CNEL
CNEL
Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro
Commissione dell’Informazione (III)
RAPPORTO
IL LAVORO DELLE DONNE
TRA TUTELA LEGISLATIVA E PREVISIONI CONTRATTUALI
III COMMISSIONE
27 febbraio 2002
INDICE
Introduzione ............................................................................. pag. 7
PARTE PRIMA: PARI OPPORTUNITÀ E UNIONE EUROPEA .... pag. 13
1.1 Armonizzare i tempi di vita e di lavoro: il dialogo sociale nell’Unione Europea .......................................................... ” 15
1.2 Legislazione e atti comunitari in materia di pari opportunità
e diritti delle donne ............................................................ ” 21
PARTE SECONDA: LE PREVISIONI NORMATIVE ITALIANE, GLI ORIENTAMENTI DEL SISTEMA E I PIU’ RECENTI
CONTRIBUTI DEL CNEL IN TEMA DI PARI OPPORTUNITÀ ” 25
2.1 La legge 164/90: compiti e attività della Commissione Nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e
donna ................................................................................. ” 27
2.2 La legge 125/91 e il suo stato di attuazione: l’indagine conoscitiva della Commissione Lavoro e Previdenza sociale
del Senato .......................................................................... ” 28
2.3 L’istituzione del Dipartimento per le pari opportunità e le più recenti disposizioni in materia di lavoro delle donne e
parità uomo - donna ........................................................... ” 32
2.4 Le molestie sessuali sui luoghi di lavoro: la normativa
comunitaria ........................................................................ ” 33
2.5 Il fenomeno del mobbing e la Risoluzione del Parlamento
europeo .............................................................................. pag. 37
2.6 La nuova normativa italiana in materia di congedi parentali, congedi per la formazione e coordinamento dei tempi delle
città: dalle leggi 1204/71 e 903/77 alla legge 53/2000 ..... ” 39
2.7 Il Testo Unico in materia di tutela e di sostegno della
maternità e della paternità ................................................. ” 47
2.8 Le donne e il part-time: i decreti legislativi 61/00 e 100/01.... ” 48
2.9 Le donne e il lavoro notturno: dalla legge 903/77 al decreto legislativo 532/99 .............................................................. ” 50
2.9 bis Il Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione e le
pari opportunità ............................................................ ” 54
2.9 ter Le analisi e le riflessioni del Gruppo permanente
“Donne e sviluppo” del CNEL .................................... ” 55
PARTE TERZA: LE PREVISIONI CONTRATTUALI ITALIANE .. pag. 59
• Nota metodologica ................................................................ ” 61
3.1 Qualche breve cenno sui principali Accordi interconfederali che “toccano”, di riflesso, anche il tema delle pari
opportunità ......................................................................... ” 62
3.2 Le previsioni contrattuali in materia di pari opportunità ... ” 64
3.3 Le previsioni contrattuali in materia di molestie sessuali
sul lavoro ........................................................................... ” 69
3.4 Le previsioni contrattuali sulla maternità e sui congedi
parentali ............................................................................. ” 77
3.5 Le previsioni contrattuali sul part-time ............................. ” 83
3.6 Le previsioni contrattuali sul lavoro notturno ................... ” 88
3.7 Ulteriori previsioni contrattuali che si riflettono sul tema
delle pari opportunità ......................................................... ” 93
APPENDICE ................................................................................ ” 97
PARTE PRIMA: PARI OPPORTUNITÀ E UNIONE EUROPEA ............... pag. 99
PARTE SECONDA: LE PREVISIONI NORMATIVE ITALIANE, GLI ORIENTAMENTI DEL SISTEMA E I PIU’ RECENTI CONTRIBUTI DEL
CNEL IN TEMA DI PARI OPPORTUNITÀ .......................................... ” 105
PARTE TERZA: LE PREVISIONI CONTRATTUALI ITALIANE - SCHEDE
DEI SINGOLI CONTRATTI IN MATERIA DI PARI OPPORTUNITÀ .......... ” 108
ELENCO DEI CONTRATTI PRESENTI NELL’ARCHIVIO DEI CONTRATTI
DEL CNEL .................................................................................. ” 154
Introduzione
E’ difficile non riconoscere, oggi, la centralità del ruolo delle don- ne quali protagoniste del cambiamento che sta caratterizzando il mondo del lavoro.
La terziarizzazione dell’economia italiana e la più ampia articola- zione dei contratti e degli orari di lavoro hanno favorito l’aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, tanto in veste di lavo- ratrici autonome, quanto in qualità di lavoratrici dipendenti. Le donne sono state capaci di cogliere le nuove opportunità di lavoro derivanti da una domanda più rispondente alle loro esigenze e sono riuscite a pro- porsi sempre più frequentemente in posizioni di maggiore e diretta re- sponsabilità, assumendo pian piano qualifiche sempre più elevate.
I dati Istat mostrano che tra il 1993 ed il 2000 la quota dei dirigen- ti e direttivi - quadri donne (sul totale degli occupati) è passata dal 26,7% al 32,1%.
Nel 1993, infatti, erano 281.000 su 1.050.000; nel 2000, 434.000 su 1.321.000. In particolare, delle 281.000 dirigenti e direttivi quadri del 1993, 19.000 erano presenti nell’industria e 261.000 in altre attività; per gli stessi settori, nel 2000, erano passate rispettivamente, a 31.000 e
392.000 unità.
La quota delle impiegate è, invece, passata dal 47,9% del 1993 al 51,2% del 2000; quella delle operaie, dal 28,8% del 1993, al 31% del
2000.
Se è vero che fra i Paesi europei l’Italia è caratterizzata da elevati differenziali di genere sia per il tasso di occupazione che per quello di disoccupazione (con un tasso di occupazione femminile pari a poco più della metà di quello maschile e un tasso di disoccupazione femminile che supera dell’80% quello maschile), è anche vero che la condizione della donna nel mondo del lavoro sta migliorando progressivamente e i differenziali di genere tendono a ridursi.
Soprattutto tra i giovani nella fascia d’età tra i 25 e i 34 anni il comportamento delle donne con istruzione elevata è molto simile a quello degli uomini e negli ultimi decenni la propensione delle donne a
proseguire gli studi è fortemente aumentata, tanto da superare, per l’i- scrizione all’Università, i colleghi. Secondo l’Istat, fatte 100 le ragazze nella fascia d’età compresa tra i 19 ed i 23 anni, per l’anno accademico 1997/98, il 47,5% risulta iscritto all’Università; fatti 100 i ragazzi, solo il 38,5%. Anche nella scelta degli indirizzi sono riscontrabili radicali cambiamenti: la presenza delle donne aumenta fortemente negli istituti tecnici e professionali; si riduce drasticamente nei licei e, ancor di più, negli istituti magistrali. Xxxxxxxx, poi, ai corsi universitari le ragazze scelgono sempre più spesso “campi” per anni dominati dagli uomini.
Ad una maggiore propensione delle donne ad iscriversi all’Univer- sità si associa, poi, un minore abbandono degli studi; e la formazione u- niversitaria conseguita dalle donne contribuisce ad aumentare la loro probabilità di trovare lavoro.
Un ulteriore contributo alla crescita della partecipazione delle don- ne al mercato del lavoro è poi offerto dalla diffusione delle forme con- trattuali cosiddette “atipiche” che costituisce una delle peculiarità delle società odierne la quale ha messo in crisi un po’ ovunque il modello standard di “lavoro subordinato a tempo indeterminato”. A tale riguar- do va però sottolineato che, se é vero che nel giro di pochi anni il nu- mero delle lavoratrici atipiche è raddoppiato, é anche vero che per mol- te la condizione di lavoratrice atipica tende ad essere stabile nel tempo senza che a questa condizione siano connesse le forme di garanzia pro- prie del lavoro subordinato; molte altre, invece, non transitano da altre occupazioni e finiscono per esercitare solo occasionalmente prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa nell’arco di un anno, per poi uscire nuovamente dal mondo del lavoro l’anno successivo.
Se da un lato, quindi, il modello classico della donna quale “casa- linga-moglie-madre” è in declino in tutte le fasce d’età e in tutte le zone del nostro Paese, dall’altro il modello “lavoratrice-moglie-madre” cre- sce e non più soltanto al Centro-Nord. Anche al Sud, infatti, sono in au- mento le coppie in cui le donne hanno un titolo di studio più elevato dell’uomo e spendono una diversa capacità di contrattazione dei ruoli all’interno della famiglia.
Alla sempre crescente partecipazione delle donne al mercato del lavoro non è, però, seguito un adeguato cambiamento nella distribuzio-
ne dei compiti familiari, né è mutato l’approccio culturale ai ruoli di ge- nere: alle donne, difatti, rimane essenzialmente attribuita la maggior parte del carico del lavoro familiare, indipendentemente dalla presenza di un lavoro extra-domestico, anche se impegnativo in termini di tempo e responsabilità. C’è, dunque, ancora asimmetria di genere nella distri- buzione del lavoro familiare e della cura dei figli, anche se, soprattutto tra le giovani generazioni, emergono segnali di novità nella direzione di un più responsabile e forte impegno degli uomini nella cura della famiglia.
Il problema è fortemente avvertito anche dalle Istituzioni dell’U- nione Europea che, con la loro azione, hanno contribuito non poco a sollecitare gli Stati membri ad attuare politiche dell’occupazione che non trascurassero gli aspetti più peculiari del lavoro delle donne.
Si vogliono menzionare a titolo esemplificativo le più recenti “li- nee di orientamento” per le politiche dell’occupazione dettate dall’UE ai Paesi dell’Unione nelle quali si raccomanda di affrontare prioritaria- mente la questione dell’integrazione delle pari opportunità in tutti gli e- lementi delle politiche per l’occupazione in modo tale da garantire alle donne, da un lato, il beneficio delle politiche attive per l’occupazione in materia di inserimento professionale, senza trascurare, dall’altro, la rap- presentatività delle donne nelle azioni finalizzate a “fare impresa”.
Xxxxxxxxxx è stato poi fatto grazie all’emanazione di normative e di altri atti comunitari che, in qualche caso, hanno solo “stimolato” l’a- deguamento delle legislazioni nazionali, in altri, hanno invece imposto agli Stati membri tale adeguamento in ossequio ai principi e alle regole scelti a livello sovranazionale.
La centralità assunta dal lavoro extra-domestico nella vita delle donne si accompagna, da sempre, alla difficoltà di conciliare ruoli ester- ni ed interni alla famiglia e oggi, più che in passato, è diffusa la consa- pevolezza della necessità di promuovere e sostenere un profondo cam- biamento culturale che non attribuisca in via esclusiva alla donna i cc.dd. “lavori di cura”.
I cambiamenti, com’è noto, sono lenti e difficili e, probabilmente, le politiche del lavoro e della famiglia attuate nel nostro Paese non pos- sono ritenersi ancora soddisfacenti. Va detto, tuttavia, che i recenti ed
importanti interventi legislativi potranno contribuire a favorire e sup- portare quella “rivoluzione culturale” di cui si avverte la necessità.
Il problema delle diseguaglianze di genere non è, difatti, un pro- blema delle sole donne, ma dell’intera società che deve dunque farsene carico, in misura maggiore che in passato, per rendere più concreto l’impegno a favore della riduzione delle asimmetrie di genere nel mon- do del lavoro.
I Governi succedutisi nell’arco degli anni e le Parti sociali hanno svolto un ruolo di rilievo nel promuovere le pari opportunità, da un lato, incentivando e sostenendo il dibattito che ha poi portato ai più recenti interventi legislativi, dall’altro, assumendo impegni concreti e puntuali.
Si pensi, ad esempio, al Patto sociale per lo sviluppo e l’occupa- zione del 22 dicembre 1998 e al rilievo attribuito a questa tematica.
Nel “Patto” il principio delle pari opportunità, pur non ponendo a carico delle Parti stipulanti veri e propri obblighi, viene considerato, di fatto, uno dei criteri di valutazione delle politiche poste in essere per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo economico e di crescita del- l’occupazione, e questo dato non è di scarso rilievo.
Le recenti innovazioni legislative, poi, hanno messo in luce una rinnovata attenzione al tema di una più efficace distribuzione dei carichi familiari, presupposto imprescindibile per una più efficace azione a fa- vore della parità uomo-donna.
Fin dalla prima normativa italiana avente ad oggetto la delicata questione dei congedi parentali è possibile rinvenire una sensibilità più che apprezzabile, ma per il vero “salto di qualità” bisognerà arrivare al- la legge 53/2000 che, superando il “taglio” della sola parità, individua, finalmente, il diritto alla paternità come diritto/dovere del padre in quanto tale, piuttosto che un diritto da esercitare in alternativa a quello della madre.
La recente promulgazione del Testo Unico in materia di tutela e so- stegno alla maternità e alla paternità ha, infine, sistematizzato il variega- to panorama legislativo costituito dalle numerose norme sulla salute del- la lavoratrice, sui congedi di maternità e paternità, sui riposi e permessi e sulle assenze per assolvere i lavori di cura più in generale, offrendo un importante contributo anche in termini di certezza dei diritti.
Oggi non è ancora possibile sapere se, e soprattutto in che misura, la nuova normativa costituirà la “leva” attraverso la quale operare una “ridistribuzione” all’interno del sistema di condivisione del lavoro di cura.
Indubbiamente il contributo offerto dal legislatore, dalle Parti so- ciali, dai Governi e da tutti gli “operatori” impegnati a diverso titolo a sostegno di questa “rivoluzione culturale”, è fondamentale, ma non è sufficiente, da solo, a raggiungere l’ambizioso traguardo.
Va ricordato, infatti, che anche la contrattazione collettiva è chia- mata a dare il proprio contributo al perseguimento dell’obiettivo di co- niugare le esigenze della produzione con la necessità di riconoscere va- lore sociale ai lavori di cura e di offrire adeguata tutela alle lavoratrici.
A tale riguardo è ulteriormente auspicabile una impegnata atten- zione dei contratti collettivi a tutti quegli aspetti problematici che inve- stono le donne lavoratrici: il rapporto donna-lavoro e donna-famiglia; la maternità e i permessi per i lavori di cura; la regolamentazione del la- voro notturno e del part-time e ogni altra questione che, penalizzando le donne, gravate dal doppio ruolo, si traduce, di fatto, in una vulnerazione del principio di pari opportunità.
In questa linea, il presente Rapporto vuole offrire, quale valore aggiunto alle ricerche sin qui condotte, una analisi della condizione la- vorativa delle donne contemplata dalla vigente normativa anche comunitaria e dalla contrattazione collettiva, individuare eventuali si- tuazioni di “sofferenza”, suggerire riflessioni e approfondimenti che possano, in prospettiva, indicare soluzioni soddisfacenti alle questioni di maggiore rilevanza.
La Commissione dell’Informazione del CNEL*
* La Commissione dell’Informazione del CNEL, presieduta da Giuseppe Capo, è composta dai Consiglieri Xxxxxxx Xxxxxxxxxxxx; Xxxxxxx Xxxxxxxx; Xxxxxx Xxxxx; Xxxxxxx Xxxxx; Xxxxxxxxx Xxxxxxxx; Xxxxxxxxx Xxxxxxxx; Xxxxxx Xxxxxxxxx; Xxxxx Xxxxxxxxx; Xxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx; Xxxxxxxx Xxxxxx; Xxxxx Xxxxxxxxxx; Xxxxxx Xxxxxxxx; Xxxxxxx Xxxxxxxx.
PARTE PRIMA:
PARI OPPORTUNITÀ E UNIONE EUROPEA
1.1 Armonizzare i tempi di vita e di lavoro: il dialogo sociale nell’Unio- ne Europea
L’articolo 1 del Protocollo sulla politica sociale allegato al Trattato dell’Unione Europea assegna all’azione della Comunità obiettivi quali il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, un’adeguata prote- zione sociale, lo sviluppo delle risorse umane e la lotta contro le esclu- sioni. L’accentuata disomogeneità delle legislazioni nazionali in materia sociale e lavoristica ha, fino a non molti anni fa, limitato fortemente in questi ambiti il contributo delle Istituzioni europee alla focalizzazione delle relative problematiche, nonché alla indicazione di possibili strate- gie per farvi fronte, opponendo forti resistenze alle innovazioni.
L’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam ha fatto avanzare il processo di integrazione nell’Unione Europea, promuovendo la nascita di un vero e proprio “modello sociale europeo”. Con la sottoscrizione del Trattato, difatti, sono state create le condizioni affinché alcuni obiet- tivi sociali e le necessarie azioni e politiche per il loro raggiungimento siano realmente condivise tra i diversi Paesi, Istituzioni e soggetti.
Il modello sociale europeo fa del confronto e del dialogo la propria base di partenza.
Una prova di ciò è rinvenibile nei nuovi regolamenti dei Fondi strutturali europei che prevedono alcuni passaggi ben definiti: program- mazione, cioè certezza dei tempi e delle risorse; valutazione ex ante, cioè attenta analisi e ricerca, ma anche ex post, cioè valutazione dell’ef- ficacia e dell’efficienza delle iniziative poste in essere; infine, ma non di minor rilievo, partenariato, cioè coinvolgimento con specificazione dei rispettivi ruoli dei diversi soggetti coinvolti e/o coinvolgibili.
L’applicazione di questa metodologia si trova anche nei passaggi normativi più significativi in materia di parità uomo-donna dopo la Conferenza di Pechino. A riguardo è utile citare il quarto Programma d’azione comunitaria a medio termine per le pari opportunità tra donne e uomini (1996-2000) che, nel terzo obiettivo, si propone di “consentire a donne e uomini di lavorare e occuparsi della famiglia” e specifica che ciò non sta solo nel conciliare il lavoro e la vita familiare, ma anche nel promuovere l’individuazione dei diritti.
Come si è detto, sul tema del rapporto tra individuo, lavoro e vita, il dialogo sociale nell’Unione Europea si è molto sviluppato nel corso degli ultimi anni fino al punto di rendere possibile il raggiungimento di importanti accordi tra le rappresentanze europee dei datori di lavoro e dei sindacati dei lavoratori (UNICE, CEEP, CES), i cui contenuti più si- gnificativi sono poi confluiti in due direttive alle quali sarà utile far cenno.
Il 14 dicembre 1995 le Parti sociali europee hanno concluso un ac- cordo quadro sul congedo parentale e sull’assenza dal lavoro per cause di forza maggiore che stabilisce prescrizioni minime e rinvia agli Stati membri, o alle Parti sociali nazionali, il compito di prevedere una disci- plina ulteriore che tenga conto della situazione particolare di ciascuno Stato membro. La centralità acquisita dal tema dei congedi parentali nel dibattito europeo tra le Parti sociali, sviluppatosi sullo sfondo del più ampio dibattito sui tempi di lavoro, ha portato poco più tardi, nel giu- gno 1996, all’emanazione della direttiva 96/34/CE del Consiglio che ri- conosce la possibilità, per i lavoratori di entrambi i sessi, di potersi as- sentare dal lavoro per prendersi cura dei propri bambini e di quelli a- dottati. Si riconoscono, così, i presupposti per meglio conciliare la vita professionale e familiare all’interno del più complessivo impegno volto a promuovere la parità di opportunità di trattamento tra uomini e donne, come già auspicato fin dal primo programma d’azione (1982-1985).
La direttiva in parola è finalizzata ad “offrire, agli uomini e alle donne, la possibilità di conciliare le loro responsabilità professionali e i loro obblighi familiari” e ad introdurre “nuovi modi flessibili di orga- nizzazione del lavoro e dell’orario, più adatti ai bisogni della società in via di mutamento e rispondenti sia alle esigenze delle imprese che a quelle dei lavoratori”. Le disposizioni in esame, pur avendo ad oggetto in via prioritaria l’interesse dei genitori a prendersi cura della prole, non tralasciano di considerare le esigenze organizzative ed operative delle piccole imprese, esigenze tutelate dalla previsione della possibilità di un rinvio della concessione del congedo parentale, per giustificati moti- vi attinenti al funzionamento dell’impresa.
Il secondo accordo che rileva ai fini della nostra indagine risale al 6 giugno 1997 ed è l’accordo quadro sul part-time siglato da UNICE,
CEEP e CES; il 18 dicembre dello stesso anno viene emanata la diretti- va europea sul part-time che lo recepisce. Questa seconda direttiva non riguarda esclusivamente le donne ma, poiché si stima che i lavoratori a tempo parziale sono donne per una percentuale che va dal 70 al 90%, è utile farvi menzione.
Il 16 aprile 1997 è stato, poi, presentato alla Commissione il Libro verde sul partenariato per una nuova organizzazione del lavoro, dedi- cato ai temi della nuova qualificazione formativa. Esso pone, tra le sfi- de da raccogliere, le modalità di organizzazione delle necessarie azioni di formazione e riqualificazione della manodopera, la valorizzazione delle nuove tendenze occupazionali nell’ottica delle pari opportunità e lo sviluppo di organizzazioni più flessibili dei servizi pubblici. Nel do- cumento si afferma, difatti che “in particolare la sfida consiste nel tro- vare il modo di sviluppare o adattare politiche che sostengano, piutto- sto che ostacolare, un rinnovamento organizzativo fondamentale e di raggiungere un equilibrio positivo tra gli interessi delle aziende e quelli dei lavoratori, agevolando nel contempo la modernizzazione della vita lavorativa” ... e che “è necessario organizzare non solo le aziende, ma l’intera infrastruttura sociale per garantire condizioni di parità tra donne e uomini: ciò comprende, ad esempio, aspetti quali la formazio- ne, la custodia dei figli, l’equilibrio tra i sessi nel processo decisionale, l’individuazione dei diritti e così via”.
E’ utile, infine, ricordare che la Commissione ha predisposto due relazioni sull’attuazione del principio delle pari opportunità nell’Unione Europea: la prima si riferisce all’applicazione della comunicazione del 1996 “Integrare la parità di opportunità tra le donne e gli uomini nel complesso delle politiche e azioni comunitarie”; la seconda, invece, è il “Rapporto sullo stato di avanzamento delle attività della Comunità europea”.
