UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL MOLISE DIPARTIMENTO GIURIDICO
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL MOLISE DIPARTIMENTO GIURIDICO
DOTTORATO IN INNOVAZIONE E GESTIONE DELLE RISORSE PUBBLICHE
Curriculum
GOVERNO E RELAZIONI INTERNAZIONALI
XXXII° ciclo
I CONTRATTI DELLA FILIERA AGROALIMENTARE NEI MERCATI LOCALI E INTERNAZIONALI
Settore Scientifico Disciplinare: IUS/03 Coordinatore del dottorato: Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxx
Coordinatrice del curriculum: Prof.ssa Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxxx
Tutor: Prof.ssa Xxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxxx: Xxxxxxxxx Xxxxx
A mio Zio Xxxxxx perché vorrei fosse qui. Alla mia amata Santa Croce, con l’augurio che la sua terra
non venga più sfruttata ma custodita.
Indice
Capitolo primo
Il produttore agricolo nella complessità del mercato agroalimentare tra
politica agricola e concorrenza. Profili introduttivi
1.1 L’importanza della contrattualizzazione in agricoltura. Il quadro di riferimento 1
1.2. Agricoltore e imprenditore agricolo nella filiera agroalimentare. Il dibattito in corso 5
1.3. Il produttore agricolo come “contraente debole”: il gap dell’asimmetria contrattuale lungo la food chain 9
1.4. Dall’impresa agricola all’intervento organizzato dei produttori sul mercato 13
1.5. Agricoltura e concorrenza nell’esperienza europea: alcuni profili introduttivi 16
1.5.1. Un diverso modo di concepire il rapporto tra agricoltura e concorrenza: l’esperienza nordamericana 21
1.6. Da una politica “amministrata” ad una “di mercato” 25
1.7. Il produttore agricolo come soggetto vulnerabile: un pendolo che oscilla tra strumenti di diritto pubblico e di diritto privato 29
Capitolo secondo
La contrattazione individuale e collettiva: analisi degli strumenti
2.1. Contrattazione individuale e collettiva: una prima analisi introduttiva 36
2.2. I contract farming e l’agricoltura sotto contratto 40
2.3. Uno sguardo al modello nord-americano del production contract 42
2.4. I contratti di integrazione verticale nel panorama europeo e nazionale 44
2.4.1. I contratti di coltivazione, di allevamento e di fornitura nella legislazione italiana 47
2.4.2. Il contratto di soccida nel settore zootecnico 49
2.5. Il ruolo delle organizzazioni di produttori e delle loro associazioni nella regolazione dei rapporti contrattuali lungo la filiera 53
2.5.1. L’evoluzione delle organizzazioni dei produttori nella disciplina europea 57
2.5.2. L’associazionismo dei produttori nel settore degli ortofrutticoli 58
2.5.3. La disciplina odierna dopo le modifiche del reg. n. 2017/2393 tra le novità in tema di contrattualizzazione e il ruolo sempre più pubblicistico delle Op 61
2.5.4. Alcuni dati sulle organizzazioni di produttori in Italia 66
2.5 5. Il ruolo di una Op in una dimensione imprenditoriale limitata: l’esperienza molisana68
2.6. Gli organismi interprofessionali nella disciplina europea e nazionale 71
2.7. Il contratto di rete: dalla disciplina generale a quella specifica dettata per il settore agroalimentare 74
2.7.2. Il contratto di rete nel settore agroalimentare 80
2.7.3. Un esempio virtuoso di contratto di rete: il caso Xxxxxxxxxx 85
La contrattualizzazione nel settore agroalimentare nel quadro normativo e
giurisprudenziale europeo
3.1. I principi alla base dell’applicazione delle regole di concorrenza all’agricoltura nell’esperienza europea 87
3.2. Le novità del primo regolamento sulla Ocm unica del 2007 90
3.3. Gli interventi nazionali tra formalismo contrattuale e sviluppo dell’associazionismo 93
3.3.1 La contrattualizzazione per la fornitura dei prodotti agroalimentari nell’esperienza francese dalla Loi 874-2010 alla Loi EGALIM del 2018 96
3.3.2 La contrattualizzazione per la fornitura dei prodotti agroalimentari nell’esperienza italiana: l’art. 62 del d.l. n. 1 del 2012 101
3.4. Il mutamento della disciplina europea dal “Pacchetto latte” del 2012 al nuovo regolamento sull’Ocm del 2013 105
3.5. Il ruolo della giurisprudenza nel disciplinare il rapporto tra Pac e concorrenza: il caso Endives
.......................................................................................................................................................108
3.5.1. Le origini del contenzioso nell’ordinamento giuridico francese 110
3.5.2. La decisione della Corte di giustizia europea 114
3.6. La riforma medio tempore della Pac: il regolamento c.d. “Omnibus” 118
3.6.1. Le perplessità scaturite dalla nuova normativa: uno sguardo alle disposizioni 122
3.7. La direttiva europea sulle pratiche commerciali sleali lungo la filiera agroalimentare 126
3.7.1 Il contenuto della dir. n. 2019/633 e le modifiche apportate dal Parlamento al progetto della Commissione 131
3.7.2. La direttiva nel contesto giuridico italiano:verso un recepimento nell’ordinamento nazionale 136
3.8. Il futuro per la Pac tra innovazione tecnologica e giuridica. Alcune considerazioni finali 139
Capitolo quarto
Gli organismi interprofessionali nell’esperienza italiana e francese
4.1. Verso una trasformazione del ruolo delle organizzazioni di produttori ed una maggiore attenzione alle Oi? 146
4.2. Le origini dell’interprofessione francese 149
4.2.1. Le Oi riconosciute nell’ordinamento giuridico francese 152
4.2.2. L’organizzazione interprofessionale francese nel settore dell’allevamento 154
4.3. Le Oi riconosciute nell’ordinamento giuridico italiano: alcuni esempi 157
4.3.1. L’Oi del pomodoro da industria italiano 160
4.4. Le prospettive future per l’interprofessione 162
Capitolo quinto
Spreco alimentare e filiera: il ruolo della contrattazione per un’economia più sostenibile e circolare
5.1. I contratti agroalimentari e alcune ulteriori tematiche connesse 167
5.2. Le politiche europee tra lotta agli sprechi e sicurezza alimentare 170
5.3. Il problema degli sprechi lungo la filiera agroalimentare nell’evoluzione della Pac 173
5.3.1 Dalle eccedenze produttive alla gestione dello spreco nell’ordinamento europeo: una breve analisi degli strumenti utilizzati nel tempo 175
5.4. Il ruolo dell’associazionismo nella lotta allo spreco alimentare 177
5.5. Verso un modello di economia circolare 180
5.6. Il ruolo degli organismi interprofessionali e delle organizzazioni di produttori nella diffusione del modello di economia circolare 184
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 189
Capitolo primo
Profili introduttivi
SOMMARIO: 1.1. L’importanza della contrattualizzazione in agricoltura 1.2. Agricoltore e imprenditore agricolo nella filiera agroalimentare. Il dibattito in corso 1.3. Il produttore agricolo come “contraente debole”: il gap dell’asimmetria contrattuale lungo la food chain 1.4. Dall’impresa agricola all’intervento organizzato dei produttori sul mercato 1.5. Agricoltura e concorrenza nell’esperienza europea: alcuni profili introduttivi 1.5.1. Un diverso modo di concepire il rapporto tra agricoltura e concorrenza: l’esperienza nordamericana 1.6. Da una politica “amministrata” ad una “di mercato” 1.7. Il produttore agricolo come soggetto vulnerabile: un pendolo che oscilla tra strumenti di diritto pubblico e di diritto privato .
1.1 L’importanza della contrattualizzazione in agricoltura. Il quadro di riferimento
I contratti agroalimentari hanno ad oggetto situazioni giuridiche apparentemente semplici ma che nella pratica si rivelano particolarmente complesse.
Non si tratta di contratti di tipo omogeneo, ma di più tipologie contrattuali articolate e figlie di contesti diversi accomunate, però, dalle stesse esigenze: ridurre l’asimmetria contrattuale esistente nei rapporti tra produttori agricoli e imprese, consentire la circolazione dei prodotti e soddisfare il bisogno del diritto al cibo.
La prevalente esperienza legislativa in materia di contratti agroalimentari nei Paesi occidentali, sin dagli anni novanta del novecento, ha ruotato attorno alle categorie giuridico-economiche di mercato e concorrenza. Da un lato, si è posta l’attenzione sulla disciplina antitrust, allo scopo di rafforzare il potere contrattuale dei produttori agricoli. Dall’altro, si sono elaborate specifiche misure in materia di contratti agroalimentari, nei quali l’offerta di prodotti agricoli è stata messa a disposizione degli operatori commerciali1.
La particolare relazione esistente sin dalla nascita della politica agricola comune europea (Pac) tra gli strumenti in essa contenuti e la legislazione generale relativa
1 Su tutti: X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxx e concorrenza, in Enciclopedia Giuridica Treccani, Agg., Roma, 2012; ID., Agricoltura e concorrenza o concorrenza e agricoltura (Gli artt. 169, 170 e 171 del reg. n. 1308/2013 e il progetto di guidelines presentato dalla Commissione), in Rivista di Diritto Agrario, 2015, pag. 1 e ss..
alle norme in materia di concorrenza2 è stata caratterizzata storicamente dalla c.d. “eccezionalità” della Pac, in quanto la disciplina della concorrenza figurava in tale settore non come il fine ultimo da raggiungere, bensì come un mezzo da utilizzare per perseguire gli obiettivi di stabilizzazione dei mercati e dei redditi dei produttori agricoli sanciti dall’art. 39 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue).
Il passaggio da una politica agricola “amministrata” ad una “di mercato”3, come è noto, ha visto l’Unione abbandonare gradualmente la politica di sostegno ai prezzi, mentre l’associazionismo in agricoltura, sia tra produttori agricoli che tra i diversi attori della filiera, è stato considerato come una possibile risposta alla volatilità dei prezzi e alla debolezza strutturale, negoziale ed economica dei produttori rispetto alla parte industriale della food chain alla quale indirizzano l’offerta dei prodotti e delle materie prime da immettere sul mercato.
È in questo contesto che, mentre a livello nazionale sono state emanate normative volte a disciplinare giuridicamente modelli contrattuali sviluppatisi nella prassi4 e a incentivare la stipulazione di contratti scritti5, il Parlamento europeo si è fatto portavoce degli interessi dei produttori agricoli e ha sollecitato l’emanazione di normative che rendessero più efficienti gli strumenti volti alla concentrazione dell’offerta dei prodotti e all’aggregazione in agricoltura, quali le organizzazioni di produttori e gli organismi interprofessionali.
A questo cambio di paradigma6 non ha subito fatto seguito un mutamento concernente il divieto per le organizzazioni in questione di porre in essere accordi aventi ad oggetto i prezzi dei prodotti agricoli. Divieto che, se giustificato in un’ottica di mercato basata sul sostegno ai prezzi e sugli interventi diretti
2 Nello specifico le regole stabilite principalmente dagli artt. 101 e 102 del Tfue.
3 Espressione utilizzata spesso dagli studiosi della materia per sintetizzare il passaggio che ha visto l’abbandono graduale delle politiche di sostegno ai prezzi. Su tutti: X. XXXXXXXXXX, Profili giuridici del sistema agro-alimentare e agro-industriale. Soggetti e concorrenza, 2018, pag. 13 e ss..
4 Come si vedrà successivamente ne costituisce un esempio il contratto di rete.
5 Si pensi, per la Francia, alla legge francese del 2010, la Loi n. 874 del 27 luglio 2010 avente ad oggetto i contrats de vente de produits agricoles o, per l’ordinamento giuridico italiano, all’art. 62 del d.l. n. 1 del 24 gennaio 2012, disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito con modificazioni dalla l. n. 27 del 24 marzo 2012 (in
G.U. n. 71 del 24 marzo 2012).
6 Sulle modifiche del quadro di azione della Pac: X. XXXXX, I contratti della filiera agroalimentare nel quadro della nuova Politica agricola comune, in Rivista di Diritto Agrario, 2015, pag. 470 e ss..
dell’Unione, non è più apparso tale quando è avvenuto il mutamento di rotta verso il “libero mercato agricolo”.
Ciò ha generato dubbi interpretativi e sempre più incertezze sia tra gli studiosi del settore che tra gli operatori i quali si confrontano, purtroppo ancora oggi, con un sistema giuridico multi-level, a volte frammentato e confuso, nel quale alle fonti legislative internazionali, sovranazionali e nazionali si affiancano le regole private che originano all’interno delle singole organizzazioni e che, in alcuni casi espressamente previsti, possono essere estese erga omnes anche ai soggetti non aderenti.
Questo passaggio è stato accompagnato da forti tensioni tra le istituzioni europee che si sono inevitabilmente riversate negli interventi legislativi già a partire dal 2007, quando, ad esempio, nel reg. n. 1234/20077, che ha istituito un’unica organizzazione comune di mercato per i prodotti agricoli (Ocm unica), si intravedeva, nelle disposizioni che lo componevano, la volontà di rendere meno incisivo il primato della politica agricola comune sulla disciplina della concorrenza, sì da erodere l’eccezionalità da sempre riconosciuta al settore agricolo e prospettando le peculiari disposizioni previste come delle mere concessioni in deroga alla disciplina generale della concorrenza8. Il ribaltamento di prospettiva a favore di un’applicazione generale delle regole di concorrenza alla politica agricola comune è stato confermato, come si avrà modo di vedere nel prosieguo, con il successivo reg. n. 1308/20139.
Gli incisivi cambiamenti che, dalla fine del 2017 al primo semestre 2019, sono intervenuti in ambito legislativo10 se, da un lato, sembrano aver consacrato il
7 Regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, del 22 ottobre 2007, recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM), in G.U.U.E. L. 299 del 16 novembre 2007.
8 Di tale opinione su tutti X. XXXXXXXXXX, Profili giuridici del sistema agro-alimentare e agro- industriale. Soggetti e concorrenza, 2018, op. cit., pag. 141 e ss..
9 Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio (in G.U.U.E.
L.347/671 del 20 dicembre 2013).
10 il riferimento è al reg. n. 2393/2017 (c.d. regolamento Omnibus) che ha modificato il reg. (Ue)
n. 1308/13 e alla dir. (Ue) n. 2019/633 sulle pratiche commerciali sleali lungo la filiera agroalimentare. Regolamento (Ue) n. 2017/2393 del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2017 che modifica i regolamenti (Ue) n. 1305/2013 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), (Ue) n. 1306/2013 sul finanziamento, sulla gestione e sul monitoraggio della politica agricola comune, (Ue) n. 1307/2013
primato della Pac sulla disciplina della concorrenza, concedendo alle organizzazioni dei produttori (anche alla luce della pronuncia della Corte di Giustizia del 14 novembre del 2017 nella causa “Endives”) di concentrare effettivamente l’offerta stipulando accordi che possano incidere sui prezzi; dall’altro, pongono fondamentali dubbi interpretativi circa l’effettiva portata pratica delle nuove disposizioni che possono essere considerate solo un primo passo di un percorso che, ci si auspica, prosegua nella prossima programmazione della Pac per il periodo 2021-2027.
Lo scopo del presente lavoro è quello di tentare una ricostruzione di questo complesso sistema in continua evoluzione che, per sua stessa natura, si presta a studi che possono essere ulteriormente approfonditi in futuro.
L’obiettivo che ci si prefigge è quello di mostrare, ovviamente dal punto di vista di chi scrive, le riflessioni frutto delle ricerche svolte negli ultimi tre anni su alcuni aspetti inerenti i rapporti contrattuali degli attori che operano lungo la catena di approvvigionamento alimentare, spaziando dai contratti di cessione dei prodotti alla regolazione delle relazioni di filiera attraverso l’integrazione del soggetto produttore11; soffermandosi sulle dinamiche tra Pac e concorrenza, come velocemente prospettato; fino all’esaminare l’importanza che, in questo momento storico-economico, rivestono o possono rivestire gli strumenti associazionistici di tipo orizzontale e verticale, nella diffusione di schemi produttivi alternativi a quelli tradizionali e che consentano una maggiore sostenibilità sociale, economica e ambientale della filiera. Su questo specifico punto, nel quinto capitolo, sarà presa in considerazione la tematica, sempre più attuale degli sprechi alimentari, soffermandosi sul ruolo che le organizzazioni di produttori e gli organismi
recante norme sui pagamenti diretti agli agricoltori nell'ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune, (UE) n. 1308/2013 recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e (Ue) n. 652/2014 che fissa le disposizioni per la gestione delle spese relative alla filiera alimentare, alla salute e al benessere degli animali, alla sanità delle piante e al materiale riproduttivo vegetale, (in G.U.U.E. L. 350/15 del 29 dicembre 2017). Direttiva (Ue) n. 2019/633 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019 in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare, (in G.U.U.E. L. 111/59 del 25 aprile 2019).
11 In altri termini, l’analisi, principalmente oggetto del secondo capitolo in cui saranno esaminate talune tipologie contrattuali, anche con l’ausilio di casi pratici reperiti in diversi contesti territoriali di altrettanta diversa natura e dimensioni, riguarderà sia quei contratti in cui vi è il trasferimento della proprietà del bene sia quelli in cui il trasferimento non si verifica ma si attua un’integrazione del soggetto produttore nella dimensione industriale della filiera produttiva e distributiva.
interprofessionali possono rivestire nella scelta di modelli produttivi più sostenibili.
Tali aspetti verranno esaminati sia volgendo lo sguardo al mercato europeo (con qualche rimando alle esperienze d’oltreoceano, laddove si renda necessaria una visione comparatistica per comprendere al meglio le peculiarità insite nel sistema europeo stesso), sia a quello nazionale riportando alcuni esempi pratici anche ricollegati ai singoli territori regionali, con particolare riferimento a quello della regione Molise, ambito territoriale nel quale si è svolta parte dell’attività di studio e di ricerca. Si tenterà di spaziare così tra le esperienze maturate nei mercati internazionali e locali quasi a voler scattare delle foto degli scenari attuali allargando e restringendo più volte la visuale di un immaginario obiettivo fotografico.
1.2. Agricoltore e imprenditore agricolo nella filiera agroalimentare. Il dibattito in corso
Le problematiche riguardanti la complessità dei mercati e la debolezza contrattuale dei soggetti appartenenti alla compagine agricola della filiera agroalimentare, emergono, oggi, non solo a livello internazionale con riferimento al mercato globale ma anche nelle realtà produttive di minori dimensioni, coinvolgendo figure soggettive diverse ma spesso accomunate dalla stessa mancanza di un sistema adeguato di tutele.
«Storicamente siamo stati contadini. Poi, quando questo termine è diventato sinonimo di “arretrato”, siamo diventati “agricoltori”. Attualmente al termine “agricoltore” si dà una connotazione di inefficienza e ci incoraggiano caldamente a essere più moderni, a vederci come manager o imprenditori capaci di gestire porzioni di territorio sempre più vaste12».
In poche, efficaci e chiare parole Xxxxx Xxxxxxxx, presidente delle donne della
National Farmers Union canadese, ha racchiuso l’importanza delle dinamiche
12 A. A. XXXXXXXXX, La Via Campesina. La globalizzazione e il potere dei contadini, Milano, 2009 (ed. ital.), citazione da Xxxxx Xxxxxxxx, Presidente delle donne della Xxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxx - XXX 0000-0000.
socio-economiche che si nascondono dietro quello che può sembrare un semplice uso di una terminologia differente quando si parla indistintamente di “contadino”, “agricoltore” o “imprenditore agricolo”.
Nonostante i tempi siano mutati radicalmente, ancora oggi, quando si sente parlare di “agricoltura”, la mente dei “non addetti ai lavori” evoca spesso scene bucoliche, paesaggi sconfinati in cui l’agricoltore coltiva il suo campo, pascola il bestiame, riposandosi all’ombra di un albero al termine del suo lavoro.
Immaginare il lavoro agricolo all’interno di uno sterminato capannone industriale finalizzato all’allevamento di polli in batteria o in vasti campi coltivati a monoculture, sui quali sorvolano droni che monitorano la produzione, risulta ancora difficile anche se queste sono ormai realtà concrete e sempre più diffuse nel panorama nazionale.
Eppure, il piccolo agricoltore è già, purtroppo, una figura appartenente al passato in alcuni contesti internazionali. In Cina, ad esempio, nell’ambito dell’allevamento di suini, la produzione è nelle mani di pochi grandi gruppi che lavorano in un regime di contract farming13, ossia di esclusività con qualche grande xxxxxxx00.
È cosi che si può creare nell’immaginario una sorta di dualismo che vede protagonisti, da un lato, il contadino o l’agricoltore15 e dall’altro l’imprenditore
13 Nel 2001 la FAO ha elaborato una definizione di contract farming. Con tale termine si indica l’agricoltura a contratto nella quale rientrano diversi schemi contrattuali consistenti in un accordo, spesso a prezzi prestabiliti, tra agricoltori e imprese di trasformazione e / o commercializzazione per la produzione e la fornitura di prodotti agricoli. L'accordo coinvolge invariabilmente anche l'acquirente nel fornire un livello di supporto alla produzione attraverso, ad esempio, la fornitura di input e la fornitura di consulenza tecnica. La base di tali accordi è un impegno da parte del produttore a fornire un prodotto specifico in quantità e a standard di qualità determinati dall'acquirente e un impegno da parte dell'azienda a sostenere la produzione e ad acquistare il prodotto. X. XXXXX, X. X. SHEPHERD, Contract farming Partnerships for growth, FAO Agricultural Services Bulletin n. 145, 2001.
14 In argomento: X. XXXXXXX, I signori del cibo, viaggio nell’industria alimentare che sta distruggendo il pianeta, Xxxx, 0000. Il giornalista, nel suo libro inchiesta documenta la realtà del mercato del cibo mondiale, analizzando alcuni casi come quello della più grande industria di trasformazione di carne suina nel mondo, Shuanghui, in cui le fasi, particolarmente cruenti, che vanno dalla macellazione alla trasformazione dell’animale, sono standardizzate e paragonabili a quelle di una vera e propria catena di montaggio in cui i lavoratori ripetono all’infinito gli stessi gesti meccanici.
15 Accezione preferita dal movimento internazionale Via Campesina, nato nel 1993, che raggruppa le organizzazioni contadine di svariate parti del mondo, con l’obiettivo principale di promuovere politiche agricole ed alimentari solidali e sostenibili, ponendo al centro dell’attività svolta la tutela del primo anello della food chain: la realtà contadina e l’agricoltore inteso come piccolo produttore agricolo. Durante la stesura del presente lavoro, la sottoscritta ha avuto modo, come si approfondirà più avanti nel quarto capitolo, di interfacciarsi con due associazioni che fanno parte
xxxxxxxx come se fossero due figure distinte e contrapposte portatrici di interessi ed esigenze diverse.
Spesso, sempre nell’immaginario collettivo, si può riconoscere al primo una situazione di svantaggio, forse in virtù di un retaggio culturale che porta a pensare al contadino come una figura in via di estinzione, qualità indubbiamente corrispondente al vero ma che inizialmente non si attribuisce al secondo, non avendo una percezione esatta delle dinamiche che si vengono a creare quando questo entra nel sistema produttivo e distributivo della c.d. filiera lunga che oggi figura come il modello principale di diffusione dei prodotti agroalimentari sul mercato.
Entrando nel merito delle tematiche che oggi concernono il mercato agricolo e agroalimentare ci si accorge che non solo queste figure hanno molteplici punti in comune ma che, al di là delle diverse formule definitorie, costituiscono due facce della stessa medaglia o meglio due prospettive diverse dalle quali inquadrare la stessa problematica: la debolezza strutturale e contrattuale di questi soggetti nel mercato.
Il sempre maggiore interesse nei confronti, da un lato, dei diritti dei contadini e, dall’altro, degli imprenditori agricoli sta convergendo nell’adozione di misure che hanno in comune il riconoscimento di una posizione giuridicamente rilevante ai diritti e agli interessi di cui queste figure sono titolari nell’esercizio della loro attività lavorativa.
Gli agricoltori/contadini avvertono l’esigenza di riappropriarsi della terra, del modo di fare agricoltura organizzando a proprio piacimento la loro attività produttiva, adoperando scelte in sintonia con la loro idea imprenditoriale che li
del Coordinamento Europeo del movimento: l’Associazione Rurale Italiana (ARI) e Confédération Paysanne, sindacato agricolo francese, nato nel 1987 (fondatore del Coordinamento Europeo stesso). Nel 2018 la Dichiarazione ONU sui diritti dei contadini (United Nations Declaration on the Rights of Peasants and Other People Working in Rural Areas) ha introdotto una definizione internazionale di contadino basata sullo speciale rapporto che lega tale figura alla terra. Con questa definizione si indica qualsiasi soggetto che, in forma individuale, collettiva o come intera comunità, pone in essere un’attività di produzione agricola su piccola scala ai fini dell’autoconsumo o per il mercato attraverso un’organizzazione del lavoro improntata principalmente sull’ausilio della famiglia. In argomento: X. XXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, “Ogni solco ha un nome”Contadini e soggettività giuridica: spunti a partire dall’opera di Xxxxx Xxxxxxxxxx, in Annali n. 20 del Dipartimento Giuridico dell’Università degli Studi del Molise, Studi in onore di Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, Napoli, 2019, pag. 301 e ss..
riporti quasi al passato in cui l’agricoltore non era equiparabile ad un impiegato che si limita a seguire pedissequamente le direttive della grande distribuzione organizzata. Nascono così in tutto il mondo i movimenti a difesa dei diritti dei contadini16 che hanno contribuito a stipulare il 17 dicembre 2018 la Dichiarazione ONU sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle aree rurali17. Questo traguardo, frutto di complesse e lunghe negoziazioni, rappresenta non soltanto l’affermazione dei diritti di un particolare gruppo di soggetti ma si innesta nel più ampio contesto dei diritti umani18. Il documento introduce dunque una definizione di contadino (peasant e non farmer), avente valenza internazionale ed una portata più ampia di quella tradizionalmente accolta, con la quale si individua, in primis, qualsiasi soggetto che si impegna a svolgere da solo, o associandosi ad altri oppure come comunità, un’attività di produzione agricola su piccola scala ai fini dell’autoconsumo o anche per il mercato. Tale attività può essere svolta con il lavoro della famiglia o con il lavoro domestico, oppure con altre modalità non remunerate di organizzazione del lavoro19.
Tuttavia non si può non prendere atto che oggi l’agricoltore non è solo peasant ma anche farmer, ossia del produttore agricolo medio grande che spesso produce per conto di imprese di distribuzione che collocano sul mercato i suoi prodotti. Ciò fa comprendere come le apparenti differenze tra agricoltore e produttore agricolo, tendano a non essere così rilevanti nella pratica ai fini di riconoscere loro una comune debolezza strutturale e contrattuale.
Il mercato globalizzato, la domanda di cibo sempre più crescente, la situazione attuale che spinge i produttori ad essere il primo anello di quella catena che dal campo arriva alla tavola, comporta la necessità di regolare i rapporti che si istaurano tra i diversi soggetti che si incontrano lungo la filiera e di tutelare i
16 Ne costituiscono alcuni esempi il Movimento di Via Campesina, la Confédération Paysanne in Francia (Confederazione nazionale dei sindacati degli agricoltori), la Canadian National Farmers Union.
17 La già menzionata United Nations Declaration on the Rights of Peasants and Other People Working in Rural Areas, UN Doc. A/RES/73/165, 17 dicembre 2018, reperibile al seguente link: xxxx://xxx.xx.xxx/xx/xx/xxxxxx/xxxx_xxx.xxx?xxxxxxxX/XXX/00/000.
18 Per approfondimenti sull’argomento: X. XXXXXX, The Rise of New Rights for Peasants. From Reliance on NGO Intermediaries to Direct Representation, in Transnational Legal Theory, 2019, pag. 1.
19 X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, La Dichiarazione ONU sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle aree rurali: prime riflessioni in xxxxxxxxxxx.xx , Focus Human Rights n. 1, 2019, pag.11.
produttori stessi. Il fatto che tali soggetti abbiano, oggi, più risorse rispetto al passato non deve indurre a pensare che essi abbiano una capacità maggiore di farsi valere con mezzi adeguati nel gioco del “libero mercato” e nei rapporti con l’industria alimentare.
Le scelte anche legislative che vengono attuate hanno spesso in comune compensi di mera sopravvivenza che impongono una volatilità estrema ai prezzi della produzione, che creano una insostenibile insicurezza della vita dei produttori e indeboliscono ulteriormente le condizioni economico-sociali dei lavoratori del settore agricolo20.
Nel presente lavoro di ricerca, prendendo in considerazione le relazioni contrattuali che vengono ad esistenza nella filiera lunga, si utilizzerà spesso l’espressione “produttore agricolo” piuttosto che quella di agricoltore e ciò deve essere interpretato come un’ulteriore circoscrizione soggettiva dell’ambito di studio e delle tematiche che saranno trattate. Tuttavia, al di là di questa specificazione, le criticità che accomunano paesants e farmers hanno le stesse identiche radici e rendono più simili di quanto possiamo pensare due categorie che non si rivelano più tali ma due prospettive differenti attraverso le quali guardare le stesse problematiche che attanagliano tutto il settore agroalimentare oggi sempre più agribusiness.
Le relazioni contrattuali tra i soggetti lungo la filiera produttiva del settore agroalimentare hanno assunto, negli ultimi decenni, un’importanza sempre maggiore nel panorama giuridico internazionale, europeo e nazionale.
Il termine “filiera” nella letteratura economico-giuridica contemporanea indica, infatti, il complesso delle relazioni socio-economiche attraverso le quali le produzioni agricole di base, destinate all’alimentazione umana e animale, vengono immesse sul mercato passando dai produttori agricoli agli utilizzatori, siano essi
20 X. XXXXX, I padroni del cibo, Milano, 2008.
consumatori finali o, come capita più di frequente in un sistema di filiera lunga, altri operatori economici quali trasformatori o distributori21.
Proprio in funzione del diverso valore economico che caratterizza gli attori della food chain l’attenzione del legislatore, a vari livelli, è stata rivolta sia a monte che a valle della catena produttiva: verso l’acquirente finale del prodotto, ossia il consumatore, e il produttore agricolo.
Quando si utilizza l’accezione contraente debole all’interno del diritto agroalimentare solitamente si fa riferimento al consumatore, tuttavia in questa figura possono essere estensivamente comprese tutte quelle parti contrattuali caratterizzate da una situazione di svantaggio dovuta dallo squilibrio del potere negoziale. Sotto tale aspetto, sono considerati contraenti deboli, nei rapporti contrattuali con le imprese alimentari, i produttori agricoli, i quali versano in una condizione di “price takers”, ossia di coloro che subiscono i prezzi, al contrario dei “price makers22”, le imprese, che invece i prezzi li stabiliscono.
Il sempre più attuale impoverimento dei produttori in seguito al costante aumento del margine di guadagno da parte delle imprese di trasformazione e dei commercianti all’ingrosso, ha indotto le istituzioni europee, negli ultimi anni, a porre l’attenzione sulle criticità della filiera alimentare. Già nel 2008, con una comunicazione al Parlamento ed al Consiglio (il c.d. Small Business Act23), la Commissione ha sottolineato l’importanza di promuovere ed aiutare le piccole e medie imprese eliminando gli squilibri contrattuali.
Risale, poi, al 28 ottobre 2009 la Comunicazione sul migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa24 e al 2010 l’istituzione del Forum di alto livello per un migliore funzionamento della filiera alimentare25, con i quali si è evidenziato il frequente uso di pratiche commerciali sleali lungo tutta la catena
21 In argomento X. XXXXXXXXXX, Profili giuridici del sistema agro-alimentare e agro-industriale. Soggetti e concorrenza, 2018, op. cit., pag. 25 e ss..
22 Accezioni utilizzate dal Xxxx. Xxxxxxxxxx nella sua ampia letteratura.
23 Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, del 25 giugno 2008, denominata Una corsia preferenziale per la piccola impresa. Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (un “Small Business Act” per l’Europa), COM(2008) 394 definitivo.
24 Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, del 28 ottobre 2009, sul migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa, COM(2009) 591 definitivo.
