato che vede coesistere solo un numero limitato di produttori o venditori. In un tale regime la collusione tra più imprese viene facilitata e il prezzo sarà generalmente
inferiore a quello monopolistico, ma superiore rispetto a quello competitivo.
Già le brevi considerazioni appena svolte mettono in risalto la necessità che vengano stabilite diverse e dettagliate cautele poste a tutela del buon funzionamento del mercato. E infatti, a far data dallo Sherman Act del 1890, è fiorita una legislazione generale e di settore volta proprio alle predette finalità.
Tuttavia, e chiaramente, le predette regole devono essere modificate e riviste, specialmente nel contesto attuale che vede l’economia di mercato mutare continuamente; da qui la necessità di adattamenti normativi in relazione alle varie figure che emergono nel corso degli anni. Laddove la norma non disciplini una specifica fattispecie, l’interprete è sovrano e svolgerà il proprio compito in relazione alle più varie figure e questioni, figure e questioni che, ai fini della presente trattazione, sono quelle che concernono quelle peculiari figure che sono le reti di imprese.
A riguardo è illuminante una precisazione. Su un piano meramente concettuale, la cooperazione risulta antagonista della competizione, andando a rappresentare proprio l’opposto. Tuttavia, nei mercati odierni, la realtà è più variegata offrendo prospettive complesse, nell’ambito delle quali la cooperazione risulta funzionale all’aumento di concorrenzialità e di competitività in altri mercati. A riguardo è stato sostenuto che il massimo successo commerciale si verifica quando le imprese realizzano un elevatissimo grado di competitività senza perdere la propria indipendenza e cooperando contestualmente con diversi operatori economici a tutela del comune interesse allo sviluppo del relativo settore di mercato.
Tali considerazioni pongono le basi per la coniazione del termine “co- opetition”115 con il quale si opera riferimento a “… un’idea estranea agli schemi concettuali dell’analisi economica corrente, che ipotizza una realtà economica fatta di soggetti totalmente indipendenti e fra loro rivali in tutto (o, per contro, collusivi in
115 Cfr. XXXXXXXXXXXXX A. – NALEBUFF B., Co-opetition, Currency – Xxxxxxxxx, New York, 1996
accordi di cartello o in pratiche concordate)” che “… – sta anche alla base della legislazione italiana di sostegno ai “distretti industriali” e ai “contratti di rete”116.
Ebbene, sembrerebbe potersi affermare che a supporto dei progetti di rete vi è una nuova idea economica, estranea al precedente paradigma, in forza della quale, collaborando e cooperando, si può essere più competitivi.
In tale contesto si inseriscono gli accordi di cooperazione tra imprese indipendenti. Tali accordi hanno a oggetto la messa in comune di alcune fasi dell’attività o lo scambio di informazioni o prestazioni di altro tipo tra concorrenti; le fasi che possono essere messe in comune possono essere le più varie, e quindi anche quelle preparatorie della produzione, quelle relative a ricerche di mercato o a consulenza legale, quelle (logicamente successive) della produzione in senso stretto (progetti di ricerca e sviluppo), e ancora quelle attinenti alla distribuzione dei servizi e dei prodotti (pubblicità, uffici vendita comuni). Tali accordi e, più in generale, ogni forma di collaborazione, avranno sempre un effetto positivo qualora consistano in un mezzo per progettare o lanciare nuovi prodotti ovvero per entrare in nuovi mercati.
Questa è la situazione tipica delle PMI che, da sole, non riuscirebbero a dare vita a un complesso progetto di ricerca o di commercializzazione, ma che possono proprio ricorrere a una tale forma di collaborazione anche per sfruttare maggiori risorse.
In realtà non sono esclusivamente le PMI che possono beneficiare di tali accordi (o, più in generale, del concetto più vasto di co-opetition), atteso che anche le realtà operanti su più vasta scala possono ricorrervi, ad esempio per sostenere congiuntamente i costi per un progetto particolarmente dispendioso di elaborazione di tecnologie innovative. Indubbiamente attraverso accordi di tal genere viene a configurarsi un monopolio temporaneo, ma è altrettanto vero che in tal modo si crea un nuovo prodotto ovvero un nuovo mercato.
