INDICE
INDICE
INTRODUZIONE
CAPITOLO PRIMO
IL CONTRATTO SPORTIVO PROFESSIONALE
1.1. L’art. 4 legge n. 91/1981: oggetto, obbligazioni, durata e cessione del contratto di lavoro sportivo professionale
1.2. Il piano rimediale: l’inadempimento del contratto sportivo
1.3. Aspetti fiscali e contributivi nello sport
CAPITOLO SECONDO
IL QUADRO GIURIDICO INTERNO E SOVRANAZIONALE
2.1. Lo sport professionistico tra fonti interne e comunitarie
2.2. La legge delega n. 86/2019 e la riforma dello sport
2.3. Il Testo Unico sullo Sport: tra elementi innovativi e criticità
CAPITOLO TERZO ANALISI COMPARATA
3.1. Il modello italiano VS quello spagnolo
3.2. La comune impronta interventista di Italia e Spagna nell’organizzazione sportiva
3.3. Elementi di differenziazione nell’ambito della giustizia sportiva
CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA
INTRODUZIONE
Il presente lavoro di tesi si propone di analizzare, senza alcuna pretesa di esaustività, l’assetto giuridico del professionismo sportivo, avendo cura di metterne in risalto le peculiarità rispetto alla disciplina giuslavoristica del lavoro subordinato.
A tal fine, la trattazione prende le mosse dal faro normativo di riferimento per la regolamentazione dell’attività sportiva professionale, la legge n. 91/1981, passando in rassegna gli elementi essenziali richiesti dal legislatore perché possa ritenersi validamente concluso tale tipologia di contratto.
Seguono, per completezza espositiva, la disciplina rimediale disposta dal legislatore per l’eventuale fase patologica del rapporto tra l’atleta e la società sportiva datrice di lavoro, nonché il differente regime fiscale intercorrente tra l’attività sportiva professionale e quella di natura dilettantistica.
Nel prosieguo, la disamina verterà sull’articolato quadro normativo sia interno che sovranazionale, focalizzando l’attenzione sui tentativi in corso di riformare la materia e mettendo in luce punti di rilievo e nodi problematici del Testo Unico sullo Sport.
Infine, nel terzo e ultimo capitolo dell’elaborato, in un’ottica comparatistica, si opererà un confronto tra il modello italiano e quello spagnolo, i quali, pur risultando accomunati dalla medesima impronta interventista nell’organizzazione dell’attività sportiva di tipo professionale, divergono in ordine a diversi profili per quel che concerne l’amministrazione della giustizia sportiva.
CAPITOLO PRIMO
IL CONTRATTO SPORTIVO PROFESSIONALE
1.1. L’art. 4 legge n. 91/1981: oggetto, obbligazioni, durata e cessione del contratto di lavoro sportivo professionale
Un’attenta disamina della disciplina prevista dal legislatore in materia di contratto sportivo professionale non può prescindere, per completezza espositiva, dal far menzione del difficile inquadramento di tale tipologia di accordo negli schemi tracciati dal diritto del lavoro italiano.
Rispetto a tale profilo, infatti, occorre osservare preliminarmente che, quale che sia la tipologia di attività sportiva praticata, in generale, ciascuno sport si articola su tre differenti livelli: dilettantistico, semiprofessionale e professionale (o agonistico). Ebbene, per quel che concerne le prime due ipotesi, alcun problema si pone in termini di diritto del lavoro, laddove, invece, profili più problematici si riscontrano quando la pratica sportiva è svolta a livello professionale. In passato, infatti, quest’ultima è stata considerata dalla dottrina ora come prestazione d’opera1 ora come contratto di lavoro subordinato2.
In particolare, in tale ultima configurazione, la prestazione dell’atleta, pur nella specialità del rapporto che viene ad instaurarsi, presenta tutti gli elementi del rapporto di scambio a titolo oneroso (in quanto finalizzato a produrre utilità economica) ex art. 2094 c.c., ragion per cui gli sportivi professionisti sono qualificabili, a tutti gli effetti, come lavoratori subordinati, in quanto essi svolgono un’attività professionale continuativa, esclusiva e retribuita. Inoltre, quest’ultima dev’essere necessariamente svolta mediante l’inserimento dell’atleta in un
1 XXXXXXXX XXXXXX X., Diritto del lavoro e diritto sportivo, in dir. Lav. 1951, II, p. 264 ss.
2 GAZZONI M., Manuale di diritto del lavoro, 1977, I, p. 777 ss.
complesso organizzato, finalizzato alla produzione di un determinato servizio, che si realizza come indivisibile prodotto di squadra3. Dunque, gli sportivi professionisti e, in particolare, i calciatori sono a pieno titolo “impiegati” in virtù della loro qualificazione altamente specializzata, il lungo e rigoroso percorso formativo svolto, la loro partecipazione all’esercizio e alla finalità che l’impresa sportiva persegue4.
Tuttavia, a lungo la giurisprudenza di legittimità ha oscillato tra il riconoscimento della natura autonoma del contratto di lavoro tra società sportive e atleti come fonte esclusiva di un diritto di credito5, la riconduzione del rapporto nell’ambito della subordinazione ai sensi dell’art. 2094 c.c.6 e il riconoscimento della natura subordinata del rapporto, che, in virtù dell’autonomia dell’ordinamento sportivo (di cui si dirà in seguito), è sottratta alla regolamentazione del codice civile7.
A dirimere la controversia si è pronunciata, nel 1971, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che ha confermato la natura di lavoro subordinato del rapporto di lavoro sportivo pur riconoscendo la presenza di caratteristiche che, in ogni caso, non sono state ritenute idonee ad alterarne la natura giuridica secondo gli Ermellini.
Posizioni parimenti contrastanti, però, si riscontravano anche in dottrina, benché l’orientamento prevalente, coerentemente con l’indirizzo giurisprudenziale dominante, propendesse per la natura subordinata dell’attività sportiva professionale. Gli autori che aderivano ad una prospettazione differente, invero, qualificavano il rapporto di lavoro in questione come autonomo ai sensi dell’art. 2222 c.c. e, più segnatamente, nell’alveo delle collaborazioni coordinate e continuative, in virtù della mancanza di requisiti idonei ad inquadrare l’attività sportiva come di tipo subordinato8.
3DEL GIUDICE X., Natura e obblighi previdenziali del contratto di attività sportiva, in Scritti in memoria di X. Xxxxxxx, Milano, 1967, p. 227.
4DEL GIUDICE F., op. cit., p. 237.
5 cfr. Cass. 4 luglio 1953, n. 2085, in Giur. Lav., 1953, I.
6 cfr. Cass. 21 ottobre 1961, n. 2324, in Foro it., 1961, I.
7cfr. Cass. 2 aprile 1963, n. 811 in Riv. dir. sport., 1963.
8MARTONE A., Osservazioni in tema di lavoro sportivo, in Riv. dir. sport., 1964, p. 117.
Altri, invece, sostenevano che si trattasse di un rapporto di natura associativa, nell’ambito del quale il fine comune dei contraenti era rappresentato dallo svolgimento dell’attività sportiva. In questa prospettiva, l’atleta era considerato un membro della società sportiva in virtù di un rapporto associativo nell’ambito del quale veniva ad innestarsi un rapporto economico di scambio, la cui causa rimaneva, comunque, assorbita dall’agonismo e dall’obiettivo comune di perseguire la vittoria nella competizione sportiva9.
Secondo tale prospettazione, la tradizionale concezione giuridica della subordinazione non si prestava in toto alle peculiarità del lavoro sportivo e ciò, da un lato, per la libertà di invenzione che ispira le condotte degli atleti nel corso delle competizioni sportive e, dall’altro, perché nel rapporto dell’atleta professionista si rinvengono vincoli non solo funzionali al migliore espletamento della prestazione, ma anche incidenti nella sfera privata e familiare di quest’ultimo, con un’ampiezza e un’intensità non consuete nelle normali obbligazioni lavorative (si pensi, a titolo esemplificativo, all’obbligo per gli atleti in attesa di sottoporsi a gare sportive di osservare una corretta alimentazione e/o di condurre un regime di vita ben ordinato)10.
Ma, come anzidetto, la dottrina dominante era di tutt’altro avviso, essendo orientata a ricondurre il rapporto tra atleta e società sportiva nell’alveo della subordinazione
«per il fatto che, con il contratto di lavoro stipulato con la società sportiva, l’homo ludens diventasse faber», ponendosi all’altrui servizio in cambio di una remunerazione11. Si configurava, quindi, una controprestazione non solo economica del lavoro (in quanto diretta a retribuire l’energia prestata dal lavoratore nella struttura sinallagmatica del contratto), ma anche giuridica e ciò in virtù della soggezione dell’atleta a istruzioni tecniche e tattiche al potere disciplinare
9 VOLPE PUTZOLU G., Sui rapporti tra i giocatori di calcio e associazioni sportive e sulla natura giuridica delle cd. cessioni del calciatore, in Riv. dir. comm., 1964, II, p. 7.
10CORVI D., Prestazione sportiva e accordo collettivo, 2008, p. 61
11DE XXXXXXXXXX X., Legge 23 marzo 1981 n. 9. Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti, in Nuove leggi civ. comm., 1982, p. 577.
riconosciuto nei suoi confronti dalla società di appartenenza, nonché per l’assoggettamento a periodici controlli di natura sanitaria12.
Nel nostro impianto codicistico la definizione di subordinazione è rimessa all’art. 2094 c.c., a norma del quale si definisce lavoratore subordinato «chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore».
È evidente che quello cui sposato del legislatore italiano è un concetto di subordinazione di tipo tecnico-funzionale, rispetto al quale il comma secondo dell’art. 2104 c.c. specifica, al fine di scongiurare ogni possibile ambiguità che il prestatore di lavoratore subordinato è tenuto ad «osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende».
Completano la cornice normativa le disposizioni di cui all’art. 2106 c.c., norma che stabilisce, in coerenza con la sua qualità di “capo” dell’impresa, il potere disciplinare dell’imprenditore sui suoi sottoposti, alle cui dipendenze sono gerarchicamente collocati tutti i suoi collaboratori (ex art. 2086 cod. civ.).
Da quanto anzidetto è facile dedurre che la principale caratteristica del lavoro subordinato debba rinvenirsi nell’eterodirezione dell’attività presso cui il lavoratore è impiegato e, conseguentemente, nell’eterodeterminazione della prestazione che questi svolge. Infatti, «la subordinazione identifica il comportamento solutorio del debitore ed il suo assoggettamento, seppur solo tecnico-funzionale, all’autorità dell’imprenditore»13.
A lungo la dottrina si è chiesta se il vincolo di subordinazione debba essere ascritto alla causa del contratto di lavoro di tipo subordinato contratto oppure se lo stesso venga a configurarsi unicamente come un elemento esterno alla struttura dell’obbligazione lavoristica14.
12Ibidem.
13 PESSI R., Lezioni di diritto del lavoro, VII ed., Torino, 2016, Giappichelli Editore, p. 213.
14 Ibidem.
A prevalere è stata tale ultima prospettazione secondo cui la funzione economico- sociale (o causa) astrattamente individuata dal legislatore non dev’essere ravvisata nello scambio tra prestazione subordinata e retribuzione, quanto, piuttosto, tra collaborazione e retribuzione. In tal modo, infatti, più che sulla messa a disposizione di energie lavorative attivate in virtù del potere direttivo che l’imprenditore esercita, viene posto l’accento su un ulteriore dato di non scarso rilievo, ossia l’aspettativa del creditore circa il risultato della prestazione, il cui effetto diretto è la natura bidirezionale del coordinamento dell’organizzazione lavorativa15.
In linea di continuità con quanto disposto dall’art. 2105 c.c., si può concludere che la collaborazione sia uno dei criteri di valutazione del comportamento delle parti, le quali sono tenute all’osservanza reciproca dei doveri di correttezza e buona fede.
Per quel che concerne la disciplina dettata in materia di contratti di lavoro subordinato, appare opportuno evidenziare la principale innovazione, di natura metodologica, operata dal d. lgs. n. 36/2021, che ha disposto una disciplina unitaria tra professionisti e dilettanti.
Xxxxxx, assumendo una prospettiva di salvaguardia della formazione dei giovani atleti, il legislatore ha disposto, d’un canto, all’art. 30, co. 1, del citato decreto che
«per garantire loro una crescita non solo sportiva, ma anche culturale ed educativa», le società o associazioni sportive possano «stipulare contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, per il diploma di istruzione secondaria superiore e per il certificato di specializzazione tecnica superiore …, e contratti di apprendistato di alta formazione e di ricerca»; d’altro, ha ribadito la legittimità della stipulazione di contratti a termine per gli sportivi pur in assenza di una causale giustificativa, ferma l’osservanza del limite temporale durata quinquennale della pattuizione. Tale previsione è stata estesa anche al dilettantismo,
15 PESSI R. op. cit., p. 214.
derivandone, per l’effetto, l’inapplicabilità della disciplina generale prevista dagli artt. 19-29 d. lgs. n. 81/201516.
Ebbene, se la soluzione adottata dal legislatore appare certamente condivisibile con riferimento alle categorie degli atleti ed allenatori, anche in virtù dell’avvenuto superamento del vincolo sportivo, non può giungersi alla medesima conclusione per quel che concerne le altre categorie di lavoratori sportivi, «se non nella logica di attribuire alle società ed alle associazioni sportive una maggiore flessibilità»17.
Con l’entrata in vigore dell’art. 2 legge n. 91/1981, norma che limita espressamente il proprio ambito di applicazione al solo professionismo sportivo, il legislatore italiano ha introdotto, per la sola figura dell’atleta, una presunzione di lavoro subordinato, laddove, la subordinazione dell’attività prestata dagli altri sportivi professionisti non si presume, ma dev’essere accertata in concreto, caso per caso, dal giudice attraverso una rigorosa applicazione degli indicatori previsti dal diritto del lavoro18.
