Actualidad Jurídica Iberoamericana Nº 16, febrero 2022, ISSN: 2386-4567, pp. 204-227
ATIPICITÀ DEL CONTRATTO E TIPICITÀ DEI DIRITTI REALI: IL NODO DELLA MERITEVOLEZZA DELL’INTERESSE
ATYPICAL CONTRACTS AND NUMERUS CLAUSUS OF PROPERTY RIGHTS: THE ISSUE OF THE “INTEREST WORTHY OF PROTECTION”
Actualidad Jurídica Iberoamericana Nº 16, febrero 2022, ISSN: 2386-4567, pp. 204-227
Xxxxxx XXXXXXXXX
y Xxxxxxx XXXXXXXXXX
ARTÍCULO RECIBIDO: 00 xx xxxxxxxxx xx 2021 ARTÍCULO APROBADO: 00 xx xxxxx xx 2022
RESUMEN: Il requisito della meritevolezza degli interessi è stato di recente riproposto dal legislatore quale filtro per l’ammissibilità dei vincoli di destinazione di cui al nuovo art. 2645-ter c.c.: in questa sede la meritevolezza non può che coincidere con il perseguimento di interessi superindividuali, dal momento che legittima vere e proprie operazioni di conformazione negoziale della proprietà privata. Prima di questa novella, il requisito della meritevolezza era contemplato dal solo art. 1322, comma secondo, x.x., xx xxxx xxx xxxxxx xx xxxxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxx xxxxxxx. In questa sede è stato tradizionalmente interpretato come mera “non illiceità”. Il presente contributo si propone di riprendere il tradizionale dibattito dottrinale e giurisprudenziale su oggetto e contenuto del vaglio di meritevolezza per aggiornarlo in considerazione dei recenti sviluppi normativi: in particolare, si vuole tentare una ricostruzione sistematica unitaria della clausola della meritevolezza alla luce del principio ecologico, proponendo una reductio ad unum capace di tenere insieme le pur differenti declinazioni che tale clausola assume nella conformazione della proprietà (art. 2645-ter c.c.) e nel vaglio di ammissibilità dei contratti atipici (1322, secondo comma, c.c).
PALABRAS CLAVE: Meritevolezza; contratti atipici; vincoli di destinazione; autonomia privata; principio ecologico.
ABSTRACT: The clause according to which the interest pursued by the parties needs to be worthy of protection by the legal system has recently been re-proposed by the legislator as a filter for the admissibility of the proprietary lien stipulated under the new art. 2645-ter of the Italian Civil Code. Here, the notion of “interest worthy of protection” necessarily implies a collective interest, since it allows the parties to shape property rights. Before the enactment of this disposition, this requirement was provided for only by art. 1322, second paragraph, of the Italian Civil Code, related to the admissibility of atypical contracts. Here, the clause has traditionally been interpreted as requiring the “lawfulness” of the contract. This paper aims at resuming the traditional debate of both scholars and the case-law on the topic and to update it to its recent developments. In particular, it attempts at finding a unitary reconstruction of the clause, in the light of the ecological principle, without denying its different declinations within articles 1322, second paragraph, and 2645-ter of the Italian Civil Code, given the very different scope of the operations governed by these two articles (admissibility of atypical contracts and conformation of property rights).
KEY WORDS: Interest worthy of protection; atypical contracts; conformation of property; parties’ autonomy; ecological principle.
SUMARIO.- I. INTRODUZIONE.- II. LA MERITEVOLEZZA DELL’INTERESSE NEI VINCOLI DI DESTINAZIONE EX ART. 2645-TER C.C.- III. IL VAGLIO DI MERITEVOLEZZA DEI CONTRATTI EX ART. 1322, SECONDO COMMA, C.C.- IV. CONCLUSIONI.
I. INTRODUZIONE1.
Il dibattito intorno alla meritevolezza dell’interesse di cui al secondo comma dell’art. 1322 c.c. rappresenta forse uno dei più ricchi della dottrina italiana.
La disposizione prevede che le parti possano concludere contratti anche al di fuori dei tipi previsti dal legislatore, purché essi “siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”. Essa dunque declina e fonda, nel sistema privatistico italiano, una delle principali categorie ordinanti del diritto civile continentale: l’autonomia contrattuale. Proprio per questo, la meritevolezza dell’interesse ha rappresentato il terreno di scontro tra le differenti sensibilità culturali che hanno animato e tutt’ora animano la discussione tra i formanti (e all’interno di essi). Al contempo, la sua interpretazione ha riflettuto ed è destinata a riflettere le mutevoli esigenze promananti dal contesto storico-sociale nel quale essa opera.
Con un certo grado di approssimazione si può affermare che, come ampiamente noto, l’impostazione oggi maggioritaria ha infine accolto l’opzione avallata dall’ala liberale della dottrina, che tende a far coincidere il requisito della meritevolezza con quello della liceità.
Su questa interpretazione parrebbe oggi essersi assestata non solo la dottrina, ma – soprattutto, al netto di alcuni recenti ripensamenti – la giurisprudenza, secondo un modulo che ha di fatto depotenziato la portata operazionale della clausola, la cui funzione finisce per sovrapporsi al vaglio sulla liceità degli elementi del contratto, in primo luogo della causa.
Xxxxxxx tuttavia chiedersi se questa impostazione non meriti di essere nuovamente sottoposta a scrutinio critico, alla luce di recenti elementi nel
1 Il contributo costituisce il risultato della comune riflessione degli autori. Si attribuiscono, tuttavia, ad Xxxxxxx Xxxxxxxxxx i paragrafi 1, 2 e 4 e ad Xxxxxx Xxxxxxxxx il paragrafo 3.
• Xxxxxx Xxxxxxxxx
Dottorando di Ricerca in Diritti e Istituzioni - Università di Torino. xxxxxx.xxxxxxxxx@xxxxx.xx.
• Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
Ricercatore in Diritto Privato – Università di Torino. xxxxxxx.xxxxxxxxxx@xxxxx.xx.
frattempo emersi nel sistema. Questi riflettono e cristallizzano, nel dato positivo, esigenze di tutela nuove, le quali invitano a riconsiderare l’interpretazione maggioritaria dell’art. 1322, secondo comma, c.c., anche con riferimento alla sua tenuta più propriamente dogmatica.
Il riferimento, in particolar modo, è all’art. 2645-ter c.c., introdotto dal legislatore nel 2005, norma che consente ai privati di trascrivere atti pubblici costitutivi di vincoli di destinazione su beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, con l’effetto di rendere il vincolo opponibile ai terzi, purché questo sia sorretto da un interesse meritevole di tutela “ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, c.c.”.
In particolare, la norma prevede che: “Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo”.
Il rinvio espresso all’art. 1322 c.c. operato dall’art. 2645-ter c.c. pone non indifferenti problemi interpretativi. Ben diverso è, invero, il ruolo che tale criterio è chiamato a svolgere in seno alle due norme. Se, nella prima, esso sovrintende a un’operazione negoziale destinata a produrre i suoi effetti esclusivamente inter partes (il contratto), nella seconda, la meritevolezza è chiamata governare un atto in grado di produrre effetti erga omnes, atto che, in ultima analisi, configura a una vera e propria forma di conformazione negoziale della proprietà.
Proprio per questo, la dottrina maggioritaria, sebbene con differenti accenti, solitamente ritiene che la meritevolezza di cui discorre l’art. 2645-ter c.c. rechi in realtà un quid pluris rispetto alla mera liceità. L’interesse alla base del vincolo deve infatti essere sufficientemente forte da poter giustificare la pregnanza degli effetti che l’atto è destinato a produrre.