25 Decisione della Commissione del 30 luglio 2010 che istituisce il Forum di alto livello per un migliore funzionamento della filiera alimentare (in G.U.U.E. C 210/4 del 3 agosto 2010).
alimentare che, accompagnate dall’instabilità dei prezzi dei prodotti alimentari e delle materie agricole, contribuiscono tutt’oggi all’indebolimento dell’intera filiera.
Nel Libro Verde sulle pratiche commerciali sleali tra imprese del 201326, si è concentrata l’attenzione, inoltre, sull’asimmetria del potere negoziale, raffigurato quale una delle cause principali dell’impoverimento dei produttori.
La soggezione dell’impresa agricola27 all’impresa acquirente comporta, come si può desumere dal documento, l’elevata probabilità che il soggetto detentore del maggior potere contrattuale utilizzi a proprio vantaggio la situazione di squilibrio negoziale, lasciando al produttore agricolo solo la libertà di decidere se aderire ad uno schema negoziale unilateralmente predisposto.
A ciò si aggiunga che, alla debolezza contrattuale che le istituzioni europee correttamente riscontrano, sia nel contesto europeo che internazionale, si affianca irrimediabilmente anche una debolezza strutturale della parte agricola che si riscontra nella nota circostanza di un frammentata offerta dei prodotti stessi alla quale corrisponde una forte concentrazione della domanda da parte dell’impresa alimentare28.
Tuttavia, il qualificare contraente debole un imprenditore, è cosa ben diversa da ritenere tale un consumatore: mentre la “debolezza” di quest’ultimo si presume a priori, non agendo questi nell’esercizio della propria attività di impresa, quella del
26 Libro Verde sulle pratiche commerciali sleali nella catena di fornitura alimentare e non alimentare tra imprese in Europa, del 31 gennaio 2013, COM(2013) 37 final.
27 Soggetta anche all’elevata deperibilità dei prodotti.
28 La filiera alimentare risulta composta, spesso, come una clessidra: decine di milioni di agricoltori, centinaia di migliaia di imprese della trasformazione e qualche migliaio di acquirenti che rivendono a centinaia di milioni di consumatori. Prendendo in considerazione il contesto europeo, in tutti i Paesi si registrano alti livelli di concentrazione nel segmento della rivendita al dettaglio, principalmente la grande distribuzione organizzata e le sue centrali d’acquisto. Negli ultimi anni questa tendenza alla concentrazione si è ulteriormente accentuata. I motivi sono tanti, non da ultimo la concorrenza delle grandi piattaforme del commercio online. Non è tanto la vendita su internet di generi alimentari, che è un fenomeno in forte crescita ma ancora marginale, quanto l’acquisizione da parte dei giganti dell’e-commerce di catene di supermercati e le alleanze del retail tradizionale con grandi piattaforme online. Uno scenario in cui gli acquirenti sono sempre di meno, più organizzati e di dimensioni sempre più grandi. I fornitori del comparto produttivo primario, soprattutto in Europa, sono invece tanti, di piccole dimensioni, frammentati e poco propensi all’aggregazione. Per un approfondimento economico-politico su tali temi: P. DE XXXXXX, La direttiva Ue contro le pratiche commerciali sleali nel settore agroalimentare Cosa cambia per le imprese e i consumatori italiani, 2019, studio per il Parlamento europeo. Reperibile anche online al seguente link: xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx.
primo va accertata in concreto tenendo conto dello squilibrio di potere che spesso scaturisce proprio dai rapporti negoziali che si intrattengono lungo la filiera.
Numerosi ed eterogenei, nel corso degli ultimi anni, sono stati gli interventi normativi sia a livello europeo che nazionale pensati dal legislatore per attenuare le situazioni di forte squilibrio che contraddistinguono i rapporti tra produttore e impresa.
Dalle riforme riguardanti la disciplina dell’Organizzazione comune del mercato europea29, alle norme che incentivano l’uso dell’associazionismo tra produttori agricoli o che regolano i rapporti tra i vari soggetti della food chain, passando per i nuovi modelli e gli schemi negoziali disciplinati a livello nazionale per attribuire rilevanza giuridica a prassi contrattuali diffusesi nella pratica sul territorio30, fino a giungere anche all’emanazione della direttiva Ue sulle pratiche commerciali sleali lungo la filiera agroalimentare e al regolamento31 della Commissione concernente la trasparenza nella formazione dei prezzi, si è assistito ad un progressivo quanto veloce e, a tratti quasi spasmodico, intervento del legislatore alla materia qui in esame.
L’azione legislativa europea dell’ultimo biennio si è articolata, infatti, attraverso tre iniziative principali. La prima è costituita dal regolamento Omnibus32, pensato per rafforzare il potere contrattuale delle organizzazioni dei produttori nei confronti dell’industria di trasformazione e della grande distribuzione organizzata. La seconda, è la direttiva contro le pratiche commerciali sleali nel settore agroalimentare, emanata al fine di tutelare gli imprenditori più piccoli dagli abusi dei contractors più grandi33. La normativa in questione, come si vedrà, ha vietato
29 Dalla riforma del 2007 fino all’ultima modifica intervenuta con il reg. (Ue) n. 2017/2393 c.d.
Omnibus.
30 Ne costituiscono un esempio le reti d’impresa.
31 Regolamento di esecuzione (Ue) n. 2019/1746 della commissione del 1 ottobre 2019, che modifica il regolamento di esecuzione (Ue) n. 2017/1185 recante modalità di applicazione dei regolamenti (Ue) n. 1307/2013 e (Ue) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le notifiche alla Commissione di informazioni e documenti (in G.U.U.E. L. 268/6 del 22 ottobre 2019). Questo regolamento ha introdotto delle disposizioni riguardanti la trasparenza di informazione sui prezzi, sulla produzione e sulle informazioni di mercato (e informazioni richieste da accordi internazionali) all’interno di tutta la filiera.
32 Il già citato regolamento (Ue) n. 2017/2393 del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2017 (in G.U.U.E. L. 350/15 del 29 dicembre 2017).
33 In realtà, la direttiva non tutela soltanto le piccole imprese ma anche quelle medio grandi. Nonostante la direttiva si ponga come obiettivo una armonizzazione minima, che lascia agli Stati membri la possibilità di prevedere l’estensione dei soggetti coinvolti e delle pratiche vietate nelle
alcuni comportamenti scorretti, specifici e ricorrenti del settore agroalimentare, non coperti dalla legislazione antitrust generale34. La terza e ultima iniziativa consiste in un regolamento di esecuzione, emanato ad ottobre 2019, che si prefigge lo scopo di fare luce sul meccanismo di formazione dei prezzi “dal campo alla tavola”.
Per comprendere il tenore di questi interventi, gli aspetti e gli interessi diversi che prendono in considerazione e sui quali agiscono, la loro efficacia e idoneità a raggiungere gli obiettivi prefissati, nonché il complesso coordinamento che occorre attuare, non sempre semplice o possibile, per le ragioni che saranno successivamente esplicate nel terzo capitolo, si devono necessariamente approfondire le dinamiche giuridico-economiche che riguardano la filiera agroalimentare ed entrare nel merito del percorso, anche normativo, che a livello europeo ha portato a concepire il mercato dei prodotti agroalimentari come lo intendiamo oggigiorno.
1.4. Dall’impresa agricola all’intervento organizzato dei produttori sul mercato
A partire dal dopoguerra il settore agricolo nazionale è mutato radicalmente, sia per quanto concerne il profilo dimensionale dell’attività agricola, sia per quanto attiene la produttività.
Il cambiamento ha inciso profondamente anche rispetto al modo che l’imprenditore agricolo aveva di approcciarsi al mercato. Se prima del secondo conflitto mondiale il produttore intratteneva rapporti con pochissimi soggetti, solitamente un unico fornitore35 dal quale acquistava ciò che gli serviva per la produzione e pochi clienti, e la situazione non è mutata fino agli inizi degli anni
singole legislazioni nazionali, il Parlamento ha ottenuto delle modifiche significative al testo, che, rispetto a quello originario, hanno provveduto a migliorare la tutela dei produttori agricoli e delle piccole, medie e medio-grandi imprese agroalimentari.
34 Si tratta di ritardati pagamenti o cancellazione di ordini last minute su prodotti deperibili, pratiche che scaricano sui fornitori gran parte del rischio di mercato e non sono sanzionabili con l’abuso di posizione dominante, codificata dal diritto antitrust.
35 Si pensi, a titolo di esempio, alla figura del Consorzio agrario provinciale. Per approfondimenti in merito, L. COSTATO, La nuova versione dell’art. 2135 cod. civ. e la Corte di cassazione, in Rivista di diritto agrario, 2004, fasc. 1, pag. 3 ss. .
sessanta del secolo scorso, a partire dalla fine degli anni settanta, complice il boom economico e l’innovazione tecnologica, lo scenario ha iniziato a modificarsi nettamente.
In altri termini, se gli imprenditori agricoli costituivano, nella prima metà del secolo scorso, delle realtà economiche non particolarmente rilevanti nelle dinamiche della produzione nazionale36, le imprese agricole presenti sul territorio erano sostanzialmente quelle che vendevano i prodotti direttamente ottenuti dai propri terreni e gli imprenditori agricoli non interagivano direttamente con il libero mercato, successivamente si è assistito ad un progressivo allungamento della filiera produttiva che ha coinvolto sempre più soggetti e ha arricchito la propria offerta anche grazie ai cambiamenti tecnologici che hanno inciso sulle produzioni.
L’imprenditore agricolo non è stato più solo colui che vendeva i prodotti del proprio terreno ma anche colui che curava una sola parte del ciclo biologico di vegetali e animali, che si apriva al mercato, non solo nazionale ma anche europeo e internazionale e che comprendeva l’importanza dell’associarsi, anche dalle esperienze già intervenute in altri contesti nazionali37 con i quali ci si iniziava ad interfacciare in modo concreto sul mercato stesso.
È stato così che nel moderno sistema dei rapporti lungo la filiera sono apparsi nuovi soggetti accanto ai produttori della materia prima e all’agricoltura di tipo individuale si è affiancata quella collettiva espressa attraverso modelli come le società semplici, le società cooperative e talvolta le società per azioni.
Le funzioni di questi soggetti collettivi non differivano da quelle svolte dagli imprenditori agricoli individuali, in quanto anche per queste realtà all’attività di produzione si affiancava quella di messa in circolazione dei beni.
Nel presente studio si focalizzerà l’attenzione su altre tipologie di soggetti collettivi che svolgono compiti non solo in qualità di operatori nel mercato ma anche funzioni regolatorie del mercato stesso38.
36 Si veda: G.B. XXXXX, Proprietà produttiva e impresa agricola in Saggi, Torino, 1992.
37 Si pensi a quelle dei nostri cugini d’Oltralpe.
38 Per una dettagliata ricostruzione storica al riguardo si veda: X. XXXXXXX, Gli accordi interprofessionali in agricoltura, Xxxxxx, 0000.
Tali strutture associative sviluppatesi a partire dal novecento in diversi contesti giuridici, per loro stessa natura, come si avrà modo di constatare nel secondo e nel terzo capitolo, hanno richiesto una disciplina particolare. Se in un primo momento le strutture associative costituite dai produttori agricoli hanno svolto funzioni meramente sindacali, successivamente queste hanno iniziato a svolgere funzioni economiche dirette a produrre i loro effetti sulle attività dei soggetti aderenti e nelle diverse filiere produttive di riferimento. Il miglioramento tecnologico della produzione agricola, l’omogeneizzazione della produzione, la concentrazione dell’offerta, sono stati gli scopi principali perseguiti da sempre dalle organizzazioni collettive e lo svolgimento di tali compiti ha richiesto l’adozione di strumenti organizzativi diversi a seconda dello specifico comparto produttivo in cui operavano.
Come già anticipato nell’introduzione, oggigiorno l’associazionismo agricolo riveste un ruolo strategico sia nel panorama internazionale che in quello nazionale.
Il legislatore europeo ha indicato nel tempo, e soprattutto nelle ultime programmazioni della politica agricola comune39, le organizzazioni di produttori come principali strumenti per il raggiungimento degli obiettivi di cui all’art. 39 Tfue.
Anche negli ordinamenti nazionali è stata riconosciuta un’importanza fondamentale all’associazionismo in agricoltura. Lo sviluppo delle forme societarie e delle organizzazioni di produttori, la multifunzionalità dell’impresa agricola sono stati, infatti, alcuni dei temi della politica agricola italiana sui quali ha inciso la legge di orientamento40 che nel 2001 ha riscritto l’art. 2135 c.c. riformulando la definizione di imprenditore agricolo e delle attività considerate agricole.
A circa diciannove anni dalla riforma si riconosce come il legislatore, nel ridefinire la figura dell’imprenditore xxxxxxxx, abbia saputo tradurre in norma i repentini cambiamenti che hanno investito il mondo agricolo, prendendo «le
39 Principalmente a partire dal 2007.
40 D.lgs. 228/01 Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57 (in G.U. n. 137 del 15 giugno 2001 - Supplemento Ordinario n. 149).
mosse dalla sostanza economica, da una mutazione dei mercati e dei ruoli svolti dall’impresa agricola rapida e senza precedenti nella storia dell’umanità41».
Nonostante l’associazionismo lavorativo avesse nella nostra storia profonde radici nel passato42, il settore agricolo è stato per lungo tempo caratterizzato da uno scetticismo da parte dei produttori nei riguardi della possibilità di associarsi. Scetticismo che, come vedremo, contraddistingue ancora alcune zone geografiche nel Bel Paese. La riforma del 2001 ha inciso profondamente per la prima volta, dopo la riforma dei contratti agrari del 1982, sui soggetti operanti in agricoltura, dal coltivatore diretto all’imprenditore agricolo professionale, passando per le società e per le cooperative agricole. La riscrittura dell’art. 2135 c.c. ha avuto, ad esempio, un forte impatto sulla successiva riforma che due anni dopo, nel 2003, ha riguardato la disciplina cooperativa43.
1.5. Agricoltura e concorrenza nell’esperienza europea: alcuni profili introduttivi
Come si vedrà nel corso della trattazione, sia nel contesto internazionale che in quello locale, i produttori agricoli spesso non risultano, purtroppo, sufficientemente organizzati e non riescono a concentrare efficacemente l’offerta dei prodotti sul mercato44.
Nel contesto europeo, sul quale si concentrerà principalmente l’attenzione durante la trattazione, nonostante l’utilizzo di modelli e strumenti associativi e la presenza di strutture associative di tipo orizzontale, nessuna concentrazione reale
41 X. XXXXXXX, L’imprenditore agricolo e le attività considerate agricole. 15 anni dopo la rivoluzione della “Legge di Orientamento”, Roma, 2016, pag. 6.
42 Si pensi alle corporazioni.
43 D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (in G.U. n. 17 del 22 gennaio 2003 - Supplemento Ordinario n. 8).
44 In argomento si rinvia, per una dettagliata analisi delle dinamiche in oggetto, all’indagine conoscitiva dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (A.G.C.M.) sulla distribuzione agroalimentare relativa al mercato dei prodotti ortofrutticoli (provvedimento n. 16908 del 7 giugno 2007). L’indagine ha rilevato, in breve, la necessità di rinnovare e ripensare la struttura della produzione e della distribuzione ortofrutticola italiana al fine di evitare che i molteplici
«attori in campo facciano lievitare i prezzi ai consumatori finali in misura anomala rispetto a quanto accade in altri Paesi europei». Tale assunto, pur se relativo ad uno specifico comparto produttivo, accomuna diversi settori dell’agroalimentare italiano.
dell’offerta, in via generale, permette ai produttori di resistere al potere d’acquisto esercitato dalla parte imprenditoriale con la quale si relazionano lungo la filiera45. Parte autorevole della dottrina, sia italiana che straniera, concorda nel considerare l’impossibilità di stabilire un prezzo comune di cessione dei prodotti tra i membri delle organizzazioni orizzontali, l’ostacolo più rilevante alla pianificazione della produzione e alla concentrazione dell’offerta46, e che, conseguentemente, non ne ha permesso, secondo un’opinione condivisibile, un efficace funzionamento e sviluppo47.
L’interpretazione restrittiva abbracciata dalle autorità nazionali della concorrenza relativamente alla specificità del settore agricolo affermata nei trattati europei a partire dal 1958, a sua volta, è considerata l’ostacolo alla concentrazione dell’offerta.
Nell’ esperienza europea, a partire dagli inizi degli anni sessanta del secolo scorso, una componente decisiva della politica agricola comunitaria è stata la fissazione a livello europeo dei prezzi dei prodotti agricoli. Venuta meno la politica di sostegno ai prezzi da parte dell’Unione europea, non si è assistito, tuttavia, ad un consequenziale cambio di paradigma e il divieto di fissazione dei prezzi48, non più giustificato, ha continuato a persistere.
L’idea fondante il modello economico e giuridico alla base delle scelte operate dal legislatore europeo, fin dal Trattato di Roma del 1957, è sempre stata quella della libera concorrenza, secondo la quale il mercato dovesse essere regolato da tale
45 In proposito: X. XXXXXXXX, I contratti della filiera agroalimentare tra efficienza del mercato e giustizia dello scambio, in X. X'XXXXXX, X. XXXXX (a cura di), Annuario del contratto 2015, 2016, pag. 3 e ss., che descrive il mercato agricolo come «caratterizzato da un’offerta rappresentata da una grande massa di produttori, che si confronta con una domanda concentrata nelle mani di un numero nettamente inferiore di imprese acquirenti». Per una descrizione generale del fenomeno: ID., Contratto mercato e responsabilità, Milano, 2008, pag. 121 e ss. Sul punto anche X. XXXXXXXXXX, I contratti dall’impresa agricola all’industria di trasformazione. Problemi e prospettive dell’esperienza italiana, in Rivista di diritto alimentare, 2008, fasc.2, pag. 5 e ss.
46 Compiti questi che, secondo l’art. 152, primo paragrafo lett. c), del reg. (Ue) n. 1308/13, costituiscono gli obiettivi principali delle Op.
47 Di questa opinione: C. DEL CONT, La contractualisation des relations commerciales agricoles: brèves réflexions sur la prise en considération de la spécificité agricole, in Liber amicorum mélanges en l’honneur de Xxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Parigi, 2017, pag. 285 e ss..
48 Per descrivere efficacemente tale fenomeno, in dottrina è stata utilizzata l’espressione “tabù dei prezzi” coniata dal xxxx. Xxxxxxxxxx, si rinvia, su tutti, a: X. XXXXXXXXXX, L'associazionismo dei produttori agricoli ed il "tabù" dei prezzi agricoli nella disciplina europea della concorrenza. Considerazioni critiche sul reg. 261 del 2012 in materia di latte e prodotti-lattiero caseari, in Rivista di Diritto Agrario, 2012, fasc.3, pag. 179 e ss. L’autore dopo aver effettuato una disamina generale in merito al divieto di porre in essere accordi sui prezzi dei prodotti agricoli, concentra la sua riflessione sul settore lattiero-caseario.
meccanismo autonomo. Per questo motivo sono stati sempre vietati accordi fra le imprese, le decisioni di associazioni di imprese e le pratiche di imprese che avessero come finalità o come risultato quello di impedire la concorrenza nel mercato comune.
La specialità del mercato agricolo, riguardante soprattutto il settore primario della produzione caratterizzato da ritmi diversi rispetto alle attività del settore secondario e terziario, ha indotto il legislatore europeo ad adottare, fin dalla nascita della politica agricola comune, una disciplina diversa in deroga alle norme generali in materia di concorrenza che cercasse di adattare gli strumenti utilizzati per la costruzione del mercato comune alle peculiarità del settore.
La concorrenza ha rappresentato nel settore in analisi non un fine ma un mezzo per il raggiungimento degli obiettivi della politica agricola e tale interpretazione è stata confermata anche dalla Corte di giustizia la quale ha affermato che «sono stati riconosciuti nel contempo sia la priorità della politica agricola rispetto agli obiettivi del Trattato nel settore della concorrenza, sia il potere del Consiglio di decidere in quale misura le regole della concorrenza vengono ad applicarsi nel settore agricolo»49.
L’odierno art. 38 Tfue, che apre il Titolo III° dedicato alle disposizioni in materia di agricoltura e pesca, stabilisce che le disposizioni dall’art. 39 al 44 si applicano ai prodotti elencati nell’Allegato I° del Trattato50, che, per la maggior parte, sono quelli destinati all’alimentazione e non di prima trasformazione51. Ciò si giustifica nell’ottica del rapporto materia-funzione: la materia agricoltura è considerata in virtù della sua funzione, il consumo.
All’art. 39 del Tfue alla lettera d) tra gli obiettivi della politica agricola comune figura l’assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori. In un sistema economico c.d. “puro” questi avrebbero, invece, diritto a prezzi più bassi possibili, ciò, tuttavia, non può trovare applicazione nel settore agroalimentare per
49 Sentenza Corte di giustizia UE del 5 ottobre 1994, in causa 280/93, Repubblica federale di Germania x. Xxxxxxxxx CEE in merito alla portata dell’art. 42 Tfue. Tale norma afferma: «le disposizioni del capo relativo alle regole di concorrenza sono applicabili alla produzione e al commercio dei prodotti agricoli soltanto nella misura determinata dal Parlamento europeo e dal Consiglio, nel quadro delle disposizioni e conformemente alla procedura di cui all’articolo 43, paragrafo 2, avuto riguardo agli obiettivi enunciati nell’articolo 39».
50 Già Allegato II° prima della riforma di Lisbona.
51 Ne costituisce un esempio la margarina che è un prodotto di origine prettamente industriale.
due motivi che possono essere anche essi ricavati tra gli obiettivi della Pac: il garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e la stabilizzazione dei mercati. Il criterio del prezzo ragionevole utilizzato dal legislatore è uno strumento per stabilizzare il mercato agroalimentare e tale obiettivo non può essere raggiunto adottando un modello di concorrenza perfetta. Ci si trova dinanzi a un mercato regolamentato in cui la “food security”, intesa come accesso al cibo, giustifica la deroga alle norme generali sulla concorrenza.
La tutela della concorrenza è stata ed è tuttora uno dei pilastri fondamentali dell’esperienza giuridica europea. Infatti, l’Unione, sin dal Trattato di Roma, che ha sancito la nascita della Comunità europea, ha iniziato a dettare norme in merito che hanno tracciato la strada agli interventi legislativi dei singoli Stati membri.
In un primo momento, stando alle interpretazioni sull’allora art. 85 del Trattato di Roma52, si è data maggiore attenzione alla tutela dei concorrenti, piuttosto che a quella della concorrenza, abbracciando anche una visione limitata e ristretta rispetto agli interessi dei consumatori, al fine di favorire gradualmente la nascita del mercato unico europeo.
Inizialmente, l’applicazione della normativa sulla concorrenza, contenuta negli allora artt. 85 e 86 del Trattato di Roma, è rimasta sospesa per il settore agricolo sino all’emanazione del reg. n. 26/6253, anche se, in taluni casi, all’interno di alcune organizzazioni comuni di mercato le norme generali sulla concorrenza sono state dichiarate applicabili, in riferimento agli aiuti statali.
Il Consiglio, in questo primo regolamento relativo all'applicazione di alcune regole di concorrenza alla produzione e al commercio dei prodotti agricoli adottò, però, una soluzione volta a ridimensionare il contenuto dell’art. 36 Tcee54. In altri termini, l’art. 1 del reg. n. 26/62, capovolgendo il contenuto della disposizione del Trattato, prevedeva, in linea di principio, l’applicabilità degli articoli da 85 a 90 del Trattato stesso55.
52 Oggi art. 101 Tfue.
53 Regolamento (Cee) n. 26/62 del Consiglio, relativo all'applicazione di alcune regole di concorrenza alla produzione e al commercio dei prodotti agricoli, del 4 aprile 1962 (in G.U.C.E. del 20 aprile 1962, n. 030).
54 Oggi art. 42 Tfue.
55 Oggi artt. 101-106 Tfue.
L’interpretazione restrittiva abbracciata dalle autorità europea e nazionali della concorrenza relativamente alla specificità del settore agricolo affermata nei trattati europei a partire dal 1958, a sua volta, è considerata l’ostacolo alla concentrazione dell’offerta.
Il rapporto tra politica agricola e concorrenza va esaminato, quindi, tenendo conto della dinamicità di entrambi i fattori. In altre parole, essi possono essere studiati attentamente solo partendo dal presupposto che sono elementi soggetti a mutare nel tempo a seconda del contesto storico, socio-politico, economico e delle nuove esigenze emergenti56.
È proprio sul campo della legislazione antitrust che, infatti, sono emersi, con il tempo, i primissimi presupposti normativi volti a incentivare e a favorire l’incremento dell’associazionismo economico, in primis tra gli operatori agricoli e, successivamente, tra gli altri operatori della filiera agroalimentare57.
Tale scelta trova la sua spiegazione proprio nella predetta particolarità riconosciuta al settore agricolo in cui le intese e gli accordi operativi di tipo orizzontale58, a differenza di altri comparti economici in cui sono stati sempre visti con diffidenza e sono stati vietati, sono stati permessi e addirittura incentivati in presenza di particolari condizioni che nel proseguo saranno esaminate.
Questo importante legame, che svolge un ruolo primario in tema di accordi nel settore agroalimentare e, più in generale, in tema di contrattazione tra i soggetti che compongono la food chain, sarà affrontato anche successivamente nel corso del lavoro, con riguardo a diversi aspetti, man mano che ci si addentrerà più nello specifico nei vari argomenti che saranno oggetto di trattazione. In questa sede, ci si limiterà a fornire solo alcune prime nozioni generali per poi rinviare ad ulteriori sfumature e riflessioni più approfondite nei capitoli successivi.
56 Per dei riferimenti generali sul rapporto tra agricoltura e concorrenza, su tutti: X. XXXXXXXXXX, Mercati agricoli e concorrenza, in Agricoltura istituzioni mercati, fasc. 2, 2004, pag. 165 e ss. . Per un approfondimento della disciplina successiva al Trattato di Lisbona: I. CANFORA, La disciplina della concorrenza nel settore agricolo dopo il Trattato di Lisbona, in Rivista di Diritto Agrario, 2010, fasc.4, pag. 689 e ss.; ID., La disciplina della concorrenza nel diritto comunitario, in L.COSTATO, X. XXXXXXX, E. ROOK-XXXXXX (a cura di) Trattato di diritto agrario, Torino, 2011, pag. 209 e ss..
57 Per un’approfondita analisi sull’argomento: X. XXXXXXXXXX, op. cit., 2018, pag. 141 ss..
58 Quelli stipulati tra soggetti che normalmente in competizione tra loro che svolgono sul mercato la stessa funzione come, ad esempio, i produttori.
Nel corso della trattazione, invece, approfondendo ulteriormente il tema, qui delineato solo nei suoi aspetti più rilevanti, si avrà modo di constatare come, ultimamente, il legislatore europeo sia intervenuto nel merito rivoluzionando l’assetto normativo esistente.
È proprio nell’ordinamento statunitense di fine ottocento che si è sviluppata la prima disciplina in materia di antitrust dedicata agli accordi tra gli operatori del settore agricolo. Come spesso accaduto storicamente, anche in questo caso, il comparto agricolo è apparso come un laboratorio ideale in cui sperimentare dei nuovi approcci normativi. Tuttavia, pur traendo ispirazione dal modello nord- americano, l’esperienza europea si è evoluta, come visto, in modo diverso.
La storia economico-sociale europea, infatti, differente da quella degli Stati Uniti, ha fatto sì che le esigenze protezionistiche dei singoli Stati membri, mitigassero il liberalismo e l’utilitarismo economico59.
Dal 1922 il diritto americano contiene, invece, un’eccezione alla legislazione antitrust, il Capper Volstead60, che ha consentito ai produttori e alle loro associazioni di concentrare l’offerta praticando prezzi comuni di vendita61.
La posizione di svantaggio degli agricoltori nord-americani nei confronti dell’industria che fungeva sia da fornitore, che d’acquirente, li spinse a richiedere una disciplina che, consentendo loro la possibilità di associarsi, di stipulare accordi e intese aventi ad oggetto la produzione, la trasformazione e la fissazione
59 Di tale opinione: X.XXXXXX, Competition Policy, Liberalism and Globalization: a European perspective, 2000, op. cit., pag. 289 ss..
60 Esso è il provvedimento maggiormente innovativo rispetto ai precedenti. Ad esempio, il Xxxxxxx Act del 1914 si era limitato ad introdurre un’esenzione dalla normativa antitrust per le associazioni, sia di produttori agricoli che di lavoratori subordinati, di natura puramente sindacale e prive di capitale sociale.
61 Ad esempio, nella disciplina nord-americana è stato consentito, fin da subito, ai produttori di stipulare accordi incidenti sui prezzi. Sul rapporto tra le regole di concorrenza e la disciplina dettata per l’agricoltura negli Stati Uniti si rinvia per una dettagliata ricostruzione storica a X. XXXXXXXXXX, Profili giuridici del sistema agro-alimentare e agro-industriale. Soggetti e concorrenza, seconda ed., Bari, 2018, pag. 141 e ss..
del prezzo dei prodotti agricoli, li tutelasse dal processo di industrializzazione che caratterizzava quel periodo62.
L’antitrust è nata nello specifico quando nel 1890 fu adottato lo Sherman Act ossia la prima normativa alla quale, in seguito, il legislatore europeo si è ispirato. Fu poi con il successivo Capper Xxxxxxxx Act63, del 1922, che furono previste importanti deroghe per il settore agricolo.
La posizione di svantaggio degli agricoltori nord-americani nei confronti dell’industria che fungeva sia da fornitore, che d’acquirente, li spinse a richiedere una disciplina che, consentendo loro la possibilità di associarsi, di stipulare degli accordi e delle intese aventi ad oggetto la produzione, la trasformazione e la fissazione del prezzo dei prodotti agricoli, li tutelasse dal processo di industrializzazione che caratterizzava quel periodo.
Nel sistema statunitense la disciplina della concorrenza è stata affidata ai giudici e il passaggio dal primato della tutela dei concorrenti a quello della tutela della concorrenza ha evidenziato che nell’esperienza americana l’incontro tra la politica economica e le regole di concorrenza si è collocata sul terreno applicativo della disciplina dettata per la xxxxxxx00.
Lo Sherman Act è stato infatti adottato negli Stati Uniti sulla spinta della classe agricola che fu la prima a subire gli effetti della concentrazione del potere prima
62 Occorre tuttavia evidenziare alcune differenze intercorrenti tra la disciplina della concorrenza applicata nel settore agroalimentare negli Stati Uniti e quella europea. Prima di tutto, nel sistema nordamericano la disciplina della concorrenza è affidata ai giudici e il passaggio dal primato della tutela dei concorrenti a quello della tutela della concorrenza evidenzia che l’incontro tra politica economica e concorrenza si è collocata sul terreno applicativo della disciplina dettata per la seconda. In tali termini: X. XXXXXXXXXX, La concorrenza e l’agricoltura nell’attuale esperienza europea: una relazione speciale, in Rivista di Diritto Agrario, 2009, pag. 521. Nell’esperienza europea,invece, il diritto della concorrenza è stato affidato ai trattati susseguitisi nel tempo. La storia economico-sociale europea, diversa da quella degli Stati Uniti, ha fatto sì che le esigenze protezionistiche, delle quali si sono fatti portatori i singoli Stati membri, mitigassero il liberalismo e l’utilitarismo economico. Di tale opinione: X. XXXXXX, Competition Policy, Liberalism and Globalization: a European perspective, in The Columbia Jour. of European Law, 2000, pag. 289 e ss. In un primo momento, stando alle interpretazioni sull’allora art. 85 del Trattato di Roma (oggi art. 101 Tfue), in Europa si è data maggiore attenzione alla tutela dei concorrenti, piuttosto che a quella della concorrenza, abbracciando una visione limitata e ristretta degli interessi dei consumatori. In tal modo si intendeva perseguire l’obiettivo del Trattato: favorire gradualmente la nascita del mercato unico europeo.
63 È’ il provvedimento maggiormente innovativo rispetto ai precedenti. Ad esempio il Xxxxxxx Act del 1914 si era limitato ad introdurre un’esenzione dalla normativa antitrust per le associazioni, sia di produttori agricoli che di lavoratori subordinati, di natura puramente sindacale, prive di capitale sociale.