Dunque, l’attività sportiva resa dall’atleta professionista in maniera onerosa e continuativa in favore di una società di capitali (atteso che tale forma giuridica rappresenta il requisito soggettivo richiesto al datore di lavoro di un professionista sportivo), dovrà essere ex sé considerata di natura subordinata, con conseguente applicazione della disciplina tracciata dalla legge n. 91/198119.
Non così per gli sportivi professionisti, dal momento che, in relazione a tale categoria, dovrà accertarsi in concreto la sussistenza o meno del vincolo di subordinazione, atteso che l’onerosità e la continuità della prestazione ben potrebbero conciliarsi con un rapporto di lavoro autonomo ai sensi e per gli effetti dell’art. 2222 c.c.20
16ZOLI C., XXXXXXX X., Xxxxxxxxxx, volontari e amatori tra sport e terzo settore, Centre for the study of Eruopean LaborLaw Xxxxxxx X’xxxxxx, Working Papers n. 443/2021, p. 10.
17 XXXX C., XXXXXXX X., op. cit., p. 11.
18 Cass., 28 dicembre 1996, n. 11540, in Giust. civ. mass., 1996.
19CORVI D., op. cit., p. 76.
20 Cass., 17 gennaio 1996, n. 354, in Dir. prat. Lav., 1996.
Tuttavia, l’impianto normativo non esclude che l’attività resa dall’atleta professionista possa rivestire i caratteri della prestazione di lavoro autonomo ma, coerentemente con la presunzione di subordinazione, provvede anche ad indicare, al comma secondo dell’art. 3, le ipotesi in cui la prestazione a titolo oneroso dell’atleta non costituisca oggetto di lavoro subordinato, bensì di lavoro autonomo.
È dato incontrovertibile che il rapporto di lavoro sorto in ambito sportivo presenti dei caratteri di specialità rispetto ai tradizionali rapporti di lavoro dipendente.
Nel caso di specie, invero, l’elemento di specialità si rinviene nelle caratteristiche proprie della materia da regolamentare (e dunque della peculiare attività svolta dal lavoratore), che ha reso necessario introdurre norme parzialmente differenti rispetto a quelle vigente per la generalità dei lavoratori subordinati21.
In tale ambito, infatti, vi era la preminente esigenza di adeguare il modello di tutela ideato da legislatore per i lavoratori dipendenti alle specifiche condizioni che caratterizzano questa particolare categoria di lavoratori.
Deve, in primo luogo, scongiurarsi la tesi dell’atipicità del rapporto lavorativo in questione, dal momento che non può parlarsi di atipicità né con riferimento al contratto che regola tale rapporto (alla stregua della nozione civilistica di contratto atipico in cui rientrano i contratti non espressamente disciplinati dall’ordinamento giuridico) né alla luce della nozione più strettamente giuslavoristica che considera atipici quei rapporti per i quali si ritiene di dover garantire, in quanto compatibili, ai prestatori di lavoro gli stessi diritti e doveri di cui godono i titolari di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, pur difettando di tali requisiti per essere rapporti a tempo parziale o a tempo determinato22.
Ciò che viene immediatamente in rilievo nell’ambito della specialità della disciplina riservata al lavoro sportivo, è che la fattispecie del lavoro subordinata tracciata dal
21 XXXXX D., op. cit., p. 92.
22 XXXXX D., op. cit., p. 135.
legislatore per lo sport non può essere perfettamente ricondotta nei contorni che, in genere, identificano la subordinazione dei prestatori di lavoro, cd. eterodirezione.
Infatti, i requisiti della subordinazione degli atleti sportivi professionisti non si risolvono in maniera assorbente nella soggezione delle direttive emanate dal datore di lavoro e al suo controllo, ma riguardano anche (o forse soprattutto) ulteriori caratteri della prestazione. In forza di ciò, la subordinazione nel lavoro sportivo, da un lato, ha richiesto la predisposizione di strumenti che, ai fini della rilevazione della stessa, applicano criteri che vanno ben oltre le ordinarie prescrizioni previste per l’individuazione della fattispecie del lavoro subordinato; dall’altro, «la realtà sociale segnala con progressiva intensità un’innegabile dose di artificiosità della qualifica di tutti gli sportivi professionisti come lavoratori subordinati»23.
Ma proprio in virtù della mancanza di giustificazione di un’indiscriminata estensione delle tutele e della normativa lavoristica anche a fattispecie che non ne giustificano l’invocabilità, la legge n. 91/1981, come si vedrà, non ha esteso agli sportivi professionisti le norme di diritto del lavoro relative ai licenziamenti individuali, le quali, lo si ricorda, rivestono un’importanza fondamentale nella disciplina del rapporto di lavoro subordinato. Parimenti escluse le disposizioni di cui agli artt. 4, 5, 13, 33 e 34 dello Statuto dei lavoratori24.
Ma se è vero che la specialità del rapporto implica una disciplina autonoma, è pur vero che essa non esclude l’intervento, in via sussidiaria, della disciplina generale. Secondo l’opinione maggiormente condivisa, infatti, l’applicazione al lavoro sportivo di tipo subordinato della legge n. 91/1981 non esclude l’applicabilità allo stesso di ogni norma di carattere generale non ricompresa nella legge stessa, ma con essa compatibile25.
Più nel dettaglio, l’avvento della legge 23 marzo 1981, n. 91 (disciplina del rapporto di lavoro sportivo professionistico) nel nostro ordinamento giuridico italiano ha
23Ibidem. 24Ivi.
25CORVI D., op. cit., p. 136.
sancito il definitivo passaggio da quella che, fino a quel momento, era stata una mera elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale ad una disciplina normativa compiuta. Ne è conseguita la più precisa definizione di tutti gli aspetti fino ad allora più controversi, oggetto di accesi dibattiti, in particolar modo con riferimento agli elementi essenziali del rapporto tra l’atleta e la società sportiva.
Antecedentemente a tale intervento legislativo, infatti, la sola fonte normativa a regolare tali rapporti erano le norme interne degli ordinamenti sportivi26.
La legge, rubricata «Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti», identificava l’estremo tentativo di compromesso27, finalizzato ad introdurre la disciplina dei rapporti tra società e sportivi nell’ordinamento giuridico dello Stato, procedendo alla definizione dei singoli aspetti del rapporto di lavoro (es. la prestazione dell’atleta professionista) e distaccandosi dall’impostazione precedentemente elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza28.
La legge n. 91/1981 è articolata in quattro capi, strutturati come segue:
- disciplina giuridica dello sport professionistico (capo I, artt. 1- 9);
- norme relative al funzionamento e l’attività delle società sportive e Federazioni Sportive Nazionali (capo II, artt. 10- 14);
- disposizioni di carattere tributario (capo III, art. 15);
- disposizioni transitorie e finali (capo IV artt. 16- 18).
26 XXXXXXXX S., La legge n. 91 del 1981 e la “emersione” dell’ordinamento sportivo, in Riv. dir. sport., 1982, p. 36.
27 ROTUNDI F., La Legge 23 marzo 1981, n. 91 e il professionismo sportivo: genesi, effettività e prospettive future, in Riv. dir. sport., 1990, p. 316.
28 Cass. 21 ottobre 1961, n. 2324, in Foro it., 1961, p. 1608; la Suprema Corte aveva trattato per incidens l’argomento con la sentenza 4 luglio 1953, n. 2085, risolvendo in senso negativo la questione della risarcibilità del danno subito dall’associazione calcistica per la morte dei propri giocatori. In quella occasione, la Cassazione aveva affermato che «le particolari caratteristiche del rapporto, che lega i calciatori alla società sportiva che li ha ingaggiati, e gli ampi poteri dispositivi e di controllo della stessa potevano, al più, far considerare atipici i contratti che attengono alla prestazione di attività agonistica, ma non ne snaturano l’essenza giuridica che, nelle linee fondamentali e nel contenuto sostanziale, resta quella di un contratto di lavoro, fonte di un diritto di credito, ritenuto non risarcibile».
La definizione dei rapporti tra società sportive e atleti professionisti, oggetto principale della disciplina dettata dalla l. n. 91/1981, introduce una regolamentazione dell’attività e del funzionamento delle società sportive, in relazione alla struttura commerciale/societaria ed ai rapporti con le Federazioni Sportive Nazionali29, ragion per cui rappresenta un imprescindibile strumento di tutela per i professionisti sportivi Prendendo le mosse dal principio sancito all’art. 1 l. n. 91/1981, si ricava la definizione dei rapporti di lavoro subordinato nel settore calcistico: a tenore di tale disposizione, infatti, «l’esercizio dell’attività sportiva, sia essa svolta in forma individuale o collettiva, sia in forma professionistica o dilettantistica, è libero».
La citata norma sancisce un limite sia per le eventuali intromissioni dell’ordinamento sportivo propriamente detto (che si traducono in ostacoli all’esercizio di dette attività da parte di chiunque, in forma singola o associata), sia nei confronti dello stesso ordinamento generale, che non può introdurre normative che prevedano impedimenti non consentiti30. In ragione di ciò, l’art. 1 è stato opportunamente identificato come una norma programmatica conforme al principio costituzionale della libertà d’estrinsecazione della personalità del singolo31, di fatto «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità» (art. 2 Cost.).
Tale disposizione ha un valore essenzialmente economico, identificando la piena libertà contrattuale: precisamente, si traduce nella valorizzazione della libertà di contrarre, che, precedentemente vietata, è oggigiorno disciplinata dall’art. 5 (durata massima e cessione del contratto), dall’art. 6 (libertà di stipulare un nuovo contratto alla scadenza di quello precedente) e dall’art. 16 (abolizione graduale del vincolo). In relazione alla distinzione tra calciatore professionista e dilettante, l’art. 2 legge n. 91/1981 dichiara che sono sportivi professionisti «gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo
29 XXXXXXX F., op. cit., p. 319.
30 DELL’OLIO M., Lavoro sportivo e diritto del lavoro, in Dir. lav., 1988.
31 DE XXXXXXXXXX X., Problemi attuali di diritto sportivo, in Riv. Dir. lav, 1989, p. 97.
oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle Federazioni Sportive Nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica».
La norma delinea i requisiti soggettivi e oggettivi, che devono sussistere affinché il soggetto sportivo possa acquisire lo status di professionista.
L’ambito soggettivo di applicazione definito dall’art. 2, ex parte laboratoris, elenca segnatamente i soggetti che ne sono destinatari32: la qualifica di professionisti, pertanto, può essere acquisita dagli atleti, dai direttori tecnico-sportivi, dai preparatori atletici, etc.
La completezza dell’elenco di cui innanzi, tuttavia, ha fatto emergere un interrogativo circa la tassatività dello stesso: in buona sostanza, ci si è chiesto se esso debba essere inteso come meramente esemplificativa (in questo caso, si potrebbe procede ad un’applicazione estensiva delle disposizioni, altresì, ad altri soggetti non identificati esplicitamente) o meno.
A tal riguardo, parte della dottrina33 sostiene la tassatività dell’elenco: questo orientamento sostiene che la disciplina, non potendo recare ampie deroghe, atteso che, nella maggioranza dei casi, esse hanno natura peggiorativa, non può estendersi oltre i limiti soggettivi indicati dalla legge stessa.
Diversamente, altri autori34 ritengono che l’elenco non sia tassativo. I sostenitori di tale ultima tesi, inveri, ritengono che il legislatore abbia inteso elencare in maniera esemplificativa solo le figure degli operatori sportivi più frequenti e noti, senza escludere, aprioristicamente, l’estensione della tutela anche ad altre figure di tecnici, eventualmente previste e prevedibili dagli ordinamenti federali.
32 Inoltre, è doveroso aggiungere che l’ambito soggettivo d’applicazione della l. n. 91/1981, ex parte datoris, è individuato dall’art. 10, comma 1, il quale stabilisce che «possono stipulare contratti con atleti professionisti solo società sportive costituite nella forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata».
33 PICCARDO E., Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti – Commento all’articolo 2, in
Nuove leggi civ. comm., 1982, p. 562 ss.
34 XXXXXX XXXX A. I., Problematiche della Legge 91/1981, in Riv. dir. sport., 1983, p. 30.
Dalla suddetta analisi, si può concludere che si tratti di una norma aperta, dotata di piena capacità per estendersi anche ad altre figure tecniche (ad es., gli insegnanti, gli istruttori, etc.). Inoltre, la disposizione circoscrive i requisiti oggettivi che sanciscono l’appartenenza dell’atleta alla categoria dei professionisti sportivi, ossia:
- l’onerosità della prestazione sportiva: si tratta di un’attività remunerata attraverso l’erogazione di un compenso, che è proporzionato alla quantità e alla qualità della prestazione stessa ed è indipendente dalla sua misura effettiva;
- la continuità della prestazione sportiva: l’attività sportiva è svolta stabilmente alle dipendenze di una società;
- il rispetto delle discipline regolate dal C.O.N.I. (Comitato Olimpico Nazionale Italiano): solo i tesserati e le società affiliate alle federazioni sportive nazionali possono concludere un contratto di lavoro sportivo professionistico.
I menzionati requisiti (onerosità, continuità, esercizio di attività sportiva nell’ambito delle discipline regolamentate dal C.O.N.I.) non sono, però, sufficienti ad inquadrare giuridicamente l’atleta professionista: difatti, è necessario un ulteriore elemento, quale l’intervento qualificatorio da parte della Federazione sportiva35 della figura dello sportivo professionista. Nel rapporto di lavoro sportivo è sempre richiesta la preventiva qualificazione (comunemente detto tesseramento), la cui mancanza comporta inevitabilmente la nullità del contratto.
La qualificazione della Federazione si qualifica come atto d’ingresso dell’atleta nella comunità sportiva, ma costituisce soprattutto, il presupposto legale per l’acquisizione dello status di sportivo professionista.
