LA MODIFICAZIONE UNILATERALE DEL CONTRATTO
Scuola di dottorato in Scienze Giuridiche Dipartimento di Diritto Privato e Storia del Diritto
Corso di dottorato in diritto comparato, privato,
processuale civile e dell’impresa
Curriculum di diritto privato XXX Ciclo
LA MODIFICAZIONE UNILATERALE DEL CONTRATTO
IUS/01
Xxxxxx Xxxx
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxxxx
Coordinatrice del corso di dottorato Xxxxx.xx Prof.ssa Xxxxx Xxxxxx Xxxxxxx
La modificazione unilaterale del contratto
Indice. Capitolo primo. Jus variandi e disciplina del contratto in generale. 1. Rapporto tra jus variandi di fonte legale e principi generalcontrattualistici: valore dell’accordo e forza di legge del contratto, inquadramento del problema e cenni storici. 2. Natura del diritto ed effetti sul contratto. 3. Jus variandi di fonte pattizia: problemi di validità e di inquadramento sistematico (rinvio). 4. Estraneità del jus variandi agli istituti di parte generale. 4.1 L’arbitraggio della parte. 4.2 Il recesso. 4.3 La condizione. 4.4 L’offerta di equa modificazione di cui agli artt. 1450 e 1467 c.c. Capitolo secondo. La disciplina legale del jus variandi: nella disciplina codicistica dei tipi. 1. Appalto. 2. Trasporto. 3. Mandato. 4. Somministrazione. 5. Rendita perpetua. 6. Locazione. 7. Assicurazione. 8. Contratto di lavoro. CAPITOLO TERZO. La disciplina legale del jus variandi: nelle discipline di settore. | 2 4 4 10 14 15 15 19 23 24 29 29 36 39 41 44 46 48 51 54 |
1. I contratti del consumatore. 2. I contratti del turista. 3. I contratti bancari. 4. La subfornitura. CAPITOLO QUARTO. Problemi interpretativi e tratti comuni: limiti operativi e rimedi in caso di abuso. 1. Gli elementi caratterizzanti delle fattispecie sin qui esaminate. 1.1 Nella disciplina dei tipi. 1.1.1 La discrezionalità dell’an. 1.1.2 L’estensione della modifica. 1.1.3 La reazione della parte in soggezione. 1.2 Nelle discipline di settore. 1.2.1 L’an e il quantum. 1.2.2 Il recesso. 2. I rimedi in caso di abuso. 3. Jus variandi di fonte pattizia: conclusioni. 4. Oltre la lettera del contratto: l’effetto modificativo di fatto in alcune ipotesi particolari. 4.1 Jus variandi come effetto in concreto di opzioni put con prezzo determinato a consuntivo. 4.2 Jus variandi nei contratti derivati: accenni ai CDS. CONCLUSIONI. Bibliografia. | 54 61 67 72 76 77 78 78 82 85 89 91 96 99 103 117 117 125 133 147 |
CAPITOLO PRIMO.
Jus variandi e disciplina del contratto in generale.
SOMMARIO: 1. Rapporto tra jus variandi di fonte legale e principi generalcontrattualistici: valore dell’accordo e forza di legge del contratto, inquadramento del problema e cenni storici. 2. Natura del diritto ed effetti sul contratto. 3. Jus variandi di fonte pattizia: problemi di validità e di inquadramento sistematico (rinvio). 4. Estraneità del jus variandi agli istituti di parte generale. 4.1. L’arbitraggio della parte 4.2. Il recesso 4.3. La condizione 4.4. L’offerta di equa modificazione di cui agli artt. 1450 e 1467 c.c.
1. Rapporto tra jus variandi di fonte legale e principi generalcontrattualistici:
valore dell’accordo e forza di legge del contratto, cenni storici.
La presente indagine, che nasce con l’obiettivo di ricercare i tratti comuni delle varie fattispecie di jus variandi per verificare la possibilità di ricostruire dei principi generali in materia, non può che partire dall’analisi di quei principi generali che, a differenza dei primi, senza dubbio esistono ed informano la disciplina del contratto in generale, ponendosi - almeno idealmente - in contrasto con l’astratta configurabilità di una modificazione unilaterale del contratto. Si parla, chiaramente, del principio che vuole l’accordo delle parti (bilaterale per definizione) quale fonte privilegiata per la regolazione dei rapporti giuridici patrimoniali esistenti tra le parti (ai sensi dell’art. 1321 c.c.) e che, di converso, assegna al regolamento di interessi raggiunto per il tramite di questo accordo la suggestiva “forza di legge” predicata dall’art. 1372 c.c.
Xxxxxxxxx: non si ignora che il processo di formazione del contratto può
assumere forme assai varie. C’è chi autorevolmente parla di “scambi senza
accordo” e rileva come in fattispecie di enorme diffusione, come i contratti conclusi con le modalità di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c. e gli scambi di massa, non ci si trovi di fronte ad un vero e proprio accordo, inteso come frutto di un’operazione dialogica tra paciscenti, bensì ad un mero incontro di atti unilaterali.1 Ma ai fini che noi interessano quel che appare evidente è che anche in tali casi, quand’anche si volesse affermare che un “accordo” non c’è, quello che sicuramente esiste è la volontà - eventualmente espressa in modo unilaterale - della parte di obbligarsi.
Ed ancora, è ben noto il dibattito in merito al meccanismo di conclusione del contratto descritto nell’art. 1333 c.c., che la migliore dottrina risolve nel senso del superamento del c.d. “dogma della bilateralità”, affermando cioè che in tali fattispecie il contratto si conclude tra le parti per effetto della sola dichiarazione (unilaterale) del proponente, alla quale si contrappone quindi non una tacita accettazione (che renderebbe la formazione bilaterale), bensì un semplice “mancato rifiuto”.2 Anche in questo caso l’assenza di un accordo nella conclusione del contratto non ci è però d’aiuto nell’armonizzazione sistematica delle ipotesi di jus variandi, e ciò proprio perché l’assenza dell’accordo è
1 N. IRTI, Scambi senza accordo, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 1998, p. 347. In senso contrario però
X. XXXX, Disumanizzazione del contratto?, in Riv. Dir. Civ., 1998, p. 527, che rileva come le contrapposte dichiarazioni, sebbene innegabilmente sottratte allo scambio dialogico, che non si verifica, si incontrano, facendo così incontrare le convergenti volontà delle parti e formando, dunque, un accordo.
2 X. XXXXX - G. DE NOVA, Il Contratto, UTET, 2016, p. 244. Di struttura unilaterale della fattispecie a rilievo bilaterale parla X. XXXXXXXXX, Dal contratto al negozio unilaterale, Xxxxxxx, 2007, p. 196.
ammessa, ex art. 1333 c.c., esclusivamente in ragione dell’assenza di effetti onerosi per l’oblato del contratto così concluso, laddove l’esercizio del jus variandi porta, tipicamente e salvi i correttivi di cui si dirà, ad un peggioramento della posizione contrattuale della parte che lo subisce. Rectius: l’idea di modificazione in senso migliorativo non esorbita necessariamente dall’alveo di quello che possiamo definire come jus variandi, ma è chiaro che in tali casi il contrasto concettuale con il principio di bilateralità si fa meno stridente, e ciò anche per l’esistenza della norma di cui al 1333.3
Né si può fare - pur senza anticipare quanto verrà approfondito in questo capitolo al § 3 e nel capitolo quarto - un parallelismo tra il diritto di recesso che, vedremo, spesso accompagna la modifica unilaterale e la facoltà di rifiuto che è sempre lasciata all’oblato investito della dichiarazione unilaterale ex art. 1333 c.c.: in quest’ultima ipotesi, infatti, l’oblato ha la possibilità di impedire gli effetti (pur “migliorativi” della sua sfera giuridica) che la dichiarazione del promittente comporterebbe, mentre, una volta esercitato il jus variandi, la facoltà di recesso della parte che lo subisce non consente certo a quest’ultima di
3 In tal senso già X. XXXXXXXXXXX, Poteri unilaterali di modificazione («ius variandi») del rapporto contrattuale, in Giur. Comm., 1992, I, p. 22, sebbene ivi l’Autore si esprima in termini dubitativi in merito all’operatività, in casi del genere, del meccanismo del 1333 (con conseguente facoltà di rifiuto della controparte), specificando però come si tratti “di disquisizioni teoriche che non toccano la sostanza del fenomeno”. A. PISU, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, Edizioni Scientifiche Italiane, 2017, p. 107, sottolinea la differenza strutturale tra l’esercizio del jus variandi e la conclusione del contratto ex art. 1333 c.c., mettendo in evidenza anche come, in certi casi, non sia nemmeno pacifico stabilire se la modifica imposta dall’esercizio del diritto abbia, per chi la subisce, effetto migliorativo o peggiorativo, e ciò in particolare quando la modifica non abbia ad oggetto elementi prettamente economici del regolamento contrattuale.
paralizzare ogni effetto della dichiarazione unilaterale di controparte, ma solo di scegliere tra la modifica unilaterale e la dissoluzione del rapporto, tra due effetti, cioè, da questa non voluti. Ed anzi: gli effetti del recesso, in teoria accostabili al rifiuto che paralizza gli effetti della proposta ex art. 1333 c.c., sono in realtà dirompenti sulla sfera giuridica della persona che subisce la variatio, la quale si troverà, all’esito della fattispecie, privata dei diritti che il contratto le garantiva.
La modificazione del contratto, dunque, guardando il sistema per quanto accennato dovrebbe conseguire sempre e solo all’accordo ed essere, quindi, naturalmente bilaterale. Ciò anche perché il contratto, bilaterale o - nel senso appena inteso - unilaterale che sia, ha, proprio tra le parti, quella “forza di legge” di cui con magniloquenza parla l’art. 1372 c.c.
La “forza di legge” del contratto non è un principio di formulazione recente, né esclusiva dell’ordinamento contrattuale italiano: ed anzi, già la dottrina francese, circa tre secoli fa, affermava che “les conventions étant formées, tout ce qui a été convenu tient lieu de xxx à ceux qui les ont faites” ed aggiungeva, per quanto a noi interessa, che “elles ne peuvent être revoquées que de leur consentement commun, ou par les autres voyes qui seront expliquées dans la section VI”.4 L’espressione non rimane confinata all’uso dottrinale molto a lungo, e nel 1804
4 X. XXXXX, Les loix civiles dans leur ordre naturel, le droit public, et legum delectum, I, Xxxxxxx Xxxxxxxx, 1723, p. 22.
il Code Napoléon, al proprio art. 1134,5 statuisce “les conventions légalement formées tiennent lieu de loi à ceux qui les ont faites”.
La codificazione della traduzione italiana dell’espressione francese6 si ha con il codice civile italiano del 1865, all’ art. 1123: “I contratti legalmente formati hanno forza di legge per coloro che li hanno fatti”. La formula giunge invariata, nonostante alcune resistenze,7 alla codificazione vigente, che ancora più asciuttamente prevede (art. 1372 c.c.) che “il contratto ha forza di legge tra le parti”.
La locuzione mutuata dalla dottrina e dalla legislazione francesi divide la dottrina cisalpina in merito al proprio significato e soprattutto al proprio valore sistematico.8 Un autorevole Autore ha però affermato, per quanto di nostro interesse, che tale forza di legge del contratto dovrebbe porlo “al riparo”, salvi casi eccezionali, da modificazioni non consensuali, siano esse “volute” dalla
5 Oggi la disposizione si rinviene, a seguito della recente riforma del Code Civil, all’art. 1103, che
sostituisce i contrats alle conventions.
6 Ma rileva la non completa fedeltà della traduzione G. DE NOVA, Il contratto ha forza di legge, Edizioni Universitarie di Lettere Economia e Diritto, 1993, p. 9.
7 Osservazioni e proposte sulla seconda edizione del progetto del libro quarto, Delle Obbligazioni, II, sub
art. 209, Tipografia del Senato, 1941, p. 452.
8 Comune è infatti la critica che vede nella formula una enunciazione di sapore per lo più retorico, e così X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006, p. 779;
X. XXXXXXXXX, L’interpretazione del negozio giuridico: con particolare riguardo ai contratti, CEDAM, 1938, p. 62 s., parla invece di “formula iperbolica”; X. XXXXX, Teoria Generale del negozio giuridico, UTET, 1950, p. 242, di “enunciazione alquanto enfatica”; mentre lo ritiene un “innocuo traslato”
X. XXXXXXXX, Contratto normativo e contratto-tipo, in Enc. Dir., X, Xxxxxxx, 1962, p. 120. Al contrario la formula è “augusta e felice” per X. XXXXXXXXXX, Teoria generale del diritto, Edizioni Scientifiche Italiane, 1940, p. 108; “solenne, ma per niente enfatica enunciazione” la definisce X. XXXXXXX, Il contratto, I, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, continuato da X. Xxxxxxx, Xxxxxxx, 1987, p. 244.
legge, dal giudice o – appunto – da una sola delle parti.9 Del resto, con riferimento alla modificazione unilaterale, se anche si vuole ignorare la valenza dell’espressione sotto esame,10 l’irretrattabilità, almeno tendenziale, del vincolo così come cristallizzato nell’accordo, quand’anche non sanzionata espressamente dall’art. 1372 c.c., dovrebbe ricavarsi in ogni caso da quel generalissimo praeceptum juris che si esprime con le preclare parole “pacta sunt servanda”.
Se un problema ricostruttivo, nei tratti sin qui accennati, evidentemente esiste, non può d’altro canto negarsi che il diritto alla modificazione unilaterale del contratto trovi effettivo spazio in molteplici fattispecie contrattuali (e ciò sia per disposizioni di legge sia per clausole di introduzione pattizia, e su entrambi gli aspetti ci si soffermerà, rispettivamente, nei capitoli centrali ed in quello finale). Tale presenza “di fatto” è poi vista da autorevole dottrina, già, ormai, più di un
9 G. DE NOVA, Il contratto ha forza di legge, cit., p. 11: l’Autore mette in realtà già in luce come l’ordinamento sia ormai permeato da numerosissime norme imperative che, sostituendosi o comunque prevalendo sulla volontà dei contraenti, mettono in serio dubbio il primato dell’autonomia sulla volontà della legge; in modo simile, anche se meno netto, l’Autore rileva come anche l’inammissibilità di qualsiasi sindacato giudiziale sul contenuto contrattuale sia un principio non del tutto inattaccato dalla giurisprudenza. Il tema del precario primato dell’autonomia privata nella determinazione dell’oggetto è trattato anche da ultimo da F. DELFINI, Autonomia privata e contratto: tra sinallagma genetico e sinallagma funzionale, Giappichelli, 2017, p. 47, che rinviene “una linea di tendenza, del formante giurisprudenziale come di quello legislativo, nel segno di un controllo più penetrante dell’equilibrio contrattuale”. È evidente l’evoluzione dalle posizioni - estreme - che consideravano la sentenza che interviene, violandola, sulla convenzione legalmente formata, alla stregua della sentenza che viola la norma di legge: J. G. LOCRÈ, Legislazione civile, commerciale e criminale, tradotta da X. Xxxxxx, IV, Xxxxxxxx Xxxxxx, 1840, p. 253.
10 Come peraltro fa la giurisprudenza civile italiana: X. XXXX, Introduzione a X. XXXX e X. XXXXXXX, I contratti in generale, I, UTET, 1991, p. 50.
quarto di secolo fa, a volte come un’eccezione alla regola, in particolare per il contrasto con il principio di cui all’art. 1372,11 a volte come un dato più “naturale”, alla luce delle molteplici disposizioni che già nel titolo codicistico “Dei singoli contratti” prevedono tale facoltà unilaterale, nonché del grande uso che ne fa la prassi anche in assenza di una precedente tipizzazione legale, e ciò in conformità a quell’altro principio che assegna alle parti - salvo il giudizio di meritevolezza e la soggezione agli altri generali limiti che regolano i rapporti contrattuali - la più ampia libertà nel disciplinare i propri rapporti patrimoniali anche al di fuori di tipi predeterminati, ex art. 1322 c.c.12
2. Natura del diritto ed effetti sul contratto.
Jus variandi, o “diritto di modificare”. La modificazione per iniziativa di entrambe le parti, abbiamo detto all’inizio di questo capitolo, è naturalmente ammessa, per il tramite di un contratto di secondo livello, e cioè modificativo di un rapporto contrattuale preesistente. Quando si parla di jus variandi, quindi, differentemente dalla regola dei casi ci si trova a discutere di un diritto della parte di ottenere la modifica con atto unilaterale. Poiché la modifica incide,
00 X. XX XXXX, Xx contratto ha forza di legge, cit., p. 24, secondo cui le norme della L. 154/92 che prevedono ipotesi di jus variandi a favore dell’ente creditizio o finanziario delineano “un settore di diritto speciale, sottratto al principio di cui all’art. 1372”.
12 X. XXXXXXXXXXX, Poteri unilaterali di modificazione («ius variandi») del rapporto contrattuale, cit., p.
21. Il contributo, che è stato pubblicato pressoché contemporaneamente alla promulgazione della L. 154/92, si chiude con un’esortazione a “considerare il rapporto contrattuale come suscettibile di modificazioni di varia natura e fonte, non necessariamente consensuale, ravvisando nei poteri di ciascun contraente, quand’anche idonei a sconvolgere unilateralmente e discrezionalmente il programma inizialmente concordato, un fenomeno per niente affatto sconcertante, paradossale, o iniquo.”
come abbiamo detto, sul contratto imponendo all’altro contraente delle variazioni da questi non volute ed alle quali non si potrà opporre (fatto salvo in alcuni casi il diritto di recesso, che vedremo, però, costituire un posterius ininfluente sulla struttura del diritto alla modificazione) il jus variandi è quindi, per definizione, diritto potestativo.13
Non ogni intervento unilaterale sul contenuto del contratto è però espressione di un jus variandi propriamente inteso, così come la titolarità di un jus variandi non legittima a qualunque modifica del contratto, essendo necessario, invece, operare delle prime distinzioni.
Da un lato è infatti opportuno distinguere ciò che è modificazione da ciò che è mera specificazione del contenuto contrattuale.14 La differenza è qualitativa e non quantitativa, giacché la specificazione è collegata alla determinazione dell’oggetto (su cui, per quanto di nostro interesse, v. il § 4.1 di questo capitolo), mentre la modificazione interviene su un oggetto che è già compiutamente determinato, appunto modificandolo. La distinzione tra modificazione e specificazione è sottile, ma ben nota e radicale: laddove, infatti, l’atto di specificazione non interviene sugli interessi sottostanti al rapporto
13 Così la dottrina pressoché unanime e, tra gli altri G. DE NOVA, op. ult. cit., p. 20 e X. XXXXXXXXX, La modifica unilaterale del contratto, CEDAM, 2010, p. 14. In senso contrario nei casi in cui sia previsto il recesso: X. XXXXXXXXXXX, Modificazione unilaterale del contratto (diritto civile), in Enc. Dir., Xxxxxxx, Xxxxxx XX, 2013, p. 503, ma il tema sarà incontrato ripetutamente nel prosieguo dell’analisi ed in particolare x. xxx xxxxx xx Xxxxxxxx 0, § 1.2.2.