64 In questi termini JANNARELLI A., La concorrenza e l’agricoltura nell’attuale esperienza europea: una relazione speciale, op. cit., 2009, pag. 521-522.
economico e poi contrattuale delle imprese nel processo di industrializzazione che alla fine del diciannovesimo secolo già caratterizzava gli USA. La ratio dalla quale è scaturita l’adozione dello Sherman Act è proprio quella di porre rimedio alla frammentazione dell’offerta agricola alla quale si contrapponeva, invece, un mondo industriale fortemente compatto. Le industrie iniziavano a fungere sia quali fornitori delle materie per la produzione, sia quali acquirenti delle materie agricole. È facile comprendere che quindi le imprese del settore agroalimentare, già all’epoca, operavano in un mercato oligopolistico, se non, come accadeva in alcuni casi per particolari comparti produttivi, monopolistico.
Se oggi in un mercato ormai pienamente industrializzato e globalizzato si percepisce la disciplina antitrust come una normativa a tutela del consumatore, anche alla luce di questo sintetico excursus storico, non si può dimenticare che essa è stata pensata, in primo luogo, per porre rimedio al gap tra settore agricolo primario e l’impresa alimentare che si era inevitabilmente venuto a creare nell’epocale processo di industrializzazione di fine ottocento. Nell’iter che ha portato all’adozione dello Sherman Act, tuttavia, era presente anche la necessità di tutelare il consumatore, ma questo obiettivo non era primario e figurava come uno dei vari aspetti considerati degni di attenzione. Ciò rappresenta un ulteriore punto in comune, di cui si è già accennato nei paragrafi precedenti, tra la figura del consumatore e quella del produttore agricolo. Entrambi sono giustamente percepiti come figure deboli che, in quanto tali necessitano di essere destinatari di una normativa che vada a tutelare la loro condizione, anche per quanto concerne il campo della disciplina della concorrenza.
Senza entrare eccessivamente nello specifico di tutti gli atti normativi in materia di antitrust che si sono succeduti dal 1890, basti in questa sede limitarsi ad affermare che gli interventi successivi hanno avuto come scopo quello di rispondere alla crisi che nei primi venti anni del novecento aveva colpito gli Stati Uniti e l’Europa. Il ceto agricolo si era trovato a fare i conti con il crollo della domanda dei prodotti alimentari e la gestione delle eccedenze produttive, sia a causa del primo conflitto mondiale, che aveva determinato una minore domanda da parte dei Paesi europei, sia della crisi economica che in quegli anni aveva
colpito gli Stati Uniti. Per tali motivi, all’adozione del Capper Xxxxxxxx Act, si aggiunse poi nel 1967 il Federal Agricultural Fair Practices Act.
Se lo Sherman Act ha sancito la nascita di una prima disciplina sulla concorrenza dedicata al settore agricolo, il Capper Xxxxxxxx Act, ha determinato la sottrazione alla disciplina generale in materia di concorrenza degli accordi e delle intese tra i produttori agricoli aventi ad oggetto la produzione dei prodotti agricoli, compresa la fissazione del prezzo. Questa rappresenta la più importante differenza tra la disciplina nord-americana e quella europea in materia di antitrust, in quanto, con riguardo alla prima, sin dalla nascita di una specifica normativa in merito, si è data la possibilità agli imprenditori agricoli di porre in essere degli accordi aventi ad oggetto la determinazione del prezzo dei prodotti garantendo così una tutela effettiva del reddito dei produttori agricoli e una effettiva regolazione dell’offerta da parte delle organizzazioni da questi composte65. Il Capper Xxxxxxxx Act prevedeva una disciplina basata essenzialmente su un favor per i produttori agricoli relativo sia agli schemi societari che potevano essere adottati sia alle attività che le associazioni avrebbero potuto svolgere in deroga alla normativa generale in tema di concorrenza. Tale normativa non era indirizzata alle organizzazioni interprofessionali ossia a quelle realtà associative che includevano i produttori e gli altri soggetti della filiera, anche se in tempi più recenti si è ammessa l’applicazione della normativa alle cooperative di produttori agricoli che svolgono attività di trasformazione delle materie prime fornite dai loro stessi aderenti.
La normativa americana si caratterizza per considerare la pianificazione dell’output sia con riguardo alla produzione sia con riguardo alla merce da non mettere in vendita e da destinare ad altri utilizzi o alla distruzione. Tuttavia la possibilità dei produttori di concordare i prezzi riguarda solo gli accordi pre-
65 A tal proposito è opportuno rilevare la tesi espressa da un autorevole dottrina che non concorda sulla multifunzionalità della disciplina antitrust. In altri termini, chi sostiene tale orientamento afferma che non è sempre possibile riconoscere alla normativa antitrust una tutela sia dei produttori agricoli che dei consumatori, in quanto inevitabilmente tutelando i primi si cerca di assicurare anche una tendenziale lievitazione del prezzo delle materie prime agricole alla quale può corrispondere un consequenziale aumento dei prezzi a carico del consumatore finale. I sostenitori di tale dottrina ritengono che la tutela del consumatore nella disciplina antitrust non si esaurisca nel semplice riferimento al prezzo più basso, ma che sia attuata soddisfacendo necessità diverse quali ad esempio la certezza degli approvvigionamenti, la qualità dei prodotti, standard igienico sanitari alti, ecc. X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxxx e concorrenza, op.cit. 145.
production ossia quelli che intervengono prima che la produzione venga ad esistenza. Ciò a fronte della ragione per la quale è nata una disciplina particolare per il settore agricolo: favorire e rafforzare il potere di contrattazione dei produttori agricoli rispetto agli altri operatori della filiera senza provocare un aumento ingiustificato del prezzo finale di vendita al consumatore.
1.6. Da una politica “amministrata” ad una “di mercato”
Per ovviare agli effetti negativi della debolezza contrattuale ed economica dei produttori agricoli sulla stabilità dei mercati agricoli e, dunque, sulla conseguente stabilità dell’offerta di prodotti, le scelte operate del legislatore europeo, sono state attuate, sostanzialmente, in due direzioni.
Da un lato si è prospettato un intervento più incisivo sul funzionamento del mercato competitivo, mediante l’introduzione di prezzi amministrati per i prodotti in grado di assicurare ai produttori agricoli, senza distinguere le diverse condizioni presenti tra questi ultimi, un adeguato reddito per la loro attività e, in definitiva, stimolarne con costanza il processo produttivo.
Dall’altro, è stato anche elaborato un modello regolativo dei mercati che, senza incidere direttamente sulla formazione dei prezzi delle commodities agricole di base, ha mirato a porre rimedio alle più evidenti distorsioni dovute alle asimmetrie presenti attraverso un meccanismo che potesse fungere da trattamento di favore per i produttori.
Mentre negli Stati Uniti, come visto, in deroga alla tradizionale disciplina antitrust, si è favorito il rafforzamento del potere contrattuale dei produttori agricoli nel permettere loro di associarsi e di adottare delle linee operative concordate in ordine ai rapporti con le controparti negoziali, ossia con le imprese di trasformazione e di distribuzione dei prodotti agroalimentari; nell’ esperienza europea, culturalmente orientata per ragioni storiche ad un più incisivo intervento pubblico in economia, per lungo tempo si è registrata l’ambigua coesistenza del primo e del secondo modello sopra citati, secondo le scelte di fondo contenute negli articoli originari del Trattato di Roma in materia di politica agricola e nei corrispondenti articoli del vigente Tfue. Questo punto si rivela fondamentale sia
per comprendere e per valutare le soluzioni di recente introdotte che per evidenziare la dialettica interna alle istituzioni europee nei rapporti tra Commissione e Parlamento europeo e tra le scelte legislative adottate e la valutazione da parte della Corte di Giustizia, con particolare riguardo al caso “Endives” che sarà specificamente affrontato nel terzo capitolo.
In tale sede basti ripercorrere l’iter che ha comportato il passaggio da una politica agricola europea c.d. “amministrata” ad una c.d. “di mercato”.
Nei primi decenni successivi al 1957 si è assistito ad un massiccio intervento finanziario diretto al sostegno dei prezzi agricoli al fine di promuovere e rilanciare la produzione agricola necessaria per la ripresa dello sviluppo complessivo delle economie nazionali messe in ginocchio dagli effetti del secondo conflitto mondiale.
La Pac è stata, così, incentrata su misure protezionistiche miranti al sostegno dei prezzi dei prodotti agricoli attraverso la progressiva predisposizione di molteplici pacchetti disciplinari, diversificati di comparto in comparto, che hanno dato origine ad un complesso sistema di governo dei singoli mercati agricoli vincolante per tutti i Paesi aderenti al Trattato66.
A partire dagli anni ottanta del secolo scorso, le tensioni crescenti nelle relazioni internazionali di mercato che avrebbero dato origine alla WTO, hanno innescato un progressivo cambiamento della Pac che ha gradualmente proceduto ad un abbandono delle misure di sostegno ai produttori consistente in un disaccoppiamento degli aiuti dai prezzi agricoli la cui determinazione è stata affidata in misura prevalente alle sole leggi del mercato67.
L’introduzione del reg. n. 1234 del 2007 ha segnato il punto di arrivo di un mutamento radicale dovuto sia a processi emersi all’interno della stessa esperienza europea, sia a mutamenti economico-politico-sociali di portata globale68.
66 Ci si riferisce alle diverse organizzazioni di mercato istituite per i singoli comparti dell’agroalimentare.
67 Si parla a tal proposito di decoupling.
68 Il regolamento ha sostituito tutti i pacchetti disciplinari fissando le regole trasversalmente applicabili a tutti prodotti agricoli, con particolare riguardo alla loro commercializzazione e alla disciplina in materia di deroga all’applicazione della concorrenza nel settore agricolo, originariamente contenuta nel già richiamato reg. n. 26 del 1962 e nel successivo reg. n. 1184 del
Da una parte tale regolamento, nel sostituire alle singole organizzazioni di mercato, un’unica complessa organizzazione, ha segnato il punto di arrivo del processo avviatosi nei decenni precedenti consistente nel ridimensionare la portata disciplinare delle singole Ocm. Dall’altra parte, tuttavia, con riguardo all’abbandono di una politica economica di intervento sui prezzi, le istituzioni europee, in particolare la Commissione, non si sono rivelate all’altezza di decifrare adeguatamente la rilevanza del passaggio dal primato della politica economica a quella del diritto in funzione regolativa dei mercati agricoli alla luce delle loro specifiche caratteristiche.
L’orientamento si è sempre più consolidato69 ed è stato confermato anche dal successivo reg. n. 1308/2013, relativo alla Ocm unica70 che ha sostituito, in tale ambito, i precedenti.
Per molti decenni, i meccanismi di autotutela dei produttori agricoli legati, ad esempio, alla costituzione delle organizzazioni di produttori hanno svolto in Europa un ruolo marginale per la quasi totalità dei settori71, in quanto i regolamenti di base ai quali la Pac è stata affidata hanno assicurato ai produttori una diversa protezione in materia di prezzi agricoli.
Alla luce del primato che nei contenuti della Pac si assegnò al diretto intervento delle istituzioni europee sui prezzi dei prodotti agricoli, la stessa disciplina destinata a fissare in concreto la deroga del settore agricolo in ordine all’applicazione delle norme generali in materia di concorrenza sulla base della
2006. A questa semplificazione del quadro disciplinare ha fatto seguito lo smantellamento del complesso sistema di intervento sui prezzi vigente in precedenza.
69 Su tutti: la Sentenza Corte di giustizia del 9 settembre 2003, Milk Marque e National Farmers’ Union (C-137/00, EU:C:2003:429). Vedi anche sentenza Xxxxx xx xxxxxxxxx xxx 00 xxxxxxxxx 0000, Xxxxxxxxxxx Syndesmos Viomichanion Metapoiisis Kapnou (C-373/11, EU:C:2013:567), nella quale la Corte ha dichiarato che l’articolo 42 Tfue sancisce il principio dell’applicabilità delle regole di concorrenza europee nel settore agricolo e che il mantenimento di una effettiva concorrenza sui mercati dei prodotti agricoli fa parte degli obiettivi della politica agricola comune, pur ritenendo che, anche per quanto riguarda le regole del Tfue in materia di concorrenza, tale disposizione accordi agli obiettivi della politica agricola comune il primato su quelli della politica in materia di concorrenza.
70 L’art. 206 del reg. n. 1308/2013 al primo paragrafo sancisce: «Salvo diversa disposizione del presente regolamento, e conformemente all'articolo 42 Tfue, gli articoli da 101 a 106 Tfue e le relative disposizioni di applicazione si applicano, fatti salvi gli articoli da 207 a 210 del presente regolamento, agli accordi, alle decisioni e alle pratiche di cui all'articolo 101, paragrafo 1, e all'articolo 102 Tfue che si riferiscono alla produzione o al commercio di prodotti agricoli».
71 Ad esclusione di quello ortofrutticolo.
riserva di cui all’art. 42 del Trattato di Roma ha avuto, nell’esperienza europea, un impatto meno incisivo di come era, invece, auspicabile72.
Il reg. n. 1234/2007 ha sostanzialmente lasciato inalterato il quadro regolativo della concorrenza in materia agroalimentare, funzionale al primato che le stesse istituzioni intendevano assegnarsi nel gestire la politica dei prezzi agricoli, nonostante il radicale abbandono del sistema di intervento sui prezzi agricoli a favore del funzionamento del libero mercato.
Per la Commissione, è risultato difficile configurare una Pac che non fosse anche una politica economica agricola, pur ribadendo, in molti documenti, la rilevanza delle organizzazioni dei produttori agricoli al fine di superare la frantumazione dell’offerta ed assicurare agli stessi produttori un adeguato counterbalancing power.
In materia di concorrenza, altresì, è risultato difficile disancorarsi dal riflesso condizionato legato all’applicazione meccanica dei paradigmi presenti nella disciplina generale di cui agli artt. 101 e ss. del Tfue.
Come si vedrà nel corso della trattazione tale orientamento è stato poi confermato nei successivi regolamenti sull’Ocm unica e nelle modifiche di medio tempore agli stessi.
Un ulteriore cambio di paradigma, infatti, è avvenuto con le disposizioni modificate dal reg. n. 2017/2393 che, apportando dei cambiamenti al reg. n. 1308/2013 ha, in parte, come si vedrà nel terzo capitolo, riconosciuto un primato della Pac sulle regole di concorrenza.
Il ritorno al rispetto delle regole del mercato da parte della Pac per via dell’abbandono della politica dei prezzi non può certo comportare la rinuncia all’obiettivo tuttora presente nell’art. 39 Tfue relativo alla stabilità dei mercati. Allo steso tempo non si può ignorare il persistente ed accresciuto squilibrio di potere che esiste tra i diversi operatori presenti nelle filiere agroalimentari a svantaggio dei singoli produttori. Infine, non si può contraddire, come si chiarirà
72 Sin dal reg. n. 26 del 1962, tale disciplina è stata successivamente confermata nel reg. n. 1184/2006 per poi essere riconfermata senza sostanziali modifiche nel reg. n. 1234 del 2007 e nel reg. n. 1308 del 2013. Ciò è avvenuto nonostante il mutamento radicale della Pac dovuto alla contrazione forte degli interventi sui prezzi dei prodotti a favore del libero funzionamento dei mercati agricoli. Se tale scelta aveva certamente senso in un’ottica protezionistica fondata sugli interventi diretti sui prezzi, è apparsa ingiustificata nel mutato contesto intervenuto.
nel prosieguo, il riconoscimento da tempo accolto nella legislazione europea circa il ruolo insostituibile che le organizzazioni dei produttori possono rivestire proprio nella razionalizzazione dell’offerta e nell’assicurare la stabilizzazione dei prezzi alla produzione.
Negli ultimi anni, nel panorama giuridico europeo, si sta verificando un vero e proprio scontro, che a volte appare particolarmente acceso, tra la Commissione e il Parlamento europeo sia con riguardo al rapporto tra agricoltura e concorrenza sia in merito agli strumenti da utilizzare nell’attuazione dei piani settennali della politica agricola comune. Le divergenze, emerse a causa delle difficoltà economiche in cui versa il comparto agricolo, e in particolar modo il settore primario, si sono accentuate quando, come più volte ribadito, è stata abbandonata la politica europea di sostegno dei prezzi agricoli, della quale si è parlato nel precedente paragrafo.
Si è assistito, quindi, a un vero e proprio braccio di ferro tra due visioni contrapposte. La prima, della quale è portavoce la Commissione, si fonda sull’idea che una deroga alle norme sulla concorrenza possa, nel tempo, produrre una frammentazione del mercato europeo e favorire una rinazionalizzazione delle politiche agricole. La seconda, sostenuta dal Parlamento, si fonda sulla specificità del mercato agricolo e sulla necessità di utilizzare rimedi alla debolezza negoziale dei produttori agricoli nelle relazioni lungo la filiera.
Queste visioni si sostanziano nell’adozione di normative, come si avrà modo di constatare, che purtroppo non sono nella pratica sempre idonee a raggiungere i risultati prospettati.
In altri termini, se da un lato, sulla spinta del Parlamento e dei singoli Stati membri si cerca di emanare disposizioni che fattivamente possano aiutare i produttori conferendogli un maggiore potere contrattuale e conseguentemente economico, dall’altro, agendo inevitabilmente sul campo della concorrenza e sul
rapporto tra normativa antitrust e politica agricola comune, ci si scontra con la visione della Commissione e delle autorità antitrust nazionali73 che auspicano una promozione e una tutela delle regole di concorrenza e una conseguente applicazione di esse anche al comparto agroalimentare.
I produttori rischiano di trovarsi nel mezzo di questo scontro subendone, purtroppo, gli effetti negativi costituiti da una normativa caotica, frammentata e contraddittoria che indebolisce maggiormente la loro posizione invece che rafforzarla.
Il legislatore europeo ha ben chiarito in passato che le Ocm e, in generale, il mercato dei prodotti agroalimentari non costituiscono uno spazio privo di concorrenza. Tuttavia, con riferimento allo strumento delle organizzazioni dei produttori, come si verificherà, l’interpretare troppo restrittivamente tali norme e il perdere di vista il concetto secondo il quale la concorrenza dovrebbe rappresentare nel settore agroalimentare non un fine ma un mezzo per il raggiungimento degli obiettivi della politica agricola, significherebbe non tenere conto dell’evoluzione strutturale che, specialmente negli ultimi decenni ha caratterizzato la filiera agroalimentare. Significherebbe, altresì, non tenere realmente conto dello squilibrio strutturale tra le parti a monte e a valle della food chain che mette in pericolo il raggiungimento degli obiettivi, enunciati dall’art. 39 Tfue, e, in particolare, quello di assicurare un reddito decente per gli agricoltori. Ciò comporterebbe inevitabilmente l’impossibilità per le Op e le loro associazioni di concentrare l’offerta in modo adeguato ed efficiente e le priverebbe di uno strumento essenziale che potrebbe rafforzare il potere negoziale dei produttori.
Queste argomentazioni, trascendendo i meri aspetti giuridici ed economici si connettono, inevitabilmente, al concetto di dignità del lavoro agricolo che appare spesso astratto e solo, purtroppo, un mero slogan da utilizzare per qualche campagna pubblicitaria, cavalcando l’onda della moda mediatica del momento o nella speranza di attirare l’attenzione di gruppi di consumatori da sempre più sensibili ad alcuni temi.
73 A titolo di esempio, orientamento dell’autorità francese della concorrenza, X. XXXXXXX, Politique agricole et droit e politique de la concurrence: Une moisson à risque. Les raisons d’une cohabitation orageuse, in Concurrence Revue des droits de la concurrences, n. 4, 2008, pag. 11 e ss.
La maggior parte delle volte, il concetto di dignità agricola resta vittima di questo gioco, quasi perfido, che rischia di svilire, banalizzare e astrarre dalla realtà concreta criticità sempre più diffuse.
Riconoscere la “dignità del coltivare un campo” non vuol dire prendere meramente consapevolezza dell’importanza e della necessità di comprendere il ruolo fondamentale che, da antico tempore, ai produttori agricoli svolgono, ma significa conferire loro una dignità sociale, giuridica ed economica. Vuol dire riconoscere una dignità nel loro lavoro, per il loro lavoro, rispetto al lavoro che questi svolgono e riconoscere la giusta importanza ed il giusto valore ai frutti di questo lavoro. Riconoscere, altresì, la vulnerabilità di tali soggetti nei rapporti lungo la filiera agroalimentare e tutelarli appare un atto dovuto quanto necessario in quanto le vulnerabilità impediscono alle persone di rialzare la testa, ma la dignità impedisce di chinarla74.
Si parla, da molti anni, nel panorama nazionale e non solo, della dignità agricola connessa al tema del lavoro. Fenomeni quali il caporalato, il lavoro c.d. nero e grigio nei campi, sono argomenti scottanti e generalmente conosciuti perché purtroppo balzati, anche recentemente, agli onori della cronaca nera.
Seppur sia indiscutibile l’importanza di tali aspetti, questo studio, trattando le tematiche connesse alla contrattualizzazione tra i diversi operatori della filiera agroalimentare e al ruolo che l’imprenditore agricolo, singolo o associato, riveste nel mercato, si connette irrimediabilmente al dibattito concernente la dignità e la vulnerabilità proprio dei fornitori della materia prima agroalimentare.
Questo collegamento emerge prepotentemente in relazione al potere negoziale dell’imprenditore agricolo nei contratti di cessione dei prodotti che stipula con la controparte industriale del settore lungo la catena di approvvigionamento.
Come affermato più volte anche dalla Commissione e dal Parlamento europeo, l’assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola attraverso l’incremento del reddito dei produttori agricoli risulta, tra gli obiettivi della Politica agricola comune enunciati all’art. 39 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
74 Così X. XXXXXXX, La vulnerabilità sociale. Un modello teorico per il trattamento legale, in
Rivista critica del Diritto Privato, 2019, cit. pag. 64.
Passati più sessant’anni dalla stesura originaria dei Trattati di Roma, ancora oggi tale obiettivo stenta, purtroppo, ad essere raggiunto75.
Negli ultimi decenni, in particolare, si sta assistendo ad una progressiva diminuzione del reddito dei produttori a causa di un calo drastico dei prezzi a loro pagati per le materie prime fornite.
La crisi che ha caratterizzato alcuni comparti agroalimentari, come ad esempio quello lattiero-caseario, quello ortofrutticolo e dell’allevamento, non solo in Italia ma generalmente all’interno del territorio dell’Unione europea, non ha fatto altro che evidenziare maggiormente le difficoltà che i produttori agricoli incontrano rapportandosi sul mercato con gli operatori che si trovano a valle della food chain, ossia i trasformatori e la grande distribuzione organizzata76.
È ormai opinione più che consolidata tra i giuristi e gli economisti del settore che sussiste un effettivo, innegabile e palese squilibrio a scapito della parte che si trova “a monte” della filiera, ossia la parte agricola che subisce i prezzi, rispetto a quella che si trova “a valle”, quella industriale, che i prezzi li stabilisce77.
75 Di questo parere il Report della Commissione europea presentato a Bruxelles, del 14 novembre 2016, della Agricultural Markets Task Force dal titolo: Enhancing the position of farmers in the supply chain. Reperibile a questo link: xxxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxxx/xxxxx/xxxxxxxxxxx/xxxxx/xxxx- markets-task-force/improving-markets-outcomes_en.pdf .
Il documento riassume le inefficienze ed i pericoli che si manifestano lungo la catena agroalimentare a scapito dei produttori agricoli. I membri del gruppo di lavoro, provenienti da Germania, Olanda, Spagna, Italia, Francia, Polonia, Ungheria, Svezia e Regno Unito, rappresentavano specifici comparti agroalimentari strategici dei rispettivi Paesi. L’Italia, in particolare, è stata rappresentata da Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx (coordinatore del settore lattiero-caseario di Alleanza Cooperative Italiane), mentre la Francia da Xxxx Xxxxx Xxxxxxx (vice capo di Coop France Grain Department) e da Xxxxxx Xxxxxx (vice capo esecutivo del Carrefour Group).
In argomento anche: la Risoluzione del Parlamento europeo del 7 giugno 2016 sulle pratiche commerciali ingannevoli lungo la catena d’approvvigionamento alimentare (2015/2065(INI)), reperibile al seguente link: xxxx://xxx.xxxxxxxx.xxxxxx.xx/xxxxx/xxxxxxxx/XX-0-0000- 0250_IT.pdf; la Comunicazione della Commissione europea dal titolo Orientamenti relativi all'applicazione delle norme specifiche di cui agli articoli 169, 170 e 171 del regolamento OCM per i settori dell'olio d'oliva, delle carni bovine e dei seminativi, pubblicata il 22 dicembre 2015 sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione (2015/C 431/01) reperibile al link: xxxx://xxxxxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxx/XX/XXX/XXX/?xxxxXXXXX:00000XX0000%0000%00&xxxxx IT ; la Comunicazione della Commissione al Parlamento e al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni riguardante I prezzi dei prodotti alimentari in Europa, del 9 dicembre 2008 [COM(2008) 821 definitivo], reperibile al seguente link: xxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxx/xxxxxx/xxx/0/0000/XX/0-0000-000-XX-X0-0.Xxx .
76 Sulla emersione della grande distribuzione organizzata (GDO) come soggetto forte della filiera agroalimentare si veda: X. XXXXXXXX, Nullità a tutela dell’impresa “dipendente” e filiera agroalimentare, in Rivista Europa e diritto privato, 2015, pag. 614 e ss.
77 In tali termini su tutti: X. XXXXXXXXXX, L’impresa agricola nel sistema agro-industriale, in Diritto e giurisprudenza agraria e dell’ambiente, 2002, pag. 213 e ss.; ID., Il diritto dell’agricoltura nell’era della globalizzazione, seconda ed., Bari, 2003; ID., Competition law and
In altri termini, ciò sta a significare che gli imprenditori agricoli non dispongono di una capacità di negoziazione sufficiente per bilanciare adeguatamente il potere contrattuale delle loro controparti acquirenti.
La risoluzione della problematica dello squilibrio di potere esistente tra i diversi operatori della filiera è la stella polare che ha orientato le scelte normative del legislatore europeo e nazionale fin dalla nascita della Pac.
L’abbandono graduale e progressivo degli strumenti di sostegno ai prezzi utilizzati nell’ambito della Pac e il conseguente passaggio da un’agricoltura amministrata ad una agricoltura “di mercato” e “di marchio”78, con l’applicazione sempre maggiore delle regole generali di concorrenza al settore agroalimentare e la crisi delle filiere e dei redditi dei produttori agricoli, hanno accresciuto la debolezza dei produttori agricoli stessi rispetto ai loro acquirenti nell’ambito della food chain che ne rappresenta l’inevitabile porta d’accesso al mercato79.
Tale squilibrio di potere economico tra produttori e loro acquirenti si manifesta nei modelli privatistici che, a più livelli, il legislatore ha regolato per porre rimedio alla suddetta asimmetria: le organizzazioni di produttori, gli organismi interprofessionali, gli schemi contrattuali individuali e collettivi di cessione dei prodotti agricoli80.
Il contratto non è più solo un supporto per lo scambio economico, ma uno strumento attraverso il quale la parte imprenditoriale può esercitare la propria forza. Ciò si traduce spesso in una carenza di trasparenza81 nella determinazione dei prezzi, spesso di molto inferiori rispetto ai costi di produzione, ed in pratiche commerciali sleali.
Il corretto funzionamento del mercato agroalimentare, l’equilibrio tra i soggetti della filiera e l’approvvigionamento dei beni alimentari ai consumatori, sono obiettivi difficilmente raggiungibili senza la corretta comprensione degli strumenti
european agricultural and food law, in L. COSTATO e X. XXXXXXXXX (a cura di) European Food Law, 2012, Padova, pag. 71 ss.; C. DEL CONT, 2017, op. cit.
78 Di questa opinione: X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxx e concorrenza, 2012, op.cit. .
79 C. DEL CONT, La contractualisation des relations commerciales agricoles: brèves réflexions sur la prise en considération de la spécificité agricole, 2017, op. cit., pag. 286.
80 Ossia quei contratti stipulati nella prima fase della catena di distribuzione, con i quali i prodotti agricoli vengono per la prima volta messi in commercio.
81 L’insufficienza della sola trasparenza sarà esaminata nella parte in cui si analizzeranno le normative italiana e francese.
pensati proprio per attuarli e senza comprenderne l’effettiva operatività ed efficienza.
Per aumentare la dimensione aziendale, orientare la produzione in base alla domanda e alle esigenze dei consumatori, per accrescere la loro competitività sul mercato nazionale e specialmente su quello internazionale, le imprese agricole hanno la necessità di sperimentare forme nuove di aggregazione.
Il tessuto economico-produttivo agroalimentare italiano è composto anche da innumerevoli piccole e medie imprese e, proprio per questa caratteristica, soprattutto negli ultimi anni, si è assistito ad un crescente interesse verso la promozione dell’aggregazione imprenditoriale.
Consentire una collaborazione e cooperazione tra le imprese, sia orizzontale che verticale, come si avrà modo di vedere nel prosieguo del presente lavoro, può contribuire a favorire non solo la crescita dimensionale delle aziende ma anche lo sviluppo produttivo, in quanto, in astratto, si dovrebbe consentire di migliorare la qualità delle produzioni, concentrare l’offerta e rafforzare il potere contrattuale, generando innovazione, maggiore efficienza e favorendo la competitività82.
L’uso del condizionale appare obbligatorio alla luce degli interventi normativi in tema di politica agricola e concorrenza che si sono susseguiti dai primi anni duemila in poi, con le modifiche riguardanti le normative sulle organizzazioni comuni di mercato e le programmazioni delle politiche agricole.
La regolamentazione della filiera agroalimentare, è stata oggetto di significative modifiche da parte del diritto europeo: da ultimo l’importante riforma del medio periodo della Pac del dicembre 201783, che ha mutato l’assetto normativo vigente e gettato le basi per un radicale cambio di paradigma che potrebbe intervenire nel successivo periodo di programmazione della politica agricola comune.
82 Sul tema della cooperazione tra le imprese nel settore agroalimentare X. XXXXXXXXX e M.C. XXXXXXX, L’organizzazione: fattore chiave dello sviluppo dei sistemi agroalimentari localizzati, in Agriregionieuropa, n. 43, 2015, pag. 103 e ss..
83 Il riferimento è al Regolamento (Ue) 2017/2393 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2017, che modifica i regolamenti (Ue) n. 1305/2013 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), (Ue) n. 1306/2013 sul finanziamento, sulla gestione e sul monitoraggio della politica agricola comune, (Ue) n. 1307/2013 recante norme sui pagamenti diretti agli agricoltori nell'ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune, (Ue) n. 1308/2013 recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e (Ue) n. 652/2014 che fissa le disposizioni per la gestione delle spese relative alla filiera alimentare, alla salute e al benessere degli animali, alla sanità delle piante e al materiale riproduttivo vegetale (in G.U.U.E. L. 350/15 del 29.12.2017).
Come si avrà modo di costatare nel terzo capitolo, attraverso l’analisi dei cambiamenti legislativi avvenuti nell’ultimo triennio in sede europea, oggigiorno il ruolo di governo del mercato risulta affidato principalmente agli operatori economici, attraverso la riscoperta di strumenti giuridici di matrice privatistica quali l’aggregazione tra le imprese agricole mediante le organizzazioni dei produttori, il coordinamento tra tutti gli operatori della filiera, attraverso le organizzazioni interprofessionali, la definizione di schemi contrattuali per la cessione dei prodotti agricoli lungo la filiera, gli strumenti di pianificazione dell’offerta ed infine, la funzione, espressamente attribuita alle organizzazioni dei produttori, di svolgere trattative contrattuali per la cessione dei prodotti, assistendo ad una valenza sempre più pubblicistica di strumenti privatistici utilizzati84.
84 In argomento: X. XXXX XXXXXX, Impresa agricola e concorrenza, Milano, 1988, pag. 225 e ss.; ID., La concorrenza con riguardo ai prodotti agro-alimentari tra la disciplina della produzione e quella del mercato, in Diritto dell’Agricoltura, 1997, pag. 33 e ss..