A ben vedere, tale requisito assolve una duplice finalità: da un lato, si riconosce alle Federazioni la piena autonomia in ordine ad uno specifico settore della
35 SPADAFORA M. T., Diritto del lavoro sportivo, Torino, 2004, p. 53.
regolamentazione dell’attività sportiva quale, appunto, è la definizione del discrimine tra sport professionistico e sport dilettantistico; dall’altro, il rinvio alle norme federali evita che la qualificazione professionistica, dipendente dagli elementi oggettivi, sia diffusa impropriamente.
Ciò potrebbe comportare un’estensione dell’ambito applicativo della disciplina speciale (in peius), prevista dalla legge 91/1981, oltre i limiti consentiti.
In relazione ai limiti legali e prescindendo dai concetti di continuità e onerosità, parte della dottrina36 richiama il concetto di prevalenza al fine d’identificare l’atleta professionista. Invero, il professionista è colui che esercita – esclusivamente o quantomeno in misura prevalente - l’attività sportiva dietro compenso; è, quindi, colui che pratica lo sport per professione ed è ciò che lo distingue dall’atleta dilettante37.
Infine, è evidente che i requisiti della continuità e dell’onerosità non siano sufficienti a determinare con certezza la natura professionistica o dilettantistica dell’attività sportiva praticata dall’atleta, atteso che configurino solo il rapporto di lavoro tra sportivo e società d’appartenenza.
Nulla è mai stato disposto dal CONI in ordine alla distinzione tra professionismo e dilettantismo38, ravvisandosi, in merito, una sola circolare emessa il 22 marzo 1988,
n. 469, nell’ambito della quale veniva stabilito che «l’attività sportiva professionistica è quella definita o inquadrata come tale dalle norme statutarie delle federazioni sportive nazionali, approvate dal C.O.N.I., in armonia con l’ordinamento delle rispettive federazioni internazionali interessate».
L’art. 4, comma 1, legge n. 91/1981 prevede che «ogni rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso, e quindi sicuramente quello tra calciatore professionista e società, si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un
36 DURANTI D., L’attività sportiva come prestazione di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 1983, p. 708; XXXX C., Sul rapporto di lavoro professionistico, in Giust. Civ., 1985, p. 2089.
37 Ibidem.
38 XXXXXXXX XXXXXXXX E., Il rapporto di lavoro nel diritto sportivo, in Dig. Disc. Priv., 2003, p. 757.
contratto avente forma scritta e conforme al contratto tipo predisposto a seguito dell’Accordo collettivo stipulato ogni tre anni dalla Federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate».
Di conseguenza, il contratto scaturisce da modalità di assunzione diretta, ossia attraverso una convocazione della società sportiva, che intende avvalersi delle prestazioni del calciatore39.
Preliminarmente, occorre sottolineare l’esigenza di salvaguardare gli interessi dei calciatori: difatti, si incentiva la stipula di un accordo collettivo tra A.I.C., F.I.G.C. e Leghe nazionali professionistiche, che spingerà l’associazione calciatori a creare un’agenzia di collocamento senza diritto di esclusiva, per agevolare e coadiuvare il calciatore nella stipulazione e conclusione del contratto di lavoro40.
Pertanto, il calciatore professionista negozia la propria assunzione direttamente con la società, ricorrendo alla figura degli agenti, liberi professionisti che, avendo ricevuto l’incarico, curano e promuovono i rapporti fra un calciatore e una società. Il contratto deve ottemperare a specifici requisiti, ossia deve avere tutti gli elementi essenziali previsti dalla disciplina generale dei contratti ci cui all’art. 1325 c.c.
Il primo tra questi, com’è noto, è l’accordo tra le parti: invero, le tipologie di accordi previsti dalla normativa sono molteplici e, sostanzialmente, scaturiscono da una proposta proveniente dalla società calcistica e diretta al singolo professionista, cui fa seguito l’accettazione da parte del destinatario ovvero un rifiuto della medesima offerta.
Si evidenzia che il contratto di lavoro subordinato è un rapporto sinallagmatico prettamente non paritario: difatti, sia nel settore calcistico che in altri ambiti, il rapporto si instaura non su un reale incontro delle volontà dei contraenti, ma sulla volontà della parte contrattuale più forte.
39 XXXXX X., GUARDAMAGNA D., GUARDAMAGNA M.L., IUDICA F., XXXXXXXX P., XXXXXX X., XXXXXXX X., XXXXX A., XXXXXXX S., TATARELLA L., XXXXXXX M., VENTURI FERRIOLO F., I contratti sportivi e il sistema di risoluzione delle controversie nello sport, 2017, p. 78.
40 XXXXXXX X’XXXX X., VIDIRI G., La nuova disciplina del lavoro sportivo, in Riv. dir. sport., 1982, p. 14.
Pertanto, il consenso non avrà ad oggetto solo il contenuto del contratto, bensì, interesserà l’attuazione di condizioni determinate a livello collettivo, che prevedono clausole di trattamento migliori per il calciatore/lavoratore.
Ciononostante, vi è una piena libertà contrattuale, la quale permette alle parti di attenersi e, di conseguenza, rispettare le norme imperative durante la stipulazione; in tal modo, si configura uno schema contrattuale che tutela del contraente debole41.
Secondo elemento essenziale del contratto, ossia la causa: essa identifica la funzione economico sociale, che definisce lo scopo della conclusione del contratto.
Parte della dottrina42 ritiene che la causa sia lo schema dell’operazione economico- giuridica che il negozio realizza, ossia la ragione giustificatrice del negozio.
La causa del contratto calcistico professionistico è rappresentata dall’interesse del promittente e, ulteriormente, varia in relazione al contenuto del contratto.
L’oggetto del contratto calcistico professionistico, invece, consiste nella prestazione del calciatore, ossia nelle performance dello stesso. Difatti, «il calciatore deve adempiere la propria prestazione sportiva nell’ambito dell’organizzazione predisposta dalla società e con l’osservanza delle istruzioni tecniche e delle altre prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici»43.
La suddetta disposizione deve essere letta in combinato disposto con l’art. 4, comma 4, legge n. 91/1981 ove, appunto, si afferma che «nel contratto individuale dovrà essere prevista la clausola contenente l’obbligo dello sportivo al rispetto delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici».
Pertanto, è pacifico ritenere che la natura del vincolo di subordinazione sia riconducibile allo schema di obblighi previsti agli artt. 2104- 2105 c.c.: tali disposizioni prevedono un regime di obblighi a carico del lavoratore, quali l’obbligo di diligenza e l’obbligo di fedeltà. Invero, tale affermazione è confermata dalla stessa
41 SPADAFORA M.T., op. cit., p. 129.
42 TRABUCCHI A., Istituzioni di diritto civile, 2017.
43 art. 10, comma 1, Accordo Collettivo tra F.I.G.C., L.N.P. e A.I.C., disponibile in xxx.xxxxx.xxx.
l. n. 91/1981, la quale annovera tutti gli obblighi del lavoratore sportivo professionista, in quanto parte di un contratto di lavoro subordinato. In relazione a ciò, «il calciatore è tenuto ad osservare strettamente il dovere di fedeltà nei confronti della società»44, congiuntamente agli ulteriori obblighi previsti dal contratto.
È interessante sottolineare che, in ordine alle clausole contrattuali, non possono essere inserite nel contratto (né al momento della stipulazione e né durante lo svolgimento del rapporto) le clausole di non concorrenza e/o quelle limitative della libertà professionale dello sportivo, per il periodo successivo alla risoluzione del contratto. La ratio è quella di garantire la possibilità di impiego del lavoratore al termine del contratto stipulato45.
Per quanto concerne l’analisi del requisito della forma, la disciplina civilistica rimette quest’ultima alla modalità d’espressione preferita dalle parti: la forma scritta del contratto è imposta solo nell’ipotesi in cui essa sia richiesta dalla legge, a pena di nullità46.
L’art. 4, comma 1, l. n. 91/1981 prevede che il rapporto «si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive»; inoltre, il comma 2 dichiara che «la società ha l’obbligo di depositare il contratto presso la federazione sportiva nazionale per l’approvazione».
In ottemperanza alle suddette disposizioni, che predispongono i requisiti di validità del contratto sportivo professionistico, la forma deve essere scritta e il contratto deve esser depositato presso la Lega competente, al fine di procedere all’approvazione. Inoltre, l’Accordo Collettivo prevede che il contratto, a pena di nullità, debba essere redatto utilizzando l’apposito modulo federale, debitamente e sottoscritto dal calciatore professionista e da un rappresentante legale della società, il quale sia dotato dei necessari poteri di rappresentanza.
44 Ibidem.
45 XXXXXX G., XXXXXXX L., Lezioni di Diritto Sportivo, 2020.
46 TRABUCCHI A., op. cit.
L’obbligatorietà della forma scritta prefigura un onere che non si rileva per l’ordinario contratto di lavoro, rispetto al quale opera il principio generale della libertà delle forme. Ulteriormente, sussiste l’obbligo di indicare, in forma scritta, alcuni elementi essenziali per lo svolgimento della prestazione (ad es. le modalità di esecuzione, la durata del rapporto, etc.). La ratio di tale peculiarità è data dall’esigenza di agevolare il controllo delle Federazioni sull’operato delle singole società e, inoltre, è finalizzato a garantire maggiore certezza e celerità nella risoluzione di possibili controversie tra atleti e associazioni sportive.
Infine, l’art. 3 dell’Accordo Collettivo stabilisce che l’onere del deposito spetta alla società, la quale deve «depositare il contratto entro cinque giorni dalla sottoscrizione e nei periodi di tesseramento previsti dall’ordinamento federale presso la Lega competente per la relativa approvazione».
In caso di inerzia della società, tale onere spetta al calciatore stesso, il quale «deve provvedervi entro 60 giorni dalla data di sottoscrizione, dandone comunicazione contestuale alla società» (art. 3, comma 2).
Invero, il tempestivo deposito del contratto costituisce la condizione necessaria per la successiva approvazione dello stesso, requisito imprescindibile per la sua validità. Pertanto, di seguito al deposito del contratto presso la Lega competente, la Lega stessa dovrà procedere alla sua approvazione attraverso il rilascio di un provvedimento che attesta la compatibilità della stipulazione con il quadro normativo vigente e, per l’effetto, ne sancisce la validità.
Infatti, il controllo di legittimità consiste nella valutazione della conformità delle clausole contrattuali rispetto a quelle previste dal contratto tipo: nell’ipotesi in cui siano presenti clausole peggiorative, le stesse dovranno essere sostituite di diritto da quelle previste dal contratto; se si hanno clausole migliorative, rispetto a quanto previsto nel contratto, queste andranno a surrogare quelle previste dal contratto-tipo, a patto che siano comunque conformi alle norme dell’ordinamento sportivo.
Gli obblighi che sorgono in capo alle società sportive ed ai calciatori professionisti in conseguenza del contratto possono essere distinti in base alla loro natura.
In relazione alle obbligazioni delle società sportive, si distinguono:
- gli obblighi di natura economica;
- gli obblighi di natura normativa.
Le obbligazioni appartenenti al primo gruppo hanno ad oggetto il trattamento retributivo: il contratto calcistico professionistico, avendo natura sinallagmatica, prevede la corresponsione della retribuzione pattuita.
La retribuzione rappresenta la principale obbligazione della società nei confronti del calciatore, poiché essa è finalizzata a remunerare l’attività svolta dal professionista/dipendente e, inoltre, costituisce il mezzo attraverso il quale l’individuo provvede a soddisfare le proprie esigenze.
Il trattamento economico corrisposto all’atleta deve soddisfare:
- il requisito della proporzionalità, in virtù del quale si valuta il lavoro prestato e l’impegno profuso in relazione alla durata della prestazione, alla qualità degli incarichi svolti e della responsabilità che ne deriva;
- il requisito della sufficienza, che si riferisce alla sufficienza della retribuzione ai fini di garantire, non soltanto al lavoratore, ma anche alla sua famiglia un’esistenza dignitosa.
L’Accordo Collettivo (tra F.I.G.C., A.I.C. e L.N.P.A) prevede (agli artt. 4- 5) un sistema di determinazione della retribuzione incentrato su un compenso annuo lordo, che assorbe ogni altro onorario, indennità o assegno cui l’atleta potrebbe aver diritto a titolo di permessi, trasferte, gare notturne, ritiri o altro47.
47 Cfr., art. 4, Accordo Collettivo F.I.G.C.-A.I.C.-L.N.P.A., prevede che: «la retribuzione del calciatore può essere fissa o composta di una parte fissa e di una variabile. In quest’ultimo caso, la parte variabile può essere legata a risultati sportivi, individuali del calciatore o collettivi della squadra e anche a obiettivi non sportivi individuali del calciatore, come meglio riterranno di individuarli le parti di comune accordo, e secondo le seguenti regole. Ove pattuita, la parte variabile: (i) non potrà eccedere, per ogni stagione sportiva di durata del contratto, separatamente considerata, il 100% di quella fissa annua, qualora quest’ultima sia concordata fino all’importo di € 400.000,00 lordi; (ii) non avrà limitazione alcuna, per ogni stagione sportiva di durata del contratto,
Oltre al trattamento retributivo, le società sono obbligate anche in tema di tutela sanitaria; invero, esse devono rispettare sia il dovere di sicurezza, previsto dall’art. 32 Cost. e dall’art. 2087 c.c., che gli obblighi specifichi in materia di certificazione dell’idoneità sportiva a livello agonistico, di controlli sanitari periodici e di redazione ed aggiornamento di specifiche schede sanitarie48.