Indicativa degli enormi benefici che possono portare tali accordi, è la Decisione della Commissione CEE del 27 Luglio 1990117 che invero, facendo proprio un orientamento più che permissivo, aveva addirittura ritenuto questi accordi come
116 XXXXXXX M.R., Reti d’imprese, contratti di rete e reti contrattuali, in Obbligazioni e contratti, 2009, p. 951
117 Decisione della Commissione 90/446/CEE, del 27 luglio 1990, riguardante una procedura a norma dell'articolo 85 del trattato CEE (IV/32.688 - Konsortium ECR 900), pubbl. in GUCE il 22 agosto 1990, n. L288/31.
estranei al divieto delle intese, senza la necessità di procedere alla relativa valutazione alla stregua dei criteri di cui all’art.101 paragrafo 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.
Volendo analizzare alcune peculiari figure di collaborazione espressamente tipizzate a livello comunitario, posso richiamare:
1. accordi in materia di ricerca e sviluppo: questa tipologia di cooperazione viene tendenzialmente considerata dal diritto antitrust in un’ottica positiva dal momento che la messa in comune di risorse, capitali e know-how, di regola, favorisce il flusso complessivo di innovazioni offerte al mercato. Gli unici temperamenti previsti sono quelli finalizzati a evitare la creazione e l’abuso di una situazione di monopolio. La disciplina di riferimento, contenuta nel Reg. (UE) n. 1217/2010 del 14 dicembre 2010, prevede l’esenzione per gli accordi di R&D che non incidono per più del 25% nel mercato rilevante (o meglio la quota di mercato detenuta anche congiuntamente da tutti i soggetti partecipanti);
2. accordi di produzione in comune: tali figure costituiscono lo sviluppo, fisiologico, degli accordi di R&D e la loro funzione è quella di consentire la realizzazione di significative economie di scala anche ai singoli piccoli imprenditori; il rischio di limitare la concorrenza in relazione ai predetti accordi è tutt’altro che teorico, così come quello di creare un ambiente collusivo con l’effetto (o l’oggetto) di consolidare la posizione dominante di una o più imprese e di escludere i partecipanti più deboli. La disciplina di riferimento attualmente qualifica tali fattispecie come una sottocategoria degli accordi di specializzazione produttiva; in forza di quanto stabilito dal Reg. (UE) n. 1218/2010 della Commissione del 14 dicembre 2010 tali accordi godono della relativa esenzione per categoria con soglia minima di quota di mercato detenuta pari al 20%. In questo caso, al pari del precedente, devono in ogni caso essere valutati anche i requisiti dell’art. 101 paragrafo 3 del TFUE, nonché le eventuali ancillary restrictions contenute nei diversi accordi;
3. accordi di cooperazione in materia brevettuale: se i precedenti accordi si caratterizzano per un progetto di ricerca industriale comune a due o più imprese, questa forma di collaborazione ha ad oggetto proprio i risultati della ricerca compiuta dalle imprese e condotta in maniera indipendente. Nella versione base, tali accordi si sostanziano in un impegno reciproco dei
concorrenti a concedere licenze su eventuali diritti di proprietà industriale o intellettuale attinenti alla materia oggetto dell’accordo (c.d. cross-licensing). In un’ottica più ampia, l’impegno reciproco ha ad oggetto il rilascio di licenze in un quadro generale di un accordo di standardizzazione produttiva: tale forma di collaborazione è finalizzata a uniformare le tecniche necessarie per realizzare una produzione conforme a determinati standards (Standard Essential Patents). Al di fuori di tali ipotesi, l’accordo può configurarsi come un impegno di condivisione di brevetti, al quale poi si accompagna la creazione di un’organizzazione comune di tipo consortile cui viene affidato, in via esclusiva, il compito di gestire le licenze e i brevetti (c.d. licensing administrator); i predetti accordi prendono il nome di patent pool. Il diritto antitrust, in generale, pur nelle oscillazioni delle diverse Autorità, si è posto in un’ottica positiva nei confronti di queste eterogenee forme di collaborazione, soprattutto nell’ipotesi in cui gli accordi hanno a oggetto brevetti complementari o dipendenti; orientamento negativo è stato invece espresso con riferimento agli accordi aventi ad oggetto brevetti sostitutivi.118 Esaminando la prassi delle varie Autorità emerge come sono stati ritenuti meritevoli di tutela vari accordi di cooperazione brevettuale a condizione che l’oggetto dell’accordo venisse limitato ai brevetti effettivamente essenziali per l’affermazione di un determinato standard; emerge altresì come venga richiesto alle parti di impegnarsi a concedere la licenza dei rispettivi brevetti a tutte le imprese che ne facciano richiesta, a condizioni “FRAND” (Fair, Reasonable, Non Discriminatory)119.
