CONTRATTO AUTONOMO DI GARANZIA E FIDEIUSSIONE: DIFFERENZE IN ORDINE ALLA FUNZIONE E ALL’OGGETTO DELLA PRESTAZIONE
CONTRATTO AUTONOMO DI GARANZIA E FIDEIUSSIONE: DIFFERENZE IN ORDINE ALLA FUNZIONE E ALL’OGGETTO DELLA PRESTAZIONE
CASS. CIV., 5 MARZO 2020, N. 6177 (ORD.) - SEZ. III - PRES. ARMANO - REL. XXXXXXXX
Obbligazioni e contratti - Contratto autonomo di garanzia - Fideiussione - Garante - Mancato adempimento - Creditore - Prestazione infungibile - Solidarietà.
Con il contratto autonomo di garanzia il garante si impegna a tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento dell'obbligazione – che può avere ad oggetto anche una prestazione infungibile – gravante sul debitore principale, in ciò differenziandosi rispetto al fideiussore, il quale, garantendo l'adempimento dell'obbligazione altrui, è tenuto ad una prestazione identica a quella dovuta dal debitore principale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva qualificato come garanzia autonoma la polizza cauzionale prestata da una società di assicurazione per le obbligazioni assunte da un concessionario del servizio di smaltimento di rifiuti speciali, desumendo il carattere infungibile della prestazione del debitore principale dai requisiti tecnici, economici e di affidabilità indispensabili per il rilascio delle autorizzazioni amministrative necessarie allo svolgimento del servizio).
[in senso conforme: Cass. civ., 11 dicembre 2019, n. 32402; Cass. civ., 21 gennaio 2020, n. 1186]
FATTO - Il Tribunale di Roma con sentenza in data 3 gennaio 2011 ha rigettato, per decadenza ai sensi dell'art. 1957 c.c., la domanda della Provincia di Massa e Carrara avente ad oggetto la escussione della polizza cauzionale prestata da A. Credit Insurance NV a garanzia dell'esatto adempimento delle obbligazioni assunte da D. s.r.l. – società successivamente dichiarata fallita – ai sensi degli artt. 27 e 28, d.lgs. n. 22/1997, in dipendenza dell'affidamento in concessione del servizio di gestione dell'impianto di recupero di rifiuti speciali.
La Corte d'Appello di Roma, con sentenza 24 marzo 2018, n. 1891, pronunciando sull'appello della Provincia, qualificava diversamente il rapporto contrattuale, ravvisando la prestazione di una garanzia autonoma volta ad assicurare all'ente creditore (la Provincia) l'indennizzo risarcitorio in caso di inadempimento del debitore garantito, con conseguente inapplicabilità della disciplina tipica del negozio fidejussorio: condannava, pertanto, A. al pagamento dell'indennizzo, rigettando la eccezione di nullità del contratto di garanzia per contrasto con norma imperativa (art. 5, legge n. 295/1978), atteso che il ramo cauzioni costitutiva oggetto delle attività che le imprese di assicurazione erano espressamente autorizzate ad esercitare.
La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata per cassazione da A. con ricorso affidato a cinque motivi.
Resiste con controricorso la Provincia di Massa e Carrara che ha proposto anche ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.
Le parti hanno depositato memorie ex art. 380-bis l c.p.c.
DIRITTO - Primo motivo: vizio di extrapetizione ex artt. 99, 101, comma 2, 112, 183, 324 e 329 c.p.c.; violazione arti. 1241 e 2909 c.c.
La ricorrente impugna la sentenza di appello nella parte in cui disattende la qualificazione giuridica del rapporto controverso operata dal Tribunale, sostituendo di ufficio, all'accertamento della solidarietà per accessorietà delle obbligazioni del garante e del debitore principale, la autonomia dei rapporti, e statuendo inoltre – senza provocare il contradittorio sul punto – la nullità della clausola di cui all'art. 5 CGA, sebbene tale vizio di invalidità non fosse stato dedotto con specifica eccezione dalla Provincia, pertanto essendo incorso il Giudice di appello nel vizio di extrapetizione. Il motivo deve ritenersi infondato, indipendentemente dal rilievo di inammissibilità per la lacunosa esposizione del fatto, violativa dell'art. 366, comma 1, n. 3 c.p.c., non essendo stato neppure illustrato il contenuto della clausola prevista dall'art. 5 CGA, desumibile soltanto «aliunde», dalla motivazione della
sentenza impugnata, e non potendo ritenersi esaustiva la mera estrapolazione soltanto di alcune proposizioni dall'atto di appello della Provincia.
Osserva infatti il Collegio che, se la questione di nullità della clausola non può ritenersi introdotta attraverso la estrema ratio difensiva cui si è affidata A. nella comparsa di risposta in grado di appello (laddove nel rilevare che il Giudice deve interpretare e qualificare il contratto privilegiando la soluzione che consenta di salvaguardarne gli effetti giuridici piuttosto di quella che ne neghi la validità e la efficacia, ha sostenuto che la qualificazione come garanzia autonoma andrebbe incontro alla dichiarazione di nullità per contrarietà a norma imperativa ex art. 1418 c.c.
dell'intera polizza, «trattandosi di operazioni che non possono essere contenute dall'oggetto sociale del impresa assicurativa»), mentre appare appena accennata ma non sviluppata nella argomentazione giuridica, nell'atto di appello della Provincia (essendo stata paventata una possibile nullità della clausola di cui all'art. 5 CGA in quanto prevede un «facere» a carico di soggetto diverso dal concessionario), tuttavia ogni contestazione sulla corretta sottoposizione al Giudice della questione della invalidità negoziale viene ad essere definitivamente tacitata dal potere riservato al Giudice – anche in grado di appello – di rilevare «ex officio» il vizio di nullità del contratto azionato in giudizio, con conseguente riflesso dell'accertamento della nullità della clausola sulla diversa soluzione della controversia, concernente la struttura solidale o meno da riconoscere alla obbligazione principale ed a quella di garanzia poste in capo al garante ed al debitore principale garantito.
Occorre infatti ribadire che la «rilevazione» «ex officio» delle nullità negoziali (sotto qualsiasi profilo, anche diverso da quello allegato dalla parte, ed altresì per le ipotesi di nullità speciali o «di protezione») è sempre obbligatoria, purché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata «ragione più liquida», e va intesa come «indicazione» alle parti di tale vizio; la loro
«dichiarazione», invece, ove sia mancata un'espressa domanda della parte pure all'esito della suddetta indicazione officiosa, costituisce statuizione facoltativa (salvo per le nullità speciali, che presuppongono una manifestazione di interesse della parte) del medesimo vizio, previo suo accertamento, nella motivazione e/o nel dispositivo della pronuncia, con efficacia, peraltro, di giudicato in assenza di sua impugnazione. Nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo (cfr. Corte Cass., Sez. Un., sentenza n. 26242 del 12 dicembre 2014).