Capitolo secondo
La contrattazione individuale e collettiva: analisi degli strumenti
SOMMARIO: 2.1. Contrattazione individuale e collettiva: una prima analisi introduttiva 2.2. I contract farming e l’agricoltura sotto contratto 2.3. Uno sguardo al modello nord-americano del production contract 2.4. I contratti di integrazione verticale nel panorama europeo e nazionale
2.4.1. I contratti di coltivazione, di allevamento e di fornitura nella legislazione italiana 2.4.2. Il contratto di soccida nel settore zootecnico 2.5. Il ruolo delle organizzazioni di produttori e delle loro associazioni nella regolazione dei rapporti contrattuali lungo la filiera 2.5.1. L’evoluzione delle organizzazioni dei produttori nella disciplina europea 2.5.2. L’associazionismo dei produttori nel settore degli ortofrutticoli 2.5.3. La disciplina odierna dopo le modifiche del reg. n. 2017/2393 tra le novità in tema di contrattualizzazione e il ruolo sempre più pubblicistico delle Op 2.5.4. Alcuni dati sulle organizzazioni di produttori in Italia 2.5.5. Il ruolo di una Op in una dimensione imprenditoriale limitata: l’esperienza molisana 2.6. Gli organismi interprofessionali nella disciplina europea e nazionale 2.7. Il contratto di rete: dalla disciplina generale a quella specifica dettata per il settore agroalimentare 2.7.1. La rete soggetto 2.7.2. Il contratto di rete nel settore agroalimentare 2.7.3. Un esempio virtuoso di contratto di rete: Xxxxxxxxxx.
2.1. Contrattazione individuale e collettiva: una prima analisi introduttiva Il complesso rapporto tra agricoltura ed industria alimentare, caratterizzato da un forte squilibrio del potere anche di tipo contrattuale a svantaggio dei produttori agricoli, ha portato alla ricerca costante di strumenti idonei a risolvere o ad attenuare le problematiche connesse.
Come si è affermato nel primo capitolo, le dinamiche e le situazioni giuridiche oggetto dei contratti agroalimentari sono particolarmente complesse. Basti pensare che spaziando tra contesti territoriali diversi e, a volte, agli antipodi, si può constatare come, nella macrocategoria dei contratti agroalimentari, rientrino modelli atti a regolare rapporti totalmente differenti per natura od oggetto.
Ne costituiscono un esempio i production contract stipulati tra i grandi imprenditori agricoli del Midwest nordamericano, predisposti per regolare le complesse relazioni tra soggetti, spesso imprese agricole di grandi dimensioni85. Altrettanto complesso, per altri aspetti, può risultare anche il contratto di cessione del latte da un piccolo produttore molisano all’azienda di trasformazione locale. Studiando un modello contrattuale utilizzato da un trasformatore lattiero-caseario
85 X. XXXXXXXXXX, Profili giuridici del sistema agro-alimentare e agro-industriale. I rapporti contrattuali nella filiera agroalimentare, Bari, seconda ed., 2018, pag. 128 e ss..
specializzato nella produzione di latticini e formaggi86 dell’Alto Molise per regolare i rapporti con i diversi fornitori87 del territorio, si è potuto costatare che, nonostante le modeste dimensioni dell’azienda e la scelta di approvvigionarsi della materia prima solo dalle stalle del territorio limitrofo, il contratto presentasse diverse clausole atte a regolare molteplici aspetti al fine di garantire una maggiore qualità del prodotto. Non potendo entrare nel dettaglio dei singoli contenuti delle disposizioni, in quanto attinenti al know how imprenditoriale, ci si limita ad affermare che, per quanto concerne i rapporti con i fornitori di latte, gli aspetti regolati spaziano dalla mungitura allo stoccaggio del latte in stalla e al trasporto, passando per le modalità di allevamento e gestione degli animali, compresa l’autoproduzione e la somministrazione degli alimenti zootecnici, fino al rispetto di standard qualitativi da rispettare.
Le semplici operazioni economiche e giuridiche tra l’impresa e il produttore agricolo, o i gruppi di produttori, quelle più complesse nelle quali sono coinvolti, in modo diretto o indiretto, soggetti terzi, sono solo alcune espressioni dell’autonomia contrattuale individuale e collettiva esistenti nel panorama del mercato agroalimentare e che possono essere regolate attraverso molteplici modelli legali incidenti su ogni singolo segmento della catena produttiva.
Nel corso del tempo sono state sperimentate, sia nell’esperienza internazionale che europea e nazionale, delle modalità dirette ad attenuare lo squilibrio contrattuale nei rapporti negoziali agro-industriali. Si pensi alla legislazione e alle misure poste in essere a livello internazionale sui contract farming o al ruolo svolto dalle cooperative, dai consorzi, dalle organizzazioni di produttori che, anche se modelli giuridici tra loro diversi, sono accomunati dalle stesse finalità: superare la frammentazione dell’offerta agricola, stabilizzare il mercato e garantire un reddito alla popolazione agricola.
Le ragioni del rinnovato interesse del legislatore europeo verso i rapporti contrattuali lungo la filiera agroalimentare sono da riscontrarsi, principalmente,
86 L’azienda di cui si parla è il Caseificio Di Xxxxx di Agnone (Is) e si ringrazia, in particolare Xxxxxx Xx Xxxxx per la disponibilità mostrata nel fornire le fondamentali informazioni.
87 Quelli di latte, nonché i fornitori di ingredienti e di coadiuvanti tecnologici (caglio, fermenti, sale, ecc.), quelli di materiali di imballaggio e di prodotti per la sanificazione, e altri fornitori di servizi (ad esempio, le ditte per la manutenzione di attrezzature e di automezzi, il laboratorio d’analisi, i consulenti e i professionisti esterni, ecc.).
nella crisi che, nei primi anni duemila ha colpito il comparto primario della produzione e che ha acuito il divario di potere tra la parte agricola e quella imprenditoriale della food chain, facendo riscoprire non solo l’instabilità del mercato agricolo, accentuata dalla volatilità dei prezzi, ma anche una moderna food insicurity88.
L’abbandono della politica europea di sostegno ai prezzi dei prodotti agricoli, gli interventi sul piano internazionale che, in sede WTO, hanno visto cessare il sistema europeo delle restituzioni alle esportazioni, l’embargo di molti prodotti europei verso la Russia, sono solo alcune delle cause che hanno inciso profondamente sul mercato. Ad una costante contrazione dei prezzi delle materie prime non ha fatto seguito, tuttavia, un abbassamento dei costi del prodotto agroalimentare finale. Questo aspetto risulta di fondamentale importanza per comprendere la debolezza dei produttori agricoli costretti a subire le decisioni e il potere, sia contrattuale che economico, della parte industriale della filiera agroalimentare.
Ecco perché, come già anticipato, per far fronte alle problematicità emergenti sono stati posti in essere sul piano giuridico interventi legislativi aventi come obiettivo anche quello di rafforzare il potere contrattuale dei produttori agricoli.
Si è assistito all’emanazione di normative volte ad incentivare gli strumenti associazionistici, aventi ad oggetto l’ampliamento dei poteri conferiti alle organizzazioni di produttori e agli organismi interprofessionali per quanto concerne la contrattazione e la possibilità di agire sui prezzi delle produzioni agricole di base. Si è intervenuto anche sulla regolazione della contrattazione individuale, relativa alla programmazione dei singoli rapporti di fornitura tra produttori agricoli e le controparti industriali. Queste due tipologie di interventi possono essere considerate le due strade principali che il legislatore europeo ha
88 Le tematiche connesse alla sicurezza degli approvvigionamenti (food security) sono divenute drammaticamente attuali. Secondo i dati della FAO disponibili al 2018, il numero di persone che soffrono la fame è cresciuto negli ultimi anni, tornando ai livelli dello scorso decennio. Si stima che il numero assoluto di persone nel mondo colpite dalla denutrizione o dalla deprivazione alimentare cronica sia aumentato da circa 804 milioni nel 2016 a quasi 821 milioni nel 2017. La situazione sta peggiorando in Sud America e nella maggior parte delle regioni dell'Africa. Allo stesso modo, i numeri crescono in Europa e la tendenza al ribasso della denutrizione che ha caratterizzato l'Asia fino a poco tempo fa sembra rallentare in modo significativo. Report FAO, The State of Food Security and Nutrition in the World 2018 - Building climate resilience for food security and nutrition, 2018.
intrapreso per rafforzare il potere della parte agricola dei rapporti contrattuali lungo la xxxxxxx00.
Da un lato, per far fronte alla carenza di informazioni dell’imprenditore agricolo, il legislatore ha pensato di regolare gli aspetti essenziali del contenuto del contratto90, agendo, quindi con meccanismi privatistici. Tale scelta non ha sempre prodotto i risultati sperati in quanto, il ricorso al mero formalismo non può da solo essere idoneo a riequilibrare il potere contrattuale tra le parti. Dall’altro, per porre rimedio allo squilibro strutturale, ha utilizzato strumenti di natura pubblicistica per regolare il mercato e i rapporti di filiera91.
Prima di addentrarsi nello specifico dell’esperienza europea, in questo capitolo sarà effettuata una disamina di alcuni modelli e strumenti utilizzati, in ambito internazionale, europeo, nazionale e regionale, allo scopo di regolare i rapporti tra i diversi soggetti che compongono la filiera agroalimentare. Saranno presi in considerazione, in particolare, gli schemi contrattuali maggiormente diffusi a livello internazionale e nazionale e sarà svolta una prima analisi degli strumenti associativi di tipo orizzontale e verticale che, per altri aspetti sarà continuata negli ultimi due capitoli.
L’obiettivo è quello di fornire una panoramica degli strumenti che sono stati oggetto di studio in questi anni in cui l’indagine ha spaziato da un contesto globale a quello locale per comprendere al meglio, anche grazie all’ausilio di alcuni casi pratici, le analogie, le differenze e i punti di contatto tra i più diversi
89 Per un approfondimento sui contratti della filiera agroalimentare nell’esperienza europea: X. XXXXX, I contratti della filiera agroalimentare nel quadro della nuova politica agricola comune, op.cit., 2015, pag. 480 e ss..
90 Ciò, come si avrà modo di approfondire nel terzo capitolo, è quello che è accaduto in Francia, a partire dal 1964, anno in cui fu adottato, per la prima volta nell’esperienza di uno Stato europeo, un modello che prevedesse la forma scritta del contratto al fine di assicurare più trasparenza al contraente debole. In tale sede ci si limita a constatare che, nella prima legislazione d’Oltralpe la previsione della forma scritta era connessa alla definizione del contenuto obbligatorio del rapporto contrattuale. Il rimedio per la violazione dell’accordo era, invece, in un primo tempo, la nullità del contratto, che poteva però essere richiamata dall’impresa integrante, qualora non fosse stata più interessata alla fornitura del bene e, in un secondo momento, con le modifiche apportate alla legge nel 1980, dall’obbligo di integrazione ex lege del contenuto del contratto sulla base degli accordi
x.x. xxxxxxxxx. In argomento: X. XXXXXXXXXX, Disciplina legale e prassi applicativa nei contratti di integrazione in agricoltura: l’esperienza francese, in Rivista di Diritto Agrario, 1981, pag. 327 e ss. ; X. XXXXXXXXX, Les contrats types d’intégration homologués, in Revue Droit Rural, 1984, pag. 245 e ss.; X. XXXXXXXXX, E.N. XXXXXXX , Chronique de jurisprudence en droit rural, in Revue Juridique de l'Ouest, 1988, fasc.3, pag. 554 e ss.
91 È quello che accade con la predisposizione di meccanismi per il controllo pubblicistico delle ipotesi di abuso di dipendenza, affidati a interventi di autorità pubbliche di controllo per la regolazione della concorrenza.
modelli a seconda anche del contesto produttivo territoriale in cui si sono sviluppati o sono stati calati.
2.2. I contract farming e l’agricoltura sotto contratto
Con il termine contract farming si indica oggi, generalmente, una delle tipologie più diffuse a livello internazionale di agricoltura “sotto contratto”, la quale può essere definita, a sua volta, come: la produzione agricola effettuata secondo un accordo tra un acquirente e i produttori agricoli, che stabilisce le condizioni per la produzione e la commercializzazione di uno o più prodotti agricoli92.
In genere, in uno schema di contract farming, il produttore si impegna a fornire delle quantità concordate di un prodotto agricolo specifico che deve soddisfare gli standard qualitativi previsti dall’acquirente. Per contro, l'acquirente si impegna ad acquistare il prodotto e, in alcuni casi, a sostenere la produzione attraverso, ad esempio, la fornitura di input agricoli, la preparazione del terreno e la fornitura di consulenza tecnica. Tale modello è oggi largamente diffuso e utilizzato a livello mondiale, costituendo lo schema attraverso il quale si espletano i rapporti tra l’impresa alimentare e la parte agricola in un’ottica di filiera lunga e di un mercato globalizzato.
La pratica di produrre sotto contratto è utilizzata per una vasta gamma di prodotti agricoli in molti Paesi93, crescendo in modo significativo in quelli in via di sviluppo.
92 In argomento: I. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, Contract farming in global economy, in X. XXXXXX, X. XXXXXX XXXX (a cura di), Contract farming in global economy, Xxx Xxxx Xxxxx Xxxx, 0000, pag.137 e ss. Si veda anche: X. XXXXX, The growing role of contract farming for food security, Envisioning a future without food waste and food poverty, in L. ESCAIEDO SAN-XXXXXXXX, Societal challenges, edt. by - Mertxe De Renobales Xxxxxxxxx, Wageningen, 2015, pag. 303 e ss. L’autore afferma l’esistenza di diversi schemi contrattuali di integrazione verticale, che si differenziano in base alla misura di autonomia garantita al produttore, ma nella maggior parte dei casi il rapporto è fortemente sbilanciato a favore del distributore.
93 Attraverso il modello dell’agricoltura sotto contratto, il produttore è assoggettato a regole contrattuali che gli impongono non solo una serie di obblighi di dare, relativi ossia alla consegna del prodotto, ma anche di obblighi di fare concernenti le modalità di produzione. Si pensi, a titolo d’esempio, ai contratti del settore avicolo, comparto in notevole espansione sul territorio italiano. Queste tipologie contrattuali hanno spesso ad oggetto la cura di una piccola parte del ciclo biologico degli animali che restano di proprietà dell’impresa integrante. In tal modo, il contratto figura solo come una prestazione d’opera, non come vendita e l’imprenditore agricolo risulta limitato nella sua attività, in quanto egli deve occuparsi solo dell’ingrasso dei polli. In argomento:
X. XXXXXXXXX, Contratti di integrazione e mercato avicolo, in La filiera avicola del Veneto,
Con l'aumento della domanda di prodotti agricoli, l'agricoltura sotto contratto si sta espandendo come uno strumento per organizzare la produzione secondo le esigenze del mercato per aumentare e diversificare la disponibilità di prodotti sui mercati locali e globali e per migliorare l'efficienza della catena del valore. In base ai contratti di produzione stipulati con i produttori agricoli, i trasformatori e i distributori di generi alimentari assicurano la fornitura di un determinato prodotto nelle quantità e qualità richieste ad un prezzo prestabilito.
A seconda della tipologia di accordo, molto spesso il contraente fornisce degli input94 e in genere gestisce il processo di produzione richiedendo al produttore di applicare la tecnologia designata e determinati metodi di coltivazione o di allevamento.
Per i produttori, i contratti così strutturati offrono un accesso sicuro sul mercato e l'agognata speranza di svolgere un'attività redditizia che malauguratamente, per le ragioni che saranno esplicate nel corso della trattazione, viene spesso disattesa.
Tali accordi riflettono molteplici pratiche commerciali e il loro successo dipende da diversi elementi, tra i quali uno dei più rilevanti e, allo stesso tempo complesso da raggiungere, è sicuramente la capacità delle parti di costruire delle relazioni stabili, commercialmente solide ed eque, basate su impegni chiari e sul reciproco rispetto95.
A tale proposito, il quadro giuridico appare essenziale per conferire la giusta efficacia alle clausole delle parti e integrarle a seconda dei casi. Ciò è tanto più importante in considerazione dello squilibrio di potere tra le parti che generalmente caratterizza i contratti della filiera agroalimentare. A seconda di ciascun sistema giuridico, infatti, le disposizioni di legge possono applicarsi obbligatoriamente a determinati aspetti del rapporto contrattuale.
Veneto agricoltura, Padova, 2004. Reperibile anche al seguente link: xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx/xxxxxx/xxxxxxxxxxxxx/XXX%00Xxxxxxxx/XX00.xxx .
94 Ad esempio le sementi, i fertilizzanti o gli animali.
95 L’International Institute for the Unification of Private Law (UNIDROIT), la Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO) e l’International Fund for Agricultural Development (IFAD) nel 2015 hanno presentato uno studio dal titolo Legal guide on contract farming, contenente delle linee guida sull’agricoltura sotto contratto. La Guida intende fungere da riferimento alle buone pratiche fornendo delle direttive alle parti del contratto dalla negoziazione alla risoluzione. Il documento, offrendo un'analisi approfondita delle questioni legali sostanziali coinvolte nei contratti di produzione agricola e identificando le aree problematiche e le possibili soluzioni alla luce degli usi commerciali e della legislazione, fa riferimento anche agli strumenti di governance pubblica per sostenere lo sviluppo agricolo.
Comprendere l'interazione tra le leggi e l’attuazione pratica dei contratti diventa essenziale per rendersi conto dell’effettiva efficacia di questi strumenti e può rendere consapevoli delle criticità concernenti i diritti dell’anello più debole della catena di approvvigionamento: il produttore agricolo.
2.3. Uno sguardo al modello nord-americano del production contract
Nell’esperienza giuridica di alcuni Stati nord-americani sono state adottate, negli ultimi decenni, delle normative concernenti le relazioni contrattuali agro- industriali in specifici settori produttivi96. I production contract o agricultural contract, come denominati dal legislatore del Minnesota, rappresentano delle tipologie di contract farming presenti sul territorio degli Stati Uniti. Questi contratti possono avere ad oggetto l’acquisto dei prodotti, vegetali e dell’allevamento, e i processi produttivi97.
Le soluzioni adottate dai singoli Stati sono state ispirate dal modello suggerito nel 2000 dal Producer Protection Act che ha messo in luce la rilevanza di questi contratti di integrazione nonché i sempre più crescenti contenziosi scaturiti tra le parti contraenti. Il Producer Protection Act ha contribuito, in sostanza, a tutelare il produttore agricolo non solo prevedendo la nullità delle clausole che ne riducono i diritti ma anche individuando puntualmente un elenco di pratiche scorrette, creando così un sistema formato da provvedimenti risarcitori, punitivi, rilevanti anche sotto il profilo penale, e inibitori98.
Tale atto ha preso in considerazione diverse tipologie di contratti: quelli bilaterali tra l’impresa e l’imprenditore agricolo; quelli trilaterali, in cui interviene un terzo operatore che fornisce degli input fondamentali per la produzione all’imprenditore agricolo stesso; quelle circostanze in cui, al contratto principale intervenuto tra
96 Ne costituiscono alcuni esempi le legislazioni della Georgia e del Kansas concernenti gli accordi relativi alla produzione di pollame, ma anche quelle adottate da altri Stati agricoli quali Iowa (lo Iowa Code contiene un capo dedicato ai commodity production contracts) o l’Illinois (l’Agricultural Production Contract Code). Nello specifico la Georgia si è dotata nel 2003 del Poultru Contract growers or producers (chapter 22 del Georgia Codes), mentre il Kansas ha adottato la normativa nel 2002 (chapter 16 degli Statutes).
97 X. XXXXX, X. XXXXX, C. XXXXXXX, Agricultural Contracts: Data and Research Needs, in
American Journal of Agricultural Economics Vol. 89, 2007, pag. 1276.
98 Sul tema anche X. XXXXXXXXXX, Profili giuridici del sistema agro-alimentare e agro-industriale. I rapporti contrattuali nella filiera agro-alimentare, Bari, 2018, op.cit., pag. 128 e ss..
impresa e produttore, si affiancano altri accordi distinti e secondari che intervengono tra il produttore e terzi che forniscono gli input intermedi di produzione.
La legislazione statunitense, in altri termini, è intervenuta non solo per assicurare una maggiore comprensibilità del contenuto del contratto, ma anche per consentire una tutela pratica all’imprenditore agricolo consentendogli di recedere unilateralmente dal contratto subito dopo la stipula.
Inoltre, si è cercato di ridimensionare l’utilizzo di una clausola molto frequente nei contratti di filiera nordamericani: la c.d. “clausola di confidenzialità”99 usata per occultare il contenuto del contratto ai soggetti terzi non aderenti allo stesso.
Alcuni interventi sono stati attuati anche a livello federale dove nel settore dell’allevamento del bestiame, nel 2008, erano state apportate delle modifiche allo scopo di ampliare il raggio di tutela dei produttori agricoli100. Tuttavia le norme predisposte dalla Grain Inspection, Packers and Stockyards Administration (GIPSA) non hanno avuto una concreta applicazione a causa dei contrasti di natura politico-economica facenti capo agli interessi dell’industria alimentare. A partire dal 2016 è scaturito un dibattito tuttora acceso sulle nuove disposizioni predisposte dalla GIPSA che, in estrema sintesi, mirano a proibire le pratiche scorrette e le clausole di contenuto discriminatorio nei contratti aventi ad oggetto l’allevamento di bestiame.
Il quadro delineato si completa prendendo in considerazione una ulteriore circostanza ossia quella di una inadeguatezza delle normative in materia di antitrust inidonee a porre rimedio agli squilibri concernenti la concentrazione tra le imprese alimentari e l’ulteriormente accresciuta debolezza dei produttori101.
99 La confidentiality clause. Sul tema: X. XXXXXXX, Hushed up: Confidentiality Clause in Organic Milk Contracts, pubblicato da Farmers’ legal action group, Saint Xxxx, 2008, reperibile al seguente link: xxxx://xxx.xxxxxxx.xxx/xx-xxxxxxx/xxxxxxx/0000/00/XxxxxxXx.xxx .
L’utilizzo di questa clausola si rinviene anche negli schemi contrattuali adoperati in altri Paesi. Ne costituisce un esempio l’esperienza del Code of Practice for Contractual Arrangements Between Dairy Farmers and Processors in Australia per quanto concerne i contratti stipulati nel settore lattiero tra i produttori e l’industria di trasformazione.
100 Il riferimento è al Food Conservation and Energy Act del 2008.
101 Sono state ultimamente avviate delle class action contro le multinazionali dell’industria alimentar accusate di aver posto in essere degli accordi allo scopo di contenere su livelli bassi i compensi dei produttori agricoli attraverso la condivisione di informazioni riservate sugli operatori agricoli che intrecciavano con loro delle relazioni contrattuali. In proposito il caso deciso il 7 gennaio 2019: Xxxx Poultry Inc. et al x. Xxxxx Foods Inc. et al, davanti alla District Court, Eastern District of Oklahoma (case n. 17-CV-033-SPS).
2.4. I contratti di integrazione verticale nel panorama europeo e nazionale Con l’espressione “contratti di integrazione verticale” ci si riferisce a quei rapporti contrattuali tra produttori agricoli e industrie agroalimentari stipulati o prima che i prodotti ad oggetto vengano ad esistenza o durante il processo produttivo102.
Tale tipologia di contratti si ispira all’esperienza nord-americana dei production contract e dei contract farming. Anche nei contratti di integrazione verticale, quindi, il produttore agricolo non solo si impegna a fornire i prodotti oggetto del contratto ma assume una serie di obbligazioni “di fare” che attengono alle modalità produttive che svolge.
Da un lato, il produttore agricolo risulta avvantaggiato dal fatto che tramite un contratto preventivo, avente ad oggetto prodotti non ancora venuti ad esistenza, tali prodotti abbiano già una collocazione sul mercato senza quindi assumersi il rischio di provvedere ad essa dopo la produzione. Dall’altro, il produttore si obbliga ad adeguare le proprie modalità di produzione alle esigenze della controparte industriale, che decide ad esempio sulle scelte relative ai tempi di semina e raccolto, ai trattamenti fitosanitari e altri fattori di produzione.
Autorevole dottrina103, con riguardo al settore agroalimentare, preferisce parlare piuttosto che di “integrazione verticale” di “quasi integrazione verticale”, proprio perché essa avviene tramite lo strumento del contratto e non attraverso l’internalizzazione dell’impresa agricola nell’industria alimentare assumendosene i conseguenti rischi. In altri termini, i produttori agricoli risultano integrati nel progetto produttivo dell’industria alimentare dal punto di vista economico, ma dal punto di vista giuridico risultano meno autonomi riguardo l’esercizio della propria attività e l’organizzazione della struttura produttiva104. Gli obblighi “di fare” aggiungendosi a quelli “di dare”, concernenti la fornitura del prodotto, contribuiscono ad accrescere il rischio economico che sorge in capo ai produttori agricoli e ciò ha portato alcuni autori a ritenere che per eliminare il rischio
102 In argomento: X. XXXXXXXXXX, I rapporti contrattuali nella filiera agroalimentare, in X. Xxxxxxx e X. Xxxx Xxxxxx (a cura di), I contratti agrari, Milano, 2015, pag. 275 e ss., già X. XXXXXX, I contratti di integrazione verticale in agricoltura, Milano, 1979.
103 X. XXXXXXXXXX, op. cit., 2018, pag. 21.
104 Di questa opinione: X. XXXXXXX – X. XXXX XXXXXX, I contratti agrari, Milano, 2015, pag 286.
derivante dalla possibile mancata collocazione del prodotto sul mercato, i produttori agricoli abbiano assunto inaspettati e ulteriori rischi contrattuali105.
In questa particolare tipologia di contratti, prima che le materie prime vengano ad esistenza, già sussistano degli accordi relativi ai contratti di fornitura e, di conseguenza, il prezzo dei prodotti risulta già stabilito prima dei raccolti106.
I c.d. processi di integrazione nella filiera comportano spesso un’accentuarsi della differenza di potere economico tra i diversi operatori coinvolti e, spesso, producono anche un trasferimento dei rischi tra un operatore all’altro che, il più delle volte, ricadono sul produttore, nonostante gli strumenti di integrazione siano stati pensati per andare, se non a suo vantaggio, almeno in suo aiuto.
Nonostante la rilevanza internazionale che i contratti di integrazione possono rivestire107, oggigiorno i Paesi che si sono dotati di una legislazione in proposito sono relativamente pochi. I primi provvedimenti normativi che si sono adottati per porre rimedio alle problematiche sopracitate, provengono dall’esperienza giuridica francese alla quale il legislatore europeo si è ispirato per la disciplina comunitaria. I caratteri sui quali il legislatore d’Oltralpe ha posto la sua attenzione sono stati quelli dell’assicurare trasparenza alle negoziazioni e di prevedere l’obbligo di stipulare i contratti in forma scritta contenenti la determinazione dei prezzi dei beni oggetto del contratto. Si è posta, in particolare, l’attenzione sulla reciprocità delle prestazioni tra le parti che stipulano tali contratti e sul sorgere di obblighi ulteriori in capo all’operatore agricolo108.
Mentre il legislatore francese ha fatto ricorso al neoformalismo optando per la forma scritta del contratto e per l’inclusione nello stesso di alcuni elementi fondamentali109, diversa è stata la scelta del legislatore spagnolo, simile
105 In questi termini: X. XXX XXXXXX, Contracts, Markets and prices: Organizing the production and Use of Agricultural Commodities, in USDA Agricultural Economic Report , n. 837, 2004.
106 Di questo parere X. XXXXXXXXXX, Profili giuridici del sistema agro-alimentare e agro- industriale. I rapporti contrattuali nella filiera agro-alimentare, 2018, op. cit., pag. 16. Sul tema anche X. XXXXXXXX, Le relazioni contrattuali nel mercato agroalimentare, Napoli, 2016.
107 Si registrano infatti diversi rapporti contrattuali non interni ai singoli Stati aventi come parti acquirenti multinazionali del cibo e operatori agricoli di differenti nazionalità.
108 Tenendo presente che tali dati ricorrono anche nelle ipotesi in cui l’operatore agricolo stipuli il contratto con più controparti distinte collegate tra loro.
109 Tale scelta legislativa francese sarà più accuratamente analizzata nel successivo terzo capitolo.
all’esperienza nord-americana, che ha optato per ampliare le clausole che il contratto deve contenere110.
L’attuale necessità di avere approvvigionamenti di materia prima induce le imprese alimentari ad assicurarsi un numero di fornitori con i quali stipulare contratti aventi ad oggetto la fornitura dei prodotti e la fissazione dei valori di scambio prima che i prodotti stessi vengano ad esistere. Ciò comporta che tale sistema si sottragga ad adeguati meccanismi di trasparenza che possono generare ulteriori rischi in capo agli operatori agricoli.
La tematica dei contratti di integrazione verticale non è stata al centro di numerosi interventi sul piano della legislazione nazionale; ad una sensibilità alla tematica da parte di giuristi ed economisti non è conseguita una medesima attenzione sotto il profilo normativo. Infatti, per lungo tempo, le uniche disposizioni riguardanti gli operatori agricoli sono state quelle contenute nell’art. 9 della legge n. 192 del 1998 sulla sub-fornitura, dedicata a tutti i rapporti contrattuali tra imprese.
Sia la legge n. 88 del 1988 che il d.lgs. n. 102 del 2005111, come si avrà modo di vedere nel paragrafo successivo, non hanno trattato i caratteri specifici dell’integrazione contrattuale, dettando invece formule ampie e descrittive. Nel decreto legislativo in esame compare soltanto un accenno al contratto di fornitura
110 In altre parole, mentre la normativa francese del 1964 adottava un modello neoformalista, la legislazione più recente, come appunto quella catalana, ha attuato un passaggio ulteriore intervenendo a favore del produttore agricolo con norme non solo sono pensate per rimuovere lo squilibrio contrattuale ma che forniscono anche strumenti di tutela per l’operatore agricolo stesso. Sul punto si ritornerà nel terzo capitolo. Basti qui ricordare che l’art. 18 delle legge francese del 1964 (Loi 64-678 du 6 juillet 1964 tendant a definir les principes et les modalites du regime contractuel en agriculture (JORF du 8 juillet 1964), confluita all’interno del Code Rural, stabiliva che in presenza di un numero di contratti individuali superiori rispetto a quello fissato dal Ministero dell’Agricoltura la singola impresa anche sulla richiesta proveniente dai 2/3 dei produttori agricoli dovesse stipulare un contratto collettivo. La ratio di tale decisione è da ricollegarsi alla volontà di favorire un raggruppamento e forme di associazionismo di produttori agricoli portatori di un identico interesse per affievolire la situazione di squilibrio naturale esistente nei contratti stipulati con l’impresa. Nel corso degli anni e con le riforme successivamente susseguitesi alla fine degli anni ottanta, l’intervento legislativo francese si è focalizzato non più sulla semplice rimozione delle asimmetrie informative esistenti ma sul sostenere fattivamente gli operatori agricoli, bilanciando la perdita di indipendenza economica con misure volte ad assicurare la loro concreta remunerazione. Il modello francese non ha ispirato solo il legislatore europeo durante la stesura del regolamento n. 261 del 2012 nel settore lattiero caseario e del successivo reg. n. 1308/13 relativo all’Ocm unica, ma anche quello italiano nella formulazione dell’art. 62 della legge n. 24 del 2012. Quest’ultima normativa, tuttavia, per le ragioni che saranno spiegate nel terzo capitolo, non ha avuto la stessa fortuna della disciplina d’oltralpe.
111 Il d.lgs. n. 102 del 27 maggio 2005, concernente la regolazione dei mercati agroalimentari, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera e), della legge 7 marzo 2003, n. 38 (in GU n. 137 del 15 giugno 2005).
relativo ai soli “contratti-tipo” aventi ad oggetto i rapporti tra trasformatori, distributori e commercianti e ai relativi adempimenti in esecuzione di un contratto quadro112.
I contratti di integrazione verticale stipulati da singole industrie agroalimentari e più operatori agricoli sono rimasti quindi del tutto fuori dall’ambito di applicazione anche di questa nuova disciplina113.