Le recenti “linee di orientamento per le politiche dell’occupazio- ne” dettate dall’Unione Europea agli Stati membri invitano questi ulti- mi ad affrontare prioritariamente due questioni:
• quella dell’integrazione delle pari opportunità tra uomini e donne in tutti gli elementi delle politiche per l’occupazione, garantendo, da una parte, alle donne il beneficio delle politiche attive per l’occupazione
in materia di inserimento professionale, proporzionalmente al loro tasso di disoccupazione, e sviluppando, dall’altra la rappresentatività delle donne nelle azioni volte a “fare impresa”;
• quella di utilizzare il potenziale di creazione di posti di lavoro della società dell’informazione nel campo delle nuove forme di organizza- zione del lavoro sempre nel quadro di azioni che favoriscono le pari opportunità.
Affrontare le questioni sopra esposte diventa necessario affinché la realizzazione di una maggiore e soprattutto meno defaticante partecipa- zione delle donne al mondo del lavoro diventi una realtà.
Tra gli strumenti volti a tale fine si può considerare utile affinare una serie di interventi ai quali si fa già ricorso, seppur in maniera non ancora soddisfacente:
• interventi formativi che xxxxxx l’intero arco della vita lavorativa, che siano qualificati e, soprattutto, rispondenti alle esigenze del mercato del lavoro sempre più dominato dalle tecnologie dell’informazione;
• interventi volti a favorire la flessibilità delle condizioni di lavoro e a sviluppare servizi di affidamento e di cura economicamente accessibi- li e di elevata qualità al fine di rendere sempre più agevole conciliare la vita professionale con la vita familiare.
Sono scelte che incidono sulla qualità della vita e si integrano nel- le prospettive dell’economia dei Paesi dell’Unione Europea. Non biso- gna trascurare che nel corso dei prossimi dieci anni comincerà a dimi- nuire la popolazione europea in età lavorativa, dunque la crescita del- l’occupazione dipenderà, molto più che nel passato, da una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Gli Stati membri dovranno pertanto creare le condizioni che pos- sano consentire all’economia europea e al mondo dell’impresa di bene- ficiare pienamente delle potenzialità di cui le donne sono portatrici, consentendo, però, alle stesse di beneficiare di un maggior equilibrio tra vita professionale e vita familiare.
Il punto di vista dell’Unione Europea sulla linea d’azione relativa alle pari opportunità non è caratterizzato solo dall’esigenza di persegui-
re una maggiore diffusione della popolazione attiva nei singoli Paesi. Le politiche volte a favorire l’estensione alle donne di una maggiore partecipazione al mercato del lavoro non trovano, infatti, la loro ragione principale nel fatto di contribuire maggiormente a mantenere in equili- brio i sistemi pensionistici e di protezione sociale. Certo, anche questo aspetto non è trascurato, ma gli obiettivi generali promossi dall’Unione riguardano soprattutto la promozione dell’istruzione e della formazione professionale, la possibilità di raggiungere una maggiore conciliazione della vita professionale e di quella familiare, la promozione dell’im- prenditorialità femminile, l’evoluzione delle mentalità e degli atteggia- menti nei confronti delle donne.
Il contributo che l’Unione Europea può dare al miglioramento del- l’inserimento femminile nella realtà sociale e lavorativa è notevole, ma non va dimenticato che, in materia di pari opportunità, l’intervento non può essere diretto e coordinato solo dalle autorità sovranazionali del- l’Unione. Xxxxxx, infatti, essere i singoli Stati membri, le autorità re- gionali e locali, le Parti sociali e i diversi attori socio-economici a pro- muovere e sostenere, a livello capillare, le azioni necessarie al raggiun- gimento dell’obiettivo indicato. Il compito fondamentale che può essere attribuito, invece, alle autorità dell’Unione è quello dello sviluppo e del coordinamento di azioni strategiche e di specifici strumenti in grado di stimolare l’iniziativa delle forze sociali.
In questa prospettiva era stato elaborato, per gli anni 1996-2000, il Quarto Programma per la “parità di opportunità” allo scopo di stimo- lare un’interazione e una partnership che coinvolgesse il livello nazio- nale, regionale, locale e comunitario. Gli obiettivi perseguiti dal Pro- gramma possono così sintetizzarsi:
• mobilitare attorno alla tematica delle pari opportunità tutti gli attori socio-economici, sia a livello nazionale che comunitario;
• promuovere le pari opportunità soprattutto per mezzo dell’uso dei Fondi strutturali;
• stimolare una politica di conciliazione della vita familiare e professio- nale per gli uomini e per le donne;
• lasciare spazio ad una partecipazione equilibrata degli uomini e delle
donne nel processo decisionale e rafforzare le condizioni per l’eserci- zio, da parte di queste ultime, di un ruolo più attivo.
Il Programma in questione ha avuto il merito di tentare di promuo- vere, sostenere e sviluppare azioni volte a stimolare la collaborazione, nonché la messa in comune di risorse, tra i vari soggetti coinvolti, sia a livello nazionale che comunitario, al fine di inserire la tematica della parità e delle pari opportunità nelle politiche generali sia comunitarie che nazionali.
Il nuovo Programma d’azione per la “pari opportunità”, il Quin- to, relativo alla strategia quadro comunitaria in materia di parità tra uo- mini e donne, si svilupperà nell’arco dei cinque anni che vanno dal 1° gennaio 2001 al 31 dicembre 2005 e disegna la strategia globale della Comunità in materia di parità tra donne e uomini, composta dalla totali- tà delle politiche volte a raggiungere la parità tra i sessi, comprese le politiche volte all’integrazione orizzontale della dimensione delle pari opportunità e le azioni mirate specificamente alle donne.
Il Programma coordina, sostiene e finanzia le attività orizzontali e coordinate nei settori di intervento della strategia comunitaria in mate- ria di parità tra i sessi: vita economica; parità di partecipazione e rap- presentazione; diritti sociali; vita civile; ruoli e stereotipi legati al gene- re, parità tra donne e uomini nell’ambito dell’ampliamento della Comunità.
Gli obiettivi che si intende perseguire sono i seguenti:
1. promuovere e diffondere le pratiche alla base della parità tra i sessi;
2. promuovere la comprensione dei temi connessi alla discriminazione diretta e indiretta tra i sessi;
3. affinare le potenzialità di soggetti chiave (Parti sociali, ONG, Organi indipendenti responsabili della promozione della parità tra i sessi) af- finché siano capaci di promuovere efficacemente la parità, in parti- colare attraverso lo scambio di informazioni e buone pratiche nonché attraverso l’istituzione di reti a livello comunitario.
Al fine di conseguire tali obiettivi si prevede di effettuare, in un contesto trasnazionale, azioni di sensibilizzazione, in primo luogo evi-
denziando la dimensione comunitaria della promozione della parità, in secondo luogo pubblicizzando i risultati del Programma tramite pubbli- cazioni, campagne informative e manifestazioni; azioni volte ad analiz- zare e valutare i fattori e le politiche connesse alla parità; azioni volte a sostenere una cooperazione trasnazionale tra soggetti chiave.
Si prevede, inoltre, il controllo dell’attuazione e dell’applicazione della legislazione comunitaria sulla parità, anche al fine di accertarne l’impatto e l’efficacia.
Le azioni previste riguarderanno iniziative trasnazionali come con- vegni, seminari, campagne ecc. su temi particolari approvati su base an- nuale; l’organizzazione di seminari di sostegno all’applicazione della legislazione comunitaria in materia di parità; l’istituzione di un vero e proprio premio annuale per la migliore campagna pubblicitaria e per la migliore campagna di stampa in favore della parità tra i sessi, nonché premi per quelle imprese che saranno in grado di distinguersi maggior- mente nell’applicazione dei principi di parità sui luoghi di lavoro; l’or- ganizzazione di una “settimana europea della parità”, da tenersi simul- taneamente in tutti gli Stati membri, incentrata su un tema comune; la creazione di un sito Internet contenente esempi di buone pratiche, un forum per lo scambio di idee, nonché dati utili allo studio e alla valuta- zione delle situazioni esistenti nei diversi Stati membri; lo sviluppo e la diffusione di statistiche comparabili, suddivise per sesso; lo sviluppo e la diffusione di metodi ed indicatori che permettano di valutare l’effica- cia delle politiche e delle prassi in materia di parità tra i sessi.
Si prevede, infine, la pubblicazione di una relazione annuale sulla parità tra i sessi nei Paesi dell’Unione contenente la descrizione dei pro- gressi verso il raggiungimento degli obiettivi prefissati, nonché la valu- tazione dei risultati raggiunti.
1.2 Legislazione e atti comunitari in materia di pari opportunità e dirit- ti delle donne
Direttive, Raccomandazioni, Decisioni, Programmi d’azione, ini- ziative delle Istituzioni europee, sentenze della Corte di Giustizia, arti-
coli dei Trattati comunitari, da Roma ad Amsterdam, sono gli strumenti con i quali l’Unione Europea ha operato per promuovere le pari oppor- tunità tra uomini e donne.
La nozione di eguaglianza, limitata in origine alla sola questione economica, si è progressivamente estesa per abbracciare altri aspetti non meno rilevanti.
La Conferenza delle donne di Pechino del 1995 ha indicato due parole chiave per accrescere il protagonismo delle donne in tutto il mondo: mainstreaming, portare, cioè, il punto di vista delle donne nel- l’insieme delle azioni e delle politiche, ed empowerment, accrescere, cioè, il potere e le responsabilità delle donne a tutti i livelli.
Il Vertice di Lussemburgo sull’occupazione del 1997 ha indicato le politiche di pari opportunità tra uomini e donne tra le quattro priorità del- la propria azione: accrescere l’occupazione femminile, superare le discri- minazioni, conciliare vita lavorativa e familiare sono dunque impegni presi dall’Unione Europea e richiesti agli Stati membri e alle Parti sociali.
A fronte degli impegni ben precisi in materia di pari opportunità, da parte sia delle Istituzioni comunitarie che nazionali, nuove opportu- nità lavorative sono state create per le donne ma, pur essendo aumenta- ta la percentuale di donne lavoratrici, il tasso di impiego delle donne, a livello comunitario, è inferiore di circa venti punti percentuali rispetto a quello degli uomini e le lavoratrici rimangono le maggiori vittime della disoccupazione.
Le statistiche mostrano come le differenze tra i tassi di attività ma- schile e femminile diminuiscano al crescere del livello di istruzione; se si considera, però, il livello gerarchico si riscontra, a parità di titolo di studio, che le donne si trovano, generalmente, a livelli inferiori agli uomini.
Sul versante delle retribuzioni, poi, nonostante un generale miglio- ramento della situazione, permangono gravi disparità: le donne sono meno pagate degli uomini nell’ordine del 15-35%, scarto che, nelle pro- fessioni manuali, raggiunge anche il 40%.
Il processo di unificazione europea può essere considerato in fase di avanzata realizzazione, ciò nonostante permangono profonde diffe- renze tra le situazioni dei diversi Stati membri anche rispetto alle pari
opportunità. La situazione, difatti, è generalmente migliore nei Paesi nordeuropei dove le donne sono maggiormente inserite in attività lavo- rative, in tutte le fasce di età, rispetto agli altri Stati dell’Unione.
Quanto agli strumenti con i quali l’Unione Europea ha contribuito a promuovere la realizzazione concreta del principio di parità enunciato nei Trattati, si rimanda all’elenco contenuto nell’appendice del presente Rapporto (si veda pag. 99).
PARTE SECONDA:
LE PREVISIONI NORMATIVE ITALIANE, GLI ORIENTAMENTI DEL SISTEMA E
I PIU’ RECENTI CONTRIBUTI DEL CNEL IN TEMA DI PARI OPPORTUNITÀ
2.1 La legge 164/90: compiti e attività della Commissione Nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna
Istituita in principio con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri nel 1984, in ottemperanza alle raccomandazioni contenute nel Programma di azione adottato a Copenaghen in occasione della se- conda Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne, la Com- missione parità ha visto definiti i suoi ruoli, competenze, composizione, durata e disponibilità finanziarie dalla legge 164 del 1990.
La Commissione, costituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha il compito di promuovere l’uguaglianza tra i sessi rimuo- vendo ogni discriminazione diretta e indiretta nei confronti delle donne e ogni altro ostacolo di fatto limitativo della parità, in conformità al- l’art. 3 della Costituzione.
Tra le competenze attribuite alla Commissione dall’art. 2 della leg- ge istitutiva figurano anche le seguenti attività:
di studio ed elaborazione delle modifiche necessarie a conformare la legislazione al fine dell’uguaglianza tra i sessi;
di supporto al Presidente del Consiglio dei Ministri per l’espleta- mento delle attività volte a realizzare la parità tra i sessi e ad assicurare pari opportunità tra uomini e donne;
di promozione di indagini, studi e ricerche sullo stato di attuazione delle parità tra i sessi;
di raccolta e diffusione delle informazioni concernenti lo stato di attuazione della parità tra i sessi e la legislazione di particolare interesse per le donne e molte altre ancora, tutte finalizzate al perseguimento dei suoi fini istituzionali.
Poiché il comma 4 dello stesso articolo 2 precisa che “Le compe- tenze della Commissione non riguardano la materia della parità tra i sessi nell’accesso al lavoro e sul lavoro” avremmo potuto evitare di far riferimento alla legge in questione perché, in qualche modo, esula dal campo della nostra indagine. Tuttavia, in considerazione del fatto che la Commissione, composta da donne rappresentative delle forze politiche, dei sindacati, dell’imprenditoria, della cultura, delle donne migranti, ha lavorato per la valorizzazione delle donne nei luoghi decisionali, per in-
tegrare il punto di vista sia delle donne che degli uomini in tutte le poli- tiche, dalla riforma dello Stato sociale a quella della Pubblica Ammini- strazione, dalla politica internazionale alla valorizzazione dell’emigra- zione italiana, dalle politiche per le donne immigrate alle politiche cul- turali e dell’informazione, un richiamo, seppur sintetico, ai suoi compiti e alle sue attività è sembrato doveroso al fine di fornire un quadro il più esaustivo possibile della tutela che il nostro ordinamento appresta alla donna, non solo nella sua condizione di lavoratrice, ma in quella più ampia di protagonista della vita sociale.
2.2 La legge 125/91 e il suo stato di attuazione: l’indagine conoscitiva della Commissione Lavoro e Previdenza sociale del Senato
La finalità attribuita alla legge 125/91 è, come si legge all’art. 1, quella di “favorire l’occupazione femminile e di realizzare l’uguaglian- za sostanziale tra gli uomini e le donne nel lavoro, anche mediante l’a- dozione di misure, denominate “azioni positive” per le donne, al fine di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità”.
All’art. 2 viene precisato che le “azioni positive” hanno, in parti- colare, lo scopo di:
• eliminare la disparità di fatto di cui le donne sono oggetto nella for- mazione scolastica e professionale, nell’accesso al lavoro, nella pro- gressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità;
• favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne attra- verso l’orientamento scolastico e professionale e gli strumenti della formazione, nonché favorire l’accesso al lavoro autonomo;
• superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che provocano effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipen- denti con pregiudizio nella formazione, nell’avanzamento professio- nale e di carriera ovvero nel trattamento retributivo;
• promuovere l’inserimento delle donne nelle attività, nei settori profes- sionali e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate e, in partico-
lare, nei settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabi- lità;
• favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, da un lato, l’equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e, dall’altro, una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi.
Per quel che riguarda le cc.dd. Istituzioni della parità, deputate a promuovere le “azioni positive” di cui all’art. 2, l’art. 3 indica il Comi- tato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici, istituito presso il Ministero del lavoro; i Consiglieri di parità, nominati dal Ministro del lavoro su designazione del competente organo delle Regioni e senti- te le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative; i Centri per la parità e le pari opportunità previsti a livello nazionale, locale e aziendale, nonché i datori di lavoro sia pubblici che privati, i centri di formazione professionale, le organizzazioni sindacali nazionali e terri- toriali.
Quanto ai compiti delle Istituzioni sopra richiamate, particolar- mente significativi e delicati sono quelli attribuiti al Comitato il quale:
formula proposte per lo sviluppo e il perfezionamento della legis- lazione che incide direttamente sulle condizioni di lavoro delle donne e verifica lo stato di attuazione della legislazione vigente in materia di parità;
promuove l’adozione di azioni positive da parte di pubbliche Isti- tuzioni;
esprime parere sul finanziamento delle azioni positive ed opera il controllo sui progetti in itinere verificandone la corretta attuazione e l’esito finale;
promuove l’adeguata rappresentanza delle donne negli Organismi pubblici nazionali e locali competenti in materia di lavoro e formazione professionale; redige un rapporto sull’attuazione della legge 125/91.
La legge pone anche un obbligo a carico delle Amministrazioni dello Stato di adottare piani di azioni positive volti ad assicurare la ri- mozione degli ostacoli che impediscono la piena realizzazione di pari opportunità di lavoro e nel lavoro tra uomini e donne, nonché un obbli-
go a carico delle imprese, sia pubbliche che private, che occupano oltre cento dipendenti di redigere un rapporto almeno ogni due anni, sulla si- tuazione del personale maschile e femminile in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli e dei passaggi di categoria o qualifica, dei licenziamenti e della retribu- zione effettivamente corrisposta. In caso di inottemperanza sono previ- ste sanzioni e si può arrivare alla sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall’azienda.
Per quel che concerne le azioni in giudizio contro atti o comporta- menti che possano produrre effetti pregiudizievoli discriminando anche in via indiretta in ragione del sesso, dalla normativa in esame è contem- plata la possibilità che l’azione venga promossa anche tramite il Consi- gliere di parità.
Richiamate sommariamente le disposizioni che avrebbero dovuto favorire l’occupazione femminile e l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro resta da chiedersi quale sia stata la concreta inciden- za della normativa in oggetto sull’occupazione femminile.
La Commissione Lavoro del Senato, dopo aver avviato alcuni sommari accertamenti sullo stato di attuazione della legge, ha ritenuto necessario approfondire l’indagine al fine di pervenire alla ricostruzio- ne di un quadro il più possibile esauriente della situazione che, già dai primi dati acquisiti, appariva piuttosto critica.
Ha quindi deciso di esperire un’indagine conoscitiva, realizzata mediante audizioni, acquisizione di documenti, informazioni, sopral- luoghi con audizioni a Milano, Firenze e Napoli. A seguito dei lavori svolti è stato redatto un documento, approvato all’unanimità nella sedu- ta del 26 settembre 1995, dal quale, in estrema sintesi, è emerso che, la L.125/91, pur rappresentando una svolta rispetto alla legislazione pre- cedente nel suo sforzo di passare da un concetto di parità formale a un concetto di parità sostanziale e di pari opportunità nell’accesso e nello svolgimento del lavoro, è rimasta quasi totalmente inattuata.
Infatti:
• i finanziamenti destinati alle azioni positive sono stati modesti e non sempre utilizzati al meglio; lunghissimi, poi, sono stati i tempi di am- missione ai finanziamenti stessi;
• la Pubblica Amministrazione, obbligata a realizzare azioni positive nei suoi vari settori, non ha fatto pressoché nulla;
• le Istituzioni di parità, che nell’intento del legislatore avrebbero dovu- to rappresentare il cardine della legge, hanno incontrato grandi diffi- coltà di funzionamento. In particolare, il Comitato nazionale non ha potuto assumere quel ruolo di indirizzo e riferimento che sarebbe sta- to essenziale. La nomina dei Consiglieri di parità è avvenuta solo par- zialmente e con grande ritardo; questi ultimi, poi, non sono stati messi in grado di operare efficacemente perché privi di mezzi adeguati;
• le azioni in giudizio sono state pochissime sia a livello collettivo che indivi- duale e ancora meno sono state quelle promosse dai Consiglieri di parità;
• la trasmissione del rapporto biennale sulla situazione del personale, prevista quale obbligo a carico delle aziende con più di cento dipen- denti, non è avvenuta regolarmente e, nelle ipotesi in cui è avvenuta, spesso non è stata di grande utilità, poiché alcune aziende si sono li- mitate ad inviare dati accorpati che necessitavano di una lettura molto complessa Lo scopo della previsione in oggetto è stato, dunque, com- pletamente vanificato e non poche responsabilità a riguardo sono ri- conducibili al Ministero del Lavoro che, in realtà, non ha assunto al- cuna iniziativa determinante. Va sottolineato che la compilazione del modello per la predisposizione del rapporto in questione, che prevede che le informazioni vengano disaggregate per unità produttiva, distinte per livelli contrattuali e suddivise per anno, non risulta per nulla agevole; sarebbe, pertanto, auspicabile che si provvedesse a fa- cilitare l’assolvimento di questo obbligo posto a carico delle imprese prevedendo un modello di più facile compilazione;
• infine, la legislazione del lavoro successiva alla legge in esame ha te- nuto ben poco conto degli obiettivi specifici enunciati nell’art. 1, co. 1; nei casi in cui questo è avvenuto, come nel caso della legge 215/92, in materia di azioni positive per l’imprenditoria femminile, per molti versi strettamente collegata alla L. 125/91, non è andata meglio visto la L. 125 è rimasta, per molti aspetti, sostanzialmente disapplicata.
A conclusione della sua indagine la Commissione ha indicato, tra le cause della mancata piena attuazione della L. 125/91, lo scoordina- mento fra organi dello Stato, i contrasti tra i Ministeri, la sovrapposizio-
ne di competenze tra Comitato e Commissione nazionale parità (quella istituita con la L.164/90), oltre agli inadempimenti e alle resistenze del- l’Amministrazione nel suo complesso, sia a livello centrale che locale: le responsabilità principali della mancata attuazione, infatti, non sono state ravvisate, a giudizio della Commissione, tanto nelle carenze della legge, quanto nella difficoltà che essa ha incontrato nella fase attuativa. L’auspicio formulato dalla Commissione è stato, infine, quello che tutte le Parti, coinvolte a vario titolo, si convincano dell’importanza della legge in questione collocandone l’attuazione tra le loro priorità; sul pia- no culturale, poi, la Commissione ha sottolineato la necessità di com- battere le resistenze aperte o latenti e di favorire la diffusione di una ve- ra e propria cultura della parità e delle pari opportunità.