Numerosissime sono le ulteriori ipotesi collaborative tipizzate a livello comunitario: accordi di fornitura reciproca di servizi, accordi di vendita e di acquisto in comune, accordi di cooperazione nell’attività promozionale.
Dall’esame di tali figure di collaborazione, possono svolgersi alcune considerazioni di principio utili ai fini della trattazione del tema che ha a oggetto l’applicazione delle norme della concorrenza ai contratti di rete. In linea di principio
118 Cfr. XXXXXXXXX X. - XXXXXXXXXXX A. - GRANATIERI M., Standard, proprietà intellettuale e logica antitrust nell’industria dell’informazione, Il Mulino, Bologna, 2005
119 XXXXXX B., Diritti di proprietà intellettuale e intese restrittive della concorrenza. Principali decisioni e sviluppi normativi dell’ultimo decennio nell’ordinamento dell’Unione Europea, in Concorrenza e mercato, 2012, pp. 497 ss.
tali accordi tra concorrenti sono valutati positivamente qualora: (a) comportino un accrescimento o un miglioramento dell’offerta complessiva presente nel mercato, consentendo alle imprese partecipanti di realizzare risultati che le stesse, singolarmente, non riuscirebbero a realizzare; (b) non sussista alcuna limitazione sostanziale dell’indipendenza dei comportamenti all’interno del mercato delle imprese partecipanti all’accordo per tutto ciò che va oltre la cooperazione strettamente necessaria per l’attuazione dell’accordo stesso; (c) non contengano clausole accessorie restrittive della concorrenza, quali indicazioni sul prezzo dei prodotti finali ovvero ripartizione clientela e di mercati.
In sintesi, gli accordi di cooperazione godono (solo) di una presunzione positiva (più o meno accentuata) di compatibilità con le norme della concorrenza, ma di certo non sfuggono alla costante attenzione rispetto alla normativa antitrust.
Passando ora ad approfondire il tema della disciplina della concorrenza riguardante le reti di imprese, rilevo che, come sopra accennato, la creazione di un’alleanza tra più imprese indipendenti, tutt’al più se codificata all’interno dello schema negoziale contrattuale, “desta sospetti” da parte delle Autorità preposte al controllo della tutela della concorrenza.120
Non a caso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), non appena adottata la originaria disciplina riguardante il fenomeno reticolare, con il Provvedimento n.22362 del 16 maggio 2011121, ha precisato che le reti di imprese risultano idonee ad essere qualificate come intese, in tal modo (implicitamente) chiarendo come non vi sia spazio per alcun margine di tolleranza delle eventuali condotte lesive della concorrenza.
Anche sul piano comunitario, la Commissione, nell’escludere con riferimento al fenomeno in esame la presenza di un aiuto di stato, ha precisato che resta salva e impregiudicata l’applicazione dell’art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, anche in relazione alla nuova e complessa figura contrattuale del contratto di rete tra imprese.
Dunque, la rete rientra, a pieno titolo, tra “le tecniche di coordinamento volontario dei comportamenti imprenditoriali tra soggetti autonomi e, dunque, in principio, nella nozione d’intesa, qualificabile a sua volta come accordo, delibera di
120 Cfr. XXXXXXXX X. - XXXXXX X., “Il contratto di rete e diritto antitrust”, in (a cura di) CAFAGGI F. - IAMICELI P. - XXXXX G.D., Il contratto di rete per la crescita delle imprese, cit., pp. 367 ss.