In relazione a ciò, la giurisprudenza ha stabilito che «ogni disciplina sportiva che, come il calcio, rende frequente lo scontro fisico tra contendenti e che per il suo accentuato agonismo porta non di rado alla consumazione di falli di gioco improntati a condotte violente, giustifica una ampia operatività nel settore in oggetto dell’art. 2087 c.c., dovendosi le cautele a tutela della salute cui è tenuto il datore di lavoro parametrare sulla specifica pericolosità dell’attività svolta dello sportivo professionista, che deve essere controllato e seguito a livello medico con continuità ed anche nel momento in cui, in sede di sedute di allenamento e di ritiro precampionato, svolge la propria attività, avendo la realtà fattuale mostrato come interventi solleciti siano serviti ad impedire la consumazione di eventi lesivi di particolare gravità ed, in qualche occasione, ad evitare finanche la morte dell’atleta»49.
Inoltre, sussistono anche altri obblighi di carattere economico, che riguardano il trattamento previdenziale e assicurativo: l’art. 8 l. n. 91/1981 garantisce la tutela assicurativa, fissando l’obbligo a carico della società sportiva di «stipulare una polizza assicurativa in favore di ciascuno sportivo professionista con essa tesserato
separatamente considerata, qualora la parte fissa annua sia concordata in un importo superiore ad € 400.00,00 lordi; (iii) non avrà alcuna, nel caso di stipula di primo contratto da professionista. (comma 1) La retribuzione deve essere espressa al lordo. Nel contratto pluriennale la retribuzione dovrà essere indicata per ciascuna stagione sportiva. (comma 2) La quota lorda spettante quale partecipazione alle eventuali iniziative promo- pubblicitarie della società può essere o meno conglobata nella parte fissa della retribuzione. La relativa pattuizione deve essere indicata nel Contratto e/o nelle Altre Scritture. (comma 3). La retribuzione può essere convenuta in misura diversa a seconda del Campionato e/o della competizione internazionale cui la società partecipa o parteciperà e non può in ogni caso essere inferiore al minimo. (comma 6) Il trattamento economico del rapporto è determinato nelle tabelle allegate al presente Accordo, che potranno essere modificate d’intesa tra le parti contraenti. (comma 7)»
48 XXXXXX X., XXXXXXX L., op. cit., pp. 154 ss.
49 Cass., Sez. lav., 8 gennaio 2003, n. 85, in Resp. Civ. e prev., 2003, p. 765.
contro il rischio di morte e di infortuni che possano pregiudicare il proseguimento della carriera professionistica».
Proseguendo, l’art. 9 della medesima legge assicura la tutela previdenziale, prevedendo un’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti presso l’ENPALS50. In ordine agli obblighi che sorgono in capo ai calciatori professionisti, l’art. 4 l. n. 91/1981 prevede espressamente l’inserimento di una clausola che obblighi l’atleta «al rispetto delle istruzioni tecniche delle prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici». Tale clausola è prevista da tutti gli Accordi Collettivi, che prevedono anche una serie di norme comportamentali con il relativo sistema sanzionatorio. Come per tutti i lavoratori subordinati, è prevista una specifica obbligazione che grava sul calciatore professionista, ossia il dovere di obbedienza sancito dall’art. 2104, comma 2 c.c. La norma richiede il rispetto delle disposizioni dettate dal datore di lavoro o dai collaboratori di quest’ultimo, i quali sono gerarchicamente sovraordinati al calciatore/dipendente.
Tanto premesso, preme sottolineare come, ad ogni buon conto, l’obbligazione principale che il lavoratore è tenuto ad osservare, è quella di «prestare la propria attività lavorativa personalmente, secondo la diligenza richiesta dalla prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale» (art. 2104 c.c.): al calciatore/lavoratore professionista, dunque, è fatto onere di adempiere alle proprie prestazioni attraverso l’uso della diligenza, dovuta dal tipo di incarichi assegnati.
Con riferimento, in particolare, all’obbligo di diligenza, in tema di tutela sanitaria, ai sensi dell’art. 9 dell’Accordo Collettivo, il calciatore è tenuto «a curare la propria integrità psicofisica e ad astenersi dal mettere a rischio la sua incolumità» e la sua condizione atletica. Inoltre, all’art. 10, comma 4 dello stesso Accordo, si disciplina
50 Ente nazionale di previdenza e di assistenza dei lavoratori dello spettacolo; esso è confluito, a far data dal 1° gennaio 2012, nell’INPS per effetto del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modifiche nella l. 27 dicembre 2011 n. 214.
l’obbligo di custodire con diligenza gli indumenti ed i materiali sportivi forniti dalla società.
Oltre agli obblighi di diligenza, è previsto l’obbligo di fedeltà (art. 2105 c.c.), il quale vincola l’atleta a non svolgere contemporaneamente la propria attività anche in favore di altre società professionistiche. Tale obbligo si sostanza nelle seguenti preclusioni:
- il divieto di assumere comportamenti illeciti;
- il divieto di intraprendere un’altra attività sportiva o lavorativa, che risulti incompatibile con quella calcistica (Art. 8, Accordo Collettivo F.I.G.C., A.I.C., L.N.P.A).
In termini di durata massima del contratto calcistico professionistico, l’art. 5 l. n. 91/1981 dispone che il contratto «può contenere l’apposizione di un termine risolutivo della durata massima non superiore a cinque anni», ammettendo, inoltre, la successione di più contratti a termine tra i medesimi contraenti. In tal modo, il legislatore riconosce alle parti l’opportunità di inserire nel contratto un termine di scadenza, con possibilità di successione di più contratti tra le stesse parti, senza che ciò possa configurare un’eccezione alle disposizioni normative51.
All’art. 5, commi 1 e 2, della legge in commento trova precisa disciplina anche l’istituto della cessione del contratto sportivo professionistico.
51 XXXXXXXXXXX P., Il contratto di lavoro subordinato a tempo determinato e la somministrazione di lavoro alla prova del decreto dignità, 2018. L’autore afferma che «il d. l. 11 agosto 2018, n. 96, ha mantenuto l’impianto complessivo della disciplina vigente, limitandosi a modificare alcune disposizioni del D. Lgs. 81 del 2015». Tali modifiche sono però piuttosto rilevanti ai fini pratici, in quanto hanno ridotto il periodo di libero utilizzo del contratto di lavoro a tempo determinato, per mansioni dello stesso livello e della stessa categoria legale, da 36 a 12 mesi, a condizione che questi siano continuativi, e le eventuali proroghe non siano superiori a quattro. «Permane dunque la possibilità di superare il predetto limite, a condizione che l’utilizzo del dipendente per mansioni di ciascun livello retributivo, o per ciascuna categoria legale, non superi i 12 mesi. L’apposizione del termine per un periodo superiore a 12 mesi (ma non eccedente i 24 mesi, a meno che la contrattazione collettiva non preveda regole differenti), la proroga del contratto oltre il predetto limite temporale, o la sottoscrizione di un secondo contratto di lavoro tra le parti», Cfr., XXXXXXXXX, M., Contratto a termine ed attività stagionali, 2019; Pertanto, è ammessa solo in presenza di esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività, esigenze di sostituzione di altri lavoratori, o esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
Invero, il comma 1 afferma che «il contratto degli sportivi professionisti non può superare i 5 anni di durata e che viene ammessa la successione di contratti a termine tra le stesse parti»; in seguito, il comma 2 ammette la «cessione del contratto, prima della scadenza (del termine di risoluzione), da una società sportiva ad un’altra», purché vi sia il consenso della controparte e la piena osservazione delle modalità fissate dalle Federazioni Sportive Nazionali.
Le modalità sono dettate dagli art. 95, 102 e 103 N.O.I.F. (Norme organizzative interne della F.I.G.C.): l’art. 95 sancisce che «l’accordo di un trasferimento di un calciatore o la cessione del contratto di un calciatore professionista devono essere redatti per iscritto, a pena di nullità, tramite l’utilizzo di moduli specifici rilasciati dalle Leghe o per via telematica», mentre l’art. 102 prevede che «tra le società associate alle Leghe Professionistiche è ammessa, in pendenza di rapporto, la cessione del contratto stipulato con calciatore professionista a condizione che questi vi consenta per iscritto». Infine, l’art. 103 disciplina la cessione temporanea del contratto dettando le regole sulla cessione temporanea di contratto, che ha una durata minima pari a quella che intercorre tra i due periodi dei trasferimenti e una massima che non eccedente quella del contratto economico, atteso che non può superare due stagioni sportive. Infine, preme sottolineare che al comma 5 della medesima disposizione si prevede che le Leghe possano limitare il numero dei calciatori che ogni società può tesserare per cessione temporanea di contratto, disciplinandone le modalità d’impiego ed i limiti di età.
In prima battuta, il contratto di lavoro sportivo potrebbe sembrare un contratto non paritario, il cui contenuto, demandato in via esclusiva alle parti, potrebbe risultare più facilmente espressione della volontà della parte più forte e non di entrambi i contraenti.
Onde evitare ciò, il primo comma dell’art. 4 legge n. 91/1981 prevede espressamente che il contratto tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni venga
predisposto in conformità all’accordo che, ogni tre anni, la Federazione sportiva nazionale stipula con i rappresentanti delle categorie interessate.
In tal modo, il contratto collettivo stipulato assolve la funzione di “modello” cui tutti quelli che interverranno successivamente tra atleti e società devono uniformarsi.
La conformità tra il contratto di lavoro individuale e quello tipo non persegue solo lo scopo di tutelare lo sportivo, ma anche per consentire il regolare svolgimento dell’attività agonistica. Dunque, l’adozione di un contratto tipo comporta dei vantaggi di natura prettamente economica, tra cui:
a) il superamento di tutte le incertezze di cui possono risentire i rapporti giuridici, atteso che nel momento in cui il contratto tipo viene trasfuso nel singolo accordo, restano definiti i singoli diritti e doveri, prevedendo, quindi, anche quegli elementi che, per mancanza di tempo riconnessa alle frenetiche dinamiche del calciomercato, sarebbero dovuti rientrare;
b) maggior comodità contrattuale, in quanto con la singola dichiarazione di volontà resa dall’atleta o da un suo procuratore, basta un semplice richiamo perché sorgano tutti gli obblighi contrattuali;
c) viene garantita uniformità di trattamento contrattuale tra tutti gli sportivi.
Resta, dunque, da chiedersi se il contratto tipo e quello collettivo siano due figure giuridiche dotate di fisionomia propria o se le due fattispecie si identifichino.
La specificazione fra i due contratti emerge dalle qualificazioni tradizionali dei due contratti: quello collettivo, infatti, pone in evidenza la pluralità di soggetti e di affari coinvolti. Tuttavia, in entrambi non viene alterata la qualità dell’affare, ragion per cui, secondo la dottrina52, il contratto collettivo è espressione di un affare esteso a più unità giuridiche, laddove il contratto-tipo è incentrato, perlopiù, sulla conclusione dei singoli affari. Può, quindi, concludersi per l’eterogeneità tra le due fattispecie in commento, le quali, pur essendo tra loro strettamente connesse, restano differenti.
52PASSALACQUA P., op. cit.
In ambito calcistico ciò trova conferma nella previsione di cui all’art. 2, nell’ambito del quale viene specificato che il contratto collettivo richiama e rinvia al contratto- tipo, in una sorta di complementarietà53.
Altresì, al contratto di lavoro sportivo si applicano, per espressa previsione dell’art. 33 l. n. 91/1981, tutte le norme vigenti in materia di sicurezza (nei limiti della compatibilità delle stesse con le modalità di svolgimento della prestazione sportiva), nonché tutta la disciplina relativa ai casi di infortunio, malattia, maternità, gravidanza e disoccupazione involontaria. Di contro, non operano, per la sola pratica sportiva di livello professionale, la disciplina dettata in materia di licenziamenti, nonché le previsioni normative di cui agli artt. 4, 5 e 13 dello Statuto dei lavoratori (in materia di controllo a distanza dei lavoratori, accertamenti sanitari e modifica delle mansioni degli stessi): ciò si spiega tenendo conto della particolare natura del vincolo lavorativo sportivo, delle mansioni in cui esso si sostanzia, nonché della necessità di svolgere le competizioni sportive in presenza di un pubblico e di emittenti radiotelevisive54.
Resta, a tutt’oggi, un nodo irrisolto, il diritto del lavoratore sportivo al riconoscimento del trattamento di fine rapporto (t.f.r.).
Sul punto, l’art. 26, co. 4, d. lgs. n. 36/2021 si limita, infatti, ad una mera riproposizione di quanto già disposto dall’art. 4, co. 7, l. n. 91/1981, stabilendo che le Federazioni sportive nazionali abbiano facoltà di «prevedere la costituzione di un fondo […] per la corresponsione dell’indennità di anzianità al termine dell’attività sportiva a norma dell’articolo 2123 del codice civile».
Ebbene, tale previsione ha sollevato, in seno alla dottrina, non poche perplessità sull’esatta portata applicativa della norma. Più segnatamente, ci si è chiesto se essa dovesse essere letta nel senso che l’istituzione di fondi di previdenza volontaria
53Ibidem.
54 XXXX X., XXXXXXX X., op. cit., p. 12.
assolvesse una funzione sostitutiva del t.f.r. oppure se quest’ultimo dovesse essere previsto anche per gli sportivi55.
Sul punto la dottrina ha osservato che sebbene l’art. 2123 c.c. non escluda in maniera esplicita la possibilità di corrispondere il t.f.r. ai lavoratori sportivi, limitandosi solamente a disporre che lo stesso possa essere dedotto dalle somme destinate ai fondi di previdenza, seppur in via implicita, la norma dà scontata, per tutte le ipotesi in cui non sia stato previsto alcun fondo per la cessazione dell’attività lavorativa, la corresponsione diretta del t.f.r.
Ebbene quella di cui innanzi rappresenta «una soluzione dirompente con riguardo ad atleti e allenatori professionisti che militino a lungo nella stessa società, ma è bene esserne consapevoli nella determinazione iniziale del corrispettivo, di cui una parte andrebbe erogata alla cessazione del rapporto. Del resto per gli altri lavoratori sportivi subordinati, specie nell’ambito del dilettantismo, essa appare del tutto pacifica e coerente con la natura del rapporto, oltre che con il testo della norma»56.