14 Sul tema v. X. XXXX, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, cit., p. 99 ss.
modificandoli, bensì attuandoli, immutati, con l’atto di specificazione stesso, viceversa la modificazione interviene, mutandoli, proprio sugli interessi originari, che si trovano così ad avere, per l’effetto, un assetto anche radicalmente diverso,15 e a rimanere conseguentemente inattuati, quanto meno nella loro formulazione originale. Corollario di questa distinzione è il rilievo per cui mentre l’opera di modificazione del contratto posta in essere in attuazione del diritto (jus variandi in senso stretto) di una delle parti è operazione rimessa alla discrezionalità di quest’ultima (salvo quanto si dirà nel capitolo quarto, al § 2) ed è, pertanto, solo eventuale, l’atto di specificazione, tendendo ad un’opera di più precisa determinazione dell’oggetto, ed essendo quindi volto a porre rimedio ad una almeno parziale indeterminazione dello stesso, si pone nell’ottica complessiva del rapporto contrattuale come necessario ed indispensabile. Ciò non significa necessariamente che ogniqualvolta vi sia nelle norme che regolano il contratto la possibilità per un contraente di specificare meglio dei contenuti dello stesso tale specificazione dovrà senz’altro avere luogo a pena della nullità strutturale per indeterminatezza dell’oggetto. Significa tuttavia che ove i caratteri di indeterminatezza che giustificano l’intervento specificativo vengano effettivamente riscontrati nella fattispecie contrattuale, allora la specificazione sarà indispensabile per una corretta esecuzione del rapporto. Per esemplificare: nel contratto di lavoro - come in
15 X. XXXXXX, Efficacia giuridica, voce in Enc. Dir., XIV, Xxxxxxx, 1965, p. 497.
altre fattispecie che verranno approfondite nel corso del secondo capitolo - accanto al jus variandi vero e proprio del datore di lavoro, disciplinato dall’art. 2103 con riguardo al mutamento delle mansioni del lavoratore, si rinviene il potere datoriale di impartire al lavoratore istruzioni, con evidente efficacia sull’obbligazione dello stesso (come si desume dalla definizione del tipo, di cui all’art. 2094 c.c., nonché dalla norma di cui all’art. 2104 cpv. c.c.): la parte interviene dunque sul contenuto contrattuale inserendo elementi di novità almeno apparentemente estranei all’originario regolamento, ma che sono in realtà mera specificazione di quanto già previsto dal contratto e, quindi, contribuiscono a determinarne l’oggetto definendo nel dettaglio i contorni della prestazione dovuta dal lavoratore.
Se quanto sin qui detto definisce, in un certo senso, il “limite inferiore” del jus variandi, e cioè il livello (qualitativo, come si diceva) di intervento sul contenuto sotto al quale non si parla più di modificazione, ma di mera specificazione, è opportuno altresì interrogarsi su quale sia il “limite superiore” del diritto, quale, cioè, sia l’ambito operativo entro al quale la parte si può muovere nella modificazione del contratto prima di esorbitare dai propri poteri. La questione non si presta, però, ad un’analisi in questa sede, ancora, in certo senso, introduttiva. La distinzione tra modificazione e specificazione è, infatti, necessaria a delimitare l’ambito di indagine ed a capire quando si stia effettivamente parlando di modificazione unilaterale e non di qualcosa di
diverso. Al contrario, i limiti operativi all’esercizio del diritto non potranno che essere trattati all’esito di una prima ricognizione delle fattispecie normative e dei principi che si potranno al riguardo ricostruire, e troveranno quindi spazio nei paragrafi del quarto capitolo.
3. Jus variandi di fonte pattizia: problemi di validità e inquadramento sistematico (rinvio).
Discorso di pari tenore va fatto per i problemi di validità ed inquadramento relativi alle clausole contrattuali che assegnano ad una delle parti il diritto di modificare il contratto in assenza di una disposizione di simile tenore applicabile al tipo in questione, o, a maggior ragione, nei contratti atipici. Se infatti le problematiche interpretative riguardanti l’estensione dei poteri della parte nelle fattispecie già disciplinate dal codice o dalle leggi speciali richiedono il rinvio ad una sede che possa accogliere i frutti di una prima ricognizione, ciò è tanto più vero quando la disciplina non sia di fonte legale, ma pattizia. La prassi, come accennato supra, sub § 1, non ignora affatto questo genere di clausole, facendone anzi generoso impiego, ma ciò non toglie che se per le fattispecie di fonte legale il problema è di armonizzazione con i principi sopra elencati, quando si tratta di quelle di fonte pattizia il problema non è solo di armonizzazione, ma più radicalmente di validità, proprio per il contrasto con
quegli stessi principi (e quindi non solo per un giudizio di meritevolezza ex art. 1322 c.c.).
Si rinvia, quindi, per la trattazione di questi profili, al capitolo quarto.
4. Estraneità del jus variandi agli istituti di parte generale.
Prima di passare all’analisi delle singole fattispecie di jus variandi, riteniamo opportuno sgomberare il campo di ricerca da alcuni dubbi, ed in particolare ci riferiamo a vari istituti di parte generale - disciplinati nel codice civile dal Titolo II del Libro IV - che potrebbero sembrare, almeno a prima vista, fattispecie di modifica unilaterale, sebbene rubricate diversamente, e dunque validi punti di partenza per un’analisi della materia de qua. Così, si vedrà, non è.
4.1 L’arbitraggio della parte.
Il primo di tali istituti è l’arbitraggio, previsto e disciplinato dall’art. 1349 c.c. La norma, come noto, consente alle parti di demandare ad un terzo la determinazione dell’oggetto contrattuale, fornendo una disciplina differenziata a seconda che le stesse abbiano voluto rimettersi espressamente al suo arbitrium merum o piuttosto, come di regola, ad un più controllabile (dall’interno come dall’esterno) arbitrium boni viri.
La norma, nella sua applicazione letterale, non desta in realtà particolari perplessità per quanto di nostro interesse: la scelta del terzo è, sì, un atto
inevitabilmente unilaterale, e dotato di un grado più o meno ampio di discrezionalità (a seconda del tipo di arbitrium che il terzo dovrà impiegare) e sicuramente va ad incidere sul contenuto contrattuale, ma è altresì chiaro che la stessa si pone all’esterno delle rispettive volontà dei paciscenti, concretandosi, almeno in linea di principio e salvo abusi, come elemento da questi non controllabile e dunque neutro rispetto ai corrispettivi e contrapposti interessi.
Discorso diverso dovrà invece farsi una volta che si incominci a trattare della fattispecie, almeno in parte differente, del c.d. arbitraggio della parte, fattispecie ricorrente in tutti i casi in cui le parti affidino la compiuta determinazione dell’oggetto non alla scelta di un terzo, bensì a quella di una delle parti del contratto. La validità di tale genere di pattuizioni non è qui in discussione,16 per lo meno ogniqualvolta la scelta della parte sia rimessa non al suo arbitrium merum, bensì ad un arbitrium boni viri che limiti la sua scelta, inevitabilmente influenzata da un interesse in conflitto con quello della parte contrapposta.
Ebbene in tali ipotesi la parte, con la propria determinazione inevitabilmente unilaterale ed inevitabilmente - sebbene non assolutamente - discrezionale, assume una decisione che incide sul contenuto dell’accordo senza però incontrarsi con la conforme volontà della controparte controinteressata, che non può far altro che “subire” gli effetti di tale unilaterale decisione. Limitando
16 In quanto ben nota alla giurisprudenza: cfr. al riguardo X. XXXXXXXXXXX, Modificazione unilaterale del contratto (diritto civile), cit., p. 502 ed in nota 116.
l’analisi a questi profili, la contiguità della fattispecie descritta con il jus variandi di fonte pattizia appare decisamente notevole. Manca, tuttavia, un profilo essenziale: l’atto unilaterale della parte non dà luogo ad una fattispecie modificativa, bensì prende parte al momento determinativo, genetico, della fattispecie contrattuale nel suo elemento strutturale dell’oggetto.
La distinzione non è di poco conto. Ciò determina, innanzitutto, che mentre l’atto unilaterale espressione del jus variandi è - più o meno - discrezionale tanto nell’an quanto nel quantum della modifica, quello attuativo dell’arbitraggio di parte sarà discrezionale nei contenuti, ma non lo sarà affatto nell’an, essendo anzi indispensabile ed indefettibile, tanto da poter essere sostituito dalla determinazione giudiziale in caso di inerzia (ex art. 1439, I, trattandosi, come detto, di arbitrium boni viri) su istanza della parte non titolata alla determinazione, laddove la parte non titolata alla modifica, se il soggetto titolare del jus variandi non vi provvede pur xxxxxxxxxx i presupposti, non avrà, in linea di massima, azione nei suoi confronti (salvo quanto si dirà sub § 2 nel capitolo quarto).
Conseguentemente, ed inoltre, la fattispecie si atteggia in modo del tutto diverso in rapporto ai principi generali più volte richiamati della bilateralità e della forza di legge dell’accordo: intervento in fase genetica di prima determinazione dell’oggetto, infatti, l’atto unilaterale della parte (pur non
schivando ogni dubbio di armonizzazione) non sembra in alcun modo collidere con quanto previsto dall’art. 1372 c.c., visto che in assenza di determinazione non v’è contratto che possa avere “forza di legge”, ma mostra molto meno il fianco alle critiche anche in merito alla mancanza di bilateralità, se si considera che è proprio l’accordo delle parti – parti che, per soddisfare il requisito di determinabilità dell’oggetto, possono ancorare lo stesso a vari criteri, tra cui la delazione della decisione ad un terzo – a scegliere per tale operazione la scelta di una di loro, invece che un terzo. Criterio atipico la cui neutralità rispetto ai contrapposti interessi è, almeno in parte, garantita, come detto, dal necessario impiego dell’arbitrium boni viri. Anche dal punto di vista procedimentale l’unilateralità assume caratteri diversi: qui l’accordo bilaterale demanda alla scelta unilaterale la determinazione del proprio contenuto ab initio cosicché la scelta unilaterale è espressione mediata di bilateralità, per il jus variandi l’accordo bilaterale è completo per se, e l’atto unilaterale si inserisce in un momento successivo incidendo su un accordo già perfetto e compiutamente determinato.
Dai precedenti rilievi si desume che arbitraggio della parte e modificazione unilaterale del contratto sono istituti che, ad una analisi più attenta, non hanno ragione di essere accostati cosicché il primo non può fungere da ausilio interpretativo per la ricostruzione del secondo.
Il recesso è un istituto che presenta molti punti di contatto con la modificazione unilaterale del contratto, se non altro perché, come si vedrà nel xxxxx xxx xxxxxxxx xxxxx, il diritto al recesso sorge come contrappeso dell’esercizio del jus variandi in una serie di fattispecie.
Oltre a tale primo rilievo, però, il recesso è accostabile al jus variandi anche semplicemente dal punto di vista degli effetti sull’accordo e sulla forza di legge dello stesso. È chiaro infatti che anche in caso di recesso il contraente esercita un diritto potestativo che incide per iniziativa unilaterale su un rapporto bilaterale perfetto. Ciò è scritto nell’art. 1372 c.c.: in ragione della sua forza di legge, il contratto dovrebbe essere unilateralmente immodificabile, ma anche unilateralmente indissolubile.
Ai nostri fini le analogie si fermano qui, anche perché gli effetti per il contraente in soggezione sono qualitativamente e quantitativamente diversi. Si potrebbe da un lato pensare che la modifica, in quanto variazione di qualcosa di già voluto, incida in maniera meno grave nella sfera giuridica di chi la subisce rispetto alla totale ablazione del contratto. È agevole, d’altro canto, immaginare come possa essere molto più indesiderato un vincolo corrispondente ad un assetto ed un bilanciamento di interessi diverso rispetto a quello originario,
rispetto alla dissoluzione di un sinallagma con conseguente liberazione dai relativi obblighi contrattuali.17
Corre a questo punto l’obbligo di menzionare un’autorevole opinione che vede il diritto alla modificazione unilaterale previsto dalle varie norme di legge non sempre come un diritto potestativo (cfr. supra il § 2), ma a volte come una vera e propria modificazione consensuale.18 Come si diceva poc’anzi, infatti, mentre in certe categorie di contratti di fronte all’esercizio del diritto di modifica la controparte si trova in stato di completa soggezione, non potendo in alcun modo reagire (se non nei limiti di quanto si dirà in tema di abuso del diritto), in altre la legge assegna appunto alla parte che subisce la decisione unilaterale il contrappeso19 del recesso. Ebbene, tale opinione dottrinale vede in questi casi, dunque, non l’esercizio di un potere unilaterale, bensì il dispiegarsi di una fattispecie modificativa consensuale, che si compone della dichiarazione di volontà di chi emette la dichiarazione di modifica e, dall’altro lato, dal silenzio - circostanziato e significativo, perché così qualificato dalla legge o dal contratto - della parte che decide di non esercitare il recesso.
17 Nel senso della maggiore arbitrarietà del potere di modifica rispetto a quello di scioglimento, tra gli altri, X. XXXXX, Il contratto, Xxxxxxx, 2001, p. 555.
18 Così X. XXXXXXXXXXX, Modificazione unilaterale del contratto (diritto civile), cit., p. 503 ed anche X. XXXX, Osservazioni in tema di modificazione unilaterale del contratto («jus variandi»), in Riv. crit. dir. priv., 2002, p. 413.
19 La tentazione è quella di usare la parola “rimedio”, che è però termine tecnico che mal si attaglia alle fattispecie de quibus: il recesso conseguente all’esercizio del jus variandi non è infatti reazione ad un illecito o comunque ad un vizio, ma semplice equilibrio all’intrusione unilaterale nella sfera giuridica di chi subisce la modifica. Il medesimo rilievo si trova in X. XXXX, L’adeguamento dei contratti tra jus variandi e rinegoziazione, cit., p. 117 nota 55.
L’accoglimento di questa tesi avrebbe il pregio di ridurre notevolmente, ogniqualvolta al diritto di modifica sia contrapposto il diritto di recesso, gli attriti della previsione modificativa con il “dogma” della bilateralità e con la forza di legge del contratto, visto che la modifica apparentemente unilaterale sarebbe in realtà frutto di un incontro di volontà, di cui una tacitamente manifestata, e dunque di un accordo.
Che il silenzio possa assumere, in determinate circostanze, il valore di tacita dichiarazione non è da mettere in dubbio,20 ma le ragioni per cui riteniamo di non aderire a tale interpretazione sono altre. Il primo argomento muove dall’esistenza di fattispecie - legali - di jus variandi che non prevedono il contrappeso del recesso. Questo dato porta a considerare, in primis, che l’ordinamento conosce ed accetta, entro certi limiti, la modificazione unilaterale. Ed anzi, sono proprio le fattispecie codicistiche di modificazione unilaterale a non prevedere, (come si vedrà amplius nel corso del capitolo successivo), il diritto di recesso: la necessità di uno sforzo di armonizzazione di questo genere risulta quindi decisamente ridotta, dovendosi anzi evitare, forse, un’inutile contrapposizione di categorie giuridiche in seno ad un istituto già problematico. Ma vi è decisamente di più: la ricostruzione del mancato recesso come silenzio dichiarativo nelle fattispecie de quibus risulta non solo inutile, ma decisamente
20 C. M. XXXXXXX, Il silenzio come comportamento modificativo del rapporto contrattuale, in Giur. it., 1974, I, 1, p. 1573 ss.
insostenibile. Dire, infatti, che non recedere a seguito dell’esercizio del jus variandi equivale ad accettare la modifica “proposta” equivarrebbe anche a dire che recedere equivale a rifiutarla: è ben vero che, recedendo, il contraente impedisce che al contratto venga applicata la modifica voluta dalla controparte, ma l’analisi non può certo limitarsi a questo, pur incontestabile, dato. Se in questi casi non si fosse al cospetto di un diritto potestativo, ma di una modifica consensuale, la parte che riceve la “proposta” di modifica dovrebbe essere in grado di paralizzare completamente gli effetti della dichiarazione ricevuta, ma così non è: o essa tace, e subisce la modificazione, oppure recede e “subisce” la dissoluzione del vincolo contrattuale. Né varrebbe obbiettare che la parte che recede non subisce alcunché poiché il contratto si risolve per effetto del recesso e non dell’atto unilaterale di modifica: nella sostanza le uniche alternative che ha la parte sono subire la modifica o perdere il contratto. E dunque, anche in queste ipotesi, l’atto di esercizio del jus variandi avrà necessariamente effetti nella sfera giuridica della controparte: controparte che potrà modularli scegliendo tra modifica o recesso, ma non potrà rifiutarli, confermando la propria posizione di soggezione dinanzi al diritto potestativo esercitato ex adverso.
La condizione, ed in particolare la condizione potestativa, suscita suggestioni quanto all’accostamento con il jus variandi,21 e l’accostamento produce l’effetto interpretativo di escludere la validità dell’attribuzione del diritto al nostro esame quando questa sia ad nutum.22 Tale effetto va a nostro avviso visto con favore, ma le affinità tra le fattispecie vanno riconsiderate.23
Dal punto di vista pratico, si diceva, la somiglianza è effettivamente suggestiva. La condizione potestativa determina un effetto contrattuale (incertus an) legato alla volontà della parte. Con il jus variandi la volontà della parte determina effetti sul contratto. Nei fatti, dunque, in entrambi i casi la volontà di una delle parti, accompagnata a determinati presupposti che definiranno il grado di potestatività della condizione come del jus, produrrà la modificazione del contratto. La differenza tra i due istituti è però strutturale e radicale, e si può riassumere così: la volontà nella condizione è degradata ad evento e determina un automatismo, la volontà nel jus variandi è invece atto di esercizio di un diritto che in quanto tale non è automatico, ma (più o meno) discrezionale.
Se le parti, nel condizionare risolutivamente una clausola contrattuale alla volontà di una di esse, determineranno l’unilateralità della condizione così
21 X. XXXXXXXXX, La modifica unilaterale del contratto, cit., p. 116 ss.
22 Ivi, p. 122.
23 Sul punto v. X. XXXXXXXXXXX, Modificazione unilaterale del contratto (diritto civile), cit., p. 502.
dedotta, in tal modo ammettendo la possibilità della parte di rinunziarvi, l’effetto concreto sarà difficilmente distinguibile dall’esercizio di un jus variandi di fonte pattizia ed è pertanto stato lucidamente osservato che proprio il nomen juris di jus variandi dovrà essere dato alla fattispecie negoziale delineata dalle parti, con le conseguenze che tratteremo in termini di disciplina dell’istituto.24
Concettualmente, vale la pena specificarlo, ciò non significa, però, che condizione potestativa unilaterale e diritto alla modificazione unilaterale siano fattispecie sovrapponibili. Si dovrà invece rectius dire che l’unica fattispecie a cui si fa riferimento quando si discorre di condizione potestativa unilaterale sia meglio qualificabile, in ragione degli effetti privi dell’automatismo tipico della condizione, come jus variandi.
4.4 L’offerta di equa modificazione di cui agli artt. 1450 e 1467 c.c.
Volendo ultimare questa rapida ricognizione degli istituti di parte generale che, pur richiamando negli effetti o nelle caratteristiche o, ancora, negli attriti sistematici, la modificazione unilaterale del contratto, per un motivo o per l’altro se ne discostano - imponendo notevole cautela in qualunque tipo di accostamento analogico - va sicuramente menzionata l’offerta di equa modificazione del contratto disciplinata dagli articoli 1450 e 1467 c.c. Equa
24 Ibidem.
modificazione che è da inquadrare diversamente nelle due diverse fattispecie
della rescindibilità e dell’eccessiva onerosità sopravvenuta.
L’offerta di equa modificazione prevista dall’art. 1450 c.c. si colloca, infatti, per definizione in una fase concettualmente anteriore all’esecuzione del contratto, poiché va a porre rimedio ad uno squilibrio genetico del sinallagma, dovuto ad uno stato di pericolo o di bisogno che è antecedente o comunque coevo alla manifestazione del consenso contrattuale. Questa fattispecie è dunque di minore interesse ai nostri fini, per rilievi similari a quelli svolti supra, in tema di arbitraggio della parte: qui la parte interviene ponendo rimedio manutentivo ad un vizio genetico, con la conseguenza che, in assenza dell’offerta, il contratto - invalido ab origine - verrà travolto e posto nel nulla dalla pronuncia giudiziale di rescissione.
Diversamente deve dirsi per l’offerta di equa modificazione volta ad impedire, ex art. 1467, III, c.c., la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta. Qui il rimedio interviene per definizione a seguito di una sopravvenienza: non quindi per vizi relativi alla fase genetica, bensì in executivis, a manutenzione dell’equilibrio sinallagmatico nella sua dimensione funzionale.