Dall’impossibilità di trasporre l’interpretazione dominante della meritevolezza ex art. 1322 c.c. nell’alveo di operatività dell’art. 2645-ter c.c. si è così tratta la conclusione della sostanziale coesistenza di due diverse meritevolezze, l’una “contrattuale” e l’altra “conformativa”, finendo in tal modo per obliterare il rinvio espresso contenuto nell’art. 2645-ter c.c., oggi implicitamente derubricato a mero errore del legislatore.
Xxxxxxx tuttavia chiedersi se una differente opzione sia tuttavia percorribile e cioè se, al netto della differente funzione che il requisito della meritevolezza è chiamato a svolgere nelle due norme, esso non possa ricondursi a una matrice unitaria, capace di specificarsi, a seconda dei casi, in due diverse regole operazionali, secondo il modulo proprio delle clausole generali.
A una prima elaborazione di questa ipotesi sono dedicate le riflessioni che seguono.
II. LA MERITEVOLEZZA DELL’INTERESSE NEI VINCOLI DI DESTINAZIONE EX ART. 2645-TER C.C.
La ricerca di una matrice comune tra “meritevolezza contrattuale” e “meritevolezza conformativa” impone, in primo luogo, di impostare qualche breve cenno sul contenuto della meritevolezza ex art. 2645-ter c.c., e ciò al fine di vagliarne adeguatamente i contorni.
Su ciò si registrano, in dottrina, posizioni differenti.
Una prima tesi, oggi minoritaria, ritiene che il rinvio operato dalla norma imponga di interpretare la meritevolezza ex art. 2645-ter c.c. alla stregua di mera clausola di liceità, secondo l’esegesi maggiormente invalsa dell’art. 1322 c.c., posto che, nonostante la differenza di effetti tra contratto e atto di destinazione, una diversa impostazione condurrebbe a una interpretatio abrogans del rinvio operato dal legislatore2.
Questa interpretazione non è tuttavia condivisibile, e questo non solo poiché, come si vedrà a breve, per “salvare” il rinvio si spazzerebbe via la differenza tra conformazione negoziale della proprietà e privity of contract, con la conseguenza che si finirebbe paradossalmente per abrogare (sempre per via ermeneutica) tutte le norme che, di tale distinzione, costituiscono specificazione e corollario. Soprattutto, tale interpretazione si fonda su un presupposto logico viziato. In particolare, quando una norma successiva richiama una nozione contenuta in una norma precedente, ma l’interpretazione che di tale nozione si è storicamente data appare con essa incompatibile, ciò che va fatto è sottoporre a revisione critica l’interpretazione storica, non forzarne il “trasloco” dall’una all’altra norma.
In modo più condivisibile, la dottrina maggioritaria, come si è avuto modo di accennare, ritiene che la meritevolezza di cui discorre l’art. 2645-ter c.c. non possa corrispondere a quella mera “liceità” che solitamente si legge dietro all’art. 1322,
2 Vid. XXXXX, X.: “L’art. 2645-ter c.c.: il negozio di destinazione di beni immobili o mobili registrati”, in AA.VV., Le nuove forme di organizzazione del patrimonio (a cura di X. XXXXX), Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2010; vid. anche XXXXXX, M.: “Vincoli di destinazione del patrimonio” (voce), Enciclopedia giuridica italiana, XXII, p. 13.
secondo xxxxx, c.c., ma che essa, alla luce degli effetti dell’atto di destinazione e dei sacrifici che questi determinano rispetto ad altri rilevanti interessi tutelati dal sistema, debba sovrintendere a un vaglio ben più pregnante3.
In primo luogo, va infatti detto che il vincolo di destinazione ex art. 2645-ter
c.c. determina un sacrificio degli interessi del ceto creditizio4, posto che, come si è visto, la norma prescrive che i beni vincolati e i relativi frutti possano costituire oggetto di esecuzione solo per i debiti contratti per lo scopo di destinazione.
Inoltre, esso comporta una compressione del principio di libera circolazione dei beni, e ciò sia sotto il profilo della necessità che i beni circolino liberi da pesi che possano limitare le facoltà d’uso dei successivi titolari, sia sotto quello, non meno importante, della loro libera alienabilità. Invero, giusto il disposto della norma, il vincolo di destinazione è opponibile ai terzi. Esso segue il bene presso tutti i successivi titolari, i quali saranno tenuti a rispettare l’uso a cui questo viene destinato attraverso la costituzione del vincolo. Allo stesso modo, è ben possibile che al vincolo di destinazione acceda in modo consustanziale un limite e/o un divieto all’alienazione. Si tratta di quei casi in cui la destinazione non potrebbe essere perseguita se non ponendo dei limiti ai poteri dispositivi del titolare del diritto, secondo uno schema per cui la violazione dei limiti dispositivi si tradurrebbe necessariamente nella violazione dello scopo impresso sul bene. In questi casi, come si è avuto modo di argomentare più compiutamente altrove, il divieto (assoluto o relativo) di alienazione viene sottratto alla disciplina dell’art. 1379 c.c., ed è opponibile al terzo che abbia acquistato in sua violazione, secondo le forme rimediali tipiche della property rule5.
Proprio alla luce della portata derogatoria che l’art. 2645-ter c.c. assume rispetto a principi e regole centrali nel sistema, è necessario che l’interesse meritevole che lo sorregge sia sufficientemente pregnante da contro-bilanciare il sacrificio che esso impone agli interessi (generali e individuali) che i principi e le regole che vengono derogate sono preordinate a proteggere e realizzare.
La meritevolezza, nell’art. 2645-ter c.c., gioca quindi il ruolo di criterio selettore di quegli atti che, poiché preordinati a perseguire interessi particolarmente pregnanti, possono produrre gli effetti previsti dalla norma, differenziadoli da
3 Per una ricostruzione del dibattito intorno a questa posizione si veda XXXXXX XXXXXXX, A.: “Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche. Art. 2645 ter”, in Commentario Scialoja-Xxxxxx- Xxxxxxx, Zanichelli, Milano, 2017, pp. 113 ss., e bibliografia ivi indicata.
4 Vid. XXXXXXX, F.: Le forme della proprietà, Xxxxxxx, Milano, 2010; sull’intreccio tra l’art. 2645-ter c.c. e la posizione dei creditori del disponente occorre vedere, in ottica rimediale, GAMBARO, A.: La proprietà, in Trattato Iudica-Zatti, Xxxxxxx, Milano, 2017, pp. 422 ss.
5 Sul punto sia consentito il rinvio a XXXXXXXXXX, A.: “Sulla derogabilità dell’art. 1379 c.c. Pactum de non alienando e vincoli di destinazione immobiliare”, Notariato, 2020, n. 2, pp. 155 ss.
quelli che, per quanto portatori di interessi senz’altro leciti, non soddisfano bisogni sufficientemente forti da giustificare la fuoriuscita dalla privity of contract.
Questa interpretazione si desume non solo dal raffronto con i principi generali dell’ordinamento, ricavabili, tra le altre, dalle disposizioni di cui agli artt. 1372, 1379, e 2740, secondo comma, c.c., ma è altresì confortata dal dato testuale della stessa norma di cui all’art. 2645-ter c.c.
Soprattutto, viene in rilievo il riferimento, operato dalla disposizione, alle persone con disabilità e alle pubbliche amministrazioni. Si tratta di un riferimento che, privo di effettivo potere discretivo rispetto all’individuazione dei potenziali soggetti beneficiari del vincolo (che possono essere qualsiasi persona fisica o giuridica), assume un significato solo ove lo consideri alla stregua di indice ermeneutico6, il quale, a livello interpretativo, segnala la necessità che gli interessi meritevoli di tutela che sorreggono il vincolo debbano essere connotati, come nei casi individuati a titolo esemplificativo dalla disposizione, dal requisito della utilità sociale7.
