Al Comune di Borgia
Al Comune di Borgia
Alla Ditta Xxxxxx Xxxxxxxx X.x.x. AG 5/12
20/06/2012
Oggetto : richiesta di parere ai sensi del Regolamento interno sulla istruttoria dei quesiti giuridici – Comune di Borgia – qualificazione del contratto stipulato come concessione o appalto e suo annullamento in autotutela.
In esito a quanto richiesto dal Comune di Borgia (di seguito l’Istante) con nota prot. n. 252/2012 in data 11 gennaio 2012, acquisita al protocollo dell’Autorità n. 3369 in data 12 gennaio 2012, si comunica che il Consiglio dell’Autorità nell’adunanza del 30 maggio 2012 ha approvato le seguenti considerazioni.
L’Istante, a seguito di gara informale, ha affidato dalla ditta Xxxxxx Xxxxxxxx s.r.l. (di seguito, la Ditta) la concessione trentennale del servizio di manutenzione e gestione degli impianti di pubblica illuminazione, installazione di luminarie natalizie, nonché l’adeguamento alle norme, ammodernamento tecnologico e funzionale, risparmio energetico e ampliamento, per un valore complessivo a base d’asta di € 1.581.000,00, da corrispondere nella forma di canoni mensili. Il contratto prevede a carico della Ditta l’obbligo di realizzare nel primo anno della concessione lavori per € 240.000,00, interamente finanziati dalla Ditta.
L’Istante interroga l’Autorità sulla possibilità di annullare in autotutela la gara informale, che ha portato alla sottoscrizione della suddetta concessione di servizi. A parere dell’Istante, sembrerebbero non ricorrere, nel caso di specie, le condizioni richieste dalla legislazione comunitaria per qualificare il contratto come concessione e sarebbero state violate, pertanto, le ordinarie procedure di affidamento degli appalti di servizi. In particolare l’Istante evidenza che: in nessun modo è previsto il pagamento di tariffe da parte degli utenti; non vi sono patti contrattuali in forza dei quali verranno instaurati rapporti diretti tra la ditta affidataria e i terzi utenti del servizio; non si rinvengono elementi che indichino che la ditta affidataria si sia sostituita all’amministrazione nell’erogazione del servizio; la fornitura di energia elettrica è pagata direttamente dal Comune.
La differente qualificazione del contratto quale appalto e non concessione di servizi, metterebbe in risalto l’originaria illegittimità della procedura di gara, consistita in una procedura negoziata senza pubblicazione di un bando di gara, in luogo di una procedura aperta o ristretta di rilevanza comunitaria. Sempre secondo quanto sostenuto dall’Istante, infine, l’annullamento d’ufficio degli atti della procedura determinerebbe l’inefficacia sopravvenuta del contratto.
Ritenuta la questione rilevante dal punto di vista giuridico ed economico, è stato avviato il procedimento ex art. 4 del Regolamento sulla istruttoria dei quesiti giuridici, dandone contestuale notizia all’Istante e alla Ditta controinteressata con lettera prot. n. 16618 in data 21 febbraio 2012.
Successivamente, con nota acquisita al protocollo dell’Autorità n. 23914 in data 12 marzo 2012, la Ditta ha presentato una memoria procedimentale della quale si dà succintamente conto. La relazione negoziale tra l’Istante e la Ditta sarebbe senz’altro ascrivibile al genus della concessione di servizio. Militerebbero a favore di tale interpretazione la durata trentennale del contratto, l’espressa qualificazione compiuta dall’amministrazione e la previsione, nella convenzione, che la Ditta avrebbe assunto “ogni possibile rischio di carattere economico conseguente a difficoltà note ed ignote relative ai lavori da eseguire”, l’obbligo di sostenere lavori per un valore di € 240.000,00 per l’ammodernamento degli impianti, il diritto di recesso stabilito a favore del Comune in caso di inadempimento della Ditta o di fallimento. La Ditta, poi, evidenzia che il pagamento di una tariffa da parte dell’utenza può costituire criterio dirimente per qualificare il contratto pubblico come concessione solo quando il servizio, per le sue caratteristiche oggettive è divisibile tra gli utenti che in concreto ne beneficiano. Inoltre, la giurisprudenza ricondurrebbe la pubblica illuminazione tra i servizi pubblici locali di cui all’art. 113 T.U.E.L., a prescindere dalla volontà politica dell’amministrazione o dalla concreta possibilità di imporre o percepire tariffe da parte degli utenti. La convezione, inoltre, darebbe vita ad un rapporto trilaterale tra l’Istante, la Ditta e i cittadini utenti del servizio di illuminazione. Nel caso in cui, infine, il contratto dovesse essere qualificato come appalto e, quindi, fosse messa in dubbio la legittimità dell’affidamento, la Ditta pone in dubbio la sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 21 nonies l. 7 agosto 1990, n. 241 per l’esercizio del potere di autotutela da parte dell’amministrazione: interesse pubblico, termine ragionevole e tutela del legittimo affidamento.
