SUL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI
SENATO DELLA REPUBBLICA COMMISSIONE 8a
Indagine conoscitiva sull’applicazione del codice dei contratti pubblici Audizione del 12 marzo 2019
OSSERVAZIONI DELL’AISCAT
SUL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI
(Decreto Legislativo. 50/2016)
Questo documento vuole essere un contributo fornito dal settore delle autostrade a pedaggio in concessione sul tema dell’operatività ed applicazione – a più di due anni dalla sua adozione – del Codice dei Contratti Pubblici (D. lgs. n. 50 del 2016), nell’ambito della specifica indagine conoscitiva avviata dalla 8ª Commissione del Senato.
L’Aiscat ha inizialmente condiviso e gli obiettivi della riforma del Codice contenuti nella delega legislativa, finalizzati, da un lato, a rendere più efficiente e trasparente il mercato della domanda pubblica, dall’altro, a contrastare in modo efficace fenomeni corruttivi.
A due anni dall’adozione del provvedimento, nonostante anche l’intervento effettuato con il “correttivo” del maggio 2017 e gli sforzi interpretativi e chiarificatori dell’ANAC, restano numerose criticità di fondo nonché aspetti lacunosi che vanno chiariti, al fine di recuperare funzionalità dell’intero sistema dei contratti pubblici e di superare le inevitabili incertezze applicative a carico delle stazioni appaltanti e degli operatori economici.
Appare quindi indispensabile ipotizzare un profondo ripensamento del Codice, attraverso il superamento del sistema della soft law (che non ha dato i risultati positivi auspicati) e la predisposizione di un articolato più semplice e di un Regolamento attuativo dotato di forza cogente, nel quale recepire i provvedimenti di attuazione emessi fino ad oggi e completare l’attuazione delle deleghe in esso previste.
La prima richiesta degli operatori è quella di avere un quadro normativo certo e vincolante. La “certezza del diritto” è infatti il presupposto fondamentale per la riduzione dei contenziosi e la massima partecipazione alle gare e per la valorizzazione della competitività delle imprese. Uno dei limiti maggiori riscontrati dagli operatori in questi ultimi due anni è stato l’avere come riferimento un quadro normativo spesso “incerto” e “non vincolante”:
- incerto, perché nonostante l’apprezzabile sforzo dell’ANAC di intervenire con le Linee Guida su molti temi importanti, il quadro è ancora lacunoso: degli oltre 60 provvedimenti previsti, ne sono stati adottati e pubblicati soltanto poco più di venti, e mancano diversi provvedimenti riferiti ad aspetti estremamente rilevanti;
- non vincolante, in quanto le Linee Guida dell’ANAC, per loro natura, sono provvedimenti non del tutto vincolanti, che quindi non risolvono un aspetto fondamentale, ovvero quello di garantire comportamenti uniformi tra le diverse stazioni appaltanti (i provvedimenti previsti nel Codice portano infatti ad una forte
disomogeneità delle fonti cui corrisponde un’inevitabile diversità sul piano della gerarchia e della tipicità delle stesse) e le connesse responsabilità.
In questo contesto, l’ANAC dovrebbe tornare a svolgere un ruolo di vigilanza e di monitoraggio del settore, tipico di un’Autorità indipendente, evitando sovrapposizioni di competenze con il sistema legislativo e quello giurisdizionale.
D’altro canto, anche in un’eventuale ottica indirizzata al ripensamento dell’impianto normativo, considerato che il relativo iter comporterebbe inevitabilmente una tempistica almeno di medio periodo, appare comunque necessario individuare sin d’ora un pacchetto di misure “urgenti”, mirato a correggere specifici e significativi punti del Codice, da inserire in un “provvedimento-ponte” da applicare, cioè, fino a quando il nuovo quadro “a regime” non si sarà completato. A tal fine, nel prosieguo di questo documento sono stati illustrati i principali aspetti di criticità ad oggi rilevati dagli operatori del settore autostradale in concessione nell’applicazione della normativa, sui quali si ritiene sarebbe opportuno anche un intervento a breve termine nell’attesa di una loro inclusione in un auspicata rivisitazione generale dell’impianto codicistico.
AFFIDAMENTI CONTRATTI DEI CONCESSIONARI
E’ noto come, in base alla normativa vigente, i soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture in essere, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell'Unione europea, sono obbligati ad affidare, una quota significativa (pari all’80%, limitato a 60% per le concessioni autostradali) di tutti i contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni. La restante parte può essere realizzata da società in house per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati.