È questa, peraltro, un’impostazione che colloca il nostro ordinamento in una posizione di coerenza rispetto agli altri sistemi della western legal tradition e, in particolar modo, con quelli in cui l’esperienza in materia di destinazioni patrimoniali e trust appare più avanzata. Il bilanciamento tra interessi che il requisito della meritevolezza è chiamato a svolgere nel nostro ordinamento, finisce per costituire l’omologo funzionale di quel “test” di ragionevolezza e proporzionalità che, nel common law americano, viene attuato attraverso l’applicazione, ai vincoli di destinazione, della rule against perpetuities e della rule against unreasonable restraints on alienation. Queste regole richiedono infatti che gli interessi sottesi al vincolo siano prevalenti rispetto ai sacrifici che essi impongono alla libera circolazione dei beni e agli interessi dei creditori del disponente8.
Si giunge così a una prima conclusione. Il vincolo di destinazione ex art. 2645- ter c.c. deve essere sorretto da un interesse non solamente lecito, esso deve altresì rispondere a un requisito di utilità sociale ed essere dotato di una copertura costituzionale tale da controbilanciare i sacrifici giuridicamente rilevanti che gli effetti dell’atto sono destinati a produrre.
6 Valorizza il valore ermeneutico di questo richiamo XXXXXX XXXXXXX, A.: “Trascrizione di atti di destinazione”, cit., pp. 127 ss.
7 Secondo quello stesso metro che, non a caso, parte della dottrina, convincentemente ritiene applicabile anche alla fondazione: vid. XX XXXXXX, M.V.: Le persone giuridiche in generale. Le associazioni riconosciute e le fondazioni, in Trattato di diritto privato (diretto da X. XXXXXXXX), UTET, Milano, 1999, pp. 453 ss.
8 Sul punto sia consentito il rinvio a VERCELLONE, A.: Il Community Land Trust. Autonomia privata, conformazione della proprietà, distribuzione della rendita urbana, Xxxxxxx, Milano, 2020, pp. 129 ss.
Questa conclusione si proietta, come ovvio, anche sul profilo soggettivo dell’interesse che sorregge il vincolo. Poiché le ordinarie regole sull’autonomia contrattuale sono state costruite assumendo che le parti siano mosse da un interesse non solo lecito ma pure idiosincratico, un vincolo di destinazione che risponda a un interesse che, per quanto apprezzabile, sia esclusivamente riferibile ad una delle parti (secondo una dizione, non a caso, fatta propria dall’art. 1379 c.c.) non può ritenersi opponibile ai terzi. A tal fine il vincolo dovrà, pertanto, farsi carico anche di interessi ulteriori e, cioè, di bisogni superindividuali. Questa conclusione trova conferma nel fatto che l’art. 2645-ter c.c. estende a “qualsiasi interessato” la legittimazione ad agire per la realizzazione degli interessi sottesi al vincolo, ciò che, coerentemente a quanto avviene in altri luoghi dell’ordinamento (si pensi alla nullità del contratto), acquista un senso solo ove si assume che gli interessi azionabili abbiano carattere generale o, comunque, superindividuale.
D’altra parte, l’altruità dell’interesse è un dato strutturale della norma, la quale, come autorevolmente sostenuto in dottrina, configura una particolare ipotesi di proprietà nell’interesse altrui9.
Tracciando una prima conclusione, occorre allora rilevare come l’interesse meritevole di tutela di cui discorre l’art. 2645-ter c.c. si configuri come un interesse superindividuale, costituzionalmente forte, di volta in volta in grado, secondo un giudizio di bilanciamento, di prevalere sugli interessi che, nel caso concreto, il vincolo, alla luce dei suoi effetti, sacrifica.
Ciò è peraltro coerente col fatto che, in ultima analisi, l’art. 2645-ter c.c. configura uno strumento di conformazione della proprietà e, in particolare, il principale meccanismo attraverso cui l’ordinamento attribuisce all’autonomia privata un potere conformativo delle situazioni di appartenenza10. Esso va dunque correttamente letto quale norma di attuazione dell’art. 42, secondo comma, Cost., consentendo ai privati di attuare quegli “altri modi di possedere”11 che costituiscono diretta specificazione della funzione sociale della proprietà12.
9 Vid. XXXXXXX, X.: “Appunti sulla proprietà nell’interesse altrui”, Trusts e attività fiduciarie, 2007, n. 2, pp. 170 ss.
10 In generale, sulla conformazione negoziale della proprietà occorre vedere MEZZANOTTE, F.: La conformazione negoziale delle situazioni di appartenenza: numerus clausus, autonomia privata e diritti sui beni, Jovene, Napoli, 2015.
11 Il riferimento è, chiaramente, a GROSSI, P.: Un altro modo di possedere. L’emersione di forme alternative di proprietà alla coscienza giuridica postunitaria, Xxxxxxx, Milano, 1977.
12 Sulla funzione sociale della proprietà, nella prospettiva ermeneutica qui implicitamente adottata, vid. XXXXXX, U.: La proprietà, in Trattato di diritto civile (diretto da X. XXXXX), UTET, Milano, 2015, pp. 109 ss., nonché, secondo un’ottica particolarmente rilevante ai nostri fini, PATTI, S.: “La funzione sociale nella ‘civilistica italiana’ dell’ultimo secolo”, Rivista critica del diritto privato, 2016, n. 2, pp. 177 ss. Valorizza il nesso tra funzione sociale della proprietà e art. 2645-ter c.c. XXXXXX XXXXXXX, A.: “Trascrizione di atti di destinazione”, cit., pp. 202 ss.
In altre parole, poiché l’art. 2645-ter c.c. rappresenta il presupposto normativo di un’operazione conformativa, gli atti da questo previsti in tanto possono ritenersi legittimi in quanto si possa dimostrare che, nel caso concreto, essi permettono di perseguire interessi costituzionalmente forti meglio di quanto possa fare l’autonoma interazione delle sfere proprietarie (i.e. il mercato). La norma è così preposta a consentire all’autonomia privata di costruire nuove forme di appartenenza, in grado indirizzare le utilità prodotte dai beni (non nella sola direzione dell’accumulazione nelle mani del proprietario) ma verso la soddisfazione di bisogni costituzionalmente tutelati, secondo le forme proprie della c.d. “proprietà generativa”13.
È questo il vaglio di legittimità che il sistema affida a quella che possiamo definire “meritevolezza conformativa”, vaglio che reca pertanto una portata ben differente rispetto a quello richiesto per i contratti atipici.
L’introduzione nel nostro sistema dell’art. 2645-ter c.c. conferma così l’esistenza di due circuiti di conformazione della proprietà: uno pubblicistico, l’altro privatistico. Entrambi sono agganciati ai medesimi presupposti di legittimità, cristallizzati nella formula della funzione sociale. Ciò che li distingue sono i circuiti a cui l’accertamento di tali presupposti è affidato. Se, per gli atti adottati dal potere pubblico, il parametro di legittimità è direttamente l’art. 42, secondo comma, della Costituzione e il soggetto a cui è affidato l’accertamento è il giudice costituzionale, l’accertamento della legittimità degli atti conformativi di matrice privatistica passa dal requisito della meritevolezza di cui all’art. 2645-ter c.c. (che dell’art. 42 Cost. rappresenta diretta attuazione), ed è affidato ex ante al notaio e, ex post, al giudice ordinario14. Questi, verificando la meritevolezza dell’interesse nelle forme che si sono vedute, sono chiamati a dichiarare l’efficacia reale dell’atto di autonomia (e ad avallarne pertanto la portata conformativa) ovvero, in caso di accertamento negativo, a circoscriverne gli effetti esclusivamente inter partes, negando che esso abbia natura proprietaria.