Il rimedio è visto dal legislatore nella sua dimensione processuale: legittimato a formulare l’offerta di equa modificazione è il convenuto25 in risoluzione, cioè “la parte contro la quale è domandata la risoluzione”. Il rimedio ha però natura sostanziale e non processuale, dovendosi qualificare come negozio civilistico,26 ed in particolare, secondo parte della dottrina, come diritto potestativo con cui il convenuto paralizza la pretesa risolutoria avversaria.27 L’offerta, dunque, nonostante la terminologia impiegata, non è proposta contrattuale che richieda per sortire l’effetto modificativo l’accettazione della controparte/attrice: se il giudice, accertato il sopravvenire di una onerosità eccessiva, valuterà equa l’offerta, il contratto rimarrà in vigore alle nuove condizioni.
In tal senso, si potrebbe ricostruire l’offerta di modificazione come atto unilaterale di esercizio di un potere di modifica non dissimile da quello al nostro esame, considerato che la stessa produce degli effetti modificativi su un contratto bilaterale a seguito di una manifestazione unilaterale di volontà, sebbene entro certi limiti sottoposti al controllo giudiziale.
Vi è, però, chi sottolinea l’insufficienza della sola offerta perché si produca la
modifica contrattuale,28 e la natura costitutiva della relativa sentenza29 parrebbe
25 Così X. XXXXX - G. DE NOVA, Il Contratto, cit., p. 1705. Contra X. XXXXXXXXX, La rescissione del contratto, Casa Editrice Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxx, 1951, p. 357.
26 X. XXXXX - X. XX XXXX, op. cit., p. 1706.
27 X. XXXXX, Le clausole attributive dello jus variandi, Xxxxxxx, 2008, p. 103.
28 Essendo comunque necessaria, in assenza di accettazione, una pronuncia giudiziale che ne tenga luogo: cfr. X. XXXXXXX, L’offerta di riduzione ad equità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1947, p.
confermare l’inidoneità della dichiarazione di parte a produrre modificazioni nella sfera giuridica della controparte, così negando in radice la natura di ipotesi di modificazione unilaterale della fattispecie de qua.
Ulteriore differenza tra equa modificazione ex art. 1467 c.c. e jus variandi propriamente inteso sta, però, ancora una volta – e cioè in modo non dissimile da quanto detto in tema di arbitraggio – nei presupposti dell’esercizio del diritto e soprattutto nelle conseguenze del suo eventuale mancato esercizio. Laddove chi esercita il jus variandi lo fa, seppure entro certi limiti, in maniera del tutto discrezionale (avendo cioè la scelta tra modificare il contratto e mantenere il contratto originario) e perseguendo un interesse tendenzialmente proprio,30 chi fa l’offerta di equa modificazione si trova a dover scegliere tra dissoluzione del contratto – per la vicenda risolutiva collegata alla sopravvenienza onerosa – e modificazione contro il proprio interesse (se si pensa che l’”equa” modificazione ha l’esclusivo fine di riequilibrare il sinallagma intaccato dall’onerosità eccessiva e deve pertanto agire proprio a
578. Per la natura costitutiva della sentenza che “accoglie” l’offerta unilaterale di riduzione ad equità cfr. P. SIRENA, Le modificazioni unilaterali, in Trattato del contratto, diretto da X. Xxxxx, III, Xxxxxxx, a cura di X. Xxxxxxxx, Xxxxxxx, 2006, p. 142, nota 4, e X. XXXXXXXXX, Offerta di riduzione ad equità del contratto, in Dig. disc. priv., sez. civ., Agg., UTET, 2003, p. 977 ss.
29 Non contestata da chi afferma la natura di jus variandi dell’offerta: cfr. X. XXXXX, Le clausole attributive dello jus variandi, cit., p. 105, secondo cui “il carattere costitutivo serve a rendere definitiva l’efficacia dell’offerta provvisoria”. Non si capisce perché si debba operare una ricostruzione talmente complessa: se l’effetto modificativo fosse da attribuire alla dichiarazione della parte non ci sarebbe ragione di negare efficacia meramente dichiarativa alla successiva pronuncia che ne accerti l’equità, invece di dividere le diverse fasi dell’efficacia (offerta: provvisoria; sentenza: definitiva) secondo un criterio privo di riscontro normativo.
30 Non è detto che l’interesse sia esclusivamente di chi esercita il diritto alla modifica: cfr. in
argomento al capitolo successivo il § 3 in merito al mandato.
favore dell’obbligato alla prestazione eccessivamente onerosa e “contro” il
modificante).
Si ritiene quindi di poter confermare quanto detto più volte in precedenza: la modificazione unilaterale del contratto non trova una propria disciplina generale nel Titolo II del Libro IV (né altrove). Tale disciplina andrà ricostruita mediante l’analisi delle singole fattispecie legali e mediante il cauto uso dell’analogia (su cui v. il capitolo quarto, § 3), motivo per il quale si prosegue nel trattare le norme del codice civile che regolano la modificazione unilaterale del contratto nei Singoli Contratti.
CAPITOLO SECONDO.
La disciplina legale del jus variandi: nella disciplina codicistica dei tipi.
SOMMARIO: 1. Appalto. 2. Trasporto. 3. Mandato. 4. Somministrazione. 5. Rendita perpetua. 6. Locazione. 7. Assicurazione. 8. Contratto di lavoro.
L’analisi si concentrerà ora sulla disamina di alcune delle principali fattispecie di jus variandi che trovano la propria disciplina nella fonte legale e ciò, per ovvie ragioni sistematiche, cominciando da quelle regolate proprio nel codice civile.
Come abbiamo detto (supra, cap. I, § 1) l’istituto in questione presenta aspetti problematici di armonizzazione con alcuni dei principi generali che informano il Titolo II del Libro IV del nostro codice e non sorprende, pertanto, che nessuna delle disposizioni di tale titolo sia dedicata alla modificazione unilaterale: in via generale, come abbiamo detto, il contratto ha forza di legge (art. 1372 c.c.) anche e proprio nel senso che una sua modificazione unilaterale non è, di regola, ammessa.
Come pure abbiamo visto (supra, cap. I, § 4), l’istituto non trova alcuna
disciplina nelle norme di tale Titolo.
Il contratto d’appalto, in ragione della natura tecnica – oltre che differita o comunque prolungata – della sua esecuzione31, si presta in modo particolare a
31 Quindi inidonea ad un calcolo preventivo di tutte le variabili rilevanti nella determinazione dei dettagli esecutivi, cfr. C. GIANATTANASIO, Appalto, in Trattato di diritto civile e commerciale,
ricevere una disciplina specifica delle variazioni, che infatti sono interessate da norme di dettaglio rinvenibili negli artt. 1659, 1660, 1661 e 1664 c.c.
Non tutte le variazioni disciplinate da tali norme sono riconducibili a fattispecie di modificazione unilaterale del contratto.
L’art. 1659, anzi, si occupa proprio di escludere un jus variandi dell’appaltatore con riferimento alla propria prestazione caratteristica: le variazioni nelle modalità di realizzazione dell’opera che trovino origine in un’iniziativa in tal senso dell’appaltatore sono, infatti, ammesse solo ed esclusivamente a seguito di autorizzazione del committente. Il contratto non si modifica se il committente non autorizza e dunque la richiesta di variante in questi casi è una mera proposta dell’appaltatore che richiede un’accettazione da parte del committente per andare a formare un contratto modificativo dell’appalto originario,32 contratto modificativo che quindi di unilaterale non ha nulla se non l’origine della trattativa finalizzata alla sua conclusione.
La disciplina che l’art. 1660 detta per le variazioni dell’opera necessitate dal rispetto delle regole dell’arte desta, ai nostri fini, qualche profilo di riflessione in più. Qui la lettera della norma prefigura un meccanismo di variazione non dissimile da quello appena visto e disciplinato dall’articolo precedente:
diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, Xxxxxxx, 1977, XXIV, 2, p. 181; X. XXXXXX, L’appalto, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da X. Xxxxxxxx, VII, 1980, p. 430 nota 2.
32 X. XXXXX, Le Varianti, in AA. VV., L’appalto privato, Trattato diretto da X. XXXXXXXX, UTET, 2000, p. 318.
l’appaltatore non può procedere unilateralmente alle variazioni, dovendo ricercare l’accordo con la controparte. In questo caso, però, la modificazione della prestazione caratteristica è richiesta da una corretta esecuzione del contratto, visto che, come noto, l’appaltatore, in quanto tecnico esperto della materia, non può discostarsi dalle regole dell’arte semplicemente allegando la difformità delle stesse dal progetto concordato con il committente, salva la dimostrazione dell’aver agito come nudus minister dello stesso. Dunque il mancato accordo in casi di questo tipo porterebbe ad un’esecuzione necessariamente difettosa, secondo il progetto originariamente concordato e contrario alle regole dell’arte, con danno per il committente e responsabilità dell'appaltatore. Si spiega così agevolmente il rimedio prefigurato dal legislatore codicistico, che assegna alle parti un’azione per fare sì che il giudice determini le variazioni di entrambe le prestazioni (caratteristica e non, correlativamente) necessarie.
Così come ricostruita, la fattispecie non sembra riconducibile ad un’ipotesi di modificazione unilaterale: non è la dichiarazione della parte a sortire l’effetto modificativo, bensì l’accordo o, in sua mancanza, la sentenza. Va però dato conto dell’interpretazione che dell’istituto ha dato la giurisprudenza, la quale, anche in mancanza di accordo, ammette l’esecuzione della prestazione modificata da parte dell’appaltatore senza il previo ricorso all’autorità
giudiziaria, che può diventare quindi eventuale e posteriore.33 L’appaltatore esegue quindi le variazioni “a proprio rischio”, confidando che l’eventuale successivo intervento giudiziale ne accerti la necessarietà, legittimandole. L’interpretazione ha l’indubbio vantaggio di evitare che in mancanza di accordo, qualora sia necessario apportare variazioni al progetto per rimanere nei confini delle regulae artis, si imponga un’interruzione dei lavori che può ben essere pregiudizievole per tutte le parti,34 consentendo all’appaltatore di operare in autonomia (ed a proprio rischio) una valutazione che è connaturato alle sue stesse qualità contrattualmente rilevanti che egli sia in grado di fare, in quanto soggetto tecnicamente esperto. Tuttavia è chiara la forzatura rispetto al tenore letterale dell’art. 1660, che prevede una pronuncia (costitutiva), in mancanza della quale l’esecuzione della variazione costituirebbe inadempimento, laddove un accertamento ex post non può che avere natura dichiarativa dei presupposti di esercizio del diritto alla modifica (unilaterale) del contratto da parte dell’appaltatore.
Da segnalare che ove le variazioni introdotte (si ritiene: dal giudice, giacché se vi è accordo il problema non si pone) superino una certa soglia e cioè alterino l’assetto di interessi originario in maniera sufficientemente rilevante, la
33 X. XXXXXXXXX, La modifica unilaterale del contratto, cit., p. 166.
34 In tal senso cfr. X. XXXXXX – X. XXXXXX, Dell’Appalto, in Commentario del codice civile Scialoja- Branca, diretto da X. Xxxxxxx, Libro Quarto - Obbligazioni (artt. 1655 – 1677 c.c.), Zanichelli, 2007, p. 276.
modificazione – unilaterale o giudiziale – determina l’insorgere a favore di entrambe le parti (sebbene a condizioni differenti) del diritto di recedere dal contratto, con indennizzo a favore dell’appaltatore secondo le circostanze.
La norma che senza dubbio, però, porta in primo piano per espressa voluntas legis un diritto alla modificazione unilaterale del contratto è l’art. 1661, in tema di variazioni ordinate dal committente. Committente, che, come emerge dalla lettura della norma, non è soggetto né alla necessaria ricerca dell’accordo con la propria controparte contrattuale, né deve attendere o dimostrare l’insorgenza di sopravvenienze o di discostamenti dalle regulae artis, per “ordinare” - dunque con indubbia efficacia immediata nonostante l’unilateralità - le modifiche al progetto contrattualmente pattuito. Diritto alla modificazione unilaterale, jus variandi, in senso stretto, visto che un elemento centrale del contratto come il progetto, che informa e regola le modalità esecutive della prestazione caratteristica - l’elemento centrale, dunque, dell’oggetto del contratto - formatosi necessariamente nell’accordo delle parti, viene mutato per determinazione unilaterale di una di queste.
La previsione normativa è di agevole comprensione nella sua ratio: l’appalto, come ricordato supra, è un contratto dall’esecuzione tecnica, complessa e prolungata, che porta alla creazione di un’opera tendenzialmente “unica”,35 in
35 X. XXXXXXXXXXX, Modificazione unilaterale del contratto (diritto civile), cit., p. 488.
quanto realizzata su misura in base all’interesse del committente, interesse contrattualmente cristallizzato nel progetto, ma che può essere oggetto di rivalutazioni da parte del committente stesso.36
Jus variandi esercitabile ad nutum (sebbene non per mero arbitrio o capriccio37), dunque, ma proprio per questo motivo inevitabilmente mitigato su due fronti. In primis, infatti, pur essendo illimitato nei presupposti del suo esercizio, il diritto alla modificazione è limitato quoad effectum, ed è, cioè, ammissibile solo per modifiche limitate. Limitazione che è sia quantitativa (l’ammontare delle variazioni ordinate non può, infatti, superare il sesto del prezzo complessivo concordato) sia qualitativa (le variazioni non sono, infatti, ammesse quando, pur rimanendo nei limiti quantitativi appena ricordati, le stesse determinino “notevoli” modificazioni nella natura dell’opera o nei quantitativi di singole categorie di lavori originariamente previste).38 L’”ordine” di variazione che esorbiti da tali limiti sarà quindi privo di effetto, essendo conseguentemente necessario che il committente, se interessato alla variazione, si attivi per ottenerla secondo l’ordinario paradigma modificativo consensuale, essendo, in
36 X. XXXXX, Le clausole attributive dello jus variandi, cit., p. 49. L’Autore si limita in realtà a rilevare che la previsione “si spiega agevolmente considerando che l’opera è, o almeno è destinata ad essere, del committente”, ma il rilievo sembra piuttosto da intendersi nel senso esposto qui nel testo, giacché i contratti tipici in cui il bene, all’esito dell’esecuzione, diviene di proprietà del prestatore non caratteristico sono molteplici, ma non in tutti è certamente previsto un jus variandi ex lege.
37 X. XXXXXXXXXXX Modificazione unilaterale del contratto (diritto civile), cit., p. 489
38 Tali limiti sono chiaramente posti a tutela dell’appaltatore e in quest’ottica vanno interpretati,
anche per evitare abusi del committente, su cui v. X. XXXXX, op. ult. cit., p. 49 nota 11, e infra al §
1.1.1 del Capitolo quarto.
difetto, l’appaltatore legittimato ad eseguire il contratto secondo il progetto originario. In secondo luogo gli effetti - potenzialmente pregiudizievoli e, comunque, strutturalmente non voluti dalla parte che li subisce - della modifica, sono controbilanciati dal diritto dell’appaltatore ad ottenere, a fronte della variazione voluta da controparte, una corrispondente variazione del prezzo pattuito, che vada a coprire i maggiori lavori eseguiti, e ciò quand’anche il prezzo fosse stato determinato “a corpo”.
L’ultima disposizione in tema di appalto a suscitare interesse per il nostro tema è quella contenuta, come accennato, nell’art. 1664 c.c.: il primo comma dell’articolo disciplina, infatti, un determinato tipo di sopravvenienze, e cioè la rilevante fluttuazione - in senso positivo o negativo - dei costi di materiali e manodopera. Tale fluttuazione determina, per la parte pregiudicata da essa, l’insorgere del diritto di richiedere (e, quindi, ottenere) una revisione del prezzo.
È subito chiaro, però, che non si tratta di jus variandi: se la richiesta è accolta vi sarà modifica consensuale, se non lo è sorgerà la necessità di adire il giudice per ottenere una pronuncia costitutiva che adegui il contratto alle mutate condizioni.39 Non quindi diritto alla modificazione unilaterale, ma alla
39 X. XXXXXXXXX, La modifica unilaterale del contratto, cit., p. 165.
rinegoziazione consensuale o all’intervento giudiziale a salvaguardia dell’equilibrio sinallagmatico.
Non dissimile è la previsione del secondo comma dell’articolo, per i casi di eccessiva onerosità della prestazione caratteristica dovuta a cause geologiche, idriche e simili. La norma, dunque, detta una disciplina speciale per i casi di eccessiva onerosità sopravvenuta,40 che si discosta da quanto previsto dall’art. 1467 c.c., sotto vari profili. La specialità si rinviene infatti nei presupposti (onerosità dovuta a cause legate al prezzo di materiali e manodopera, o a circostanze geologiche, idriche e simili), ma anche negli effetti: il rimedio d’elezione non è infatti quello risolutorio, con facoltà per il convenuto di offrire l’adeguamento, bensì proprio l’adeguamento, che è diritto della parte che subisce l’onerosità ottenere.41
Nel contratto di trasporto il mittente ha un ampio diritto alla modifica unilaterale in executivis. L’ampiezza riguarda la latitudine della modifica: l’art. 1685 c.c. prevede infatti che lo stesso possa sospendere il trasporto e chiedere la restituzione delle cose, ma anche ordinare la consegna ad un destinatario
40 Ibidem.
41 Vi è in realtà una tendenza, non solo giurisprudenziale, a ricostruire il meccanismo rimediale di cui all’art. 1664 c.c. in chiave di rimedio generale e sistematico, non limitato ai confini del tipo dell’appalto. Sul punto v. ancora X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 165 ed amplius X. XXXX, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, cit., p. 56 ss.
diverso42 o comunque “disporre diversamente”, espressione che apre alla possibilità di ampi interventi sul contenuto contrattuale. L’interpretazione della norma richiede che tale latitudine, apparentemente illimitata, incontri dei limiti: la modifica non potrà dunque mutare la natura del contratto, ma non potrà nemmeno portare ad una prestazione radicalmente diversa da quella contrattualmente dedotta.43 Tale limite, si deve ritenere, non si applica solamente all’espressione generale “disporre diversamente”, ma anche alle modifiche espressamente individuate dalla norma. L’ordine di consegna a destinatario diverso è dunque ammesso, ma non si può certo pensare, ad esempio, che il vettore, che ha accettato di trasportare la cosa in un determinato luogo, possa successivamente trovarsi obbligato a dover mutare la propria organizzazione aziendale per raggiungere un diverso luogo non oggetto delle proprie tratte a seguito dell’esercizio del diritto al contrordine del mittente.44
L’ampiezza del diritto è anche rinvenibile nei presupposti dell’esercizio: anche qui, come per il committente che esercita il proprio diritto ex art. 1661 c.c., si tratta di un diritto esercitabile ad nutum. La ratio è paragonabile: il mittente ha infatti, anche qui, l’esigenza di poter rivalutare con dinamicità il proprio
42 La modifica è pur sempre oggettiva e non soggettiva: il destinatario non è parte del contratto, ma la sua diversa ubicazione determina una differente esecuzione della prestazione del vettore. 43 X. XXXXX, Le clausole attributive dello jus variandi, cit., p. 51.
44 X. XXXXXXX, Il trasporto e la mediazione, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da X. Xxxxxxx, XVI, CEDAM, 1991, p. 800. In tal senso è stato anche osservato come, pur dovendosi individuare dei limiti, l’unico limite al contrordine è quello rappresentato dalla concreta possibilità, per il vettore, di far fronte alla nuova richiesta del mittente: X. XXXXXXXXXX, Contratto di trasporto e diritti del destinatario, Xxxxxxx, 1980, p. 10.
interesse, cristallizzato nell’accordo contrattuale. Tale esigenza non è qui dovuta alla natura tecnica dell’esecuzione, che ne rende difficile la previsione nei suoi aspetti evolutivi incogniti, ma al fatto che durante la fase dell’esecuzione prolungata i beni soggetti al trasporto possono essere oggetto di varie vicende economiche e giuridiche meritevoli di apprezzamento.45
Anche in tal caso all’esercizio del jus variandi (che è ammesso solo fino a che la cosa non è nella disponibilità del destinatario per l’ovvia considerazione che, a tale momento, la prestazione del vettore può considerarsi eseguita e la sua obbligazione, almeno in questi termini, estinta) si associa, a difesa del sinallagma, il contrappeso del diritto del vettore al rimborso delle spese ed al risarcimento46 dei danni.