121 In Boll. N. 17/2011
associazione d’imprese o pratica concordata a seconda delle modalità in concreto prescelte per realizzare il coordinamento”122.
La disciplina delle intese, che costituisce uno dei pilastri della competition law comunitaria, trova la sua fonte a livello comunitario dall’art. 101 TFUE e, a livello interno, nell’art. 2 della legge n. 287 del 1980 (di tenore sostanzialmente analogo alla previsione del TFUE), disposizione quest’ultima che testualmente recita:
“1. Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione; b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti; c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza; e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi.
2. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto.
3. Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili: — a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese, — a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e — a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate, che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne deriva, ed evitando di:
a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi; b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi.”
L’ambito oggettivo della norma è delineato facendo riferimento sia ai contratti giuridicamente vincolanti, sia ai c.d. gentleman’s agreements, sia infine a un simple
122 XXXXXXXX X. - XXXXXX X., “Il contratto di rete e diritto antitrust”, cit, p. 368
understaning tra imprese. Con riferimento a tutte queste fattispecie è possibile utilizzare il termine collusione.
In tale contesto, le intese costituiscono accordi orizzontali tra imprese concorrenti finalizzati a porre in essere operazioni a detrimento del libero gioco della concorrenza, quali il fissare i prezzi, lo spartirsi il mercato, il compiere operazioni di “bid rigging” o di “collusive tendering” ovvero lo scambio di informazioni. Le specifiche fattispecie indicate al comma 1 dell’articolo in esame, costituiscono mere esemplificazioni di comportamenti che possono integrare un’intesa; tali fattispecie, quindi, non sono tassative.
Tornando alla disciplina applicabile alle reti di imprese, ai fini della valutazione di compatibilità con la normativa antitrust, occorrerà prendere in esame non solo la forma della rete, ma adottare un approccio economico di tipo strutturalista indicato con l’acronimo di S.C.P, ovvero structure, conduct e performance; secondo tale schema, elaborato sin dal 1930, il modello di analisi di mercato da adottare in riferimento alla disciplina antitrust si fonda su di una preliminare e basilare distinzione di carattere temporale tra quattro momenti: le condizioni di base, la struttura, i comportamenti e i risultati economici delle imprese; una qualsiasi modifica all’interno di una di tali aree condiziona in positivo o in negativo i momenti successivi.
Pertanto, individuato il mercato rilevante, ogniqualvolta si configuri una nuova fattispecie, occorrerà sottoporre la stessa a un’attenta analisi economica.
Dunque, al di fuori del controllo formale, in concreto, sarà contrario al diritto antitrust, quel comportamento delle imprese che, definendo il contenuto del contratto o del programma di rete, ha ad oggetto (o ad effetto) un restringimento della concorrenza al verificarsi di una delle fattispecie prima elencate, ovvero di un’altra fattispecie non tipizzata, comunque lesiva della concorrenza. Infatti, in tale evenienza, più che accrescere la capacità innovativa e la competitività sul mercato, cui la relativa disciplina finalisticamente si ispira, il contratto di rete sarebbe diretto a creare una posizione di vantaggio della(e) impresa incidendo sulla fisiologica struttura del mercato.
In ogni caso, pur in presenza di una violazione del divieto di intese restrittive della concorrenza, le reti possono comunque essere valutate positivamente ai sensi della disciplina pro-concorrenziale qualora producano un miglioramento dell’efficienza economica, uno stimolo all’innovazione o agevolino la diffusione della tecnologia e in ogni altro caso previsto dal paragrafo 3 dell’art.101 TFUE. In tale
ottica, l’AGCM ha raccomandato alle imprese di individuare in modo chiaro e preciso l’oggetto della cooperazione inter-imprenditoriale in modo tale che le ragioni dell’adesione siano finalizzate a un effetto pro-competitivo (ovvero non anti- competitivo).