Deve aggiungersi che, nella specie, la Corte d'appello rilevando e dichiarando ex officio la nullità della clausola delle CGA non è incorsa – diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente – nella violazione dell'art. 101 c.p.c.
Con riferimento alle cause – come quella oggetto del presente giudizio di legittimità – iniziate anteriormente alle modifiche introdotte all'art. 101, comma 2, c.p.c., dalla legge di riforma n. 69/2009, questa Corte ha enunciato il principio di diritto secondo cui «Nel caso in cui il giudice esamini d'ufficio una questione di puro diritto, senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di essa l'apertura della discussione(c.d. terza via), non sussiste la nullità della sentenza, in quanto (indiscussa la violazione deontologica da parte del giudicante) da tale omissione non deriva la consumazione di altro vizio processuale diverso dall’error iuris in iudicando ovvero dall’error in iudicando de iure procedendi, la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato: qualora invece si tratti di questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, la parte soccombente può dolersi della decisione, sostenendo che la violazione di quel dovere di indicazione ha vulnerato la facoltà di chiedere prove o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini, con la conseguenza che, ove si tratti di sentenza di primo grado appellabile, potrà proporsi specifico motivo di appello solo al fine di rimuovere alcune preclusioni (specie in materia di contro-eccezione o di prove non indispensabili), senza necessità di giungere alla più radicale soluzione della rimessione in primo grado, salva la prova, in casi ben specifici e determinati, che sia stato realmente ed irrimediabilmente vulnerato lo stesso valore del contraddittorio» (cfr. Corte Cass., Sez. Un., sentenza n. 20935 del 30 settembre 2009; Corte Cass., Sez. I, sentenza n. 2984 del 16 febbraio 2016; Corte Cass., Sez. III, sentenza n.
15019 del 21 luglio 2016; Corte Cass., Sez. I, sentenza n. 16049 del 18 giugno 2018; Corte Cass.,
Sez. II, sentenza n. 17473 del 4 luglio 2018).
Orbene la questione della «nullità parziale» della clausola di cui all'art. 5 CGA, che prevedeva la facoltà alternativa, rimessa alla società assicurativa, di «adempiere la stessa obbligazione gravante sul debitore inadempiente» in luogo di corrispondere alla Provincia l'importo della indennità dovuta a titolo di cauzione (si veda la sentenza di appello, in motivazione pag. 3: la clausola delle CGA è riportata alla pag. 13 del controricorso «l'Assicuratore, invece di corrispondere l'indennizzo potrà a sua scelta sostituirsi al Contraente nella esecuzione delle obbligazioni garantite»), si palesava come mera «quaestio juris», ed in quanto tale non richiedeva una previa instaurazione del contraddittorio, atteso che l'eventuale errata pronuncia di nullità della clausola, per contrasto con norma imperativa ex art. 1418 c.c., verrebbe a tradursi in un vizio di «error in judicando» che la parte bene può sempre denunciare, con specifico motivo di ricorso per cassazione.
La rilevazione, da parte della Corte territoriale, della nullità della clausola per impossibilità dell'oggetto, deve ritenersi peraltro non dirimente alla risoluzione della controversia, atteso che la clausola delle CGA non consente una «diretta» sostituzione del garante nella esecuzione della prestazione inadempiuta, evidenziandosi a tal fine la necessità dell'intervento di un soggetto terzo dotato dei requisiti di capacità tecnica ed economica prescritti dalla legge (art. 29, d.lgs. n. 22/1997). La questione verrà sviluppata nell'esame del secondo e del terzo motivo di ricorso, dovendo anticiparsi la conformità a diritto della decisione del Giudice di appello, sia pure con motivazione corretta.
Secondo motivo: violazione degli artt. 1288, 1346 e 1418 c.c.
Lamenta la società ricorrente che la Corte territoriale avrebbe errato a ritenere affetta da nullità la clausola delle CGA, in quanto la prevista possibilità per la società garante di sostituirsi nell'adempimento della obbligazione del debitore principale non escludeva che tale scelta potesse essere attuata attraverso il conferimento in appalto a terzi del servizio di smaltimento rifiuti.
La censura è infondata.
Se la garanzia personale è certamente funzionale a rafforzare l'adempimento della prestazione dovuta a favore del creditore, «aggiungendo» al debitore principale un coobbligato in solido tenuto alla esecuzione della medesima prestazione (artt. 1936, comma 1, e 1944, comma 1 c.c.), tuttavia l'elemento della «eadem res» viene meno le volte in cui la obbligazione garantita abbia ad oggetto una prestazione infungibile anche solo soggettivamente, venendo a qualificarsi, allora, la garanzia secondo lo schema della «fìdejussio indemnitatis», atteso che, se l'interesse del creditore rimane insoddisfatto per l'inadempimento del debitore principale «infungibile», il garante non può che essere tenuto alla prestazione per equivalente volta al ristoro del danno.
Nella specie la natura infungibile della prestazione del debitore principale è stata desunta dalla Corte territoriale dai requisiti tecnici ed economici e di affidabilità indispensabili per il rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative, avendo inconseguenza tale Giudice correttamente escluso la stessa astratta possibilità di adempiere la medesima prestazione da parte della società di assicurazione.
Tale «ratio decidendi» non viene inficiata dal rilievo per cui la prestazione avrebbe potuto essere eseguita da altro soggetto-terzo dotato dei requisiti di legge, al quale la società garante avrebbe potuto conferire incarico contrattuale ad hoc.
In tal caso, infatti, la prestazione alternativa posta in essere dal garante non è la esecuzione della
«medesima prestazione» dovuta dal debitore principale, sibbene quella diversa di sopportare gli oneri economici correlati alla stipula di apposito contratto con un terzo -qualora dotato dei requisiti prescritti- chiamato ad eseguire la prestazione inadempiuta dal debitore principale: in ogni caso, quindi, l'oggetto della obbligazione alternativa che la società assicurativa è tenuta ad eseguire, non coincide con quello della obbligazione del debitore principale. La infungibilità della prestazione del debitore principale (concernente la gestione del servizio di smaltimento rifiuti speciali) rende oggettivamente diversa la prestazione dell'assicuratore in entrambe le sue componenti alternative (prestazione indennitaria ovvero stipula del contratto sostitutivo di appalto con il terzo ed assunzione
dei relativi oneri economici), venendo quindi meno l'elemento costituivo della solidarietà delle obbligazioni del garante e del garantito individuato dalla «eadem res debita».