Così rappresentate le posizioni delle parti del procedimento, si ritiene di dover precedere preliminarmente alla qualificazione del contratto pubblico stipulato tra l’Istante e la Ditta. Secondo il costante insegnamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea la qualificazioni dei contratti a prestazioni corrispettive tra operatori economici e amministrazioni aggiudicatrici deve essere valutata esclusivamente alla luce del diritto dell’Unione (CGCE, sentenza 18 luglio 2007, causa X-
000/00, Xxxxxxxxxx/Xxxxxx, punto 31). Nei contratti di concessione il corrispettivo dell’operatore economico consiste nel diritto a gestire il servizio (o l’opera) o in tale diritto accompagnato da un prezzo. È stato anche chiarito che la concessione comporta che l’operatore economico assuma il rischio della gestione e che, normalmente, il pagamento di una tariffa da parte degli utenti quale corrispettivo del servizio evidenzia la presenza di un contratto di concessione, anche quando il rischio trasferito all’operatore economico risulta essere minimo (CGCE, sentenza 10 settembre 2009, causa C-206/08, Eurawasser). Ciononostante, non è escluso che la volontà politica dell’amministrazione o le modalità di erogazione del servizio determinino che non vengano percepiti canoni o tariffe da parte degli utenti. Anche in questo caso, particolari modalità di allocazione del rischio di gestione consentono di qualificare il contratto come concessione: si pensi alle autostrade a pedaggio ombra (shadow-toll), al sovvenzionamento da parte dell’amministrazione alle imprese di trasporto sulla base del numero dei biglietti venduti o al caso in cui la remunerazione dell’operatore economico sia fortemente condizionata dalla rilevazione delle performance del servizio. È necessario, insomma, che sull’operatore economico sia trasferito o il rischio di domanda o il c.d. rischio di disponibilità, oltre, nel caso di concessioni di lavori, al rischio di costruzione. Tali indicazioni, inizialmente contenute in una decisione di Eurostat, sono state più volte utilizzate dall’Autorità ai fini della corretta classificazione dei contratti pubblici e, al momento, risultano recepite nella bozza di direttiva europea sulle concessioni attualmente all’esame del Parlamento Europeo (cfr. Eurostat, Long term contracts between government units and nongovernment partners, Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, del. 1139/2009/PRSE, AVCP, determinazione 26 ottobre 2011 n. 6, parere di precontenzioso 9 febbraio 2011, n. 28, deliberazione 24 febbraio 2011, n.
29, deliberazione 31 marzo 2010, n. 19, determinazione 11 marzo 2010, n. 2). La Corte di Giustizia, chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla differenza tra appalto e concessione ha recentemente affermato che “[…] occorre rilevare che il rischio di gestione economica del servizio deve essere inteso come rischio di esposizione all’alea del mercato (v., in tal senso, sentenza Xxxxxxxxxx, cit., punti 66 e 67), il quale può tradursi nel rischio di concorrenza da parte di altri operatori, nel rischio di uno squilibrio tra domanda e offerta di servizi, nel rischio d’insolvenza dei soggetti che devono pagare il prezzo dei servizi forniti, nel rischio di mancata copertura integrale delle spese di gestione mediante le entrate o ancora nel rischio di responsabilità di un danno legato ad una carenza del servizio (v., in tal senso, sentenze 27 ottobre 2005, causa C-234/03, Xxxxxx e a., Racc. pag. I-9315, punto 22, nonché Xxxx & Xxxxxxxxxxxxx Xxxxxxx, cit., punto 74). Al contrario, rischi come quelli legati a una cattiva gestione o ad errori di valutazione da parte dell’operatore economico non sono determinanti ai fini della qualificazione di un contratto come appalto pubblico o come concessione di servizi, dal momento che rischi del genere, in realtà, sono insiti in qualsiasi contratto, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo sia riconducibile alla tipologia dell’appalto pubblico di servizi ovvero a quella della concessione di servizi” (CGUE, sent. 10 marzo 2011, causa C-274/09, Privater Rettungsdienst und Krankentransport Stadler).