La normativa italiana, al di là della contrattazione collettiva di filiera, ad oggi, purtroppo, non appare adeguata da sola a tutelare in modo congruo l’imprenditore agricolo quale anello debole nei rapporti con l’impresa alimentare.
Questo aspetto sarà approfondito nei successivi due capitoli sia con riguardo alla normativa dettata per la cessione dei prodotti agroalimentari, sia agli aspetti concernenti e connessi al ruolo che l’associazionismo in agricoltura riveste sul territorio nazionale.
2.4.1. I contratti di coltivazione, di allevamento e di fornitura nella legislazione italiana
Quando, nella disciplina nazionale, si fa riferimento ai contratti di coltivazione allevamento e fornitura si indicano quelli disciplinati dal già citato d. lgs. n. 102 del 2005114. Tale normativa, così come quella del 1988, guarda a questi contratti come il risultato degli accordi raggiunti dalle organizzazioni rappresentative dei produttori agricoli in sede di contrattazione collettiva, con le controparti industriali. Non potendo effettuare in tale sede una disamina ulteriore sulla
112 La legge n. 88/1988 mirava solo a far emergere il fenomeno della contrattazione collettiva e non a disciplinare i rapporti tra produttori agricoli ed industria. L’obiettivo era solo quello di incentivare il fenomeno della stessa contrattazione collettiva perseguendo esclusivamente finalità di tipo economico che ben si sposavano con una programmazione pubblica della produzione agricola. Il difetto principale di tale normativa era l’assenza di interventi che fattivamente fossero volti a fornire una tutela ai singoli operatori agricoli affinché ciò servisse da spunto per lo sviluppo dell’associazionismo tra produttori agricoli. L’orientamento espresso nella legge del 1988, incentrato su aspetti esclusivamente macroeconomici, è stato confermato anche nel d.l. 102 del 2005. Il legislatore italiano, infatti, ha continuato ad approcciarsi alla materia ponendo in essere interventi riguardanti l’utilizzo di incentivi e risorse pubbliche.
113 Il d. lgs. n. 102/2005 fa riferimento esclusivamente all’intesa di filiera, la quale riguarda le operazioni di finanziamento pubblico che possono essere effettuate dal Ministero delle Politiche Agricole allo scopo di migliorare alcune filiere produttive. Nella normativa italiana, quindi, manca una disciplina che incida direttamente su un singolo contratto di integrazione verticale.
114 Dei quali si trova traccia nella ulteriormente citata l. n. 88 del 1988, concernente i contratti di coltivazione e vendita.
previgente disciplina, ci si limita ad affermare che nella l. n. 88 del 1988115 il legislatore aveva già affidato la regolazione dei rapporti contrattuali alla contrattazione interprofessionale, ma tale strategia è risultata inefficace poiché con riguardo ai contratti di coltivazione e vendita, non era in grado di riequilibrare i rapporti contrattuali tra i soggetti coinvolti.
Pur se la nuova disciplina del 2005 ha allargato l’ambito di applicazione della precedente, ne ha, tuttavia, conservato l’impostazione legislativa.
La legislazione italiana è intervenuta, così, a disciplinare i soli contratti concernenti l’ambito degli accordi interprofessionali, non entrando nel vivo della problematica al fine di regolare lo squilibrio contrattuale a svantaggio del produttore agricolo. Con altre parole, «l’approccio normativo seguito dalla legislazione italiana prende dunque in considerazione solo parzialmente il fenomeno economico dell’integrazione verticale per contratto, in cui i soggetti economicamente più forti della filiera agroindustriale – imprese di trasformazione e, in misura crescente negli ultimi decenni, della distribuzione – impongono i contenuti contrattuali corrispondenti alle esigenze produttive delle imprese a valle, necessari ad ottenere un flusso costante di forniture di prodotti con caratteristiche uniformi116».
A questo quadro si è aggiunto poi l’art. 62 del d.l. n.1 del 2012117 che, pur intervenendo su tutti i contratti di cessione dei prodotti agricoli e agroalimentari e riferendosi ai soli contratti di cessione di beni, escludendo i contratti che non comportano il trasferimento di proprietà dei beni stessi118, ha comunque introdotto un nuovo modo di approcciarsi alla regolazione economica sovrapponendosi di
115 Per una accurata analisi della legge in questione, si rinvia a X. XXXXXXX, Gli accordi interprofessionali in agricoltura, op.cit., 2000.
116 I. CANFORA, I contratti di coltivazione, allevamento e fornitura, in Rivista di Diritto Alimentare, fasc. 3, 2012, pag. 1. In argomento anche X. XXXXXXXXXX, Profili giuridici del sistema agroalimentare tra ascesa e crisi della globalizzazione, Bari, 2011, pag. 161 e ss; ID, I contratti dall’impresa agricola all’industria di trasformazione. Problemi e prospettive dell’esperienza italiana, in Rivista di Diritto alimentare, op.cit., 2008, pag.5 e ss. .
117 I cui riferimenti normativi sono stati già citati.
118 X. XXXXXXXXX, Cessione di prodotti agricoli e agroalimentari (o alimentari?): ancora un indefinito movimento, in Rivista di Diritto Alimentare, fasc. 2, 2012, pag. 33 e ss; X. XXXXXXX, Sul contratto di cessione di prodotti agricoli e alimentari, in Diritto e Giurisprudenza Agraria alimentare e dell’Ambiente, 2012 pag. 379 e ss.
fatto alla disciplina dei contratti di coltivazione e vendita come definiti nel 2005 senza sostituirla o modificarla in modo espresso119.
La normativa del 2012 rafforza il ruolo della contrattazione collettiva nella definizione dei costi dell’operazione di fornitura. Con riguardo alla disciplina dei contratti di coltivazione, allevamento e fornitura, la novità più importante introdotta dall’art. 62 concerne la definizione dei contenuti del contratto, ed in particolare l’individuazione del prezzo e delle modalità di consegna e pagamento120. Infatti, l’obbligo di forma non può essere considerata una novità per tale tipologia di contratti in quanto i contratti tipo, posti in essere per i contratti di coltivazione, prevedevano già implicitamente la forma scritta ai fini della registrazione. Ovviamente la lettura combinata tra le disposizioni del 2005 e quelle del 2012, valgono solo per i contratti di coltivazione, allevamento e fornitura aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà dei prodotti agricoli, in quanto l’art. 62, come anticipato sia applica solo a quei contratti che prevedono il trasferimento della proprietà dei prodotti. Restano esclusi però altri modelli contrattuali diffusi sul territorio nazionale e che prevedono solo obblighi di fare, la soccida ne costituisce, su tutti, un fondamentale esempio.
2.4.2. Il contratto di soccida nel settore zootecnico
Pur se non annoverato tra i contratti di integrazione, il contratto di soccida mantiene ancora una certa vitalità nella regolazione dei rapporti tra i produttori e i
119 A tal proposito, I. CANFORA, 2012, op. cit., pag. 10. L’autrice è di questa condivisibile opinione: «per effetto dell’introduzione della nuova normativa, sul versante che interessa la disciplina dei contratti di coltivazione allevamento e fornitura, la regolazione del mercato della filiera agroalimentare si muove ora su due piani: quello privatistico, di rilevanza microeconomica, della definizione della disciplina del contratto (che somma alle disposizioni del
d. lgs. 102/2005 le nuove regole dell’art. 62) e quello macroeconomico, già affidato alla regolamentazione della filiera da parte delle organizzazioni interprofessionali, e ora anche al controllo della AGCM – attraverso la definizione delle ipotesi di abuso di posizione dominante (individuate dal 4° comma dell’art 62 e precisate dal decreto applicativo). La disciplina che ne scaturisce tuttavia risulta ancora poco soddisfacente, in particolare per due ordini di ragioni: (1) sul piano della regolazione degli equilibri economici tra le parti contraenti, perché non tiene conto delle differenze tra il potere contrattuale dei potenziali contraenti nei contratti di fornitura;
(2) perché non copre l’intero fenomeno della contrattazione della filiera agroalimentare».
120 Il decreto interministeriale di attuazione dell’art 62, del 19 ottobre 2012, all’ art. 2 lett i), ha preso espressamente in considerazione anche l’ipotesi di contratti quadro (definiti come quegli accordi “aventi ad oggetto la disciplina dei conseguenti contratti di cessione dei prodotti agricoli e alimentari”) precisando, in riferimento alla fissazione dei prezzi, che “il contratto quadro potrà individuare le modalità di determinazione del prezzo applicabile al momento dell’emissione del singolo ordine”. la nuova normativa si preoccupa di rafforzare il ruolo della contrattazione collettiva nella definizione dei costi dell’operazione di fornitura.
distributori di alcuni specifici comparti come quello zootecnico. Per tale motivo, prima di continuare la disamina degli altri modelli e strumenti concernenti la contrattazione individuale e collettiva, in tale sede appare opportuno analizzare brevemente alcune peculiarità di questo antico istituto che è stato adattato e applicato alle moderne relazioni che si intrecciano lungo la filiera di approvvigionamento. Infatti, alcune caratteristiche del contratto di soccida consentono, a parere di chi scrive, di rintracciare delle similitudini con la categoria dei contratti di integrazione.
Il settore dell’allevamento suino, bovino e avicolo ha sperimentato negli anni, con intensità diverse, il fenomeno della contrattualizzazione accomunate da diverse fasi in cui si suddivide la produzione, a monte delle quali si situano gli allevatori che forniscono gli input, ossia le materie prime che poi sono oggetto di lavorazioni negli step produttivi successivi.
A livello europeo da tempo si assiste ad un’integrazione verticale fortemente accentuatasi nel settore dell’allevamento121 che si realizza sia attraverso la concentrazione di varie fasi ad esempio nello stesso gruppo imprenditoriale, ma anche attraverso un’integrazione contrattuale con la stipula di contratti tra i diversi operatori.
Lo schema contrattuale frequentemente adottato nella prassi italiana per regolare le prestazioni d’opera aventi ad oggetto l’attività di allevamento senza trasferimento di proprietà degli animali, soprattutto nel settore avicolo, ma anche nei settori dell’allevamento dei suini e dei bovini, è quello della soccida122. Attraverso questo modello, generalmente, il soccidante, ossia l’impresa di distribuzione o di trasformazione, seleziona le razze e fornisce i mezzi tecnici necessari per curare il ciclo biologico degli animali o una parte di esso, gestisce gli aspetti logistici; mentre il soccidario, ossia l’allevatore, mette a disposizione le proprie strutture, le attrezzature e la manodopera.
121 Nel capitolo quarto si avrà modo di constatare, invece, ciò che accade in Francia nel settore dell’allevamento bovino in relazione però allo strumento delle organizzazioni interprofessionali. 122 La nozione generale di soccida si ricava dall’art. 2170, comma. 1, c.c., secondo il quale in questo tipo di contratto il soccidante e il soccidario si associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di ripartire l’accrescimento del bestiame e gli altri prodotti che ne derivano.
Tali contratti, sono soggetti alla relativa disciplina se stipulati nel quadro della normativa di cui al d. lgs. n. 102/2005. Qualora siano contratti individuali che non discendono da un contratto quadro123 sono, invece, soggetti alla normativa dettata dal codice civile.
L’incremento dell’utilizzo della soccida, caratterizzata da vantaggi di tipo fiscali rispetto ad altri modelli contrattuali, per attuare l’integrazione contrattuale ha fatto sorgere in dottrina alcuni dubbi circa l’effettivo impiego del tradizionale schema contrattuale agrario previsto dagli articoli del codice civile. È possibile che tale modello sia un contratto simulato dietro il quale si nasconda ad esempio un contratto d’appalto o un altro modello contrattuale124.
La Cassazione, in passato, in alcune decisioni125 si è espressa ritenendo inapplicabile la disciplina della soccida ai contratti di integrazione verticale, sia in relazione allo scopo perseguito dalle parti, sia relativamente alla natura dei conferimenti delle parti, in quanto il soccidario non conferisce unicamente il lavoro, ma, come predetto, mette a disposizione anche gli impianti e la strumentazione. Per tali motivi la Corte ha configurato la fattispecie in termini di contratto di appalto126.
Più di recente la Cassazione si è ulteriormente pronunciata sulla natura di alcune clausole normalmente considerate i campanelli d’allarme per la configurazione di un contratto simulato ha riconosciuto compatibile con lo schema contrattuale della soccida l’attribuzione di acconti in denaro sull’accrescimento127.
La prassi sviluppatasi nell’ultimo periodo che ha portato ad una ripartizione che dà vita alla c.d. monetizzazione della soccida128, ossia alla possibilità delle parti di
123 Di questa opinione I. XXXXXXX, op.cit., 2012, pag. 16.
124 In argomento X. XXXXXXXX, I rapporti contrattuali nella filiera zootecnica, relazione nel Convegno in onore della prof.ssa Xxxx Xxxxxx, Le regole del mercato agroalimentare tra sicurezza e concorrenza. Diritti nazionali, regole europee e convenzioni internazionali su agricoltura, alimentazione, ambiente, tenutosi a Firenze il 21 e il 22 novembre 2019.
125 Cass. n. 6555/1986, e Cass. n. 1540/1982. Ma anche Cass. Sez. trib. n. 19738 del 29 agosto 2013.
126 Cass. n. 12782 del 21 giugno 2016 sulla simulazione del contratto. In argomento per i profili storici si indica: X. XXXXXXXXXX, Soccida e contratti di integrazione verticale in agricoltura, in Foro Italiano, 1984, pag. 271 e ss..
127 Cass. n. 24914 del 6 novembre 2013 in merito all’elusione fiscale e alla corresponsione ai soccidari di acconti in denaro sul valore di accrescimento del bestiame, salvo conguaglio.
128 È il fenomeno mediante il quale il soccidante provvede a cedere sul mercato l’intero quantitativo di capi facenti parte della soccida e, in un secondo tempo, provvede a versare al soccidario la sua parte in denaro. Si legge nella sentenza n. 24914 del 6 novembre 2013: « non ha
convenire affinché il soccidante provveda alla commercializzazione degli animali e a versare al soccidario la somma in denaro, avvicina pericolosamente la soccida al contratto d’appalto e assottiglia il limite tra le due fattispecie. Si considera necessario operare caso per caso l’analisi del contratto stipulato tra le parti per verificare la reale volontà di porre in essere un contratto di soccida o di utilizzare il modello per simularne un altro129.
Il settore zootecnico riveste una particolare importanza nell’economia europea essendo l’Europa uno dei maggiori fornitori di carne a livello mondiale. Tuttavia, negli ultimi anni, anche questo comparto sta attraversando una fase particolarmente delicata. Oggi, ad esempio, l’attività zootecnica è al centro dell’attenzione sia per gli impatti negativi ambientali e climatici, di cui sono causa gli allevamenti di tipo intensivo, sia per l’impatto sulla salute dei consumatori, per le problematiche collegate al sovra consumo dei prodotti a base di carne o d’origine animale, nonché per le preoccupazioni legate al benessere degli animali e alle questioni igienico-sanitarie.
A ciò si aggiungono i problemi concernenti più strettamente le relazioni della filiera, la debolezza strutturale, economica e negoziale degli allevatori aumentata sempre più a causa dell’abbandono della politica europea di sostegno alla produzione, l’oscillazione dei prezzi delle materie prime, l’accresciuta competizione a livello europeo per via di una progressiva apertura del mercato interno a seguito degli accordi internazionali.
Questi fattori ambientali, economici e sociali rappresentano, per il settore in analisi, allo stesso tempo dei punti critici e delle sfide da affrontare anche sotto il profilo giuridico, affinché si possa raggiungere l’obiettivo della sostenibilità della filiera, non solo intesa come sostenibilità di tipo ambientale ma anche economica e sociale.
diritto alla detrazione prevista dall’art. 19 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, il soccidario per le spese sostenute per l’attività dedotta nel rapporto associativo (nella specie, la costruzione di una porcilaia), nel caso in cui la commercializzazione del bestiame sia stata effettuata esclusivamente dal soccidante, ancorché il soccidario abbia percepito gli utili conseguenti allo svolgimento del rapporto di soccida, per il quale le parti abbiano concordato la monetizzazione degli stessi in suo favore, non potendo equipararsi la consegna della somma di sua spettanza alla cessione di denaro, o altro titolo di credito in denaro, come tale soggetta ad IVA ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. a), del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633. (cfr., n. 8727/2013)».
129 Sull’argomento: Cass. n. 24914 del 6 novembre 2013, ma anche Cass. n. 27679-80-81-82-83
dell’11 dicembre 2013.
Come accade anche in altri settori e, in generale, in tutti i comparti dell’agroalimentare, anche il ricorso a forme negoziali per regolare le relazioni tra i diversi soggetti che compongono la catena produttiva zootecnica rappresenta una delle scelte percorribili per raggiungere migliori risultati di filiera.
Le ragioni che hanno portato il legislatore europeo a focalizzare, nell’ultimo periodo, l’attenzione sullo strumento delle organizzazioni di produttori e delle loro associazioni sono da rintracciarsi, in parte, nel fatto che l’associazionismo tra produttori agricoli è stato da sempre considerato, da economisti e giuristi che si sono interessati all’esperienza nord-americana di fine Ottocento, una valida alternativa alle politiche interventiste adottate dalla legislazione europea130. Attraverso un’adeguata concentrazione dell’offerta il produttore può far fronte a quella debolezza endemica che caratterizza la sua posizione nel momento in cui si trova a immettere sul mercato i suoi prodotti.
Proprio per contrastare l’asimmetria di potere lungo la filiera agroalimentare e per stimolare la competitività, le istituzioni europee hanno inteso rafforzare gli strumenti di organizzazione e concentrazione dell’offerta agricola anche attraverso lo sviluppo delle organizzazioni di produttori.
Le Op, tramite l’espletamento delle loro funzioni, possono consentire agli associati una maggiore penetrazione nel mercato ed un maggior potere contrattuale nei confronti degli altri attori della filiera, contribuendo a mitigare i rischi e i costi economici garantendo, allo stesso tempo, la sicurezza dei pagamenti o la condivisione degli investimenti.
Per quanto concerne gli incentivi di natura tecnica, le Op aggiungono spesso valore alle attività commerciali fornendo le infrastrutture per la produzione, lo stoccaggio o la trasformazione dei prodotti e contribuiscono, quindi, a rafforzare
130 In argomento: X. XXXXX, Le associazioni dei produttori agricoli e gli accordi interprofessionali, in L. COSTATO (diretto da), Trattato breve di diritto agrario italiano e comunitario, Padova, 2003, pag. 948 e ss. Per un approfondimento sulla disciplina delle Op prima della riforma del 2017: I. CANFORA, Il quadro normativo nazionale e comunitario sulle organizzazioni dei produttori, in Rivista di Diritto Agrario, 2008, pag. 374 e ss..
la posizione della parte agricola nella catena di approvvigionamento alimentare, fornendo al contempo assistenza tecnica ai loro membri, senza tralasciare il vantaggio che, nei casi più virtuosi, possono apportare anche agli altri operatori della filiera e alle comunità locali in cui operano131.
Questi organismi, assieme alle organizzazioni interprofessionali, hanno rappresentato uno dei temi chiave della riforma della politica agricola comune per il periodo dal 2014 al 2020, nell’ambito della quale il legislatore europeo, con la riforma della normativa riguardante la Ocm unica, prendendo esempio dalla più remota esperienza delle Op nel settore ortofrutticolo e poi da quella, più recente, del comparto lattiero-caseario, ha esteso agli altri prodotti oggetto del regolamento (Ue) n. 1308/2013 il riconoscimento delle Op e delle loro associazioni (Aop).
L’associazionismo tra produttori e, in particolar modo, la figura delle organizzazioni di produttori riconosciute hanno assunto un ruolo strategico all’interno del mercato e per il mercato132 in quanto considerati fondamentali sia con riguardo al rapporto tra agricoltura e regole di concorrenza, sia quale strumento per la regolazione dei mercati133.
Le organizzazioni di produttori svolgono, oggi, principalmente una funzione di intermediazione a favore dei loro aderenti e possono contribuire a rafforzare la posizione dei produttori agricoli nella catena di approvvigionamento agroalimentare.
Alla luce della situazione attuale, al fine di non creare una confusione tra le diverse tipologie di Op operanti sul mercato, la dottrina ha attuato una distinzione sulla base delle funzioni xxxxxx000. Le tecniche per realizzare gli obiettivi di concentrazione dell’offerta possono essere raggruppate in tre macrocategorie. In primo luogo, le Op possono svolgere un’attività normativa quando si limitano a dettare delle regole che gli aderenti dovranno rispettare, senza svolgere funzioni di
131 Sul territorio regionale molisano si riscontra, ad esempio, il caso virtuoso della filiera del pomodoro di Montagano che ha prodotto dei vantaggi anche per l’economia e il turismo gastronomico locale.
132 Espressione utilizzata da X. XXXXXXXXXX, Profili giuridici del sistema agro-alimentare e agro- industriale. Soggetti e concorrenza, prima ed. Bari, 2016, pag. 67.
133 In argomento I. CANFORA, Organizzazioni dei produttori agricoli, in Digesto delle discipline privatistiche, op.cit., Milano, 2018, pag. 355.
134 Sul tema: X. XXXXXXXXXX, Profili giuridici del sistema agro-alimentare e agro-industriale. Soggetti e concorrenza, op.cit., 2018.
commercializzazione dei prodotti. In secondo luogo, l’attività di intermediazione posta in essere si definisce bargaining cooperative (o cooperativa di contrattazione) quando le Op stilano un contratto quadro in cui solitamente è indicato un prezzo per i prodotti che saranno poi venduti dai singoli produttori i quali gestiranno in autonomia il rapporto con il terzo acquirente. La terza ipotesi di intermediazione, più efficace, si definisce marketing cooperative (o cooperativa di commercializzazione). In tal caso, le Op vendono direttamente ai terzi i prodotti conferiti dagli aderenti al fine di spuntare il prezzo migliore rispetto a quello ottenibile dal singolo produttore.
In altri termini, oggigiorno, si possono individuare nel panorama dell’associazionismo tra produttori tre forme di organizzazioni di produttori che svolgono diverse funzioni. Un primo modello è raffigurato da quelle organizzazioni che non praticano la commercializzazione dei prodotti ma dettano delle regole comuni che gli aderenti devono rispettare e che possono avere ad oggetto la produzione dei prodotti agricoli di base. Si afferma, in tal caso che tali organizzazioni svolgono solo la c.d. funzione normativa e si parla a tal proposito anche di associazionismo “debole”.
Un secondo modello è formato da quelle organizzazioni che si occupano di vendere la produzione dei loro aderenti attraverso una contrattazione collettiva con la quale fissano anche il prezzo dei prodotti. Tale modello prende spunto dall’esperienza d’oltreoceano e in particolare dalle bargaining cooperatives. Queste organizzazioni non svolgono una vera e propria concentrazione dell’offerta dal punto di vista giuridico, in quanto esse si occupano sostanzialmente di stipulare un contratto quadro dal quale originano singoli contratti di vendita conclusi dai singoli agricoltori. Il terzo modello è invece quello che svolge una vera e propria concentrazione della produzione, poiché gli aderenti conferiscono le materie prime all’organizzazione che provvede a venderle. Questo è il modello della cooperativa, struttura collettiva che opera sul mercato, risponde contrattualmente nei confronti dei terzi acquirenti della produzione e ripartisce tra gli aderenti il corrispettivo della vendita. A livello internazionale si parla a tal proposito di marketing cooperatives e un esempio è costituito dalle Op del settore ortofrutticolo.
Questa distinzione tra i diversi modelli può agevolare a comprendere nel prosieguo della trattazione le problematiche che scaturiscono dalle differenti discipline normative emanate nell’ordinamento nazionale e a livello centrale europeo con riguardo alle organizzazioni dei produttori. Tali differenze si sono accentuate con l’avvento del reg. n. 2017/2393 che ha apportato sostanziali modifiche al regolamento sull’Ocm unica del 2013.
Gli obiettivi principali delle Op e delle Aop riconosciute sono comuni, oggi, a tutti i settori produttivi e comprendono, in sostanza, la pianificazione della produzione, l’adattamento dell’offerta alla domanda, la concentrazione dei prodotti e l’immissione degli stessi sul mercato. Molte Op non riconosciute svolgono le stesse attività di quelle riconosciute. In entrambi i casi, queste attività possono apportare benefici economici, tecnici e sociali ai loro membri.
Il numero di Op nell'Unione europea ha superato le oltre quarantaduemila unità e, nel 2017, si riscontrava sul territorio europeo l’esistenza di 3.505 Op e Aop riconosciute dai singoli Stati membri135.
Le nazioni in cui si è registrato il maggior numero di organizzazioni di produttori e loro associazioni riconosciute sono la Francia, la Germania e la Spagna136 che insieme rappresentano oggi circa il 60% del totale europeo. I settori in cui risultano essere state costituite la maggior parte delle Op sono quello ortofrutticolo, seguito dal comparto lattiero caseario, olivicolo e vitivinicolo.
Circa il 50% di tutte le Op e Aop attualmente riconosciute hanno assunto la forma di cooperative137.
135 Questi dati sono reperibile nello studio effettuato per la Commissione europea da D. XXXXX e al., Study of the best ways for producer organisations to be formed, carry out their activities and be supported. Final report, Luxembourg, Publications Office of the European Union, 2019. Report a cura di una commissione di esperti del settore incaricati da Arcadia International per la Direzione Generale per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale della Commissione europea. Secondo tale studio a metà del 2017, le autorità nazionali di 25 Stati membri hanno riconosciuto in totale 3.434 Op e 71 Aop, in costante aumento. Più della metà delle Op e Aop riconosciute opera nel settore dell’ortofrutta (1.851). Oltre 100 Op e Aop sono state riconosciute in altri sette settori: latte e prodotti lattiero caseari (334), olio d'oliva e olive da tavola (254), vino (222), carne bovina (210), cereali (177), altri prodotti (107) e carne suina (101). Un totale di 249 entità sono distribuite nei restanti dodici settori agricoli.
136 Rispettivamente con 759, 658 e 588 entità riconosciute.
137Tuttavia, esiste una grande varietà di altre forme giuridiche, le principali delle quali sono associazioni. Per quanto concerne il numero stimato di Op non riconosciute, è stata fatta una distinzione tra le cooperative agricole e le altre forme giuridiche di cooperazione con i produttori. Oltre alle 21mila cooperative agricole, riconosciute come Op o meno, presenti nell'Ue, è stato
2.5.1. L’evoluzione delle organizzazioni dei produttori nella disciplina europea Una prima attenzione, anche se marginale e settoriale, del legislatore europeo al fenomeno dell’associazionismo di produttori si può far risalire ai primi anni di operatività della politica agricola comune, quando, a partire dal 1966138, l’allora Comunità Economica Europea emanò per il solo comparto ortofrutticolo una serie di regolamenti e direttive al fine di incentivare la costituzione di associazioni di produttori considerate, già all’epoca, un’importante carta da giocare per consentire ai produttori di adeguarsi ai nuovi scenari economici creati dal cambiamento dei tempi139.
Una primissima disciplina generale relativa alle organizzazioni di produttori è stata costituita dal regolamento comunitario n. 1360/78140, recepito in Italia con la
l. n. 674/78141, allo scopo di tutelare gli interessi dei produttori, favorendo sia la concentrazione dell’offerta che un controllo sulla fase produttiva, di trasformazione e commerciale. All’art. 6, in particolare, era contenuto un elenco dei requisiti generali delle organizzazioni di produttori che contribuivano a fare
stimato che nel settore agricolo europeo siano presenti oltre 20 mila entità con diverse forme giuridiche. Pertanto, se si considerano tutti i settori agricoli, ad oggi è riconosciuto meno del 9% delle Op.
138 Si pensi a tutte le direttive e regolamenti emanati con riguardo alle organizzazioni comuni di mercati. Un esempio è costituito dal reg. (Cee) n. 136/66 del Consiglio, del 22 settembre 1966, relativo all'attuazione di un'organizzazione comune dei mercati nel settore dei grassi (G.U.C.E n. 3035 del 30 settembre 1966) . In questa normativa si fa riferimento per la prima volta alle organizzazioni riconosciute di produttori nel settore dell’olio d’oliva (artt. 5, 20 ed altri). Altro esempio è il reg. (Cee) n. 159/66 del Consiglio, del 25 ottobre 1966 (in seguito modificato dal reg.
n. 1035/72 Cee contenente disposizioni per l’organizzazione comune dei mercati nel settore ortofrutticolo e poi sostituito dal reg. n. 2200/1996), relativo a disposizioni complementari per l'organizzazione comune dei mercati nel settore degli ortofrutticoli, nel quale ha origine, per il settore ortofrutticolo, la costituzione di organizzazioni di produttori (G.U.C.E L. 100/4 del 27.04.1972). In argomento: X. XXXXXXXXXX, Le organizzazioni dei produttori ortofrutticoli nelle leggi comunitarie del 1995-97 e del 1998, in Rivista di Diritto Agrario, 1999, fasc. 1, pag. 112 e ss.; X. XXXXXXXXXX, Profili giuridici del sistema agro-alimentare e agro-industriale. Soggetti e concorrenza, op.cit., 2018, pag. 89.
139 In argomento: X. XXXXX, Le associazioni di produttori nella filiera ortofrutticola: un confronto Italia-Francia, Medit (A Mediterranean Journal of Economics, Agriculture and Environment), vol.3 n.4, 1992, pag. 52.
140 Reg. (Cee) n. 1360/78 del Consiglio, del 19 giugno 1978, concernente le associazioni di produttori e le relative unioni (G.U.C.E. L. 166/1 del 23 giugno 1978).
141 Legge 20 ottobre 1978, n. 674 recante norme sull’associazionismo dei produttori agricoli (G.U.
n. 311 del 7 novembre 1978).
applicare agli associati delle regole comuni di produzione142 e di immissione sul mercato143. Le funzioni previste dal regolamento in questione non riguardavano esclusivamente la commercializzazione dei prodotti ma anche la funzione normativa, andandosi già a delineare alcune caratteristiche principali delle Op.
Nata per superare le carenze strutturali del settore agricolo, anche attraverso un regime di incentivi per la costituzione di organizzazioni di produttori, la disciplina ha trovato, tuttavia, varie limitazioni alla sua effettiva applicabilità ma ha costituito comunque un primo tassello per la creazione di una normativa europea sull’associazionismo in agricoltura144 sviluppatasi poi in riferimento all’ortofrutta a partire dagli anni settanta dello scorso secolo.
Prima di addentrarsi nello studio dei profili specifici riguardanti le organizzazioni di produttori e di comprendere come queste realtà si siano sviluppate oggigiorno nei diversi Stati membri ricoprendo un ruolo fondamentale per quanto concerne gli accordi riguardanti la fornitura dei prodotti agroalimentari lungo la food chain, occorre, innanzitutto, comprendere le origini di tali strumenti e come sono stati disciplinati normativamente nel corso del tempo.
2.5.2. L’associazionismo dei produttori nel settore degli ortofrutticoli
Dopo un iniziale disinteresse mostrato nei primi anni di vita della Pac e aver lasciato alle singole normative nazionali la facoltà di emanare le disposizioni concernenti l’associazionismo in agricoltura, è proprio nei regolamenti dettati per
142 Riguardanti, ad esempio, la qualità dei prodotti o l’utilizzo di pratiche biologiche. Come fu introdotto successivamente dal reg. (Cee) n. 1760/87 del 15 giugno 1987 che modifica i regolamenti (Cee) n. 797/85, Cee n. 270/79, (Cee) n. 1360/78 e (Cee) n. 355/77 per quanto concerne le strutture, agrarie e l'adeguamento dell'agricoltura alla nuova situazione dei mercati, nonché il mantenimento dello spazio rurale (G.U.C.E. L 167/1 del 26 giugno 1987).