Anche l’art. 1686 c.c. (richiamato dall’art. 1690) ammette la facoltà per una parte (stavolta il vettore) di eseguire la propria prestazione discostandosi dalle modalità contrattualmente delineate, ma pare qui possibile affermare che la fattispecie, diversamente da quella disciplinata dall’articolo precedente, non assegni al vettore un diritto potestativo di modificazione del contratto con dichiarazione unilaterale, approntando invece una specifica disciplina rimediale per un’ipotesi speciale di impossibilità sopravvenuta, consentendo al contraente
45 Ad esempio il mittente potrebbe voler sospendere la consegna al destinatario - compratore inadempiente. X. XXXXXXXXX, La modifica unilaterale del contratto, cit., p. 168.
46 Il termine usato dalla norma è impiegato in senso atecnico, non essendo il contrordine un atto civilmente illecito.
di adempiere alla propria prestazione altrimenti impossibile secondo una modalità alternativa.47
Anche il contratto di mandato si caratterizza, come l’appalto, per una certa imprevedibilità delle circostanze che sorgeranno in fase esecutiva. Vi sono poi spiccati profili di delicatezza nell’esecuzione della prestazione del mandatario, che giustifica l’intenso intuitus personae che informa la fattispecie (art. 1711 c.c.).
Tale delicatezza, da un lato, prevede che l’esecuzione non si limiti agli atti espressamente indicati nel mandato, estendendosi invece anche a quelli accessori o comunque necessari al compimento dei primi (art. 1708 c.c.). Sin qui, è evidente, il tema non è quello della modifica, ma della determinabilità dell’oggetto del contratto: determinazione che non è nemmeno affidata ad un arbitraggio di parte, poiché dipende comunque dalla natura e dai caratteri degli atti dedotti nell’accordo bilaterale tra mandante e mandatario, e non da una decisione unilaterale di quest’ultimo, considerato il requisito normativo della “necessarietà” degli atti ulteriori.
Diversa è, invece, l’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 1711, secondo cui il mandatario ha la facoltà “di discostarsi dalle istruzioni ricevute” e dunque,
47 Contra, però, X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 169, che sembra ritenere le fattispecie di cui agli artt. 1685 e 1686 del tutto assimilabili.
almeno stando alla lettera della norma, un diritto alla modificazione unilaterale del contratto.48
Ponendo attenzione ai presupposti di esercizio di questo “diritto”, tuttavia, potrebbero sorgere dei dubbi. La norma infatti prevede che l’allontanamento dalle istruzioni del mandante avvenga al presentarsi di tre concomitanti fattispecie: una circostanza ignota al mandante, l’impossibilità di comunicazione tempestiva con lo stesso, un positivo giudizio prognostico sull’approvazione della modifica da parte del mandante. In tal senso, dunque, più che come una facoltà del mandatario,49 la modificazione pare configurarsi come un preciso obbligo del contraente, specificazione del dovere di diligenza che gli compete ex artt. 1176 - 1710 c.c.50
Anche in questo caso, dunque, come visto per gli artt. 1664 e 1686-1690 c.c., più che diritto potestativo di modifica l’istituto in questione è da inserire nel quadro dei sistemi rimediali conseguenti alle sopravvenienze impreviste, xxxxxxx evita al mandatario di trovarsi in una situazione in cui, se seguisse pedissequamente le istruzioni ricevute, potrebbe essere considerato negligente, cosicché
48 Interpretano in tal senso la norma X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 169 e X. XXXXXXXXXXX,
Modificazione unilaterale del contratto (diritto civile), cit., p. 489.
49 In tal senso E. M. CICCONI, Circostanze sopravvenute e diligenza del mandatario, in Giust. Civ., 1988, II, p. 2111.
50 Così ex plurimis, X. XXXXX, Le clausole attributive dello jus variandi, cit., p. 109; X. XXXXXXXXX, Il mandato, la commissione, la spedizione, in Trattato di diritto civile, diretto da X. Xxxxxxxx, VIII, 1, UTET, 1952, p. 53 ss.; X. XXXXXXXX, Mandato, Commissione, Spedizione, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, continuato da X. Xxxxxxx, XXXII, Xxxxxxx, 1984, p. 395.
l’adempimento “difforme” risulta essere, in realtà, proprio l’esatto adempimento diligente richiedibile all’obbligato.51 La particolarità della fattispecie è data dal giudizio prognostico sulla ragionevole presunzione di un’approvazione da parte del mandante della modifica, il che, riteniamo, contribuisce ad allontanare la fattispecie dall’alveo delle modifiche unilaterali potestative e a confermarne la collocazione nell’ambito del corretto adempimento, vista la primaria rilevanza dell’interesse del creditore. Considerazioni non dissimili sembrano potersi fare in merito all’analogo diritto di eseguire la prestazione contrattuale con modalità diverse previsto dall’art. 1770 c.c. in tema di contratto di deposito.
Tra le ipotesi di jus variandi viene ricondotta anche la facoltà del somministrato, data dal secondo comma dell’art. 1560 c.c., di determinare il quantitativo dovuto dal somministrante quando il contratto stabilisca esclusivamente il limite minimo e quello massimo.52
La norma non è certo di rilievo marginale, essendo suscettibile di applicazione a tutti i contratti ad esecuzione continuata o periodica aventi ad oggetto
51 X. XXXXX, Le clausole attributive dello jus variandi, cit., p. 112.
52 Così X. XXXXXXX, Fondamento e limiti dello ius variandi, Edizioni Scientifiche Italiane, 2000, 106.
X. XXXXXXXX, Novazione (diritto civile), in Nss. Dig. It., XX, UTET, 1965, p. 436 ritiene invece che le modificazioni in questo ambito siano fattispecie novative del rapporto.
prestazioni che possano ricondurli alla disciplina del tipo di cui agli artt. 1559 ss. c.c.53
Non sembra però possibile affermare di essere in presenza di un diritto del somministrato alla modificazione unilaterale del contratto, e ciò per i rilievi già espressi supra, al § 4.1 del capitolo primo. In questi casi, infatti, ciò che caratterizza la fattispecie contrattuale è la mancanza di determinatezza dell’oggetto contrattuale: la funzione dell’art. 1560 c.c. è dunque quella di sopperire all’indeterminatezza con la determinabilità, adottando come criterio, nei casi di cui al secondo comma (che prevedendo un limite superiore ed uno inferiore non sono soggetti al mero arbitrio della parte), proprio la scelta della parte54 e costituendo, quindi, un caso di arbitraggio della parte ex lege.
Sempre in tema di somministrazione potrebbe suscitare dubbi in sede applicativa l’art. 1561 c.c., disciplinante la determinazione del prezzo della somministrazione, articolo che rinvia ai criteri previsti in tema di vendita dall’art. 1474 c.c. Nel caso in cui i contraenti non abbiano predeterminato il prezzo dei beni somministrandi, dunque, troveranno applicazione i criteri dettati dall’art. 1474 c.c., norma che fa riferimento al prezzo abitualmente praticato dal venditore per quel genere di beni.
53 X. XXXXX, Le clausole attributive dello jus variandi, cit., p. 54; X. XXXXXXX, Del contratto estimatorio. Della somministrazione., in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Libro IV, Delle Obbligazioni, Zanichelli, 1970, p.87.
54 X. XXXXX, op. ult. cit., p. 55.
Ebbene, in tema di vendita la disposizione non desta preoccupazioni: si tratta sicuramente di un criterio volto ad una compiuta determinazione dell’oggetto contrattuale. Criterio che peraltro, sebbene legato ad indici propri di una delle parti (è infatti chiaro che è l’imprenditore a decidere il prezzo praticato, pur nei limiti di quanto il mercato gli consenta di fare dal punto di vista economico), non consiste nemmeno in un arbitraggio di parte. La determinazione non è infatti conseguenza di una scelta della parte, ma di dati di fatto preesistenti alla conclusione dell’accordo, e conoscibili ex ante anche da entrambe le parti.
La vicenda determinativa si complica, però, quando la norma viene applicata al contratto di somministrazione, in considerazione della sua natura di contratto di durata. E proprio a tale natura si riferisce l’art. 1561 c.c., nel definire il luogo ed il tempo (le singole scadenze) a cui si deve fare riferimento per l’applicazione dell’art. 1474. In questo caso, infatti, non c’è un prezzo abituale preesistente all’accordo e conoscibile dalle parti, ma - almeno potenzialmente - tanti diversi prezzi quante sono le singole scadenze, così che il somministrante in un contratto di lunga durata potrebbe progressivamente elevare il prezzo applicato a tutti gli altri clienti per una certa categoria di beni, così unilateralmente elevando anche il corrispettivo per la somministrazione originaria.
Più che riconoscere nel combinato disposto di queste norme una ipotesi legale di jus variandi del somministrante, tuttavia, sembra necessario ridimensionare la portata applicativa delle disposizioni in questione, leggendole, appunto, come norme dedicate alla determinazione dell’oggetto e non alla sua modifica unilaterale.55 Ciò trova peraltro conferma nella lettera dell’art. 1474, il quale, nell’adottare il prezzo abituale come criterio di determinazione del corrispettivo, specifica come ciò sia dovuto alla presunzione per cui le parti “abbiano voluto fare riferimento” a tale criterio. Criterio che dunque ha natura interpretativa e di indagine della volontà dei paciscenti, e non costituisce diritto di modifica unilaterale in executivis da parte di uno di essi.
La dottrina ha visto nelle norme in tema di riscatto della rendita perpetua (artt. 1865 - 1868 c.c.) un’ulteriore ipotesi di jus variandi.56 Da un lato, infatti, il debitore obbligato al pagamento della somma periodica può decidere unilateralmente di liberarsi dalla propria obbligazione con un pagamento unico e cioè esercitando il diritto di riscatto, diritto che non è escluso da eventuali convenzioni contrarie. Dall’altro lato il creditore della medesima prestazione
55 Così anche la giurisprudenza: Xxxx. 4 Agosto 1977, n. 3511, Repertorio della Giurisprudenza Italiana, 1977, II, Somministrazione (contratto di), p. 3.
56 X. XXXXXXX, Fondamento e limiti dello ius variandi, cit., p. 105-106; con molte più riserve X. XXXXX, Le clausole attributive dello jus variandi, cit., p. 55-56, e solo in merito all’art. 1865 c.c.
periodica può, specularmente, obbligare il debitore al riscatto (c.d. forzoso) al sorgere di determinati presupposti.
Per quanto riguarda il riscatto “spontaneo”, il principale ostacolo alla qualificazione della fattispecie come esercizio di un diritto potestativo di modifica sembra derivare dai caratteri del negozio di esercizio, che si atteggia come negozio (unilaterale, ma) reale:57 non quindi una dichiarazione di volontà che modifica il rapporto, ma una particolare modalità di estinzione dell’obbligazione, giacché dopo il pagamento non vi è più obbligo, e prima di esso non vi è riscatto.58 Anche a prescindere da tale rilievo, peraltro, in considerazione da un lato della totale potestatività nell’esercizio del diritto di scelta da parte del debitore e, dall’altro lato e soprattutto, della rigida predeterminazione delle alternative modalità di adempimento del contratto, sembra in ogni caso possibile ricondurre il meccanismo di scelta a quello delineato in tema di obbligazioni alternative dagli artt. 1285 e 1286, sebbene adeguato alla peculiarità del tipo contrattuale in questione.59
Per quanto riguarda il riscatto forzoso, invece, il problema della realità del
negozio non si pone, considerato che la norma dispone espressamente che “il
57 Contra X. XXXXXXX FERRARA, La rendita perpetua, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da X. Xxxxxxxx, UTET, 1943, p. 68, il quale ritiene che l’atto reale del pagamento sia preceduto dal contratto (precedente il pagamento e quindi non reale) di riscatto.
58 X. XXXXX, Il rapporto di rendita perpetua, Xxxxxxx, 1967, p. 314.
59 Per l’opinione opposta, per la quale l’istantaneità del riscatto impedirebbe di qualificarlo come modalità alternativa di adempimento in ragione del rilievo causale che ha la durata nel contratto de quo: X. XXXXX, I diritti potestativi (Individuazione della fattispecie), Xxxxxxx, 1959, p. 69;
X. XXXXXXX, Xxxxxxx (dir. priv.), in Enc. Dir., XXXIX, Xxxxxxx, 1988 (fonte: DeJure).
xxxxxxxx può essere costretto al riscatto”: è quindi evidente che in questi casi - nonostante la realità dell’atto di riscatto in sé e per sé - al sorgere di determinati presupposti è la scelta del creditore (e dunque l’esercizio di un suo diritto potestativo)60 a determinare l’insorgere dell’obbligo del debitore ad eseguire il riscatto. Quando, dunque, si manifesti l’inadempimento dell’obbligato alla prestazione periodica, o lo stesso rischio dell’inadempimento - rappresentato dall’insolvenza e dalla mancata costituzione, dalla perdita o dalla degradazione delle garanzie - in capo al creditore sorge un vero e proprio diritto alla modificazione unilaterale del contratto, giacché la prestazione che ne costituiva l’oggetto, da periodica, diventa istantanea.61
In tali ipotesi la ratio del jus variandi è quella di una tutela cautelare dell’interesse creditorio62 al valore economico della prestazione che viene così soddisfatta - a sua insindacabile scelta - pur mediante la frustrazione del paradigma diacronico originariamente prefigurato dalle parti.
La dottrina riconosce un’ipotesi di diritto alla modificazione unilaterale anche nel disposto di cui all’art. 1577, II comma, c.c., secondo cui le riparazioni a carico del locatore, in caso di urgenza, possono essere eseguite direttamente dal
60 X. XXXXXXXXX, La rendita perpetua e la rendita vitalizia, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, XXXVII, 1, Milano, 1961, p. 44 ss.
61 X. XXXXXXX, Fondamento e limiti dello ius variandi, cit., p. 106.
62 X. XXXXX, Il rapporto di rendita perpetua, cit., p. 327.
conduttore, xxxxx xxxxxxxx e purché questi ne dia contemporaneo avviso al locatore.63
In tale caso, infatti, all’obbligazione del locatore di eseguire le riparazioni si sostituirebbe quella di rimborsare le spese sostenute dal conduttore per le medesime riparazioni, a seguito della decisione di questi di intraprenderle direttamente in ragione della loro urgenza.64
La ricostruzione in termini di jus variandi non ci pare convincente. L’obbligo di procedere alle riparazioni c.d. straordinarie è, infatti, un naturale negotii della locazione, previsto dall’art. 1576 c.c.: la sopravvenienza (i.e. la necessità di riparare oltre la piccola manutenzione il bene originariamente “integro”) non determina dunque l’insorgere di una obbligazione radicalmente nuova a carico del locatore, ma una mera specificazione di quanto genericamente previsto sin dall’inizio del contratto. Non è, in altri termini, pensabile che la dichiarazione di cui al primo comma dell’art. 1577 c.c. (l’avviso al locatore della necessità di riparazioni), unita alla “sopravvenienza” nel senso sopra inteso, determini una modificazione del contratto, proprio perché l’obbligo di riparazione in caso di
necessità è elemento naturale del contratto sin dal principio.
63 X. XXXXX, Le clausole attributive dello jus variandi, cit., p. 91; X. XXXXXXXXX, La modifica unilaterale del contratto, cit., p. 169; X. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 86.
64 X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 170, ricollega la ratio della norma all’interesse del locatore a non vedere pregiudicato l’immobile in casi di riparazioni urgenti. X. XXXXX, op. ult. cit., p. 91, nota 116, ricollega invece la norma al generale obbligo del locatore di mantenere il bene in buono stato locativo, di cui all’art. 1576 c.c., il che appare più ragionevole anche considerato che la norma assegna al conduttore una facoltà e non un obbligo: così X. XXXXXXXXX - X. XXXXXXX, Le locazioni dopo le riforme del 1978-1985, UTET, 1986, p. 55.
Allo stesso modo, proseguendo su questa linea di ragionamento, sembra necessario concludere per quanto disposto dal secondo comma dell’articolo: se la riparazione è urgente, il conduttore ha la facoltà di riparare, avvisare il locatore e pretendere il rimborso. Ciò non consegue ad una dichiarazione unilaterale che modifica il contratto trasmutando l’obbligazione del proprietario dal facere del riparare al dare del rimborso65, ma costituisce una diversa modalità di esecuzione prevista, ab initio, dal contratto in quanto naturale negotii.
Vengono pure annoverati tra le ipotesi di diritto alla modificazione unilaterale del contratto alcuni meccanismi previsti dal legislatore in tema di contratti di assicurazione: si tratta, da un lato, delle norme che disciplinano i diritti dei contraenti nei casi di sopravvenuti aumenti o diminuzioni del rischio assicurato (artt. 1897 - 1898 c.c.),66 e della norma che espressamente prevede il diritto di riscatto e riduzione della somma assicurata, nei casi di assicurazione sulla vita (art. 1925 c.c.).67
Le norme in tema di variazione del rischio, in particolare e per quanto a noi interessa, prevedono che nel caso in cui il rischio assicurato diminuisca in misura determinante (art. 1897 c.c.), la comunicazione dell’assicurato determini
65 Così, invece, Cass. 26 Settembre 1997, n. 9465, in Giust. Civ., 1998, I, p. 2911.
66 X. XXXXXXX, Fondamento e limiti dello ius variandi, cit., p. 91-92; X. XXXXX, op. ult. cit., p. 93 ss.
67 X. XXXXXXXXX, op. ult. cit. p. 171; X. XXXXX, op. ult. cit., p. 94, nota 122.
il diritto dell’assicuratore di recedere dal contratto o, in alternativa, di pretendere il solo minor premio che sarebbe stato stipulato se le circostanze che hanno portato alla diminuzione del rischio fossero state note sin dall’inizio.
Nel caso in cui, viceversa, il rischio aumenti (art. 1898 c.c.), l’assicuratore potrà recedere dal contratto e, in caso di sinistro verificatosi prima del decorrere dei termini di comunicazione ed efficacia del recesso, sarà legittimato a non versare l’indennizzo, o a versarlo in misura ridotta, a seconda che si debba ritenere che, ove le circostanze fossero state note ab origine, questi non avrebbe concluso del tutto il contratto, oppure lo avrebbe concluso con previsione di un premio di importo superiore.
Come rilevato supra (cap. I, § 4.2) recesso e modifica del contratto sono due fattispecie differenti: ci sembra di poter dire che quanto le norme appena richiamate prevedono, al di là del recesso dell’assicuratore, non sia qualificabile come jus variandi.
Per quanto riguarda l’aumento del rischio, infatti, la norma non prevede la modificabilità unilaterale del premio (salva ovviamente la possibilità, per le parti, di rinegoziarlo consensualmente), ma solo la riduzione della somma dovuta (o l’esclusione dell’obbligo) in caso di sinistro avvenuto in pendenza dell’esercizio del recesso. La modificazione degli obblighi dell’assicuratore,
dunque, non avviene per decisione di questi (né, tantomeno, dell’assicurato), ma come effetto diretto dell’aumento del rischio.
Anche per quanto concerne la diminuzione del rischio, in cui è effettivamente prevista una riduzione del premio in alternativa al recesso, non sembra in realtà potersi parlare di modificazione unilaterale.68 E’ vero che la modifica del contenuto contrattuale consegue solamente alla dichiarazione del contraente (l’incipit dell’art. 1897 c.c. è infatti “se il contraente comunica all’assicuratore mutamenti...”), ed è anche vero che la successiva sentenza ottenuta dal contraente che agisca per la riduzione non produce l’effetto modificativo, ma ha contenuto meramente dichiarativo,69 essendo la modifica fondata sulle tariffe assicurative e dunque basata su parametri automatici.70 Ma proprio questo ci fa ritenere che a determinare la modifica non è tanto la volontà dell’assicurato, quanto il vero e proprio mutamento del rischio, che è elemento di sicura rilevanza causale nel contratto de quo (artt. 1895, 1896, 1904, c.c.): cosicché, pur a seguito della pattuizione del premio, una volta che in via di sopravvenienza il rischio venga in parte meno e che ciò venga portato a conoscenza dell’assicuratore, non vi è più ragione di ritenere giustificato il pagamento del
68 Anche a voler ammettere l’unilateralità della fattispecie modificativa, non è ben chiaro il “lato” da cui la modificazione provenga. Si potrebbe infatti ritenere che la variatio sia opera dell’assicuratore, che determina unilateralmente il nuovo premio (e così X. XXXXXXX, Fondamento e limiti dello ius variandi, cit., p. 91), oppure che sia opera dell’assicurato, titolato a pretendere la riduzione (cfr. X. XXXXXX, Assicurazione (contratto di), in Dig. disc. priv., sez. comm., I UTET, 1987, p. 360).