III. IL VAGLIO DI MERITEVOLEZZA DEI CONTRATTI EX ART. 1322, SECONDO COMMA, C.C.
Così individuati contorni e portata della meritevolezza di cui all’art. 2645-ter c.c., occorre ora passare al vaglio il contenuto che tale requisito assume quando declinato nella norma che ne rappresenta l’architrave, norma che, peraltro,
13 Secondo la celebre nozione elaborata da XXXXX, M.: Owning Our Future, The Emerging Ownership Revolution, Xxxxxxx-Xxxxxxx, Xxx Xxxxxxxxx, 0000; per un’introduzione vid. XXXXXXXXX, X.: “Alcune riflessioni sul pensiero di Xxxxxxxx Xxxxx: la proprietà estrattiva e generativa”, Politica del diritto, 2014, n. 2, pp. 319 ss.
14 In prospettiva critica rispetto a questa impostazione, in particolare con riferimento al ruolo esercitato dal notaio, si vedano tuttavia le riflessioni condotte da DE MARTINIS, P.: “Gli interessi meritevoli di tutela e l’art. 2645-ter cod. civ.”, Juscivile, 2021, n. 4.
ha costituito il perno intorno al quale il dibattito sula meritevolezza si è quasi integralmente svolto: l’art. 1322, secondo comma, c.c.
Come anticipato, tale dibattito è sterminato e ha visto (e tutt’ora vede) dialogare tra loro sia le Corti15 sia alcuni tra i più autorevoli Maestri della civilistica italiana16. Proprio per questo, in questa sede, senza pretesa di esaustività, ci si limiterà a indicarne alcuni degli esiti più noti, e ciò al fine di porre tali esiti in dialogo con la proposta ricostruttiva che si è avanzata in merito all’interpretazione dell’art. 2645-ter c.c.
Le posizioni avanzate sul significato della meritevolezza possono essere raggruppate in tre macro categorie. Da un lato vi sono coloro che negano apertamente l’autonomia concettuale della clausola, riconducendola ad altri elementi presenti nel sistema. Dall’altro vi è chi, tentando di individuarne un significato autonomo, è stato comunque accusato di proporre soluzioni interpretative che finiscono per determinare una sovrapposizione tra meritevolezza e altre categorie. Una terza posizione accomuna, infine, coloro che finiscono per attribuire alla meritevolezza un significato autenticamente autonomo.
Nell’alveo della prima categoria è particolarmente rilevante la (già richiamata) tesi che riconduce il concetto di meritevolezza a quello di liceità, facendo così confluire il vaglio sulla meritevolezza degli interessi nei contratti atipici in quello sulla liceità del contratto in generale (artt. 1343-1346 e 1418 c.c.). Si tratta di una tesi che ha riscosso ampio consenso e che, come si è avuto già modo di rilevare, risulta oggi ampiamente prevalente in dottrina17 e in giurisprudenza 18.
15 Si pensi, emblematicamente, alle recenti pronunce della Suprema Corte riconducibili alla saga delle clausole “claims made” nei contratti assicurativi: da Xxxx., sez. un., 6 maggio 2016, n. 9140, alle sentenze “gemelle” 28 aprile 2017, n. 10506, e 28 aprile 2017, n. 10509, sino a Cass., sez. un., 24 settembre 2018, n. 22437.
16 Sono numerose le opere ricostruttive del dibattito in questione: per un riepilogo delle posizioni particolarmente dettagliato ed in ordine cronologico vid. XXXXXXXX, A: “Meritevolezza dell’interesse (I. agg.)”, Digesto, 2018, pp. 341 ss.; per una rassegna invece più sintetica vid. XXXXXXXX, X.: “Contratti innominati” (voce), Enciclopedia giuridica Treccani, pp. 6-7.
17 Senza pretesa di completezza si citano alcuni degli autori, spesso invero autorevoli, attestati su questa posizione: XXXXXX, R: “Produttività, solidarietà e autonomia privata”, Rivista di diritto civile, 1972, n. 2; FERRI, G.B.: Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Xxxxxxx, Milano, 1966; XXXXX, L.: L’autonomia privata, Xxxxxxx, Milano, 1959; XXXXX, G.: Il contratto: problemi generali trattati con il metodo comparativo e casistico. Volume 1: lineamenti generali, Xxxxxxx, Milano, 1954; GUARNERI, A: “Meritevolezza dell’interesse”, cit.; XXXXXXX, L.: “Forma giuridica e materia economica”, in Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxx (coord. di X. XXXXXXX), n. 3, CEDAM, Padova, 1965; XXXXXXXXX, G.: “Contro la “funzionalizzazione” dell’impresa privata”, Rivista di diritto civile, 1958, n. 1; XXXXXXXXX, V.: L’errore nella dottrina del negozio giuridico, CEDAM, Padova, 1963; ROPPO, V: Il contratto, in Trattato Iudica-Zatti, Xxxxxxx, Milano, 2011 (2° ed.); XXXXXX, G: “Luci ed ombre nell’interpretazione della legge”, Jus, 1975, p. 145, ha persino prospettato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 1322, c. 2 c.c.- ritenuta tuttavia manifestamente infondata da Xxxx., 3 luglio 1975, n. 2578 – per il caso di sua interpretazione nel senso di un’autonomia concettuale della meritevolezza rispetto alla liceità: in tal modo, sostiene l’Autore, il contratto stipulato con controparte nazionale riceverebbe un trattamento ingiustamente deteriore rispetto a quello stipulato con controparte straniera, dal momento che per i rapporti privatistici transfrontalieri vige il solo limite della liceità ex art. 31 prel. (la norma è stata abrogata dalla l. 31 maggio 1995, n. 218, la quale ha come noto consacrato a canone di ammissibilità l’ordine pubblico internazionale).
18 Si fa riferimento al periodo che va dall’entrata in vigore del codice civile sino al primo decennio circa del nuovo millennio: vid. ex multis Cass., 20 aprile 1943, n. 937; Cass., 6 giugno 1967, n. 1248; Cass., 13
Tale tesi è stata nondimeno sottoposta a diverse critiche.
Una prima obiezione è di natura metodologica. Dal momento che il vaglio di liceità è previsto per il contratto in generale – e dunque per tutti i contratti, tipici o atipici che siano – sarebbe del tutto inutile un’apposita richiesta di liceità (riformulata in meritevolezza) per i soli contratti atipici: l’interpretatio che si propone sarebbe dunque abrogans19.
Ora, è noto che l’esito abrogante di un percorso interpretativo non sia normalmente ammesso. Vi è tuttavia un caso in cui un’interpretazione apparentemente abrogans in realtà non lo è ed anzi risulta ammissibile. È quello in cui la disposizione sia dettata dal legislatore ad abundantiam, cioè per ribadire o declinare – anche se non in modo indispensabile – l’applicabilità, al contesto dato, di principi o regole generali. In effetti, una simile argomentazione è stata talora spesa per giustificare la tesi della riconduzione della meritevolezza alla liceità: il legislatore avrebbe cioè voluto chiarire preliminarmente che anche i contratti atipici devono rispettare norme imperative20, ordine pubblico e buon costume, secondo quanto già prescritto per il contratto in generale.
Al netto di una certa dissonanza tra questa interpretazione e l’intenzione del legislatore storico21, una prima critica avanzata a questa impostazione si fonda già sul dato letterale, specialmente ove si raffronta l’art. 1322 c.c. con la disciplina in tema di illiceità. Quest’ultima è declinata in termini di “contrarietà” a norme imperative, ordine pubblico e buon costume, mentre la prima in termini di “direzione a realizzare” interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico: si tratta, in altre parole, rispettivamente di un limite negativo e di un
maggio 1980, n. 3142; Cass., 6 febbraio 2004, n. 2288. Vanno comunque fatte salve alcune eccezioni: la giurisprudenza ha talora tentato di dotare la meritevolezza di un significato concettuale autonomo, con esiti raramente effettivi (v. ad es. nella giurisprudenza di merito App. Napoli, 24 gennaio 1945 ed in quella di legittimità Xxxx. 5 luglio 1971, n. 2091) e molto più spesso no. Il complessivo atteggiamento dei giudici nei confronti della meritevolezza viene spiegato da Xxxxxxxx con la breve durata del regime dopo l’introduzione del nuovo codice, che avrebbe impedito l’applicazione dell’art. 1322, c. 2 secondo le direttive politiche da cui era scaturito: vid. XXXXXXXX, A: “Meritevolezza dell’interesse”, cit., p. 349.