Il 23 maggio 2000, anche in risposta all’indagine conoscitiva della Commissione Lavoro e previdenza sociale del Senato, è stato emanato il decreto legislativo n. 196 avente ad oggetto la “Disciplina dell’attività del- le consigliere e dei consiglieri di parità e disposizioni in materia di azioni positive, a norma dell’art. 47 della legge 17 maggio 1999, n. 144 che ha recepito parte delle indicazioni avanzate dalla Commissione stessa.
2.3 L’istituzione del Dipartimento per le pari opportunità e le più recenti disposizioni in materia di lavoro delle donne e parità uomo-donna
Con il D.P.C.M. del 28 ottobre 1997, n. 405, nell’ambito della Pre- sidenza del Consiglio dei Ministri, è stato istituito il Dipartimento per le pari opportunità.
Tra le sue competenze, oltre a quelle in materia di indirizzo, pro- posta e coordinamento di iniziative normative, amministrative e di stu- dio, in tutte le materie attinenti alla progettazione e all’attuazione delle politiche di pari opportunità, si segnalano le seguenti:
• la definizione di nuove politiche di intervento, studio e promozione di progetti ed iniziative in materia di parità e pari opportunità;
• l’indirizzo e il coordinamento delle amministrazioni centrali e locali competenti al fine di assicurare la corretta attuazione delle normative degli orientamenti governativi in materia di parità e pari opportunità;
• l’adozione delle iniziative necessarie all’adeguamento dell’ordinamento
nazionale ai princìpi e alle disposizioni dell’Unione Europea e alla realiz- zazione dei programmi comunitari in materia di parità e pari opportunità.
Con un decreto del 5 maggio 2000 è stata conferita al Ministro per le pari opportunità una delega all’esercizio delle funzioni di indirizzo, coordinamento, promozione di iniziative, anche normative, nonché ogni altra funzione attribuita da precedenti disposizioni al Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di pari opportunità.
Tra le funzioni delegate al Ministro si sottolineano quelle volte a:
• promuovere e coordinare le azioni di Governo volte ad assicurare pari opportunità, a prevenire e rimuovere discriminazioni, nonché, a con- sentire l’indirizzo, il coordinamento e il monitoraggio dell’utilizzazio- ne dei relativi Fondi europei;
• promuovere forme di collaborazione tra Stato, Regioni e autonomie locali al fine di riorientare le politiche di perseguimento degli obietti- vi di pari opportunità, nonché attività di prevenzione e rimozione del- le discriminazioni;
• esercitare funzioni di indirizzo, proposta e coordinamento dell’inizia- tiva normativa in tutte le materie attinenti alla progettazione ed attua- zione delle politiche in materia di pari opportunità, cultura delle diffe- renze, equità e qualità sociale per donne e uomini;
• esercitare funzioni di indirizzo e coordinamento delle amministrazioni competenti al fine di assicurare la corretta attuazione delle normative e degli orientamenti governativi in materia di pari opportunità.
Per i provvedimenti promossi dal Ministro per le pari opportunità e per i più significativi provvedimenti legislativi che contribuiscono non solo ad arricchire il quadro di tutela del lavoro femminile, ma ad ampliare la partecipazione delle donne alla vita sociale del nostro paese, si rimanda a quanto contenuto a riguardo nell’appendice del presente Rapporto.
2.4 Le molestie sessuali sui luoghi di lavoro: la normativa comunitaria
• Direttiva del Consiglio UE del 1976;
• Risoluzione del Consiglio del 29 maggio 1990;
• Raccomandazione della Commissione del 27 novembre 1991;
• Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del giugno 2001 per la modifica della Direttiva 76/207/CEE.
Per costruire il quadro di riferimento normativo europeo sul tema delle molestie sessuali sui luoghi di lavoro è utile partire dalla Direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all’attuazione del principio della pa- xxxx tra gli uomini e le donne in materia di accesso al lavoro, formazio- ne, promozione professionale e condizioni di lavoro. La Direttiva in pa- rola non ha quale oggetto specifico il tema delle molestie ma quello dell’attuazione del principio della parità uomini-donne, tuttavia le due tematiche, seppur diverse, finiscono per avere degli aspetti che le acco- munano.
Si vuole qui richiamare, prima ancora della Raccomandazione del- la Commissione sulla tutela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro, la Risoluzione del Consiglio del 29 maggio 1990, relativa alla protezione della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro, nella quale si afferma che “le molestie sessuali sul posto di lavoro possono risultare contrarie al principio della parità di trattamento della direttiva tra donne e uomini ai sensi della Direttiva 76/207/CEE del Consiglio.
La Raccomandazione della Commissione sopra citata, la 92/131/CEE del 27 novembre 1991, dopo aver richiamato in premessa la considerazione che “ogni comportamento indesiderato a connotazio- ne sessuale o qualsiasi altro comportamento basato sul sesso, compre- so quello dei superiori e dei colleghi che offenda la dignità degli uomi- ni e delle donne sul lavoro è inammissibile e, in determinate circostan- ze, può essere contrario al principio di parità di trattamento ai sensi della direttiva 76/207/CEE del Consiglio”, raccomanda, all’art. 1, che “gli Stati membri si adoperino per promuovere la consapevolezza che qualsiasi comportamento a connotazione sessuale o altro tipo di com- portamento basato sul sesso, compreso quello di superiori e colleghi, che offenda la dignità delle donne e degli uomini sul lavoro é inammis- sibile se:
a) indesiderato, sconveniente o offensivo per la persona che lo subisce;
b) il suo rigetto o la sua accettazione vengono assunti esplicitamente o
implicitamente dai datori di lavoro o dai dipendenti (compresi i su- periori e i colleghi) a motivo di decisioni inerenti all’accesso alla formazione professionale, all’assunzione di un lavoratore, al mante- nimento del posto di lavoro, alla promozione, alla retribuzione o di qualsiasi altra decisione attinente all’impiego;
c) crea un ambiente intimidatorio, ostile o umiliante, e che siffatti com- portamenti possano, in determinate circostanze, costituire una viola- zione del principio della parità di trattamento ai sensi degli artt. 3, 4 e 5 della Direttiva 76/207/CEE”.
All’art. 3 della Raccomandazione della Commissione si esortano gli Stati membri affinché “incoraggino i datori di lavoro e i rappresentanti dei lavoratori a definire provvedimenti volti ad attuare il Codice di con- dotta della Commissione relativo alla tutela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro”, mentre all’art. 4, si prevede che “gli Stati mem- bri comunichino alla Commissione, entro i tre anni susseguenti l’adozione della Raccomandazione, i provvedimenti adottati per la sua esecuzione af- finché possa essere redatta una relazione su tali provvedimenti”.
A seguito della Risoluzione del Consiglio del 29 maggio 1990 la Commissione, nell’intento di fornire linee direttrici a datori di lavoro, sindacati e lavoratori volte a prevenire e reprimere qualsiasi tipo di mo- lestie sessuale, ha messo a punto un Codice di comportamento per per- seguire tale obiettivo, allegato alla Raccomandazione 92/131/CEE.
Il Xxxxxx, dopo aver ricordato la definizione di molestia sessuale contenuta nella Raccomandazione, invita i destinatari a rispettare le re- gole di condotta in esso contenute, nonché ad inserire negli Accordi collettivi clausole idonee al raggiungimento dello scopo.
Nel rivolgersi ai datori di lavoro li invita a pubblicare una dichia- razione di principio che, da un lato, affermi espressamente che le mole- stie sessuali non possono essere ammesse né tollerate e che i lavoratori hanno il diritto di lamentarsene qualora ne siano oggetto e, dall’altro, indichi la procedura da seguire in caso di denuncia o di richiesta d’aiu- to, nonché le misure disciplinari da adottare. Si precisa altresì che un’a- deguata formazione costituisce un mezzo importante di lotta contro le molestie sessuali.
Nel rivolgersi ai sindacati viene sottolineato che il problema delle molestie è un problema che riguarda anche loro; spetterebbe ai sindacati, secondo la Commissione, fissare e pubblicare note chiare sulle molestie, attivarsi al fine di sensibilizzare il personale e contribuire ad instaurare un clima nel quale le molestie non vengano né ignorate né tollerate.
Il Codice si rivolge, poi, agli stessi lavoratori ai quali viene affida- to un compito da svolgere: sono tenuti a tenere un comportamento non offensivo, a scoraggiare qualsiasi comportamento reprensibile, a dare il proprio sostegno alle vittime e ad informare l’Amministrazione o la di- rezione e/o il rappresentante del personale di quanto accade sul lavoro.
Quanto al valore da attribuire alla Raccomandazione e al Codice di comportamento sopra richiamati va detto che pur avendo natura di soft law, quindi pur non avendo immediata vincolatività nei confronti degli Stati membri, sono tuttavia atti in grado di orientare l’interpretazione giu- diziale, tenuta ad uniformarsi ai principi del diritto comunitario.
Non va poi dimenticata l’influenza degli atti in parola sui protocolli e sugli atti negoziali che costituiscono oggi la fonte della regolamentazione della materia. Per questo si rimanda alla terza parte del Rapporto.
Nel giugno 2001 il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione Europea hanno messo a punto una proposta che modifica la Direttiva 76/207/CEE.
L’obiettivo della futura Direttiva rimane quello di dare attuazione negli Stati membri al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra donne e uomini sul lavoro. Nell’atto di cui trattasi è con- tenuta la distinzione tra discriminazione diretta ed indiretta, nonché le definizioni di molestie in generale e molestie sessuali in particolare.
Riguardo alle molestie (dell’uno e dell’altro tipo) si precisa che sono considerate una discriminazione fondata sul sesso e sono, perciò, proibite.
Gli Stati membri sono tenuti ad introdurre misure che “facciano obbligo a coloro che in virtù delle normative nazionali sono responsa- bili dell’accesso alla formazione, all’occupazione e all’impiego, o delle condizioni ad esse afferenti, di introdurre misure per prevenire le mole- stie sessuali eventualmente anche mediante un sistema di Consiglieri confidenziali sul posto di lavoro”.
Altre disposizioni particolarmente significative contenute nella
proposta sono quelle che prevedono che “qualsiasi disposizione contra- ria al principio di parità di trattamento tra uomini e donne compresa in contratti collettivi, contratti di lavoro individuali, regole interne di im- prese o regole che disciplinano le attività e le professioni autonome é priva di effetto”; quelle che stabiliscono che “gli Stati membri introdu- cono nei rispettivi ordinamenti giuridici nazionali le misure necessarie per permettere a tutti coloro che si ritengono lesi dalla mancata appli- cazione nei loro confronti del principio di parità di trattamento, di far valere i propri diritti in via giurisdizionale, eventualmente dopo aver fatto ricorso anche ad altre istanze competenti, anche dopo la fine del rapporto di lavoro”; quelle che prevedono che “gli Stati membri intro- ducono nei rispettivi ordinamenti giuridici nazionali le misure necessa- rie per proteggere le persone a cui si riferisce la Xxxxxxxxx, compresi i lavoratori e i rappresentanti sindacali, nel ruolo di vittime o di testimo- ni, dal licenziamento o da qualsiasi alto trattamento o conseguenza svantaggiosi ...”; quella, infine, che prevede che “gli Stati membri isti- tuiscono un Organismo indipendente per l’attuazione del principio del- la parità di trattamento tra gli uomini e le donne”.
2.5 Il fenomeno del mobbing e la Risoluzione del Parlamento europeo
Il mobbing non è un fenomeno nuovo, ma è preoccupante il fatto che sia in espansione tanto nel settore pubblico, quanto in quello priva- to. Vi sono differenti definizioni di mobbing: per qualcuno il mobbing è quel comportamento abusivo (costituito da gesti, parole, atteggiamento ecc.) che minaccia, con la sua ripetizione o la sua sistematizzazione, la dignità o l’integrità psicofisica di una persona, mettendo in pericolo il suo posto di lavoro o degradando il clima lavorativo; altri lo definiscono, in- vece, come la pressione esercitata da un gruppo di lavoratori su uno dei suoi membri. Anche la derisione e l’emarginazione, i comportamenti abu- sivi a connotazione sessuale o le aggressioni fisiche sono considerate e- spressione del fenomeno. In ogni caso i metodi utilizzati in una situazio- ne di mobbing consistono in atteggiamenti ostili volti a isolare la persona presa di mira, a minare le sue condizioni di lavoro, ad attentare alla sua dignità, ad esercitare nei suoi confronti violenza verbale o fisica. Xxxxx
maggior parte dei casi il molestatore è un membro della gerarchia del- l’impresa o dell’amministrazione, ma il mobbing può essere esercitato anche dai subordinati nei confronti di un superiore gerarchico.
Il Comitato economico e sociale francese (CES) ha adottato il 21 a- prile 2001 un parere secondo il quale, alla luce di indagini sia nazionali che internazionali, è possibile stabilire un profilo tipo della vittima; que- sta, il più delle volte, è di sesso femminile e di età superiore ai 40 anni.
Dati forniti da uno studio realizzato in Francia mettono in luce i fat- to che è interessato dal fenomeno il 70% delle donne rispetto al 30% de- gli uomini e le più colpite sono quelle appartenenti a minoranze razziali, le portatrici di handicap, quelle aventi un diverso orientamento sessuale, nonché le donne incinte. Risulta, poi, che il passaggio dal mobbing alle molestie sessuali è piuttosto frequente tanto che, spesso, le molestie ses- suali non sono altro che il passo successivo del mobbing. Nel documento del CES viene sottolineato come le situazioni di molestie sessuali presen- tano notevoli somiglianze con quelle del mobbing come, ad esempio, la difficoltà per la vittima di raccontare quanto accaduto, difendersi, presen- tare querela, fornire le prove, trovare i testimoni.
Gli effetti del mobbing non solo sono devastanti per la salute dei lavoratori che ne sono oggetto, ma producono gravi danni anche alle a- ziende e alle amministrazioni. Infatti il mobbing si ripercuote pesante- mente sulla produttività e sull’efficienza delle aziende e delle ammini- strazioni a causa dell’assenteismo che provoca e in ragione delle spese e delle indennità che devono essere versate al lavoratore per malattia o licenziamento.
Il Parlamento europeo, nel 2001, ha adottato una Risoluzione della quale si riportano le raccomandazioni e le esortazioni più significative:
• si esortano gli Stati membri a rivedere e/o completare la propria legis- lazione sotto il profilo della lotta contro il mobbing e le molestie ses- suali sul posto di lavoro, nonché a verificare e ad uniformare la defi- nizione della fattispecie del mobbing;
• si sottolinea espressamente la responsabilità degli Stati membri e del- l’intera società per il mobbing e la violenza sul posto di lavoro, ravvi- sando in tale responsabilità il punto centrale di una strategia di lotta a tale fenomeno;
• si raccomanda agli Stati membri di imporre alle imprese, ai pubblici poteri nonché alle Parti sociali l’attuazione di politiche di prevenzione efficaci, l’introduzione di un sistema di scambio di esperienze e l’in- dividuazione di procedure atte a risolvere il problema;
• si esortano le Parti sociali negli Stati membri ad elaborare, tra di loro e a livello comunitario, strategie idonee di lotta contro il mobbing e la violenza sul posto di lavoro, procedendo altresì ad uno scambio di e- sperienze in merito secondo il principio delle “buone pratiche”;
• si invita la Commissione a presentare, entro il marzo 2002, un Libro verde contenente un’analisi dettagliata della situazione relativa al mobbing sul posto di lavoro in ogni Stato membro e, sulla base di questa analisi, a presentare, entro l’ottobre 2002, un Programma d’a- zione concernente le misure comunitarie contro il mobbing.
2.6 La nuova normativa italiana in materia di congedi parentali, con- gedi per la formazione e coordinamento dei tempi delle città: dalle leggi 1204/71 e 903/77 alla legge 53/2000
La legge 8 marzo 2000, n. 53, “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”, più comunemente cono- sciuta come “legge sui congedi parentali”, si è posta l’obiettivo di pro- muovere un equilibrio e un’armonizzazione tra i tempi di lavoro, di cu- ra, di formazione e di relazione.
Il legislatore italiano, recependo la direttiva 96/34/CE del Consi- glio, ha voluto favorire una diversa organizzazione dei tempi di vita e di lavoro, ribadendo, da un lato, il valore sociale della maternità e della paternità e ponendo, dall’altro i presupposti per il soddisfacimento delle diverse esigenze che ciascun individuo può avere nel corso della pro- pria vita, in particolare, di quelle legate non solo alla maternità e alla paternità e, quindi, al conseguente dovere di prendersi cura dei figli, ma anche alla necessità di prestare le proprie cure a soggetti portatori di handicap. La legge, inoltre, contiene previsioni finalizzate a garantire ai
lavoratori la possibilità di soddisfare aspirazioni di carattere individuale o professionale attraverso la frequentazione di corsi di aggiornamento, di formazione o di studio.
Tale provvedimento, che si inserisce all’interno della storia giusla- voristica del nostro Paese modificando radicalmente i due testi legislati- vi che hanno dettato disposizioni in materia di tutela delle lavoratrici madri (L. 1204/71) e assistenza, integrazione sociale e diritti delle per- sone portatrici di handicap (L. 104/92), è animato da una importante o- biettivo: individuare nell’attribuzione ad entrambi i genitori il diritto soggettivo ai congedi parentali per rendere possibile una ridistribuzione del lavoro di cura nella famiglia tra i due sessi.
Se si considera che gli uomini italiani sono, in Europa, quelli che dedicano meno tempo alle cure familiari e domestiche, si può cogliere fino in fondo la portata innovativa di questa previsione. A differenza della legge 903/77 sulla parità di trattamento tra uomo e donna in mate- ria di lavoro, essa, per la prima volta, introduce la individualizzazione dei diritti di paternità non solo in alternativa a quelli della madre, ma come diritto/dovere del padre in quanto tale.
Il punto di forza di questa legge può essere individuato nel fatto che apre nuovi scenari e offre opzioni che valgono per le donne come per gli uomini. Diversamente, se fosse stata ritagliata solo sulle donne, ne avrebbe riaffermato la debolezza, come persone e come lavoratrici. Superando, invece, il taglio della sola “parità” potrà essere una leva al- l’interno del sistema di condivisione del lavoro di cura.
Della legge in esame si è detto che pone le condizioni perché gli uomini, le donne e le Istituzioni stipulino un “patto” che punti ad una crescita complessiva delle libertà, in armonia con il sistema produttivo. Difatti, oltre alle agevolazioni per i lavoratori e le lavoratrici, la legge 53/2000 prevede anche agevolazioni e contributi per i datori di lavoro che favoriscano misure a sostegno della flessibilità degli orari e, per le piccole imprese, la riduzione del 50% degli oneri contributivi per i la- voratori assunti in sostituzione di quelli in congedo. Anche alla contrat- tazione, dunque, viene offerta l’opportunità di promuovere la diffusione di una maggiore articolazione degli orari di lavoro grazie alla previsio- ne dello stanziamento di fondi ad hoc, seppur modesti, offerti alle pic-
xxxx e medie imprese disponibili alla realizzazione di progetti volti a rendere gli orari di lavoro più flessibili.
Le principali novità della recente normativa possono così sintetiz- zarsi:
• riconoscimento ad entrambi i genitori del diritto individuale al conge- do parentale per la nascita o l’adozione di un bambino e promozione della figura paterna attraverso meccanismi premiali volti a diffondere la cosiddetta “paternità responsabile”;
• parificazione dei genitori naturali, adottivi e affidatari;
• flessibilità dell’astensione obbligatoria: è conferita alla donna la pos- sibilità di far decorrere la stessa dall’ottavo mese di gravidanza anzi- ché dal settimo, e di usufruire, quindi, di un’astensione post partum di quattro mesi invece di tre, sempre che tale scelta non pregiudichi la sua salute e quella del nascituro;
• incentivazione dell’assunzione di lavoratori a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in astensione obbligatoria o facoltativa dal lavoro;
• divieto di licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione dei congedi parentali, utilizzabili fino all’ottavo anno di età del bambino;
• possibilità, per i lavoratori in congedo, di vedersi anticipare il tratta- mento di fine rapporto per sostenere le spese nel periodo di astensione facoltativa dal lavoro.
Più dettagliatamente, la legge 53/200 prevede, per la madre che:
• la lavoratrice, trascorso il periodo di astensione obbligatoria, ha il di- ritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
• alle lavoratrici autonome viene esteso il congedo facoltativo per un massimo di tre mesi, entro il primo anno di vita del bambino, a partire dal 1 gennaio 2000;
• nel caso di parto plurimo i periodi di riposo sono raddoppiati;
• le lavoratrici hanno diritto ad una indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione per tutto il periodo di astensione obbligatoria.
Per il padre che:
• ha diritto di xxxxxxxsi dal lavoro per un periodo continuativo o frazio- nato non superiore a sei mesi;
• qualora si astenga dal lavoro per un periodo non inferiore a tre mesi il limite viene elevato a sette mesi e l’astensione complessiva dei geni- tori, pari complessivamente a dieci mesi, viene innalzata a undici;
• ha diritto di xxxxxxxsi dal lavoro nei primi tre mesi dalla nascita del fi- glio in caso di morte o di grave infermità della madre, in caso di ab- bandono del figlio da parte di quest’ultima, in caso di affidamento e- sclusivo del bambino al padre.
I periodi di riposo riconosciuti alla madre sono riconosciuti anche al padre nel caso in cui:
1. i figli siano affidati solo al padre;
2. la madre non se ne avvalga;
3. la madre non sia lavoratrice dipendente.