Occorre tuttavia aggiungere che la stessa tesi difensiva svolta da A. è giuridicamente insostenibile, venendo qui in rilievo la nullità per contrarietà a norma imperativa della clausola di cui all'art. 5 delle CGA, atteso che alle società di assicurazione, incluse a quelle del ramo cauzioni, è precluso l'esercizio di qualsiasi attività diversa da quelle elencate nell'art. 5 della legge 10 giugno 1978, n. 295. applicabile «ratione temporis», e dunque esulando dall'oggetto sociale non soltanto l'assunzione in concessione del servizio di gestione dello smaltimento di rifiuti speciali, ma anche la stipula di contratti di appalto per conto terzi.
Terzo motivo: violazione degli artt 1322, 1362, 1363, 1368, 1936 c.c.
Sostiene la società assicurativa che la Corte territoriale non avrebbe indagato la effettiva volontà comune delle parti, da cui emergeva che le stesse avevano volto collegare le due obbligazioni principale e di garanzia da un nesso di dipendenza accessorietà tale per cui la apposizione della clausola delle CGA in questione, in quanto usualmente ricorrente nella prassi degli operatori economici e nel testo delle polizze fidejussorie, non si poneva come elemento di incompatibilità rispetto allo schema tipico della fidejussione, ed avrebbe quindi dovuto essere apprezzata sotto il profilo della meritevolezza degli interessi perseguiti dai privati, piuttosto che essere riguardata sotto quella della invalidità.
Il motivo è inammissibile.
La Corte d'Appello ha, infatti, ritenuto che, esclusa la coincidenza tra le prestazioni oggetto delle obbligazioni del garante e del debitore garantito, la polizza fidejussoria si caratterizzava per la
«funzione indennitaria» prevalente, essendo volta – secondo le indicazioni fornite da questa Corte Cass., Sez. Un., Sentenza n. 3947 del 18 febbraio 2010 – ad assicurare al creditore la somma destinata ad indennizzare il pregiudizio derivato dall'inadempimento della obbligazione principale, ed ha richiamato al proposito i principi enunciati dalle Sezioni Unite secondo cui «la polizza fideiussoria stipulata a garanzia delle obbligazioni assunte da un appaltatore costituisce una garanzia atipica, in quanto, ferma restando l'invalidità della polizza stessa se intervenuta successivamente rispetto all'inadempimento delle obbligazioni garantite, l'insostituibilità di queste ultime comporta che il creditore può pretendere dal garante solo il risarcimento del danno dovuto per l'inadempimento dell'obbligato principale, prestazione diversa da quella alla quale aveva diritto, venendo così vulnerato il meccanismo della solidarietà che, nella ,fideiussione, attribuisce al creditore la "libera electio", cioè la possibilità di chiedere l'adempimento così al debitore come al fideiussore, a partire dal momento in cui il credito è esigibile»; con la conseguenza che «in difetto di diversa previsione da parte dei contraenti, non si applica la nonna dell'art. 1957 c.c.., sull'onere del creditore garantito di far valere tempestivamente le sue ragioni nei confronti del debitore principale, poiché tale disposizione, collegata al carattere accessorio dell'obbligazione ,fideiussoria, instaura un collegamento necessario e ineludibile tra la scadenza dell'obbligazione di garanzia e quella dell'obbligazione principale, e come tale rientra tra quelle su cui si fonda l'accessorietà del vincolo fideiussorio, per ciò solo inapplicabile ad un'obbligazione di garanzia autonoma».
Orbene le critiche che vengono mosse all'accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale non vengono scalfite dalla censura svolta con il motivo in esame, che si palesa, peraltro, inammissibile in relazione tanto al requisito della specificità (art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c.), non potendo limitarsi la parte ricorrente a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 ss. c.c., avendo invece l'onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione delle clausole individuative dell'effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare l'erronea applicazione della disciplina normativa (cfr. Corte Cass., Sez. V, sentenza
n. 22889 del 25 ottobre 2006; Corte Cass., Sez. Lav., sentenza n. 25728 del 15 novembre 2013) quanto al requisito della completa esposizione del fatto ed individuazione dei documenti e delle parti di essi
sui quali il motivo si fonda (art. 366, comma 1, nn. 3 e 6 c.p.c.), avendo del tutto omesso la ricorrente di trascrivere il contenuto della polizza fidejussoria, impedendo in tal modo ogni possibile verifica delle disposizioni negoziali che, a suo dire, in positivo (previsione del nesso di accessorietà) od in negativo (assenza di clausole volte a rendere autonoma la garanzia), consentivano di apprezzare la scelta delle parti di assoggettare il rapporto di garanzia alla disciplina dello schema tipico della garanzia personale: emergendo peraltro dal controricorso elementi negoziali che appaiono in netta contraddizione con la tesi difensiva della ricorrente, avendo le parti convenuto che eventuali inadempienze del debitore principale fossero tempestivamente portate a conoscenza dell'assicuratore, restando tuttavia quest'ultimo «per patto espresso estraneo alle controversie giudiziarie aventi ad oggetto i fatti riguardanti la garanzia» (clausola di cui all'art. 2 CGA riportata solo parzialmente a pag. 9 ricorso e per la parte omessa a pag. 18 controricorso).
Quarto motivo: violazione degli artt. 1936 xx. x.x., 0000, 0000, 0000 x 0000 x.x.
Xx xxxxxxxxxx censura l'affermazione della Corte territoriale che avrebbe desunto la natura autonoma della garanzia, con esclusione della disciplina tipica di cui agli artt. 1936 xx x.x., xxx xxxx xxxxxxx xxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxx individuato nella prestazione indennitaria, non avvedendosi che tale elemento non si poneva in obiettiva incompatibilità con un diverso assetto negoziale riconducibile allo schema della garanzia personale.
Il motivo è inammissibile, sia in quanto difetta ancora dell'indicato requisito della chiara esposizione del fatto, omettendo qualsiasi riferimento al contenuto della polizza fidejussoria; sia in quanto viene a sottoporre a critica una mera proposizione estrapolata dal contesto motivazionale, laddove alla esclusione della applicazione della disciplina tipica della fidejussione la Corte territoriale è pervenuta, invece, dopo avere sviluppato le argomentazioni critiche poste a base della riforma della sentenza di prime cure, con riferimento alla funzione assolta dalla polizza fidejussoria in relazione alla peculiare garanzia espressamente richiesta a favore dell'ente pubblico dall'art. 28, comma 1, lett. h), del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, per il ripristino delle condizioni di sicurezza e di tutela igienico-ambientale disattese dal debitore principale.
Quinto motivo: omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. in ordine alle eccezioni rimaste assorbite nella pronuncia in primo grado e riproposte ex art. 346 c.p.c. con la comparsa di costituzione in grado di appello.