Con riferimento al contratto oggetto di questo parere, appare pacifico che sulla Ditta, stante la natura del servizio a domanda indifferenziata, non gravi e non possa gravare il rischio di domanda derivante dall’esposizione all’alea del mercato. Parimenti, in base alla documentazione versata in atti, non risulta che la remunerazione dell’operatore economico sia legata alle perfomance di erogazione del servizio o al grado di soddisfazione degli utenti. La mera previsione di penali contrattuali, infatti, non è sufficiente a determinare un rischio di disponibilità, essendo il sistema delle penali generalizzato per tutti i contratti pubblici e disciplinato dall’art. 133 del d. lgs. 12 aprile 2006 n. 163 e dagli art. 145, 257 e 298 del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207. Le penali, peraltro di valore molto esiguo, si limitano a predeterminare il danno derivante dall’inadempimento e non introducono un sistema complesso di valutazione sufficiente a mettere in forse l’equilibrio economico finanziario dell’operazione. Si evidenzia, infine, la mancanza di un sistema di rilevazione di soddisfazione dell’utenza e il fatto che la Ditta non sopporti nemmeno il rischio derivante da danni causati agli impianti di pubblica illuminazione da terzi o da eventi di forza maggiore – esclusi i lavori inerenti il finanziamento a suo carico – rimanendo, pertanto, detto rischio in capo all’Amministrazione comunale, che è tenuta a rimborsare alla Ditta le spese relative alle opere di ripristino necessarie per garantire il loro funzionamento (artt. 9 e 18 del Capitolato Speciale d’Appalto).
Non rilevante, poi, ai fini della corretta qualificazione del contratto come concessione o appalto è la natura di servizio pubblico locale della pubblica illuminazione, generalmente accolta dalla giurisprudenza amministrativa (da ultimo, Cons. Stato, sez. V, sent. 25 novembre 2010, n. 8231). Il fatto che una determinata attività sia storicamente un servizio pubblico locale (illuminazione, trasporto pubblico, distribuzione di acqua e gas, etc..) o come tale venga assunta dal legislatore o dagli enti locali su base di scelte eminentemente politiche (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 7369 del 13- 12-2006), non può mettere in dubbio che le procedure ad evidenza pubblica esplicitamente richiamate prima dall’art. 113 T.U.E.L., poi dall’art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 122 e, oggi dall’art. 4 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 siano quelle imposte dal legislatore comunitario e nazionale in relazione alla tipologia di contratto che si è in concreto inteso affidare.
In conclusione, si può affermare che non tutti i servizi pubblici locali devono o possono essere affidati tramite concessione, ché è possibile siano prestati nelle forme di appalto (si pensi alle gare per il servizio di trasporto con remunerazione c.d. net cost), e non tutte le concessioni di servizi sono servizi pubblici locali (per esempio, la distribuzione di bevande e alimenti negli istituti scolastici,
Cons. Stato, sez. VI, sent. 20 maggio 2011, n. 3019).