19 Ammette che si tratta di una lettura abrogativa, nell’abbracciarla, GUARNERI, A: “Meritevolezza dell’interesse”, cit., p. 353.
20 Secondo Xxxxx l’utilità della norma si esprime soprattutto in relazione alle norme imperative, che il più delle volte sono confezionate come divieti per specifici contratti tipici. L’Autore ammette che il medesimo compito può essere svolto dall’art. 1344 c.c. sul contratto in frode alla legge, ma sostiene che il sistema ne guadagna comunque in termini di chiarezza: vid. XXXXX, R., DE NOVA, G.: Il contratto, UTET, Milano, 2016 (4° ed.), pp. 874-875.
21 Espressa nella Relazione del Guardasigilli al codice civile in termini di conformazione assai marcata (almeno sul piano declamatorio) dell’autonomia privata nella direzione dell’interesse collettivo. Simili affermazioni, come noto, riecheggiano nell’opera di XXXXX, E: Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato Vassalli, UTET, Torino, 1943.
limite positivo22, logicamente non sovrapponibili23. Come efficacemente osservato in dottrina, il vaglio di meritevolezza operato dall’interprete espone il contratto a risultati analoghi a quelli che, in relazione ad una norma di legge, può determinare una sentenza di accoglimento o di rigetto della Corte costituzionale24. Lo stesso può dirsi, a ben vedere, per il vaglio di liceità. La differenza tra le due ipotesi può individuarsi – proseguendo nel parallelismo – nella natura delle norme-parametro, che nel secondo caso si limitano a fissare divieti, mentre nel primo individuano veri e propri obiettivi che il legislatore è tenuto a perseguire (secondo lo schema proprio della riserva di legge rinforzate nel contenuto).
Tali considerazioni disvelano l’elemento centrale e divisivo che ha alimentato e alimenta il dibattito sulla meritevolezza: la volontà, o meno, di attribuire all’art. 1322
c.c. la funzione di perno per un penetrante controllo giurisdizionale sull’esercizio dell’autonomia contrattuale.
I sostenitori della tesi della liceità hanno in effetti denunciato, in modo anche deciso25, i pericoli insiti a un simile controllo (specie se fondato su interpretazioni “politiche” della meritevolezza)26. Più spesso hanno sostenuto la sua radicale incompatibilità con l’odierno assetto dei valori costituzionali e sovranazionali, specie con la loro declinazione economica nella libertà di mercato concorrenziale27.
Va detto, tuttavia, che questa preoccupazione può essere almeno in parte fugata dalla constatazione per cui l’applicazione giurisdizionale delle clausole generali, tra le quali, come si ribadirà meglio in seguito, figura senz’altro anche la clausola di meritevolezza, deve essere pur sempre ancorata ai principi dell’ordinamento, primi tra tutti i principi costituzionali. Occorre altresì ricordare che l’autonomia contrattuale – secondo un’impostazione fatta propria dalla
22 In tal senso vid. XXXXXXXXXX, A: I contratti. Parte generale, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2014 (4° ed.), p. 234, ma già anche BIANCA, M: “Alcune riflessioni sul concetto di meritevolezza degli interessi”, Rivista di diritto civile, 2011, n. 6, p. 792.
23 Né sposta il ragionamento il fatto che entrambi i giudizi hanno lo stesso parametro di riferimento, che è quello costituzionale e sovranazionale, come sottolinea PENNASILICO, M: “Dal “controllo” alla “conformazione” dei contratti: itinerari della meritevolezza”, Contratto e Impresa, 2020, n. 2, p. 844.
24 Il paragone è formulato da CIPRIANI, N: “Buona fede e interpretazione”, in AA.VV.: Princìpi, clausole generali, argomentazione e fonti del diritto (coord. di X. XXXXX), Xxxxxxx, Milano, 2018, pp. 413-414. L’A. non si preoccupa di sviluppare oltre il ragionamento, ai fini della distinzione tra meritevolezza e liceità, poiché ha già raggiunto lo scopo prefissatosi di differenziare la prima dalla buona fede interpretativa: l’operare di quest’ultima è paragonabile agli effetti delle sentenze interpretative o di quelle additive.
25 Di “norma con significati ripugnanti al sistema”, se interpretata in modo diverso dalla mera riconduzione alla liceità, parla ROPPO, V: Il contratto, cit., p. 403.
26 In tal senso vid. XXXXXX, X: “La disciplina della causa”, in AA. VV.: I contratti in generale. Tomo primo (coord. di X. XXXXXXXXX), in Trattato dei contratti Xxxxxxxx-Xxxxxxxxx, UTET, Milano, 2006 (2° ed.), pp. 599-600.
27 In tal senso vid. ancora CARUSI, D: “Xx xxxxxxxxxx xxxxx xxxxx”, xxx., x. 000. Oltre all’art. 41 Cost., Cataudella richiama anche l’art. 118, c. 4, che nell’enunciare il principio di sussidiarietà orizzontale escluderebbe la possibilità di funzionalizzare l’autonomia privata: vid. XXXXXXXXXX, A: I contratti, cit., pp. 11-14. Sottolinea, invece, come i limiti all’autonomia privata posti dalla Costituzione nell’interesse generale abbiano sempre natura negativa DI XXXXXX, F: La nullità del contratto, CEDAM, Padova, 2008 (2° ed.), p. 581. Parla più in generale di contrarietà al nostro sistema giuridico, che non è né dirigista né moralista, ROPPO, V: Il contratto, cit., pp. 345-346.
stessa Corte Costituzionale28 - non gode di copertura costituzionale autonoma, risultando solo indirettamente protetta di riflesso della tutela di altri interessi costituzionalmente rilevanti29.
Anche sulla base di questi argomenti, parte della dottrina ha quindi tracciato il percorso per una lettura autonoma del requisito di meritevolezza, anche valorizzando la clausola quale medio di attuazione dei principi costituzionali nei rapporti interprivati, in un’ottica di drittwirkung.
In questo senso milita la tesi di Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx, come noto antesignana di una rilettura del requisito della meritevolezza alla luce dell’art. 41, c. 2 Cost. Secondo l’Autore, la norma di cui all’art. 1322, secondo comma, c.c., imporrebbe all’autonomia negoziale di non porsi in contrasto con l’utilità sociale, cioè di non arrecare “danni sociali”30.
In un’ottica in qualche modo simile si collocano anche quelle più recenti posizioni dottrinali intente a garantire un esercizio “sostenibile” o “ecologico” dell’autonomia privata, le quali traducono il requisito della meritevolezza nel divieto di stipulare contratti irrispettosi per l’ambiente, gli ecosistemi o le generazioni future31.
Queste impostazioni sono state, tuttavia, accusate di fornire una nozione di meritevolezza solo apparentemente autonoma posto che, nel solco di una critica già sviluppata nei primi commenti alla Relazione al Re e ad alcune più recenti pronunce della Cassazione, esse finirebbero in realtà comunque per mascherare, dietro al requisito della meritevolezza, quello della liceità.