La ricorrente principale denuncia la omessa pronuncia da parte del Giudice di appello sulle eccezioni riproposte con la comparsa di risposta in secondo grado.
Il motivo è inammissibile per difetto dei requisiti prescritti dall'art. 366 col nn. 3 e 6 c.p.c., per difetto di compiuta descrizione del fatto processuale (cfr. Corte Cass., Sez. Un., sentenza n. 8077 del 22 maggio 2012).
Occorre premettere che, in tema di impugnazioni, qualora un'eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un'enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d'appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all'esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345, comma 2, c.p.c. (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell'art. 329, comma 2, c.p.c.), né sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure, chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione rende irrilevante in appello l'eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest'ultimo l'esercizio ex art. 345, comma 2, c.p.c. (cfr. Corte Cass. Sez. Un., sentenza n. 11799 del 12 maggio 2017).
Tanto premesso per l'accesso della censura del vizio di omessa pronuncia al sindacato di legittimità si rendeva allora necessaria: a) la compiuta descrizione delle eccezioni originariamente proposte da ATRADIUS con la comparsa di risposta in primo grado, onde andare esente dalla preclusione della novità delle stesse; b) la indicazione delle ragioni che avevano portato alla pronuncia di primo grado (trascritta soltanto in parte alla pag. 25 del controricorso, atto inidoneo a surrogare la carenza del
requisito di ammissibilità del ricorso) onde escludere la preclusione determinata dal giudicato interno, per mancata proposizione di appello incidentale, su quelle eccezioni in ipotesi esplicitamente od implicitamente decise dal primo Xxxxxxx e verificare la ritualità della mera riproposizione ex art. 346 c.p.c.
Il mancato assolvimento degli oneri indicati rende inemendabile il motivo di ricorso che va dichiarato, pertanto, inammissibile.
L'esame del ricorso incidentale condizionato proposto dalla Provincia, con il quale è stato dedotto il vizio di «violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 x.x., 00, 000, 000 x 000 x.x.x.» (xxxxx motivo) ed il vizio di «violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1368, 1369,
1370, 1371, 1957, in relazione all'art. 360co1 nn.3, 4 e 5 c.p.c.» (secondo motivo), rimane assorbito dalla pronuncia di rigetto del ricorso principale.
In conclusione il ricorso principale deve essere rigettato; il ricorso incidentale deve dichiararsi assorbito.
La ricorrente principale va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.
La pronuncia in esame origina dalla sentenza con cui il Tribunale di Roma – in data 3 gennaio 2011
– rigettava la domanda proposta dalla Provincia di Massa Carrara, con cui la stessa chiedeva l’escussione della polizza cauzionale prestata da A. Credit Insurance NV, a garanzia delle obbligazioni assunte in merito alla gestione dell’impianto di recupero di rifiuti speciali dalla compagnia D. s.r.l., poi dichiarata fallita.
La Provincia proponeva, allora, ricorso presso la Corte di Appello di Roma la quale – con sentenza n.1891 del 24 marzo 2018 – andava a qualificare il rapporto di provvista tra la Provincia e A. come contratto autonomo di garanzia, evidenziandone pertanto la finalità di lasciare indenne il creditore da un eventuale inadempimento del debitore.
La Corte di cassazione, adita dalla compagnia assicurativa risultata soccombente in secondo grado – la quale intendeva ricondurre il rapporto giuridico vigente con la Provincia ad un contratto di fideiussione – aveva, dunque, modo di pronunciarsi sulla necessaria differenziazione di questo istituto rispetto a quello della garanzia autonoma, sul piano della funzione e della natura della prestazione richiesta al garante.
La Corte considerava nullo l’art. 5 CGA – che prevedeva la facoltà per la compagnia di adempiere alternativamente con «la stessa obbligazione gravante sul debitore ovvero l’importo previsto a titolo di cauzione» – in quanto l’attività richiesta a D. s.r.l. costituiva prestazione infungibile.
Di nessun valore si stimavano, pertanto, le obiezioni della ricorrente, secondo cui lo smaltimento dei rifiuti speciali sarebbe potuto avvenire per mezzo del conferimento ad una ditta appaltatrice dell’attività, per quanto non direttamente espletabile dal garante a causa dell’elevata specificità del profilo tecnico.
Ad avviso della Suprema Corte, questa considerazione era di per sé sufficiente a ritenere inadeguata l’assimilazione del rapporto al contratto di fideiussione, poiché esso richiede la messa in atto della medesima prestazione che sarebbe richiesta al debitore principale. Si doveva, piuttosto, ricondurre il rapporto ad un contratto autonomo di garanzia, in cui il garante non può che risarcire il danno per equivalente.
Inoltre, la volontà delle parti di intendere i due contratti in relazione di accessorietà tra loro non poteva rilevare, inoltre, non rileva. Simile intenzione, infatti, – oltre a dover essere provata in giudizio attraverso l’esplicita menzione delle clausole contrattuali a partire dalle quali potrebbe essere ricostruita –, da sola non è atta a determinare la natura dell’accordo se questo, interpretato nel suo complesso, risulta rispondente ad una differente regolazione normativa.
È proprio in ragione dell’interpretazione fornita alla funzione del contratto, che la Cassazione concludeva per il rigetto della pretesa ad una differente qualifica dello stesso e condannava la ricorrente al pagamento dell’indennizzo, nella misura di Euro 18.000,00.
Da questa breve ricostruzione dei fatti di causa e delle conclusioni tratte dalla Corte di cassazione, emerge la necessità di evidenziare quali siano i tratti salienti ad oggi riconosciuti al contratto
autonomo di garanzia, originando dall’individuazione del suo corretto profilo causale, per poi procedere alla rilevazione della differenza morfologica con l’istituto della fideiussione, stante la pronuncia qui in oggetto. (Omissis).
NOTA di Xxxxxxx Xxxxx
La pronuncia in commento della Corte di cassazione affronta l’annosa questione della distinzione tra il contratto di fideiussione – garanzia tipica – e il contratto autonomo di garanzia – fattispecie atipica ampiamente diffusa –, nuovamente incentrandolo sulla diversa funzione del secondo rispetto al primo.
Secondo la Corte, mentre la fideiussione persegue una finalità di garanzia in senso proprio – che affianca al debitore un terzo, impegnato nei confronti del creditore con le stesse modalità e alle medesime condizioni–, nel caso del contratto autonomo di garanzia la prestazione assolve una funzione risarcitoria e indennitaria a fronte dell’inadempimento di quella principale, che può essere di tutt’altra natura, finanche infungibile.