Tale disciplina mal si sposa con l’attività di manutenzione svolta dai concessionari sulle opere da essi gestite, attività che costituisce un fattore nevralgico per la funzionalità delle infrastrutture autostradali, rappresenta il cuore dei contratti di concessione ed è fonte di diretta responsabilità degli operatori autostradali nei confronti degli utenti nonché dell’ente
concedente (anche attraverso la previsione contrattuale di specifiche penali). Si tratta peraltro di un’attività da effettuarsi in costanza di traffico – che richiede interventi non solo immediati, ma anche coordinati e funzionali all’operatività dell’infrastruttura, alla gestione del traffico e alla sicurezza della circolazione – sulla quale il concessionario deve poter mantenere un controllo ed una gestione diretta.
Tale considerazione risulta amplificata dal fatto che l’obbligo di affidamento a terzi, previsto dalla norma attuale, tramite procedure ad evidenza della quota dell’80% (60% per i concessionari autostradali), venga riferito a tutti i contratti, ovvero non soltanto ai lavori ma anche ai servizi e forniture, da sempre considerati sia dal diritto europeo che da quello
nazionale rientranti nell’ordinaria e necessaria “flessibilità” del concessionario di lavori e non soggetti ad alcuna particolare vincolo procedurale. In tal senso, non vi è dubbio che la disciplina di cui all’art. 177 comma 1 – oltre a non trovare riscontro alcuno nella Direttiva europea in materia di concessioni, producendo così in capo agli operatori economici e alle imprese italiane un grave svantaggio economico rispetto alle realtà europee – ingessa in maniera del tutto anomala l’attività tipica del concessionario ed è destinata a ripercuotersi negativamente sull’efficienza, sui tempi e sui costi delle performance richieste.
A tal proposito si propone di eliminare l’indicazione riferita alla quota per escludere dal perimetro di applicazione dell’art. 177 tutti i contratti di manutenzione e i contratti di servizi e forniture, così da poter garantire speditezza, efficacia, controllo diretto del concessionario su attività centrali per l’esecuzione del proprio contratto con lo Stato e salvaguardare organizzazioni altamente qualificate e specializzate delle cui competenze si avvalgono le concessionarie con benefici tecnici e di contenimento dei tempi di progettazione e realizzazione.
Inoltre, altro aspetto su cui sembrerebbe necessario intervenire è quello di precisare
chiaramente l’ambito di applicazione temporale della disciplina di cui sopra, soprattutto per quanto concerne le relative verifiche attuate dall’ANAC e dai soggetti a ciò preposti (comma 3 dell’articolo). I contratti di concessione, seppur stipulati tra una pubblica amministrazione ed un privato, devono considerarsi vincolanti per entrambe le parti e mai modificabili unilateralmente. In base ai contratti sottoscritti i concessionari si sono legittimamente organizzati, anche sotto il profilo societario, analogamente a quanto avviene in tutta Europa; si sono dotati di mezzi e risorse per eseguire le prestazioni convenute; hanno strutturato il proprio piano finanziario; hanno pianificato la propria attività, nei tempi e nei costi; hanno assunto personale; hanno preso impegni con terzi. La verifica del rispetto della quota
dell’80% (o 60%) dovrebbe pertanto decorrere dalla scadenza del periodo transitorio (aprile 2018) o addirittura dalla data di entrata in vigore delle Linee guida ANAC n. 11 (18 agosto 2018), in modo che essa rappresenti l’“anno zero”. Ciò al fine di salvaguardare gli impegni contrattuali preesistenti già operanti, e consentire alle concessionarie di adeguare passo passo la propria organizzazione operativa.
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI COMMISSIONI GIUDICATRICI
Le previsioni in materia di commissione giudicatrici, contenute nell’articolo 77 del Codice, richiederebbero un intervento correttivo sotto numerosi aspetti essendo tutt’altro che pacifica sia la loro interrelazione con norme di pari oggetto contenute in altre disposizioni sia la loro funzionalità nell’assicurare una adeguata efficienza e celerità nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione.