Per entrambi i genitori si prevede che:
• nei primi otto anni di vita del bambino ciascun genitore ha il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo complessivo non superiore a dieci mesi per entrambi i genitori;
• qualora vi sia un solo genitore è possibile l’astensione dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi;
• entrambi i genitori hanno diritto di astenersi dal lavoro durante le ma- lattie del bambino di età compresa tra i tre e gli otto anni, nel limite dei cinque giorni lavorativi l’anno per ciascun genitore. La malattia che dà luogo a ricovero ospedaliero interrompe il decorso del periodo di ferie in godimento da parte del genitore;
• nei casi di astensione dal lavoro lavoratori e lavoratrici hanno diritto
alla conservazione del posto di lavoro e, salvo il caso in cui vi rinun- cino espressamente, al rientro nella stessa unità produttiva nella quale erano occupati e ad essere adibiti alle mansioni da ultimo svolte o equivalenti.
Per i periodi di astensione facoltativa, ai lavoratori e alle lavoratri- ci è dovuto:
• fino al terzo anno di vita del bambino, il 30% della retribuzione per un periodo massimo complessivo per entrambi i genitori di sei mesi;
• fino al compimento dell’ottavo anno di età, un’indennità pari al 30% della retribuzione, nell’ipotesi in cui il reddito individuale dell’inte- ressato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria.
Le disposizioni che permettono i congedi per cura, educazione, as- sistenza malattia e allattamento sono estese anche ai genitori adottivi o affidatari. Il limite di età del bambino, di solito fissato a otto anni, è, in questi casi, più elastico: se il minore ha un’età compresa tra i sei e i do- dici anni, il diritto di astenersi per i motivi sopra citati può essere eser- citato nei primi tre anni dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.
Anche i permessi lavorativi per i familiari di persone disabili, fino- ra regolati dall’art. 33 della legge 104/92 e da una lunga serie di senten- ze, pareri e circolari applicative che hanno lasciato aperte molte questio- ni finendo per generare, talvolta, situazioni paradossali, sono stati disci- plinati dalla legge 53/2000, nel tentativo di razionalizzare il sistema.
Si fa qui cenno agli aspetti più interessanti.
Tali permessi vengono concessi anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto; oltre che retribuiti, sono coperti da contributi figurativi, utili per il raggiungimento del diritto alla pensione; la convivenza del lavoratore con il familiare affetto da grave handicap, parente o affine entro il terzo grado, non è più richiesta per poter fruire dei tre giorni di permesso mensile; è richiesto, però, che il lavoratore, seppur non convi- vente con il disabile, lo assista con continuità.
La legge finanziaria per il 2001(L. 388/2000) all’art. 80, comma 2, prevede la possibilità di due anni di congedo retribuito per l’assistenza
di figli disabili gravi; l’art. 4-bis, aggiunto con la L. 388/000 alla L. 53/2000, dispone, infatti, che “La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, o, dopo la loro scomparsa, uno dei fratelli o delle sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità ... hanno diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 del presente articolo entro sessanta giorni dalla richiesta. Durante il perio- do di congedo, il richiedente ha diritto di percepire un’indennità corri- spondente all’ultima retribuzione e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa ...”.
La lavoratrice madre di un figlio disabile, entro i primi tre anni di vita del figlio, e dopo il periodo di astensione obbligatoria, ha diritto:
• a prolungare il periodo di astensione facoltativa, già previsto dalla leg- ge 1204/71, e il periodo aggiuntivo verrà coperto da contribuzione fi- gurativa, utile ai fini dell’anzianità di servizio;
• ad usufruire di due ore di permesso giornaliero, retribuito e coperto da contributi figurativi.
I due benefici sono fra loro alternativi e non sono estesi né alle la- voratrici autonome, né alle lavoratrici a domicilio. I permessi di cui so- pra, spettanti alla madre lavoratrice, sono fruibili, in alternativa, anche dal padre lavoratore dipendente il quale, nell’ipotesi in cui la madre sia lavoratrice autonoma e non abbia, quindi, titolo alla fruizione dei per- messi, potrà usufruirne in sua vece.
Ma la normativa in oggetto non si limita, come si è già detto, a tu- telare la maternità e la paternità e a prevedere novità in materia di per- messi per l’assistenza a congiunti portatori di handicap, visto che con- tiene anche disposizioni volte a soddisfare anche altre esigenze.
Ci soffermeremo, dunque, sulle questioni particolarmente rilevanti. L’importanza della conoscenza e del sapere in una società in conti-
nuo mutamento e in un mondo del lavoro sempre più competitivo è alla
base della scelta del legislatore di offrire alla lavoratrice come al lavo- ratore la possibilità di accrescere il proprio bagaglio di conoscenze e competenze, sia come arricchimento individuale che collettivo. Vengo- no, dunque, previste nuove opportunità per la formazione e l’aggiorna- mento professionale: i lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati,
con almeno cinque anni di anzianità di servizio presso la stessa azienda o amministrazione, possono richiedere una sospensione del rapporto di lavoro per congedi formativi per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a undici mesi nell’arco dell’intera vita lavorativa. I con- gedi in parola possono essere richiesti per completare la scuola dell’ob- bligo, per conseguire un titolo di studio di secondo grado, un diploma universitario o un diploma di laurea o per partecipare ad attività forma- tive diverse da quelle poste in essere o finanziate dal datore di lavoro. Durante tale periodo, che non è computabile nell’anzianità di servizio, il dipendente conserva il posto di lavoro, ma non ha diritto alla retribu- zione. A tutela delle imprese è previsto, però, che, nel caso di compro- vate difficoltà organizzative il datore di lavoro può rifiutare la domanda di congedo, ovvero differirla. Ai singoli contratti collettivi nazionali di lavoro è demandato il compito di dettare le modalità di fruizione del congedo stesso, di individuare le percentuali massime di lavoratori che possono avvalersene, di disciplinare le ipotesi di differimento o di di- niego all’esercizio di tale possibilità e di fissare i termini di preavviso che, comunque, non possono essere inferiori a trenta giorni. La norma non manca, poi, di affermare con chiarezza il diritto dei lavoratori di proseguire i percorsi di formazione, al fine di accrescere conoscenze e competenze, per tutto l’arco della vita lavorativa.
Per quel che concerne le misure a sostegno della flessibilità, la legge destina, nell’ambito del Fondo per l’occupazione, una quota fino a 40 miliardi l’anno, a partire dall’anno 2000, per erogare contributi dei quali almeno il 50% destinato ad imprese fino a 50 dipendenti, in favo- re di aziende che applichino accordi contrattuali che prevedano azioni positive in favore della flessibilità degli orari e dell’organizzazione del lavoro e, in particolare, attuino progetti articolati che coinvolgano una lavoratrice madre o un lavoratore padre, anche quando uno dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando abbiano in affidamento o in ado- zione un minore. Ai genitori si rivolgono quelle disposizioni che con- sentono di usufruire di particolari forme di flessibilità tra cui part-time reversibile, telelavoro, lavoro a domicilio, orario flessibile in entrata e in uscita, banca delle ore, flessibilità su turni, orario concentrato. Que- ste previsioni sono rivolte, principalmente, a genitori che abbiano figli fino a otto anni di età o fino a dodici in caso di adozione o affidamento.
E’ di grande portata innovativa la previsione dell’estensione di questo tipo di possibilità anche al titolare d’impresa o al lavoratore autonomo che possono beneficiare del periodo di astensione obbligatoria o dei congedi parentali purché sostituiti da altro lavoratore autonomo o altro titolare d’impresa.
L’ultimo aspetto della legge 53/2000 che si vuole qui considerare è quello che ha per oggetto il cambiamento dei tempi delle città: la norma interviene, difatti, per dettare una nuova regolamentazione dei temi del- le città che, come avviene per gli spazi, diviene materia vincolante per gli Enti locali. In particolare, le Regioni vengono chiamate a stabilire norme per il coordinamento da parte dei Comuni, degli orari degli eser- cizi commerciali, dei servizi pubblici, degli uffici periferici delle ammi- nistrazioni pubbliche, oltre alla promozione dell’uso del tempo per fini di solidarietà sociale. Lo scopo è quello di progettare specifici “Piani territoriali degli orari”, cioè una pianificazione che permetta di ridurre i tempi degli spostamenti, nonché di utilizzare negozi e uffici pubblici in orari più ampi e articolati.
Si tratta di un provvedimento molto innovativo che, assieme al sindaco di ogni città, vedrà coinvolti il Prefetto, il Presidente delle Pro- vincia, i presidenti delle comunità montane, i dirigenti delle pubbliche amministrazioni, i rappresentanti sindacali dei lavoratori e degli im- prenditori, il provveditore agli studi, i presidenti delle aziende di tra- sporto urbano ed extraurbano e delle ferrovie quali componenti di una task-force impegnata ad elaborare un piano specifico che, in ogni Co- mune, porti all’innalzamento della qualità della vita cittadina. Per quel che concerne, in particolare, i servizi della pubblica amministrazione la norma prevede che parte di questi vengano informatizzati in modo da garantire prestazioni informative anche durante gli orari di chiusura, ri- durre tempi di attesa e semplificare l’accesso ai servizi al fine di venire incontro, soprattutto, ai cittadini lavoratori e lavoratrici.
Viene, infine, favorita la nascita delle banche dei tempi, associa- zioni dove i singoli cittadini, associazioni, organizzazioni ed enti, pos- sono scambiare parte del loro tempo libero per impieghi di reciproca u- tilità: ciascuno, in pratica, può mettere a disposizione il proprio tempo libero per svolgere gratuitamente mansioni di qualsiasi tipo a seconda
delle proprie inclinazioni, capacità, competenze specifiche, possibilità, ricevendo, in cambio, pari “tempo”, in servizi svolti da altri. La norma contiene l’invito rivolto agli Enti locali a sostenere e promuovere la co- stituzione delle suddette banche del tempo; a tale riguardo precisa che gli Enti locali possono disporre a favore di esse l’utilizzo di locali e ser- vizi, organizzare attività di promozione, formazione e informazione; possono, altresì aderire ad esse e stipulare accordi che prevedano scam- bi di tempo da destinare a prestazioni di mutuo aiuto a favore di singoli cittadini o della comunità locale.
Per le disposizioni normative che hanno dato attuazione ad alcuni arti- coli della L. 53/2000 si rimanda alla parte seconda dell’Appendice (pag. 105).
2.7 Il Testo Unico in materia di tutela e di sostegno della maternità e della paternità
Il Testo Unico sulla maternità e paternità, emanato con decreto le- gislativo il 26 marzo 2001, raccoglie tutte le disposizioni normative in tema di tutela e sostegno alla maternità e alla paternità contenute in più di venticinque leggi. Emanato in attuazione della delega contenuta nel- l’articolo 15 della legge n. 53 del 2000, sistematizza il variegato pano- rama legislativo costituito dalle norme vigenti sulla salute della lavora- trice, sui congedi di maternità e di paternità e parentali, sui riposi e i permessi, sull’assistenza ai figli malati, sui diritti e sulle disposizioni speciali riguardanti, tra l’altro, il personale militare e della polizia di Stato, il lavoro stagionale e a tempo parziale, il lavoro a domicilio e do- mestico, le lavoratrici autonome e le libere professioniste.
Il Testo Unico non si limita a riordinare la materia, ma chiarisce anche alcune questioni di non facile né univoca interpretazione. Rico- nosce, espressamente, che il congedo parentale spetta per ogni figlio, anche nel caso di gemelli; precisa meglio le condizioni che occorrono per usufruire del congedo per malattia del figlio, malattia per la quale, esclusa la visita fiscale prevista per la malattia del lavoratore, è neces- saria la certificazione non del pediatra, ma della Asl o di un medico convenzionato; coordina la disciplina che regola permessi, riposi e con-
gedi per figli con handicap grave; dà rilievo alle disposizioni sul lavoro notturno nel senso di ribadire che resta il divieto del lavoro notturno per la lavoratrice, in tutti i settori, per tutta la durata della gravidanza e il pri- mo anno di vita del bambino; ribadisce la possibilità di usufruire del congedo parentale fino agli otto anni di vita del bambino e, per il padre, mette in evidenza il fatto che esiste a suo favore un vero e proprio diritto al congedo parentale a prescindere dalla situazione della madre.
Indica, inoltre, espressamente, le norme abrogate anche implicita- mente dai vari provvedimenti legislativi che si sono succeduti nel tem- po; coordina formalmente il testo delle disposizioni vigenti apportando le modifiche necessarie a garantire coerenza logica e sistematica all’in- tera normativa in tema di tutela e sostegno alla maternità e alla paterni- tà; fa chiarezza, in particolare, nella disciplina dei congedi parentali, fi- no ad oggi caratterizzata da più provvedimenti spesso di non facile in- terpretazione.
2.8 Le donne e il part-time: i decreti legislativi 61/00 e 100/01
Il lavoro a tempo parziale, o lavoro part-time, introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 5 della legge 863/84 è stato di recente novellato con il decreto legislativo 61/2000.
Tra gli obiettivi principali del decreto 61/2000, varato dal Consi- glio dei Ministri il 28 gennaio 2000 in attuazione della Direttiva 97/81/CE, c’è quello di incoraggiare il ricorso a questo tipologia di la- voro, anche al fine di aumentare la partecipazione al mercato del lavoro delle donne, dei giovani e degli anziani.
La nuova normativa che, però, non ha tenuto in debito conto delle aperture offerte dalla Direttiva alla quale è ispirata, vorrebbe rendere più flessibile il rapporto, facilitando, da un lato, il ricorso al lavoro sup- plementare, e introducendo, dall’altro, un sistema di incentivi alle im- prese.
Altro obiettivo che tenta di perseguire è quello di eliminare le di- scriminazioni che hanno spesso caratterizzato il rapporto part-time ri- spetto al rapporto full-time.
Lascia, inoltre, alla contrattazione collettiva la definizione di a- spetti importanti quali le modalità temporali di svolgimento del part-ti- me misto; il numero massimo di ore di lavoro supplementare; le causali per richiedere l’effettuazione di lavoro supplementare; la percentuale di maggiorazione della retribuzione oraria per il lavoro supplementare; ul- teriori deroghe al divieto di prestazioni supplementari e straordinarie; il consolidamento in orario di lavoro delle prestazioni supplementari non occasionali.
L’articolo 12 del decreto legislativo 61/2000 prevedeva che il Mi- nistero del lavoro procedesse ad una verifica con le Organizzazioni sin- dacali e datoriali circa gli effetti prodotti dall’applicazione del decreto stesso anche al fine dell’eventuale esercizio del potere legislativo dele- gato di cui all’articolo 1, comma 4, della legge 5 febbraio 1999, n. 25.
Il 26 febbraio 2001 è stato emanato il decreto legislativo n. 100 che ha integrato e parzialmente corretto il decreto legislativo 61/2000.
Tra le modifiche apportate si segnalano quelle relative alla istituzio- nalizzazione del part-time misto, che da tipologia definibile solo in sede contrattuale diviene una tipologia legislativa con la conseguente liberaliz- zazione del suo utilizzo; quella relativa alla deroga al tetto delle ore sup- plementari stabilito dalla contrattazione nazionale ad opera della contrat- tazione decentrata (territoriale o aziendale); quella che prevede come “normale” la maggiorazione per le ore supplementari da definire contrat- tualmente; quella relativa alla possibilità di stabilire contrattualmente, per il diritto di recesso del lavoratore dalla clausola elastica periodi più lunghi dei cinque mesi previsti dalla legge in cambio di una indennità.
I dati Eurostat, riferiti al 1999, indicano che la media dell’inciden- za del part-time sull’intera forza lavoro nei Paesi dell’UE è del 17,7%, con punte del 39,4% nei Paesi Bassi; del 24,8% nel Regno Unito; del 23,8% in Svezia. In Germania, dove da anni opera un sistema di incen- tivi per favorire la diffusione del part-time tra i lavoratori anziani, anche oltre i 65 anni, la percentuale è del 19,0%.
Fanalini di coda la Grecia, con il 6,1%; l’Italia con il 7,9% e la Spagna con l’8,3%.
Nel nostro Paese, infatti, questa forma di lavoro continua ad essere considerata una tipologia poco adatta alle mansioni con maggior conte-
nuto professionale ed è stata spesso sottoutilizzata, così come sono spesso state negate ai lavoratori part-time gli spazi professionali e di carriera offerti ai lavoratori full-time.
Se si considerano, invece, i dati relativi agli occupati a tempo par- ziale sul totale delle donne occupate, i dati Eurostat, riferiti sempre al 1999, indicano che la media nei Paesi dell’UE è del 33,5%, con punte del 68,6% nei Paesi Bassi; del 44,4% nel Regno Unito; del 40,0% in Svezia; del 39,9% in Belgio; del 37,2% in Germania.
Ancora ultimi la Grecia, con il 10,2%; l’Italia, con il 15,7%; la Spagna, con il 17,6%.
Le nuove regole tentano di adeguare la tipologia di lavoro in esa- me all’attuale mercato del lavoro, ben diverso da quello che aveva por- tato ad emanare la legge 863/84, in modo tale da renderla rispondente alle esigenze delle imprese, da un lato, e dei lavoratori, e soprattutto delle lavoratrici che sono quelle che vi fanno maggior ricorso, dall’al- tro.
In particolar modo le disposizioni che si propongono di eliminare le discriminazioni rispetto al lavoro full-time, assicurando parità di trat- tamento in proporzione alle ore di lavoro svolte, e quelle che contem- plano specifiche tutele (si veda l’art. 5 del dlgs 61/2000) a favore dei ti- tolari di rapporti di lavoro a tempo parziale, dovrebbero contribuire a migliorare le condizioni lavorative e garantire prospettive di carriera al- le tante donne che, per esigenze familiari, sono indotte, se non costrette, a scegliere il part-time.
2.9 Le donne e il lavoro notturno: dalla legge 903/77 al decreto legisla- tivo 532/99
Il lavoro notturno è certamente una modalità di svolgimento della prestazione “contro natura”, tanto per gli uomini quanto per le donne: la biologia imporrebbe, difatti, che le attività lavorative venissero espleta- te di giorno, mentre la notte dovrebbe essere deputata al riposo.
Il lavoro a turni, in particolare quello notturno, è dunque un fattore di rischio per la salute e il benessere dei lavoratori e delle lavoratrici:
numerosi studi hanno infatti dimostrato che diversi sono gli effetti, a breve o a lungo termine, sulla salute. Tra i primi è possibile annoverare la modifica delle abitudini alimentari e del sonno, la diminuzione del- l’efficienza e dell’attenzione, spesso causa di incidenti sul lavoro, il cambiamento dell’umore; tra i secondi i più frequenti sono i disturbi ga- stro-intestinali, cardio-vascolari e neuro-psichici. Quanto ai rischi sulla salute che possono interessare in maniera specifica le donne, alcuni stu- di hanno messo in evidenza che il lavoro notturno può provocare altera- zioni del ciclo mestruale e della sindrome pre-mestruale.
Nell’attuale fase di espansione tecnologica è comunemente accet- tata l’idea di estendere alle donne il lavoro notturno e la maggiore at- tenzione rivolta ai possibili danni che tale forma di lavoro può arrecare è limitata a periodi particolari quali quelli legati alla maternità (gravi- danza, puerperio, allattamento).
La pressione del mondo produttivo, interessato sempre più a cicli continui di prodotto e a servizi disponibili 24 ore su 24, ma anche i mu- tati stili di vita, hanno portato nel tempo a rivisitare in alcuni Paesi del- l’Unione Europea (Inghilterra e Francia) la legislazione che contempla- va il divieto del lavoro notturno per le donne.
In Italia la legge 903/77 sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro conteneva, nella sua versione originaria, il divieto in parola prevedendo, però, alcune eccezioni. L’art. 5 così reci- tava: “nelle aziende manifatturiere, anche artigianali, è vietato adibire le donne al lavoro dalle ore 24 alle ore 6. Tale divieto non si applica al- le donne che svolgono mansioni direttive, nonché alle addette ai servizi sanitari aziendali”. Nello stesso articolo, al secondo comma, si preve- deva, però, che tale divieto potesse essere diversamente disciplinato o rimosso dalla contrattazione collettiva, anche aziendale, in relazione a particolari esigenze della produzione. Il terzo comma, infine, precisava che il divieto di adibire le donne al lavoro notturno non potesse essere derogato per le donne in gravidanza e fino al compimento del settimo mese di vita del bambino.
Di fatto sono state decine e decine le deroghe che, attraverso ac- cordi sindacali, hanno ristretto notevolmente la portata del divieto con- templato dalla legge 903/77.
La prassi seguita nel nostro Paese ha trovato riscontro anche a li- vello internazionale: nel giugno del 1990 la Conferenza Generale del- l’Organizzazione del Lavoro occupandosi della questione del lavoro notturno femminile, pur vietando il lavoro notturno delle donne, ha pre- visto, al tempo stesso, la possibilità di derogare al divieto in presenza del consenso internazionale di Organizzazioni datoriali, Sindacati e Governi.
Il legislatore italiano ha nuovamente affrontato la problematica del lavoro notturno delle donne con il dgsl 645/96, emanato in attuazione della Direttiva 92/85/CEE, concernente “il miglioramento della sicu- rezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento”. Il provvedimento in parola conferma il divie- to del lavoro notturno per le donne e all’art. 6 stabilisce che “in materia di lavoro notturno, per le lavoratrici di cui all’art. 1 (gestanti, puerpere o in periodo di allattamento fino a sette mesi dopo il parto) restano fer- me le vigenti disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali”.
La Corte di Giustizia Europea, con sentenza emanata il 4 dicembre 1997, aveva condannato l’Italia per aver mantenuto nel proprio ordina- mento giuridico le norme che sancivano il divieto del lavoro notturno per le donne, considerandolo lesivo del principio di parità uomo-donna.
Al fine, dunque, di adeguare l’ordinamento nazionale alla sentenza della Corte di Giustizia il nostro Parlamento ha emanato la legge 25/99 Contenente “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’ap- partenenza dell’Italia alle Comunità europee-Legge comunitaria 1998”.