Tali conclusioni permettono di svolgere un ulteriore ragionamento: il fatto che la novella del 2010 abbia riconosciuto alle reti di imprese agevolazioni di carattere fiscale (onde permettere un beneficio complessivo sia locale che nazionale), non consente di ritenere aprioristicamente presente una funzione pro-concorrenziale negli accordi reticolari123.
Esclusa infatti l’esistenza di un safe harbor, occorrerà in concreto verificare se l’accordo abbia un oggetto ovvero produca un effetto anticoncorrenziale.
E se la risposta fosse positiva, sarebbe allora necessario compiere un ulteriore step, in particolare dovendosi verificare la sussistenza delle quattro condizioni necessarie per beneficiare di un’esenzione, condizioni stabilite dal paragrafo 3 dell’art.101 TFUE che fa testualmente riferimento agli accordi che “…contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne deriva, ed evitando di: a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi; b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi.”
In concreto, allora, la rete potrà invocare la deroga qualora il complesso reticolare risulti in condizione e sia idoneo a generare efficienze economiche (ad esempio l’aumento della qualità del prodotto ovvero la diminuzione dei costi di produzione).
Una corretta analisi dei presupposti per i quali la rete può (o meno) beneficiare dell’esenzione deve, allora, necessariamente tenere conto: in primo luogo, del rapporto che intercorre tra i soggetti partecipanti alla rete; all’esito di un tale preliminare vaglio, occorrerà appurare in concreto il potere di mercato dei soggetti retisti; quindi sarà necessario valutare il contenuto effettivo dell’accordo e gli obbiettivi strategici perseguiti con lo stesso, ponendo come punto di riferimento iniziale il contenuto del programma di rete.124
123 In analogia con quanto poco prima osservato in relazione al “safe harbour”
124 Cfr. XXXXXXXX X. - XXXXXX X., “Il contratto di rete e diritto antitrust”, cit., p. 369
Il primo elemento che occorre verificare, nel procedere nel percorso conoscitivo necessario al fine di dare corso a una corretta valutazione in termini di compatibilità o meno di un’intesa rispetto al paradigma offerto dalla disciplina antitrust, è quello del rapporto attuale e potenziale che intercorre tra i contraenti.
Oltre a detto elemento, l’impatto negativo sul mercato concorrenziale indotto da un’intesa deriva dalla misura in cui le parti, sole o congiuntamente, detengono un significativo potere di mercato. Più nello specifico, qualora le imprese retiste detengano una porzione del mercato relativamente esigua – ipotesi questa che ricorre nella maggior parte dei casi in relazione all’utilizzo corrente dell’istituto per operazioni di piccola–media dimensione - risulta poco probabile che un accordo produca effetti restrittivi sulla concorrenza e, generalmente, non occorre procedere a una più approfondita e ulteriore analisi.
Di conseguenza, di fondamentale importanza risulta la valutazione preliminare riguardante il carattere di esiguità in relazione al possesso della quota di mercato.
Con riferimento al valore che tale quantità deve assumere, viene in rilievo la Comunicazione della Commissione relativa agli accordi di importanza minore che non determinano restrizioni sensibili della concorrenza ai sensi dell’art.101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, c.d. comunicazione de minimis125. Con tale comunicazione, la Commissione indica, per il tramite di alcuni market tresholds, le condizioni ricorrendo le quali un accordo avente ad effetto la restrizione o la distorsione della concorrenza nel mercato interno, non costituisce una “appreciable restriction” della concorrenza stessa in relazione all’art. 101 TFUE. Le soglie fissate sono le seguenti: quota inferiore al 10% nel mercato rilevante, nel caso di accordi tra competitors (horizontal agreements); quota inferiore al 15% in relazione al mercato rilevante in ipotesi di accordo tra non-competitors (c.d. vertical agreements); quota inferiore al 10% qualora vi sia difficoltà nel classificare l’accordo all’interno di una delle due categorie prima indicate.