69 X. XXXXXXXXX, Revisione del rapporto (diritto privato), in Enc. Dir., XXXIX, Xxxxxxx, 1989, p. 130.
70 X. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 92.
premio originario, non tanto perché non più conforme alla volontà
dell’assicurato, ma proprio perché ormai privo di causa per l’eccedenza.
L’art. 1925, come accennato, disciplina il diritto di riscatto e di riduzione della somma assicurata nell’assicurazione sulla vita. Rectius: impone l’obbligo per l’assicuratore di inserire tale disciplina nel contratto, rendendo però, quindi, tali diritti inderogabili nel tipo in questione.71 Per quanto riguarda il diritto di riscatto si possono qui richiamare le riflessioni svolte in tema di rendita perpetua,72 per escluderne la natura di jus variandi. Per quanto riguarda, invece, la facoltà di ridurre la somma, la natura di diritto alla modificazione unilaterale riconosciuto all’assicurato appare evidente anche in ragione dell’assoluta discrezionalità nell’esercizio del diritto stesso.73 La ratio del jus variandi concesso al contraente è da ricercarsi nella (lunga) durata dei rapporti de quibus, particolarmente suscettibili ad una rivalutazione degli interessi ad opera del contraente più debole.74
La disciplina del contratto di lavoro subordinato presenta molti profili
altamente delicati poiché in esso vengono a contatto l’interesse del datore di
71 X. XXXXXXXXXXX, Poteri unilaterali di modificazione («ius variandi») del rapporto contrattuale, cit., p. 23; X. XXXXX PUTZOLU, L’assicurazione, in Trattato di diritto privato, diretto da X. Xxxxxxxx, XIII, UTET, 1985, p. 87.
72 Per l’assimilabilità dei due istituti v. X. XXXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 23.
73 X. XXXXXXXXX, La modifica unilaterale del contratto, cit., p. 172.
74 X. XXXXXXX, Fondamento e limiti dello ius variandi, cit., p. 96.
lavoro, costituzionalmente tutelato (art. 42) e quello del lavoratore, soggetto contrattualmente debole e destinatario a propria volta di ampia tutela costituzionale.
La disamina di tali profili di contatto è compito del giuslavorista, ma non si può in questa sede non menzionare la norma di cui all’art. 210375 del codice civile, che, proprio nel bilanciare tali interessi, prevede un potere datoriale - ampio, ma dettagliato - di adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle contrattualmente predeterminate (con limiti e presupposti diversi a seconda che il livello di inquadramento sia almeno identico o superiore, oppure inferiore) ed un potere - più ristretto - di mutamento della localizzazione della prestazione lavorativa dovuta.
Da un lato, si può riconoscere che la disposizione in questione rientra intuitivamente nel novero di poteri che è necessario garantire al datore di lavoro, per la sua qualità di imprenditore e, dunque, di organizzatore dell’attività di impresa e dell’azienda, in quanto tale inevitabilmente dotato di una generale posizione di supremazia sul lavoratore subordinato.76 Dall’altro lato, però, si deve rilevare come tale supremazia si esplichi già, ed in primo luogo, mediante il potere datoriale di impartire istruzioni e direttive ai lavoratori, potere connaturato effettivamente più che al tipo contrattuale, alla
75 Da ultimo novellato dall’art. 3, I, d. lgs. 15 Giugno 2015, n. 81.
76 X. XXXXXXXXXXXXX, Profili della tutela civile contro i poteri privati, CEDAM, 1986, p. 218.
posizione apicale del datore di lavoro nella struttura imprenditoriale (art. 2094 - 2086 c.c.), laddove il suo jus variandi è un potere di natura squisitamente contrattuale, che gli spetta in quanto parte interessata all’adempimento della prestazione del lavoratore.77
Diritto alla modificazione unilaterale, dunque, caratterizzato dalla geometria variabile della discrezionalità datoriale a cui è sottoposto, ed i cui limiti sono fissati da norme imperative ed inderogabili per espressa voluntas legis (art. 2103, u.c., c.c.). L’inderogabilità, non v’è certo bisogno di sottolinearlo, è posta a tutela del lavoratore, parte debole del rapporto contrattuale,78 motivo che ne giustifica l’attenuazione quando le deroghe siano frutto della contrattazione collettiva.
77 X. XXXXX, Xxxxxx (dir. Priv.), in Enc. Dir., XXXIV, Xxxxxxx, 1985, p. 635.
78 E che con il contratto di lavoro non realizza interessi solo economici, perseguendo anzi una realizzazione personale - morale e sociale - di “valore” equivalente ove non superiore, che acuisce la delicatezza della sua posizione contrattuale: cfr. X. XXXXXXX, Fondamento e limiti dello ius variandi, cit., p.109, nota 191.
CAPITOLO TERZO.
La disciplina legale del jus variandi: nelle discipline di settore.
SOMMARIO: 1. I contratti del consumatore. 2. I contratti del turista. 3. I contratti bancari. 4. La subfornitura.
1. I contratti del consumatore.
La disciplina giusconsumeristica della modificazione unilaterale del contratto si atteggia in modo diverso dalle fattispecie sin qui esaminate nei §§ del capitolo precedente, nelle quali il legislatore, nel facoltizzare la variazione unilaterale, regola - in modo più o meno penetrante - presupposti e limiti nell’esercizio di un diritto che - entro tali limiti - è sempre riconosciuto. Il committente nell’appalto, ad esempio, nei limiti previsti dall’art. 1661 (e salvo quanto si dirà al capitolo successivo) può sempre operare le modifiche al progetto, e ciò per espressa disposizione - pur avente natura dispositiva79 - di legge, e cioè a prescindere da una previsione contrattuale in tal senso. Lo stesso è a dirsi, sempre a fini esemplificativi e mutatis mutandis, per l’ipotesi molto più ristretta prevista per il datore di lavoro che intenda trasferire il lavoratore da un’unità produttiva all’altra.
Questa impostazione deriva dal fatto che, come si è cercato di evidenziare sin qui, il jus variandi disciplinato dal codice nelle fattispecie tipiche è giustificato
79 V. F. XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione, in AA. VV., I contratti in generale, a cura di X. Xxxxxxxxx, UTET, 2006, p. 1878.
dal particolare regolamento di interessi che il tipo realizza e, in tal senso, è conseguenza delle singole cause contrattuali di volta in volta esaminate.
Il d. lgs. 206/2005, diversamente, non disciplina ipotesi tipiche di jus variandi. Come noto, l’art. 33 del Codice del Consumo prevede infatti, al proprio II comma, un elenco di clausole che si presumono, juris tantum, vessatorie, con conseguente comminatoria di nullità parziale di protezione, ai sensi del successivo art. 36, commi I e III. Ebbene, in questa c.d. grey list (distinta dalla black list di cui al II comma dell’art. 36 cit.), sono annoverate, alla lettera m), le clausole che hanno l’effetto di “consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato nel contratto stesso” e, alla lettera o), quelle che hanno l’effetto di “consentire al professionista di aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente convenuto”.
I caratteri della disciplina sono, almeno a prima vista, chiari, così come lo è il rapporto tra le due previsioni normative, e dunque: è da un lato vessatoria la clausola (lettera m) che preveda una modifica unilaterale da parte del professionista delle clausole contrattuali o delle caratteristiche del prodotto o servizio, se questa non indica anche il giustificato motivo che dà diritto alla variazione. Dall’altro lato la clausola che consenta una rilevante variazione (in
peius per il consumatore) del prezzo del bene o servizio (lettera o), senza consentire al consumatore di reagire alla variazione con il recesso sarà da considerarsi ugualmente vessatoria.
Conseguentemente, e sempre ad un esame limitato al dato letterale, da un lato la clausola che consenta un jus variandi non incidente in modo rilevante sul prezzo non è da considerarsi vessatoria ove si accompagni all’indicazione di un giustificato motivo contrattualmente dedotto pur non prevedendo il corrispettivo diritto di recesso del consumatore, mentre di converso, la clausola che prevede una variabilità del prezzo (con diritto di recesso) non è vessatoria anche se il jus variandi sia esercitabile ad nutum.
La prima ipotesi, e cioè la previsione di una variazione non inerente al prezzo - o non inerente in modo significativamente peggiorativo al prezzo - giustificata oggettivamente, ma sprovvista del corrispettivo diritto di recesso, non suscita in effetti particolari perplessità: si è sin qui visto, anzi, che la disciplina codicistica speciale delle modificazioni unilaterali non prevede il recesso come tratto caratterizzante comune delle varie fattispecie, che è invece molto più frequente nelle discipline settoriali. Il recesso, dunque, non è visto dal legislatore come elemento essenziale delle fattispecie modificative unilaterali.80
80 X. XXXX, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, cit., p. 117.
La tutela del consumatore, peraltro, è comunque garantita dalla clausola generale contenuta dal I comma dell’art. 33: ove, infatti, la clausola non tipizzata nella grey list abbia comunque l’effetto di determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio di diritti ed obblighi, sarà comunque soggetta alla nullità di protezione di cui ai commi I e III dell’art. 36.81
Dubbi maggiori solleva la seconda ipotesi, e cioè quella in cui il contratto autorizzi una modificazione rilevante del prezzo a cui si associ il diritto di recesso del consumatore, ma senza che la modifica sia collegata a verificabili presupposti di fatto dedotti in contratto (jus variandi esercitabile ad nutum).
Anche in questo caso, in effetti, si è visto (e si è accennato anche nell’incipit di questo paragrafo), che in taluni casi la norma codicistica (si prenda il caso dell’appalto) rimetta alla decisione di un contraente (e dunque, se non al suo capriccioso arbitrio non tutelabile giuridicamente, comunque alla sua più ampia discrezionalità) la scelta sull’operare o meno la variatio. Si è anche visto, tuttavia, che quando ciò succede la giustificazione è da ricercarsi nella particolare conformazione causale del contratto a cui il jus variandi accede: tale giustificazione non può però essere trasposta come ratio delle norme in esame e ciò, si ritiene, per due ordini di motivi.
81 G. DE CRISTOFARO - A XXXXXXXX, Commentario breve al diritto dei consumatori, CEDAM, 2013, p. 289.
In primo luogo non si può infatti non rilevare come la normativa sulla tutela consumeristica sia, appunto, normativa di tutela di una parte debole che deve portare ad una cautela particolare nell’estensione analogica di norme rinvenibili in contratti non naturalmente asimmetrici. Ed anzi, è generalmente il soggetto astrattamente più debole in quanto “non tecnico” o comunque prestatore non caratteristico a vedersi riconoscere dal codice civile i più ampi spazi di manovra nelle modifiche unilaterali (per le norme esaminate si pensi, appunto, al committente nell’appalto, ma anche al mittente nel trasporto di cose). Le clausole sotto esame, al contrario, disciplinano un jus variandi proprio in capo al soggetto “forte” e meno bisognevole di tutela nel rapporto contrattuale.
In secondo luogo, e soprattutto, le norme del Codice del Consumo non ineriscono ad un singolo tipo e ad una singola causa contrattuale, che potrebbe giustificare ampi poteri discrezionali in capo ad una delle parti, bensì ad un’intera categoria di contratti: a prescindere dalle ragioni di tutela dettate dalla situazione di asimmetria in cui si trovano fisiologicamente le parti, dunque, un jus variandi ad nutum non sarebbe in queste fattispecie giustificabile in base alle medesime motivazioni che fondano le menzionate norme del codice civile.
La più attenta dottrina, dunque, rileva come anche questa seconda ipotesi di jus variandi (i.e. quella inerente alla mera variazione, pur in misura rilevante, del prezzo nei contratti sottoposti alla tutela giusconsumeristica) sia da ancorare ad
indici oggettivi di giustificazione per poter legittimare una variatio unilaterale da parte del professionista.82
La necessità di giustificato motivo per l’esercizio del diritto, tuttavia, non discende da un’applicazione analogica ai casi della lettera o) di quanto disposto per le fattispecie di cui alla lettera m), essendo chiaro il rapporto di specialità tra le due norme (le modifiche alle clausole contrattuali, di cui alla lettera m) difficilmente non ricomprenderebbero le modificazioni del prezzo, se queste non fossero espressamente previste e disciplinate dalla lettera o)), ma è appunto da ricondurre alla ratio di ordine generale che informa la tutela consumeristica. E, quindi, la clausola di variazione del prezzo non individualmente negoziata potrà sfuggire al giudizio di vessatorietà anche qualora il giustificato motivo non sia “indicato nel contratto stesso”, purché l’esercizio del diritto sia in ogni caso subordinato ad una giustificazione valutabile ex post dal giudice, sebbene non specificamente dedotta nel testo contrattuale.83
82 Così X. XXXX, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, cit., p. 177, la quale, però, ritiene che il principio in questione (vale a dire la necessità di un giustificato motivo per l’esercizio del diritto, che non si declinerebbe mai, dunque, come esercitabile ad nutum) si riferisca all’intera disciplina della modificazione unilaterale del contratto e non solo alla disciplina del Codice del Consumo, in ragione del principio generale di correttezza che governa l’esercizio dei poteri privati. Specificamente in merito alla necessità di un giustificato motivo nel jus variandi di derivazione comunitaria cfr., ibidem citato in nota 78, X. XXXXXXXXXXX, Contratto b2c e concorso di tutele: variazioni su diritto primo e diritti secondi a margine di Xxx Xxxx e Matei, commento a CGUE, sez. IX, 26 Febbraio 2015, n. 143 e CGUE, sez. III, 23 Aprile 2015, n. 96, in I Contratti, 2015, p. 753 ss.
83 Ed in tal senso la dottrina dominante esclude la necessità di indicare il giustificato motivo all’interno del contratto: X. XXXXX, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, in Foro it., 1996, 4, p. 172; X. XXXXXXX, Lo ius variandi nel codice del consumo e nel
Il rilievo della disciplina appena esaminata è, in realtà, molto più notevole per ciò che non viene disciplinato. Le norme in questione, infatti, sono regole relative alla validità, che - come visto - introducono norme di tutela presumendo la nullità di clausole pattizie che costituiscano diritti potestativi per il professionista privi di particolari correttivi che scongiurino un eccessivo squilibrio a danno del consumatore. Da ciò si desume, a contrario, che da un lato le medesime clausole saranno perfettamente valide (ove non colpite da divieti provenienti aliunde) ogniqualvolta siano state oggetto di trattativa individuale. E dall’altro che, anche in caso di contrattazione di xxxxx, un jus variandi che rispetti tali limiti - salvo il controllo di cui al I comma dell’art. 33 - è generalmente ammesso.84 La norma ha dunque un importante rilievo
testo unico bancario, in AA. VV., Contratto e Responsabilità, a cura di X. Xxxxxxx, I, CEDAM, 2013, p. 410.
84 X. XXXX, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, cit., p. 172; X. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 377 ss. In senso molto più critico e cauto X. XXXXXXXXX, La modifica unilaterale del contratto, cit., p. 286 ss., che rileva la natura puntuale, contenutistica e poco sistematica (dal punto di vista del diritto generale dei contratti) dell’intervento del legislatore europeo nella disciplina di tutela de qua, che rende difficile l’interpretazione a contrario delle norme nel senso qui propugnato. E ciò anche perché, all’evidenza, l’interpretazione che così si ottiene va a tutto vantaggio - nel settore dei contratti del consumatore - del professionista, che si vede facoltizzato nell’uso dei jus variandi, seppur nei limiti evidenziati. Ebbene, ci pare di poter rilevare, però, che l’intervento del legislatore europeo nella materia de qua è mediato dall’opera del legislatore nazionale, che recepisce lo strumento sovranazionale (in questo caso la direttiva 93/13/CEE) privo di efficacia diretta. Il legislatore europeo opera nel “vuoto” della standardizzazione dei sistemi nazionali, il legislatore nazionale no e, nel recepire l’armonizzazione sovranazionale, ha la possibilità di armonizzare la stessa con il sistema interno: non c’è quindi ragione di escludere, solo per la loro provenienza sovranazionale, il rilievo sistematico che queste norme possono assumere nel diritto interno. Sulla rilevanza della disciplina europea dei contratti del consumatore nel panorama del diritto generale dei contratti cfr. P. SIRENA, L’integrazione del diritto dei consumatori nella disciplina del contratto, in Riv. dir. civ., 2004, p. 821; X. XXXXX, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Riv. dir. priv., 2001, p. 775.
sistematico, per lo meno nel campo dei contratti con il consumatore (e cfr. per il resto al Capitolo successivo).
Una disciplina in tema di variazione già contenuta nel Codice del Consumo (agli artt. 90 e 91, oggi abrogati) è quella che ora si rinviene nel Codice del Turismo (d. lgs. 79/2011), agli artt. 40 e 41, e che regola, nei contratti del turismo organizzato, la revisione del prezzo nel contratto di pacchetto turistico (art. 40) e la modifica delle altre condizioni contrattuali (art. 41). In tal senso la struttura normativa, come si vede, replica quanto stabilito in materia di contratti di consumo, quanto alla distinzione tra variazione del contenuto economico del contratto (art. 33, lett. o) cod. cons.) e variazione dei contenuti diversi (art. 33, lett. m) cod. cons.). Le disposizioni del codice del turismo e del codice del consumo, peraltro, non interferiscono tra di loro, in ragione, da un lato, della natura speciale delle prime e, dall’altro, della “clausola di sussidiarietà” prevista dal III coma dell’art. 32 cod. tur., per il quale le norme di tutela giusconsumeristica si applicano ai contratti turistici per quanto non previsto - e solo per quanto non previsto85 - dal capo del codice del turismo disciplinante i contratti del turismo organizzato.
85 Contra, per una applicabilità molto più ampia del codice del consumo anche in materia turistica, X. XXXXX, Contratti aventi ad oggetto servizi turistici, in AA. VV., Contratto e Responsabilità, a cura di Xxxxxxx, cit., II, p. 1602.
L’art. 40, dunque, dispone che la revisione del prezzo del contratto di vendita del pacchetto turistico è ammessa se espressamente prevista dal contratto e solo se ancorata a variazioni dei costi sostenuti dall’organizzatore tassativamente individuate dalla norma e con indicazione nel contratto del sistema di calcolo della revisione stessa. La variazione dei costi deve essere inoltre adeguatamente documentata dal venditore e, in ogni caso, il prezzo non può essere rivisto in aumento a partire dal ventesimo giorno che precede la partenza del turista.
Si potrebbe in realtà già sollevare qualche dubbio sul fatto che tale norma disciplini clausole inerenti al jus variandi: l’uso del termine “revisione”, peraltro unito all’onere di indicazione contrattuale dei criteri di calcolo, non osta infatti ad un’interpretazione che consideri la norma indirizzata alla disciplina non di diritti potestativi di modifica, ma di meccanismi di adeguamento automatico del prezzo. La norma, in effetti, non dà particolari indicazioni al riguardo,86 ma proprio per questo si ritiene che essa sia in grado di disciplinare fattispecie tanto di revisione automatica quanto di modificazione unilaterale negoziale.87
La ratio è chiara: ci troviamo dinnanzi ad un contratto che molto spesso ha
un’esecuzione notevolmente differita ed in cui l’operatore turistico che applichi
86 X. XXXX, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, cit., p. 278.
87 Peraltro non vi sarebbe motivo di ammettere una revisione automatica in peius per il turista escludendo che la medesima modificazione peggiorativa sia, invece, rimessa alla decisione dell’organizzatore. In questo caso, però, qualora la variazione dei costi fosse in melius sorgerà, per l’organizzatore, un obbligo di correttezza e buona fede di esercitare il proprio jus variandi anche a favore del turista, cfr. X. XXXX, op. ult. cit., p. 279, nota 124; contra X. XXXXXXX, Il contratto di viaggio, Xxxxxxx, 1998, p. 232.
xxxxxx forfettari si trova esposto al forte rischio di fluttuazioni dei costi del tutto sottratte al proprio controllo.