143 A titolo di esempio, le operazioni di concentrazione dell’offerta e di offerta ad acquirenti all’ingrosso.
144 La causa principale va rintracciata nel fatto che, secondo la redazione iniziale, il regolamento riguardava solo alcuni Paesi membri (Belgio, Italia ed alcune regioni della Francia) e solo alcuni prodotti. Si può dire che, sempre nella sua stesura iniziale, il reg. n. 1360/78 avesse una portata generale solo per l’Italia in quanto concerneva la quasi totalità delle produzioni nazionali, comprendendo prodotti del suolo, dell’allevamento e larga parte dei prodotti trasformati. Successivamente all’ingresso nella Comunità europea di altri Paesi, anche Grecia e Portogallo applicarono in tal modo il regolamento. La disciplina prevedeva degli aiuti per incentivare la formazione delle organizzazioni, subordinando l’erogazione degli aiuti stessi ad alcuni requisiti tra i quali un riconoscimento.
l’ortofrutta che a livello europeo si è utilizzato per le prime volte il termine organizzazioni di produttori.
Essendo il settore ortofrutticolo caratterizzato da una maggiore frammentazione dell’offerta e da prodotti, per loro natura, facilmente deperibili, l’associazionismo tra i produttori è stato da sempre considerato un elemento basilare tanto da attribuire, fin dall’inizio, la funzione quasi esclusivamente operativa alle organizzazioni di produttori del comparto.
Le Op ortofrutticole sono state investite, infatti, della funzione di commercializzazione dei prodotti dei loro aderenti svolgendo una vera e propria concentrazione dell’offerta che potesse contrastare la frammentarietà e la disomogeneità del settore145.
Nel 1987, la disciplina del settore ortofrutticolo subì un ulteriore ed importante cambiamento. Il reg. (Cee) n. 1760/87146, all’art. 3, concesse la possibilità alle associazioni, nel rispetto delle disposizioni previste dallo statuto, di autorizzare i soci a vendere i propri prodotti147. Tale facoltà rappresentò un cambiamento importante sia perché fino a quel momento l’obbligo dei produttori di vendere tutta la produzione attraverso l’associazione rappresentava una garanzia per il buon funzionamento delle organizzazioni, sia perché iniziava ad emergere l’idea e la convinzione che le funzioni più incisive delle Op andavano oltre le semplici operazioni di vendita per conto dei soci148. Venuto meno il regime degli aiuti europei con il regolamento n. 1257/1999 ci fu un novellato disinteresse del legislatore nella promozione dell’associazionismo tra produttori, lasciando agli Stati la possibilità di intervenire in proposito sulla base degli strumenti contenuti nella Pac in particolare nel secondo pilastro.
145 In argomento: X. XXXXXXXXXX, La nuova disciplina comunitaria in materia di organizzazioni. ortofrutticole: considerazioni problematiche, in Rivista di Diritto Agrario, 2003, fasc. 1, pag. 278.
146 Reg. (Cee) n. 1760/87 del Consiglio del 15 giugno 1987 che modifica i regolamenti (Cee) n. 797/85, (Cee) n. 270/79, (Cee) n. 1360/78 e (Cee) n. 355/77 per quanto concerne le strutture agrarie e l' adeguamento dell' agricoltura alla nuova situazione dei mercati, nonché il mantenimento dello spazio rurale (G.U.C.E. L. 167 del 26 giugno 1987).
147 La norma stabilì che gli Stati membri potevano ammettere negli statuti l’obbligo di fare effettuare l’immissione sul mercato di tutta la produzione destinata alla commercializzazione. L’associazione poteva tuttavia autorizzare gli aderenti ad immettere sul mercato una parte della produzione.
148 In realtà, questa facoltà non era una novità nel panorama italiano perché la l. n. 674/78, anche se in contrasto con il regolamento comunitario, aveva consentito ai singoli soci di vendere i loro prodotti.
Solo a partire dal 2007 con la riforma della Ocm unica si è assistito ad un ritorno delle tematiche concernenti le organizzazioni di produttori in quanto tali strumenti sono stati considerati fondamentali per porre rimedio alle crisi economiche che avevano colpito diversi comparti dell’agroalimentare a causa dell’abbandono della politica dei prezzi amministrati. Il modello delle Op ortofrutticole delineato nel reg. n. 2200/1996 e poi consolidato nel 2007 ha funto, così, da modello di riferimento per gli altri comparti.
Con il passare del tempo, le Op sono state riconosciute come uno strumento idoneo non solo a rafforzare il potere negoziale dei produttori ma anche come uno strumento vitale nella cessione della produzione agricola. Nel reg. n. 1234/2007 alle Op del settore ortofrutticolo hanno acquistato un ruolo strategico per il funzionamento del mercato, in quanto caratterizzate dall’obbligo previsto per gli aderenti di conferire tutti i prodotti all’organizzazione che, anche nel successivo reg. n. 1308/2013, è stato considerato un requisito fondamentale ai fini del riconoscimento149.
Oggigiorno un’ulteriore funzione che è attribuita alle organizzazioni dei produttori ortofrutticoli riguarda la gestione dei programmi operativi al fine di pianificare la produzione e di migliorare la qualità dei prodotti anche attraverso scelte concernenti profili ambientali e la prevenzione delle crisi che potrebbero colpire il settore. Inoltre, alle Op del comparto è concesso di commercializzare prodotti provenienti da soggetti terzi non aderenti150. Infine, come esplicitamente affermato dal reg. attuativo n. 2017/891 al primo paragrafo dell’art. 11, è data la possibilità alle Op ortofrutticole di negoziare la quantità e il prezzo151. Tale ultima costatazione non è di poco conto in un sistema agroalimentare, come più volte
149 Infatti solo in alcuni casi i soci aderenti alle Op ortofrutticole possono vendere i loro prodotti direttamente ai consumatori o ad altri soggetti e in misura non superiore al 25% in volume o in valore.
150 Ciò è quanto previsto dall’art. 11, parag. 2 del reg. n. 2017/891 della Commissione del 13 marzo 2017 che integra il reg. n. 1308/2013 per quanto riguarda i settori degli ortofrutticoli trasformati e non . Questa scelta è stata inserita in via generale anche nell’art.152 del reg. 1308/2013, come modificato dal reg. 2017/2393, per tutte le Op costituite nei settori presi in considerazione dal regolamento.
151 Art. 11 del reg. n. 2017/891: «La commercializzazione di cui al primo comma è effettuata dall'organizzazione di produttori o sotto il suo controllo nel caso dell'esternalizzazione di cui all'articolo 13. La commercializzazione comprende, fra l'altro, la decisione sul prodotto da vendere, la forma di vendita e, salvo vendita mediante asta, la negoziazione della quantità e del prezzo».
ripetuto, in cui, per la maggior parte dei prodotti, si discorre di “tabù dei prezzi”152.
Oggi la disciplina delle Op è regolata a livello europeo dal reg. n. 1308/2013, profondamente modificato dalle novelle intervenute nel 2017.
Il regolamento, che già promuoveva la creazione delle organizzazioni di produttori per rafforzarne il potere nella filiera alimentare è stato modificato e integrato sia dal reg. n. 2017/2393, che ha consentito alle Op riconosciute in tutti i settori in cui sia stata introdotta una Ocm di svolgere attività quali la pianificazione della produzione, l’ottimizzazione dei costi di produzione, l’immissione sul mercato dei prodotti degli aderenti e la negoziazione dei contratti, sia dai regolamenti n. 2017/891153 e n. 2017/892154, che hanno semplificato le norme relative alle organizzazioni di produttori nel settore ortofrutticolo.
La riforma del medio periodo della Pac, come si vedrà nello specifico nel terzo capitolo155, ha attribuito allo strumento associazionistico un compito centrale con l’obiettivo di rafforzare la posizione dei produttori nei rapporti contrattuali lungo la filiera agroalimentare. In particolar modo, a soggetti privati, quali le organizzazioni di produttori, è stato riconosciuto un ruolo di matrice pubblicistica consistente nella regolazione del mercato al fine di sopperire alle carenze scaturite
152 X. XXXXXXXXXX, L'associazionismo dei produttori agricoli ed il "tabù" dei prezzi agricoli nella disciplina europea della concorrenza. Considerazioni critiche sul reg. 261 del 2012 in materia di latte e prodotti-lattiero caseari, in Rivista di Diritto Agrario, 2012, fasc.3, op.cit.,pag. 179 e ss..
153 Regolamento delegato (Ue) n. 2017/891 della Commissione, del 13 marzo 2017, che integra il regolamento (Ue) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i settori degli ortofrutticoli e degli ortofrutticoli trasformati, integra il regolamento (Ue) n. 1306/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le sanzioni da applicare in tali settori e modifica il regolamento di esecuzione (Ue) n. 543/2011 della Commissione (in
G.U.U.E. L. 138/4 del 25 maggio 2017).
154 Regolamento di esecuzione (Ue) n. 2017/892 della Commissione, del 13 marzo 2017, recante modalità di applicazione del regolamento (Ue) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i settori degli ortofrutticoli e degli ortofrutticoli trasformati (in
G.U.U.E. L. 138/57 del 25 maggio 2017)
155 L’analisi che sarà svolta in tale sede con riguardo ai cambiamenti legislativi intervenuti sarà parziale e si rinvia al terzo capitolo per gli ulteriori aspetti lasciati qui in sospeso.
dal cambio di paradigma delle politiche adottate a livello europeo concernenti la Pac.
Il ruolo pubblicistico delle Op emerge da diverse disposizioni e senz’altro dalla nuova formulazione dell’art. 152 del reg. n. 1308/13 che, nell’elencare gli obiettivi di tali organizzazioni, comprende funzioni che incidono sia sugli aspetti interni alle Op che su quelli che possono influire esternamente sul corretto funzionamento della filiera.
Ogni compito riconosciuto alle Op contribuisce a fornire alle stesse uno strumento di regolazione della filiera156. L’azione pubblicistica che tali organismi possono svolgere si riscontra anche nell’attribuire loro la facoltà di indirizzare le scelte inerenti la gestione dei rifiuti, quelle ambientali e dei metodi più sostenibili di produzione, scelta che può costituire un enorme potenziale circa il ruolo sempre più incisivo che le organizzazioni dei produttori potranno avere nell’orientare le diverse scelte dei loro aderenti157, come si vedrà nel quarto capitolo.
Le organizzazioni dei produttori hanno assunto, almeno su carta, una posizione fondamentale nell’organizzazione dei mercati agricoli e la rinnovata disciplina europea ha sancito le condizioni affinché esse possano far richiesta del riconoscimento allo Stato di appartenenza elencando una serie di finalità da perseguire e le funzioni da svolgere, nonché il contenuto minimo dello statuto158. Le condizioni previste ai fini dell’ottenimento del riconoscimento concernono le attività che le Op possono svolgere159, ed è proprio in base alle diverse funzioni elencate che è possibile effettuare una distinzione tra le Op con meri compiti normativi e quelle che operano una concentrazione dell’offerta e incidono sulla
156 Ad esempio, l’obiettivo della pianificazione della produzione svolge la funzione di adeguare l’offerta dei prodotti alla domanda sia intermini di qualità che di quantità e ciò, produce effetti economici ed organizzativi lungo tutta la filiera nonostante sia una attività interna alla struttura dell’organizzazione.
157 Ciò è quanto stabilito dall’art. 157 del reg. n. 1308/13.
158 Salvo disposizioni specifiche concernenti singoli settori tali disposizioni si applicano a tutte le Op e Aop. Ad esempio, per il settore ortofrutticolo, per quello dell’olio di oliva, del luppolo e della bachicoltura il riconoscimento è obbligatorio in deroga a quanto previsto invece dagli artt. 152 e 158 che riconoscono agli Stati membri solo la possibilità di prevedere un riconoscimento.
159 Per ottenere il riconoscimento basta che le Op svolgano una delle seguenti funzioni: la trasformazione, la distribuzione, il trasporto comune dei prodotti, il condizionamento degli stessi, le attività riguardanti il controllo di qualità, l’uso comune degli impianti per lo stoccaggio, la gestione comune dei rifiuti e altre attività di servizi.
commercializzazione in quanto è necessario che sia svolta almeno una delle attività elencate.
Un’importante novità introdotta dal regolamento Omnibus concerne l’attività di negoziazione dei contratti di offerta dei prodotti agricoli, la quale è divenuta una delle funzioni generali riconosciute a tutte le Op prese in considerazione dal regolamento sulla Ocm unica.
Già nella precedente versione del reg. n. 1308/2013 la facoltà di operare le trattative contrattuali era stata concessa ad alcuni comparti160 sulla scia di quanto era stato previsto nel 2012 dal reg. n. 261 dedicato al settore lattiero-caseario.
Il regolamento del 2017 ha attuato, tuttavia, un passaggio ulteriore in quanto nonostante l’attività di commercializzazione resti facoltativa per le Op, «non definisce solo le condizioni perché avvenga la negoziazione, ma anche quelle dettate per l’esenzione rispetto all’applicazione delle regole sulla concorrenza»161. L’intento che il legislatore europeo ha voluto perseguire con tale scelta normativa è riassumibile con quanto affermato nel considerando n. 52 del regolamento: «Le organizzazioni di produttori e le loro associazioni possono svolgere un ruolo utile ai fini della concentrazione dell'offerta e del miglioramento della commercializzazione, della pianificazione e dell'adeguamento della produzione alla domanda, dell'ottimizzazione dei costi di produzione e della stabilizzazione dei prezzi alla produzione, dello svolgimento di ricerche, della promozione delle migliori prassi e della fornitura di assistenza tecnica, della gestione dei sottoprodotti e degli strumenti di gestione del rischio a disposizione dei loro aderenti, contribuendo così al rafforzamento della posizione dei produttori nella filiera alimentare. Le loro attività, comprese le trattative contrattuali per l'offerta di prodotti agricoli da parte di tali organizzazioni di produttori e delle loro associazioni quando concentrano l'offerta e immettono sul mercato la produzione dei propri aderenti, contribuiscono pertanto al conseguimento degli obiettivi della PAC enunciati nell'articolo 39 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, poiché rafforzano la posizione degli
160 Specificamente per il settore dell’olio, delle carni bovine, dei seminativi e dei prodotti ortofrutticoli.
161 I. CANFORA, Organizzazioni dei produttori agricoli, in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civ., aggiornamento vol. XI, , Milano,2018, pag. 8.
agricoltori nella filiera alimentare e possono contribuire a migliorare il funzionamento di detta filiera».
Il ruolo delle Op nelle trattative contrattuali ha assunto per il legislatore europeo una rilevanza sotto un duplice profilo: quello concernente la legittimazione soggettiva e quello del rapporto tra la disciplina antitrust e la deroga prevista nel nuovo art. 152.
Senza entrare qui nel merito della questione che sarà affrontata nel terzo capitolo, basti anticipare che, al momento, le Op riconosciute possono pianificare la produzione, ottimizzare i costi e negoziare contratti riguardanti l’offerta dei prodotti agricoli a nome degli aderenti. Tali attività includono la definizione del prezzo di vendita, e il perimetrarne le modalità di esecuzione e svolgimento significa andare ad incidere, irrimediabilmente, sull’applicazione delle regole di concorrenza. Infatti, al secondo paragrafo dell’art. 209 del regolamento, si afferma, ancora, che gli accordi e le pratiche concordate tra associazioni di produttori agricoli non possono avere l’effetto di applicare prezzi identici. Questa disposizione rappresenta una delle ambiguità dell’Omnibus che contribuiscono a gettare ombre sulla concreta efficacia e applicabilità della normativa nel perseguire gli obiettivi di cui all’art. 39 del Tfue e in particolare la stabilizzazione del mercato con un conseguente vantaggio per la parte agricola dei contratti agro- industriali.
Mentre il paragrafo 1bis dell’art. 152 conferisce a una Op riconosciuta una deroga alle regole generali di concorrenza per soddisfare le esigenze di commercializzazione dei prodotti conferiti dai propri aderenti, ciò non viene concesso per le pratiche poste in essere da più Op.
Il contenuto della disposizione in esame era stato anticipato dalla sentenza della Corte di Giustizia nella causa C-671/15 relativa agli accordi intervenuti in Francia nel settore ortofrutticolo, nello specifico tra le organizzazioni di produttori del prodotto indivia, di cui si discorrerà successivamente.
In dottrina si è sottolineato come il nuovo testo dell’art. 152 genererebbe ancora degli equivoci rispetto al fatto che le negoziazioni collettive svolte dalle Op farebbero riferimento al modello cooperativo oltre che alle Op che effettuano invece una semplice negoziazione del contenuto contrattuale. Secondo tale
dottrina non si spiegherebbe quale applicazione possa avere la norma in questione per le cooperative che già per loro stessa natura commercializzano i prodotti conferiti dagli aderenti162.
In altri termini, il dubbio che si muove deriva dal fatto che se la funzione di porre in essere le trattative contrattuali si riferisce alle sole Op che vendono a proprio nome la produzione dei soci, la norma sarebbe priva di una concreta applicazione163. Tale interpretazione limiterebbe l’eccezionalità prevista per il settore agricolo rispetto all’applicazione delle regole di concorrenza.
Il regolamento Omnibus prevede ulteriormente che le regole fissate dalle Op per i propri aderenti possano essere estese a tutti i produttori della stessa circoscrizione economica, per un determinato periodo di tempo, non aderenti all’organizzazione. Questa regola concernente l’estensione dell’efficacia erga omnes, già prevista in passato, rientra nella funzione di regolazione del mercato riconosciuta sia alle Op che alle Oi. Tuttavia tale estensione riscontra dei limiti di tipo temporale e territoriale come visto e a condizione che la Op, caratterizzata da un adeguato livello di rappresentatività, avanzi la richiesta allo Stato membro di appartenenza. La ratio di tale scelta è da individuare nel permettere l’estensione di buone pratiche anche a soggetti terzi, in quanto queste possono produrre degli effetti positivi per l’intera filiera. Ovviamente per quanto concerne la commercializzazione è fatto sempre divieto di fissazione dei prezzi ma in riferimento alla stessa fra le finalità indicate nella lista chiusa definita dalla norma
162 X. XXXXXXXXXX, Dal caso indivia al regolamento omnibus n. 2393 del 13 dicembre 2017: le istituzioni europee à la guerre tra la PAC e la concorrenza?, in Rivista di Diritto Agroalimentare, 2018, cit., pag. 159: «la disposizione risulta: a) destinata a trovare applicazione fondamentalmente per quelle operanti come marketing cooperatives, ossia per quelle che non hanno bisogno di ricorrere a una negoziazione collettiva che preceda la vendita vera e propria; b) utilizzabile anche dalle strutture operanti come bargaing cooperatives, purché però si trasformino in marketing cooperatives».
163 X. XXXXXXXXXX, Agricoltura e concorrenza o concorrenza e agricoltura? (gli artt. 169, 170 e 171 del reg. n. 1308/13 e il progetto di guidelines presentato dalla Commissione), in Rivista Diritto Agrario, 2015, pag 1 e ss. . L’autore afferma: la possibilità per le OP di effettuare trattative contrattuali, ossia di dar vita a una contrattazione collettiva in nome e per conto dei propri aderenti in ordine ai contratti di fornitura dei prodotti ivi indicati non ha ragion d’essere se l’organizzazione provvede direttamente ovvero è tenuta all’immissione sul mercato dei medesimi prodotti, ossia vende direttamente a terzi tutta la produzione dei propri aderenti, in coerenza, peraltro, con l’obiettivo che è altresì dato ai fini del riconoscimento.
va inteso non in termini operativi ma in quelli di programmazione delle regole di commercializzazione164.
2.5.4. Alcuni dati sulle organizzazioni di produttori in Italia
Dopo aver analizzato il ruolo, la funzione e le caratteristiche delle Op è lecito domandarsi perché, nonostante i vantaggi che queste possono offrire ai loro aderenti, non si siano ancora pienamente sviluppate sul territorio nazionale.
Infatti, le Op, create, come già detto, allo scopo di porre rimedio alla posizione di svantaggio in cui gli imprenditori agricoli versano nei rapporti contrattuali stipulati con le imprese di trasformazione e la grande distribuzione organizzata e destinate a mettere in pratica gli obiettivi della politica agricola comune, non sono state in grado di essere utilizzate nel nostro ordinamento come efficiente strumento di contrasto al potere esercitato dalla parte imprenditoriale.
Secondo i dati in possesso del Mipaaft, aggiornati all’estate del 2019, in Italia le Op riconosciute sono 883 delle quali 613 nel settore ortofrutticolo e le restanti in altri comparti dell’agroalimentare165. Questi numeri risultano piuttosto eloquenti se si pensa che nel 2015 le Op del settore ortofrutticolo erano appena 298 e aiutano a comprendere che negli ultimi quattro anni c’è stato un imponente incremento che, tuttavia, non è paragonabile ai numeri dei Paesi precedentemente menzionati166.
Nell’ordinamento italiano la normativa attualmente vigente in materia di organizzazioni dei produttori è stata emanata in un periodo storico in cui a livello europeo esisteva una disciplina dettagliata solo per il settore ortofrutticolo e ha risentito inevitabilmente della specialità di questo comparto per il quale come
164 I. CANFORA, Organizzazioni dei produttori agricoli, op.cit., 2018, pag. 9.
165 Nonostante tali numeri sembrano superare quelli precedentemente richiamati per le altre nazioni europee ciò non deve trarre in inganno. I dati concernenti la Francia, la Germania e la Spagna, sono infatti aggiornati al 2017 ma bisogna tener presente che, anche alla luce delle modifiche normative apportate all’Ocm, negli ultimi due anni c’è stato un incremento del 33% delle Op. L’Italia è attualmente al quarto posto nella graduatoria degli stati con il maggior numero di Op e Aop. Fonte: Agronotizie del 29 ottobre 2019, Organizzazioni di produttori, e gli agricoltori ringraziano, fonte: xxxxx://xxxxxxxxxxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xxx/xxxxxxxxxxx-xxxxxxxx politica/2019/10/29/organizzazioni-di-produttori-e-gli-agricoltori- ringraziano/64725?utm_campaign=newsletter&utm_medium=email&utm_source=kANSettimanal e&utm_term=695&utm_content=3632&refnlagn=title .
166 Basti pensare che, sempre nel 2015 le Op del settore ortofrutticolo iberico superavano le 1500 unità.
detto è stato previsto l’obbligo per le Op di immettere sul mercato la produzione dei propri aderenti.
È stato così che agli inizi del 2000 un decreto legislativo167 ha previsto per le Op di tutti i settori l’obbligo di concentrare l’offerta e di commercializzare la produzione e si è stabilito che per ottenere il riconoscimento le Op dovessero essere costituite in determinate forme giuridiche societarie elencate nella norma. Questa è una delle cause che ha comportato una minore fortuna dello strumento rispetto a quanto accaduto in altri Stati membri della Ue, perché si è escluso a priori dalle Op tutte quelle che non avevano una struttura adeguata idonea a svolgere l’attività di commercializzazione.
Questa prima disciplina è stata trasposta senza modifiche sostanziali nel già citato d.lgs. n. 102 del 2005 che si è sovrapposta, senza abrogarla, alla precedente già richiamata l. n. 674/1978 adottata in attuazione del primo reg. n. 1360/78 non più in vigore dal 1999.
Attualmente la disciplina nazionale limita le funzioni che con il nuovo regolamento del 2017 sono state riconosciute alle Op. La normativa europea infatti, concede alle Op di svolgere anche soltanto una attività normativa e tale possibilità è attualmente negata dal dettato della nostra normativa nazionale. Lo scopo principale perseguito dalle organizzazioni nazionali resta l’attività di commercializzazione dei prodotti e nello specifico l’obbligo statutario di far vendere agli aderenti almeno il 75% della loro produzione direttamente all’Op. Per quanto concerne il riconoscimento la normativa italiana prevede che la domanda sia presentata alla Regione o al Ministero a seconda se la Op abbia rilevanza nazionale o transnazionale168.
È auspicabile una revisione normativa che possa adeguatamente coordinare quanto disposto dal decreto del 2005 e la modificata disciplina europea, nonché le discipline specifiche contenute in alcuni decreti legge e decreti ministeriali
167 D.lgs. n. 228 del 18 maggio 2001 sull’orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57 (in G.U. n. 137 del 15 giugno 2001).
168 Il d.m. n. 387 del 3 febbraio 2016 (in G.U. n. 65 del 18 marzo 2016) inerente le disposizioni nazionali in materia di riconoscimento, controllo, sospensione e revoca delle organizzazioni di produttori, ai sensi dell'articolo 152 e seguenti del regolamento (Ue) n. 1308/2013, ha regolato la disciplina per il riconoscimento delle Op ad esclusione dei settori dell’olio d’oliva e delle olive da tavola e dei prodotti ortofrutticoli trasformati e non trasformati.
xxxxxxx in questi anni che hanno provveduto ad attuare quanto stabilito dalla normativa Ue169.
2.5.5. Il ruolo di una Op in una dimensione imprenditoriale limitata: l’esperienza molisana
Oltre agli ostacoli normativi, presi in considerazione nel paragrafo precedente, ne persistono altri di diverso genere, come, ad esempio, quello consistente nel timore dei produttori di dover sostenere costi elevati per la costituzione di una Op (che possano essere maggiori dei vantaggi che potrebbero derivarne) e quello di perdere la loro libertà imprenditoriale.
I fattori di successo di una Op possono variare a seconda del territorio di riferimento e un ruolo importante è sicuramente rivestito dall'esistenza di una tradizione consolidata nella cooperazione agricola nei singoli Stati membri. Questo fattore interno può senz’altro costituire una base solida per alcune aree italiane con una radicata tradizione cooperativistica anche se i sistemi cooperativi nazionali non sempre in passato sono riusciti a minimizzare gli effetti della volatilità di mercato170.
Nonostante quella molisana sia una piccola realtà economica, molteplici sono negli ultimi anni i casi virtuosi che si riscontrano in relazione all’associazionismo agricolo in alcuni comparti dell’agroalimentare, quali quello ortofrutticolo e cerealicolo.
Con l’evoluzione delle politiche dei mercati e con il superamento della politica di sostegno dell’Ue un fitto tessuto di imprese agricole regionali è entrato in crisi. A
169 Occorre sinteticamente ricordare i dubbi interpretativi suscitati nel 2015 dal d.l. n. 51 del 5 maggio 2015 (in G.U. n. 103 del 6 maggio 2015), convertito nella l. n. 91 del 2 luglio 2015 (in
G.U. n. 152 del 3 luglio 2015) contenente interventi di rilancio e sostegno di settori colpiti da eventi di carattere eccezionale. Attraverso un decreto legge emanato per aiutare i settori agricoli in crisi, sono stati apportati dal legislatore importanti cambiamenti nella disciplina delle organizzazioni dei produttori e degli organismi interprofessionali potenzialmente estendibili a settori ben diversi da quelli oggetto della normativa in questione. Per le sole ragioni concernenti l’impossibilità di trattare la tematica in questione in tale sede, sia consentito il rinvio a M. GIOIA, La legge 2 luglio 2015, n. 91 e la riforma del settore lattiero-caseario: un ennesimo tentativo fallito?, in Agricoltura, Istituzioni, Mercati, 2015, fasc.1, pag.104 e ss.
170 Ciò è quanto accaduto nel xxxxx xxxxx xxxxx xxx xxxxxxx xxx xxxxx dopo la fine del regime delle quote avvenuta il 31 marzo 2015. Le cooperative del settore, per quanto non esattamente sovrapponibili in tutto e per tutto alle Op, non sono riuscite ad assicurare ai produttori dei prezzi adeguati ai loro aderenti.
risentirne è stato, ad esempio, il comparto conserviero del pomodoro che ha da sempre rappresentato per il Molise un presidio nel processo di modernizzazione dell’agricoltura regionale. Negli ultimi anni, grazie anche alla costituzione in Op dell’unico conservificio regionale171 sembravano esserci notevoli segnali di ripresa attraverso pratiche strategiche che avevano permesso alla stessa di recuperare alcune quote di mercato172. Nel 2014 il conservificio era entrato a far parte del polo distrettuale del pomodoro del centro e del sud Italia173 e grazie a tale adesione era riuscito a stipulare un contratto con la Muller174 riuscendo a penetrare nel mercato tedesco. Purtroppo, a partire dalla campagna agricola del 2018, anche a seguito di una ristrutturazione aziendale del conservificio, il settore è ritornato ad essere avvolto nell’incertezza. L’organizzazione dei produttori non è stata in grado di fronteggiare la crisi che ha colpito il settore a livello regionale. Il prezzo del pomodoro ha, infatti, subìto una inflazione a causa della chiusura dello Zuccherificio Molisano. Il nesso tra questi eventi è dato dal fatto che, per sopperire alla mancata coltivazione e produzione della barbabietola, molti produttori molisani, che conferivano la materia prima al salsificio, hanno iniziato a ripiegare sul pomodoro, provocando un surplus di produzione e il conseguente abbassamento del costo di vendita. Successivamente, per ragioni concernenti le carenze igieniche e strutturali il conservificio è stato chiuso facendo ripiombare nel baratro il mercato del pomodoro da industria molisano. Si registrano tuttavia alcuni segnali di ripresa nel comparto del pomodoro da industria grazie alla crescita di interessanti forme associative di carattere spontaneo, sviluppatesi ad esempio intorno ad un’eccellenza conosciuta inizialmente solo a livello territoriale del pomodoro di Montagano175 che, in virtù di un lento e inizialmente conflittuale processo organizzativo su base locale, ha progressivamente sviluppato una filiera
171 Di cui è proprietaria l’associazione ortofrutticola molisana (AOM).
172 Le strategie attuate hanno riguardato principalmente lo spostamento verso l’interno e nella vicina Puglia del bacino di approvvigionamento della materia prima e l’imposizione ai fornitori di una riconversione a standard di produzione maggiormente sostenibili, quali l’agricoltura integrata e, soprattutto, l’agricoltura biologica che hanno permesso di stringere accordi di subfornitura con industrie conserviere del nord Italia.
173 Insieme ad Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Toscana, Sicilia e Sardegna.
174 Multinazionale dello yogurt e dei latticini altoatesina.
175 Questa tipologia di pomodoro viene coltivata su terreni sabbio-argillosi e costituisce uno dei circa 160 prodotti agroalimentari tradizionali (P.A.T.) della regione Molise.
corta di successo, con significativi impatti anche sul turismo per la comunità di riferimento.
Un ulteriore caso più fortunato è rappresentato sul territorio molisano dall’esperienza nel comparto cerealicolo. Nel 2016, il pastificio campobassano La Molisana, che rappresenta, nel comparto agroalimentare regionale, l’esperienza imprenditoriale di punta sia per le capacità organizzative dimostrate che per le scelte qualitative effettuate con riguardo ai grani utilizzati per la trasformazione, ha siglato un contratto triennale con gli operatori e le cooperative agricole dell’Op Cereali Centro Sud176. Anche grazie al lavoro svolto dalle organizzazioni di produttori operanti nel settore, i prezzi all'ingrosso del grano “duro fino” nazionale al Sud, secondo i dati rilevati a novembre 2019, si confermano stabili intorno ai 290 euro alla tonnellata rispetto ai valori massimi del comparto presi in considerazione dalla Borsa merci di Foggia. Anche l’Ismea ha registrato sui mercati all'origine il ritorno di prezzi stabili su tutte le piazze del Sud monitorate più di recente: Bari, Matera, Foggia, Catania, Palermo e Napoli. Solo a Campobasso si è assistito a un lieve rialzo (+ 0,10 euro sui minimi e +0,20 euro sui massimi)177.
Le esperienze regionali fin qui analizzate, nonostante si siano evolute in modo diverso, presentano comunque un dato positivo in comune consistente nell’apertura all’utilizzo del modello associativo dell’organizzazione di produttori che, seppur in una fase iniziale e in pochi settori produttivi, ha dimostrato una certa efficacia ma sempre in una dimensione molto circoscritta e specifica.
176 Che raccoglie con quattro cooperative, ben 600 soci produttori, specializzati nella coltivazione di cereali e stanziati nei territori del Basso Molise (Guglionesi, Montenero di Bisaccia e Palata). Le cooperative agricole “Colle dell’Ulivo” di Palata, “Colline Verdi” di Montenero di Bisaccia, “Le Macchie” di Guglionesi e “Fortore” di Jelsi, come risulta dal contratto stipulato, hanno garantito a La Molisana oltre 11mila tonnellate di grano duro, delle cultivar Maestà e Xxx Xxxxxx. Il prezzo minimo risulta fissato a 28,5 euro al quintale franco pastificio, una cifra soddisfacente se paragonata ai prezzi di quello stesso anno sugli altri mercati (24 euro sul mercato di Bologna, in riferimento al nord Italia e 19 euro su quello di Foggia).