Con riferimento allo specifico tema in discussione, notevole importanza riveste il c.d. cumulative foreclosure effect, fenomeno che si verifica quando la concorrenza in un mercato rilevante è ristretta da più agreements cumulativamente per la vendita
125 Comunicazione 2014/С 291/01, “Comunicazione relativa agli accordi di importanza minore che non determinano restrizioni sensibili della concorrenza ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (comunicazione «de minimis»)”, pubblicata sulla G.U.U.E. in data 30 agosto 2014.
di beni o servizi in un network parallelo (parallel network), facendo sì che gli altri competitors non abbiano accesso ai distributors per vendere i propri prodotti. In questo caso il treshold scende al 5%, mentre il mercato rilevante deve essere coperto dai networks paralleli per non meno del 30%.
In ragione delle esigue dimensioni che allo stato caratterizzano le reti di imprese italiane, tali considerazioni risultano di assoluta rilevanza.
L’individuazione dell’esigua quota di mercato, cui fa riferimento la Commissione, è strettamente influenzata non solo dalla sopra accennata de minimis rule, ma anche e soprattutto dai regolamenti di esenzione per categoria: come in precedenza osservato, gli accordi di R&D nonché quelli di specializzazione e accordi di trasferimento tecnologico godono di una presunzione di legalità a condizione che la quota detenuta congiuntamente non superi una determinata soglia (20% per accordi di specializzazione e licenze di diritti di proprietà intellettuale, 25% per accordi di ricerca e sviluppo).
In ogni caso, qualora le imprese non siano in diretta concorrenza tra di loro, la normativa da applicarsi sarà quella relativa alle intese verticali, contenute nel Regolamento UE n. 330/ 2010126. Tale Regolamento garantisce l’esenzione alle restrizioni verticali non fondamentali, purché ciascuna parte dell’accordo non superi la quota di mercato complessiva del 30%. In particolare si richiama la disposizione di cui all’art. 2 paragrafo 4, che estende l’esenzione anche alle imprese in rapporto di concorrenza qualora si tratti di accordi non reciproci, ovvero, comunque, qualora ricorrano le seguenti condizioni: (a) se il fornitore è un produttore e distributore e l’acquirente sia solo un distributore e non allo stesso tempo un concorrente a livello produttivo; ciò si verifica, ad esempio, qualora un produttore operi anche come distributore, con altri distributori indipendenti; (b) qualora un fornitore offra servizi a più livelli della filiera commerciale e l’acquirente operi solo a livello del dettaglio, non rivestendo allo stesso tempo la qualifica di concorrente del fornitore all’interno del mercato in cui vengono acquistati i servizi che costituiscono l’oggetto del contratto.
In considerazione delle prescrizioni stabilite dai regolamenti d’esenzione, risulta ragionevole affermare che esiste una “zona bianca” nella quale i contrati di rete stipulati dalle PMI risultano insensibili al diritto antitrust; conclusione questa valida a
126 Cfr. art. 4 Reg. UE n.1217/2010; art. 3 Reg. UE n. 1218/2010 e art. 3 Reg. n.772 del 27 Aprile 2004 sull’applicazione dell’art. 81 del Trattato CE agli accordi di trasferimento di tecnologia, pubblicato in GUUE, L. 123 del 27 Aprile 2004, p. 11
condizione che, in ogni caso, non devono figurare le restrizioni c.d. hard-core, restrizioni particolarmente lesive della concorrenza da un punto di vista oggettivo (quali ad esempio la fissazione dei prezzi di vendita o gli accordi relativi alla ripartizione della clientela e del mercato). In assenza di tali clausole, la ridotta dimensione delle imprese assicura una “impunità” ai retisti, potendo gli stessi godere di una presunzione di conformità al diritto antitrust.
Qualora invece ricorra la condizione che gli accordi delle imprese retiste effettivamente godono di un forte potere di mercato, e le quote di mercato superino le soglie prestabilite ex lege, il contratto di rete potrà (e dovrà) essere oggetto di un’attenta valutazione al fine di verificare se lo stesso ricada (o meno) all’interno di un’area di esenzione, non potendosi tuttavia invocare la presunzione di legalità di cui sopra.
Oltre alla valutazione concernente i rapporti intercorrenti tra i diversi soggetti e dei relativi poteri di mercato, ai fini di una corretta analisi in ordine alla legittimità del contratto di rete ai fini della disciplina antitrust, occorre poi porre attenzione al contenuto dell’accordo, nonché agli obbiettivi perseguiti dalle imprese.