Per quanto concerne il primo aspetto, necessita in particolare garantire il necessario coordinamento con la normativa preesistente, in conformità con i principi dettati dalla legge delega, al fine di evitare incertezze applicative. Ci si riferisce in particolare all’art. 11, comma 5, lettera f) della Legge n. 498 del 1992 (così come modificato dall'articolo 2, comma 85 del Decreto Legge n. 262 del 2006.) – tutt’oggi in vigore e non abrogato, né modificato, dal Codice – il quale prescrive già da tempo, per gli affidamenti dei concessionari autostradali, “Commissioni di aggiudicazione terze”, nominate dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Si tratta dunque di disposizione che già garantisce, per il tramite della nomina ministeriale, le esigenze di trasparenza ed imparzialità dei commissari di gara perseguite dal nuovo Codice e che dovrebbe essere chiaramente coordinata – nella sua valenza di norma speciale – con le analoghe disposizioni in quest’ultimo contenute.
Quanto invece al secondo aspetto, ossia la necessaria efficienza delle procedure di aggiudicazione, l’attuale formulazione del Codice (articolo 77, comma 3) limita la possibilità per la stazione appaltante di nominare commissari interni, sia sotto il profilo dell’importo del contratto, sia per quanto riguarda la composizione della Commissione e la sua Presidenza. L’eccessiva rigidità di tale disposizione è stata più volte fatta presente da molte stazioni appaltanti, soprattutto per via della rilevante dilatazione dei tempi di aggiudicazione e dell’aumento dei costi del procedimento da essa derivati.
Sarebbe quindi auspicabile attenuare tali criticità assicurando – almeno nelle ipotesi residuali, ovverosia per tutti gli appalti sotto soglia di rilevanza comunitaria (non limitandosi come è ora a servizi e forniture bensì ricomprendendo anche i lavori di importo superiore ad un milione di euro ) e per quelli di non particolare complessità – la possibilità per la stazione appaltante di nominare dei commissari “interni”, ivi incluso il Presidente, in quanto garante dell’interesse della stessa amministrazione procedente alla speditezza del procedimento. Ciò garantirebbe un qualche bilanciamento tra le esigenze sottese alla nomina delle Commissioni ex albo “ANAC” ed i principi di celerità, semplificazione e contenimento dei costi che debbono essere ragionevolmente tenuti in considerazione nel rispetto del principio di proporzionalità.
Nel contempo, occorrerebbe inoltre considerare che il Codice dei contratti attualmente prevede l’esclusione dall’applicazione dell’art. 77 per gli enti aggiudicatori i quali non sono amministrazioni aggiudicatrici operanti nei settori speciali. La ratio sottesa a tale esclusione
- che come stigmatizzato dal Consiglio di Stato (parere del 14.09.2016 n. 1919), “è quella di assicurare procedure connotate da maggiore flessibilità qualora le stesse vengono indette da soggetti che non possono qualificarsi come pubbliche amministrazioni” – dovrebbe essere, secondo criteri di ragionevolezza e coerenza, applicabile anche agli altri soggetti aggiudicatori operanti nei settori ordinari, qualora essi siano soggetti privati sia formalmente sia sostanzialmente, e quindi parimenti esclusi dal novero delle pubbliche amministrazioni.
CRITERI DI AGGIUDICAZIONE DELL’APPALTO
In materia di criteri di aggiudicazione degli appalti, l’attuale impostazione del Codice tende a privilegiare fortemente quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa relegando la possibilità di ricorrere al criterio del minor prezzo solamente in casi marginali. Non è tuttavia detto che l’utilizzo del primo criterio possa sempre realmente portare ad un valore aggiunto in termini di qualità, a fronte di maggiori oneri procedurali ed un allungamento dei tempi di affidamento – questi sì – certi.
In particolare, sussistono casi (tipici della realtà autostradale ma non solo) in cui il progetto esecutivo ha caratteristiche tali – per la sua alta definizione e specializzazione - da non ammettere migliorie di tipo qualitativo in sede di gara. In tali casi risulta peraltro
oggettivamente molto difficile individuare criteri qualitativi concreti e non marginali su cui strutturare un’offerta economicamente più vantaggiosa.
Sempre con riferimento alle peculiarità del mondo autostradale, c’è poi un altro aspetto da rilevare: i progetti relativi agli investimenti dei concessionari debbono essere – per disposizioni normative e convenzionali – approvati dal Concedente, ivi inclusi i progetti esecutivi da mettere a gara. L’ipotesi di varianti progettuali o migliorie presentate in sede di offerta economicamente più vantaggiosa da parte dei concorrenti risulta pertanto difficilmente conciliabile con la previa necessaria approvazione del MIT, salvo il duplicarsi di passaggi amministrativi di non agevole praticabilità, con prevedibili riflessi in termini di allungamento dei tempi e perdita di efficienza.