1.2. Il piano rimediale: l’inadempimento del contratto sportivo
Una caratteristica peculiare del contratto è la vincolatività, per le parti che lo hanno stipulato: i contraenti, infatti, hanno l’obbligo di adempiere alla prestazione pattuita, secondo il brocardo latino pacta sunt servanda, al fine di evitare l’insorgenza di effetti pregiudizievoli e conseguente responsabilità della parte rimasta inadempiente. L’ipotesi dell’inosservanza delle clausole previste nel rapporto contrattuale è regolata dall’art. 11 dell’Accordo Collettivo, rubricato «Inadempimenti e Clausole
55 Ibidem.
56ZOLI X., XXXXXXX X., op. cit., p. 12.
Penali», a tenore del quale nel caso di inadempimento del calciatore, la società ha a disposizione vari provvedimenti di natura disciplinare, ossia:
- l’ammonizione scritta,
- la multa,
- la riduzione della retribuzione,
- l’esclusione temporanea dagli allenamenti o dalla preparazione precampionato,
- la risoluzione del contratto57.
Generalmente, la società tende a comminare un’ammonizione scritta, entro 20 giorni dal momento in cui viene a conoscenza della violazione o dell’inadempimento.
L’ ammonizione ha la funzione di monito, di avvertimento al calciatore di non effettuare, pro futuro, lo stesso inadempimento contestatogli: identifica un’azione di natura intimidatoria e preventiva, finalizzata ad evitare delle recidive.
La multa, invece, si caratterizza per una gravità maggiore rispetto all’ammonizione e può essere applicata, sempre dalla società, entro 20 giorni dal momento in cui viene a conoscenza del fatto: l’importo della multa non deve superare il 5% dell’1/12 della retribuzione fissa annuale lorda del lavoratore.
Ad ogni modo, la riduzione della retribuzione non può superare il 50% della retribuzione dovuta: il quantum della riduzione è calcolato in relazione alla parte fissa della retribuzione, alla natura del comportamento che ha causato la squalifica ed al valore del pregiudizio arrecato alla Società, in termini di immagine e reputazione58.
Un ulteriore provvedimento, di natura punitiva, è l’esclusione temporanea del calciatore dagli allenamenti o dal ritiro precampionato: tale misura può essere
57 XXXXXX X., XXXXXXX L., op. cit.
58 Ibidem.
disposta solo dal Collegio arbitrale, su espressa richiesta motivata della società, solo in caso di gravi violazioni o inadempimenti del calciatore.
Infine, vi è lo strumento della risoluzione del contratto disposta, soprattutto, in caso di malattia o grave infortunio, che preveda una degenza superiore ai 6 mesi, ovvero da malattie che dipendano da colpa grave o condotta sregolata del calciatore tesserato.
L’inadempimento contrattuale ad opera della società è, invece, regolato dagli artt. 12- 13 Accordo collettivo, rubricati rispettivamente «Azioni a tutela dei diritti del calciatore» e «Morosità»: la prima tra le citate disposizioni prevede la possibilità per i calciatori tesserati di proporre «ricorso al C.A., di richiedere un risarcimento del danno e/o la risoluzione del contratto», qualora la Società «abbia violato gli obblighi contrattuali». L’art. 13, invece, disciplina i casi di morosità della società calcistica. In particolare, si considerano casi di morosità: la mancata fornitura di attrezzature idonee alla preparazione tecnica e atletica del calciatore, la mancata predisposizione di un ambiente di lavoro adeguato alla dignità e alla professionalità dell’atleta o la lesione del diritto del calciatore a partecipare agli allenamenti ed al ritiro estivo. Al ricorrere di una tra le ipotesi elencate, l’atleta è legittimato a diffidare per iscritto la Società di appartenenza, con relativo invito ad ottemperare alle proprie mancanze.
Un’ipotesi molto particolare di condotta sanzionata in maniera rigorosa dal nostro ordinamento, titolo per responsabilità sia contrattuale che extracontrattuale, è ricollegata ad un fenomeno ampiamente diffuso nel mondo dello sport professionistico, ossia il mobbing.
Sul punto deve segnalarsi, in via preliminare, che dottrina e giurisprudenza non sono concordi in ordine alla più corretta qualificazione giuridica da attribuire alla responsabilità per mobbing, essendovi alcuni favorevoli a ricondurre la responsabilità scaturente da mobbing nel regime della responsabilità aquiliana, laddove altri, invece, ritengono più opportuno ricollegarla al dominio della responsabilità di tipo contrattuale.
Il fenomeno de quo, difatti, in assenza di un quadro normativo di riferimento, ben si presta all’identificazione con i due settori tradizionali di responsabilità civile, prescritti dall’ordinamento italiano. L’eventualità di reperire ambedue le forme di responsabilità va in ogni caso, circoscritta alle ipotesi in cui il soggetto mobbizzato intenda agire nei confronti del datore di lavoro, a prescindere dal dato fattuale che egli sia o meno l’autore effettivo dell’episodio di mobbing, praticato ai suoi danni59. Nel caso in cui, invece, il mobber sia un dipendente e dunque, un collega di lavoro e il mobbizzato intenda agire direttamente verso quest’ultimo, la responsabilità configuratasi non potrà che essere di stampo extracontrattuale, difettando fra i due colleghi una qualsivoglia forma di rapporto contrattuale.
Il mobbing, dal punto di vista del datore di lavoro, può innanzitutto far riferimento ad eventualità di inosservanza del generico obbligo del neminem laedere, prescritto dall’articolo 2043 c.c.: i comportamenti vessatori e persecutori concretizzati ai danni del lavoratore, fondano la condotta materiale del fatto illecito, da cui scaturiscono le lesioni ai beni giuridici della professionalità, della dignità e dell’integrità morale.
I suddetti danni dovranno essere provati in giudizio dal presunto soggetto danneggiato ed essere legati alla condotta materiale, da un nesso di causalità60.
Alla luce di questo primo orientamento, il mobbing sarebbe identificabile come circostanza lesiva di diritti soggettivi primari della parte offesa ed in quanto tale, dunque, capace ai sensi dell’art. 2043 c.c., di istituire la base per avanzare un’azione di responsabilità extracontrattuale61.
La prassi sportiva ha registrato, in passato, «casi di calciatori professionisti a cui è stato impedito di avere libero accesso agli spogliatoi e che hanno dovuto svestirsi in
59 DEL PUNTA R., Diritti della persona e contratto di lavoro, in Giornale di diritto del lavoro e relazioni industriali, 2006.
60MAZZAMUTO S., Il mobbing, Xxxxxxx, 2004, pag. 39; XXXXXXX M., Il mobbing. Problemi e casi pratici nel lavoro pubblico, Milano, Xxxxxxx, 2009, p. 66.
61 DEL PUNTA R., Il mobbing: l’illecito e il danno, «Lavoro e diritto», 2003.
xxxxxxxxx o, comunque, in locali non idonei secondo il disposto dell’articolo in esame»62.
Altresì, ogni calciatore professionista ha il diritto di prendere parte agli allenamenti della propria squadra e di partecipare con essa ai ritiri di preparazione che precedono lo svolgimento del campionato, eccezion fatta per l’ipotesi in cui l’eventuale esclusione dello stesso da siffatte attività trovi giustificazione nell’inadempimento contrattuale dell’atleta. Questo perché il calciatore, dal canto suo, ha l’obbligo giuridico di svolgere la propria prestazione sportiva nella piena osservanza di tutte le istruzioni tecniche ricevute dal proprio allenatore, per poter conseguire gli scopi di livello agonistico prefissati63.
Secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza costituzionale, ai fini della qualificazione di una determinata condotta in termini di mobbing rileva, in via principale, non tanto la mera disamina delle singole condotte vessatorie e persecutorie poste in essere, bensì l’intera condotta integrata dal mobber64.
Ciò significa che, nell’ipotesi in cui la società sportiva non consenta al calciatore di prendere parte agli allenamenti programmati o decida volontariamente ed arbitrariamente di escluderlo dal ritiro o gli precluda l’accesso agli spogliatoi e alla palestra oppure interferisca nelle scelte tecniche compiute dall’allenatore, non vi è alcun dubbio che tali comportamenti integrino a pieno titolo il fenomeno del mobbing.
Difatti, sia gli atti vessatori che l’assunzione del provvedimento di allontanamento del calciatore che li precede presentano il requisito della pluralità, della reiterazione della condotta lesiva nel corso del tempo, nonché della consumazione in solo momento a mezzo di un unico atto (ossia la comunicazione all’atleta del provvedimento impeditivo assunto, per l’appunto), requisiti che, si è già detto,
63 Si vedano gli artt. 10, co. 1, Accordo Collettivo del 2005 per i calciatori di Serie A e B e 12, co.1, Accordo Collettivo del 1989 per i calciatori di Lega Pro.
00 Xxx. Xxxxx Xxxx. sent. n. 359 del 2003.
necessitano sotto il profilo giuridico affinché una condotta persecutoria possa essere propriamente qualificata come mobbizzante.
Al ricorrere di tutti i suindicati presupposti, dunque, sarà possibile concludere in favore di una vessazione da parte della società sportiva, atteso che la condotta attuata dalla datrice di lavoro è tale da incidere in maniera notevole sulla personalità dell’atleta. Il calciatore cui venga preclusa la partecipazione agli allenamenti o al ritiro precampionato, infatti, oltre a subire l’immediato allontanamento da tutto il resto della squadra, si trova a ricoprire la difficile posizione di poter aspirare ad un ricollocamento presso altra compagine, in quanto ancora contrattualmente vincolato alla società sportiva che ha emesso il provvedimento di esclusione65.
A ciò si aggiunga, poi, com’è agevolmente intuibile, che lo scenario innanzi prospettato diventa maggiormente problematico allorquando la condotta mobbizzante attuata dalla società sportiva si protragga per l’intera durata della stagione sportiva. Ciò avviene in tutti quei casi in cui, pur avendo reintegrato il giocatore precedentemente allontanato, la società sportiva non consenta in ogni caso a quest’ultimo di prendere parte agli allenamenti con la squadra, perseverando in un atteggiamento manifestamente ostile nei confronti dell’atleta, con l’evidente intento di lederne la professionalità.
È chiaro, dunque, che la condotta integrata dalla società sportiva debba essere sorretta da quel preciso elemento soggettivo giuridicamente definito come dolo66.
In questi casi, «è necessaria la precisa volontà della società di emarginare o escludere il calciatore dal gruppo, magari per indurlo a ridurre il proprio ingaggio, come il caso del calciatore Xxxx Xxxxxxx Xxxxxxx, tesserato con la Ternana Calcio,
65 FRACCHIOLLA D., Il mobbing nel calcio professionistico, p. 3.
66 Parte della giurisprudenza ritiene che il dolo richiesto sia quello generico (così Trib. Siena, 19 marzo 2003, in il Lavoro nelle P.A., 2003, 575; Trib. Roma, 28 marzo 2003, in Gius, 2003, 2599; Trib. di Torino, 18 dicembre 2002, in Gius, 2003, 2463), laddove, secondo un altro orientamento, la condotta di mobbing risulterebbe pienamente integrata solamente in presenza di un dolo specifico (ex multis, Trib. Di Como, 22 febbraio 2003, in M.g.l., 2003, 328, nell’ambito della quale viene stabilito che «Il mobbing si compone di un elemento psicologico […] consistente oltre che nel dolo generico – animus nocendi – anche nel dolo specifico di nuocere psicologicamente al lavoratore, al fine di emarginarlo dal gruppo e di allontanarlo dall’impresa»).
che non voleva ridurre il proprio ingaggio, o a rinnovare un contratto in scadenza. Il calciatore, in sostanza, finché è sotto contratto, rappresenta un patrimonio per il club il quale può decidere di cederlo ricavandone un corrispettivo economico. Una volta giunto a scadenza di contratto il calciatore è, invece, libero di scegliere se rinnovare il contratto con la stessa società o stipularlo con una nuova, non dovendo quest’ultima corrispondere alcunché alla precedente; è lampante in tal caso la perdita economica della prima società»67.
Sul piano delle conseguenze, invece, la condotta di mobbing, perché sia tale, deve esitare in un danno di tipo biologico oppure esistenziale per il calciatore.
Frequenti sono i casi in cui i giocatori professionisti vittime di mobbing lamentino l’insorgenza postuma di patologie sia fisiche che psichiche riconnesse proprio alle vessazioni e agli atti persecutori subiti. In ordine a tale ultimo punto, un orientamento giurisprudenziale risalente si è orientato nel senso di ritenere che «affinché si tratti di danno da mobbing, dovrà essere accertata, dal punto di vista medico-legale, una lesione sul piano psichico o psicosomatico in capo alla vittima: non quindi una mera sofferenza, un turbamento, anche se grave, ma una vera patologia da apprezzarsi e valutarsi da parte dell’esperto medico legale»68.
La legge n. 91/1981 annovera espressamente, al proprio art. 2, l’allenatore tra i soggetti aventi la qualifica di sportivo professionista.
Anche per questa figura, esattamente come per gli atleti, l’assunzione di tale qualifica soggiace alla sottoscrizione di un contratto di lavoro sportivo, stipulato con una società operante in una determinata disciplina sportiva a livello professionistico.
L’impianto normativo dettato dalla legge n. 91/1981 fa sì che nel settore sportivo, contrariamente a quanto previsto per altri ambiti di lavoro, non sussista alcuna gerarchia interna tra le varie categorie di lavoratori.