L’art. 17 della legge in esame, intitolato al lavoro notturno, sosti- tuisce il precedente art. 5 della legge 903/77, stabilendo, al primo com- ma, che: “E’ vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino”; il secondo comma elenca i casi in cui il la- voro notturno non deve essere obbligatoriamente prestato, riservando questa facoltà:
• alla lavoratrice madre di un figlio di età inferiore ai tre anni o. alterna- tivamente, al padre convivente con essa;
• alla lavoratrice o al lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni;
• alla lavoratrice o al lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile.
Il secondo comma contempla il conferimento di una delega al Go- verno perché emani, in attesa dell’approvazione di una legge organica in materia di orario di lavoro, uno o più decreti legislativi in materia di lavoro notturno, informati ad una serie di principi e criteri direttivi pun- tualmente indicati nello stesso comma.
Il Governo italiano, esercitando la delega conferita, ha provvedu- to, il 26 novembre 1999, ad emanare il decreto legislativo n. 532 conte- nente “Disposizioni in materia di lavoro notturno, a norma dell’art. 17, comma 2, della legge 5 febbraio 1999, n. 25”.
Il decreto in esame, che rinvia alla contrattazione collettiva per il completamento di una parte importante della disciplina del lavoro not- turno, quale, ad esempio, le condizioni ed i casi di eccezionalità nell’a- dibizione al lavoro notturno e le eventuali ulteriori limitazioni e priorità per l’assegnazione ai turni di notte, per quel che concerne il tema della presente indagine non prevede per le donne un trattamento diverso ri- spetto agli uomini, salvo, ovviamente, i casi già contemplati dall’art. 5, commi 1 e 2 della legge 903/77, come sostituito dall’art. 17, comma 1 della legge 25/99.
Difatti l’art. 3, dedicato alle limitazioni al lavoro notturno, dopo a- ver stabilito che, in via assolutamente prioritaria, potranno essere adibiti al lavoro notturno i lavoratori e le lavoratrici che ne facciano richiesta, richiama, per le donne, le esclusioni contemplate dalla legge 903/77 e per tutti i lavoratori quelle aventi ad oggetto lavorazioni che espongono ad agenti considerati pericolosi ed elencati dall’art. 15 del decreto legi- slativo 345/99.
A salvaguardia della salute di lavoratori e lavoratrici l’art. 5 stabi- lisce che i lavoratori notturni devono essere sottoposti, a cura e a spese del datore di lavoro, ad:
• accertamenti preventivi volti a constatare l’assenza di controindicazio- ni al lavoro notturno cui sono adibiti;
• accertamenti periodici almeno ogni due anni per controllare il loro stato di salute;
• accertamenti in caso di evidenti condizioni di salute incompatibili con il lavoro notturno.
A completamento della tutela offerta dall’articolo sopra menziona- to il successivo art. 6 dispone che, nel caso in cui sopraggiungano con- dizioni di salute che comportano l’inidoneità alla prestazione di lavoro notturno, accertata dal medico competente, è garantita al lavoratore l’assegnazione ad altre mansioni o altri ruoli diurni.
2.9bis Il Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione e le pari opportunità
Con il Patto sociale, sottoscritto il 22 dicembre 1998, il Governo e le Parti sociali hanno inteso perseguire, come è noto, l’obiettivo di so- stenere e favorire lo sviluppo economico e la crescita dell’occupazione, nonché di rilanciare la concertazione.
Al punto 2.1 del Patto, infatti, si afferma, tra l’altro, che “un’effi- cace politica dei redditi non può essere disgiunta da un quadro stabile di concertazione ...”.
Al punto 1.10 si rinviene, invece, il primo riferimento diretto alle pari opportunità lì dove si legge che “il Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione - con particolare attenzione alle pari opportunità - dise- gna un percorso temporale che richiede, in ogni sua fase, il pieno rispetto degli impegni assunti da tutte le parti firmatarie ...”. Il previsto monitoraggio sull’attuazione degli impegni sottoscritti e sui risultati conseguiti non è meramente “conoscitivo” poiché si legge ancora, sem- pre allo stesso punto, che “il Governo istituirà presso la Presidenza del Consiglio una sede formale di monitoraggio per controllare nel tempo, con puntualità e regolarità, l’attuazione degli impegni assunti dal Go- verno stesso, dai singoli Ministeri e dalle Parti firmatarie del presente documento e dei risultati del Patto in termini di occupazione, accumu- lazione e distribuzione del reddito e competitività del sistema. Alla luce di questa valutazione, il Governo si riserva di interrompere il corso, di mutare l’intensità e/o la destinazione settoriale delle politiche per lo sviluppo e l’occupazione...”.
Al punto 2.12 si ritorna al tema della concertazione e delle pari opportunità. Si legge, infatti, che “Per rafforzare la concertazione co- me metodo di condivisione degli obiettivi, il Governo ritiene necessario dare maggior rilievo alle sedi di verifica ... Nell’ambito della sessione di verifica preventiva prevista in primavera il Governo e le Parti sociali valuteranno, tra l’altro, le implicazioni dirette e indirette delle linee di azione concertate sulla realizzazione di pari opportunità tra donne e uomini non solo nelle occasioni di lavoro e di sviluppo professionale, ma anche di iniziativa imprenditoriale ...”.
Il concetto di pari opportunità è, dunque, uno dei principi ispiratori del Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione; infatti se è vero che il documento non individua, almeno in modo esplicito, compiti, azioni o puntuali impegni in materia di pari opportunità in capo alle Soggetti fir- matari, è anche vero che quello delle pari opportunità è uno dei criteri alla luce dei quali si stabilisce che vadano valutate le azioni e i provve- dimenti concretamente adottati al fine di perseguire gli impegni sotto- scritti per promuovere e sostenere lo sviluppo e l’occupazione del Paese.
E, proprio in coerenza con le indicazioni del Patto di Natale, la prima verifica semestrale sull’attuazione del Patto stesso - tenutasi nel- l’aprile del 1999 al CNEL con l’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di tutti i Ministri interessati - ha visto la presentazione, da parte del CNEL, di un importante documento sulle pari opportunità che ha fornito la base per approfondite riflessioni coinvolgenti le Parti Sociali.
2.9ter Le analisi e le riflessioni del Gruppo permanente “Donne e svi- luppo” del CNEL
Nel corso delle due precedenti Consiliature, il CNEL ha svolto un accurato lavoro di analisi e riflessione sull’occupazione femminile av- valendosi di un apposito Gruppo permanente denominato “Donne e svi- luppo”, insediato nell’Area di allargamento della rappresentanza , aven- te quale obiettivo principale, da una parte, lo studio e la verifica dei mo- delli di lavoro al cui interno la componente femminile risulta essere in
costante crescita e, dall’altra, la definizione delle domande di rappre- sentanza corrispondente a tale crescita.
Il Gruppo ha analizzato i dati relativi alla presenza delle donne nei livelli decisionali e nel mondo imprenditoriale e ha redatto un primo ed un secondo Rapporto sul ruolo delle donne nello sviluppo socio-econo- mico. L’analisi condotta, quantitativa e qualitativa insieme, ha consenti- to, da un lato, il censimento delle donne nelle posizioni decisionali nella media e grande impresa, nel settore dei media, dell’editoria e della pub- blicità, nella pubblica amministrazione centrale e periferica, nelle uni- versità, negli enti di ricerca, nelle organizzazioni sociali, dall’altro, l’approfondimento sul ruolo svolto dalle donne imprenditrici.
L’indagine svolta ha consentito di tracciare un quadro della pre- senza delle donne in posizioni di vertice fatto più di ombre che di luci; ciononostante è stato possibile individuare anche punti di forza, rappre- sentati dall’innovazione e dallo sviluppo dei modelli professionali fem- minili risultati particolarmente confacenti allo sviluppo di determinati settori. Non è un caso che le più alte percentuali di donne con elevate responsabilità si trovino proprio in quei comparti caratterizzati più di altri da fasi di sviluppo e innovazione (si pensi, ad esempio, al settore della comunicazione).
Le problematiche individuate possono essere ricondotte a tre filoni principali:
• inesistenza o scarsità di luoghi e soggetti deputati all’orientamento e alla formazione delle donne manager;
• difficoltà delle donne di stringere relazioni con ciò che è diverso dal loro microcosmo lavorativo; questo deficit di relazione pare sia legato anche alla difficoltà di essere identificate sul piano sociale come sog- getti di sviluppo al pari degli uomini;
• tendenza delle donne a vivere il rapporto con il proprio lavoro in ma- niera autoreferenziale: al ruolo decisionale solo raramente esse rico- noscono una funzione di stimolo e di sviluppo della società e del set- tore economico nel quale operano. Questo può creare un circolo vi- zioso, difficile da superare, e alimentare chiusura in se stesse e imper- meabilità dal e verso il mondo delle relazioni esterne.
Il nostro attuale sistema economico è caratterizzato da un sistema di reti costituite essenzialmente da lavoro intellettuale e i sistemi di pro- duzione, dalle imprese costrette a competere su scala globalizzata alle reti finanziarie, si caratterizzano come sistemi in mutamento permanen- te, senza il quale verrebbero ad affievolirsi in termini di capacità pro- duttiva ed efficienza.
Tutto ciò rende quanto mai necessaria una riflessione strategica sulle nuove professioni in cui le donne hanno già, in piccola parte, un ruolo di rilievo destinato ad aumentare nei prossimi anni. Nel prossimo futuro, dunque, dovranno esser prese in considerazione non solo e non tanto le professioni emergenti, quanto i nuovi modelli di approccio pro- fessionale, caratterizzati sempre più da competenze orizzontali e capa- cità relazionali.
Costituiranno, pertanto, elementi determinanti tutti quegli aspetti connessi alle capacità di migliorare la comunicazione e di sviluppare non tanto il “saper fare”, quanto il “saper essere e saper imparare”.
La scelta strategica potrà dunque essere, per gli uomini e per le don- ne, il saper mettere in discussione se stessi, le proprie competenze, capa- cità e scelte in funzione di un mercato del lavoro professionale sempre più complesso e caratterizzato da un elevato grado di incertezza.
Anche in questa ottica potrà essere rilevante - e il CNEL potrà candidarsi come attivo punto di riferimento - una investigazione “sul campo” dedicata all’approfondimento di alcuni “case studies” azienda- li, oculatamente scelti perché significativi dell’andamento progressivo della pratica attuazione delle normative di legge e contrattuali destinate al lavoro femminile.
PARTE TERZA:
LE PREVISIONI CONTRATTUALI ITALIANE
Nota metodologica
Questa terza parte, dedicata alle previsioni contrattuali italiane, si apre con una breve panoramica su quegli Accordi interconfederali che, pur trattando altre questioni, incidono in maniera più o meno significa- tiva sul tema delle pari opportunità.
Seguono, poi, degli approfondimenti che riguardano le previsioni contrattuali in materia di pari opportunità, maternità e congedi parenta- li, part-time, lavoro notturno e altre disposizioni che, in un modo o nel- l’altro, riguardano il tema delle pari opportunità.
L’indagine è stata condotta utilizzando la ripartizione per settori seguita per la classificazione dei contratti e scegliendo le voci grazie al- le quali estrapolare le parti di contratto da analizzare. Si è così giunti a sintetizzare le previsioni contemplate dai diversi contratti e a porre l’ac- cento su quelle più interessanti o significative.
Questa metodologia ha consentito di far riferimento a quattordici “settori”, all’interno dei quali sono inseriti i contratti riconducibili a quel settore.
L’analisi svolta, condotta solo sui contratti vigenti, informatizzati e classificati presenti nell’archivio del Cnel, ha portato a definire il con- tenuto delle pagine seguenti.
I settori nei quali sono ripartiti i contratti sono i seguenti:
• Agricoltura;
• Chimici e derivati;
• Metalmeccanici e affini;
• Tessili, abbigliamento e affini;
• Alimentaristi;
• Edili;
• Poligrafici e spettacolo;
• Distribuzione, terziario e affini;
• Trasporti;
• Credito e assicurazioni;
• Aziende di servizi;
• Amministrazione pubblica;
• Enti e Istituzioni private;
• Altri vari.
3.1 Qualche breve cenno sui principali Accordi interconfederali che “toccano”, di riflesso, anche il tema delle pari opportunità
Le Parti sociali con la loro azione hanno inciso sul tema delle pari opportunità anche grazie ai diversi Accordi interconfederali sottoscritti nel corso degli anni, Accordi che, pur avendo ad oggetto obiettivi di ampio respiro quali quelli di valorizzare le potenzialità produttive ed occupazionali del Paese, non hanno, tuttavia, trascurato la questione della parità uomo-donna.
Si richiameranno qui di seguito solo alcuni degli Accordi di cui sopra nei quali è riscontrabile un’attenzione più spiccata.
L’Accordo del 13 settembre 1989 tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil, derivante dal precedente Accordo del 18 dicembre 1988 sui con- tratti di formazione e lavoro siglato tra le stesse parti, nel definire pun- tualmente la composizione, i compiti e le modalità di funzionamento degli Organismi paritetici regionali per la formazione professionale chiarisce che, oltre ai compiti previsti per la Commissione nazionale, si prevedono iniziative di progettazione di modelli formativi per specifi- che figure professionali, per le fasce deboli del mercato del lavoro e per favorire le pari opportunità. Nel disciplinare i compiti degli Organismi paritetici regionali assegna, poi, agli stessi, tra gli altri, anche quello di “favorire le pari opportunità, progettando moduli formativi che valo- rizzino il lavoro femminile e diffondano la realizzazione di azioni positive”.
Nel Protocollo sul nuovo modello di relazioni industriali nel siste- ma delle imprese cooperative del 5 aprile 1990, firmato dall’Associa-
zione Generale delle Cooperative Italiane (AGCI), la Confederazione Cooperative Italiane (CCI), la Lega Nazionale Cooperative e Mutue (LNCeM) da un lato, e Cgil, Cisl e Uil dall’altro, in tema di rapporti tra le Parti stipulanti si stabilisce che, a livello Interconfederale nazionale, “le Parti convengono di confrontarsi annualmente e, comunque, ogni qual volta una delle Parti ne faccia richiesta, sui temi di interesse gene- rale tra i quali figura, tra gli altri, quello delle pari opportunità”; nello stesso Protocollo si sottolinea anche che “Le Parti riconoscono la ne- cessità di assumere la specificità femminile e di garantire il superamen- to di ogni eventuale forma di discriminazione nel lavoro e nello svilup- po professionale”.
Nel Protocollo sulle relazioni sindacali del 18 giugno 1990, firma- to da Confetra, da un lato, e Cgil, Cisl, Uil, Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltra- sporti dall’altra, le Parti, nel trattare il tema della formazione professio- nale, convengono sull’opportunità di istituire un Ente bilaterale per la formazione professionale nel settore dei trasporti al quale attribuiscono, tra i tanti compiti, quello di “favorire le pari opportunità progettando moduli formativi che valorizzino il lavoro femminile e consentano la realizzazione di azioni positive”.
Nell’Accordo interconfederale sulla formazione professionale, si- glato il 20 gennaio 1993 tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil, nella parte II contenente il Protocollo d’intesa su Formazione e Organismi pariteti- ci bilaterali, si legge, tra le altre affermazioni, che “mediante la sotto- scrizione del Protocollo le Confederazioni firmatarie esprimono la co- mune volontà di promuovere e favorire idonee attività di formazione delle donne in vista della piena attuazione degli obiettivi di parità pre- visti dalla legge 125/91”.
Nell’Accordo interconfederale in materia di formazione professio- nale, contratti di formazione e lavoro, a tempo parziale e a tempo deter- minato, mercato del lavoro e mobilità, firmato il 13 maggio 1993 da Confapi e Cgil, Cisl e Uil, nell’allegato 2, nel quale si indicano le aree di intervento degli Enti bilaterali regionali, si elenca, tra le altre, la “progettazione di moduli formativi per favorire le pari opportunità tra uomini e donne e per attuare le azioni positive”. Questa stessa previsio- ne è contenuta anche nell’Accordo sulle politiche formative, i contratti
di formazione e lavoro e le politiche del reimpiego del 2 febbraio 1993 firmato da Confartigianato, Cna, Casa, Xxxxx e Cgil, Cisl, Uil.
Nel verbale degli Accordi interconfederali in materia di formazio- ne professionale, Enti bilaterali, Rsu, Osservatorio nazionale della coo- perazione del 24 aprile 1995 l’Associazione Generale Cooperative Ita- liane (AGCI), la Confederazione Cooperative Italiane (CCI), la Lega Nazionale Cooperative e Mutue (LNCeM) e Cgil, Cisl e Uil , dopo aver concordato di costituire, a livello nazionale e regionale, Organismi bila- terali paritetici, assegnano agli stessi, tra gli altri, il compito di “favori- re le pari opportunità, promuovendo e progettando formazione volta al- la valorizzazione del lavoro femminile e alla diffusione di azioni positive”.
3.2 Le previsioni contrattuali in materia di pari opportunità
• Premessa
Il panorama contrattuale italiano è molto variegato per quel che concerne la tutela e la disciplina delle pari opportunità. Diversi sono gli strumenti contemplati allo scopo e molteplici sono le iniziative dirette a rendere concreti i principi di pari opportunità nell’accesso al lavoro, nelle condizioni di impiego, nella formazione professionale e nelle pro- gressioni professionali.
Se, da un lato, quasi ogni contratto contiene dichiarazioni di prin- cipio sulla rilevanza che il tema in oggetto ha dal punto di vista sociale ed economico e sulla necessità che vadano ulteriormente rafforzate le condizioni per una sempre più significativa presenza delle donne nel mondo del lavoro, dall’altro, le strade indicate per il raggiungimento dell’obiettivo sono alquanto diversificate. Si passa, infatti, dal puro e semplice richiamo alla normativa in materia, all’impegno assunto diret- tamente dalle parti contraenti senza che siano contemplati strumenti di alcun genere, alla previsione di Gruppi di lavoro, Comitati, Commissio- ni Nazionali, Commissioni territoriali o Commissioni aziendali i cui compiti, finalità e funzionamento sono oggetto di dettagliate disposizio- ni contrattuali.
Come già detto, l’obiettivo di questa analisi è stato quello di offri- re, in questa terza parte, un quadro della condizione lavorativa delle donne contemplata dai contratti vigenti.
Per non allontanarsi troppo da una mera analisi testuale si è fatta la scelta di riportare, almeno per questa prima voce, una sintesi delle pre- visioni contemplate, in ciascun contratto, in ordine al tema indagato, (si vedano le schede poste in appendice, pag. 108), senza commentare al- cunché, e di considerare nelle riflessioni qui riportate solo alcune delle questioni o degli aspetti più significativi, tentando, altresì, di individua- re un filo conduttore capace di attraversare e sintetizzare una realtà molto variegata e non facilmente riconducibile a unità.
• Affermazioni di principio
Tralasciando tutti quei contratti che nulla dicono in ordine alle questione delle pari opportunità e quelli che si limitano a richiamare le disposizioni legislative in materia, nella maggior parte dei contratti vi sono affermazioni più o meno “forti” sulla opportunità e/o sulla neces- sità di promuovere azioni positive finalizzate ad incrementare la presen- za femminile nei luoghi di lavoro, a superare ogni forma di discrimina- zione e a garantire alle donne pari opportunità di sviluppo professionale e di carriera.
Il vero problema, come si legge testualmente nel contratto degli e- lettrici Enel, “è di carattere essenzialmente culturale e la criticità della questione femminile consiste nel difficile ma necessario passaggio dalle e- nunciazioni ai modelli comportamentali effettivamente agiti in azienda”.
Questa affermazione ben sintetizza l’approccio che la maggior parte dei contratti ha rispetto alla questione in esame.
• Compiti degli “Organismi di parità”
Partendo dai compiti assegnati a quegli “Organismi” che nelle sche- de (si veda l’appendice, pag. 108) sono stati denominati “Strumenti”, va intanto detto che, se è vero che in alcuni casi i loro compiti sono puntual- mente indicati, non è sempre così; talvolta, infatti, non vi è alcuna indica- zione sui compiti che le Commissioni, i Comitati o i Gruppi sono chiamati a svolgere, altre volte, invece, detti compiti sono indicati, ma in maniera
tanto generica da risultare privi di un reale contenuto. Non è raro, poi, che questi “Organismi” non siano chiamati a dar conto in alcun modo dell’atti- vità svolta. E’ vero, infatti, che nella maggior parte dei casi è previsto che venga redatto un rapporto sull’attività svolta, ma nulla di più.
• Obblighi e/o oneri a carico delle Parti contraenti
Per quel che concerne l’obbligo delle Parti contraenti rispetto agli atti e/o le proposte degli Organismi di parità e, di conseguenza, la possi- bilità dei suddetti organismi di incidere sulla realtà del lavoro femmini- le in azienda, dall’indagine condotta è emerso che, se alcuni contratti, pochi in verità, precisano, ad esempio, che gli atti approvati all’unani- mità impegnano le parti contraenti (si veda, ad esempio, il contratto Au- totrasporti e spedizioni conto terzi), la maggior parte non contiene indi- cazioni a riguardo. Ciò potrebbe indicare che non vi siano particolari obblighi delle Parti rispetto agli atti o alle proposte scaturenti dall’atti- vità dei diversi organismi considerati.
• Risorse e dotazioni materiali a supporto dell’attività degli “Organismi di parità”
Altre questioni non considerate in maniera soddisfacente sono quelle relative alla messa a disposizione di risorse, strumenti, materiali ed ogni altro supporto operativo da destinare alla realizzazione di azioni positive. Nella maggior parte dei contratti, infatti, non vi sono previsio- ni a riguardo e lì dove vi sono delle indicazioni in tal senso, si fa riferi- mento, in via molto generica, alla possibilità di “ricorrere a risorse dei vari enti pubblici” o di “utilizzare le risorse messe a disposizione dal Fondo Sociale Europeo”. Rarissimi, invece, sono i contratti nei quali si legge che per la realizzazione delle iniziative in tema di pari opportuni- tà l’impresa si impegna a mettere a disposizione risorse, strumenti e materiali (si veda, ad esempio, il contratto delle ferrovie).