In relazione a questi due ultimi aspetti, la disciplina originariamente contenuta nell’art. 3, comma 4-ter del richiamato D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, convertito nella L. 9 aprile 2009 n. 33, è stata ripetutamente novellata, come precisato nel capitolo primo; a oggi, come visto, l’oggetto del contratto si declina in una triplice direzione andando ad elencare le ipotesi di collaborazioni che, per il tramite del contratto di rete, possono essere istaurate: scambio di prestazioni, scambio di informazioni e svolgimento in comune di determinate attività inerenti esercizio delle rispettive imprese.
Tutte le predette attività risultano teleologicamente collegate agli obbiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti; questa è la indicazione che imprime all’istituto un senso particolarmente orientato, in chiave finalistica, alla collaborazione.
Dunque, la valutazione di cui sopra si differenzia a seconda degli obiettivi e del contenuto dell’accordo, con la conseguenza che le Autorità competenti (AGCM e Commissione Europea) “focalizzeranno l’attenzione sui comportamenti tenuti dalle imprese nel mercato, andando ben oltre quanto asserito dalle imprese nel testo del contratto di rete, concordato al momento del perfezionamento dello stesso”127.
127 Cfr. XXXXXXXX X. - XXXXXX X., “Il contratto di rete e diritto antitrust”, cit., p. 372
Pertanto, qualora l’oggetto del contratto di rete riconduca la collaborazione all’interno della fattispecie dello scambio di prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica, sarà necessario svolgere una valutazione complessa, che contempla in primo luogo la valutazione della riconducibilità in tale categoria di tutte le tipologie di accordi caratterizzate dalla reciprocità delle prestazioni come un fattore comune delle fattispecie, non dovendosi ricomprendere nella stessa le fattispecie non caratterizzate da tale nesso sinallagmatico ricadendo, in tal caso, le stesse tra i meri rapporti economici di fornitura.
Vero è che, nel caso in cui la fattispecie negoziale vada a configurarsi come accordo di specializzazione, la stessa godrà del beneficio di esenzione di categoria cui si è accennato sopra: in tale ipotesi l’esenzione viene garantita per quei contratti in forza dei quali due o più parti si obbligano reciprocamente (in toto o parzialmente) alla fabbricazione di determinati prodotti, differenti tra loro, e, in seguito, ad acquistarli dagli altri contraenti che a loro volta si impegnano a fabbricare e fornire tali prodotti. Grazie a un simile schema negoziale, le imprese aumenteranno notevolmente il proprio livello di competitività riuscendo a usufruire di una riduzione e da un contingentamento dei costi derivanti dalla razionalizzazione della produzione.
Analogamente, qualora l’oggetto della prestazione fosse quello della fornitura di beni immateriali, come i diritti di proprietà intellettuale, la disciplina applicabile sarebbe quella specificamente tipizzata concernente i trasferimenti tecnologici. Proprio nel caso in cui l’oggetto del trasferimento sia quello di tali diritti di proprietà intellettuale, inoltre, ai fini di una compatibilità con il diritto antitrust, sono certamente da considerarsi restrizioni fondamentali quelle consistenti nell’imposizione di vincoli per lo sfruttamento della tecnologia dei contraenti, ovvero la restrizione della facoltà delle parti di svolgere attività di R&D, fatta salva la ipotesi in cui tale restrizione sia indispensabile per evitarne la divulgazione a terzi; tali condizioni contrattuali di certo farebbero venire meno le efficienze economiche quali lo stimolo alla competitività e l’incremento esponenziale dell’innovazione che, di norma, sono legate ai trasferimenti di tecnologia.
Resta da esaminare il caso in cui lo scambio di diritti di proprietà intellettuale sia finalizzato non alla produzione e/o commercializzazione dei prodotti relativi alla tecnologia, quanto all’integrazione delle innovazioni spettanti a più imprese: in tale ipotesi non si ravvisano criticità per la messa in comune di tali beni, sempre a
condizione che non sussista uno specifico scopo di escludere da mercato rilevante uno o più concorrenti.