In tal senso, sembra ancora una volta cruciale la distinzione logica tra liceità/ meritevolezza in termini di formulazione rispettivamente negativa/positiva del vaglio: ogniqualvolta si prospetta un giudizio in termini di “contrasto o meno” del contratto con un qualche valore, si sta inevitabilmente parlando di liceità (al più si potrà dibattere se quel valore assurga o meno a limite esterno dell’autonomia negoziale).
28 Vid. ex multis C. cost., 21 marzo 1969, n. 37, ma anche, nella giurisprudenza di legittimità, Cass., 19 giugno 2009, n. 14343.
29 Quali ad esempio la libertà d’iniziativa economica (art. 41 Cost.) e il diritto di proprietà (art. 42 Cost.), abitualmente citati, ma anche il diritto alla salute (art. 32 Cost.). In tal senso vid. XXXXXXX, X: “Autonomia privata (profili costituzionali)” (voce), Enciclopedia del diritto. Xxxxxx XXXX, 2015, pp. 61 ss. A ben vedere tale argomento si presta ad essere usato tanto a sostegno di una tesi quanto dell’altra: i fautori della riconduzione alla liceità sosterranno che essendoci una tutela costituzionale, seppur indiretta, dell’autonomia privata, essa non può essere soggetta ad alcun controllo di carattere positivo; i sostenitori della sua autonomia concettuale, invece, sosterranno che simile controllo è possibile proprio perché non c’è diretta costituzionalizzazione dell’autonomia privata.
30 Vid. XXXXXX, X.X.: Diritto civile. III. Il contratto, Xxxxxxx, Milano, 2019 (3° ed.), pp. 412-414.
31 Vid. PENNASILICO, M: “Dal “controllo” alla “conformazione”, cit., pp. 853 ss.
In termini di politica del diritto, occorre peraltro osservare come sembrerebbe strategicamente più promettente sussumere i valori ecologici nell’ambito del generale vaglio di liceità, posto che in tal modo si consentirebbe a tali valori di informare l’intera disciplina del contratto e non solo quella dei contratti atipici32.
A critiche analoghe porgono il fianco quelle recenti proposte dottrinali secondo le quali andrebbero considerati immeritevoli i contratti stipulati in danno del terzo, ovvero con lesione della sua posizione di creditore, dei poteri dispositivi del credito o della libertà di decidere consapevolmente se concludere o meno un contratto33.
Altra tesi identifica la meritevolezza nell’idoneità dello schema atipico elaborato dai privati ad assurgere – in caso di tipizzazione – a modello giuridico per la regolamentazione di interessi: sarebbero così immeritevoli i contratti inutili, espressivi della mancanza di una seria volontà giuridica delle parti34. Anche in questo caso pare che il vaglio di meritevolezza sia privato di autonomia concettuale rispetto ad altri controlli già previsti dall’ordinamento: il riferimento va soprattutto a quello sull’esistenza degli elementi essenziali del contratto (a partire dall’accordo stesso, fino a giungere alla causa) ovvero sull’esistenza del contratto stesso35.
Proprio al controllo sulla sussistenza della causa sembrano invero riconducibili anche le restanti posizioni espresse in dottrina. Si fa complessivo riferimento a quelle impostazioni che, al di là delle differenze terminologiche, intendono fondare sull’art. 1322 secondo comma c.c. un controllo di giustizia contrattuale36. L’accento posto sulla “proporzione” o “ragione” delle prestazioni finisce infatti per ricondurre
– come peraltro riconosciuto da un autorevole sostenitore di questa tesi37 – il giudizio di (non) meritevolezza a quello d’insussistenza della causa, sempre intesa in concreto e come funzione economico-individuale del singolo scambio. Anche in questo caso, peraltro, occorre osservare come ciò limiterebbe il condivisibile vaglio di giustizia contrattuale ai soli contratti atipici.
32 Viene così meno l’esigenza di ottenere il medesimo risultato attraverso la diversa via dell’estensione dell’oggetto del vaglio di meritevolezza.
00 Xxx. XX XXXXXX, X: La nullità del contratto, cit., pp. 588-589.
34 Vid. XXXXXXX, X: “Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi”, Rivista di diritto civile, 1978, n. 1, p. 99.
35 In tal senso la critica di XXXXX, G: “La meritevolezza degli interessi nella recente elaborazione giurisprudenziale”, Rivista di diritto civile, 2020, n. 3., p. 621.
36 A titolo esemplificativo e, anche qui, senza pretesa di completezza, si riportano alcuni dei principali fautori di tale impostazione: XXXXXXXXX, F: “Autonomia negoziale e autonomia contrattuale”, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato (coord. di X. XXXXXXXXXXX). Sezione quarta: autonomia negoziale, XXX, Xxxxxx, 0000; XXXXXXX, F: Trattato di diritto civile. Volume secondo. Le obbligazioni in generale, il contratto in generale, i singoli contratti, CEDAM, Padova, 2015 (3° ed.); XXXXXXXX, R.: “Regole del mercato e congruità dello scambio contrattuale”, Contratto e Impresa, 1985; PERLINGIERI, P.: Il diritto civile nella legalità costituzionale, XXX, Xxxxxx, 0000.
37 Vid. XXXXXXX, F: Trattato di diritto civile, cit., pp. 242 ss.
È infine il caso di considerare l’orientamento recentemente sviluppatosi nella giurisprudenza di legittimità, intento a derivare l’immeritevolezza, in linea generale, “dalla contrarietà (non del patto, ma) del risultato che il patto atipico intende perseguire con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati”38. Più specificamente, secondo questa impostazione, sarebbero individuabili tre separati effetti che, in alternativa tra loro, rivelerebbero l’invalidità per immeritevolezza del contratto che li produce.
Uno è quello di “attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato”, un altro è quello di “porre una delle parti in indeterminata soggezione rispetto all’altra”, il terzo è quello di “costringere una delle parti a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti” 39. Come osservato in dottrina40, tutte queste ipotesi sono a ben vedere riconducibili – specie se considerate nella declinazione concreta all’esame della Corte – a casi di assenza di causa41 oppure di illiceità per contrasto con norme imperative42 o con l’ordine pubblico43. Di nuovo, peraltro, viene in rilievo l’opportunità di estendere i suddetti controlli a tutti i contratti. Opportunità, quest’ultima, evidentemente sentita anche dalla Suprema Corte, come dimostra il complessivo sviluppo della giurisprudenza di legittimità sulle clausole c.d. claims made: il controllo sull’equilibrio dei relativi contratti assicurativi, in un primo momento fondato sul canone della meritevolezza44, è poi proseguito sostanzialmente immutato anche dopo l’avvenuta tipizzazione, attraverso il richiamo al requisito della causa in concreto45.
38 Vid. Cass., 28 aprile 2017, n. 10509.
39 ibid.
40 Vid. XXXXX, X: “La meritevolezza degli interessi”, cit., p. 641. L’Autore offre anche una spiegazione per il recente recupero giurisprudenziale della meritevolezza: non è dovuto tanto all’impossibilità di reperire altri strumenti utili al controllo dell’autonomia privata (lo sono appunto causa e liceità), quanto piuttosto alla predilezione per l’uso di una categoria concettuale più elastica e duttile. Vid. anche XXXXXXXX, A: “Meritevolezza dell’interesse”, cit., pp. 350-351.
41 È ad esempio il noto caso dell’operazione negoziale complessa “4You” (x. Xxxx., 10 novembre 2015, n. 22950 e Cass., 30 settembre 2015, n. 19559): si tratta di un mutuo di scopo bancario rivolto all’acquisto, ad opera della stessa banca quale mandataria del cliente, di un prodotto finanziario riconducibile sempre alla medesima (peraltro assistito da garanzia pignoratizia). L’assenza di causa sta nell’evidente difetto di giustificazione oggettiva dello scambio di utilità, che è invero solo apparente.