67 FRACCHIIOLLA D., op. cit.
68 Così Trib. Torino, sent. del 16 novembre 1999, in RIDL 2000, II, 102.
A riprova di ciò, depone il dato per cui la legge de qua si limiti unicamente ad enucleare le quattro fondamentali tipologie di sportivi professionisti, senza fornire ulteriori specificazioni circa eventuali collocazioni gerarchiche tra gli stessi: è, quindi, ragionevole desumere che vi sia, in buona sostanza, piena equiparazione tra le varie categorie riportate69.
E se, certamente, non può dubitarsi che, in vigenza di un contratto di lavoro stipulato tra un atleta professionista e una società sportiva, quest’ultima debba essere considerata, a pieno titolo, il datore di lavoro dello sportivo e, dunque, un suo superiore gerarchico, il medesimo ragionamento non appare duplicabile nella disamina del rapporto che intercorre tra l’atleta professionista ed il proprio allenatore. A tal fine, infatti, risulterebbe necessario andare a verificare, in via preliminare, se sussistano o meno le condizioni per poter considerare la categoria degli atleti come gerarchicamente inferiore a quella degli allenatori. All’uopo, le statuizioni adottate dalle varie federazioni sportive sanciscono chiaramente la posizione di lavoratore subordinato dell’allenatore rispetto alla società sportiva: questi, infatti, assume nei confronti della stessa degli obblighi di natura contrattuale in via esclusiva.
Secondo l’art. 15 dell’Accordo Collettivo, infatti, «L’allenatore, in relazione alla funzione affidatagli, si impegna a tutelare e valorizzare il potenziale tecnico e atletico dei calciatori e ad assicurare l’assistenza nelle gare della o delle squadre a lui affidate»70.
Segue, a tenore della successiva disposizione del medesimo Accordo Collettivo, la previsione di un espresso obbligo di osservanza, per l’allenatore, dei principi di
69 XXXXXXX X., Dequalificazione professionale e mobbing, Halley, Matelica, 2006, p. 73.
70 Di seguito, il testo integrale dell’art. 15 dell’Accordo Collettivo, a tenore del quale «1. L’allenatore, in relazione alla funzione affidatagli, si impegna a tutelare e valorizzare il potenziale tecnico e atletico dei calciatori e ad assicurare l’assistenza nelle gare della o delle squadre a lui affidate. 2. L’allenatore dovrà organizzare l’attività della squadra a lui affidata – nonché la propria e quella dei propri collaboratori – in modo da garantire l’ottimale conduzione della preparazione e dell’attività agonistica della squadra medesima, nel rispetto della qualità e intensità dell’impegno richiesto per ottenere le migliori prestazioni possibili nell’ambito delle competizioni cui la società prende parte. 3. Egli inoltre deve collaborare con la società nel promuovere fra i calciatori la conoscenza delle necessarie norme regolamentari e tecniche, nel sorvegliare la condotta morale e sportiva dei calciatori, nel favorire e sviluppare lo spirito di gruppo e l’affiatamento umano degli atleti. 4. Il mutamento di mansioni potrà avvenire solo dietro consenso scritto dell’allenatore».
correttezza, lealtà e probità, cui devono aggiungersi il dovere di prestar riguardo a tutte le prescrizioni di volta in volta impartite dalla società sportiva, di tenere una condotta improntata a lealtà e fedeltà nei confronti della stessa, nonché di rappresentare, con la propria condotta, un modello esemplare di correttezza non solo sportiva ma anche civile.
Per parte sua, invece, ex art. 14 Accordo Collettivo, la società si impegna ad esimersi dall’adottare qualsiasi comportamento che possa creare interferenza nelle scelte tecniche di competenza esclusiva dell’allenatore, astenendosi, altresì, da qualsiasi ingerenza tale da ostare al sereno svolgimento dell’attività lavorativa di quest’ultimo o arrecare, in qualsiasi modo e a qualunque titolo, pregiudizio alla sua immagine.
Fermo quanto anzidetto, alcun articolo dell’Accordo in disamina illustra espressamente la natura giuridica del rapporto che viene ad instaurarsi tra l’allenatore e l’atleta, seppur le funzioni spettanti al primo ben consentono di affermare che questi rivesta, se non una superiorità gerarchica formalmente intesa, certamente una posizione di forza rispetto allo sportivo professionista: basti pensare, infatti, che le istruzioni tecniche che ciascun atleta riceve per il conseguimento dei propri obiettivi nelle competizione agonistiche, provengono, per l’appunto, esclusivamente dall’allenatore.
In forza di ciò, parte della dottrina ha concluso che, pur non potendosi ascrivere in capo alla figura dell’allenatore la sussistenza di specifici obblighi di quest’ultimo nei riguardi degli sportivi che questi allena, deve necessariamente concludersi che tali obblighi siano deducibili in via indiretta. A ben vedere, trattasi di obblighi che, pur rinvenendo la propria ratio nella relazione sorta tra l’atleta e l’allenatore, conseguono, giuridicamente, al rapporto di lavoro subordinato che lega la figura dell’allenatore alla società sportiva71.
71 BONA M., P. G. MONATERI P. G., XXXXX U., La responsabilità civile nel mobbing, Milano, Ipsoa, 2002, p. 52.
Pertanto, pur nell’assenza di una specifica previsione formale in tal senso, non è revocabile in dubbio che, sul piano sostanziale, l’allenatore possa essere considerato un superiore gerarchico dell’atleta, nella misura in cui quest’ultimo è obbligato ad osservare in maniera puntuale quanto il primo gli impone72.
Alcun dubbio può profilarsi in ordine alla responsabilità dell’allenatore a fronte di un’eventuale violazione degli obblighi derivanti dal contratto sottoscritto con la società sportiva: trattasi, invero, della diretta conseguenza del vincolo di subordinazione accettato di comune accordo dai paciscenti.
Maggiormente problematica, invece, si presenta la configurazione del regime di responsabilità pendente in capo all’allenatore per le ipotesi in cui egli cagioni un pregiudizio all’atleta. Sul punto, non è mancato chi ha osservato che, l’assenza di un rapporto di natura negoziale tra l’allenatore e l’atleta professionista consentirebbe di inquadrare la responsabilità del primo nei riguardi del secondo nell’alveo della responsabilità aquiliana73.
Ma, come pure si è opportunamente evidenziato, aderire a tale prospettazione finirebbe col ridurre la tipologia di responsabilità in disamina alla stregua di una
«troppo generica responsabilità del passante o responsabilità del chiunque caratterizzata dal mettere in relazione soggetti fino a quel momento estranei»74.
Tuttavia, non potendosi, invece, negare che gravi, in capo all’allenatore, il dovere specifico di attenzione nei confronti degli atleti (e nello specifico, per quel che qui ci occupa, dei giocatori), ben potrebbe ritenersi che la responsabilità in cui questi incorre in caso di inottemperanza alle obbligazioni derivanti, seppur indirettamente come anzidetto, dal rapporto di lavoro intercorrente con la società sportiva, debba essere, più propriamente, configurata come una responsabilità da contatto sociale.
72 Ibidem.
73 CASSITTO M. G., Esiste un mobbing di genere?, in Le discriminazioni di genere sul lavoro dall’Europa all’Italia, Roma, Ediesse, 2005.
74 XXXXXXXXXX C., Tra contratto e torto. L’obbligazione senza prestazione, in La nuova responsabilità civile, Milano, Xxxxxxx, 2006, p. 446.
Secondo quanto previsto da tale ultima teoria, la quale, pur rinvenendo le proprie radici nella dottrina giuridica tedesca ha poi trovato ampio accoglimento anche da parte di autorevole dottrina italiana, la responsabilità ascrivibile all’allenatore rinverrebbe la propria fonte nelle obbligazioni senza prestazione75.
Tale configurazione, pur non essendo ancora stata riscontrata in alcuna concreta applicazione della responsabilità da contatto sociale ad episodi di mobbing in ambito calcistico, appare, quantomeno in linea teorica, assolutamente prospettabile.
In tal senso depongono, infatti, proprio gli obblighi che, nell’espletare il compito di incrementare e/o valorizzare le abilità tecniche dei calciatori a lui affidati, l’allenatore è giuridicamente tenuto ad osservare76.
Il dovere di adempiere al proprio incarico secondo i principi di lealtà, correttezza e probità, infatti, non deve essere osservato con esclusivo riguardo alla società sportiva alle cui dipendenze l’allenatore presta la propria professionalità.
Difatti, pur non essendoci una formale e diretta assunzione dei medesimi obblighi nei riguardi degli atleti affidati alle sue cure, è indubitabile che, tra questi, venga ad instaurarsi un rapporto tale da giustificare il legittimo affidamento di ciascun atleta nei confronti del proprio preparatore. Risvolto pratico di tale relazione, quindi, non potrà che essere il dovere dell’allenatore non solo di garantire la miglior preparazione tecnica possibile all’atleta, tale da consentirgli di partecipare adeguatamente alle competizioni di livello agonistico, ma anche di supervisionarne la condotta morale, civile e sportiva, favorendo lo spirito di squadra, l’affiatamento e la collaborazione tra tutti i componenti77.
Si è già detto come le scelte tecniche relative a ciascun calciatore siano rimesse completamente alla discrezionalità dell’allenatore, dal momento che, in ordine a queste ultime, non è ammessa alcuna interferenza da parte della società sportiva.
75 Ibidem.
76 XXXXXXXXXX C., Ritorno all’obbligazione senza prestazione, in Europa e diritto privato, fasc. 3, 2009, pp. 679 e ss.
77 D’ONOFRIO P., Manuale operativo di Diritto Sportivo, Santarcangelo di Romagna, 2007, p. 125.
È chiaro, quindi, che l’allenatore goda del pieno potere di decidere, alla luce di una particolare strategia tecnica dallo stesso congegnata o di una valutazione di inefficienza fisica del giocatore indotta dalle circostanze concrete, di escludere un giocatore dalla partecipazione ad una determinata partita o comunque di affidargli, per quella data competizione, un ruolo differente da quello che l’atleta ricopre di consueto78.
Potendosi escludere, alla luce di tutto quanto sino ad ora rappresentato, la sussistenza di un diritto del calciatore di essere schierato in partito e dunque un’eventuale azione di quest’ultimo avverso una decisione di esclusione da parte dell’allenatore, appare opportuno evidenziare che, secondo quanto disposto dal primo comma dell’art. 10 Accordo Collettivo, il giocatore che mostri dissenso ad una scelta tecnica assunta dall’allenatore potrebbe essere chiamato a rispondere, a titolo di inadempimento contrattuale, nei riguardi della società sportiva.
Tuttavia, se, da un lato, è legittimo che l’allenatore, nel pieno esercizio del proprio potere di adottare tutte le scelte tecniche ritenute idonee, possa determinarsi nel senso di escludere un giocatore dalla partecipazione ad una determinata competizione sportiva, è chiaro, dall’altro, che una scelta simile si rivelerebbe illecita allorquando non risulti adeguatamente giustificata o comunque giustificabile.
Alcuni autori hanno, infatti, osservato come l’ingiustificata esclusione di un giocatore dallo schieramento in partita lederebbe gli interessi della società sportiva più che quelli dell’atleta pretermesso, con tutto quel che potrebbe scaturirne in termini di inadempimento contrattuale per l’allenatore, il quale, con una simile condotta, verrebbe meno all’obbligo di valorizzare al meglio delle proprie capacità il potenziale tecnico dell’atleta di cui egli cura la preparazione sportiva79.
Altra parte della dottrina, invece, ha posto in evidenza come, in alcuni casi, una simile scelta dell’allenatore si qualifichi come comportamento mobbizzante nei
00 XXX X., Xxxxx origini del mobbing alla valutazione del danno, in Lav. Nella giur., n. 4, 2003.
79 XXXXXXX L., Il mobbing nell’ambito sportivo, in Lezioni di diritto sportivo di X. XXXXXX, X. XXXXXXX, Milano, Xxxxxxx, 2013, p. 166 ss.
confronti di un calciatore. Invero, analogamente all’ipotesi sino ad ora considerata, sono da ritenersi mobbizzanti nei riguardi di un atleta professionista la sottoposizione dello stesso ad allenamenti estenuanti, l’esclusione dagli allenamenti antecedenti lo svolgimento del campionato e dei ritiri, l’emarginazione dal resto della squadra. In tutti questi casi, infatti, è chiaro che l’allenatore stia contravvenendo agli obblighi di correttezza, lealtà e probità, compiendo delle scelte che, se protratte sul lungo periodo e sorrette dalla necessaria consapevolezza e volontarietà di arrecare danno e/o pregiudizio all’atleta, configurano in capo all’allenatore una responsabilità per mobbing.
Secondo alcuni, non sussistendo alcuna pattuizione contrattuale tra gli atleti e l’allenatore, nell’ipotesi in cui il secondo si renda responsabile di un episodio di mobbing in danno del primo, quella che verrebbe a configurarsi in capo all’allenatore sarebbe una duplice responsabilità: una, di tipo aquiliana, nei confronti del calciatore mobbizzato, l’altra, di matrice contrattuale ex art. 2049 c.c. nei riguardi della società sportiva80. Tale tesi, tuttavia, non incontra il favore di quanti affermano che, pur essendovi una assunzione diretta di obblighi da parte dell’allenatore nei confronti della sola società sportiva, è chiaro che questi vengano a riflettersi, in via automatica, sui giocatori, i quali costituiscono quel “materiale tecnico”, affidato all’allenatore, che quest’ultimo si è impegnato, nei confronti del proprio datore di lavoro, a valorizzare e curare81.
Di qui, in ottemperanza a quanto disposto dal comma terzo dell’art. 15 dell’Accordo Collettivo, l’onere dell’allenatore di tutelare ogni singolo atleta affidatogli dalla società sportiva.