La mancanza di una normazione puntuale in materia di garanzie atipiche – il cui ultimo infruttifero tentativo di regolazione risale al disegno di legge delega del 2010 – e la loro natura polimorfa [PORTALE, Le garanzie bancarie internazionali (questioni), in Banca borsa tit. cred., 1988, 6] hanno fatto sì che l’individuazione delle caratteristiche portanti e la chiarificazione degli aspetti controversi siano divenuti appannaggio esclusivo di dottrina e giurisprudenza. Ciò ha contribuito a restituire l’idea di un istituto non puntualmente delineato e fortemente soggetto ai mutevoli approcci delle Corti nazionali [MONTANARI, Garanzia autonoma e autonomia privata, in Banca borsa tit. cred., 2017, 347 ss.].
Si pensi che la prima, ufficiale, proclamazione di ammissibilità nel nostro ordinamento è da attribuire alle Sez. Un. civ., 1° ottobre 1987, n. 7341 [in Foro it., 1988, I, 103 ss.], che pure riconduceva la fattispecie ad una fideiussione con clausola solve et repete. Simile statuizione, tuttavia, aveva suscitato opinioni contrastanti in dottrina, non dimostrandosi sufficiente ad esaurire il dibattito sul punto.
Mutuato dalla tradizione negoziale tedesca ed anglosassone, il contratto autonomo di garanzia si identifica nell’accordo intercorrente tra garante e creditore, con il quale il primo si obbliga nei confronti del secondo a pagare una somma precedentemente determinata, qualora il debitore principale non adempia, ovvero esegua un adempimento parziale o inesatto [TELLA, Le garanzie del credito, Fideiussione e garanzie autonome, Milano, 2010, 776].
Esso si definisce anche «garanzia a prima richiesta» – poiché il garante è tenuto a versare la cifra prevista a fronte di una semplice comunicazione di inadempimento da parte del beneficiario, senza che questo debba fornire alcuna prova dello stesso – e «senza sollevare eccezioni» – rinunciando il garante ex ante alla possibilità di far valere eccezioni circa la validità del contratto principale, ovvero l’esatto adempimento della prestazione [XXXXXXXXXXX-CALEDRALE, I contratti di garanzia, I, in XXXXXXXX-GABRIELLI, Trattato dei contratti, Milano, 2006, 533].
In ciò si differenzierebbe dal contratto di fideiussione, sotto il profilo dell’accessorietà e, conseguentemente, del regime che regola le eccezioni, previsto ex art. 1945 [PORTALE, Fideiussione e Garantievertrag nella prassi bancaria, in ID. (a cura di), Le operazioni bancarie, II, Milano, 1978, 1062 ss.; BENATTI, Il contratto autonomo di garanzia, in Banca borsa tit. cred., 1982, I, 173 ss.]
Un simile assetto contrattuale risponde compiutamente all’esigenza dei creditori di veder tutelate le proprie ragioni a fronte del fenomeno della crisi d’impresa, che rappresenta quello che qualcuno ha definito come il «morbo cronico» dell’economia moderna, divenuto ancora più incisivo dato il crescente sviluppo del settore finanziario, commerciale e, conseguentemente, creditizio [GRIPPO, Garanzie atipiche e fallimento, in Contratto impr., 1986, 390].
Il contratto autonomo di garanzia, infatti, è in grado di assolvere, contestualmente (i) all’istanza di liquidità immediata dal lato del creditore, (ii) all’esigenza del debitore di concludere il rapporto di
provvista senza immobilizzare ingenti somme di denaro a titolo di cauzione, (iii) alla richiesta di lasciare indenne il garante dalle conseguenze patologiche eventualmente insorte tra gli obbligati principali.
Pur se sospinto dall’uso negoziale per il suo innegabile vantaggio in concreto, questo istituto ha incontrato notevoli difficoltà a trovare un suo spazio nel nostro ordinamento.
I principali ostacoli sono frutto delle problematicità riscontrare nel conciliare i suoi caratteri tipici con gli assunti propri del nostro sistema normativo, tra cui emergono principalmente: la necessaria accessorietà della garanzia rispetto all’obbligazione principale e la necessaria individuazione di un presupposto causale idoneo a sorreggere la legittimità dell’atto.
In particolare, se da una parte si tutela il principio dell’autonomia privata [art. 1322 c.c] e si mira ad agevolare una rapida circolazione dei beni [art. 1376 c.c], dall’altra non si deve ignorare il doveroso bilanciamento con il divieto di scambi sprovvisti di giustificata attribuzione patrimoniale [BERTOLINI, Natura causale e rilevanza del presupposto esterno nel contratto autonomo di garanzia, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 749 ss.].
Sarà, dunque, necessario chiarire primariamente quale sia la natura della causa dei contratti autonomi di garanzia e come sia possibile rapportarla al requisito di non accessorietà rispetto al contratto principale, senza che i due concetti vengano considerati reciprocamente escludenti [XXXXXXXXX, Rassegna. Il contratto autonomo di garanzia nell’evoluzione giurisprudenziale, in Nuova giur. civ. comm., 2010, 445].
Causalità ed autonomia sono, infatti, elementi che permettono una valutazione dell’accordo in oggetto su piani distinti. Il primo attiene alla possibilità di realizzazione – sul piano giuridico e concreto – degli effetti pattuiti dai contraenti; il secondo riguarda il grado di influenza esercitato dalle vicende che riguardano il rapporto principale su quello di garanzia [NAVARRETTA, Le prestazioni isolate nel dibattito attuale. Dal pagamento traslativo all’atto di destinazione, in Riv. dir. civ., 2007, 837].
Le considerazioni mosse in origine da una parte della dottrina, che vedevano questo tipo di contratto come, ad un tempo, astratto [XXXXXXXXXX, voce Causa, in Enc. dir., VI, Milano, 1960, 547 ss.; cfr. anche C.M. Xxxxxx, Diritto civile, Il contratto, Milano, 2015, 448 s.] ovvero causale a seconda dell’accezione data alla seconda nozione [PORTALE, Nuovi sviluppi del contratto autonomo di garanzia, in Le garanzie bancarie internazionali, Quad. Banca borsa tit. cred., 1989, 38], sono state poi confermate come prive di fondamento.
Se, da una parte, appare autoevidente che il contratto autonomo di garanzia sia da considerarsi causale, stante la sua riconduzione nel novero dei contratti [BARILLÀ, Causa esterna e garanzie bancarie, in Banca borsa tit. cred., Milano, 2006, I, 668] e il fatto che il principio di astrazione della causa nel nostro ordinamento non è dato, è altrettanto vero che una simile argomentazione, da sola, non soddisfa l’indagine circa la natura di tale elemento, oltre a risultare in sé ridondante.