42 Si riporta quale esempio un’altra operazione plurinegoziale, sottoposta all’esame di Xxxx., sez. un., 19 luglio 2012, n. 12454: il caso è quello di una compravendita finanziata da un mutuo di scopo, all’interno del quale è inserita una clausola che impone il pagamento delle rate anche in caso di mancata consegna del bene. Il contrasto è con l’art. 1375 c.c., dal momento che la clausola impone un’esecuzione in mala fede del contratto di mutuo.
43 Si pensi esemplificativamente al noto caso deciso da Xxxx., 19 giugno 2009, n. 14343: all’interno di un contratto di locazione si pattuisce il divieto per il conduttore di ospitare, in maniera non temporanea, persone estranee al suo nucleo familiare anagrafico. L’illiceità qui risiede nella violazione dei principi fondamentali desumibili dagli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost.
44 Vid. le sentenze “gemelle” del 28 aprile 2017, nn. 10506 e 10509, nonché l’ordinanza di rimessione alle sez. un. del 19 gennaio 2018, n. 1465.
45 Vid. Cass., sez. un., 24 settembre 2018, n. 22437.
Una serie di ulteriori posizioni si sono così occupate di individuare nella meritevolezza un criterio autenticamente autonomo, non sovrapponibile ad altri elementi di vaglio già presenti nell’ordinamento.
In questa direzione si colloca quell’impostazione che identifica la meritevolezza con la c.d. “tipicità sociale” dello schema contrattuale atipico, ossia con il suo diffuso utilizzo da parte degli operatori privati. In dottrina la paternità della tesi è tradizionalmente attribuita a Xxxxxx Xxxxx00. Si tratta poi di una tesi più volte richiamata dalla giurisprudenza sebbene, come correttamente osservato, solo ad colorandum47, per confermare la validità di contratti socialmente tipici.
La proposta in esame non è tuttavia andata esente dalle critiche di coloro che hanno sottolineato come, in realtà, la tipicità sociale non sia requisito né necessario né sufficiente ai fini dell’ammissibilità di un contratto atipico. Possono invero esservi contratti atipici predisposti una sola (o per la prima) volta eppure pienamente meritevoli, così come contratti estremamente diffusi nella prassi e nondimeno immeritevoli48. Peraltro, tale ragionamento vale non solo per i contratti socialmente tipici a livello interno, ma anche per quelli ampiamente diffusi nel panorama internazionale e magari disciplinati da ordinamenti stranieri: se è pur vero, sul piano empirico, che il giudice sarà portato a ritenerli validi49, nulla esclude che tali schemi si rivelino invece difformi dai principi costituzionali e da quelli propri diritto europeo, e dunque invalidi50.
Nella direzione dell’autonomia si colloca pure la posizione dottrinale volta a derivare la meritevolezza dalla “utilità sociale” del contratto atipico. Tale concetto è stato declinato in svariate maniere, tutte nondimeno accomunate dall’idea di fondo secondo la quale con l’esercizio dell’autonomia privata debbano essere perseguiti interessi collettivi (e non meramente individuali). Sono due le principali chiavi di lettura del concetto di utilità sociale, scandite a livello storico e distinte soprattutto per i parametri di riferimento.
La prima interpreta il concetto in esame in un’ottica economica produttivistica51, per cui sarebbero meritevoli, a seconda delle diciture utilizzate, i contratti utili
46 Vid. XXXXX, E: Teoria generale, cit., p. 247, ove si sottolinea l’importanza del controllo della “coscienza sociale” sui contratti atipici, in relazione alla loro rispondenza ad un’esigenza pratica durevole.
47 Da LENER, G: “La meritevolezza degli interessi”, cit., pp. 622-623. L’Autore intende dire che tale giurisprudenza non utilizza la meritevolezza per impostare un vero e rigoroso vaglio di ammissibilità dei contratti atipici.
48 Vid. XXXXX, X.X.: Causa e tipo, cit., p. 224.
49 In tal senso l’osservazione di XXXXXXX, F: Trattato di diritto civile, cit., pp. 245-246, che pure ricorda come l’art. 1322, c. 2 c.c. prescriva di valutare la meritevolezza degli interessi sulla base dell’ordinamento giuridico interno.
50 Vid. PENNASILICO, M: “Dal “controllo” alla “conformazione”, cit., p. 846.
51 È questa la posizione espressa – almeno a livello declamatorio, come si è già avuto modo di osservare
– nella Relazione al codice civile. In dottrina possono citarsi, a titolo esemplificativo e senza pretesa di
all’economia nazionale, all’economia di piano, alla programmazione economica. Si è tuttavia rilevato come la potenzialità dirigistica della norma non è mai stata sfruttata ai fini della pianificazione economica52 e che ormai anche quest’ultima strada (ammesso che sia mai stata davvero percorsa in precedenza) sia stata nei fatti abbandonata, con la netta prevalenza dell’ideale della libertà di mercato53.
La seconda, invece, individua gli interessi superindividuali meritevoli di perseguimento all’interno del novero offerto dalla Costituzione54: sarebbero dunque meritevoli i contratti atipici volti, ad esempio, a perseguire la cura e lo sviluppo della persona umana, a proteggere l’ambiente, a svolgere funzioni pubbliche in chiave di sussidiarietà orizzontale.
Il principale difetto di tale impostazione, a parere di chi scrive, va oggi riscontrato sul piano sistematico complessivo, grazie alla lettura congiunta dell’art. 1322 c.c. con l’art. 2645-ter c.c. Anche alla luce di quanto già esposto nel corso presente contributo, occorre infatti rilevare come la tesi in esame pecchi “per eccesso” nel voler conformare indistintamente ogni ambito di esercizio dell’autonomia privata in chiave superindividuale. Così facendo, infatti, si finisce per equiparare indebitamente55 la disciplina delle assai diverse operazioni negoziali sottese agli 1322 e 2645-ter c.c.56. Sarebbe infatti del tutto irragionevole sottoporre l’attività contrattuale in genere – la quale di regola dispiega effetti solamente relativi– al medesimo stringente requisito di validità di una fattispecie negoziale atipica dagli effetti particolarmente dirompenti: i vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c., i quali, come si è avuto modo di osservare, sono caratterizzati da efficacia erga omnes.
completezza, i seguenti nomi: BARCELLONA, P.: Intervento statale e autonomia privata nella disciplina dei rapporti giuridico-economici, Xxxxxxx, Milano, 1969; BETTI, E: Teoria generale, cit.; XXXXXXXX, G.: “Intervento”, in Aspetti privatistici della programmazione economica: atti della tavola rotonda tenuta a Macerata nei giorni 22-24 maggio 1970, Xxxxxxx, Milano, 1971; XXXXXXX, C.: “Intervento”, in Aspetti privatistici della programmazione economica: atti della tavola rotonda tenuta a Macerata nei giorni 22-24 maggio 1970, Xxxxxxx, Milano, 1971; XXXXXXXXX, F.: Solidarietà e autonomia privata, Jovene, Napoli, 1970.
52 Nonostante la “sponda” fornita con l’introduzione della Costituzione dal c. 3 dell’art. 41, che per l’appunto apre alla programmazione economica ed al controllo dell’attività economica anche privata per la realizzazione di fini sociali.