Ebbene, giacché, come si è detto, quella che viene a crearsi tra un calciatore professionista ed il proprio preparatore atletico costituisce una relazione di natura peculiare, tale da legittimare l’affidamento dell’atleta nelle scelte e nelle valutazioni
80 SCOGNAMIGLIO X., A proposito del mobbing, in Riv. it. dir. lav., 2004, n. 4, p. 489 e ss.
81 XXXXXXXXX S., Il mobbing, in Temi di Diritto Sportivo, a cura di X. XXXXXXX, Palermo, Edizioni Leopardi, 2006, p. 118.
tecniche compiute dall’allenatore, quella in cui incorre quest’ultimo può qualificarsi, da un punto di vista giuridico, a pieno titolo come responsabilità da contatto sociale. Assunta tale premessa, dunque, al ricorrere di comportamenti atti a ledere l’atleta messi in atto dall’allenatore, a trovare applicazione sul piano rimediale sarà il regime relativo alla responsabilità contrattuale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1218 c.c. e non quello relativo alla responsabilità aquiliana.
Ciò ben si spiega tenendo in debita considerazione che l’insussistenza di una pattuizione espressa tra l’atleta e l’allenatore verrebbe, di fatto, colmata dal contatto sociale che viene a crearsi tra queste due parti, il quale è, già di per sé, sufficiente a generare gli obblighi di lealtà, correttezza e probità gravanti in capo all’allenatore82. E se alcun dubbio può profilarsi in ordine al dato per cui la realizzazione di comportamenti di natura discriminatoria, persecutoria e offensiva in danno del calciatore debba certamente ascriversi nell’alveo della violazione degli anzidetti obblighi da parte dell’allenatore, non così nelle ipotesi in cui a determinarsi nel senso di non consentire ad un atleta di partecipare agli allenamenti o al ritiro che precede il campionato sia la stessa società sportiva.
Non sempre, infatti, la condotta mobbizzante viene ad innestarsi nel rapporto di lavoro tra società sportiva e calciatore, anzi. In assetti societari complessi, quali quelli delle società di calcio, un ruolo di non scarso momento è quello conferito all’allenatore, il quale, proprio in ragione del potere esclusivo di preparazione tecnica degli atleti che detiene, può, talvolta, con il proprio agire e le decisioni che assume in termini di strategia di gioco, concorrere a concretizzare la condotta mobbizzante della società sportiva.
Molteplici sono gli esempi di una condotta mobbizzante attuata dall’allenatore.
Egli potrebbe assumere degli atteggiamenti manifestamente ostili, come «sottoporre il calciatore a particolari e faticosi allenamenti; emarginarlo, o addirittura fare in modo che i compagni lo emarginino; potrebbe umiliarlo pubblicamente, impedirgli
82 COSTA F., Il mobbing, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2010, p. 85.
di allenarsi o di partecipare al ritiro precampionato. Il costante e reiterato non impiego del calciatore, protratto per un certo lasso di tempo e non accompagnato da una logica giustificazione tecnico-sportiva, contiene i caratteri di quella condotta ostile propria del mobbing»83.
Nel caso in cui l’allenatore abbia posto in essere condotte mobbizzanti su precise direttive della società sportiva datrice di lavoro, semmai in attuazione di specifiche strategie assunte dalla stessa, essendo la condotta esclusiva o discriminatoria attuata nei riguardi del calciatore frutto di un concorso di volontà tra l’allenatore e la società sportiva, nel qual caso saranno chiamati a rispondere dei pregiudizi arrecati all’atleta sia l’allenatore che la società sportiva.
Ancora diversa, invece, l’ipotesi in cui l’esclusione del giocatore avvenga per interferenza da parte della società sportiva nelle scelte tecniche assunte dall’allenatore.
Ove ciò avvenga, ferma la violazione di quanto previsto dall’art. 14 Accordo Collettivo (che, lo si ripete, vieta espressamente qualsiasi forma di ingerenza da parte della società nelle scelte tecniche di esclusiva competenza dell’allenatore), alcun rimprovero potrebbe muoversi, a qualsiasi titolo, all’allenatore, il quale, con specifico riferimento all’ipotesi di cui innanzi, si ritroverebbe a subire un’illecita intromissione da parte del datore di lavoro nelle proprie scelte discrezionali84.
Invero, la prassi calcistica riflette ben pochi casi, di fatto quasi nulli, di condotte persecutorie attuate in ambito lavorativo da un allenatore in danno di un calciatore, laddove risulta, invece, molto più frequente il cd. mobbing orizzontale, una particolare tipologia di mobbing che, piuttosto che essere praticata da chi riveste una posizione gerarchica in ambito lavorativo, viene messa in atto dai suoi pari, ossia dagli stessi colleghi del soggetto mobbizzato.
83 FRACCHIOLLA D., Il mobbing nel calcio professionistico, p. 6.
84 Ibidem.
Quella orizzontale è una forma di persecuzione sui luoghi di lavoro molto diffusa nell’ambito di sport che, proprio come il calcio, si caratterizzano per un elevato livello di competitività tra i componenti di una medesima squadra ed in cui le migliori prestazioni fisiche o comunque un maggior rendimento lavorativo di un singolo atleta rispetto agli altri presta il fianco all’insorgenza di antipatie personali e condotte poco empatiche nei riguardi dei colleghi85.
Anche nel caso di mobbing orizzontale, perché possano qualificarsi come tali gli atti persecutori devono essere ripetuti per un considerevole arco temporale e risultare tutti univocamente volti a cagionare danni al singolo atleta.
Ove non ricorrano tali presupposti, invero, più che di atti persecutori in ambiente di lavoro questi potranno essere considerati mero inadempimento contrattuale86.
Tuttavia, l’assenza di un vincolo contrattuale tra l’atleta vittima di mobbing e i compagni di squadra sembrerebbe, quantomeno prima facie, rappresentare un limite a quell’orientamento, sostenuto da unanime dottrina, che vuole la responsabilità per mobbing una particolare declinazione della responsabilità contrattuale.
A ciò che si aggiunga che, a differenza di quanto sostenuto circa la figura dell’allenatore, nell’ipotesi che qui ci occupa non è possibile ascrivere tale responsabilità all’esistenza di una peculiare relazione che assume rilevanza giuridica con riferimento al profilo del contatto sociale e ciò per due diversi ordini di ragioni. In primo luogo, non sussiste in capo ai componenti di una squadra di calcio professionale alcun obbligo di protezione nei confronti dei propri compagni cui, qualora ne ricorressero le circostanze, poter ricondurre una responsabilità per mobbing (ciò valendo anche con riferimento al capitano della squadra).
In via secondaria, la relazione da contatto sociale esistente tra l’atleta mobbizzato e i propri colleghi, nell’ipotesi in cui esistesse, risulterebbe duplicata per ogni singolo componente della squadra nei confronti di tutti quanti gli altri. In ordine a tale ultimo
profilo, infatti, occorre non trascurare che le prestazioni cui i calciatori si obbligano mediante la sottoscrizione di un contratto sono tra loro tutte omogenee, ragion per cui, non essendo prevista alcuna attribuzione di mansioni specifiche ad un atleta piuttosto che ad un altro, il ruolo ricoperto da ciascun giocatore risulta essere privo di qualsivoglia rilievo87.
Altresì, che l’ambito di operatività della disciplina tracciata dall’art. 2049 c.c. trovi piena applicazione anche con riferimento al rapporto di lavoro sportivo (e ciò quandanche, come si è visto, la responsabilità dei compagni di squadra autori di condotte mobbizzanti nei confronti di un altro atleta sia qualificata extracontrattuale), è confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità.
Infatti, la Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sul punto, ha statuito che la citata norma opera nell’ambito giuslavoristico sportivo al pari di qualsiasi altra tipologia di rapporto di lavoro, ragion per cui, anche in tale ambito, in virtù della superiore posizione gerarchica rivestita, il datore di lavoro è colui che è chiamato a rispondere dei danni di cui si rendono responsabili i propri dipendenti, potendosi liberare da tale onere unicamente provando di aver adottato tutte le misure ritenute idonee ad impedire che l’evento dannoso si manifestasse88.
Emerge con palmare evidenza, dunque, che nel caso in cui ad adottare una condotta mobbizzante nei confronti di un calciatore siano gli stessi compagni di squadra dell’atleta, verrebbe a configurarsi una, seppur indiretta, responsabilità della società sportiva, in qualità di datore di lavoro: essa, infatti, è chiamata a rispondere a titolo di culpa in vigilando, per omesso controllo sulla condotta tenuta dai propri atleti, nonché per negligenza, da doversi riscontrare nella mancata adozione di tutte le misure atte a prevenire e/o evitare che la condotta mobbizzante potesse verificarsi e/o trovare prosecuzione89.
87 XXXXXXXXXX C., op. ult. cit.
88 cfr. Cass. Civ., Sez. Lavoro, sent. n. 18093, 7 luglio 2013.
00 XXX X., Xxxxxxx. Che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro, pp. 125 e ss.
Degna di rilievo è la conclusione cui è pervenuta unanime dottrina nel ritenere esclusa l’applicabilità dell’art. 2103 c.c. al rapporto di lavoro subordinato in ambito sportivo.
Sebbene sia indiscusso che nel mondo dello sport professionistico l’interesse del professionista a perseguire la massima valorizzazione delle proprie competenze tecnico-sportive sia preponderante rispetto a tanti altri ambiti di lavoro (dal momento che questo interesse risponde, ancor prima che agli interessi economici della società sportiva, alla più intima volontà dell’atleta di esibirsi in performances sportive di successo), non può non evidenziarsi come, in alcuna ipotesi, tale desiderio potrebbe tradursi in un diritto in capo alla società ad ottenere una completa esecuzione della prestazione dal calciatore.
Ove mai ciò fosse possibile, in via del tutto ipotetica, tale diritto incontrerebbe ontologiche limitazioni strutturali, tenuto conto soprattutto della natura della prestazione sottesa alla tipologia di rapporto lavorativo in questione90.
È dunque sempre legittimo che un giocatore professionista escluso da tutte le partite programmate nell’arco del campionato lamenti un demansionamento in peius?
Alla luce di tutto quanto sino ad ora dedotto, è possibile convenire di no, dal momento che, si è già sottolineato, in tutte le ipotesi in cui l’omessa convocazione di un giocatore in una competizione sportiva nel ruolo di titolare avvenga all’esito di una valutazione tecnica (si pensi, ad esempio, ad una condizione di inefficienza fisica del giocatore oppure alla pendenza di sanzioni disciplinari in capo allo stesso) o in attuazione di una specifica strategia di gioco, alcun profilo di illegittimità inficerebbe la determinazione assunta. Ove, invece, scelte tecniche discrezionali di tale tipologia non risultino fondate su tali valutazioni, risulterebbe pienamente integrato l’inadempimento dell’allenatore delle proprie obbligazioni, con conseguente responsabilità dello stesso, secondo quanto disposto dall’art. 15 Accordo Collettivo del 2012.
90 FRACCHIOLLA D., op. cit., p. 7.
Al ricorrere di tale ipotesi, dunque, il calciatore professionista potrà invocare a proprio conforto non solo gli ordinari rimedi civilistici, ma anche la normativa federale91, al fine di ottenere a risoluzione del contratto di lavoro subordinato sportivo che lo lega alla società, oltre che, in xxx xxxxx-xxxxxxxxxxxx xx xxx. 0000 x.x., xxxxxxx riconosciuto il ristoro dei danni patiti a titolo di responsabilità per fatto illecito92.
Quid iuris, invece, con riferimento ai casi di cd. sottoutilizzazione del calciatore, ossia di assegnazione dell’atleta a ruoli che con gli consentano di esprimere le proprie abilità tecniche al massimo delle proprie potenzialità? O, ancora, nelle ipotesi in cui il giocatore sia costretto ad uno stato di inattività prolungato per mancato impiego della propria prestazione lavorativa?
Sul piano giuridico alcun dubbio può profilarsi in ordine alla circostanza per cui anche le ipotesi anzidette, sostanziandosi in responsabilità contrattuale, si traducano nel diritto al risarcimento del danno, il quale, in tali specifici casi, dovrà essere inteso come pregiudizio grave alla professionalità dell’atleta sia in termini di lesione alle propria prestanza fisica (dal momento che logica conseguenza di un prolungato stato di inattività sportiva sarà un minor rendimento delle performances dell’atleta), che di dignità personale e tutela della salute del lavoratore sportivo93.
L’ingiustificata esclusione di un calciatore professionista dalle competizioni sportive per lungo periodo di tempo non solo integra pienamente la violazione dell’art. 2103 c.c.94, ma rappresenta anche una violazione di un diritto costituzionalmente sancito,
91 Il riferimento è all’art. 12 Accordo Collettivo tra F.I.G.C., L.N.P. e A.I.C, rubricato «Azioni a tutela dei diritti del calciatore».
92 MAZZAMUTO S., Mobbing e diritto sportivo, in AA. VV, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, Xxxxxx, XXX, 0000.
93 Ibidem.
94 La norma, nella sua attuale formulazione, recita come segue: «Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale. Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni. Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai
ossia quello al lavoro, inteso, in seno al nostro ordinamento giuridico come principale mezzo a disposizione dei cittadini per estrinsecare la propria personalità in società. A ciò si aggiunga, poi, la lesione d’immagine arrecata al professionista, indubbiamente mortificato dalla prolungata impossibilità di esercitare le prestazioni tipiche della propria attività professionale. Un simile comportamento, in sostanza,
«provoca una lesione di un bene immateriale per eccellenza, qual è la dignità professionale del lavoratore, intesa come esigenza umana di manifestare la propria utilità e le proprie capacità nel contesto lavorativo, e tale lesione produce automaticamente un danno (non economico, ma comunque) rilevante sul piano patrimoniale (per la sua attinenza agli interessi personali del lavoratore), suscettibile di valutazione e risarcimento anche in via equitativa»95.