Al tempo stesso, l’idea per cui sarebbe sufficiente il richiamo, all’interno del rapporto di provvista, del rapporto di valuta [SPADA, Cautio quae indiscrete loquitur: lineamenti funzionali e strutturali della promessa di pagamento, in Riv. dir. civ., 1978, 719], non soddisfa la dottrina più recente.
Emergerebbe, infatti, una lettura in chiave soggettiva del requisito ex art. 1325, n. 2 c.c., secondo la quale la mera menzione dello scopo individualmente configurato dalla parte che ha assunto l’obbligazione soddisfarebbe il requisito nella forma della expressio causae.
Si è, allora, tentato di assimilare la valutazione di causalità a quella di meritevolezza [XXXXXXXXXXX, I contratti autonomi di garanzia, Torino, 1989, 247], così eludendo la differenza tra le due, per cui la prima attiene ad una valutazione di realizzabilità in concreto dell’accordo, mentre la seconda impone di valutare la sua conformità ai principi espressi e tutelati dall’ordinamento giuridico [art. 1322 c.c.]. Su una linea argomentativa affine si pongono le riflessioni che vedono il contratto autonomo di garanzia come dotato di una causa «esterna» [BARILLÀ, Causa esterna e garanzie bancarie autonome, cit., 672], da individuarsi nell’esplicita dichiarazione degli effetti voluti dai contraenti. Così facendo, se è indubbio il superamento dell’errore logico-dogmatico sopra descritto, si incorre però in una semplice traslazione delle riflessioni sulla causa – che investono così l’obbligazione principale – non aggiungendo chiarimenti al tema affrontato in questa sezione.
Da queste ricostruzioni dottrinali emerge una lettura del requisito causale in termini di funzione economico-individuale, quindi come quella sintesi, da operarsi in concreto, degli interessi che le parti mirano a realizzare per mezzo del contratto [Cass. civ., 8 maggio 2006, n. 10490, in Contratti, 2007, 621 ss.]. Tale operazione, tuttavia, preclude un’indagine ab origine circa l’effettiva perseguibilità del fine pattuito dai contraenti, che rappresenta invece il nucleo portante del concetto di causa [BERTOLINI, Rassegna. Il contratto autonomo di garanzia nell’evoluzione giurisprudenziale, cit., 438].
Altra ipotesi avanzata è quella che individuerebbe il requisito causale nel mandato senza rappresentanza con cui il debitore ordinante da incarico al terzo di prestare garanzia al creditore, il quale ha diritto di ricevere la somma in ragione del rapporto che lo lega al proprio debitore [Trib. Firenze, 3 agosto 2000, in Giur. it., 2001, 941, con nota di CHINÈ].
Seguendo questo filo argomentativo, tuttavia, saremmo però di fronte ad una tautologia.
È il contratto autonomo di garanzia, infatti, a validare l’attività compiuta dal mandatario (rectius garante) e ciò non sarebbe possibile se non avesse, esso stesso, rilevanza per l’ordinamento giuridico
– essendo, dunque, per se dotato del requisito di cui all’art. 1325, n. 2 – [NAVARRETTA, La causa e le prestazioni isolate, Milano, 2000, 348].
Al fine di rifuggire ricostruzioni logiche circolari oppure fuorvianti è opportuno, piuttosto, far riferimento ad una nozione oggettiva di causa, interpretandola come «funzione concreta» del contratto [XXXXXXXXXX, voce Contratto (causa del), in Enc. Sole 24 ore, Milano, IV, 2007, 165]. Così facendo si evita sia di strumentalizzare il presupposto causale per finalità che non gli appartengono, sia di appiattirlo su altri istituti, contravvenendo al principio per cui entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem.
Alla luce di questa ricostruzione, la causa deve essere valutata attraverso un’analisi suddivisa in due momenti. Si procede preliminarmente all’individuazione dell’assetto di interessi che le parti intendono costituire per mezzo del contratto, con una operazione propria anche delle teorie che supportano la nozione soggettiva di causa, ma ben più articolata della mera rilevazione di dichiarazione di intenti e del solo esplicito richiamo del rapporto di valuta [CARINGELLA-BUFFONI, Manuale di diritto civile, Roma, 2016, 733 ss.]. In seguito, si compie un’indagine circa i presupposti oggettivi che sorreggono la volontà dei contraenti, per comprendere le possibilità effettive di un concreto dispiegamento degli effetti del contratto [NAVARRETTA, La causa e le prestazioni isolate, cit., 270-277]. Parlare di presupposti, tuttavia, non significa nuovamente traslare aliunde la ricerca del principio giustificativo della garanzia autonoma, bensì consente di individuare le uniche vicende riguardanti l’obbligazione principale che possono travolgere il rapporto di garanzia. Esse sono ravvisabili (i) nell’invalidità e (ii) nella radicale insussistenza.
Solo qualora il rapporto di valuta risulti valido ed efficace, infatti, si verranno a creare quelle condizioni – riscontrabili ex ante – che fondano la possibilità di realizzare l’assetto di interessi voluto dai contraenti originari. Le vicende capaci di intervenire negativamente sul rapporto di valuta ex post, invece, rilevano unicamente come impedimento al raggiungimento concreto dello scopo preordinato. In altri termini, esse attengono alla «realizzazione» degli effetti del contratto, non alla sua
«realizzabilità», profilo invece riferibile al principio di causalità [BERTOLINI, Natura causale e rilevanza del presupposto esterno nel contratto autonomo di garanzia, cit., 763-766].
Calando le riflessioni sinora esposte nel caso oggetto della pronuncia della Corte di cassazione qui in esame, è ammissibile ritenere che, in presenza di garanzia prestata da una compagnia di assicurazione, su mandato di un’azienda fornitrice di servizi pubblici, con riguardo ad un debito assunto nei confronti di una Pubblica Amministrazione, il presupposto causale possa essere considerato esterno. È proprio il rischio di una mancato adempimento della prestazione che, sussistendo al momento della stipulazione della garanzia, la rende a priori idonea a produrre effetti.
Così definita la causa del contratto autonomo di garanzia, si devono indagare, alla luce della pronuncia in commento, le differenze che sussistono tra questa e la garanzia tipica, sotto tale profilo. Il contratto di fideiussione incarna il prototipo di garanzia personale in senso proprio, affiancando al debitore principale un altro individuo – il fideiussore – tenuto a rispondere a sua volta «con tutti i
suoi beni presenti e futuri», al fine di soddisfare la pretesa creditoria [DI MAJO, La clausola omnibus nella fideiussione e parametri valutativi, in Contratto impr., 1991, 30]. Ecco che, il patrimonio del garante va ad accrescere la garanzia patrimoniale generica, prevista ex art. 2740 c.c. a vantaggio del creditore [Cass. civ., 27 marzo 1993, n. 3730, in Fall., 1993, 1027]
Conseguenza logico-giuridica di un simile assunto è la possibilità, dal lato attivo, di richiedere l’adempimento indistintamente al debitore principale ovvero al fideiussore – salvo l’effetto di clausole di prima escussione – espressione della natura solidale del vincolo che si istaura dal lato passivo tra garante e garantito [ROPPO, La responsabilità patrimoniale del debitore, in Tratt. Xxxxxxxx, 1, XIX, Torino, 1997, 496].