Nell’ipotesi in cui il contratto di rete abbia ad oggetto lo scambio di informazioni, i vantaggi conseguiti dai retisti sono generalmente quelli relativi a una diminuzione delle asimmetrie informative; basti pensare ad uno scambio avente a oggetto informazioni di costi, che consentirebbe alle imprese di aumentare l’efficienza delle proprie prestazioni permettendo loro di valutare e confrontare le diverse prestazioni con quelle ottimali del mercato di riferimento.
Ovviamente, tali efficienze dovranno essere prese in considerazione e bilanciate con i possibili effetti anticoncorrenziali derivanti dall’accordo.
Per una corretta analisi, occorrerà partire dalla natura delle informazioni scambiate: ad esempio, informazioni pubbliche o comunque reperibili in modo non eccessivamente faticoso e dispendioso non destano problemi ai fini anticoncorrenziali; diverso il caso in cui tale scambio abbia a oggetto informazioni sensibili ovvero utili per attivare una articolata strategia di impresa.
Tali comportamenti, favorendo il monitoraggio delle condotte delle imprese nel mercato, promuovono, sostengono o aumentano il livello di collusione all’interno di questo; tale collusione sarà ancora maggiore quanto più il mercato sia trasparente o concentrato.
Nell’ipotesi in cui il contratto di rete abbia ad oggetto lo svolgimento di una o più attività attinenti esercizio delle imprese dei retisti, in ragione della eterogeneità delle situazioni prospettabili, una valutazione in termini di compatibilità con il diritto antitrust andrà svolta caso per caso, considerando sia il contesto economico in cui si trovano a operare le imprese sia quello giuridico.
In generale, tali forme di collaborazione e di coordinamento portano effetti favorevoli al grado di competitività all’interno di un mercato con la possibilità di abbassare i costi di produzione e di commercializzazione, e di razionalizzazione in un contesto unico le varie fasi produttive. Specialmente in questo contesto, vengono in evidenza determinati obblighi per le imprese contraenti al fine di non ricadere in una delle fattispecie vietate dal diritto della concorrenza: nella propria piena autonomia negoziale, le parti hanno l’onere di disciplinare il contenuto dell’accordo eliminando le restrizioni hard-core che incidono direttamente o indirettamente sui parametri fondamentali da tenere in considerazione in una valutazione antitrust, quali prezzo, quantità e innovazione. Dovranno essere escluse pertanto sia le clausole che fissano i
prezzi, sia quelle che limitano la produzione o che garantiscono la ripartizione di mercato e clienti.
In ogni caso, le imprese retiste potranno sempre invocare la c.d. efficiency defence: qualora la restriction si inserisca in un contesto nel quale, in assenza di tale pattuizione, non vi sarebbero stati sufficienti incentivi per le parti a stipulare l’accordo ovvero la limitazione così imposta sia indispensabile per la produzione comune, la compatibilità con la disciplina antitrust è comunque garantita.
Volendo concludere, le reti di imprese rappresentano fenomeni che si presentano sotto una molteplicità di vesti, dal coordinamento tra imprese concorrenti (come i cartelli o i consorzi) all’integrazione verticale tra imprese operanti a diversi livelli della filiera produttiva.
In ragione di una tale eterogeneità, la conformità al paradigma comunitario e nazionale relativo alla disciplina antitrust è, anch’essa, multiforme, specialmente in ragione del diversissimo livello di pericolosità per la concorrenza che tali forme di collaborazione possono raggiungere.
In riferimento a ciò, la disciplina nazionale e comunitaria sembra costituire un validissimo strumento da azionare per sanzionare - con la nullità - i contratti che si prefissano (anche in modo non manifesto) l’obiettivo di falsare il gioco della concorrenza. Tuttavia lo stesso diritto antitrust ben poco potrà fare qualora il singolo contratto di rete risulti in condizione di raggiungere lo scopo cui oggi è preordinato, ovvero quello di promuovere lo sviluppo individuale e collettivo dei soggetti retisti e l’innalzamento della capacità competitiva di questi.