177 A Campobasso il 4 novembre 2019 Ismea ha rilevato il prezzo del grano duro fino alle condizioni "franco azienda" a 236,30 euro alla tonnellata sui minimi e 242,70 sui massimi, valori in crescita: sui minimi di 0,10 euro alla tonnellata e di 0,20 euro sui massimi rispetto alla precedente rilevazione del 28 ottobre scorso. I prezzi del 4 novembre appaiono minori di euro 0,20 sui minimi rispetto al 29 luglio - quando Ismea rilevava 236,50 euro la tonnellata - ed in rialzo di euro 1,20 sui massimi raggiunti in quella data, pari a 241,50 euro. Dati accessibili sul sito Ismea e su Agronotizie del 14 novembre 2019.
2.6. Gli organismi interprofessionali nella disciplina europea e nazionale
A differenza delle organizzazioni dei produttori, quelle interprofessionali raggruppano rappresentanti dei produttori, dei trasformatori e dei distributori. Analogamente alla normativa relativa alle Op, anche quella degli organismi interprofessionali è stata rinnovata dal regolamento Omnibus. La disciplina a livello europeo è regolata dall’art. 157 e xx. xxx xxx. x. 0000/00 che riconoscono alle Oi lo scopo di riunire i soggetti attivi dell’intera catena produttiva, facilitando il dialogo tra gli attori della filiera, promuovendo le buone pratiche e la trasparenza del mercato.
Tale strumento, molto diffuso nell’esperienza francese178 e in altri Paesi dell’Unione179, è stato dotato di maggiore forza nelle più recenti modifiche della Pac e si prospetta un ulteriore ampliamento delle sue funzioni nelle successive programmazioni.
178 In Francia, tuttavia, esse si sono sviluppate nella forma più compiuta e significativa tanto da rappresentare, ancora oggi, un modello di riferimento sia per il legislatore comunitario che per quello nazionale. Sul tema si rinvia per una puntuale e dettagliata ricostruzione anche storica dell’istituto a X. XXXXXXX, 2000, op.cit.; ID. Organizzazioni interprofessionali, in Digesto civ., Agg., Torino, 2003, pag. 982. Molti sono gli esempi pratici del buon funzionamento di un organismo interprofessionale provenienti dall’esperienza francese. Emblematico risulta essere quello riguardante la filiera della “patata da consumo” che ha dimostrato di conseguire i principali vantaggi che possono scaturire dall’interprofessione: il miglioramento delle comunicazioni lungo la filiera con la conseguente riduzione dei problemi di informazione asimmetrica, la crescita del livello di fiducia tra gli operatori, la realizzazione di strategie competitive concertate. Nell’ordinamento francese si riscontra la presenza, inoltre, di altri organismi, per certi versi, simili alle organizzazioni interprofessionali: i Syndicats interprofessionnels (ossia i consorzi di tutela dei prodotti a denominazione controllata corrispondenti ai nostri Consorzi per la tutela dei prodotti Dop ed Igp e ai Consejos reguladores spagnoli) sono organizzazioni volontarie tra i produttori e i trasformatori con delega pubblica a gestire le denominazioni d’origine dei prodotti agroalimentari. L’ampia letteratura in proposito, conferma che anche nel caso di questi organismi, non di governo ma di armonizzazione e regolazione delle transazioni, possono avere un ruolo decisivo e positivo non tanto nella riduzione di specifici costi di transazione quanto nello stimolare e realizzare strategie comuni riguardanti lo sviluppo e l’adozione di innovazioni di prodotto e processo, la diffusione dei codici di buone pratiche e dei programmi di promozione collettiva. In argomento su tali organismi nell’esperienza spagnola relativa al settore dell’olio d’oliva: X. XXXX-CAÑADA e X. XXXXXX-XXXXXXX, Quality certification, institutions and innovation in local agro-food systems: protected designations of origin of olive oil in Spain, in Journal of Rural Studies, 2005, pag. 475 e ss.
179 Tra gli esempi di maggiore spicco nell’esperienza europea riguardante le organizzazioni interprofessionali vi sono gli uffici di prodotto olandesi. Questi ultimi sono organismi di diritto privato, rappresentativi di tutta la filiera, che possono svolgere anche alcune funzioni istituzionali per conto della pubblica amministrazione. Essi rappresentano, infatti, produttori agricoli, cooperative, l’impresa di trasformazione, di distribuzione all’ingrosso e al dettaglio e, in alcuni casi i sindacati dei lavoratori ed i consumatori. Finanziati dagli associati, questi organismi diffondono informazioni tecniche e di mercato, pongono in essere strategie allo scopo di migliorare gli sbocchi di mercato, realizzano accordi interprofessionali.
L’art. 157 del reg. n. 1308/13 è stato, infatti, modificato nel suo contenuto nel 2017. Da una prima analisi della disposizione, risultano ampliati gli obiettivi e le attività delle Oi. In primo luogo, viene conferita loro la possibilità di definire le clausole di condivisione del valore lungo la filiera, tramite la creazione di regole che consentano la redistribuzione di utili o di perdite che derivano dalle condizioni di mercato per specifici prodotti. La seconda novità concerne il riferimento all’ampliamento delle misure preventive e gestionali in relazione alla salute animale, alla protezione delle piante e ai rischi ambientali. Modifica, quest’ultima, che inserisce per la prima volta, in un regolamento dedicato all’organizzazione comune di mercato, un riferimento esplicito, sia per le Op quanto per le Oi, ai temi del rischio ambientale e della salute e benessere degli animali180, creando un collegamento con le recenti riforme attuate in altri ambiti181 e riconoscendo alla disciplina delle organizzazioni interprofessionali anche un ruolo decisivo in un’ottica di mercato non soltanto economica ma finalizzata al raggiungimento di altri obiettivi connessi ed inscindibili. Inoltre, viene prevista per gli Stati membri la facoltà di concedere più di un riconoscimento ad una Oi operante in più settori, purché vengano soddisfatte le condizioni previste dal regolamento per ottenere il suddetto riconoscimento.
L’utilizzo dello strumento delle organizzazioni interprofessionali costituisce un secondo livello della strutturazione delle relazioni lungo la filiera agroalimentare. La necessità di adottare tali strutture è nata per semplificare le relazioni che precedentemente prevedevano la stipula di accordi tipo interprofessionali sottoscritti anno dopo anno dalle strutture organizzative rappresentative dei produttori e gli altri soggetti della catena dell’approvvigionamento. Tuttavia sul
180 La notevole importanza riconosciuta a tale aspetto traspare dal dettato del considerando 54 del regolamento: «Tenuto conto del ruolo che le organizzazioni interprofessionali possono svolgere per migliorare il funzionamento della filiera alimentare, l'elenco dei possibili obiettivi che tali organizzazioni interprofessionali possono perseguire dovrebbe essere esteso per contemplare anche le misure volte a prevenire e gestire i rischi per la salute degli animali, nonché di ordine fitosanitario e ambientale».
181 Si pensi, ad esempio, al reg. n. 625/2017 relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari (in G.U.U.E. L. 95/1 del 7.04.2017), integrato dal regolamento delegato (Ue) n. 2019/625 della Commissione del 4 marzo 2019 per quanto riguarda le prescrizioni per l'ingresso nell'Unione di partite di determinati animali e merci destinati al consumo umano (in G.U.U.E. L. 131/18 del 17 maggio 2019).
piano giuridico si è proceduto in modo più cauto all’introduzione di questi organismi in quanto a differenza delle Op che incidendo sull’attività dei soli produttori rispondono all’obiettivo di fornire un rimedio alla loro debolezza, le Oi avendo tra i loro partecipanti operatori economici differenti potrebbero favorire pratiche lesive della concorrenza a danno dei contraenti più deboli e conseguentemente anche dei consumatori. Ciò giustifica il ritardo con cui a livello europeo è stato disciplinato il fenomeno delle Oi nonostante la loro presenza radicata in alcuni Stati europei quale la Francia che da sempre è stata incline a incentivare uno strumento associativo in cui potessero partecipare portatori di interessi differenti. Con il reg. n. 1308/13 per la prima volta è stata concessa la possibilità di costituire le Oi in tutti i settori oggetto della normativa stessa, precedentemente ciò era possibile solo in alcuni comparti. Alle Oi sono riconosciuti solo compiti di tipo normativo.
Le organizzazioni interprofessionali sono entità viste, ancora, con maggior diffidenza rispetto alle Op sotto il profilo della tutela della concorrenza perché mentre queste ultime raggruppano offerenti di prodotti agricoli, le Oi coinvolgono tendenzialmente tutti gli operatori della filiera di ogni singolo prodotto, ed il rischio di una lesione della concorrenza posta in essere da una organizzazione interprofessionale è sicuramente maggiore rispetto a quello collegato alla presenza di una organizzazione di produttori. Questo spiega perché le Oi possono svolgere essenzialmente attività di ricerca, di conoscenza del mercato, attività informative, ma non attività imprenditoriali, cioè non possono svolgere attività di commercializzazione che possono essere svolte invece dalle Op e che rientrano in quella funzione c.d. operativa182.
Nel quarto capitolo si analizzeranno gli ulteriori aspetti e le ricadute pratiche concernenti gli organismi interprofessionali anche attraverso un’analisi delle realtà esistenti sul territorio nazionale italiano e su quello francese.
182 Una deroga a tale divieto generale è sancita agli artt. 162 e 163 del reg. 1308: per i settori dell’olio, delle olive, del tabacco e del latte le organizzazioni interprofessionali possono commercializzare le produzioni degli aderenti.
2.7. Il contratto di rete: dalla disciplina generale a quella specifica dettata per il settore agroalimentare
Tra gli strumenti messi a disposizione dal legislatore italiano, negli ultimi anni, figurano, pur se non come espressione specifica del settore agroalimentare, le reti di impresa.
La regolamentazione del contratto di rete è stata resa necessaria dalla necessità avvertita dalle imprese nazionali di una forma di aggregazione più flessibile ed innovativa rispetto a quelle tradizionali, in grado di aumentare la capacità competitiva delle imprese stesse senza, però, costringerle a rinunciare alla propria autonomia.
L’analisi di tale modello risulta indispensabile non solo per l’iniziale successo che ha riscosso ma anche per far riflettere proprio sulla circostanza che le ragioni di tale successo possono in parte riscontrarsi anche nella debolezza di altri strumenti. Non stupisce se in altri Paesi europei in cui le organizzazioni associative di tipo verticale hanno una tradizione più radicata e hanno con il tempo accresciuto la loro incidenza sul mercato, non si sia avvertito il bisogno di far ricorso ad una disciplina simile. Tale esigenza si è avvertita, invece, in Italia, dove il legislatore si è dovuto dotare di una disciplina specifica per regolare una prassi contrattuale sviluppatasi sul territorio e alla quale i diversi attori hanno aderito per creare quelle relazioni che non era semplice intrattenere attraverso gli organismi interprofessionali non efficacemente potenziati.
Giuridicamente disciplinate nel 2009, dall’art. 3 della legge n. 33183, e successivamente con la legge n. 122 del 2010184 che, introducendo il contratto di
183 L. n. 33 del 9 aprile 2009, conversione in legge del d.l. n. 5 del 10 febbraio 2009, concernente misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario (in G.U. n. 85 del 11 aprile 2009). In realtà, il concetto di rete di impresa fu menzionato per la primissima volta nell’art. 6-bis della legge n. 133/2008. Questo articolo rinviava ad un decreto del Ministro per lo Sviluppo Economico la definizione delle caratteristiche e delle modalità di individuazione delle “reti di impresa”, pur anticipandone la logica, che era quella di “ promuovere lo sviluppo del sistema delle imprese attraverso azioni di rete che ne rafforzino le misure organizzative, l’integrazione per filiera, lo scambio e la diffusione delle migliori tecnologie, lo sviluppo di servizi di sostegno e forme di collaborazioni tra realtà produttive anche appartenenti a regioni diverse”. Inoltre, al secondo comma, si forniva una prima definizione della rete di impresa quali “libere aggregazioni di singoli centri produttivi coesi nello sviluppo unitario di politiche industriali, anche al fine di migliorare la presenza nei mercati internazionali”. Tuttavia, il decreto ministeriale non è mai venuto ad esistenza e si è dovuto attendere la l. n. 33/09 per una disciplina giuridica della rete d’impresa. Il legislatore è più volte tornato sul testo di quegli originari commi
rete, hanno formalizzato una nuova modalità di aggregazione tra imprese, le reti di impresa costituiscono un nuovo modello di sviluppo ed un altrettanto nuovo modo di “fare impresa” basato su due aspetti fondamentali: la collaborazione su programmi condivisi dagli aderenti ed il mantenimento dell’autonomia imprenditoriale.
Già a partire dal 2009, anche se la normativa non era stata specificamente dettata per il settore agroalimentare, le imprese di predetto comparto “entrate in rete” sono progressivamente aumentate e addirittura triplicate nel 2014, anno dell’emanazione della l. n. 91, che ha disciplinato tale strumento esclusivamente per il settore agricolo.
Il contratto di rete può essere definito come quel contratto mediante il quale più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere individualmente e collettivamente la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano a collaborare in forme ed ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie attività di impresa185.
In altri termini, la “rete di impresa” è un accordo che consente a due o più imprese, formalmente e giuridicamente distinte, di agire in modo coordinato, mettendo in comune le conoscenze, le attività e le risorse, al fine di migliorare e innovare il funzionamento delle loro operazioni economiche ed organizzative, il tutto nell’ottica di rafforzare ed accrescere la competitività e la performance dell’attività imprenditoriale186.
(v. leggi: 99/2009, 122/2010, 134/2012, 221/2012 e 116/2014), apportando modifiche, riscrivendo alcune previsioni ed ampliandone, in parte, la portata.
184 Che ha ripreso con alcune modifiche i contenuti del decreto legge n. 78/2010 art. 42.
185 In proposito va segnalato che, secondo parte della dottrina, il contratto di rete è una “figura transtipica”, cioè un ibrido tra contratto e organizzazione che corrisponde ai contratti associativi ed a quelli con comunione di scopo (X. XXXXXXX, P. IAMICELI, Contratto di rete. Inizia una nuova stagione di riforme?, in Giustizia Civile - Obbligazioni e Contratti, fasc.7, 2009, pag. 597 e ss.). Diversamente, altra parte della dottrina, sostiene che il contratto di rete non sarebbe una nuova figura contrattuale ma costituirebbe semplicemente una disciplina destinata ad amalgamarsi con altre tipologie (X. XXXXXXX, Contratto di rete e sviluppo dell’impresa, in Giustizia Civile - Obbligazioni e Contratti, fasc. 5, 2009, pag. 390 e ss.). Un altro orientamento, ritiene che la legge
n. 33 del 2009 disciplinerebbe un tipico consorzio con attività esterna e di rilevanza pubblicistica (X. XXXXX, Reti contrattuali tra imprese e trasferimento della conoscenza innovativa, in P. XXXXXXXX, Le reti di imprese e i contratti di rete, pag 177 e ss.).
186 Art. 3 comma 4 ter. della l. 33/09: «Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività su mercato, e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero
Dalla normativa in questione si desumono i due requisiti che debbono essere soddisfatti affinché un soggetto possa essere parte di un contratto di rete, uno di natura sostanziale ed uno di natura formale. In primo luogo, deve trattarsi di un imprenditore187, in secondo luogo, tale qualità deve risultare dal Registro delle Imprese188. La legge si limita a richiedere che i partecipanti siano imprenditori e, di conseguenza, i requisiti formali e sostanziali sono soddisfatti anche a prescindere dalla natura agricola o commerciale189 dell’impresa.
La l. n. 33/09 conteneva già nella definizione i due principali obiettivi di questa tipologia aggregativa, ossia la capacità innovativa e la competitività. Si legge infatti nel testo: «con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni e prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa190».
Risultava chiaro, inoltre, che le imprese potevano avvantaggiarsi della rete costituita preservando la propria autonomia.
Diversamente da fusioni, acquisizioni e joint ventures, nel contratto di rete ogni singola impresa partecipante, come anticipato, non perde la propria autonomia. Le
a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa».
187Ai sensi dell’art. 2082 c.c. è imprenditore colui che esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi. I requisiti fondamentali per essere considerato imprenditore sono: a) l’esercizio di una attività economica; b) la produzione o lo scambio di beni e servizi; c) l’organizzazione della attività economica; d) l’esercizio professionale dell’attività economica stessa.
188La qualità di imprenditore è oggetto di pubblicità: si può quindi desumere dalle risultanze del Registro delle Imprese se un soggetto è titolare di una attività di impresa. Ai soli fini dell’accertamento dei requisiti, per la partecipazione al contratto di rete si ritiene che l’iscrizione presso il Registro delle Imprese costituisca elemento sufficiente. In altri termini, quando un soggetto risulti iscritto nel Registro la sua qualità di imprenditore deve ritenersi attestata.
189 La legge dispone che il contratto di rete è soggetto ad iscrizione nella “sezione del Registro delle Imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante, non distinguendo tra le sezioni. Poiché la principale sezione “speciale” è quella della impresa agricola, già prima dell’emanazione della normativa specifica per il settore, si è ritenuto che la partecipazione ad una rete di impresa da parte di imprenditori agricoli o società semplici agricole fosse espressamente autorizzata dalla legge.
190 Art. 3 comma 4ter.
imprese aderenti al contratto, inoltre, non sono condizionate dall’ambito territoriale né dalla realizzazione di uno scopo definito.
La legge del 2009 non definisce a priori i campi di azione delle reti, ossia le determinate fasi della produzione o della commercializzazione del bene o del servizio prodotto.
La rete nasce come strumento meramente contrattuale191, ma, se le parti contraenti vogliono creare un autonomo soggetto giuridico diverso rispetto alle imprese contraenti, possono far acquisire soggettività giuridica alla rete, in questo caso si parla di “rete soggetto”.
Tra i fattori che potenzialmente possono costituire un punto debole del contratto di rete, come fino ad ora analizzato, figurano due circostanze tra loro connesse: la mancata istituzione di un organo comune e una consequenziale debolezza della leadership all’interno della rete. Infatti, optare di dotarsi di un organo comune è una scelta discrezionale delle imprese che, il più delle volte è stata sottovalutata non comprendendo appieno la complessità degli obiettivi prefissati dalla rete. La nomina di un organo comune potrebbe agevolare le operazioni di coordinamento della rete. Per tali motivi, l’istituzione dell’organo comune è stata trasformata in una scelta obbligata, unitamente alla costituzione del fondo patrimoniale, qualora gli aderenti vogliano costituire una c.d. “rete soggetto”, ossia un ente con soggettività giuridica distinta dai partecipanti.
La costituzione di una rete soggetto può apparire una scelta strategica per coloro che, specialmente nel comparto agroalimentare ma anche in altri settori produttivi, utilizzano lo strumento del contratto di rete, in quanto può agevolarne il coordinamento, una maggiore condivisione degli obiettivi comuni e, allo stesso tempo, può contribuire ad accrescere la sinergia tra i partecipanti.
Il cosiddetto Decreto Sviluppo (“Misure urgenti per la crescita del Paese”), poi convertito nella Legge n. 134 nell’agosto 2012192, ha introdotto alcune modifiche
191 Si parla a tal proposito di “rete contratto”.
192 L. n. 134 del 7 agosto 2012, conversione in legge, con modificazioni, del d. l. n. 83 del 22 giugno 2012, recante misure urgenti per la crescita del Paese (in G.U. n. 187 del 11 agosto 2012
S.O. n. 171).
alla normativa relativa ai contratti di rete, in particolare semplificando le procedure di registrazione e di redazione del contratto stesso, ammettendo la possibilità che esso venga firmato in via digitale o con firma elettronica registrata presso un notaio.
La legge n. 134/12 ha previsto due tipologie di contratti di rete. Il primo senza la costituzione di un fondo patrimoniale comune e di un organo che svolga attività con i terzi (in questo caso il contratto è soggetto all’iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante). Il secondo tipo prevede la costituzione di un fondo patrimoniale e di un organo comune che svolga attività con i terzi. In tal caso la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese della circoscrizione in cui è stabilita la sede.
In altri termini, il legislatore, con la legge in questione, ha introdotto la possibilità che, con il contratto di rete, le parti contraenti possano dar vita ad un autonomo ente giuridico, dotato di soggettività, stabilendo all’art. 3 comma 4 ter e ss. del d.l. n.5/09 che: « se è prevista la costituzione del fondo comune, la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede; con l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede la rete acquista soggettività giuridica».
Pertanto il contratto di rete può dar vita, sulla base della volontà delle parti contraenti, ad un nuovo soggetto giuridico, la c.d. rete soggetto.
I requisiti che una rete deve avere, quando le parti vogliono dotarla di soggettività giuridica sono: a) un fondo patrimoniale comune; b) la denominazione della rete;
c) la sede della rete; d) la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare e le regole di gestione del fondo; e) un organo comune che avrà la rappresentanza della rete.
Il contratto di rete deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente193 da ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti.
193 A norma dell’articolo 25 del Codice dell’Amministrazione Digitale.
Per quanto concerne il fondo patrimoniale comune, questo è costituito dai contributi delle imprese partecipanti e dai beni acquistati con tali contributi194 e, inoltre, un regime di responsabilità patrimoniale limitata al fondo per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete.
L’organo comune è formato da un singolo soggetto in composizione monocratica oppure da una pluralità di membri in composizione collegiale e ha mandato per l’esecuzione del contratto o di una o più parti di esso. Può essere coadiuvato da soggetti esterni alla rete, da singole imprese partecipanti per lo svolgimento di attività specifiche, da specifici gruppi di lavoro (composti ad hoc sia dai partecipanti che da soggetti terzi per l’esecuzione di singoli progetti).
L’organo comune ha anche un potere di rappresentanza per la programmazione negoziata con le Pubbliche Amministrazioni, per gli interventi di garanzia per l’accesso al credito, per lo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione previsti dall’ordinamento, per l’utilizzo di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e marchi di qualità, per ulteriori poteri di rappresentanza.
La rete soggetto, in quanto dotata di un fondo patrimoniale comune e di un organo comune che svolge attività anche commerciale con i terzi, deve, entro due mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale, redigere una situazione patrimoniale, osservando, in quanto compatibili, le disposizioni relative al bilancio di esercizio della società per azioni, da depositare presso l’ufficio del Registro Imprese del luogo ove ha sede la rete195.
Il legislatore ha precisato che l’organo comune ed il fondo patrimoniale sono requisiti fondamentali ma non sufficienti da soli affinché possa essere costituita una “rete soggetto”196. Infatti, perché la rete sia dotata di soggettività giuridica, serve anche l’iscrizione come soggetto giuridico autonomo nella sezione ordinaria del Registro delle Imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede.
194 Ad esso si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sul fondo consortile di cui agli articoli 2614 e 2615 c.c.
195 Si applica, per quanto compatibile, il terzo comma dell'articolo 2615-bis c.c. .
196 “Il contratto di rete che prevede l’organo comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa ai sensi del comma 4-quater ultima parte.”
Un aspetto rilevante è che la nuova normativa sancisce la possibilità per le reti d’imprese di partecipare alle gare d’appalto, innovando il “Codice degli Appalti”. Ulteriori innovazioni sono state una limitazione della responsabilità patrimoniale al fondo comune. Ai contratti di rete la legge concede una serie di vantaggi fiscali, amministrativi e finanziari accettati dall’Unione europea in quanto non contrari al dettato che disciplina gli aiuti di stato. A questi vantaggi si aggiungono le misure specifiche di agevolazione che alcune amministrazioni regionali hanno introdotto197.
2.7.2. Il contratto di rete nel settore agroalimentare
Come si è visto, il contratto di rete rappresenta un esempio di uso della normativa sui contratti per il perseguimento di un obiettivo di politica industriale, ovvero quello del superamento dei limiti derivanti dalla ridotta dimensione delle imprese. Per le sue caratteristiche di semplicità e snellezza, è stato accolto favorevolmente dalle imprese, pur rimanendo possibili aspetti di criticità198.
Ambiti tipici di azione delle reti di imprese sono individuabili nella proiezione sui mercati esteri e nell’innovazione, ambiti in cui la dimensione ridotta può costituire un ostacolo ad intraprendere nuove iniziative.
La rete può quindi essere lo strumento idoneo a superare le “barriere d’ingresso”, condividendo i rischi e aumentando il potere contrattuale delle singole imprese partecipanti e, tale circostanza, acquisisce molta importanza nel settore agroalimentare nel quale “fare rete” si è dimostrato utile alle imprese aderenti per contrastare le fragilità economico-strutturali che caratterizzano il comparto. Hanno fatto da apripista il comparto cerealicolo e quello olivicolo, ma si registrano esempi anche in altri settori.
I vantaggi civilistici, lavorativi e fiscali sono quelli che hanno indotto molti operatori delle diverse filiere ad aggregarsi.
197 Ne costituiscono un esempio la Toscana, la Lombardia, l’Xxxxxx Xxxxxxx e il Piemonte.
198 X. XXXXXX, X. XXXXXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, Network Contracts in the italian agri-food industy: Determinants and spatial patterns, in Economia agro- alimentare, Vol. 21, 2019, pag. 275; X. XXXXX, Il contratto di rete in agricoltura, in Rivista di diritto civile, 2015, vol.1, pag. 181 e ss.
Nel settore agricolo ed agroalimentare il contratto di rete ha avuto diverse specificazioni rispetto alla disciplina generale finora esaminata199 e ha rappresentato una nuova formula di organizzazione per quelle realtà produttive che, pur mantenendo la propria autonomia, possono dare forma ad un nuovo modello imprenditoriale.
La legge n.91 del 2014 ha consentito non solo di mettere insieme terreni e attrezzature e di utilizzare anche assunzioni congiunte con salari ripartiti tra i “soci” firmatari del contratto, ma anche di ridurre il costo dei macchinari e della manodopera grazie alla facoltà concessa di lavorare insieme i prodotti mettendo in comune i fattori di produzione (fondi, mezzi tecnici, know how) per poi dividerli tra le singole imprese.
199 L’art. 45, comma 3, della l. n. 134/2012, che ha convertito il d.l. n. 83/2012, ha disposto: «Al contratto di rete di cui all’art.3, comma 4 ter. del d.l. del 10 febbraio 2009, n.5, convertito dalla l. 9 aprile 2009, n. 33, così come sostituito dall’art. 42, comma 2 – bis, del d.l. del 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge del 30 luglio 2010, n. 122, non si applicano le disposizioni di cui alla legge 3 maggio 1982, n. 203». Ciò, presumibilmente, allo scopo di evitare eventuali profili di incompatibilità tra contratto di rete e la disciplina sui contratti agrari.
L’art. 36, comma 5, l. n. 221/2012, che ha convertito il d.l. 179/2012, prevede: «Ai fini degli adempimenti pubblicitari di cui al comma 4-quater dell’art. 3 del decreto legge 10 febbraio 2009, n.5, convertito, con modificazioni dalla legge 9 aprile 2009, n.33, e successive modifiche e integrazioni, il contratto di rete nel settore agricolo può essere sottoscritto dalle parti con l’assistenza di una o più organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, che hanno partecipato alla redazione finale dell’accordo».
Al riguardo è intervenuto il parere del MISE del 16/07/2013, il quale ha chiarito che ai fini degli adempimenti pubblicitari è prevista una modalità ulteriore rispetto all’atto pubblico, scrittura privata autenticata e all’atto informatico sottoscritto digitalmente, consistente nella predisposizione del contratto di rete in modalità informatica, con sottoscrizione digitale delle parti contraenti e assistenza e sottoscrizione digitale da parte dell’associazione di categoria.
L’art. 9, comma 11, della l. n. 99/2013, che ha convertito il d.l. n. 76/2013, prevede: «All’art. 31 del d.lgs. del 10 settembre 2003, n.276, e successive modificazioni, dopo il comma 3 sono aggiunti i seguenti: 3-bis. Le imprese agricole, ivi comprese quelle costituite in forma cooperativa, […] ovvero riconducibili allo stesso proprietario o a soggetti legati tra loro da un vincolo di parentela o di affinità entro il terzo grado, possono procedere congiuntamente all’assunzione di lavoratori dipendenti per lo svolgimento di prestazioni lavorative presso le relative aziende; 3-ter. L’assunzione congiunta di cui al precedente comma 3-bis può essere effettuata anche da imprese legate da un contratto di rete, quando almeno il 40 per cento di esse sono imprese agricole».
La soglia di percentuale di cui sopra è stata abbassata dal 50% al 40% per effetto dell’entrata in vigore del recente collegato agricolo di cui alla l. n. 154/2016.
Art. 1bis, comma 3, della l. n. 116/2014, di conversione del d.l. n. 91/2014, prevede: «Per le imprese agricole, definite come piccole e medie ai sensi del regolamento (CE) n. 800/2008 della commissione, del 6 agosto 2008, nei contratti di rete, di cui all’art. 3, comma 4 ter. Del d.l. del 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge del 9 aprile 2009, n. 33, e successive modificazioni, formati da imprese agricole singole ed associate, la produzione agricola derivante dall’esercizio in comune delle attività, secondo il programma comune di rete, può essere divisa fra i contraenti in natura con l’attribuzione a ciascuno, a titolo originario, della quota di prodotto convenuta nel contratto di rete».
In tal modo si è consentito agli operatori di poter acquistare macchinari migliori e all’avanguardia e di assumere personale qualificato che una singola impresa, specialmente di piccole dimensioni, da sola non potrebbe permettersi. In altri termini, attraverso lo strumento della rete si realizza una produzione comune, attribuita in capo ad ogni aderente, che potrà essere divisa in natura o ripartita secondo quote stabilite nel contratto.
Il contratto di rete in tale settore, anche se è stipulato da soli imprenditori agricoli, non può essere classificato come un contratto agrario. La differenza sostanziale risiede nel fine ultimo della collaborazione e della cooperazione.
Nel contratto di rete la collaborazione e cooperazione fra le imprese agricole è finalizzata ad accrescere un’attività economica e produttiva già esistente, la quale acquista una diversa configurazione proprio per aver organizzato in modo differente l’attività imprenditoriale200.
Il contratto di rete costituisce una fattispecie negoziale di tipo aggregativo tra le imprese agricole che integrano le rispettive attività realizzando una forma di cooperazione organizzata e stabile.
Per quanto attiene al profilo soggettivo, la normativa precisa che il contratto di rete può essere stipulato da piccole e medie imprese agricole così come oggi definite dall’Allegato I al reg. n. 651/2014201. Ne consegue che, per l’applicazione della disciplina di cui al terzo comma dell’art. 1 bis del d.l. n. 91/2014, il contratto di rete deve essere formato da sole imprese agricole, definite dall’art. 2135 c.c., singole o associate.
Per quanto concerne l’oggetto del contratto, invece, il programma di rete rappresenta il cuore del contratto omonimo, ove sono contenuti i diritti e gli obblighi assunti da ciascun partecipante e precisate le attività che le imprese
200 In altri termini, la causa nel contratto di rete non è nell’impresa agricola, ossia non trova la sua fonte nell’art. 2135 c.c. ma va individuata nel creare delle sinergie tra le imprese che aderiscono allo scopo di semplificare la loro crescita ed il loro accesso al mercato, ossia nell’art. 3, comma 4 ter. della l. n. 33/2009.
201 Regolamento del 17 giugno 2014 che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 Tfue. Questo regolamento ha abrogato il precedente reg. (Ce) n. 800/2008. Secondo il regolamento (Ce) n. 800/2008 sono definite piccole imprese e medie imprese (PMI) quelle che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro e/o il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro.
reciprocamente si impegnano a svolgere per realizzare la produzione derivante dal contributo di ciascuna impresa aderente alla rete.
L’attività esercitata in comune dalle imprese che aderiscono al contratto di rete, come anticipato, giova non solo di una cooperazione tra le imprese ma anche di un’integrazione tra di esse che non comporta la perdita della loro autonomia giuridica, ossia senza creare un nuovo soggetto giuridico o operatore economico. Di conseguenza l’esercizio dell’attività è riferibile ai singoli soci singolarmente ed individualmente intesi.