Tra obbligazione garantita e garanzia fideiussoria si apprezza, in questo senso, un rapporto di
«specularità costante» [NAVARRETTA, Il contratto autonomo di garanzia, in I contratti per l'impresa,
I. Produzione, circolazione, gestione, garanzia, a cura di XXXXX-XXXXXXX-NOTARI, Bologna, 2012, 560], dettato anche dall’imprescindibile identità di oggetto tra le due.
In particolare, all’art. 1941 si chiarisce che il quantum della prestazione emergente dal rapporto di valuta funge da termine di paragone esterno – in ossequio al principio di accessorietà – per la determinazione del quantum richiesto nel rapporto di provvista, non potendo quest’ultimo eccedere il primo [XXXXXXXXXX, Della fideiussione (sub art. 1936), in Commentario Xxxxxxxxx, Dei singoli contratti, vol. IV (a cura di VALENTINO), Milano, 2011, 428].
Se il contratto di fideiussione – in qualità di garanzia tipica – sembra pacificamente disciplinato in merito a causa ed oggetto, lo stesso non può dirsi per il contratto autonomo di garanzia.
Esso, con riguardo ai profili or ora richiamati, ha subito una delineazione lenta ma progressiva, frutto di un cammino giurisprudenziale lungo, per quanto abbastanza omogeneamente orientato.
Già sul calare degli anni ’80 del secolo scorso si era affermata l’estraneità di questo istituto da qualsiasi esigenza di garantire un «puntuale adempimento» [Cass. civ., 6 ottobre 1989, n. 4006, in Banca borsa tit. cred., 1990, II, 1 ss.]. Gli si riconosceva, invece, la qualità di garanzia «di secondo grado», consistente in un rimedio economico che si attiva automaticamente qualora sia stato leso un interesse rilevante del beneficiario [PORTALE, Nuovi sviluppi del contratto autonomo di garanzia, cit., 51], per offrire un risultato tuttavia difforme da quello originariamente previsto nell’obbligazione principale.
La prestazione dedotta in garanzia, infatti, deve essere necessariamente definita ex ante [Cass. civ., 28 febbraio 2007, n. 4661, in Mass. Foro it., 2007] e si sostanzia, normalmente, in una cifra forfettaria – indipendentemente dalla natura dell’oggetto del rapporto di valuta – il cui ammontare corrisponde ad una percentuale del valore della stessa che non eccede la soglia del 20% [STELLA, Le garanzie del credito. Fideiussione e garanzie autonome, in IUDICA-ZATTI, Trattato di diritto privato, Milano, 2010, 790-792].
Ciò considerato, in termini di funzione, si è riscontrato un maggior grado di affinità con la cauzione piuttosto che con il contratto di fideiussione. La ragione è individuabile nella ratio sottesa alla diffusione di questo istituto nella prassi commerciale, vale a dire quella di assicurare al creditore di poter disporre celermente di una somma di denaro – per quanto nettamente inferiore a quella dovuta
– con cui bilanciare i rischi connessi all’attività d’impresa [Cass. civ., 29 marzo 1996, n. 2909, in
Foro it., 1996, I, 1621] (cfr. supra).
In questo si apprezza la differenza rispetto alla prestazione cui è tenuto il fideiussore, identica per specie ed ammontare – non meramente «equivalente» – a quella dedotta nell’obbligazione principale, salva la possibilità di prevedere un importo garantito inferiore al debito [Cass. civ., 5 marzo 2009, n. 5326, in Mass. Foro it., 2009].
In questo senso, Sez. Un. civ., 18 febbraio 2010, n. 3947 [in Foro it., 2010, I, 2799], dopo aver ribadito la non accessorietà della garanzia autonoma rispetto al rapporto di valuta come elemento caratterizzante della distinzione con la fideiussione, individua la sua causa concreta nella facoltà di
«assicurare la libera circolazione dei capitali e il pronto soddisfacimento dell’interesse del beneficiario».
Le pronunce della Suprema Corte che hanno seguito, poi, hanno concorso a definire con più precisione il concetto così espresso, sino a giungere ad identificarlo in una funzione di tipo indennitario-risarcitorio.
Non si tratta, pertanto, di una finalità satisfattoria poiché, per definizione, la prestazione richiesta non è sovrapponibile a quella del debitore principale.
L’obiettivo è, piuttosto, quello di tutelare il beneficiario da un rischio – quello del mancato o inesatto adempimento, sia esso colpevole o incolpevole [Cass. civ., 21 gennaio 2020, n. 1186, citata da XXXXXXXX, Osservatorio di Giurisprudenza, in Not., 2020, 280] – che sussiste per il sol fatto che esiste ed è legittimo il credito da questo vantato nei confronti dell’ordinante [Sez. Un. civ., 10 luglio 2019,
n. 18520, in Rassegna mensile della giurisprudenza civile della Corte Suprema di Cassazione, Luglio 2019, 21].
A fronte di ciò, parte della dottrina riterrebbe più opportuno riferirsi al contratto autonomo di garanzia in termini di «intermediazione finanziaria», piuttosto che di garanzia personale in senso proprio [MEO, Funzione professionale e meritevolezza degli interessi nelle garanzie atipiche, Milano, 1992, 357]. Pur non intendendo in questa sede approfondire la fondatezza di una simile considerazione, essa concorre a mettere in luce uno degli elementi «genetici» di maggior contrapposizione con l’istituto della fideiussione.
Il principale risultato che si ottiene con la stipula di una garanzia atipica è, infatti, non tanto quello di assicurare al creditore esattamente ciò che gli è dovuto in base al rapporto di valuta, quanto piuttosto quello di traslare da questo soggetto al garante il rischio connesso allo svolgimento della sua attività commerciale.