Di difficile interpretazione sono i commi III e IV della norma: il primo prevede infatti che l’aumento del prezzo “non può in ogni caso essere superiore al dieci per cento del prezzo nel suo originario ammontare”, mentre il secondo prevede che “quando l’aumento del prezzo supera la percentuale di cui al comma 2” il turista possa esercitare il diritto di recesso.
Nulla quaestio per l’ipotesi di cui al III comma: se la variazione nei costi dell’operatore avviene, è documentata e la revisione del prezzo è prevista dal contratto, l’aumento del prezzo nel limite del 10% verrà subito dal turista senza possibilità di reazione.
Il rapporto tra i due commi citati, invece, pare essere di forte antinomia, visto che ciò che viene categoricamente escluso dal terzo comma trova, invece, una disciplina positiva al comma successivo, che non commina nessuna nullità, garantendo esclusivamente al turista il potere di recedere.
Parte della dottrina88 ritiene di risolvere il contrasto interpretando il IV comma nel senso per cui la dichiarazione del tour operator di aumento del prezzo oltre la soglia consentita non si atteggerebbe ad esercizio di potere di modifica unilaterale, bensì a mera proposta contrattuale, con la conseguenza che in
88 X. XXXX, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, cit., p. 281 ss.
mancanza di accettazione da parte del turista il contratto continuerebbe a produrre, invariato, i propri effetti originari. La ricostruzione non ci pare conforme al dettato normativo: è infatti chiaro che, se le parti si accordano, il problema di una revisione contro la volontà del turista non si pone. Se, però, perché vi sia la variazione si richiede la volontà del turista, non si comprende il senso della previsione di un diritto di recesso a suo favore, visto che in assenza di consenso non si produrrebbe la variazione (e non avrebbe quindi senso concedere al turista il diritto di recedere).89
Ci sentiamo quindi di aderire decisamente all’interpretazione della dottrina maggioritaria, che vede nelle variazioni sopra soglia un jus variandi unilaterale abbinato al diritto di recesso del turista.90
Come accennato, l’art. 41 cod. tur. disciplina, invece, le variazioni degli altri elementi (non strettamente economici) del regolamento contrattuale del pacchetto turistico. I commi IV e V della norma disciplinano un meccanismo
89 Il panorama, è bene segnalarlo, potrebbe cambiare decisamente a seguito dell’imminente recepimento della direttiva 2015/2032/UE, che abroga a far data dall’1 Luglio 2018 la direttiva 90/314/CEE ed abbassa la soglia delle variazioni di prezzo all’8%, modificando la disciplina oltre soglia che viene accomunata a quella prevista per le altre variazioni contrattuali. Le nuove norme lasciano, peraltro, agli ordinamenti nazionali la puntuale disciplina delle conseguenze della mancata scelta del turista tra risoluzione del contratto e accettazione delle nuove condizioni, con il che l’analisi della vicenda, che a dispetto della terminologia impiegata dal legislatore europeo non sembra incompatibile con una ricostruzione ancora nel segno della variazione unilaterale con diritto di recesso, va necessariamente rinviata all’entrata in vigore delle norme interne di recepimento.
90 X. XXXXXXXXXX, I pacchetti turistici. Profili giuridici e contrattuali., Xxxxxxx, 1998, p. 48; X. XXXXXXX, Art. 40 del codice del turismo, in Codice del consumo, a cura di X. Xxxxxxx, in Le fonti del diritto italiano, Xxxxxxx, 2015, p. 886; X. XXXXXXXXX, La modifica unilaterale del contratto, cit., p. 297.
rimediale per le fattispecie di impossibilità sopravvenuta della prestazione caratteristica che si verifichino successivamente alla partenza, meccanismo che sostanzialmente affida al tour operator la scelta tra il rimborso al turista delle prestazioni non godute e l’offerta di prestazioni alternative equivalenti senza oneri aggiuntivi (prestazioni alternative che possono essere rifiutate solo con giustificato motivo).
Maggiore interesse per questa trattazione presentano i primi 3 commi dell’articolo, che disciplinano, invece, le variazioni da apportare prima della partenza per un giustificato motivo oggettivo del tour operator o dell’intermediario.91 Quando il giustificato motivo si presenta, il contraente ne dà immediata comunicazione al turista per iscritto, indicando la modifica e la variazione di prezzo che ne consegue.92
La tecnica legislativa nel prevedere la disciplina degli effetti di tale comunicazione è, purtroppo, sconfortante e reintroduce, amplificandoli, i dubbi esaminati in merito al IV comma dell’articolo precedente. Il turista, infatti “entro due giorni lavorativi” dalla ricezione della comunicazione (definita dalla norma “proposta di modifica”) deve scegliere se accettarla o recedere. Il problema interpretativo, lo si vede ictu oculi, non è di poco conto: la terminologia usata
91 La norma parla infatti di modifiche che tali soggetti abbiano “la necessità” di operare, e non sembra possibile dare un’interpretazione diversa dell’inciso.
92 Nei limiti ed ai sensi di quanto previsto dall’articolo precedente e dunque, come detto, solo per gli indici di costo ivi indicati e solo ove espressamente previsto dal contratto.
(“proposta” e “accettare”), fa sicuramente pensare ad una modifica bilaterale che esclude in radice un diritto potestativo di apportare variazioni. Se così fosse, però, la mancata accettazione della proposta dovrebbe determinare, secondo le regole generali, la sua totale inefficacia e la permanenza del contratto con contenuti invariati. L’alternativa all’accettazione che il legislatore dà al turista è, invece, solo il “recesso”, e non la permanenza nel contratto originario (che, come detto poco sopra, non giustificherebbe il recesso). Si potrebbe essere tentati, allora, di ricostruire la norma come una facoltà di recesso del prestatore caratteristico: al sorgere della necessità di variazioni, cioè, questi potrebbe proporre una modifica contrattuale che, ove non accettata, produrrebbe la caducazione del contratto (con i pesanti effetti, anche risarcitori, peraltro, di cui all’art. 42 cod. tur.). La forzatura del dato letterale sarebbe, però, evidente: il legislatore parla chiaramente di recesso del turista e non del tour operator. Sembra, quindi, che, vista l’analogia dei problemi interpretativi incontrati nella disamina dell’art. 40, IV comma, la disciplina sia da ricostruire nel medesimo modo, come vero e proprio diritto alla modificazione unilaterale del contratto, con relativo diritto di recesso del turista.93
93 In tal senso cfr. X. XXXXXXX, Il contratto di viaggio, cit., p. 233 ss.; X. XX XXXXXX, Xxxxxxxx sullo ius variandi, in I nuovi contratti nella prassi commerciale, a cura di X. Xxxxxx, XXIV, Xxxxxxxx ricorrenti
– accordi e discipline, UTET, 2004, p. 156; A. M. XXXXXXXXX, Recesso del consumatore, in Enc. Dir., Xxxxxx, IV, Xxxxxxx, 2011, p. 2011; contra X. XXXXXXX, Fondamento e limiti dello ius variandi, cit., p. 294, nota 489; X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 524; X. XXXX, op. ult. cit., p. 292.
L’attività bancaria è un settore che presenta esigenze di tutela e disciplina disparate, dal rilevantissimo impatto, sul breve come sul lungo termine, per gli individui e per gli operatori economici. È evidente che nel rapporto con l’istituto di credito il risparmiatore privato, ma anche il piccolo imprenditore, sono in posizione di forte debolezza contrattuale ed economica: la scarsa (od assente) negoziabilità in concreto, per questi soggetti, delle condizioni - economiche e non - dei contratti conclusi con la banca è un dato che non si appalesa solo al giurista o all’economista, essendo parte dell’esperienza comune. In quest’ottica la disciplina dei contratti bancari parrebbe difficilmente conciliabile - viste le accennate criticità di mercato già in sede di determinazione consensuale dell’oggetto - con l’ammissibilità di un diritto di modifica unilaterale in favore della banca, diritto che altro non farebbe che acuire lo squilibrio della già particolare situazione giuridico economica tra le parti.
D’altro canto è pure innegabile che i contratti bancari si trovino strettamente collegati ad elementi di mercato (monetario e finanziario) soggetti a variazioni più o meno prevedibili ed anche molto rilevanti, che possono rendere molto oneroso il mantenimento di condizioni determinate liberamente dalla banca, ma con lo sguardo volto ad un panorama di mercato ormai mutato. La dicotomia, del resto, non è semplicemente tra tutela della banca e tutela del risparmiatore e
dell’impresa (non bancaria): l’iniziativa economica ed il risparmio, infatti, si esplicano e si realizzano anche proprio grazie ed attraverso l’attività bancaria, che diventa così elemento fondante e fondamentale del tessuto economico. In tale diversa ottica, dunque, la garanzia per la banca di poter tenere una condotta aziendale assennata ed in grado di adeguarsi alle variazioni di mercato non esplica solo vantaggi immediati per l’impresa bancaria, ma - garantendo stabilità al sistema - anche vantaggi (mediati, ma sicuramente molto rilevanti) per gli altri operatori economici e per i risparmiatori, diventando così strumento di tutela degli interessi sopramenzionati, costituzionalmente garantiti (artt. 41, 47 Cost.).94
Alla luce di quanto accennato95 non stupisce, dunque, la presenza di una norma, come l’art. 118 d. lgs. 1 Settembre 1993 n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), che prevedeva a favore della banca la possibilità, nei contratti di durata, di convenire clausole di modifica unilaterale di tassi, prezzi ed altre condizioni, peraltro con amplissima discrezionalità.96
94 Sul punto, in tal senso: X. XXXXXXX, Jus variandi e contratti aventi ad oggetto servizi finanziari, in AA. VV., Diritto privato. Condizioni generali e clausole vessatorie, II, XXXXX, 1996, p. 332; X. XXXXXXX, Fondamento e limiti dello ius variandi, cit., p. 122; X. XXXXXXXXX, Condizioni generali di contratto e rapporti bancari, in X. XXXXXX, Clausole vessatorie e contratto del consumatore, CEDAM, 1996, p. 133.
95 Che impone, anche, particolare rigore nel valutare ogni applicazione analogica di quanto si andrà ad esaminare.
96 Nella prassi la previsione di clausole di modifica unilaterali predata decisamente il TUB, essendo già rinvenibile nelle Norme Bancarie Uniformi in tema di deposito in conto corrente e di conto corrente di corrispondenza, v. X. XXXXXXXXX, La modifica unilaterale del contratto, cit., p. 258.
La norma è stata poi oggetto di ripetuti interventi di riforma che hanno, tra le altre cose, ridotto drasticamente tale discrezionalità, ponendo come condizione dell’esercizio del diritto l’esistenza di un giustificato motivo e dettando una disciplina dettagliata sulle modalità dell’esercizio della variatio. Si ammette inoltre, oggi, che oggetto delle modifiche possano essere anche gli elementi regolamentari del contratto e non solo economici.97
Il risultato di tali riforme è, oggi, una norma complessa, che opera distinzioni soggettive (in merito al tipo di cliente dell’istituto di credito) ed oggettive (in merito ai presupposti ed ai limiti della modifica), che verranno qui solo brevemente accennate per consentire una ricognizione dei caratteri odierni dell’istituto.
Al primo comma, dunque, l’articolo prevede la facoltà per le parti di inserire - nei contratti di durata - una clausola, soggetta a specifica approvazione per iscritto da parte del cliente, che preveda la facoltà di modifica unilaterale sopra ricordata, condizionata all’insorgere di un giustificato motivo. Il particolare requisito formale della doppia sottoscrizione fuga ogni dubbio sulla possibilità di un esercizio di tale diritto di modifica al di fuori di una specifica previsione
97 P. SIRENA, Il ius variandi della banca dopo il c.d. decreto legge sulla competitività (n. 233 del 2006), in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, p. 270. L’opinione era prevalente in dottrina anche prima della riforma operata con L. 4 Agosto 2006, n. 248 (che ha mutato la dicitura “i tassi, i prezzi e le altre condizioni” in “i tassi, i prezzi e le altre condizioni di contratto”), ma non era unanime: cfr., tra gli altri, F. DI MARZIO, Clausola sullo ius variandi, cit., p. 187 ss.
contrattuale, dubbio che sarebbe, peraltro, giustificato dalla ratio di tutela di rilevanti interessi pubblicistici sopra ricordata.98
La modifica deve essere comunicata al cliente (II comma) con preavviso di due mesi e con oneri di forma - contenuto: il mancato rispetto delle modalità di esercizio del diritto alla variazione determina l’inefficacia della modifica stessa, ma solo se questa è da ritenersi in peius per il cliente. Ricevuta la comunicazione, il cliente ha tempo sino al giorno di entrata in vigore della modifica per esercitare il proprio conseguente diritto di recesso: da notare che, se esercitato, il recesso dà diritto alla liquidazione del contratto alle condizioni, invariate, precedenti alla modifica.
Il dato letterale potrebbe gettare alcuni dubbi sulla natura di diritto potestativo del meccanismo di modifica de quo: infatti, la comunicazione deve obbligatoriamente contenere la formula, evidenziata, “Proposta di modifica unilaterale del contratto”. L’uso del termine proposta, unito alla circostanza per cui in mancanza di accettazione da parte del cliente il recesso opererebbe alle condizioni previgenti, potrebbe infatti far sorgere (ed ha fatto sorgere99) dubbi sul fatto che la fattispecie modificativa in questione abbia in realtà natura consensuale bilaterale, essendo costituita dall’incontro della proposta, appunto,
98 X. XXXX, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, cit., p. 238; X. XXXXXXXXXX,
La normativa sulla trasparenza: il jus variandi, in Dir. banc., 1994, p. 469 ss.
99 X. XXXXXXX, Ius variandi, recesso, spese di chiusura conto e condizioni economiche nei contratti bancari del consumatore: dalla giurisprudenza alle nuove regole del t.u.b., in Riv. Dir. Priv., 2006, 4, p. 876.
della banca con il silenzio-assenso del cliente, silenzio significativo in quanto contestualizzato nel rapporto contrattuale vigente e, soprattutto, tipizzato nei suoi effetti dalla norma in esame. L’opinione contraria è, però, maggioritaria in dottrina ed unanime nella prassi:100 come si è già avuto modo di osservare, infatti, l’alternativa tra recesso e acquiescenza dinanzi ad una modificazione non equivale a rifiuto od accettazione della modificazione stessa, e ciò per la chiara distinzione tra rifiuto della modifica (che dovrebbe comportare la permanenza del contratto alle condizioni concordate) e recesso in seguito alla modifica (che è l’unico mezzo di reazione che ha il cliente, ma che pone nel nulla - contro la di lui volontà - il contratto fino a quel momento in effetto). In tale ottica, dunque, è da condividere l’opinione di chi ha suggerito come il termine “proposta” imposto dal legislatore per le comunicazioni, lungi dall’essere termine tecnico riferito alla formazione di un vincolo contrattuale, sia finalizzato ad ottenere la massima trasparenza, rendendo chiaro al cliente che l’intervento unilaterale della banca non è ineluttabile, ma ammette come via d’uscita un immediato recesso alle condizioni previgenti.101 Rectius: alle condizioni vigenti, giacché la modifica interviene, sì, per atto unilaterale che non richiede accettazione, nemmeno tacita, ma produce effetti solo alla
100 X. XXXX, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, cit., p. 246, anche in nota 48.
101 X. XXXXXX, La trasparenza bancaria, CEDAM, 2012, p. 106.
scadenza del termine per il recesso,102 cosicché è inevitabile che il recesso esercitato prima di tale efficacia sia disciplinato dalle condizioni immodificate.
Il comma 2-bis dell’articolo introduce un regime variabile a seconda del cliente, come si accennava: qualora, infatti, lo stesso sia un consumatore o una micro- impresa lo jus variandi contrattuale non potrà in nessun caso investire, nei contratti a tempo determinato, la determinazione dei tassi di interesse. Ove il cliente non rientri, invece, in una di queste due categorie di contraenti “deboli”, la modifica unilaterale dei tassi nei contratti a tempo determinato sarà ammessa, con aggravamento, però, del requisito del giustificato motivo, dovendo essere l’esercizio del diritto collegato a “specifici eventi e condizioni, predeterminati nel contratto”.
Norme rilevanti per la disciplina del jus variandi si rinvengono nella L. 18 Xxxxxx 1998, n. 192, che, come noto, disciplina la controversa103 figura del rapporto di subfornitura. Come per le norme a tutela del consumatore e per quelle in materia bancaria, la disciplina del jus variandi in tema di subfornitura non disciplina casi legalmente tipizzati di diritto alla modifica unilaterale del
contratto, introducendo, viceversa, espressi limiti all’autonomia contrattuale
102 X. XXXX, op. ult. cit., p. 247.
103 I problemi legati all’individuazione dei confini, vaghi ed amplissimi, della fattispecie contrattuale astratta della “subfornitura” e dunque alla valorizzazione (o meno) dello stato di dipendenza tecnologica - a cui peraltro non necessariamente si accompagna quello di dipendenza economica - del subfornitore sono ben noti e non verranno qui approfonditi.
delle parti nell’inserire xxxxxxxx xxxxxxxx di tale tenore in questo genere di
contratti.
La disciplina è, anzi, molto più restrittiva di quelle sin qui esaminate, giacché più che introdurre limiti quello che viene posto è un divieto, se l’art. 6 della L. 192/98 prevede che “è nullo il patto tra subfornitore e committente che riservi ad uno di essi la facoltà di modificare unilateralmente una o più clausole del contratto di subfornitura”. La formulazione del divieto, come si vede, è effettuata in maniera soggettivamente ed oggettivamente assoluta: non è ammessa la facoltà di modifica unilaterale anche di una sola clausola e non è ammessa a prescindere dalla parte a vantaggio della quale questa possa operare. La ragione di un divieto soggettivamente assoluto in seno ad una disciplina posta a tutela di una parte debole nel contratto asimmetrico104 potrebbe sembrare sfuggente: se la disciplina tutela una parte debole non sembra esserci ragione né di vietare ad essa la modifica, né di porre nel nulla le modifiche volute dal contraente forte, se queste operino in melius per la controparte svantaggiata. La dottrina ha però evidenziato come nel rapporto di subfornitura sia impossibile stabilire, in astratto, da che parte stia la debolezza economica e contrattuale: normalmente si tratterà del subfornitore, ma a seconda del contesto economico e produttivo particolare in cui si inserisce il singolo contratto riconducibile al modello della subfornitura potrà verificarsi che la parte concretamente dipendente sia,
104 X. XXXX, op. ult. cit., p. 184.
invece, il committente.105 Di qui l’opportunità di introdurre il divieto senza
distinzione soggettiva.
La portata della norma è ampia e non trova eccezioni nel testo della Legge 192. Non è un’eccezione quella contenuta nel secondo alinea del medesimo comma che introduce il divieto, per il quale “sono tuttavia validi gli accordi contrattuali che consentano al committente di precisare, con preavviso ed entro termini e limiti contrattualmente prefissati, le quantità da produrre ed i tempi di esecuzione della fornitura”. Una norma simile è già stata incontrata in tema di somministrazione (art. 1560, II comma, supra, § 3 del secondo capitolo) e si possono qui richiamare i rilievi sopra svolti: anche in questo caso la scelta del committente non va ad incidere sul contenuto contrattuale modificandolo, ma precisandolo entro limiti predeterminati, di talché non di modificazione si tratta,106 ma di determinazione, come più volte sottolineato. Non, è allo stesso modo, un’eccezione quella che si ricava dal V comma dell’art. 3, per il quale “ove vengano apportate, nel corso dell'esecuzione del rapporto, su richiesta del committente, significative modifiche e varianti che comportino comunque incrementi dei costi, il
000 X. X. XXXXXXXX, Xx contratto di subfornitura, in AA. VV., I contratti di appalto privato, a cura di X. Xxxxxxx, UTET, 2011, p. 525 ss.; X. XXXXXXXX, Equilibrio contrattuale eterodeterminato, Edizioni Scientifiche Italiane, 2013, p 66 ss.; M. A. LIVI, Le nullità, in AA. VV., La subfornitura nelle attività produttive, a cura di X. Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 217 ss.