Inoltre, si deve richiamare l’attenzione delle parti del procedimento sul fatto che, anche nel caso in cui si ritenesse che il contratto presenti i caratteri della concessione, l’art. 30 del d. lgs. 163/2006, nel prescrivere lo svolgimento di una gara informale con invito di almeno cinque soggetti, fissa livelli minimi e necessari di evidenza pubblica, ma non necessariamente sufficienti ad assicurare il rispetto dei principi comunitari richiamati nel terzo comma della disposizione. Vale la pena di richiamare il leading case della Corte di Giustizia in materia di concessioni di servizi: “A tale proposito occorre rilevare come, nonostante il fatto che siffatti contratti, allo stadio attuale del diritto comunitario, siano esclusi dalla sfera di applicazione della direttiva 93/38, gli enti aggiudicatori che li stipulano siano cionondimeno tenuti a rispettare i principi fondamentali del Trattato, in generale, e il principio di non discriminazione in base alla nazionalità, in particolare. 61 Infatti, come ha statuito la Corte nella sentenza 18 novembre 1999, causa C-275/98, Unitron Scandinavia e 3-S (Racc. pag. I-8291, punto 31), tale principio implica, segnatamente, un obbligo di trasparenza al fine di consentire all'amministrazione aggiudicatrice di accertare che il detto principio sia rispettato. Tale obbligo di trasparenza cui è tenuta l'amministrazione aggiudicatrice consiste nel garantire, in favore di ogni potenziale offerente, un adeguato livello di pubblicità che consenta l'apertura degli appalti dei servizi alla concorrenza, nonché il controllo sull'imparzialità delle procedure di aggiudicazione” (CGCE, sent. 7 dicembre 2000, causa X-000/00, Xxxxxxxxxx). In seguito è stato chiarito che quando le stazioni appaltanti affidano contratti che rivestono un interesse transfrontaliero certo devono permettere agli operatori economici stabiliti in altri paesi dell’Unione di avere accesso ad informazioni adeguate e di manifestare il loro interesse (CGCE, sent. 13 novembre 2007, causa X-000/00, Xxxxxxxxxxx/Xxxxxxx). Nel caso di specie, considerato che la presunta concessione oggetto di affidamento poteva assumere un valore pari a più di sette volte la soglia stabilita per i servizi, la pubblicità realizzata dall’Amministrazione comunale (meglio, la mancanza di pubblicità) risulta del tutto insufficiente.
Peraltro, anche al giurisprudenza nazionale, di recente, ha ritenuto insufficiente la pubblicità mediante affissione all’albo pretorio nel caso di affidamento di concessione di servizio pubblico locale (cfr. T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, Sent., 27-01-2011, n. 162 e anche AVCP, deliberazione 18 aprile 2012, n. 39).
Ciò debitamente premesso, l’Autorità non può che richiamare la costante giurisprudenza in materia di autotutela amministrativa, che trova oggi compiuta disciplina nell’art. 21 nonies l. n. 241/1990: “L'art. 21-nonies della l. n. 241/90 ha codificato le seguenti condizioni per l'esercizio del potere di annullamento di ufficio da parte della P.A.: a) l'illegittimità dell'atto; b) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico; c) l'esercizio del potere entro un termine ragionevole; d) la valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati rispetto all'atto da rimuovere (Cons. Stato, sez. V, sent. 7 aprile 2010, n. 1946). È parimenti pacifico in dottrina e in giurisprudenza che normalmente l’interesse pubblico non può consistere nel mero ripristino della legalità violata, dovendo tale esigenza essere bilanciata con l’affidamento ingenerato nei soggetti interessati, in questo caso la ditta contraente (da ultimo, T.A.R. Basilicata, 06 aprile 2012, n. 165). In un suo precedente in materia di autotutela l’Autorità, già nel 2002, affermava che “la illegittimità della procedura di gara giustifica l'esercizio del potere di autotutela nel caso in cui l'aggiudicazione sia stata determinata sulla base di vizi inerenti la procedura di gara che doveva essere espletata assicurando il puntuale rispetto della concorrenza tra imprese e la par condicio delle stesse, occorrendo peraltro che vengano individuati da parte della stazione appaltante tutti gli interessi pubblici attuali, distinti dal mero interesse al ripristino della situazione di legittimità che giustifica la rimozione dell'atto viziato (AVCP, determinazione 10 luglio 2002, n. 17 e, più di recente, parere di precontenzioso 12 febbraio 2009, n. 19).