Viene, così, meno il requisito dell’eadem res debita, elemento imprescindibile al fine di sancire il vincolo solidale dal lato passivo. Si sottolinea, inoltre, come anche qualora la prestazione oggetto dell’accordo principale e quella oggetto del rapporto di garanzia coincidessero, ciò non risulterebbe sufficiente ad ipotizzare la sussistenza di un vincolo fideiussorio [XXXXXX, Le garanzie del credito. Fideiussione e garanzie autonome, cit., 793 s.]. Simile identità di natura, infatti, sarebbe il mero risultato dell’esercizio di autonomia privata da parte dei contraenti – che ben avrebbero potuto pattuire un obbligo diverso in capo al garante [MONTANARI, Garanzia autonoma e autonomia privata, in Banca borsa tit. cred., 2017, 347 ss.] – e non il frutto del rispetto di un indefettibile obbligo normativo.
Ne consegue che, differentemente da quanto avviene per il contratto di fideiussione, sia opportuno parlare di semplice collegamento negoziale e cumulo di prestazioni, anziché di solidarietà debitoria [Cass. civ., 11 dicembre 2019, n. 32402, in Rassegna mensile della giurisprudenza civile della Corte Suprema di Cassazione, Dicembre 2019, 38].
L’indipendenza che caratterizza questa forma di garanzia atipica [Cass. civ., 28 marzo 2017, n. 7883, citata da DE CRISTOFARO-CASAROLI, Novità Giurisprudenziali, in Studium Iuris, 2017, 1374], così ribadita, spiega perché essa abbia avuto una marcata diffusione nella prassi, con riguardo a rapporti di valuta che abbiano ad oggetto un facere infungibile. Il paradigma preferenziale è quello dei contratti di appalto, in cui si richiede la realizzazione di un’opera o di un servizio [Cass. civ., 21 gennaio 2020, n. 1186, cit.]
È questo lo schema che si ravvisa nel caso oggetto della pronuncia qui sottoposta a commento.
A prescindere dalle ragioni proposte dalla ricorrente, la Suprema Corte ha modo di ribadire come, quando l’obbligazione oggetto di garanzia risulta «insostituibile», il beneficiario può pretendere dal garante solo il risarcimento del danno derivante dall’inadempimento del debitore principale, non la medesima utilità a cui quest’ultimo era tenuto.
In particolare, la non fungibilità del facere può ben essere ricavata dalla natura della prestazione ovvero dalle specifiche competenze tecniche necessarie al suo adempimento.
È intuitivo ritenere che una compagnia assicurativa non abbia la facoltà professionale di provvedere materialmente allo smaltimento di rifiuti speciali, ragion per cui essa non può ritenersi «vicaria» della
s.r.l. ordinante, come invece le sarebbe richiesto in caso di vincolo fideiussorio [Cass. civ., 22 novembre 2018, n. 30181, in Ced Cass., rv. 651849-01].
La medesima considerazione non perde validità se si ipotizza la possibilità di affidare ad una ditta appaltatrice l’esecuzione della prestazione dedotta nell’obbligazione principale. In una simile circostanza, infatti, il beneficiario otterrebbe sì esattamente ciò che attendeva dal suo debitore, ma non per opera del garante – il quale si limita a sostenere materialmente le spese di affidamento dell’incarico –, bensì di un soggetto che risulta terzo tanto in relazione al rapporto di valuta, quanto al rapporto di provvista.
Nel caso di specie, inoltre, è dirimente l’assunto per cui una compagnia assicurativa, anche qualora operi nel ramo cauzioni, non solo non è deputata alla gestione del servizio di smaltimento rifiuti, ma neppure è legittimata a stipulare contratti di appalto per conto altrui.
Risulta, pertanto, pienamente condivisibile la conclusione della Suprema Corte di confermare la qualificazione del rapporto come contratto autonomo di garanzia, atto ad espletare una funzione concreta di indennizzo avverso il rischio di inesatto o mancato adempimento della prestazione – ricavabile per relationem dall’obbligazione principale –, e ad avere ad oggetto un fare infungibile – non dovendo essere rispettato il requisito di identità di prestazione e di solidarietà passiva, previsti per il contratto di fideiussione –.
Seguendo questa linea argomentativa, la pronuncia evidenzia, tuttavia, che l’inapplicabilità della disciplina fideiussoria è scaturita primariamente dall’analisi in concreto dell’elemento causale della polizza. Si è avuto, così, modo di affermare che il profilo di differenziazione dirimente tra fideiussione e garanzia atipica sia stato quello funzionale.
Simile conclusione è certamente condivisibile con riguardo all’obbligazione assunta dalla ricorrente e a tutti i casi riconducibili al medesimo schema negoziale.
Tuttavia, stante la molteplicità di schemi – e contesti concreti – in cui il contratto autonomo di garanzia trova applicazione nella realtà dei traffici [Cass. civ., 5 marzo 2009, n. 5326, cit] – anche rispetto ad obbligazioni pecuniarie in senso proprio –, universalizzare tale principio potrebbe presentare criticità.
La Cassazione non chiarisce, infatti, se al contratto autonomo di garanzia sia preclusa la facoltà di assolvere una funzione di garanzia in senso proprio anche laddove il rapporto di valuta e quello di provvista abbiano ad oggetto due prestazioni fungibili e coincidenti. Questa eventualità si pone, ad esempio, nel caso in cui l’obbligo di dare riguardi una somma di denaro, ipotesi ricorrente nella realtà dei traffici commerciali nazionali e internazionali. Non è raro che, in tali casi, il garante sia tenuto a fornire al creditore una cifra prestabilita a titolo di indennizzo, ovvero la «medesima prestazione dovuta dal debitore» [XXXXXX, La fideiussione e il mandato di credito, cit., 14].
In simili circostanze, quindi, la possibilità di distinguere un contratto di fideiussione da un contratto autonomo di garanzia dovrà poggiare su elementi ulteriori – quali la verifica dell’accessorietà o meno della garanzia e la possibilità per il garante di presentare eccezioni proprie del debitore principale – [MONTICELLI, Garanzie autonome e tutela dell’ordinante, Napoli, 2003, 39].
Pertanto, l’interprete, chiamato ad esprimersi circa la corretta qualificazione del contratto, dovrebbe concentrare la propria attenzione non tanto – o non solo – sulla natura dell’oggetto e sull’interesse che il creditore intende tutelare con quel mezzo, quanto sul legame che si è inteso o meno istaurare con le vicende inerenti al rapporto principale [X. XXXXXX, Contratto autonomo di garanzia, polizza fideiussoria e fideiussione, tra qualificazione "negativa", e ricerca della disciplina applicabile ai contratti atipici e clausole generali (a proposito di xxxx., ss.uu., 18 febbraio 2010, n. 3947), in Riv. not., 2010, 1239 ss.].
Simile volontà deve essere ricostruita sulla scorta del contenuto stesso dell’accordo, non potendo rilevare il solo nomen iuris assegnato dalle parti [Cass. civ., 2 aprile 2002, n. 4637, in Rep. Foro it., 2002, 285, voce Contratto in genere].