• Previsioni in ordine al reinserimento lavorativo dopo l’assenza per maternità e/o per assolvere al lavoro di cura
Pochissima attenzione è posta a questioni di fondamentale impor- tanza quali quelle del reinserimento lavorativo delle donne dopo l’as-
senza per maternità, della salvaguardia e/o recupero della loro profes- sionalità dopo una lunga assenza, della individuazione di servizi sociali di supporto al lavoro femminile.
E’ significativo, infatti, che rispetto alla individuazione da parte dell’azienda di servizi sociali a supporto del lavoro delle donne, un solo contratto tra quelli esaminati stabilisca che l’Osservatorio nazionale pa- ritetico sulle pari opportunità, tra gli altri compiti, abbia anche quello di “assumere anche all’esterno delle aziende, le iniziative necessarie per individuare servizi sociali di supporto al lavoro femminile” (si veda il contratto aerei: personale di terra - Assaeroporti).
Nei contratti presi in esame, poi, poco numerose sono le previsioni volte ad individuare soluzioni ai problemi connessi al lavoro di cura, in genere, e di cura della prole in particolare. Del problema del reinseri- mento, ad esempio, si fanno carico le parti stipulanti del contratto Or- tofrutta e agrumi (import-export) che assegna alla Commissione parite- tica pari opportunità il compito di “individuare interventi idonei a faci- litare il reinserimento delle lavoratrici dopo l’assenza per maternità e a salvaguardarne la professionalità” e quello delle Assicurazioni (Aisa- Aissa) che prevede che il Gruppo di lavoro sulle pari opportunità “studi convenzioni tipo volte a favorire il reinserimento lavorativo di donne che decidono di riprendere a lavorare dopo un’interruzione per una delle cause individuate dal Gruppo stesso”.
• Previsioni in ordine ad attività volte alla riqualificazione del persona- le dopo l’assenza per maternità e/o per attendere a lavori di cura
Problema connesso al reinserimento lavorativo, ma non solo, è poi quello della riqualificazione professionale che può presentarsi non solo nell’ipotesi del ritorno in azienda dopo un periodo di assenza, ma anche in altre circostanze quali quelle legate a processi di ammodernamento dell’impresa che rendano necessaria l’acquisizione di competenze di- verse da quelle possedute dai lavoratori o, ancora, alla formazione fina- lizzata non solo ad elevare, ma anche a caratterizzare diversamente la qualificazione professionale delle lavoratrici per far conseguire loro specializzazioni dalle quali, oggi, sono, di fatto, escluse.
Anche da questo punto di vista la contrattazione offre strumenti i- donei a garantire alle donne modeste opportunità di aggiornamento e/o
riqualificazione professionale, visto che non molto numerose sono le disposizioni contrattuali che rispondono a questa esigenza.
• Partecipazione attiva delle donne alla gestione dei problemi che le riguardano
Molto opportune, ma non molto diffuse, le disposizioni volte ad incidere più concretamente sulla condizione lavorativa e sul trattamento delle donne. Si fa riferimento, ad esempio, a quelle volte a consentire la partecipazione dei componenti delle Commissioni pari opportunità a riunioni o trattative al fine di assumere loro indicazioni tese ad armo- nizzare gli accordi raggiunti con interventi a favore delle pari opportu- nità (si veda, ad esempio, il contratto dei marittimi: imprese per opera- zioni portuali); a quelle che prevedono la partecipazione di almeno un componente del Comitato paritetico per le pari opportunità ad eventuali gruppi aventi il compito di valutare il personale (si veda, ad esempio, il contratto Aerei: assistenza al volo - dipendenti AA.VV.); a quelle che prevedono verifiche periodiche presso gli impianti, anche su richiesta delle lavoratrici, al fine, da un lato, di prevenire l’insorgenza di situa- zioni discriminatorie e, dall’altro di proporre soluzioni nell’ipotesi di un riscontro positivo in merito alle discriminazioni (si veda, ancora, il con- tratto Aerei: assistenza al volo - dipendenti AA.VV); a quelle, ancora, che investono i Comitati di pari opportunità del compito di valutare, fatti, atti o comportamenti nei quali è possibile rinvenire gli estremi del- la discriminazione, su richiesta delle lavoratrici che ritengano di essere state discriminate (si veda, ad esempio, il contratto Aziende e ammini- strazioni dello Stato a gestione autonoma).
• Le donne dirigenti
Un’ultima considerazione che pare opportuno fare è quella relativa alle disposizioni in tema di pari opportunità contenute nei contratti a- venti ad oggetto il rapporto di lavoro del personale dirigente.
Il dato più significativo è rappresentato dal fatto che molti dei sud- detti contratti non contemplano alcuna disposizione a riguardo; quelli che fanno riferimento alla questione delle pari opportunità, poi, si limi- tano solo a rinviare alle disposizioni legislative in materia e/o contengo- no mere affermazione di principio o dichiarazioni d’intento, più che ve-
re e proprie previsioni di strumenti e/o progetti di azioni positive volti a rendere concrete tali opportunità.
Il “filo conduttore” che attraversa la variegata casistica esaminata potrebbe essere ravvisato nella modesta incisività delle disposizioni contrattuali in materia di pari opportunità nelle diverse realtà lavorative. Infatti, se da un lato grande spazio e rilevanza sono attribuite alle attivi- tà di studio e ricerca finalizzate all’individuazione degli ostacoli alla ef- fettiva parità e alla promozione di misure utili al loro superamento, dal- l’altro non sono indicate, nella maggior parte dei casi, né le risorse, né gli strumenti operativi, né i progetti concreti con i quali si prevede di raggiungere tale traguardo.
Ciò che sembra di poter intuire troverebbe, peraltro, conferma nel fatto che, fatta eccezione per il contratto Enti locali - Regioni, al quale si rimanda, gli altri contratti aventi ad oggetto il rapporto di lavoro del personale dirigente, non vanno oltre il richiamo alla normativa in mate- ria di pari opportunità e/o alle dichiarazioni d’intenti.
3.3 Le previsioni contrattuali in materia di molestie sessuali sul lavoro
• Premessa
La definizione di molestie sessuali viene introdotta nella contratta- zione italiana, per la prima volta, nel Contratto nazionale dei metalmec- canici nel 1990.
Da allora la tematica delle molestie sessuali ha trovato sempre più spesso cittadinanza nel panorama contrattuale italiano, anche se diversi contratti finiscono per affrontare l’argomento nell’ambito di temi più ampi quali quelli delle norme comportamentali, dei doveri del dipen- dente, dei codici disciplinari (per il settore pubblico) o della difesa della dignità della persona.
Il panorama offerto è molto variegato visto che si passa da pure e semplici dichiarazioni di principio, che si limitano a stigmatizzare com- portamenti offensivi della dignità delle lavoratrici (e dei lavoratori), a più puntuali richiami alla normativa comunitaria, fino ad arrivare, per il settore del Pubblico impiego, all’adozione di un vero e proprio Codice di condotta contro le molestie sessuali.
Nelle parti che seguono si riportano le disposizioni più interessanti o significative in materia.
• Definizione della fattispecie e previsioni di azioni finalizzate alla ces- sazione delle molestie
Nella maggior parte dei contratti manca la definizione della fatti- specie delle molestie sessuali e lì dove si accenna ad una sua “definizio- ne” si rinvengono espressioni quali “La molestia o ricatto sessuale co- stituisce illecito disciplinare” (si veda, ad esempio, il Contratto dell’A- NAS) ovvero espressioni più “forti” quali “La molestia sessuale, essen- do una grave mancanza alla persona, può dar luogo al licenziamento in tronco” (si vedano, ad esempio, il Contratto della Panificazione UN- CI-UCICT e il Contratto Terziario e Servizi UNCI-UCICT), o, ancora, “Le parti affermano che le molestie sessuali sui luoghi di lavoro sono un’offesa alla dignità della persona e una forma di discriminazione e ricatto sul lavoro” (si veda, tra gli altri, il Contratto dei dipendenti delle Società Ippiche), ma manca una vera e propria definizione della fatti- specie.
E’più frequente, infatti, trovare un richiamo al dovere dei lavorato- ri di “improntare i rapporti in azienda a reciproca correttezza” dichia- razione a cui fa poi seguito la precisazione che “devono essere, tra l’al- tro, evitati comportamenti offensivi a connotazione sessuale, che abbia- no la conseguenza di determinare una situazione di disagio della perso- na cui sono rivolti e possano influenzare, esplicitamente o implicita- mente, decisioni riguardanti il rapporto di lavoro e lo sviluppo profes- sionale” (si vedano, tra gli altri, i Contratti della Chimica; della Cera- mica e Abrasivi; della Gomma e Plastica).
Non mancano, poi, previsioni molto generiche quali, ad esempio, quelle contenute nel Contratto dei Bancari ABI ed ACRI per i Quadri direttivi nel quale si legge che “Le parti si riservano di esaminare con- giuntamente la tematica delle molestie sessuali successivamente all’e- manazione dei provvedimenti di legge in materia”.
Altri contratti, sotto il titolo “tutela della dignità personale dei la- voratori”, utilizzano espressioni di altro tipo e prevedono, anche se so-
lo molto genericamente, azioni finalizzate alla cessazione delle mole- stie: “Le parti concordano sull’opportunità che il rapporto di lavoro si svolga in un ambiente idoneo allo svolgimento dell’attività. A tal fine dovrà essere assicurato il rispetto della dignità della persona in ogni suo aspetto, compreso quanto attiene alla condizione sessuale. In parti- colare saranno evitati comportamenti che determinano una situazione di disagio della persona cui sono rivolti, anche con riferimento alle conseguenze sulle condizioni di lavoro. In caso di molestie sessuali la
R.S.U. o le XX.XX. e la Direzione aziendale opereranno per ripristinare le normali condizioni lavorative garantendo la massima riservatezza alle persone coinvolte” (si vedano, ad esempio, i Contratti del settore Tessile; Abbigliamento; Calzature).
In altri contratti il riferimento alle possibili azioni da adottare manca completamente: in più di un contratto del settore chimico, ad e- sempio, sotto il titolo “Comportamenti in azienda” si legge che “Devo- no, tra l’altro, essere evitati, comportamenti offensivi a connotazione sessuale, che abbiano la conseguenza di determinare una situazione di disagio della persona cui sono rivolti e possano influenzare, esplicita- mente o implicitamente decisioni riguardanti il rapporto di lavoro e lo sviluppo professionale”.
• Doveri di tutela ascrivibili ai datori di lavoro e/o alle Aziende
Alcuni contratti chiamano in causa i datori di lavoro stabilendo che “I datori di lavoro hanno il dovere di adottare tutte le misure utili a preservare le lavoratrici e i lavoratori dal rischio di molestie e ricatti sessuali e a garantire un contesto lavorativo improntato al rispetto del- la dignità di donne e uomini” (si vedano, tra gli altri, i Contratti degli Alimentaristi, della Panificazione; dell’Editoria e della Grafica; delle Imprese di Pulizia; dei Parrucchieri); altri, invece, stabiliscono che “nel caso in cui vengono denunciati atti che costituiscono molestia sessuale, le Aziende hanno l’obbligo di porre in atto procedure tempestive ed im- parziali di accertamento assicurando la riservatezza dei soggetti coin- volti, avvalendosi per assistenza e consulenza anche dei CPO azienda- li” (si vedano, tra gli altri, il Contratto del personale di terra Asseareo- porti e quello del personale dell’Anas);
• La Risoluzione del Consiglio dell’UE sulla tutela della dignità degli uomini e delle donne e la Raccomandazione della Commissione
Sono diversi i contratti che richiamano tanto la Raccomandazione della Commissione, quanto, più spesso, la Risoluzione del Consiglio, ma non tutti con la stessa valenza.
L’analisi condotta, infatti, ha evidenziato che il più delle volte e, soprattutto per quel che riguarda la Risoluzione del Consiglio, il richia- mo è fatto allo scopo di diffonderne la conoscenza, senza che ciò si tra- duca in oneri o doveri ascrivibili alle Parti.
Le formulazioni più frequentemente riscontrate hanno il seguente tenore:
“Al fine di favorire la conoscenza tra i lavoratori delle normative in argomento (tutela della dignità personale dei lavoratori) viene inse- xxxx la Risoluzione del Consiglio della CEE del 29.05.90” (si vedano, tra gli altri, i Contratti del settore Tessile; Lavanderie e Tintorie; Pelli e succedanei; Calzature; Occhiali; Xxxxxxxx e ombrelloni; Xxxxx e spazzole).
In altri contratti, invece, il richiamo alla normativa europea ha al- meno lo scopo di “orientare” le azioni da intraprendere allo scopo di a risolvere il problema delle molestie sessuali; si rinvengono, infatti, an- che le seguenti disposizioni:
“Le Parti riconoscono la gravità del problema delle molestie ses- suali sui luoghi di lavoro e assumendo ad orientamento generale la Ri- soluzione del Consiglio della CEE, nonchè le normative nazionali ema- nate o emanande, si impegnano a prevenirle” (si veda, ad esempio, il Contratto delle Cooperative di consumo del Commercio);
“In tema di molestie sessuali le Parti, al fine di tutelare la dignità della persona sui luoghi di lavoro, adotteranno comportamenti coerenti con le linee direttive della Raccomandazione CEE 92/131 e del Codice ad essa allegato, nonchè con l’evoluzione legislativa in tale materia” (si veda, tra gli altri, il Contratto dei dipendenti delle Assicurazioni - Ania);
“Le Parti stipulanti, tenuto conto della Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 29.05.90 e della Raccomandazione della
Commissione Europea del 27.11.91, ne assumono il valore di indirizzo in materia di tutela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro” (si veda, tra gli altri, il Contratto dei dipendenti delle Esattorie);
“Al fine di garantire la salvaguardia della dignità dei lavoratori, nella consapevolezza dell’esistenza del problema delle molestie sessua- li sui luoghi di lavoro l’Ente (l’Ente Poste Italiane) si impegna, in linea con gli indirizzi espressi dalla CEE nella Risoluzione del 29.05.90 a prevenire e a reprimere comportamenti indesiderati a connotazione ses- suale” (si veda il Contratto dell’Ente Poste Italiane);
Le disposizioni contrattuali che meglio rispondono ai contenuti della normativa comunitaria sopra richiamata sembrerebbero le seguen- ti: “Le Parti si obbligano ad adottare, in esecuzione della Risoluzione del Consiglio UE, misure idonee a migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle lavoratrici, al fine dell’effettiva integrazione delle donne nel mercato del lavoro. Le Parti si impegnano ad elaborare un Codice di condotta per la tutela della dignità della persona nel mondo del la- voro. Il Codice di condotta potrà costituire titolo per l’individuazione di specifiche misure tese a garantire un clima di rispetto reciproco” (si veda il Contratto dei Collaboratori coordinati e continuativi ).
• Il ruolo delle Commissioni di parità, dei Comitati paritetici e degli al- tri Organismi di parità
Le Commissioni, i Comitati paritetici e gli altri Organismi di pari- tà sono chiamati in causa dai Contratti soprattutto al fine di elaborare proposte volte a combattere il fenomeno delle molestie, sensibilizzare ed informare su tale fenomeno. Talvolta si fa riferimento ai suddetti Or- ganismi anche al fine di gestire singoli casi di molestie.
Nel Contratto delle imprese artigiane metalmeccaniche e in quello delle aziende grafiche ed editoriali si legge, a esempio, che “Spetta ai Comitati paritetici territoriali - nella loro funzione di promozione di pari opportunità - il compito di organizzare iniziative di sensibilizzazio- ne sul fenomeno delle molestie sessuali nelle aziende del settore, di ge- stire i singoli casi e di individuare comportamenti e percorsi idonei”;
nel Contratto delle industrie alimentari e in quello dei sottoprodotti della macellazione, invece, si afferma che “Al fine di prevenire compor-
tamenti inopportuni, offensivi e insistenti deliberatamente riferiti alla condizione sessuale, che abbiano la conseguenza di determinare una si- tuazione di rilevante disagio della persona cui sono rivolti, le Aziende adotteranno le iniziative proposte dalla Commissione paritetica nazio- nale per le pari opportunità”;
nel Contratto dei dipendenti delle Società Ippiche si rinviene che “Le parti convengono di demandare all’Osservatorio paritetico il com- pito di studiare le problematiche relative alle molestie sessuali e di sug- gerire le misure più adeguate per la prevenzione e la repressione del fenomeno”;
nel Contratto del Commercio e servizi, invece, si attribuisce al Gruppo di lavoro per le pari opportunità “il compito di elaborare un Codice di condotta sulla tutela della dignità della persona nel mondo del lavoro. Tale Codice di condotta potrà costituire titolo per l’indivi- duazione di misure tese a garantire un clima di rispetto reciproco del- l’integrità umana nell’ambiente di lavoro”.
L’attribuzione di un compito simile è prevista dal Contratto delle imprese di pulizia municipalizzate a favore dei Comitati per le pari op- portunità.
• Le disposizioni contenute nei codici disciplinari, il Protocollo d’intesa per l’adozione del Codice di condotta nella lotta contro le molestie sessuali per i dipendenti del Ministero del lavoro per il quadriennio normativo 1998 - 2001 e previsioni similari
Prima che venissero adottati Codici di condotta, nel settore del Pubblico Impiego la previsione delle molestie sessuali era inserita nei Codici disciplinari: nei Contratti della Sanità, degli Enti pubblici non e- conomici, degli Enti locali e nei Ministeri, si prevedeva, infatti che ve- nisse comminata “La sanzione disciplinare della sospensione dal servi- zio con privazione della retribuzione fino ad un massimo di 10 giorni” per gravi comportamenti o mancanze tra cui “atti, comportamenti o mo- lestie, anche di carattere sessuale, lesivi della dignità della persona”.
Queste disposizioni sono oggi superate dalla previsione di vere e proprie procedure da seguire per far sì che il comportamento indeside- rato cessi.
Il Ministero del lavoro ha adottato un Protocollo che recepisce i principi a cui si ispira il Codice di condotta allegato alla Raccomanda- zione della Commissione europea del 27 novembre 1991 sulla tutela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro, e si prefigge l’obiet- tivo di prevenire le molestie a sfondo sessuale e, nel caso in cui si veri- fichino, si pone a garanzia di un ricorso, immediato e semplice, a proce- dure volte, da un lato, ad affrontare il problema e, dall’altro, a preve- nirne il ripetersi, al fine di garantire un contesto lavorativo non compro- messo da ricatti e ritorsioni riconducibili ad episodi di molestie sessuali.
Il Codice di condotta contempla una chiara definizione di molestia sessuale, termine con il quale si intende “ogni atto o comportamento indesiderato, anche verbale, a connotazione sessuale, arrecante offesa alla dignità e alla libertà della persona che lo subisce, ovvero che sia suscettibile di creare ritorsioni o un clima di intimidazioni nei suoi con- fronti” e introduce la figura del Consigliere o Consigliera di fiducia, persona alla quale il soggetto molestato può rivolgersi al fine di avviare una procedura informale che porti a risolvere il caso.
Il Consigliere o la Consigliera, che dovranno essere adeguatamen- te formati dall’Amministrazione, sono incaricati di fornire consulenza e assistenza alla dipendente o al dipendente oggetto di molestie. Qualora il soggetto offeso non voglia far ricorso alla figura del Consigliere, ov- vero, qualora dopo tale intervento, il comportamento indesiderato per- manga, la dipendente o il dipendente molestato potrà sporgere formale denuncia.
Nel corso degli accertamenti viene assicurata l’assoluta riservatez- za dei soggetti coinvolti.
Qualora l’Amministrazione, nel corso del procedimento discipli- nare attivato in seguito alla denuncia formale, ritenga fondati i fatti, do- vrà tempestivamente informare il dirigente al fine di adottare, ove que- sti lo ritenga opportuno, d’intesa con le XX.XX. e sentito il Consigliere di fiducia, le misure organizzative ritenute utili alla cessazione imme- diata delle molestie e al ripristino di un ambiente di lavoro in cui uomi- ni e donne rispettino reciprocamente l’inviolabilità della persona.
Nel caso in cui il presunto molestatore sia un dirigente o una diri-
gente dell’Ufficio di appartenenza del soggetto molestato, le misure i- donee a ripristinare un ambiente lavorativo sereno saranno individuate dalla Direzione Generale del Personale, d’intesa con le XX.XX. e sentito il Consigliere di fiducia.
Il Protocollo non si limita ad indicare una procedura semplice vol- ta a perseguire i casi di molestia, ma prevede anche che le Amministra- zioni interessate svolgano attività di sensibilizzazione e promuovano un’azione di monitoraggio al fine di valutare l’efficacia del Codice di condotta nella prevenzione e nella lotta delle molestie sessuali.
Nel Contratto Collettivo integrativo del CCNL del personale del Comparto Ministeri le Parti contraenti hanno inserito una dichiarazione congiunta che recita testualmente “Le Parti ritengono necessario che le Amministrazioni adottino, con proprio provvedimento e sentite le Orga- nizzazioni sindacali interessate, il Codice di condotta relativo ai prov- vedimenti da assumere nella lotta contro le molestie sessuali nei luoghi di lavoro, come previsto dalla Raccomandazione della Commissione Europea del 27.11.91. Il testo tipo sarà portato a conoscenza delle Am- ministrazioni a cura dell’Aran”.
Questa previsione è estremamente importante perchè esorta altre Amministrazioni dello Stato ad adottare Codici di condotta contro le molestie.
Previsioni simili a quella riportata figurano anche nelle cc.dd. “Code contrattuali” per il personale degli Enti Locali e per quello del Comparto Sanità.
Nel ‘94 l’ANCI Lazio ha sottoscritto un Protocollo Quadro con le Organizzazioni sindacali per l’adozione di Codici di Condotta nei Co- muni della Regione e, nel novembre dello stesso anno, l’ANCI della Toscana ha siglato un’intesa, sempre allo scopo di promuovere la pre- venzione delle molestie sessuali, nella quale è stato inserito un Codice di Comportamento da sottoporre ai Comuni toscani.