Alla luce di ciò, sembrerebbe quindi auspicabile restituire – sempre nel rispetto delle norme comunitarie in materia – alle stazioni appaltanti un minimo di autonomia valutativa nell’individuazione del criterio di aggiudicazione maggiormente appropriato ed efficiente, avuto riguardo alle esigenze ed alle caratteristiche del singolo appalto che possono essere tra di loro molto diverse e dunque non predeterminabili a priori dalla legge.
VERIFICA RISPETTO DELLE NORME SISMICHE IN FASE DI APPROVAZIONE E VALIDAZIONE DEI PROGETTI
Con riferimento alla materia della verifica del rispetto delle norme sismiche all’interno dei progetti relativi alle infrastrutture pubbliche, il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ha in più occasioni (parere 206/2005; parere 72/2015) invocato un intervento legislativo di riordino delle norme di riferimento, lamentando una scarsa chiarezza delle stesse la quale effettivamente continua tutt’oggi a generare molti dubbi applicativi negli operatori di settore. Una futura modifica del Codice ben potrebbe costituire un’occasione da cogliere per risolvere tali inefficienze e fornire maggiori certezze su una tematica così importante e purtroppo sempre più attuale. A tal fine, per lo meno limitatamente alle sole infrastrutture viarie statali o di interesse statale, si potrebbe pensare di inserire – e la collocazione più indicata al riguardo sembra essere negli articoli del Codice relativi all’approvazione dei progetti – una specifica norma che, sfruttando il ruolo centrale della validazione dei progetti (ribadito anche dall’ ANAC nella Linea Guida su “Indirizzi generali sull’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria” del 14 settembre 2016), attribuisca a tale atto
amministrativo – e alle operazioni di verifica che lo precedono – un ruolo di “controllo” anche in ordine al fatto che il progetto verificato e validato rispetti tutte le prescrizioni tecniche antisismiche, disponendo, altresì, il deposito del medesimo progetto presso le sedi dei proponenti, e rendendolo accessibile a chiunque vi abbia interesse. Assicurare tali passaggi avrebbe d’altro canto anche il beneficio di comportare per il proponente il rispetto degli obblighi autorizzativi imposti dalla normativa di settore (Legge n. 64 del 1974 e DPR n. 380 del 2001).
TERNA DEI SUBAPPALTATORI
PAGAMENTO DIRETTO AI SUBAPPALTATORI
Il Codice prevede, all’articolo 105 comma 6, l’obbligo per il concorrente di indicare una terna di subappaltatori qualora l’importo dell’appalto sia pari o superiore alle soglie di rilevanza comunitaria o riguardi attività esposte a rischio di infiltrazione mafiosa.
Tale obbligo si pone in contrasto con le Direttive europee, che lasciano libero il legislatore nazionale per quanto concerne la cogenza, e crea problemi in quei settori dove il numero degli operatori economici è limitato, trattandosi di operatori con particolare specializzazione. La previsione comporta un aggravio procedurale particolarmente oneroso, ma al contempo inutile perché alla stessa non corrisponde alcun interesse pubblico rilevante; non ha infatti senso obbligare i concorrenti a indicare tre subappaltatori se poi comunque si terranno specifici controlli sugli stessi in sede di autorizzazione al subappalto.
Si propone quindi l’abrogazione di tale disposizione alla luce dei profili di incoerenza con la normativa europea e per le difficoltà operative che la stessa genera.
Quanto invece alla norma riguardante il pagamento diretto ai subappaltatori, dei cottimisti e dei fornitori (articolo 105, comma 13), anche essa presenta numerosi punti di criticità sia per quanto riguarda l’operatività della stessa sia per quanto riguarda la coerenza rispetto ai principi stabiliti nella originaria legge delega. Essa, nello specifico:
introduce una disciplina eccessivamente generica e lacunosa che crea dubbi applicativi e conseguente rischio contenzioso. Non si comprende, ad esempio, quando l’appaltatore debba ritenersi “inadempiente” (facendo così scattare l’intervento della stazione appaltante) o quali possano essere le caratteristiche
“naturali” del contratto che consentono il pagamento diretto del subappaltatore a fronte di una sua richiesta in tal senso.