Per quanto attiene la produzione agricola la norma si riferisce a quella organizzata in forma imprenditoriale, cioè derivante dall’esercizio in comune di attività dirette alla realizzazione di prodotti agricoli individuati, dalle imprese aderenti alla rete, nel relativo contratto.
Il contratto di rete, almeno su carta, sembra uno strumento idoneo a risolvere una delle più rilevanti problematiche del settore agroalimentare, ossia il bilanciamento tra i costi di produzione sempre troppo elevati ed i prezzi sempre troppo bassi da non consentire, nella maggior parte dei casi, una sostenibilità economica.
Le associazioni di categoria sono concordi nell’individuare, tra i più rilevanti, i seguenti benefici economici: primo fra tutti l’incremento delle vendite e del fatturato, la possibile priorità nell’accesso ai fondi dei Piani di Sviluppo Rurali (PSR), il miglioramento dell’accesso ai capitali, la partecipazione alle gare d’appalto. Accanto a questi figurano ulteriori vantaggi non squisitamente economici come la riduzione dei tempi di approvvigionamento, l’incremento dell’innovazione, lo sviluppo delle risorse umane e la facilitazione, come si diceva ad inizio paragrafo, dell’internazionalizzazione dell’impresa agricola. Anche le agevolazioni sotto il profilo fiscale non sono da sottovalutare. I prodotti, come si è visto, assumono un ruolo importante nel processo di ripartizione, quindi, se l’impresa lavora il prodotto acquistato da un altro operatore che è parte del contratto di rete, il reddito del primo resta comunque agrario202.
202 Secondo i dati elaborati da Infocamere a fine 2016 le imprese agricole e agroalimentari italiane che partecipano alle reti sono circa tremila con prevalenza di quelle che svolgono attività di coltivazione ed allevamento. Mentre i contratti di rete con partecipazione di imprese agricole sono 568 e coinvolgono le attività di allevamento, coltivazione, silvicoltura e pesca. Con una media di partecipanti di 4,7 per la coltivazione e l’allevamento, dell’1,8 per la silvicoltura e del 4,2 per l’acquacoltura. Dati reperibile al link: xxx.xxxxxxxxxx.xx.
Tuttavia, l’utilizzo di tale schema contrattuale assume un senso soltanto nell’ipotesi in cui venga costituita un’organizzazione virtuosa, in cui l’interazione tra i vari partners crei un valore maggiore rispetto a quello che i singoli potrebbero produrre da soli203.
Oggi le aziende in rete con soggettività giuridica sono circa quattrocento e riguardano la promozione e la commercializzazione di diversi prodotti e la promozione dell’offerta turistica del territorio204.
Il modello del contratto di rete, tuttavia, trascorsi i primi anni dalla sua regolazione, ha, subìto un freno alla sua diffusione. Le ragioni sono di natura differente. Una prima è da rintracciarsi nel ricorso ad altri strumenti da parte degli operatori agricoli. Una seconda ragione risiede nel fatto che, all’atto pratico, questo modello è stato attuato come un contratto per mettere in relazione tra loro attori appartenenti alla stessa circoscrizione territoriale, quando in realtà l’elemento territoriale non era uno di quelli caratterizzanti la legge. Una terza è, invece concernente taluni interventi normativi che ne hanno depotenzializzato l’azione205.
Tuttavia, come si diceva all’inizio, fa riflettere la circostanza secondo la quale questo modello si sia sviluppato nel contesto nazionale e non in altri territori europei dove i medesimi risultati o le stesse finalità perseguite da tale strumento sono stati raggiunti, ad esempio, attraverso l’utilizzo dello strumento dell’interprofessione adeguatamente valorizzata.
203 Ciò appare rilevante quando i soggetti partecipanti si pongono obiettivi legati al potenziamento della capacità di offerta, allo sviluppo di percorsi di internazionalizzazione, di innovazione e di valorizzazione del territorio.
204 Alcuni esempi sull’evoluzione del contratto di rete nel centro Italia in: X. XXXXXXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, The network contract in the agrifood industry: an exploratory study on collaborative drivers in Central Italy, in Economia agro-alimentare, vol. 21, 2019, pag.335.
205 Di questa opinione: X. XXXXX, Il contratto di rete tra imprenditori agricoli: un passo avanti e due indietro? prime osservazioni sul parere dell’agenzia delle entrate sulla divisione in natura dei prodotti tra imprese agricole aderenti ad un contratto di rete, in Diritto Agroalimentare, vol. 3, 2017, pag. 527 e ss. L’autore dopo aver esaminato le specificità normative previste per i contratti di rete in cui partecipino imprese agricole, si sofferma sul contenuto di un parere giuridico adottato dall’Agenzia delle Entrate in ordine a quanto disposto dal d.l. 24 giugno 2014, n. 91. Per la sua concreta applicabilità il parere ritiene necessari requisiti ulteriori, rispetto a quelli espressamente delineati dal legislatore, con, come afferma l’autore, un conseguente depotenziamento della previsione normativa volta a favorire l’aggregazione in rete delle imprese agricole.
2.7.3. Un esempio virtuoso di contratto di rete: il caso Xxxxxxxxxx
Discorrere degli aspetti pratici di un contratto di rete può sicuramente essere più semplice grazie all’analisi di un caso pratico che è stato analizzato interloquendo con gli imprenditori che hanno risposto a un questionario inviato tra il primo e il secondo anno della ricerca ad alcune aziende del settore agroalimentare, tra quelle iscritte alle Camere di commercio delle diverse regioni. Le ragioni che hanno qui portato ad analizzare l’esperienza di Xxxxxxxxxx sono molteplici e di diversa natura. In primo luogo la portata innovativa del progetto nato dalla mente di due giovani che, anche se con background differenti, uno già imprenditore agricolo, ma in un altro settore, e l’altro geologo, hanno deciso di dedicarsi all’agricoltura. In secondo luogo, il contesto territoriale in cui il progetto stesso è stato attuato, ovvero la piana di Sibari in Calabria, zona spesso salita, purtroppo, agli onor di cronaca a causa degli eventi collegati alla malavita organizzata che espande i propri effetti anche nel settore agroalimentare. Infine, non meno importante, la crisi che, oggigiorno, caratterizza il settore agrumicolo italiano e in particolare quella che ha colpito il comparto delle clementine206. La Clementime s.r.l.207 ha trasformato un prodotto che è la xxxxxxxxxx Igp di Calabria in un servizio occupandosi di distribuire il prodotto attraverso delle strategie assolutamente innovative. L’idea è stata quella di trasformare il frutto in uno snack da stoccare e vendere nei distributori automatici, rendendo al contempo il suo trasporto e la sua permanenza nei distributori agevole208. L’idea, che nel 2016 ha vinto gli Xxxxx Xxxxx Xxxxxxxxxx nella categoria “fare rete”, è stata realizzata grazie al coinvolgimento di diversi soggetti: produttori di xxxxxxxxxx, magazzini di lavorazione, corrieri (trasportatori sia trasporti refrigerati che non) produttori di carta e cartone, designer e sviluppatori di applicazioni digitali, tutti operanti all’interno della regione Calabria. Attualmente al magazzino di lavorazione conferiscono ottanta soci tra i quali rientrano imprese agricole di diverse
206 La stagione di raccolta del 2019 è stata particolarmente negativa per le clementine italiane e non ha risparmiato nessuna delle principali aree produttive: la Calabria, la Puglia e la Basilicata.
207 Si ringraziano i due fondatori della società, Xxxxxxxxx Xxxxx e Xxxxxxx Xxxxxx per il tempo utilizzato nel compilare il questionario inviato e in particolar modo Xxxxxxx Xxxxxx per essersi reso ulteriormente disponibile telefonicamente a fornire successive informazioni.
208 La confezione contiene 2 o 3 clementine in uno scatolino adatto alla refrigerazione e quindi perfettamente adattabile ai distributori automatici.
dimensioni e dopo aver immesso il prodotto sul mercato nazionale si è cercato uno sbocco anche sul mercato francese e su quello tedesco.
Tuttavia, nella sua fase iniziale, il progetto si è scontrato con diversi ostacoli quali la disgregazione e la frammentazione del mercato e dell’offerta dei prodotti agrumicoli sul territorio regionale, lo scetticismo iniziale dei singoli produttori e dei magazzini di stoccaggio restii a collaborare tra loro, le difficoltà logistiche riguardanti i trasporti209 e le telecomunicazioni in un contesto territoriale non adeguatamente servito. Xxxxxxxxxx ha fatto dei rapporti di rete la chiave del suo successo e rappresenta, oggi, una best practice e un’importante realtà agricola per la piana di Sibari210, tanto da pensare di ingrandire ulteriormente l’impresa offrendo altri prodotti confezionati per i distributori automatici211. Attualmente non è stata costituita una “rete soggetto”. Nonostante ciò rientri nei progetti futuri dell’azienda essa si è scontrata con un’altra realtà presente sul territorio che è quella del Consorzio di tutela della Xxxxxxxxxx Xxx con la quale, purtroppo, alla luce di quanto affermato dai due giovani imprenditori, non si rivela tuttora semplice costruire un dialogo proficuo.
209 Il problema è stato principalmente quello di fornire un celere servizio di trasporto, essendo il prodotto frutta fresca. I tempi per la consegna oscillavano dai tre ai quattro giorni per far giungere la merce a Milano e dai due ai tre giorni per consegnarla a Roma.
210 Sulla base dell’esperienza di Xxxxxxxxxx, altre aziende agricole locali hanno iniziato ad offrire prodotti a base di clementine Igp. È il caso di Clemì che produce una bibita gassata a base di xxxxxxxxxx. Ancor prima che fosse d’obbligo, questa azienda inseriva già il 20% di succo all'interno, spiazzando la concorrenza delle bibite che si fermava al 12%. L’azienda si rifornisce in tutta la Piana, prelevano tutte le pezzature che per dimensione, nonostante l’elevata qualità, il mercato rifiuta. Nel 2018 l’azienda è risultata anch’essa vincitrice dell’Xxxxx Xxxxx Coldiretti nella categoria “creatività”.
211 Attualmente non è stata costituita una “rete soggetto”. Nonostante rientri nei progetti futuri dell’azienda essa si scontra con un’altra realtà presente sul territorio che è quella del Consorzio di tutela della Xxxxxxxxxx Xxx con la quale, purtroppo non si riesce ad avere un dialogo proficuo.
Capitolo terzo
La contrattualizzazione nel settore agroalimentare nel quadro normativo e giurisprudenziale europeo
SOMMARIO: 3.1. I principi alla base dell’applicazione delle regole di concorrenza all’agricoltura nell’esperienza europea 3.2. Le novità del primo regolamento sulla Ocm unica del 2007 3.3. Gli interventi nazionali tra formalismo contrattuale e sviluppo dell’associazionismo 3.3.1 La contrattualizzazione per la fornitura dei prodotti agroalimentari nell’esperienza francese dalla Loi 874-2010 alla Loi EGALIM del 2018 3.3.2 La contrattualizzazione per la fornitura dei prodotti agroalimentari nell’esperienza italiana: l’art. 62 del d.l. n. 1 del 2012 3.4. Il mutamento della disciplina europea dal “Pacchetto latte” del 2012 al nuovo regolamento sull’Ocm del 2013
3.5. Il ruolo della giurisprudenza nel disciplinare il rapporto tra pac e concorrenza: il caso Endives 3.5.1. Le origini del contenzioso nell’ordinamento giuridico francese 3.5.2. La decisione della Corte di giustizia europea 3.6. La riforma medio tempore della Pac: il regolamento c.d. “Omnibus” 3.6.1. Segue. Uno sguardo alle singole disposizioni 3.7. La direttiva europea sulle pratiche commerciali sleali lungo la filiera agroalimentare 3.7.1 Il contenuto della dir. n. 2019/633 e le modifiche apportate dal Parlamento al progetto della Commissione 3.7.2. La direttiva nel contesto giuridico italiano: verso un recepimento nell’ordinamento nazionale 3.8. Il futuro per la Pac tra innovazione tecnologica e giuridica. Alcune considerazioni finali .
Il passaggio da una politica agricola amministrata ad una di mercato è stato accompagnato da tensioni tra le istituzioni europee che si sono inevitabilmente riversate negli interventi legislativi a partire dal 2007, quando, già nel reg. n. 1234/2007, che ha istituito un’unica organizzazione comune di mercato per i prodotti agricoli, si intravedeva, nelle disposizioni che lo componevano, la volontà di rendere meno incisivo il primato della politica agricola comune sulla disciplina della concorrenza, sì da erodere l’eccezionalità da sempre riconosciuta al settore agricolo e prospettando le peculiari disposizioni previste come delle mere concessioni in deroga alla disciplina generale della concorrenza.
Questo ribaltamento di prospettiva, al quale si è accennato nel primo capitolo introduttivo, a favore di un’applicazione generale delle regole di concorrenza alla politica agricola comune è stato poi confermato nel successivo reg. n. 1308/2013 che ha sostituito il precedente e, in parte, risulta presente sia nelle modifiche a questo apportate dalla riforma del medio periodo della Pac che nella recente direttiva sulle pratiche commerciali sleali lungo la filiera agroalimentare. Infatti, relativamente a questi interventi legislativi sussistono, ad oggi, dubbi
interpretativi circa la formulazione ambigua di talune disposizioni che si prestano a letture tra loro divergenti. Non c’è da stupirsi di ciò se si pensa che questi interventi, in particolare il regolamento n. 2017/2393 c.d. Omnibus, sono frutto degli orientamenti contrapposti abbracciati dal Parlamento e dalla Commissione in merito alle strategie da seguire e alle decisioni da prendere con riguardo alla Pac da quando la politica protezionistica è stata abbandonata dall’Unione.
Da un lato, il Parlamento si è fatto portavoce degli interessi dei produttori agricoli che, non più assistiti dagli strumenti di sostegno ai prezzi, per far fronte alla loro debolezza nei rapporti con gli altri attori della filiera produttiva, hanno riscoperto nell’associazionismo un valido meccanismo che potesse accrescere il loro potere e che potesse aiutarli nell’obiettivo di concentrare e stabilizzare l’offerta della produzione primaria proprio in virtù di quel trattamento specifico e di favore tradizionalmente riconosciuto.
Dall’altro la Commissione e le Autorità antitrust nazionali hanno, invece, posto l’attenzione sulla preminenza della disciplina della concorrenza rispetto alla politica agricola europea. In sostanza, si è ritenuto che anche per il comparto agricolo e agroalimentare, nell’ottica del mercato unico, sia da perseguire l’obiettivo di una tutela della libera concorrenza che non possa essere messa in pericolo dalle azioni poste in essere in seno all’associazionismo, sia di tipo orizzontale che verticale, ossia attraverso la cooperazione che può avvenire sia tra i singoli produttori che tra i diversi attori della filiera come accade per gli organismi interprofessionali.
A ciò si è aggiunto, poi, l’intervento normativo dei singoli Stati i quali hanno posto l’attenzione sui contratti del settore agroalimentare aventi ad oggetto la fornitura delle materie prime. Con delle legislazioni simili che riscontriamo sia nell’ordinamento francese che in quello italiano, si è dato vita ad un nuovo formalismo contrattuale212 concepito dal legislatore come una possibile risposta allo squilibrio a sfavore dei produttori esistente nei rapporti negoziali intrattenuti lungo la food chain.
212 Si parla a tal proposito di neoformalismo contrattuale. In tema: C. DEL CONT, 2017, op. cit. . X. XXXXXXXXXX, Profili giuridici del sistema agro-alimentare tra ascesa e crisi della globalizzazione, Bari, 2011, op. cit., pag. 13 e ss.; ID., Contractual Relationships and Inter-firm Co-operation in the Agricultural Sector, in, Rivista di Diritto Alimentare, 2011, fasc.4, pag. 1 e ss..
Da questo differente approccio sono scaturite le problematiche e le perplessità che tuttora si rintracciano nelle normative emanate a diversi livelli che saranno esaminate nel presente capitolo. L’approfondimento degli ultimi interventi legislativi a livello europeo, nonché delle discipline nazionali in merito alla contrattualizzazione avvenute in Francia e in Italia a partire dal 2010, saranno utili per comprendere le diverse anime che compongono la regolazione dei rapporti contrattuali lungo la filiera agroalimentare e la confusione che può generare dalla lettura di disposizioni ideate per “servire due padroni”. Confusione alla quale si è aggiunto anche l’operato della Corte di giustizia europea che ha dovuto pronunciarsi nel novembre del 2017 su nodali questioni concernenti i compiti delle organizzazioni di produttori e delle loro associazioni in merito alla controversia C- 671/15 concernente la filiera francese dell’indivia.
L’associazionismo in agricoltura è stato, almeno formalmente, negli anni fortemente sostenuto a livello legislativo europeo con lo scopo di controbilanciare la frammentazione e il gap di potere tra i produttori agricoli e i loro acquirenti quali le industrie e la grande distribuzione economicamente più forti e maggiormente concentrati. Tuttavia, gli strumenti associazionistici, ad oggi, non appaiono sempre in grado di assolvere gli obiettivi per i quali sono stati pensati e ciò a causa anche delle interpretazioni restrittive che, nel corso degli anni, si sono diffuse in ambito europeo in merito al rapporto tra regole di concorrenza e politica agricola.
Negli ultimi anni si è sentita forte l’esigenza di rafforzare lo strumento delle organizzazioni di produttori promuovendo la contrattualizzazione delle relazioni commerciali e combattendo le pratiche commerciali sleali. Tale necessità ha iniziato a rafforzarsi a partire dal 2012 con l’adozione del reg. n. 261/2012 che ha consentito alle Op del comparto lattiero di attuare la contrattazione collettiva a favore degli aderenti anche con riguardo ai prezzi. Alla luce di tali premesse si comprende perché la tematica concernente l’applicabilità degli articoli 101 e 102 Tfue agli accordi e alle decisioni delle organizzazioni in agricoltura è tornata ad essere centrale. Infatti, proprio nel momento in cui c’è stato l’abbandono dei supporti ai prezzi in agricoltura, la debolezza dei produttori agricoli è accresciuta e gli strumenti associazionistici hanno costituito una potenziale risposta alla
soluzione del problema e per permettere ai produttori di porre in essere una concentrazione dell’offerta che si potesse contrapporre ad una già esistente concentrazione della domanda della controparte industriale.
Se nel primo capitolo si è affrontato in linee di massima il rapporto che, sin dal Trattato di Roma, intercorre tra la politica agricola europea e le regole di concorrenza, in questo capitolo si analizzerà l’evoluzione di tale rapporto soffermandosi sulle novità normative e giurisprudenziali intervenute principalmente tra il 2017 e il primo semestre del 2019, nonché sul coordinamento con la normativa nazionale.
3.2. Le novità del primo regolamento sulla Ocm unica del 2007
Con il regolamento n. 1234/2007 relativo all’organizzazione comune dei mercati agricoli il legislatore europeo ha posto in essere una semplificazione del quadro disciplinare sostituendo i pacchetti normativi adottati in precedenza, fissando delle regole trasversalmente applicabili a tutti prodotti agroalimentari, con particolare riguardo alla loro commercializzazione, e, al contempo, smantellando il sistema di intervento sui prezzi che ha caratterizzato il settore in passato.
Tanto i regolamenti di base attuativi della Pac nei vari comparti, quanto la disciplina in materia di deroga all’applicazione delle regole di concorrenza nel settore agricolo, precedentemente contenuta nel già richiamato reg. n. 26 del 1962 e nel successivo reg. n. 1184 del 2006, sono stati inseriti in un’unica normativa che non è stata esente dalle critiche degli esperti della materia che vi hanno intravisto un capovolgimento nel rapporto tra politica agricola e normativa antitrust a scapito della prima sulla seconda213.
Nello specifico, alcuni dubbi interpretativi sono sorti in relazione all’art. 175 che apriva la parte IV del reg. n. 1234 del 2007. In questa disposizione il legislatore si è premurato di delimitare il campo operativo delle norme riguardanti la
213 Su tutti: X. XXXXXXXXXX, Agricoltura e concorrenza o concorrenza e agricoltura? Gli artt. 169, 170 e 171 del Reg. n. 1308/2013 e il progetto di guidelines presentato dalla Commissione, in Rivista di Diritto Agrario, op. cit., 2015, pag. 11 e ss. L’autore, prima di analizzare le disposizioni del regolamento del 2013, svolge delle riflessioni sulla disciplina precedente del 2007.
concorrenza214 per poi, sciogliendo la riserva contenuta nell’art.42 del Tfue, prevedere l’applicazione anche ai prodotti agricoli delle regole di concorrenza relative agli accordi, alle decisioni e alle pratiche di cui all’articolo 101 Tfue, nonché all’abuso di posizione dominante di cui all’art.102 Tfue, con la sola eccezione delle deroghe contenute nel successivo art.176, riprendendo il contenuto dell’art.1 del reg. n.26 del 1962 e del reg. 1184 del 2006.
Il punto di riferimento fondamentale delle deroghe previste dall’art. 176 restava sempre quello rappresentato dagli obiettivi della Pac ex art.39 Tfue (all’epoca art. 33). Secondo questa eccezione, il divieto di cui all’art. 101 Tfue non si applicava
«agli accordi, alle decisioni e alle pratiche tra produttori, di associazioni di produttori o associazioni di dette associazioni appartenenti ad un unico Stato membro nella misura in cui, senza che ne derivi l’obbligo di praticare prezzi identici, riguardano la produzione o la vendita di prodotti agricoli o l’utilizzazione di impianti comuni per il deposito, la manipolazione o la trasformazione di prodotti agricoli, a meno che la Commissione non accerti che in tal modo la concorrenza è eliminata o che sono compromessi gli obiettivi di cui all’articolo 33 del Trattato».
La disciplina europea si rivelava ancora una volta restrittiva, in quanto continuava a ribadire che l’accordo intervenuto tra i produttori agricoli, e vincolante per loro, non poteva in alcun modo riguardare l’osservanza di un prezzo identico, nonostante l’abbandono della politica dei prezzi fissati a livello centrale215.
214 Art. 175: «Salvo disposizione contraria del presente regolamento, gli articoli da 81 a 86 del trattato e le relative modalità di applicazione si applicano, fatti salvi gli articoli 176 e 177 del presente regolamento, a tutti gli accordi, decisioni e pratiche di cui agli articoli 81, paragrafo 1, e 82 del trattato che si riferiscono alla produzione o al commercio dei prodotti disciplinati da presente regolamento». La formula utilizzata, caratterizzata da una certa ambiguità, è stata poi rimossa nella disposizione di cui all’art. 206 del reg. n. 1308/2013 che ha abrogato il regolamento in esame.
215 A tal proposito: X. XXXXXXXXXX, Profili giuridici del sistema agro-alimentare e agro- industriale. Soggetti e concorrenza, op. cit., 2018. L’autore osserva che l’esplicita previsione del limite alla deroga circa il rispetto della disciplina antitrust alla sola ipotesi di fissazione di un “prezzo identico” vincolante per i produttori aderenti all’accordo segnala la non coincidenza di siffatta ipotesi con il divieto di cui parla l’art.101 Tfue che accomuna le determinazioni incidenti sui prezzi siano esse dirette o indirette. L’autore ritiene che il riferimento del divieto a “praticare prezzi identici” evidenzia che la norma abbia inteso riferirsi alla sola ipotesi in cui i produttori agricoli concordino tra loro, ed anche all’interno di una associazione, il prezzo identico che ciascuno di essi, come produttore agricolo indipendente, si impegna a rispettare nel vendere a terzi la propria produzione. Resta fuori dal divieto del price fixing, secondo l’autore, l’ipotesi in cui i produttori, per effetto del vincolo associativo, sono tenuti per statuto ad affidare all’ associazione il compito di vendere l’intera loro produzione per la durata del rapporto associativo. Ciò significa
Tuttavia, il divieto di fissazione di prezzi identici non valeva, già nel reg. n. 1234/2007, per le organizzazioni dei produttori che concentravano l’offerta dei propri aderenti, provvedevano direttamente alla vendita della produzione loro conferita e dunque decidevano il prezzo di vendita. Ciò era in linea con il modello disciplinare ampiamente collaudato dalla stessa normativa europea a proposito delle organizzazioni ortofrutticole già presente sia nel reg. n. 2200 del 1996 (prima della sua successiva ricollocazione nel reg. n. 1234/2007) sia nel reg. n. 543 del 2011 attuativo della normativa in materia di organizzazioni ortofrutticole. Il reg. n. 1234 del 2007 ha, inoltre, introdotto nella Pac la previsione di una disciplina destinata alle organizzazioni dei produttori agricoli sulla base di una distinzione per la quale, in alcuni comparti, gli Stati sono tenuti al riconoscimento delle organizzazioni, ove sia stata avanzata una richiesta in tal senso, laddove in altri settori essi sono liberi di decidere la loro eventuale istituzione, nel rispetto pur sempre del quadro normativo fissato nel medesimo regolamento.
Questa decisione, a ben vedere, poteva legittimamente far ritenere che, con il venir meno dell’intervento sui prezzi agricoli, analogamente a quanto emerso nell’ordinamento nord-americano, anche in Europa la stabilizzazione dei mercati e dei prezzi potesse essere affidata alle iniziative degli stessi produttori agricoli chiamati con le loro organizzazioni a razionalizzare le relazioni di filiera.
Nel successivo art. 122, il regolamento in esame ha, poi, preso a modello generale per le Op la disciplina che nel corso del tempo si era andata strutturando a proposito delle organizzazioni ortofrutticole la cui regolamentazione era rimasta però estranea al testo originario del regolamento stesso.
A fronte delle comprensibili pressioni emerse nel Parlamento europeo a che venisse a rafforzarsi la tutela dei produttori agricoli per contrastare la caduta dei prezzi agricoli per i produttori di base e la riscontrata distanza tra tali prezzi e quelli finali incidenti sui consumatori, la Commissione ha preferito accogliere misure peculiari che, se da un lato sembrano muovere a favore dei produttori, dall’altro
che resta sempre necessario distinguere tra le strutture associative composte dai produttori agricoli che svolgono soltanto una funzione normativa ed il caso in cui la struttura associativa svolga una funzione operativa relativa alla commercializzazione della produzione. In questo secondo caso, la struttura con funzione operativa è direttamente coinvolta nell’attività di vendita della produzione agricola dei suoi aderenti, agendo nel loro interesse, sì da realizzare in concreto la concentrazione dell’offerta.
risultano come ulteriori specifiche deroghe alla disciplina antitrust da affiancare alle deroghe generali di cui al già richiamato art.176 del reg. n.1234 del 2007.
Il reg. n. 1234/2007 ha rappresentato un primo passo nella direzione individuata dalla Commissione di legare fondamentalmente alla tutela primaria della libera concorrenza l’attuazione e la conservazione del mercato unico interno anche nel settore agricolo una volta abbandonata sostanzialmente la politica dei prezzi. Assume, inoltre, una notevole importanza il suo veloce e parziale esame in quanto, era la normativa vigente all’epoca del verificarsi dei fatti ad oggetto della sentenza della Corte di giustizia europea nella controversia C-671/15, di cui si discorrerà nel presente capitolo.
3.3. Gli interventi nazionali tra formalismo contrattuale e sviluppo dell’associazionismo
Prima di analizzare gli ultimi mutamenti intervenuti a livello centrale europeo concernenti la contrattazione in agricoltura e il rapporto tra le regole previste per la Pac e quelle di concorrenza, occorre esaminare velocemente le scelte legislative che i singoli legislatori nazionali nel corso degli anni hanno attuato con l’obiettivo di tutelare il settore agricolo primario e conferire maggiore forza economica e negoziale ai produttori. Questo dato è particolarmente rilevante se si pensa che, proprio dalle singole esperienze nazionali, ha attinto il legislatore europeo per emanare una disciplina comune.
Tra gli Stati membri, quello che vanta una normativa più longeva riguardante i contratti di fornitura dei prodotti in agricoltura è sicuramente la Francia che, sin dal 1964216 si è dotata di una legislazione alla quale successivamente si sono ispirati anche gli altri Stati. Il riferimento è alla Loi 64-678 che ha definito i principi e le modalità del regime contrattuale in agricoltura, basata su un modello incentrato sul formalismo negoziale. Ciò non stupisce se si pensa che, già dagli
216 Loi 64-678 du 6 juillet 1964 tendant a definir les principes et les modalites du regime contractuel en agriculture (JORF du 8 juillet 1964). Già citata anche precedentemente. Sul tema e per una accurata analisi comparata sui contratti di integrazione verticale nei diversi Stati europei:
F.P. TRAISCI, I contratti di integrazione verticale in agricoltura in Francia,Germania e Italia, in Rivista di diritto agrario, 1992, pag. 562 e ss. L’autore si esprime in riguardo alla valorizzazione della duttilità della legge francese.
anni trenta del secolo scorso, il legislatore aveva avvertito l’importanza pratica di taluni strumenti per incentivare l’associazionismo in agricoltura quali le Oi e le Op e successivamente, proprio negli anni sessanta, avvertì allo stesso modo di regolare uno specifico modello, quale il contratto di integrazione verticale, principale oggetto della legge in esame, concepito come una particolare categoria di contratto che avesse bisogno di un’attenzione specifica in un periodo in cui si stava sviluppando sul territorio nazionale217.
Tuttavia, i nostri cugini d’Oltralpe non sono stati gli unici a dotarsi di una normativa ad hoc per i contratti in agricoltura. Alcuni esempi cronologicamente più vicini ci sono stati dati dall’esperienza giuridica belga e da quella spagnola che, seppur ispirate dal neoformalismo di matrice francese, hanno attuato con modalità parzialmente diverse la disciplina adattandola alle esigenze territoriali ed economiche. Mentre in Francia era stata avvertita la necessità di formalizzare giuridicamente il fenomeno per la pluralità dei settori, sia in Belgio che in Spagna le normative hanno riguardato singoli comparti produttivi o hanno disciplinato singole e specifiche fasi della produzione218.
La normativa belga219, intervenuta nel 1976, è stata formulata per disciplinare un fenomeno già radicato e sviluppato sul territorio nell’ambito della produzione animale e, a tale scopo, ha tenuto conto di regolare gli aspetti specifici e pratici per fornire ai produttori una tutela più ampia e concreta che andasse oltre il mero formalismo negoziale. In particolare, questa normativa si distingueva da quella francese nella parte in cui prevedeva che in mancanza della forma scritta del
217 Per un’analisi approfondita sul tema: X. XXXXXXXXX, Les contrats d’intégration, in revue du droit rural, 1980, pag. 436 ss.; X. XXXXXXXXXX, Profili giuridici del sistema agro-alimentare e agro-industriale. I rapporti contrattuali nella filiera agroalimentare, op.cit., 2018, pag. 60 e ss.
218 Ne costituisce un esempio la normativa catalana sull’ingrasso del bestiame contenuta nella legge n. 24 del 28 novembre 1984 sui contratti di integrazione (de contratos de integración, Diario Xxxxxxx xx xx Xxxxxxxxxxx xx Xxxxxxxx, xxxxxx 000)) modificata nel 2005 dalla legge n. 2 del 4 aprile (Ley 0/0000, xx 0 xx xxxxx, xx contratos de integración. Comunidad Autónoma de Cataluña
«DOGC» núm. 0000, xx 00 xx xxxxx xx 2005 «BOE» xxx. 000, xx 00 xx xxxxx xx 2005).
X. XXXXXX XXXX, El derecho civil catalán: presente y futuro, in Revista Jurídica de Navarra, Xxxxx-Diciembre 2008, n. 46, pag. 69 ss.; J. A. XXXXXXX XXXXXXXXX, La exploitaciòn agraria. Aspectos administrativos, civiles, fiscales y laborales, Valencia, 2008, pag. 675 ss.; J. M. XXXXXX, La nova regulació dels contractes d'integració a la Lei 2/2005, de 4 d'abril, in Revista jurídica de Catalunya, vol. 105, n. 3, 2006, pag. 757 e ss.
219 Loi du 1er avril 1976 relative à l'intégration verticale dans le secteur de la production animale
(M.B. du 1er mai 1976, Err. 29 octobre 1976).