Ad oggi sono diversi i Comuni, le Province, le Aziende Ospedalie- re, le Università che hanno adottato Codici di condotta contro le mole- stie e in molti altri Enti sono in corso le procedure per la loro prossima adozione.
3.4 Le previsioni contrattuali sulla maternità e sui congedi parentali
• Premessa
E’ opportuno, prima ancora di riportare sinteticamente i risultati dell’analisi effettuata rispetto alla voce “maternità”, fare le seguenti precisazioni:
1. anche per questa seconda voce l’indagine è stata condotta sui soli contratti vigenti, informatizzati e classificati, presenti nell’archivio del CNEL;
2. la nuova legge sui congedi parentali dell’8 marzo 2000 n. 53 non è, ovviamente, presa in considerazione nei contratti la cui stipula è pre- cedente, contratti che costituiscono la quasi totalità di quelli sui quali l’analisi in oggetto è stata condotta;
3. in materia di integrazione salariale e tutela della maternità in senso più ampio le considerazioni qui riportate attengono esclusivamente alle condizioni di “miglior favore”, tralasciando, dunque le forme di garanzia e/o assistenza derivanti dalle disposizioni di legge.
Nonostante i “limiti” sopra esposti, l’esame effettuato ha portato ad individuare dei “punti di criticità” di carattere generale che non at- tengono tanto all’ampiezza della tutela offerta, quanto piuttosto al fatto che la misura di tale tutela è data più dalle disposizioni di legge che non da quelle contrattuali.
• La maternità obbligatoria
Lasciando da parte quei contratti (pochi, in verità) che per la tutela della maternità rimandano semplicemente alle disposizioni di legge, so- no stati considerati soltanto quei contratti che contemplano delle previ- sioni che vanno ad integrare la tutela offerta.
E’ emerso che la quasi totalità dei contratti considerati si preoccu- pa quasi esclusivamente di garantire, per il solo periodo di astensione obbligatoria, la corresponsione di una integrazione del trattamento a ca- rico dell’Ente previdenziale (pari all’80% della retribuzione), integra- zione che, seppur prevista da alcuni contratti al 90%, da altri al 100%,
nella maggior parte dei casi consente di raggiungere l’ammontare del- l’intera retribuzione.
A tale riguardo va, però, precisato che, se è vero che la quasi tota- lità dei contratti che prevede detta integrazione della retribuzione non la condiziona in alcun modo, non mancano casi in cui tale integrazione viene subordinata al fatto che l’assenza complessiva della lavoratrice non superi una certa durata (si vedano, ad esempio, il contratto xxxxxx- ca e abrasivi industrie e il contratto chimica e affini P.M.I., nei quali si pone come condizione che l’assenza complessiva non superi i nove me- si). Non mancano, poi, integrazioni puramente simboliche come, ad e- sempio, quella prevista dal contratto tessili- abbigliamento calzature ar- tigiane per il quale “in aggiunta al trattamento economico previsto dal- le leggi vigenti, verrà erogato alle lavoratrici madri, nei due mesi pri- ma del parto e nei tre mesi successivi ad esso, un trattamento d’assi- stenza pari a £.15.000 mensili”.
Di particolare interesse sono quelle previsioni contrattuali che pre- vedono il diritto all’integrazione dell’indennità di maternità a favore delle lavoratrici che abbiano adottato o ottenuto in affidamento preadottivo un bambino per il periodo di tre mesi successivi all’effettivo ingresso del mi- nore nella famiglia preadottiva o affidataria (si vedano, ad esempio, il Contratto Assicurazioni agenzie in gestione libera e Bancari Casse di Ri- sparmio), nonché quelle che attribuiscono al lavoratore affidatario del mi- nore il diritto di astenersi dal lavoro durante i primi tre mesi successivi al- l’effettivo ingresso del bambino nella famiglia affidataria (si veda, ad e- sempio, il Contratto Bancari Casse Rurali e artigiane).
• Maternità obbligatoria e premi di produzione e/o di risultato
Alcuni contratti, non molti in verità, prevedono che per la corre- sponsione del premio di produzione non siano computati come giorni di assenza quelli relativi al periodo di assenza obbligatoria per maternità. Tra gli altri si segnalano il Contratto degli impiegati ed operai della Rai, quello degli artisti della Rai e il Contratto del personale delle aziende municipalizzate di elettricità.
Nel settore del Pubblico Impiego tale previsione è più diffusa che in quello privato: si possono segnalare, tra gli altri, il Contratto della
Sanità, quello degli Enti locali, quello degli Enti pubblici non economi- ci e quello dei Ministeri.
Nel Contratto per il personale degli Enti locali si legge, ad esem- pio, che “nel periodo di astensione obbligatoria alla lavoratrice o al lavoratore spettano l’intera retribuzione fissa mensile, le quote di sala- rio accessorio fisse e ricorrenti, compresa la retribuzione di posizione nonchè il salario di produttività”;
per quel che concerne il personale dei Ministeri si prevede che “nel periodo di astensione obbligatoria per maternità alla lavoratrice o al lavoratore spetta l’intera retribuzione fissa mensile nonchè l’inden- nità di amministrazione, l’indennità di posizione organizzativa qualora spettante e le quote di incentivo eventualmente previste dalla contratta- zione integrativa”;
il Contratto per il personale degli Enti pubblici non economici pre- vede, invece, che “nel periodo di astensione obbligatoria alla lavora- trice o al lavoratore spetta l’intera retribuzione fissa mensile, nonchè le quote di salario accessorio fisse e ricorrenti”.
Identiche disposizioni sono contenute nel Contratto per il persona- le del comparto Sanità.
• Maternità facoltativa
La disponibilità delle aziende ad integrare l’indennità corrisposta per l’assenza facoltativa si riduce sensibilmente: infatti se la lavoratrice sceglie di avvalersi di tale facoltà, potrà contare su ben pochi contratti disponibili a prevedere un’integrazione dell’indennità, pari al 30% della retribuzione e posta a carico degli Enti di previdenza.
Se è vero che sono eccezionali i casi in cui si precisa che “nelle assenze facoltative post-parto non sono previste retribuzioni né altri di- ritti connessi, con la sola eccezione del trattamento di fine rapporto” (si veda il Contratto panificazione industrie) è altrettanto vero che, lì dove l’integrazione è prevista, il più delle volte è limitata al primo mese di maternità facoltativa, quindi al sesto di assenza, visto che i primi cin- que attengono all’astensione obbligatoria dal lavoro. E’ questo il caso, ad esempio, contemplato da buona parte dei contratti del settore tessile abbigliamento. Si legge nei contratti in parola che “l’azienda dovrà
corrispondere il 27% della retribuzione mensile per il 6° mese di assen- za”, o, ancora, il caso del Contratto Cinema audiovisivi industrie per il quale “qualora la lavoratrice benefici dell’assenza facoltativa ai sensi della legge, per il primo mese di assenza l’azienda integrerà il tratta- mento erogato dall’istituto assicuratore nella misura del 20% della retribuzione”.
A titolo puramente esemplificativo pare utile riportare altri casi nei quali si garantisce un trattamento economico più favorevole alla lavora- trice che sceglie l’astensione facoltativa: il Contratto Aerei assistenza al volo (dipendenti AA.VV.) prevede che durante il periodo di assenza fa- coltativa spetta l’80% della retribuzione di base per i primi due mesi e il 30% per i successivi quattro mesi; il contratto SIAE assicura la corre- sponsione del 100% della retribuzione per il primo mese e l’80% per il secondo mese di astensione facoltativa; il Contratto Autotrasporto arti- giane dispone la corresponsione del 50% della retribuzione per il primo mese di assenza facoltativa; il Contratto Rai operai e impiegati stabili- sce che, in sostituzione di quanto dispone la legge in relazione alla du- rata dell’astensione dal lavoro successiva al parto (tre mesi), tale asten- sione duri quattro mesi e che l’indennità liquidata dall’istituto assicura- tore venga integrata fino al raggiungimento del 90% della retribuzione.
• Assenze per malattia del bambino
Condizioni di miglior favore sono poi previste da diversi contratti del settore pubblico in caso di assenza della madre (o, in alternativa del padre) durante le malattie del bambino di età inferiore ai tre anni: in questi casi la madre o il padre hanno diritto ad un massimo di trenta giorni all’anno di assenze retribuite per ciascun anno di vita del bambi- no (Si vedano i contratti dei Ministeri, della sanità, degli Enti di ricerca, delle Università, delle Aziende e amministrazioni dello Stato a gestione autonoma, degli Enti pubblici non economici, dell’EUR, del Registro Aeronautico Italiano).
• Previsioni particolari
Rimanendo nel settore pubblico si ritiene opportuno segnalare al- cune interessanti disposizioni contemplate dal contratto Polizia - Peni-
tenziari - Forestali che, oltre a richiamare le previsioni legislative in materia di maternità dichiara applicabili le seguenti disposizioni:
• divieto di sovrapposizione dei turni tra i coniugi dipendenti dalla stes- sa amministrazione con figli fino a sei anni di età;
• esonero, a domanda, per la madre o per le situazioni monoparentali dal turno notturno o dai turni continuativi articolati sulle 24 ore sino al compimento del 3° anno d’età del figlio;
• esonero, a domanda, dal turno notturno per i dipendenti che abbiano a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 104/92;
• possibilità per le lavoratrici madri vincitrici di concorso interno, con figli fino al 12° anno di età, di frequentare il corso di formazione presso la scuola più vicina al luogo di residenza.
• Diritti/doveri del padre
E’ da apprezzare il ruolo svolto dalla contrattazione rispetto all’af- fermazione di alcuni diritti/doveri del padre rispetto ai figli.
Il diritto di assentarsi dal lavoro, trascorso il periodo di astensione obbligatorio della lavoratrice madre, per un periodo di sei mesi entro il primo anno di vita del bambino ed il relativo trattamento economico, nonché il diritto di assentarsi dal lavoro durante la malattia del bambino di età inferiore ai tre anni, attribuito con chiarezza dalla nuova legge sui congedi parentali 53/2000, è contemplato da diversi contratti la cui sti- pula è precedente alla suddetta legge di riforma.
Sono, altresì, contemplate le ipotesi di decesso della madre o ab- bandono del figlio o di malattia della madre che comporti il ricovero o- spedaliero, oggi disciplinate dalla legge suddetta, in presenza delle qua- li alcuni contratti, siglati prima del marzo 2000, prevedono il trasferi- mento al padre dei diritti relativi all’assenza obbligatoria e facoltativa.
• Previsioni in ordine alla flessibilità dell’orario a favore delle lavora- trici madri
La questione non è tenuta nella debita considerazione: le disposi- zioni significative in tal senso sono poco diffuse. A titolo esemplificati- vo si riportano quelle contemplate dal Contratto dei Centri elaborazione
dati nel quale si legge che “per le lavoratrici, o i lavoratori, che eserci- tano la patria potestà su minori e non abbiano, all’interno del nucleo familiare convivente, l’altro genitore, le aziende riconosceranno un ti- tolo di preferenza per la concessione delle ferie e per le richieste di tra- sformazione del rapporto di lavoro per quanto attiene alla prestazione oraria” e dal Contratto scuole private Istituti ecclesiastici Agidae nel quale si stabilisce che non può essere richiesto l’orario flessibile/poten- ziato alle lavoratrici madri nel periodo di tutela previsto dalla legge 1204/71.
• Previsioni in ordine alla riqualificazione e al reinserimento lavorativo dopo l’assenza per maternità
Per le questioni che attengono al reinserimento e alla riqualifica- zione le previsioni contrattuali sono pochissime; tra i pochi casi si se- gnalano alcuni contratti del settore chimico che si fanno carico di pre- vedere che “le aziende cureranno l’assunzione di iniziative volte a faci- litare, in caso di necessità, il reinserimento produttivo delle lavoratrici e dei lavoratori a seguito di assenze per maternità attraverso percorsi formativi e informativi che saranno individuati a livello nazionale” (Contratti vetro e concia industrie e lampade e valvole termojoniche); il Contratto Tessili abbigliamento - calzature artigiane che dispone che “le parti a livello regionale potranno concordare gli interventi volti a mi- gliorare la condizione delle donne e il loro reinserimento nelle aziende successivo all’assenza per maternità”; il Contratto Esattorie per il qua- le “le lavoratrici e i lavoratori assenti per maternità saranno ammessi al rientro in servizio, in presenza di mutamenti organizzativi, a forme di aggiornamento professionale che ne facilitino il reinserimento”; il con- tratto Anas che impegna l’Ente a “provvedere, se necessario, ad inseri- re nei primi corsi utili di formazione la dipendente che abbia ripreso servizio dopo la maternità obbligatoria, qualora sia intervenuta una fa- se di ristrutturazione significativa presso la propria unità produttiva”; per il settore pubblico si segnala, tra gli altri, il Contratto degli Enti lo- cali che assegna ai Comitati per le pari opportunità il compito di “pro- muovere interventi idonei a facilitare il reinserimento delle lavoratrici dopo l’assenza per maternità e a salvaguardarne la professionalità”.
3.5 Le previsioni contrattuali sul part-time
• Premessa
Anche per la voce “part-time” è opportuno fare alcune precisazio- ni prima di riportare i risultati dell’analisi condotta:
1. anche per questa terza voce l’indagine è stata condotta sui soli con- tratti vigenti, informatizzati e classificati presenti nell’Archivio del CNEL;
2. il decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, emanato in attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso tra UNICE, CEEP e CES, non è preso a ri- ferimento da quei contratti la cui stipula è precedente, contratti che costituiscono la quasi totalità di quelli sui quali l’analisi in questione è stata condotta;
3. l’approccio al tema è quello volto a mettere in luce se e in che misura il ricorso al part-time è consentito alle lavoratrici (e ai lavoratori) che, per attendere più agevolmente alle incombenze familiari, deci- dano, anche solo per un periodo, di lavorare a orario ridotto.
Si riportano qui di seguito i risultati più significativi del lavoro svolto.
• Principi e finalità del ricorso al lavoro a tempo parziale affermati nel- le disposizioni contrattuali
E’ piuttosto ricorrente che le Parti stipulanti affermino che “riten- gono che il rapporto di lavoro a tempo parziale possa essere considera- to anche un mezzo idoneo ad agevolare l’incontro tra domanda e offer- ta e a favorire diversi processi organizzativi” (si vedano, ad esempio, i contratti Concia: industrie, Assicurazioni: dipendenti AISA-AISSA, contratto Cartarie e cartotecniche: P.M.I. e molti altri) o che “allo scopo di consentire alle imprese di cogliere le opportunità offerte dal mercato e di dare al tempo stesso un contributo all’occupazione, esprimono l’intendimento di valorizzare le occasioni prospettate dalla legge in te- ma di lavoro a tempo parziale” (si veda, ad esempio, il contratto cera- mica e abrasivi: industrie) o, ancora, che “convengono che i rapporti di
lavoro a tempo parziale dovranno corrispondere ed essere funzionali ad esigenze di flessibilità della forza lavoro, essere compatibili con l’organizzazione del processo produttivo e diretti, nel contempo, a co- gliere esigenze individuali dei lavoratori” si veda, ad esempio, il con- tratto Minero-Metallurgiche: industrie) o che “riconoscono che il lavo- ro a tempo parziale può costituire uno strumento funzionale alla flessi- bilità e articolazione della prestazione lavorativa, in quanto sia appli- cato in rapporto alle esigenza delle aziende e dei lavoratori” (si veda, ad esempio, il contratto Tessili-abbigliamento calzature: artigiane) o che “nell’intento di favorire l’occupazione concordano sull’opportuni- tà di ricorrere a prestazioni con orario inferiore a quello contrattuale ogni qual volta alle esigenze aziendali di adottare tale orario faccia ri- scontro un’offerta di lavoro disponibile” (si veda, ad esempio, il con- tratto Pesca: cooperative) o, infine (ma l’elenco potrebbe proseguire) che “il lavoro a tempo parziale costituisce un valido strumento del qua- le si auspica la generale applicazione e il significativo sviluppo nel set- tore del credito, per favorire l’occupazione e la flessibilità del lavoro, anche sotto il profilo sociale (si veda, ad esempio, il contratto Bancari : Abi ed Acri quadri direttivi e aree professionali).
Ma l’apprezzamento del part-time quale strumento di flessibilità i- doneo a risolvere i problemi organizzativi delle imprese e i problemi in- dividuali e/o familiari dei lavoratori va anche oltre le affermazioni di cui sopra. Infatti in diversi contratti si legge che “le parti intendono promuovere la valorizzazione e la diffusione del rapporto di lavoro a tempo parziale nell’intento di agevolare la soluzione dei problemi di carattere sociale per i lavoratori e organizzativi per le aziende, pertan- to, ove non ostino oggettivi impedimenti organizzativi o l’infungibilità delle mansioni svolte, le aziende valuteranno positivamente l’accogli- mento di richieste per l’instaurazione di rapporti di lavoro a tempo parziale entro il limite complessivo del 5% (considerando tutti i con- tratti e non solo quelli che riportano la presente disposizione tale limite varia dal 2 al 20-25%) del personale in forza a tempo indeterminato. A fronte di ostacoli che impediscano l’accoglimento di tali richieste di la- voro a tempo parziale, sarà condotto a livello aziendale un esame con- giunto delle parti interessate per individuare la possibilità di idonee so- luzioni” (si vedano la gran parte dei contratti del settore Tessile, abbi-
gliamento e affini) o, ancora, che “l’impresa, nell’ambito di una certa percentuale valuterà positivamente, in funzione della fungibilità del la- voratore interessato, la richiesta della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale nei seguenti casi: necessità di assistere genitore, coniuge o convivente, figli e altri familiari conviventi senza alcuna possibilità alternativa di assistenza, gravemente ammala- ti, portatori di handicap o tossicodipendenti; necessità di accudire figli fino al compimento dei 7 anni” (si vedano la gran parte dei contratti del settore Metalmeccanici e affini).
• Il part-time post-maternità e/o per altre attività di cura
Stingendo il focus sulla realtà del part-time quale scelta delle don- ne per conciliare lavoro e cura dei figli, si rileva che le previsioni con- trattuali più significative volte ad offrire tale possibilità, pur non nume- rosissime, risultano presenti in misura apprezzabile.
Soffermiamoci su alcune di esse.
Il contratto Commercio e servizi contempla un articolo intitolato al part-time post-maternità che così recita “al fine di consentire ai lavora- tori assunti a tempo indeterminato l’assistenza al bambino fino al com- pimento del 3° anno d’età, le aziende accoglieranno, nell’ambito del 2% della forza occupata nell’unità produttiva, in funzione della fungi- bilità dei lavoratori interessati, la richiesta di trasformazione tempora- nea del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale da parte del genitore”.
L’analisi condotta non ha individuato in altri contratti articoli inti- tolati al part-time post-maternità, tuttavia, non mancano previsioni che, pur con formulazioni diverse, concedono simili facoltà.
E’ abbastanza frequente che i contratti contemplino l’ipotesi che le domande di conversione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale sia superiore al limite stabilito; in tali ipotesi, gli stessi contratti indicano una serie di criteri di priorità da seguire per l’accoglimento delle domande.
Lasciando da parte i motivi personali o, comunque, legati alle con- dizioni personali dei richiedenti (quali, ad esempio, essere portatori di handicap o frequentare corsi di studio, ecc.) e limitando l’indagine alle
ragioni connesse ai lavori di cura la situazione risulta alquanto variega- ta:
alcuni contratti (si veda, ad esempio, il contratto Siae) prevedono delle articolazioni più o meno complesse di questo tipo:
• avere persone a carico per le quali è corrisposto l’assegno di accom- pagnamento;
• avere familiari a carico portatori di handicap, o soggetti a fenomeni di tossicodipendenza, alcolismo cronico o grave debilitazione psico- fisica;
• avere figli di età inferiore a quella prescritta per la frequenza della scuola dell’obbligo;
• esistenza di altre motivazioni, di carattere personale o familiare debi- tamente comprovate;
altri contratti fanno esplicito riferimento solo ai genitori di portato- ri di handicap grave (si vedano, ad esempio, tra gli altri, i contratti Tes- sile abbigliamento lavorazione conto terzi P.M.I.; Edili P.M.I.; Com- mercio; Studi professionali);
altri ancora fanno riferimento in maniera generica ai carichi fami- liari o motivi di famiglia (si vedano, tra gli altri i contratti Autoferro- tranvieri e Aerei: personale di terra);
alcuni, invece, fanno riferimento alla presenza in famiglia di bam- bini di età inferiore ai tre anni (si vedano, tra gli altri, i contratti Xxxxxxx- xx e Acquedotti e Gas, sia privati che municipalizzati) senza tralasciare il richiamo a particolari carichi familiari;
altri, invece, fanno riferimento al fatto di essere genitori di bambi- ni in età prescolare o che frequentino la scuola primaria (si veda, tra gli altri, il Contratto Banca d’Italia carriera operativa);
altri contemplano tra i criteri per la concessione del part-time il fatto di essere genitori di figli di età inferiore ai 13, soprattutto se il ri- chiedente è genitore unico (si veda, tra gli altri, il Contratto Ferrovie);
altri, infine, fanno riferimento alla presenza nel nucleo familiare di minori ed anziani non autosufficienti (si vedano, tra gli altri, la gran parte dei contratti della Pubblica Amministrazione).
• Xxxxxx e reversibilità della scelta a favore del part-time
In quasi tutti i contratti, tra i diversi criteri che regolano l’instaura- zione e lo svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale (necessi- tà dell’atto scritto; volontarietà di entrambe le parti; priorità della tra- sformazione da tempo pieno a parziale e viceversa dei lavoratori già in forza; principio di non discriminazione e di parità di trattamento, nel senso della proporzionalità diretta di tutti gli Istituti normativi ed eco- nomici), ritroviamo anche quello della reversibilità della trasformazione che, tuttavia, dovrà tenere conto delle esigenza delle imprese e delle mansioni svolte e da svolgere.