Supera i limiti imposti dalla legge delega, estendendo l’obbligo di pagamento diretto anche ai cottimisti e fornitori e – sempre - alle micro e piccole imprese (laddove la delega imponeva di individuare “fattispecie” specifiche).
Risulta invece carente di disciplina uno strumento di tutela dei subappaltatori che ha dimostrato di funzionare correttamente sotto il previgente regime, ovverosia l’obbligo da parte dell’appaltatore di trasmettere alla stazione appaltante le fatture quietanzate dei subappaltatori.
Non contempla – così come opportunamente previsto dall’art 71, paragrafo 3 della Direttiva 2014/24 - “idonei meccanismi che consentano al contraente principale di opporsi a pagamenti indebiti” in favore del subappaltatore.
Sarebbe quanto mai opportuno pertanto provvedere a definire in maniera maggiormente precisa l’operatività della norma, in conformità con la delega ed al fine di superare le più gravi incertezze applicative odierne.
CONCESSIONI AUTOSTRADALI E FINANZA DI PROGETTO
Come è noto la finanza di progetto, ossia la realizzazione di opere pubbliche senza oneri finanziari per la pubblica amministrazione, costituisce un modello per il finanziamento e la realizzazione di opere pubbliche introdotto nel D. lg. 50/2016 (e precisamente all’articolo
183) che mira a porre rimedio alla sempre più avvertita scarsità di fondi pubblici. Secondo questo modello, per la realizzazione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità inseriti negli strumenti di programmazione formalmente approvati sulla base della normativa vigente, le amministrazioni aggiudicatrici possono, in alternativa all'affidamento mediante concessione, affidare una concessione ponendo a base di gara il progetto di fattibilità, mediante pubblicazione di un bando finalizzato alla presentazione di offerte che contemplino l'utilizzo di risorse totalmente o parzialmente a carico dei soggetti proponenti.
Tuttavia, l’utilizzo di tale opzione è – per espressa previsione dell’articolo 178 comma 8bis
– negata in caso di affidamento di concessioni autostradali scadute o in scadenza.
In virtù dell’ampio margine di azione lasciato a tutti gli altri concessionari, si potrebbe pensare di sopprimere la disposizione sopra riportata; le procedure di finanza di progetto sono infatti strumenti di affidamento concorrenziali previsti dal nostro ordinamento e non sembrerebbe opportuno che l’affidamento delle concessioni autostradali, e solo di queste, debba essere soggetta a vincoli particolari. Una futura modifica del Codice ben potrebbe costituire un’occasione da cogliere per risolvere le disparità venutesi a creare con il limite applicato solo ai concessionari autostradali, consentendo così per gli stessi il medesimo margine di discrezionalità previsto per tutti gli altri settori.
A tale proposito vale anche la pena di ricordare che la Direttiva europea 2014/23 assicura un’ampia discrezionalità procedurale per l’aggiudicazione delle concessioni, nel rispetto di poche disposizioni puntuali e dei principi generali dettati in materia (nonché dai Trattati comunitari): il vincolo posto a tale riguardo suscita quindi più di una perplessità anche dal punto di vista di compatibilità con la normativa europea.
APPALTO INTEGRATO
L’istituto dell’appalto integrato è stato più volte ripreso in maniera slegata e disordinata dal legislatore, sia all’interno del Codice che all’interno di alcune disposizioni del relativo Decreto Correttivo, causando notevoli criticità circa la sua applicabilità, appare opportuno fare chiarezza sulla materia disciplinando tale istituto in un’unica norma.
Inoltre si potrebbe richiedere di consentire alle stazioni appaltanti di ricorrere all’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione di lavori sulla base del progetto definitivo dell’amministrazione aggiudicatrice (sostanzialmente, dunque, allargando l’ambito di applicazione dell’appalto integrato). La garanzia rispetto alla centralità e alla qualità del progetto potrebbe esser data dal rafforzamento dei contenuti dei singoli livelli di progettazione e dall’obbligo, dal 2019, della progettazione in BIM per diversi settori.
Ulteriormente, l’utilizzo dell’appalto integrato potrebbe contribuire a ridurre i tempi di realizzazione delle opere pubbliche. Si ritiene, pertanto, che sia necessario chiarire l’utilizzo
dello strumento per salvaguardare la qualità del lavoro ed evitare fenomeni distorsivi e un aumento della spesa pubblica.