106 X. XXXXX, La subfornitura, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, diretto da X. Xxxxxxx, Libro IV, Titolo III, Dei singoli contratti, Zanichelli, 2003, p. 318 ss. e nello stesso senso
X. XXXXXXXXX, La modifica unilaterale del contratto, cit., p. 293, così come X. XXXX, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, cit., p. 184. Contra X. XXXXX, Le clausole attributive dello jus variandi, cit., p. 89, senza, però, particolari sforzi argomentativi su questo particolare aspetto.
subfornitore avrà diritto ad un adeguamento del prezzo anche se non esplicitamente previsto dal contratto”. L’apparente antinomia (l’esclusione assoluta del jus variandi non consentirebbe le “significative modifiche e varianti” unilaterali che la norma dà per scontate), deve infatti essere risolta proprio con il criterio interpretativo dettato dall’art. 6: poiché in tema di subfornitura la modificazione unilaterale è radicalmente esclusa, le “modifiche e varianti” possono dal committente essere solo “richieste”, come infatti dice la norma, ma se verranno introdotte sarà solo a seguito di accordo modificativo bilaterale, secondo la regola generale.107
Per il valore sistematico del divieto di cui all’art. 6 L. 192/98 si rinvia al Capitolo
successivo (§ 3).
107 Così X. XXXXX, op. ult. cit., p. 90, che però qualifica come vero e proprio jus variandi il diritto del subfornitore ad ottenere l’adeguamento del prezzo. Non sembra, però, che il diritto all’adeguamento del prezzo da parte del subfornitore (diritto che all’evidenza discende dall’alterazione del sinallagma originario effettuata dalle variazioni o modifiche “significanti”) si atteggi come un diritto potestativo di modifica del contratto.
CAPITOLO QUARTO.
Problemi interpretativi e tratti comuni: limiti operativi e rimedi in caso di abuso.
SOMMARIO: 1. Gli elementi caratterizzanti delle fattispecie sin qui esaminate. 1.1 Nella disciplina dei tipi. 1.1.1 La discrezionalità dell’an. 1.1.2 L’estensione della modifica. 1.1.3 La reazione della parte in soggezione 1.2 Nelle discipline di settore. 1.2.1 L’an e il quantum. 1.2.2 Il recesso 2. I rimedi in caso di abuso. 3. Jus variandi di fonte pattizia: conclusioni. 4. Oltre la lettera del contratto: l’effetto modificativo di fatto in alcune ipotesi particolari. 4.1 Jus variandi come effetto in concreto di opzioni put con prezzo determinato a consuntivo. 4.2 Jus variandi nei contratti derivati: accenni ai CDS.
Giunti a questo punto dell’analisi compilativa che ci ha portati ad esaminare le principali fattispecie di jus variandi in vario modo disciplinate dalla legge, possiamo confermare l’estraneità della fattispecie alla disciplina del contratto in generale, disciplina regolata, come ricordato in principio, da una tendenziale immutabilità del regolamento contrattuale per iniziativa unilaterale delle parti, immutabilità giustificata da quella “forza di legge” che esprime l’idea di un accordo che è senz’altro vincolante. E che l’accordo contrattuale sia vincolante è parimenti chiaro tanto a chi ritiene la formula usata dall’art. 1372 “augusta e felice” quanto a chi la ritiene un enfatico pleonasmo. Dobbiamo, altresì, prendere atto, però, della non rara ricorrenza di tale meccanismo modificativo in diversi settori di disciplina, settori tanto codicistici quanto extracodicistici.
Sulla scorta di quanto sin qui osservato, allora, è innanzitutto possibile, dopo aver distinto ciò che è modificazione unilaterale da ciò che non lo è, iniziare ad operare delle distinzioni e classificazioni, all’interno delle fattispecie che
abbiamo appurato appartenere effettivamente alla categoria oggetto della nostra analisi, tra le diverse ipotesi di modificazione unilaterale.
1. Gli elementi caratterizzanti delle fattispecie sin qui esaminate.
Come abbiamo cercato di volta in volta di sottolineare, gli elementi caratterizzanti delle varie fattispecie di jus variandi rinvenibili nella disciplina dei tipi (ed altrove) ci sembrano essere essenzialmente tre, che si collocano, rispettivamente, nella fase logicamente anteriore all’evento modificativo, nella fase di attuazione della modificazione ed, infine, nella fase successiva, come posterius dell’esercizio del diritto. Tali elementi sono, dunque:
- il livello di discrezionalità lasciato al titolare del diritto per il suo esercizio (e cioè i presupposti in base ai quali questi potrà, o meno, decidere di effettuare la modifica: l’an del jus variandi);
- la latitudine dei poteri di modifica (e cioè, una volta accertato che il titolare del diritto si trova nelle condizioni di apportare lecitamente la modifica, l’estensione della modifica che questi potrà apportare: il quantum del diritto di modifica);
- i mezzi di reazione - se presenti - lasciati alla parte che si trova in posizione di soggezione rispetto al potere di variatio.
1.1 Nella disciplina dei tipi.
Anche in questa sede l’analisi tratterà separatamente la disciplina codicistica da quelle settoriali, poiché, come si avrà modo di osservare, la tecnica legislativa adottata nei due ambiti è differente e non consente, per vari aspetti, un esame congiunto.
1.1.1 La discrezionalità dell’an.
Dal primo punto di vista, dunque, la classificazione segue la summa divisio tra variazioni operate dalla parte secondo un criterio decisionale ad ampio carattere discrezionale e variazioni che invece richiedono, perché il relativo diritto venga riconosciuto alla parte, la ricorrenza di determinati elementi e quindi solo entro limiti prefissati dal legislatore.108
Ripercorrendo quindi l’ordine in cui i tipi sono stati esaminati nel corso dei paragrafi del secondo capitolo, in tema di appalto abbiamo ricordato che l’unica delle norme in materia di variazioni a disciplinare una fattispecie di modifica unilaterale è quella contenuta nell’art. 1661 c.c.109
108 In questo senso X. XXXXX, Le clausole attributive dello jus variandi, cit., p. 45 s. e passim nel prosieguo.
109 Cfr. supra, sub Capitolo 2, § 1. Ed in tale ottica si spiega ulteriormente il rilievo ivi svolto per cui la modifica prevista dall’art. 1660 c.c. non è in realtà modifica unilaterale: la necessarietà della variatio, infatti, preclude del tutto un’indagine sull’an del diritto alla modificazione, giacché, come ricordato, data la natura professionale dell’appaltatore, ove la variazione progettuale sia necessaria per il rispetto delle regole dell’arte non si tratta più di un diritto di modifica, più o meno discrezionale, dell’appaltatore, bensì di un suo preciso obbligo discendente dalla particolare diligenza che deriva dalla struttura causale del tipo. E ciò in
Ed emerge ictu oculi dalla lettura della norma, oltre che da quanto sopra esposto, che il jus variandi esercitabile dal committente raggiunge la massima estensione essendo esercitabile ad nutum, sebbene non per mero capriccio.110 La distinzione tra mera discrezionalità e mero capriccio, peraltro, dovrà essere limitata all’indagine sull’effettiva esistenza di un interesse del committente corrispondente alla modifica da lui richiesta (rectius, imposta).
Rilievi di identico tenore si possono svolgere per il diritto di modifica di cui all’art. 1685 c.c., e dunque per il “diritto al contrordine” del mittente al vettore nel trasporto di cose.111 Anche qui, dunque, ampia discrezionalità sull’an della modifica, discrezionalità collegata all’assetto di interessi che la causa contrattuale realizza.
Del tutto diverso il diritto del percipiente la rendita perpetua, di imporre all’obbligato il riscatto forzoso.112 Come visto, infatti, in questo caso la modificazione è, sì, unilaterale e rimessa alla scelta del creditore, ma sorge solo nei limitati casi di inadempimento o di riduzione delle garanzie e, dunque, la discrezionalità dell’avente diritto è assai limitata, svolgendosi nei ristretti confini delle fattispecie tipiche previste dal legislatore, il che, peraltro, si spiega
disparte a quanto pure rilevato sulla natura costitutiva che assume la sentenza necessaria in mancanza di accordo sulle modifiche richieste.
110 X. XXXXXXXXXXX, Modificazione unilaterale del contratto (diritto civile), cit., p. 489.
111 Supra, sub § 2 nel capitolo secondo.
112 Su cui x., xxxxx, xx xxxxxxx xxx § 0 xxx xxxxxxx xxxxxxxx.
con l’evidente funzione lato sensu rimediale che ha questa ipotesi di modificazione unilaterale.
Torna di nuovo ad espandersi la discrezionalità d’esercizio del diritto potestativo di variazione in tema di assicurazione sulla vita,113 che anzi supera, si deve ritenere, il livello di quella prevista in tema di appalto e trasporto. Anche qui, infatti, la modificazione è esercitabile ad nutum. La differenza sta, però, nella valutazione dell’interesse. Come abbiamo poc’anzi ricordato, infatti, l’ampia discrezionalità che ha il committente nell’appalto ed il mittente nel trasporto significa che questi può operare modificazioni senza dover dimostrare la ricorrenza di particolari condizioni di fatto - né predeterminate dal legislatore, né nella forma del “giustificato motivo” – ma anche solo a seguito di una propria personale rivalutazione dei propri personali interessi, rilevanti alla luce della causa contrattuale. Abbiamo altresì precisato, però, che, come rilevato dalla più attenta dottrina,114 la libertà della parte non può spingersi oltre i confini della pur ampia discrezionalità per diventare espressione di un mero capriccio. Ma la distinzione tra discrezionalità e capriccio, abbiamo pure ricordato, sta solo nella valutazione dell’esistenza di un interesse del creditore alla modificazione, peraltro secondo il generale principio di rilevanza di cui all’art. 1174 c.c. Ebbene, nel caso del jus variandi a disposizione dell’assicurato
113 Supra, sub § 6 del secondo capitolo.
114 X. XXXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 489.
sulla vita, tale controllo non si profila nemmeno in via ipotetica, poiché l’interesse giuridicamente valutabile e tutelabile – che è poi l’interesse a modulare una propria obbligazione a lungo o lunghissimo termine nei confronti di un soggetto contrattualmente forte e per vicende intimamente legate alla vita dell’assicurato stesso – è in re ipsa ed è anzi la ragione che spinge il legislatore a garantire tale diritto.
In ultimo, per quel che riguarda la discrezionalità d’esercizio del jus variandi nella disciplina dei tipi del codice civile, abbiamo ricordato brevemente115 che il datore di lavoro ha oneri probatori diversi a seconda che il potere venga esercitato nel senso di un’assegnazione del lavoratore a mansioni di livello superiore od inferiore, il che peraltro si spiega agevolmente ove si pensi alla ratio delle norme giuslavoristiche che, nel disciplinare l’organizzazione dell’impresa garantendo la sua efficienza e competitività, devono sempre mantenere un alto livello di tutela del lavoratore subordinato, in ragione della debolezza contrattuale di questi116 e, soprattutto, dell’altissimo rango costituzionale dei suoi interessi che con il contratto di lavoro trovano realizzazione.
In base a quanto sin qui ricapitolato, dunque, si può dire che nella disciplina dei
tipi “convivono” fattispecie di jus variandi ad alto contenuto discrezionale con
115 Supra, sub § 7 del secondo capitolo.
116 Xxx spiega la maggiore derogabilità in caso di contrattazione collettiva.
altre fattispecie a discrezionalità molto attenuata. O meglio: la scelta del titolare del diritto sull’esercizio – o meno – del potere di modifica è sempre discrezionale: abbiamo infatti detto che quando tale esercizio non sia discrezionale, ma del tutto vincolato (rectius: dovuto), come nel caso delle modifiche necessarie nell’appalto o della consegna impossibile nel trasporto, la fattispecie esulerà del tutto dalla qualificazione di modifica unilaterale del contratto al nostro esame. La discrezionalità è però attenuata nel senso che il diritto alla modifica sorge solo al presentarsi di determinate circostanze: prima del loro verificarsi non vi sarà alcuna discrezionalità perché non v’è alcun diritto esercitabile, dopo il loro verificarsi la discrezionalità si riespande completamente, e la scelta è rimessa integralmente alla valutazione del titolare del diritto.
1.1.2 L’estensione della modifica.
Spostando l’attenzione dall’an al quantum,117 l’ampiezza delle modifiche che possono essere unilateralmente apposte è in effetti molto più regolamentata, sia per quanto espressamente disposto dalle norme in questione, sia per l’interpretazione che delle stesse si può dare.
117 X. XXXXX, Le clausole attributive dello jus variandi, cit., p. 46, parla di an e quomodo, ma ci pare che il quantum sia foriero di minore confusione tra estensione della modifica e modalità di esercizio del diritto (come ad esempio quelle stabilite dall’art. 118, II comma, t.u.b.).
Seguendo l’ordine sin qui adottato e tornando, dunque, all’appalto, abbiamo osservato che sotto questo punto di vista la modifica del committente è doppiamente limitata. La prima limitazione è quantitativa: il committente può infatti apportare modifiche in via unilaterale solo se il loro ammontare non supera la sesta parte del prezzo complessivamente pattuito per l’opera o per il servizio. La seconda limitazione è qualitativa: anche le variazioni contenute nel sesto del prezzo complessivo non potranno, infatti, essere apportate unilateralmente qualora, pur rimanendo al di sotto di tale soglia, determinino una rilevante modificazione dell’opera o dei quantitativi delle singole categorie di lavoro necessarie per il suo compimento. La ratio di tali limiti è chiaramente quella di tutelare l’appaltatore davanti ad un ampio potere discrezionale di modifica del committente; potere che, pur corrispondendo ad un interesse giuridicamente rilevante e tutelabile di quest’ultimo, può pregiudicare il prestatore caratteristico che – dovendo organizzarsi e gestirsi a proprio rischio nell’esecuzione, ex art. 1655 c.c. – fa una valutazione sulla complessità del progetto prima di obbligarsi alla sua realizzazione, cosicché delle valide modifiche unilaterali di impatto rilevante intervenute dopo la conclusione del contratto ingenererebbero un forte rischio di inadempimento e dunque di responsabilità.
E proprio in base a tale ratio vanno dunque interpretati i limiti, cosicché, in caso di esercizio plurimo e successivo del diritto alla variatio, l’appaltatore potrà
ritenersi legittimamente libero di non seguire le modifiche a partire da quella che, sommata alle precedenti, superi le soglie determinate dalla legge,118 salva ovviamente la possibilità di adempiervi spontaneamente (e dunque in base ad accordo modificativo bilaterale).
In conclusione ci possiamo limitare ad accennare che il jus variandi del committente ex art. 1661 c.c. può incidere solo su un particolare elemento regolamentare del contratto e cioè sul progetto (e quindi: sui caratteri della prestazione caratteristica): la modificazione unilaterale degli elementi puramente economici non è, invece, ammessa.119
In tema di traporto, diversamente, l’ampiezza dei limiti alla modifica sembra tornare a dilatarsi massimamente, dal momento che stando alla lettera dell’art. 1685 c.c. il mittente può sia chiedere al vettore la sospensione del trasporto, la restituzione delle cose e la consegna ad un diverso destinatario, sia “disporre diversamente”. La limitazione dovrà tuttavia darsi in via interpretativa, giacché, come peraltro già ricordato, non è pensabile né che il mittente costringa il vettore ad operare su tratte non precedentemente coperte dalla propria impresa,120 né che la modifica incida a tal punto sul contenuto contrattuale da
118 X. XXXXXX, Dell’appalto, con aggiornamento di X. XXXXXX, in Commentario al codice civile Scialoja-Branca, diretto da X. Xxxxxxx, Libro Quarto – Obbligazioni (artt. 1655 – 1677 c.c.), 1992, p. 270.
119 Salvo ovviamente quanto si ricorderà a breve sul necessario adeguamento del prezzo a
seguito dell’esercizio del diritto.
120 X. XXXXXXX, Il trasporto e la mediazione, cit., p. 800.
portare ad una prestazione radicalmente diversa da quella originariamente pattuita,121 o da modificare addirittura i caratteri del tipo.
All’estremo opposto della curva che descrive lo spazio di manovra nella scelta delle modifiche operabili unilateralmente troviamo, poi, il riscatto forzoso nella rendita perpetua e la riduzione della somma assicurata nell’assicurazione sulla vita: in entrambi i casi infatti la parte che esercita il diritto può apporre al rapporto un unico tipo di modifica, residuando solo, per l’assicurazione, la scelta sul livello di riduzione desiderato.
Per concludere anche questo segmento di analisi, ci limitiamo a dire, in merito al contratto di lavoro, che anche in questo caso la modifica torna ad ampliarsi, giacché, come abbiamo appena ricordato, il criterio di tutela del lavoratore opera più che altro sull’an della modificazione unilaterale.122
1.1.3 La reazione della parte in soggezione.
All’inizio del primo paragrafo di questo capitolo abbiamo identificato, come terzo ed ultimo elemento caratterizzante le varie specie di modificazione unilaterale, l’eventuale mezzo di reazione lasciato alla parte che si trova in soggezione rispetto al diritto potestativo altrui. In realtà ci pare di poter dire che tale potere di reazione, situandosi in una fase posteriore alla modifica e, quindi,
in una fase in cui la dichiarazione unilaterale della parte ha già prodotto un
121 X. XXXXX, Le clausole attributive dello jus variandi, cit., p. 51.
122 An che è però diversamente disciplinato proprio in relazione al quantum della modificazione.
qualche effetto sul contratto (abbiamo infatti visto che anche quando il contraente che subisce la modifica può recedere questo non significa che l’esercizio del jus variandi rimanga privo di effetti), non modifica la struttura ed i caratteri del diritto, ma sicuramente la vicenda negoziale nel suo complesso è radicalmente diversa a seconda dei modi con cui la parte può reagire od accogliere la modifica.
Ebbene, nella disciplina codicistica dei tipi la parte che subisce una variatio non ha una vera e propria possibilità di reagire ad essa, come ha invece la parte che la subisce nelle discipline di settore, su cui torneremo a breve. Non prevede il corrispettivo potere di recesso, infatti, nessuna delle discipline codicistiche sinora qualificate come jus variandi.
Se la modificazione unilaterale viene esercitata legittimamente,123 dunque, l’appaltatore, così come il vettore, non potranno far altro che richiedere il maggior prezzo e le maggiori spese, il che è, peraltro, naturale conseguenza dell’alterazione di uno degli elementi essenziali del sinallagma, e non vero e proprio strumento di reazione all’esercizio del diritto.
Ciò spiega anche il motivo per il quale, nel caso in cui la modifica apportata incida in senso riduttivo dei costi e dunque del prezzo, tale riduzione debba venire riconosciuta a chi esercita il diritto alla variatio. Ed in tema di appalto la
123 E cioè nei limiti individuati dalla norma che assegna tale diritto. Del resto, oltre tali limiti una modificazione unilaterale non potrebbe nemmeno avvenire.
ricostruzione trova ulteriore conferma nella previsione di un recesso, ad nutum e ad esecuzione già in corso, a favore del committente (art. 1671 c.c.): non avrebbe infatti senso consentire al committente di recedere dall’intera operazione e non di ottenere singole riduzioni.124 In tal caso, alla corrispettiva riduzione del prezzo si dovrà però aggiungere, a favore dell’appaltatore, l’indennizzo per le spese effettivamente – ma inutilmente – sostenute e per il mancato guadagno, come previsto dalla normativa in tema di recesso.125
Nel riscatto forzoso della rendita vitalizia una reazione del debitore non è nemmeno ipotizzabile: ed è anzi già l’esercizio del diritto di modifica unilaterale a costituire una reazione del creditore ad un inadempimento od alla riduzione delle garanzie, cosicché non vi sarebbe ragione di riconoscere al debitore un ulteriore spazio di manovra, anche perché – a differenza di quanto accade nell’appalto e nel trasporto – il sinallagma prima e dopo la modifica rimane sostanzialmente inalterato, se si considera che il debitore per effetto della variatio si trova a dover adempiere ad una prestazione che può certo essere onerosa nell’immediato, ma che è economicamente e giuridicamente equivalente, ai sensi dell’art. 1866 c.c., a quella precedentemente prevista dal contratto, mutando solo la dimensione diacronica che diventa, dopo la variazione, istantanea ed immediata.