Se la maggior parte dei contratti si limita a richiamare il principio del- la reversibilità, in rarissimi casi è garantito al lavoratore che sceglie il part- time il ritorno al tempo pieno: è il caso, ad esempio del contratto dei Marit- timi dipendenti dalle imprese portuali nel quale si legge che “al lavoratore che fruisce del part-time è garantito, al termine di un periodo convenuto che non può essere inferiore a tre mesi, il ritorno al tempo pieno”.
La disposizione sopra richiamata ci porta ad introdurre un altro ar- gomento: quello della durata predeterminata. Infatti, seppure non molto frequenti, si rinvengono nei contratti clausole destinate a stabilire una durata del rapporto a tempo parziale spesso fissata tra un minimo e un massimo; altre volte si stabilisce solo la durata minima (come nel caso sopra richiamato); altre volte, infine, la durata è fissata, a scelta del la- voratore, in 1, 2 o 3 anni, ma l’Amministrazione può accordare una pro- roga della scadenza predeterminata (è il caso di più di un contratto del settore del credito).
• Lavoratori esclusi dal part-time
Se è vero che la gran parte dei contratti, in linea di principio, am- mette al part-time tutti i lavoratori escludendo solo quelli le cui mansio- ni non sono compatibili con un lavoro ad orario ridotto, altri stabilisco- no alcune limitazioni rispetto al profilo professionale dei lavoratori:
alcuni contratti escludono i Quadri (si veda, ad esempio, il Contratto Consorzi di bonifica operai ed impiegati), altri, di contro, xx xxxxxxxxx e- spressamente (si veda il Contratto Centri elaborazione dati che contiene un articolo intitolato all’orario part-time speciale per i quadri);
altri contratti escludono i lavoratori cui sono assegnate funzioni di direzione o coordinamento (si veda, tra gli altri, il Contratto Farmacie private);
altri i lavoratori turnisti e a squadra (si veda, tra gli altri, il Con- tratto Gas aziende private);
altri ancora i lavoratori che svolgano attività ispettiva o compor- tante l’obbligo della resa giudiziale (si veda, tra gli altri, il Contratto Enea).
Non mancano, in ultimo, contratti nei quali i criteri sopra riportati figurano combinati gli uni agli altri.
3.6 Le previsioni contrattuali sul lavoro notturno
• Premessa
Anche per l’ultima voce presa in esame, quella del “lavoro nottur- no”, è opportuno fare alcune precisazioni prima di riportare i risultati dell’analisi condotta:
1. anche per questa quarta voce l’indagine è stata fatta sui soli contratti vigenti, informatizzati e classificati presenti nell’Archivio del Cnel;
2. il decreto legislativo 26 novembre 1999, n. 532, emanato in attuazio- ne dell’art. 17, comma 2, della legge 25/99 contenente disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’I- talia all’Unione Europea, non è considerato da quei contratti la cui stipula è precedente. Il decreto in questione, come già sottolineato nella seconda parte del presente Rapporto, rinvia alla contrattazione collettiva per il completamento di una parte molto significativa della disciplina del lavoro notturno, quale quella relativa alle condizioni ed ai casi di eccezionalità nei quali è possibile essere adibiti al lavo- ro notturno, nonché le eventuali ulteriori limitazioni e priorità, dun- que, solo rispetto ai contratti siglati successivamente alla sua emana- zione è stato possibile “apprezzarne” le ricadute;
3. l’analisi effettuata ha avuto lo scopo di mettere in luce se e in che mi- sura il divieto di adibire le donne al lavoro notturno è richiamato e/o
rafforzato dalle previsioni contrattuali e se sono contemplati partico- lari condizioni, limitazioni, priorità o eccezionalità per lo svolgimen- to della prestazione lavorativa nella fascia oraria notturna.
Si riportano qui di seguito i risultati più significativi dell’analisi svolta.
• Individuazione della fascia oraria considerata notturna
La maggior parte dei contratti considera notturna la fascia oraria che va dalle ore 22 alle ore 6; altri contengono disposizioni diverse:
alcuni fanno riferimento alla fascia oraria richiamata dalle disposi- zioni legislative, dalle ore 24 alle ore 6, (si vedano, ad esempio, i con- tratti Alimentaristi P.M.I.; più di un contratto del settore Distribuzione e Terziario; qualche contratto del settore Trasporti);
altri fanno riferimento alla fascia oraria che va dalle ore 21 alle ore 4 (si veda, ad esempio, il contratto Alimentaristi imprese artigiane);
altri fanno riferimento alla fascia oraria che va dalle ore 21 alle ore 5 (si veda, ad esempio, il contratto Autoferrotranvieri);
altri ancora fanno riferimento alla fascia oraria che va dalle ore 21 alle ore 7 (si vedano, ad esempio, i contratti editoria e grafica e cartarie e cartotecniche P.M.I.);
altri stabiliscono che il lavoro notturno comincia a decorrere dalle 12 ore successive all’inizio del turno di mattina precisando, però, che il lavoro compiuto dalle 6 nel limite di un’ora giornaliera non si considera notturno perché destinato alle attività necessarie alla predisposizione del funzionamento degli impianti (si vedano, ad esempio alcuni contrat- ti del settore Meccanici e affini e altri del settore Poligrafici e Spettaco- lo);
altri, infine, fanno riferimento ad orari ancora diversi, ma, per ne- cessità di sintesi, sono state indicate solo le disposizioni che ricorrono più frequentemente.
• Disposizioni che vietano di adibire le donne al lavoro notturno
Escludendo i pochi contratti che non contemplano quale modalità di svolgimento della prestazione il lavoro notturno, è emerso che dei
648 tra Contratti definitivi e Accordi di rinnovo (si veda l’elenco conte- nuto in appendice) esaminati, il rinvio alla legislazione che vieta di adi- bire le donne al lavoro notturno è contenuto in un numero veramente esiguo:
• il Contratto Ceramica e abrasivi industrie del settore Fonti di energia, chimici e derivati;
• i contratti Metalmeccanica industria, Metalmeccanica cooperative, Metalmeccanica P.M.I. e Orafi-argentieri industrie del settore Metal- meccanici e affini;
• i contratti Tessili, cotone, canapa e lino industrie, Tessili vari industrie e Tessili tintorie-stamperie-finitura industrie, Lavanderie-tintorie P.M.I., Ombrelli-ombrelloni industrie, Occhiali industrie, Retifici da pesca del settore Tessili, abbigliamento e affini;
• i contratti Laterizi e manufatti in cemento industrie, Laterizi e manu- fatti in cemento P.M.I., Estrazione e lavorazione Lapidei industrie del settore Edili ed affini.
In totale, dunque, salvo errori ed omissioni, solo 14 contratti.
• Disposizioni che impediscono ai lavoratori (dunque, presumibilmente, anche alle lavoratrici) di esimersi dall’effettuare lavoro notturno
Molto più numerosi sono, invece, i contratti che, pur richiamando genericamente i limiti imposti dalla legge, dispongono che, salvo giusti- ficati motivi individuali di impedimento, nessun lavoratore può esimer- si dall’effettuare lavoro notturno.
Le formulazioni usate sono diverse, ma la portata delle disposizio- ni è pressoché identica:
• in alcuni contratti si legge che “nessun lavoratore può esimersi (o può esimersi solo in presenza di giustificati motivi individuali di impedi- mento) dall’effettuare, nei limiti previsti dalla legge e (dal contratto, in alcuni casi), ... lavoro notturno, salvo giustificati motivi individuali di impedimento” (si vedano i contratti Chimico-farmaceutica indu- strie; Petrolifera GPL industrie; Olearia e margariniera industrie; Ci- nema audiovisivi industrie; Esercizi cinematografici e cinema teatrali;
Ippica scuderie cavalli da corsa al galoppo e al trotto (sono 2 contratti distinti); Ippica dipendenti delle agenzie e Ippica dipendenti Società corse cavalli; Soccorso e assistenza stradale; Gomma e plastica indu- strie);
• in altri si rinviene che “nessun lavoratore (o nessun impiegato tecnico o amministrativo per il personale delle imprese edili) può rifiutarsi, entro i limiti consentiti dalla legge, di compiere lavoro ... notturno, salvo giustificati motivi di impedimento” (si vedano i contratti Edili cooperative di produzione e lavoro; Edili P.M.I.; Edili artigiane; Rai operai ed impiegati; Autotrasporto artigiane; Autostrade e trafori; Ma- rittimi - uffici e terminals; Aerei Compagnie straniere (Fairo); Motori- sti ed elettromeccanici collaudatori di volo; Agenzie marittime ed ae- ree; Autorimesse;
• altri ancora non fanno nemmeno riferimento ad eventuali motivi di impedimento e dispongono che “qualora particolari esigenze di ser- vizio lo richiedano, il dipendente è tenuto a prestare, nei limiti con- sentiti dalla legge, la propria opera, anche oltre l’orario normale sta- bilito, sia di giorno che di notte” (si vedano i contratti Pompe funebri agenzie private; Pulizia igiene urbana municipalizzate; Federcasa); al- tri, invece, pur riportando la formulazione di cui sopra, almeno fanno riferimento a “giustificati motivi individuali di impedimento” in virtù dei quali i lavoratori potrebbero essere esonerati dalla prestazione not- turna (si vedano i contratti Servizi postali in appalto; Carico e scarico per il Ministero della difesa; Facchinaggio - appalti Monopoli di Sta- to; Pulizia imprese Ausitra; Pulizia - disinfezione - disinfestazione
P.M.I. cooperative artigiane); il Contratto Marittimi imprese per ope- razioni portuali, infine, nel richiamare le particolari esigenze di servi- zio quale condizione che potrebbe consentire all’impresa di richiedere prestazioni di lavoro notturne, fa, almeno, esplicito riferimento ad un “previo accordo tra le parti”;
• nel Contratto Telecomunicazioni (ex Sip-Telespazio-Italcable) si leg- ge, poi, che “è in facoltà dell’azienda richiedere ai lavoratori, entro i limiti consentiti dalla legge, di compiere lavoro notturno ed il lavora- tore non può rifiutarsi, salvo giustificato motivo di impedimento”;
• per ultimi, infine, si segnalano quei contratti nei quali non solo si af- ferma che “nessun lavoratore può rifiutarsi, salvo giustificato motivo, di compiere lavoro notturno”, ma non vi è nemmeno il riferimento generico ai limiti fissati dalla legislazione (si vedano i contratti Sotto- prodotti della macellazione; Aziende termali; Funivie terrestri ed aeree).
• Le disposizioni dei contratti siglati nell’anno 2000
Contratto Xxxxx e succedanei P.M.I. Contratto P.M.I. calzature Contratto Alimentaristi P.M.I.
Tali contratti contengono la seguente disposizione: “sono (o pos- sono essere) adibiti al lavoro notturno, con priorità assoluta, i lavora- tori e le lavoratrici che ne facciano richiesta”;
Contratto Autostrade e trafori Contratto Legno e arredamento P.M.I. Contratto Edili industrie
Contratto Edili Cooperative di produzione e lavoro
Questi ultimi contratti non contengono alcuna disposizione in me- rito alla disciplina del lavoro notturno per quel che attiene le questioni oggetto dell’indagine svolta.
Tale mancanza è particolarmente grave soprattutto se si considera che il decreto legislativo 532/99 più volte richiamato rinvia proprio alla contrattazione collettiva una serie di problematiche particolarmente de- licate quali quelle relative all’individuazione di condizioni, limitazioni, eccezioni, priorità da porre per adibire il lavoratore e la lavoratrice al lavoro notturno di cui non vi è traccia nei contratti la cui stipula è suc- cessiva all’emanazione del decreto in parola.
Il solo riferimento alla richiesta esplicita del lavoratore di essere a- dibito al lavoro notturno non è sufficiente, da solo, a rispondere alle esi- genze organizzative delle imprese, da un lato, e alle esigenze di tutela dei lavoratori, dall’altro.
Se si tiene, però, conto del fatto che il decreto legislativo sul lavo- ro notturno è di recente emanazione, si può immaginare che nel breve
periodo i nuovi contratti che verranno stipulati saranno in grado di sod- disfare in maniera più soddisfacente le esigenze da ultimo richiamate.
3.7 Ulteriori previsioni contrattuali che si riflettono sul tema delle pari opportunità
Sono numerosi i contratti che contemplano ulteriori previsioni vol- te a favorire, in maniera diretta o indiretta, le pari opportunità.
• Relazioni sindacali
In materia di relazioni sindacali, ad esempio, più di un contratto fa riferimento all’opportunità di effettuare esami congiunti delle Parti, tan- to a livello nazionale quanto a livello territoriale, su questioni quali quelle relative “all’andamento dell’occupazione femminile ... con le re- lative possibili azioni positive volte a concretizzare il tema delle pari opportunità”. Su questa problematica le Parti, nel confermare l’impe- gno a favore delle pari opportunità, sia nell’accesso al lavoro che nella dinamica di carriera, in un apposito Comitato misto favoriranno la mi- gliore realizzazione delle pari opportunità. Si afferma anche che “Le Parti, inoltre, individueranno linee guida per la formazione dei compo- nenti degli eventuali Comitati misti aziendali e quelli territoriali. Il Co- mitato misto individuerà, inoltre, azioni informative e formative da in- dicare alle imprese per facilitare, ove necessario, il reinserimento pro- duttivo delle lavoratrici e dei lavoratori a seguito di assenze per mater- nità e paternità” (si veda, ad esempio, il Contratto Chimico farmaceuti- ca e affini industria);
in altri contratti si legge, invece, che tanto a livello nazionale, re- gionale o aziendale, di norma annualmente o su richiesta di una delle Parti stipulanti, l’Associazione imprenditoriale fornirà alle Organizza- zioni sindacali nazionali informazioni globali in merito a determinate questioni tra le quali quelle relative “all’andamento dell’occupazione femminile e allo stato di applicazione delle leggi 903/77 e 125/91, non- ché delle eventuali future specifiche disposizioni legislative in materia, con le possibili azioni positive in linea con le raccomandazioni del-
l’UE” (si vedano, ad esempio, il Contratto Ombrelli-ombrelloni indu- strie e Occhiali industrie);
altri contratti, infine, prevedono una Commissione Nazionale per lo studio e la valutazione della situazione economico-produttiva del set- tore di riferimento avente, tra gli altri, il compito di fornire il supporto tecnico alle Parti per analizzare le varie opportunità in tema di occupa- zione, formazione e riqualificazione professionale al fine di mettere a punto interventi volti a rendere concrete le azioni positive uomo-donna nel mondo del lavoro. Alla stessa Commissione spetta, inoltre, il com- pito di effettuare annualmente un monitoraggio sull’applicazione e il ri- spetto delle norme in materia di pari opportunità.
• Formazione professionale
In tema di formazione professionale le previsioni contemplate dai contratti sono numerose e vanno da quelle più semplici quale, ad esem- pio, quella contenuta nel Contratto Metalmeccanica P.M.I. che, nel di- sciplinare i compiti delle Commissioni Provinciali per la formazione professionale indica, tra gli altri, quello di “promuovere, d’intesa con le Commissioni pari opportunità, attività di formazione a favore delle donne in vista della piena attuazione degli obiettivi previsti dalla legge 125/91”, a quelle molto più articolate quali quelle contemplate da buo- na parte dei Contratti del settore tessile.
Nei contratti Tessili-abbigliamento-calze e maglie industrie, Tessi- li-tessitura seta industrie, Tessili lana-feltro industrie, Tessili cotone-ca- napa-lino industrie, Tessili vari, Tessili tintorie-stamperie-finitura indu- strie le Parti dichiarano di convenire sull’utilità di prevedere, a livello nazionale, azioni positive attraverso la predisposizione di programmi di studio e ricerca finalizzati a tale scopo. Tali programmi potranno utiliz- zare i risultati delle conoscenze acquisite, di comune accordo, a livello nazionale, settoriale e di comparto; inoltre, prevedono di condurre un’a- nalisi sull’adeguatezza delle strutture formative, scolastiche e di orien- tamento al fine di verificare che tali strutture siano in grado di assicura- re pari condizioni e pari opportunità sul mercato del lavoro. Tutti questi approfondimenti, nell’intento delle Parti, dovranno servire per predi- sporre e mettere a punto schemi di progetti di azioni positive e di for-
mazione professionale che, una volta concordemente definiti a livello nazionale, potranno essere considerati “progetti convenuti con le Orga- nizzazioni sindacali” e l’eventuale loro utilizzo da parte delle aziende costituirà titolo per l’applicazione dei benefici previsti dalla legge.
A livello di distretto industriale o territoriale, invece, si prevede che vengano approfondite le problematiche inerenti la valorizzazione del lavoro femminile allo scopo di promuovere sperimentazioni di azio- ni positive e di formazione.
Tra le altre disposizioni significative che sembra utile richiamare si riportano quelle che seguono:
nel settore del commercio, il Contratto delle Cooperative di consu- mo che prevede, sempre nel titolo dedicato alla formazione, i Comitati misti che, oltre al compito di collaborare alla realizzazione delle finalità assunte dal Comitato interconfederale, sono chiamati a predisporre, di concerto con gli Enti pubblici competenti, specifici progetti di forma- zione professionale, che abbiano, da un lato, particolare riguardo alle specializzazioni non sufficientemente diffuse nel mercato, e che, dal- l’altro, abbiano la peculiarità di essere finalizzati ad attuare azioni positive;
nel Contratto del Turismo (aziende federturismo) si contempla un Protocollo d’intesa sulla formazione professionale e gli organismi pari- tetici bilaterali nell’ambito del quale si prevede che gli organismi bilate- rali, tra gli altri, abbiano anche il compito di attivare “una significativa sperimentazione avente ad oggetto la promozione di azioni positive di cui alla legge 125/91, anche attraverso azioni di sostegno alla proget- tazione e al finanziamento delle azioni medesime”;
il Contratto dei Centri di elaborazione dati prevede, sotto il titolo “azioni positive” che “le aziende, d’intesa con le Organizzazioni firmata- rie del CCNL, adotteranno misure concrete per dare attuazione al diritto di accesso alla formazione ed informazione del personale femminile”;
il Contratto Bancari ABI ed ACRI (Quadri direttivi ed aree profes- sionali) sotto il titolo formazione prevede che “l’azienda promuove cor- si di formazione professionale secondo criteri di trasparenza e di pari opportunità” e, ancora, che “le aziende si impegnano a valorizzare e a sviluppare le capacità professionali secondo il principio delle pari op-
portunità e in coerenza con le scelte strategiche, le esigenze organizza- tive e produttive delle aziende stesse, tenendo anche conto dell’evolu- zione delle tecnologie, soprattutto informatiche, e dei bisogni formativi del personale”.
APPENDICE
PARTE PRIMA: PARI OPPORTUNITÀ E UNIONE EUROPEA
I principali Atti comunitari in materia di parità e pari opportunità:
• Direttiva 75/117/CEE - Riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio di parità delle retribu- zioni tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile.
Viene introdotto il concetto di uguale retribuzione per lavori di u- guale valore, superando così il solo riferimento di “stesso lavoro”. Vie- ne definita, inoltre, l’adozione di criteri comuni tra lavoratori e lavora- trici nei sistemi di classificazione.
• Direttiva 76/207/CEE - Attuazione del principio della parità di tratta- mento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, la formazione, la promozione professionale e le condizioni di lavoro.
Viene definita, come condizione per attuare tale principio, l’assen- za di discriminazioni sia dirette che indirette, in particolare mediante il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia.
• Direttiva 79/7/CEE - Graduale attuazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di sicurezza sociale.
Stabilisce l’eliminazione delle discriminazioni per ciò che concer- ne i regimi legali relativi a malattia, invalidità, vecchiaia, infortuni sul lavoro, malattie professionali e disoccupazione.
• Direttiva 86/378/CEE - Attuazione del principio della parità di tratta- mento tra uomini e donne nel settore dei regimi professionali di sicu- rezza sociale.
Estende i provvedimenti della direttiva precedente, per i medesimi rischi e categorie di beneficiari, ai regimi professionali di sicurezza sociale.
• Direttiva 86/613/CEE - Applicazione del principio di parità tra uomi- ni e donne che esercitano un’attività autonoma, comprese quelle del settore agricolo, nonché tutela della maternità.
Estende il campo di applicazione della legislazione comunitaria sulle pari opportunità a coloro che esercitano un’attività autonoma,
nonché ai loro familiari che partecipino abitualmente all’attività del la- voratore/lavoratrice. Prevede, inoltre, disposizioni specifiche per le la- voratrici autonome in gravidanza e maternità.
• Direttiva 92/85/CEE - Miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allatta- mento.
Prevede un congedo per maternità per almeno 14 settimane inin- terrotte da ripartire tra prima e dopo il parto; il mantenimento della re- tribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata durante il periodo di congedo; la riorganizzazione temporanea delle condizioni e dei tempi di lavoro o l’esonero da prestazioni lavorative rischiose per la salute della donna. E’ stata recepita in Italia solo nella parte relativa alla tutela della salute con il decreto legislativo 645/96: in esso si individuano ul- teriori rischi e fattori nocivi ai quali è vietato esporre la donna durante la gravidanza.
• Direttiva 93/104/CE - Concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro.
E’ stata recepita in Italia con il decreto legislativo n. 532 del 26 novembre 1999 ed ha modificato la disciplina del lavoro notturno
• Direttiva 96/34/CE - Congedi parentali.
E’ frutto del primo accordo sindacale europeo tra la Confederazio- ne europea dei sindacati (Ces), gli imprenditori privati (Unice) e gli im- prenditori pubblici (Ceep). Prevede, tra le altre cose, un congedo paren- tale di almeno tre mesi per figli fino a otto anni e considera il congedo un diritto individuale tanto della madre quanto del padre. E’ stata rece- pita in Italia con la legge 53/00.
• Direttiva 97/80/CE - Onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso.
Mira a garantire una maggiore efficacia dei provvedimenti adottati dagli Stati membri in applicazione del principio di parità di trattamen- to, diretti a consentire a chiunque si ritenga leso dalla inosservanza nei suoi confronti di tale principio di ottenere il riconoscimento dei propri