Ferma restando la suddetta necessaria e motivata valutazione da parte della stazione appaltante, in via generale, è possibile affermare che i vizi di legittimità sintomatici di una grave alterazione delle condizioni di concorrenza tra gli operatori economici rendono l’interesse del privato aggiudicatario o contraente tendenzialmente recessivo (T.A.R. L'Aquila Abruzzo sez. I, 29 marzo 2012, n. 198). Tale lettura appare confermata anche dal fatto che il legislatore comunitario ha imposto la sanzione massima della privazione degli effetti del contratto nel caso in cui l’appalto sia stato aggiudicato senza pubblicità nella GUCE (art. 2, co. 2, lett. a) dir. 2007/66/CE (fatta salvo l’unico caso di esigenze imperative connesse ad un interesse generale). Come noto la disposizione citata è contenuta, oggi, nel codice del processo amministrativo, art. 121: “Il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva dichiara l’inefficacia del contratto nei seguenti casi, precisando in funzione delle deduzioni delle parti e della valutazione della gravità della condotta della stazione appaltante e della situazione di fatto, se la declaratoria di inefficacia è limitata alle prestazioni ancora da eseguire alla data della pubblicazione del dispositivo o opera in via retroattiva: a) se l’aggiudicazione definitiva è avvenuta senza previa pubblicazione del bando o avviso con cui si indice una gara nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea o nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, quando tale pubblicazione è prescritta dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163”. Dal punto di vista sistematico, quindi, emerge che il contratto deve essere privato di effetti in tutti i casi in cui la mancanza di pubblicità o il mancato rispetto del termine di stand still abbiano impedito agli operatori economici potenzialmente interessati di essere informati della procedura di gara o di far valere le proprie ragioni di fronte al giudice amministrativo. Non rilevano, nella valutazione del giudice, né l’interesse dell’operatore economico aggiudicatario o contraente, né quello della stazione appaltante (fatti salvi i casi di
esigenze imperative), a differenza di quando avviene per le altre violazioni della normativa (art. 122 c.p.a.).
Nel nuovo contesto normativo successivo al recepimento della direttiva 2007/66/CE, certa dottrina aveva messo in dubbio che fosse ancora possibile per l’amministrazione annullare in autotutela gli atti della procedura di gara una volta stipulato il contratto. Tali dubbi appaiono fugati da un filone giurisprudenziale della Quinta Sezione del Consiglio di Stato, che conferma i prevalenti orientamenti precedenti alle ultime riforme. È stato chiarito, infatti, che “non vi è dubbio circa l'effettiva configurabilità del potere della pubblica amministrazione di procedere in via di autotutela all'annullamento degli atti di un procedura ad evidenza pubblica, ivi compreso il provvedimento di aggiudicazione definitiva dell'appalto (di lavori, di servizi o di fornitura) e fermo restando quanto si dirà in seguito sul corretto esercizio nel caso di specie del predetto potere di autotutela, occorre rilevare che, come per altro già puntualmente sottolineato dalla giurisprudenza di questo consesso, l'annullamento dell'aggiudicazione ‘...in virtù della stretta consequenzialità tra l'aggiudicazione della gara pubblica e la stipula del relativo contratto, l'annullamento giurisdizionale ovvero l'annullamento a seguito di autotutela della procedura amministrativa comporta la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto successivamente stipulato, stante la preordinazione funzionale tra tali atti” (Cons. Stato, sez. V, sent. 7 settembre 2011, n. 5032; conf.: 14 gennaio 2011, n. 11; 20 ottobre
2010, n. 7578).
Con riferimento, infine, al consolidamento dell’affidamento della Ditta determinato dal tempo trascorso dalla stipula del contratto, si ritiene che l’intervallo di tempo di circa tre anni deve essere apprezzato con riferimento alla durata complessiva della concessione e al termine finale pattuito (fissato nel 2039). Anche in tale prospettiva l’affidamento del soggetto privato interessato appare recessivo rispetto al danno alla concorrenza producibile da una così lunga chiusura al confronto concorrenziale. Si consideri, infine, che l’art. 1, co. 136 l. 311/2004 (che peraltro potrebbe anche trovare applicazione nella fattispecie) stabilisce in tre anni il termine in cui l’interesse dell’amministrazione all’annullamento dell’atto è considerato tendenzialmente prevalente, quando ciò possa garantire risparmi di spesa (Cons. Stato, sez. VI, sent. 18 settembre 2009, n. 5621).
Avv. Xxxxxxxx Xxxxx