124 X. XXXXXX, Dell’appalto, cit., p. 272.
125 X. XXXXX, Le clausole attributive dello jus variandi, cit., p. 50.
Anche la riduzione della somma assicurata non lascia e non richiede particolari correttivi in capo all’assicuratore, dal momento che è la stessa riduzione a determinare una rimodulazione degli obblighi di quest’ultimo all’avverarsi degli eventi dedotti in contratto, rimodulazione che dovrà essere necessariamente prevista dal contratto proprio alla stregua dell’art. 1925 c.c.
Tornando nuovamente al contratto di lavoro, è chiaro che il concedere al lavoratore di incidere sul potere lato sensu direttivo del datore di lavoro che si esplica anche nelle delimitate facoltà di mutamento delle mansioni frustrerebbe proprio quell’interesse all’efficienza ed alla concorrenza che l’art. 2103 c.c. tende, come più volte detto, a garantire. Il lavoratore non potrà quindi reagire alla modifica e sarà in ogni caso garantito, in caso di spostamento a mansioni superiori, dalla stabilizzazione dell’inquadramento e dal diritto alla superiore retribuzione corrispondente (che, chiaramente, consente l’adeguamento del sinallagma nella sua dimensione funzionale) e, in caso di “demansionamento”, dal mantenimento della retribuzione precedentemente goduta (con un’altrettanto chiara alterazione del sinallagma, giustificata dalle peculiari ragioni di tutela del lavoratore nel tipo socioeconomico che incarna il contratto di lavoro).
1.2 Nelle discipline di settore.
Come accennato, la tecnica legislativa di disciplina delle modificazioni unilaterali adottata dal legislatore codicistico del 1942 ha un’impostazione decisamente diversa da quella adottata dal legislatore delle più moderne discipline di settore.
Da un lato è diverso il terreno di partenza: il legislatore codicistico opera, come abbiamo visto, sul presupposto che i contratti si sostituiscano alla legge o quanto meno che ne abbiano la forza; le discipline di settore qui analizzate vengono tutte introdotte nell’ordinamento interno intorno agli anni ’90 del secolo scorso ed ereditano, quindi, diversi decenni di prassi in cui la variazione unilaterale non è certo clausola ignota.126
Dall’altro lato, e forse di conseguenza, diverso è il terreno di intervento: laddove il legislatore del 1942, lasciando intatta la disciplina del contratto in generale, è intervenuto su singoli tipi per prevedere dettagliate fattispecie di modifica unilaterale, il legislatore delle discipline settoriali interviene
126 Come ricordato, infatti, in particolare nel diritto bancario la previsione di clausole di modifica unilaterale è già rinvenibile nelle Norme Bancarie Uniformi in tema di deposito in conto corrente e di conto corrente di corrispondenza, cfr. X. XXXXXXXXX, La modifica unilaterale del contratto, cit., p. 258.
normando il jus variandi per intere categorie di contratti individuabili, più che per il tipo, per i soggetti coinvolti.127
Diviene quindi assai difficile, ed anzi impossibile, dettare una disciplina dettagliata delle ipotesi di jus variandi tipo per tipo, prendendo in considerazione gli interessi delle parti e parametrando an, quantum e contrappesi in base ai singoli assetti causali. L’intervento normativo, quindi, smette di essere introduttivo di dettagliate e tipiche facoltà di modifica e diventa, al contrario, fonte di limiti generali posti al soggetto forte nell’operare modifiche unilaterali che non trovano il proprio titolo nella legge, ma direttamente nel contratto.
Non, quindi, disciplina diretta del jus variandi della parte, come nei tipi del codice civile, bensì disciplina diretta delle clausole pattizie che tale diritto introducono. Ciò vale per i contratti del consumatore e per i contratti bancari. Lo stesso si dica per i pacchetti turistici per quanto riguarda la variazione del prezzo (art. 40 cod. tur.), mentre abbiamo visto (§ 2 del terzo capitolo) che la modifica degli elementi non economici in tali contratti discende direttamente dalla legge (art. 41 cod. tur.). L’eccezione alla nuova regola è del resto presto spiegata: i due articoli in tema di contratti turistici sono, sì, norme di settore, ma disciplinano un tipo contrattuale ben delineato: torna quindi in primo piano la
127 La banca, il consumatore, l’impresa in posizione di presumibile subalternità economica. Un’eccezione sembra potersi fare per la disciplina del jus variandi nei contratti turistici, visto che gli artt. 40 e 41 disciplinano il singolo tipo contrattuale del contratto di pacchetto turistico.
possibilità, per il legislatore, di effettuare ex ante quella dettagliata valutazione dell’assetto di interessi che informa la causa tipica,128 valutazione che consente di reintrodurre una disciplina specifica del diritto alla modifica unilaterale che prescinda da un’espressa volontà pattizia in tal senso.
1.2.1 L’an e il quantum
Essendo norme di disciplina generale – seppur nei rispettivi settori – non è quindi possibile per il legislatore identificare e normare a priori i primi due elementi caratterizzanti del diritto, l’an ed il quantum, che necessariamente devono essere differenziati a seconda della singola causa contrattuale a cui accedono.
Per tale motivo la modificazione unilaterale dei contratti nelle discipline di settore è, per quel che riguarda la discrezionalità della modifica, subordinata al verificarsi di giustificato motivo oggettivo, clausola generale129 dotata di elasticità sufficiente a consentire un controllo – preventivo – sulla liceità della
128 È qui evidente che la variatio si impone come necessaria alla luce di un contratto ad esecuzione molto spesso anche notevolmente differita ed in cui intervengono innumerevoli variabili che possono sfuggire al completo controllo e alla previsione del tour operator. Ricordiamo peraltro che la corrispondente variazione unilaterale del prezzo, a seguito della modifica necessaria, rimane possibile solo se espressamente pattuita alla stregua dell’art. 40 cod. tur., secondo la “nuova regola” di cui si discute, che vede la presenza di un jus variandi solo se introdotto dalla volontà delle parti al momento dell’accordo originario.
129 Così X. XXXXXXXX, Jus variandi bancario. Tra passaggi legislativi e giurisprudenza dell'ABF le linee evolutive dell'istituto, in Il Xxxx.xx, xxx.xxxxxx.xx, 2011, sez. II, doc. n. 260/2011, p. 6; X. XXXXXXXXXXX, Modificazione unilaterale del contratto (diritto civile), cit., p. 515, ritiene che si tratti piuttosto ed invece di un “concetto indeterminato”.
xxxxxxxx xxxxxxxx che introduce il diritto ed un controllo – successivo – sul corretto esercizio dello stesso da parte del titolare.130
Beninteso: è chiaro che il giustificato motivo attiene all’an, essendo la sopravvenienza giustificativa della modificazione proprio il discrimine tra l’esercizio efficiente di un diritto alla variatio unilaterale e la dichiarazione unilaterale priva di effetto, ad eccezione di quello propositivo ai fini di una modifica bilaterale. Ma è altresì evidente che il giustificato motivo, proprio per la sua conformazione strutturale, non può che riverberare anche sul quantum:131 non è infatti possibile stabilire se vi è una valida giustificazione alla modifica apportata, se tale giustificazione non viene posta in relazione alla modifica stessa ed alla sua proporzionalità.
Sopravvenienza, dunque, e non semplice nuova valutazione degli interessi, né rimedio ad un precedente errore di valutazione.132 E quindi sopravvenienza che abbia carattere oggettivo, e non soggettivo,133 dovendo cioè essere la nuova circostanza estranea alla sfera di controllo della parte che effettua la variatio.134 Se, del resto, il giustificato motivo deve essere strumento di controllo dei poteri di una parte nel modificare l’accordo, non può che darsi rilevanza a fatti
130 X. XXXX, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, cit., p. 188.
131 Ibidem.
132 X. XXXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 515.
133 Nel senso di seguito chiarito nel testo: può invece assumere rilievo una circostanza soggettiva riferibile non alla parte titolare del diritto, bensì a quella in posizione si soggezione. Si pensi, ad esempio, al cliente della banca che veda ridursi la propria affidabilità creditizia.
134 X. XXXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 513 ed in nota 190.
estranei al controllo di essa, poiché, diversamente opinando, si acuirebbe irragionevolmente il rischio di rendere il jus variandi non esercitabile solo giustificatamente, bensì anche ad nutum, con evidente frustrazione della ratio della norma.
Il giustificato motivo, si diceva, viene impiegato dal legislatore nelle discipline settoriali per ovviare al difetto di specificità della normativa che deve fare necessario riferimento ad intere categorie di contratti, a volte determinate solo soggettivamente. Va espressamente subordinato ad un giustificato motivo, infatti, il jus variandi disciplinato dalle clausole di cui all’art. 118 t.u.b., così come da quelle rientranti nella definizione di cui all’art. 33, lettera m), cod. cons. ed infine da quelle sulla riduzione del prezzo di cui all’art. 40 cod. tur.
Le menzionate previsioni sono omogenee, ma non identiche: laddove per i contratti bancari è sufficiente che il jus variandi pattizio sia esercitato solo in presenza di un giustificato motivo, locuzione da riempire di significato di volta in volta in via interpretativa,135 nei contratti del consumatore non solo si prevede che il diritto debba essere subordinato alla ricorrenza di un giustificato motivo, ma anche tale giustificato motivo debba essere indicato, ex ante, nel contratto, il che garantisce ovviamente un maggior grado di tutela al
135 Ed è questa infatti la materia che ha maggiormente sollecitato il dibattito interpretativo, soprattutto della prassi, su cosa costituisca giustificato motivo di variazione e che ha anche portato all’esclusione – contro l’inevitabile resistenza delle banche – della rilevanza del giustificato motivo soggettivo.
consumatore, visto che il catalogo di ragioni che possono portare a modifiche gli sarà noto sin dalla conclusione del contratto.
L’obbligo di indicazione del giustificato motivo nel contratto torna a cadere nella disciplina di cui all’art. 40 cod. tur., la quale, tuttavia, non fa riferimento ad un generico “giustificato motivo”, ma, come visto, riporta un elenco tassativo di elementi economici la cui variazione facoltizza l’intervento unilaterale sul contenuto contrattuale, oltre ad imporre l’inclusione nel contratto degli espressi criteri di calcolo dell’adeguamento, con il che è altrettanto garantita l’esigenza del turista di avere perfetta contezza e prevedibilità del meccanismo di variazione già al momento della stipula.
Non sembrano richiedere, stando alla lettera della norma, un giustificato motivo le variazioni di prezzo di cui alla lettera o) dell’art. 33 cod. cons. e le variazioni degli elementi contrattuali diversi dal prezzo di cui all’art. 41 cod. tur. Quanto a quest’ultima norma, l’attenta lettura della disposizione esclude già che il jus variandi del ivi disciplinato sia esercitabile ad nutum: l’articolo parla infatti di “necessità di modificare”, terminologia che esclude la modifica dettata da ragioni di mera opportunità136 ed impone, anzi, un approfondito esame sull’evitabilità della modifica stessa.
136 Così X. XXXXX, Le clausole attributive dello jus variandi, cit., p. 97.
Diversamente è a dirsi per le clausole di revisione del prezzo di cui alla lettera
o) dell’art. 33 cod. cons., le quali, se accompagnate dal diritto di recesso del consumatore, sfuggono alla presunzione di vessatorietà dettata dalla norma e dovrebbero considerarsi, dunque, valide. Il brocardo ubi lex dixit voluit ubi noluit tacuit è, peraltro, in questo caso particolarmente rilevante proprio perché la lettera m) del medesimo articolo prevede espressamente il diritto di recesso come requisito della clausola di variazione non negoziata onde escluderne l’inefficacia. Xxxxxxx tuttavia già rilevato che tale conclusione è inammissibile: innanzitutto perché controintuitiva. La funzione di tutela della parte debole della legislazione in tema di clausole vessatorie non è certo in discussione, e sarebbe quindi assurdo ritenere che il professionista possa sempre liberarsi dal contratto alzando il prezzo ad nutum e costringendo così il consumatore al recesso o al pagamento significativamente superiore rispetto a quanto pattuito. Ma per di più ricordiamo che l’elenco di cui all’art. 33, II comma, cod. cons. non esaurisce affatto le fattispecie di vessatorietà, rimanendo al contrario da verificare che le singole clausole non tipizzate in un divieto non sortiscano comunque l’effetto di determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio di diritti e doveri, autonomamente sanzionabile ai sensi del primo comma dell’articolo in questione. E dunque non per analogia con i casi di cui all’art. 33, II comma, lettera m), ma per l’applicazione dell’art. 33, I comma, interpretato secondo il criterio della buona fede, anche le clausole
consumeristiche di revisione del prezzo dovranno essere ancorate ad un giustificato motivo oggettivo,137 che potrà, in tal caso, rimanere espresso al livello di clausola generale, senza necessità di specifica indicazione nel testo del contratto.138
Il quantum della modificazione non è strettamente regolato da queste norme:139 da un lato, come poc’anzi detto, l’indagine sull’esistenza di un giustificato motivo è inerente all’an, ma riguarda anche il quantum, poiché non si può valutare la necessità di una modifica senza prenderne in considerazione anche la proporzionalità rispetto alla relativa sopravvenienza. Dall’altro lato, come subito vedremo, la parte che subisce la modifica è maggiormente tutelata anche senza predeterminazione di limiti, avendo a propria disposizione il diritto di recesso.
Come più volte detto, la peculiarità della disciplina del jus variandi nelle normative di settore rispetto a quella contenuta nel titolo III del libro IV del codice civile sta nel fatto che, mentre le seconde intervengono sulla disciplina di singoli tipi, la prima si applica ad intere categorie di contratti, che possono anche essere oggettivamente disomogenee in quanto accomunate a volte dal
137 X. XXXX, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, cit., p. 177.
138 X. XXXXX, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, cit., p. 172.
139 Fa eccezione, ma la ragione è stata ormai più volte esposta, il limite del 10% per la modifica
unilaterale del prezzo di cui all’art. 40 cod. tur.
solo criterio soggettivo. Conseguenza di ciò, abbiamo pure detto, è che per il legislatore è impossibile procedere ad un’analisi preventiva, generale ed astratta della causa contrattuale e degli interessi di volta in volta rilevanti, rendendosi così necessaria una disciplina meno specifica e più elastica, che trova la propria punta di diamante nell’uso della sfuggente clausola generale del giustificato motivo.
Ulteriore conseguenza di ciò, tuttavia, è che il legislatore non solo non possa valutare l’assetto di interessi che scaturisce dal contratto, ma nemmeno, a fortiori, quello risultante dalla modifica unilaterale. Modifica che deve, sì, essere giustificata, ma che viene comunque posta in essere da un atto di volontà unilaterale e che incide, quindi, in senso peggiorativo sugli interessi contrattuali della parte in soggezione. Non è possibile, in altre parole, stabilire a priori se il contratto, originariamente reputato proficuo e conveniente, a seguito della modifica unilaterale sia ancora corrispondente alla volontà della parte che subisce la variatio. La questione è evidentemente rilevante, giacché non si tratta di consentire o di dare rilevanza ad una rivalutazione unilaterale degli interessi di una delle parti, rivalutazione che prenderebbe le forme di un pentimento generalmente irrilevante ove non espressamente previsto dalla legge o dal contratto, bensì di una modificazione unilaterale di un assetto di interessi concordato bilateralmente. Non essendo possibile valutare ex ante l’incidenza rivoluzionaria di tale variatio sull’assetto che era a base della concorde volontà
contrattuale, il legislatore dà quindi alla parte una possibilità che gli sarebbe altrimenti preclusa, garantendogli il corrispettivo diritto potestativo di recedere dal contratto – a questo punto, e cioè una volta esercitato il jus variandi, ad nutum – se la modifica rende lo stesso per lui non più conveniente (a seguito di una valutazione squisitamente soggettiva).
Recesso che, dunque, è cosa diversa dal jus poenitendi previsto, ad esempio, in tema contratti a distanza o negoziati al di fuori dei locali commerciali dall’art. 52 cod. cons.: qui non siamo infatti in presenza di un diritto di ripensamento, di pentimento, del consumatore sui contenuti del contratto già noti e che interviene quindi nel compimento della stessa conclusione del contratto e quindi come formante della fattispecie generativa del vincolo contrattuale,140 bensì di una exit strategy da un contratto che è stato validamente mutato nel suo contenuto e che è non più conveniente, e dunque un recesso “di reazione”.141
Lo abbiamo sottolineato più volte: la previsione di un recesso di reazione che consenta alla parte di evitare di trovarsi vincolata alle mutate condizioni, non rende le modifiche in esame bilaterali. Parte della dottrina ritiene, infatti, che tali modifiche conseguano ad una proposta di modificazione che si incontra con una volontà conforme, tacitamente espressa mediante il mancato recesso, che
140 Così X. XXXX, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, cit., p. 131; contra A.
M. BENEDETTI, Autonomia privata procedimentale. La formazione del contratto fra legge e volontà delle parti, Xxxxxxxxxxxx, 2002, p. 268, per il quale recesso di pentimento attenua la forza del vincolo, ma interviene in una fase successiva alla sua formazione.
141 X. XXXX, op. ult. cit., p. 133.
ove esercitato corrisponde invece a rifiuto.142 Ma vi è un dato, a nostro avviso insuperabile, che impedisce di qualificare tali modifiche come bilaterali: se la modifica seguisse ad un accordo, infatti, la mancanza dell’accettazione dovrebbe determinare la permanenza del rapporto immutato, mentre nel nostro caso l’alternativa è semplicemente tra permanenza del rapporto modificato – unilateralmente – e dissoluzione dello stesso per il tramite del recesso. La parte non ha alcuna possibilità di opporsi agli effetti della dichiarazione unilaterale dell’altro contraente, che proprio per questo sta esercitando un diritto potestativo che porterà inevitabilmente ad un effetto non voluto, sia esso la modificazione o la fine del contratto.143
Le norme che disciplinano il jus variandi sono, tendenzialmente, norme di tutela della parte che subisce l’effetto del potere, in particolare per quanto riguarda le discipline settoriali: si tratta infatti di norme che, più che aprire nuovi terreni,
142 X. XXXXXXXXX, La modifica unilaterale del contratto, cit. p. 299 ss.; X. XXXXX, Le clausole attributive dello jus variandi, cit., p. 236 s., il quale all’interno della medesima fattispecie astratta differenzia a seconda che il recesso intervenga prima o dopo l’applicazione delle modifiche. Trattando infatti dell’art. 118 t.u.b. ante L. 244/07, quando, cioè, il termine per l’esercizio del recesso (60 giorni dalla comunicazione) scadeva successivamente all’entrata in vigore delle modifiche (minimo 30 giorni dalla comunicazione), l’A. ritiene che, se il recesso interviene prima della modificazione si tratterà di un rifiuto della variatio in ottica bilaterale, mentre se interviene dopo sarà effettivo ripudio di un contratto modificato unilateralmente. Non ci sembra, tuttavia, che vi siano validi indici interpretativi per ritenere che la qualificazione della comunicazione della banca dovesse cambiare (da proposta ad esercizio di diritto potestativo) solo in base al successivo contegno del cliente.
143 X. XXXXXXX, La modificazione unilaterale dei contratti bancari, CEDAM, 1999, p. 140 ss.; P. SIRENA, Il ius variandi della banca dopo il cd. decreto-legge sulla competitività (n. 233 del 2006), cit., p. 281.