53 Vid. XXXXXXXXXX, A: I contratti, cit., p. 236.
54 Si citano, ancora una volta a titolo esemplificativo e senza pretesa di completezza, i seguenti autori: COSTANZA, M: “Meritevolezza degli interessi”, cit.; XXXXX, P.: L’incidenza dei diritti fondamentali sull’autonomia negoziale, CEDAM, Assago, 2012; LENER, A.: “Ecologia, persone, solidarietà: un nuovo ruolo del diritto civile”, in AA.VV.: Tecniche giuridiche e sviluppo della persona (coord. di X. XXXXXX), Xxxxxxx, Xxxx, 0000; XXXXX, M: Utilità sociale e autonomia privata, Xxxxxxx, Milano, 1975; PENNASILICO, M: “Dal “controllo” alla “conformazione”“, cit.; XXXXXXXXX XXXXXXXX, V.: L’iniziativa economica privata nel diritto pubblico, Jovene, Napoli, 1959; XXXXXXXX, M.A.: “Liceità della causa e meritevolezza dell’interesse nella prassi giurisprudenziale”, Rassegna di diritto civile, 1985. XXXXXXXX, A: “Meritevolezza dell’interesse”, cit., pp. 344-345, individua l’origine di questo filone in quel momento di riscoperta delle clausole generali, in chiave di funzionalizzazione solidaristica dei rapporti interprivati, sviluppatosi in Italia tra gli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso.
55 Rectius irragionevolmente, anche ai fini dell’art. 3 Cost.: si tratterebbe infatti di un ingiustificato trattamento eguale di situazioni diseguali.
56 Già si è detto della preferibile interpretazione dell’art. 2645-ter c.c. nel senso della pretesa di una meritevolezza “qualificata” dalla natura superindividuale degli interessi perseguiti dal destinante.
Xxxxxx, peraltro, nel segno la critica di chi ha osservato che funzionalizzare in chiave superindividuale l’intero mercato – e non solo una sua parte, il che sarebbe del tutto ammissibile – significherebbe, in sostanza negarlo57.
IV. CONCLUSIONI.
Nel corso del presente contributo si è mostrato come la dottrina e giurisprudenza si siano attestate nell’individuare due differenti nozioni di meritevolezza, l’una in seno all’art. 1322 c.c., l’altra nell’ambito dell’art. 2645-ter c.c., e ciò nonostante il rinvio espresso operato da quest’ultima norma.
Con riferimento all’art. 1322, secondo comma, c.c., disposizione intorno alla quale il dibattito sulla meritevolezza si è tradizionalmente sviluppato, tale requisito viene tradizionalmente fatto coincidere con la liceità. Questa impostazione, come si è visto, è solitamente percepita come l’unica idonea da un lato a sgomberare il campo da un controllo giudiziale sull’autonomia privata ritenuto illiberale, dall’altro a fugare le antinomie proprie delle interpretazioni “autonomistiche” della meritevolezza che si sono passate in rassegna. Queste sono infatti accusate di finire, in ultima analisi, per impostare un vaglio che si risolve comunque in un controllo sulla liceità del contratto ovvero, nelle loro formulazioni più recenti, di giungere ad obliterare la distinzione tra contratto e conformazione della proprietà, secondo una linea argomentativa simmetrica a quella ripercorsa in sede di analisi dell’art. 2645-ter c.c.
Con riferimento a questa disposizione, si è infatti osservato come la meritevolezza, nei vincoli di destinazione, non possa invero essere intesa quale mera liceità, posta la pregnanza degli effetti che il relativo atto è in grado di produrre. La meritevolezza di cui all’art. 2645-ter c.c. è infatti “meritevolezza conformativa”: in quanto tale essa reca un quid pluris rispetto alla liceità, richiedendo che l’interesse alla base del vincolo persegua un’utilità sociale di matrice superindividuale.
È tuttavia nostra opinione, al netto della differenza tra le operazioni che la meritevolezza è chiamata a governare nei contesti in esame, che un’interpretazione che tenti una reductio ad unum delle “due meritevolezze” sia non solo possibile, ma anche necessaria, posto che l’art. 2645-ter c.c. espressamente richiama l’art. 1322 c.c.
A nostro avviso, a tal fine occorre valorizzare gli approdi teorici sul meccanismo di funzionamento delle clausole generali, categoria alla quale va senz’altro
57 Vid. BARCELLONA, P.: Diritto privato e società moderna, Jovene, Napoli, 1996, p. 292.
ricondotta anche la clausola di meritevolezza58. Come ampiamente noto, le clausole generali si comportano quali elementi elastici del sistema, dotati di un nucleo duro di significato autonomo che si estrinseca nella forma del principio, ma che poi, nell’ordinamento, è in grado di specificarsi in regole operazionali anche tra loro differenti, a seconda del ruolo che la singola clausola è chiamata a svolgere nei differenti contesti in cui viene richiamata.
È nostra opinione che il nostro ordinamento conosca un’unica meritevolezza, clausola generale che si fa portavoce di un principio unitario, che si specifica in regole e test diversi a seconda che essa sia chiamata a presidiare la conformazione negoziale delle situazioni di appartenenza ovvero funga da architrave all’esercizio autonomia contrattuale.
La ricerca del contenuto di tale principio deve necessariamente prendere le mosse, e può essere utilmente illuminata, dagli approdi maturati in seno all’esegesi dell’art. 2645-ter c.c., i quali tracciano la direzione per una ricerca in grado di rimettere in discussione, alla luce dei nuovi valori emergenti nel sistema, l’asserita corrispondenza tra meritevolezza e liceità nell’art. 1322 c.c.
In particolare, nel contesto dell’art. 2645-ter c.c., la meritevolezza si fa portavoce della necessità di costruire modelli di appartenenza generativi, modelli, cioè, in cui le utilità prodotte dai beni non vengono irragionevolmente accumulate quanto, piuttosto, redistribuite in funzioni di bisogni superindividuali. In questo senso, si può scorgere dietro la meritevolezza un principio che funge da argine all’accumulazione privatistica delle rendite ove questa si collochi nel solco di un eccessivo sfruttamento dei beni al solo scopo dell’accumulo estrattivo delle utilità, secondo una curvatura marcatamente ecologica. Si tratta di un’istanza che può essere generalizzata, e calata anche nell’ambito della teoria del contratto. In questo contesto la regola operazionale che la meritevolezza imposta è tuttavia differente.
Se, nella conformazione della proprietà, la meritevolezza richiede un accertamento forte, che si declina in quel giudizio di bilanciamento tra interessi a più riprese richiamato, nell’ambito del contratto atipico essa imposterà un vaglio differente, e meno pregnante. Proprio alla luce dei diversi effetti che l’autonomia contrattuale è destinata a produrre e alla funzione che essa svolge nell’ordinamento, è senz’altro meritevole un contratto che persegua interessi meramente idiosincratici e non superindividuali.
58 La letteratura sulle clausole generali è sterminata. Sul punto, un importante recente studio monografico è stato condotto da XXXXXXXX, V.: Le clausole generali. Semantica e politica del diritto, Xxxxxxx, Milano, 2010. Nella dottrina civilistica, gli studi più celebri restano quelli di MENGONI, L.: “Spunti per una teoria delle clausole generali”, Rivista critica del diritto privato, 1986, pp. 5 ss. e XXXXXX, S.: “Il tempo delle clausole generali”, Rivista critica del diritto privato, 1987, pp. 709 ss.
Anche in questo caso, tuttavia, la meritevolezza richiede che l’accordo non produca quale effetto la mera allocazione estrattiva delle utilità nascenti dallo scambio, vietando accordi meramente speculativi. Si tratta di un itinerario interpretativo tutto da costruire, soprattutto per ciò che concerne i contorni operazionali precisi della regola che esso propone con riferimento all’art. 1322 c.c.
Ci pare questo, però, un itinerario che indica la strada per una proposta che vale la pena di essere vagliata seriamente dalla dottrina, e che consentirebbe di coniugare le esigenze di coerenza dogmatica posti dalle due norme con i rilevanti interessi che l’evoluzione sociale, con particolare riferimento ai bisogni ecologici, pone sul tavolo del giurista, interessi i quali, come noto, godono di precisi referenti nella nostra Costituzione.
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