Nel medesimo senso si è espressa anche la Suprema Corte, la quale, nell’ambito dell’ordinanza del 18 maggio 2012, n. 7963, asseriva che: «A tal fine, il giudice deve tenere conto dell’insieme dei pregiudizi sofferti, ivi compresi quelli esistenziali, purché sia provata nel giudizio l’autonomia e la distinzione degli stessi, dovendo, provvedere all’integrale riparazione secondo un criterio di personalizzazione del danno, che, escluso ogni meccanismo semplificato di liquidazione di tipo automatico, tenga conto, pur nell’ambito di criteri predeterminati, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e della gravità della lesione e, dunque, delle particolarità del caso concreto e della reale entità del danno)».
contratti collettivi. Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa. Nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salva diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi. Il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive Xxxxx che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quarto comma e fermo quanto disposto al sesto comma, ogni patto contrario è nullo».
95 XXXXX X., Il mobbing nel mondo del calcio professionistico, in Riv. dir. econ. sport, 3, 2005, pp. 57 ss.
Dunque, è chiaro come l’assunzione di una decisione arbitraria e ingiustificata da parte dell’allenatore, oltre a costituire una notevole perdita di chances per il giocatore che ne viene colpito, ne vada ad inficia in maniera considerevole sia l’autostima che l’immagine.
Trattasi di un profilo non sfuggito alla giurisprudenza di legittimità, la quale, sul punto, ha stabilito che «Il danno alla professionalità attiene alla lesione di un interesse costituzionalmente protetto dall’art. 2 della Costituzione, avente a oggetto il diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro secondo le mansioni e con la qualifica spettantegli per legge o per contratto, con la conseguenza che i provvedimenti del datore di lavoro che illegittimamente ledono tale diritto vengono immancabilmente a ledere l’immagine professionale, la dignità personale e la vita di relazione del lavoratore, sia in tema di autostima e di eterostima nell’ambiente di lavoro e in quello socio familiare, sia in termini di perdita di chances per futuri lavori di pari livello. La valutazione di siffatto pregiudizio, per sua natura privo delle caratteristiche della patrimonialità, non può essere effettuata dal giudice che alla stregua di un parametro equitativo»96. Alla luce di ciò, è, dunque, possibile affermare che, pur non configurando un caso di demansionamento nel senso più proprio del termine, il comportamento di una società sportiva che proibisca ad un giocatore di prendere parte ai vari ritiri, gli precluda la partecipazione agli allenamenti o vieti l’accesso alle strutture sportive, attestandosi come condotte concretamente idonee ad incidere sulla personalità del professionista sportivo, debba essere qualificato come altamente lesivo di quel fondamentale diritto al rispetto della dignità della persona nei luoghi di lavoro che la Costituzione italiana espressamente sancisce. Ove assunte in difetto delle necessarie valutazioni tecniche, di efficienza e disciplinari, è, altresì, chiaro che sussistano condotte mobbizzanti97.
96 Cass. Civ., Sez. Lav., 26 maggio, 2004, n. 10157, in Riv. critica dir. lav., 2004, pp. 343 ss.
97 FRACCHIOLLA D., op. cit., p. 8.
In merito si è osservato che «Il bene offeso da tale condotta mobbizzante è oggetto di tutela di diverse norme costituzionali, quelle ad esempio che tutelano il diritto alla salute, alla personalità, alla professione, all’onore, alla solidarietà, all’eguaglianza, alla dignità. È evidente il danno al diritto dell’uomo-calciatore di esprimere la propria personalità nell’ambito della società sportiva, attraverso la partecipazione alle gare agonistiche, da considerarsi alla stregua di quelle formazioni sociali richiamate dal precetto costituzionale di cui all’articolo 2 Costituzione»98.
1.3. Aspetti fiscali e contributivi nello sport
La dicotomia tra sportivi dilettanti e atleti professionisti di cui agli artt. 1 e 2 della legge n. 91/1981 si riflette anche in ambito previdenziale e fiscale, ambiti in cui si riscontra una disciplina certamente più compiuta in favore dei secondi rispetto a quanto disposto per i primi.
In materia previdenziale, secondo l’assetto introdotto dal d. lgs. n. 38/2000, gli enti deputati alla tutela in caso di infortunio nell’esercizio di attività sportiva sono due: la Cassa di Previdenza per l’Assicurazione degli Sportivi (cd. Sportass) con riferimento agli sportivi dilettanti e l’INAIL per gli atleti professionisti.
Ciò ha posto fine, quindi, al monopolio a lungo detenuto in materia assicurativa dalla Sportass, un ente pubblico istituito con regio decreto n.2047 del 16 ottobre 1934, la cui attività venne autorizzata solo con l’introduzione del D.P.R. 1º luglio 1952, n.1451.
Tale provvedimento, oltre ad approvare lo Statuto della Sportass, ne legittimava l’esercizio dell’attività assicurativa, senza scopo di lucro, nei riguardi non solo di tutte le categorie di atleti (e dunque sia dilettanti che professionisti) ma anche dei cd. ausiliari sportivi (categoria in cui vengono annoverati i giudici delle competizioni
98 XXXXX P., op. cit., p. 61.
sportive, gli arbitri, gli ufficiali di gara, gli allenatori, il personale sanitario in servizio nel corso delle competizioni, i cronometristi, etc.), con riferimento ad eventuali danni che potessero derivare da infortuni e/o a terzi durante lo svolgimento di un’attività sportiva autorizzata dalla legge sia in forma individuale che collettiva99.
Dunque, fino all’introduzione del d. lgs. n.38/2000, la Sportass era il solo ente deputato a garantire la copertura assicurativa di tutte le tipologie di sportivi, sempre che quest’ultimi risultassero regolarmente iscritti alle Federazioni Sportive Nazionali che aderivano al C.O.N.I. o rispetto alle quali esso esercitava il proprio potere di vigilanza.
A mutare il quadro così delineato, fu proprio l’avvento del provvedimento da ultimo citato, il quale, introducendo l’obbligo di assicurare gli atleti professionisti legati da un vincolo lavorativo di tipo subordinato con le società sportive presso l’INAIL, ha sancito la fine della competenza esclusiva della Sportass con riferimento a tale categoria, fermo, invece, quanto anzidetto per la categoria dilettantistica.
Con riferimento agli sportivi dilettanti, infatti, la legge 27 dicembre 2002 n. 289 (ossia la legge finanziaria relativa all’anno 2003) stabiliva, all’art. 51, che «A decorrere dal 1° luglio 2003, sono soggetti all’obbligo assicurativo gli sportivi dilettanti tesserati in qualità di atleti, dirigenti e tecnici alle Federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva», laddove, al comma immediatamente successivo, veniva specificato che
«L’obbligatorietà dell’assicurazione comprende i casi di infortunio avvenuti in occasione e a causa dello svolgimento delle attività sportive, dai quali sia derivata la morte o una inabilità permanente».
Ma al vuoto di tutela assicurativa riservato agli sportivi dilettanti per l’omessa previsione di copertura assicurativa in caso di malattie professionali ha concorso anche la legge n. 342/2000, il cui art. 37 qualificava, con riferimento alla materia
99GUADAGNINO A., Tutela antinfortuistica nello sport: i rapporti di competenza Inail/Sportass, 26 giugno 2006, in xxx.xxxxxxx.xx.
fiscale, i compensi percepiti a fronte dell’esercizio di attività sportiva dilettantistica nell’ambito dei redditi “diversi”. In conseguenza di ciò, l’INAIL ritenne decaduto il presupposto in forza del quale poter attribuire anche ai dilettanti la tutela antinfortunistica prevista dal d. lgs. n. 38/2000, non essendo qualificati come lavoratori parasubordinati100.
Invero, il comma 1, lett. m, dell’art. 67 Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) sancisce che tutti i premi, i rimborsi e compensi percepiti a fronte dello svolgimento di attività sportiva di tipo dilettantistico non sono equiparabili a redditi da lavoro dipendente. Pertanto, trattandosi di redditi di natura “diversa”, essi non soggiacciono ad alcun prelievo fiscale sia di tipo contributivo (INPS) che di natura assicurativa (INAIL)101.
Alla luce di quanto dedotto può affermarsi che il diritto dello sport appare caratterizzato da due grandi monoliti: da un lato, la legge n. 91/1981, che rappresenta il faro normativo di riferimento per tutte le attività sportive qualificate dal legislatore come professionali; dall’altro, le norme federali e l’art. 67 TUIR, che invece regolamentano lo sport di tipo dilettantistico, ambito «impermeabile ad ogni principio o norma (sia di stampo pubblicistico che privatistico) in materia di legislazione sociale e lavoro»102.
Si pone, dunque, il problema di indagare se sia contemplabile, all’interno del nostro ordinamento giuridico, un’attività sportiva di tipo professionale al di fuori di quanto disposto dalla legge.
Ebbene, secondo l’orientamento giurisprudenziale dominante103, le condizioni al ricorrere delle quali è possibile catalogare una determinata fonte di reddito come compenso “diverso” sono unicamente quelle disposte dal comma 1 dell’art. 67 TUIR, secondo cui: «Sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se
100 Ibidem.
101 XXXXXXXXX X., Sport professionistico ed attività sportiva professionale, in Lavoro e Previdenza, dossier Associazioni e Sport, n. 12/2014, p. 34.
102 Ibidem.
103 cfr. Cass., III Sez. Penale, 18 luglio 14, n.31840.
non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni (…) né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente».
Dunque, allorquando uno sportivo (atleta o tecnico che sia) eserciti, in favore di un’associazione sportiva e/o di una società dilettantistica un’attività sportiva abituale o sistematica, che richieda competenze tecniche e al cui esercizio è ricollegato un compenso di rilievo non marginale rispetto al reddito medio percepito, si è in presenza di un rapporto di lavoro di natura dilettantistica, per quanto disposto dal diritto dello sport ai sensi della legge n. 91/1981, laddove, per la legislazione tributaria, trattasi di rapporto di lavoro professionistico, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini fiscali e contributivi per il lavoratore.
Ma escludere la corresponsione di tali compensi dall’alveo dei cd. “redditi diversi” propri dell’ambito dilettantistico, rappresenta un nodo problematico in ambito previdenziale e ciò del tutto a prescindere dalla natura della prestazione (autonoma, subordinata o parasubordinata).
Più segnatamente, è fatto obbligo di assicurare lo sportivo per la previdenza IVS (ossia invalidità, vecchiaia e superstiti) nonché di iscrivere lo stesso presso la gestione separata nel caso in cui l’attività esercitata rientri nelle seguenti categorie:
1. impiegati, operai, istruttori e addetti agli impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere, palestre, sale fitness, stadi, sferisteri, campi sportivi, autodromi;
2. direttori tecnici, massaggiatori, istruttori e i dipendenti delle società sportive;
3. atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici delle società del calcio professionistico e delle società sportive professionistiche104.
Nel caso in cui l’attività svolta non possa essere ricondotta ad alcune delle suindicate categorie, il trattamento previdenziale e assistenziale applicabile sarà differenziato a seconda che il rapporto di lavoro sia di tipo autonomo oppure subordinato.
Invero, al ricorrere della prima tra le ipotesi contemplate, sarà necessaria, oltre l’iscrizione del lavoratore presso la gestione separata ex Enpals, anche la
104 XXXXXXXXX X., op. cit., p. 35.
registrazione dello stesso presso l’INPS, perché possano essere stipulate le cd. as- sicurazioni minori (ossia l’indennità di malattia, disoccupazione, maternità e assegni familiari105.
Nel secondo caso, invece (e quindi nell’ipotesi di lavoro autonomo o parasu- bordinato), sono obbligatorie l’iscrizione presso la gestione ex Enpals, ma le sole assicurazioni minori per i casi di maternità e malattia.
È chiaro, dunque, che mentre il soggetto è considerato “dilettante” dall’ordinamento sportivo è, invece, eguagliato ad un vero e proprio lavoratore sportivo per il fisco.
L’analisi della prospettazione di cui in premessa, che riconduce la prestazione sportiva al vincolo di associazione tra tesserati, richiede, ai fini di una più agevole comprensione, il ricordo ad esempi pratici.
Si ipotizzi che una società di calcio professionale decida di tesserare, per un’intera stagione sportiva, un allenatore dilettante appartenente alla terza categoria, il quale, secondo quanto disposto dall’art.23 del regolamento della FIGC per il ramo tecnico, può curare la preparazione atletica di squadre giovanili di ogni ordine e grado.
Si pone, dunque, il problema di qualificare, sotto il profilo fiscale, il compenso percepito dall’allenatore.
Ebbene, attesa l’impossibilità di ricondurlo nell’alveo dell’art. 67, co.1, lett. m TUIT (dal momento che trattasi, come anzidetto, di società dilettantistica), il reddito percepito dovrà necessariamente essere considerato alla stregua di un compenso ricollegato ad un’attività lavorativa vera e propria, autonoma o dipendente, a seconda della determinazione per cui converranno le parti, ciò implicando l’obbligatorio inquadramento previdenziale.
All’uopo, due sono i principali provvedimenti Enpals di natura amministrativa cui occorre far riferimento: in uno, nell’ambito del quale si sosteneva che gli allenatori rientranti nella terza categoria andrebbero più correttamente qualificati come “addetti
agli impianti sportivi”106, categoria in cui rientrano quanti rendono una prestazione lavorativa strettamente connessa all’impianto sportivo ospitante, tale che, nella denegata ipotesi quest’ultimo dovesse venir meno, la prestazione offerta da questi lavoratori diventerebbe impossibile o comunque non avrebbe più interesse per il datore di lavoro107.
Con un intervento successivo, invece, anch’esso riguardante l’inquadramento degli addetti agli impianti, veniva stabilita «l’obbligatorietà dell’iscrizione a prescindere dalla natura giuridica subordinata o autonoma del rapporto di lavoro»108.
È, dunque, evidente come la disciplina dettata in materia previdenziale per il personale tecnico tesserato delle società professionistiche, i quali sono inclusi nella categoria “istruttori di giovani” ai sensi e per gli effetti dell’art. 24 del regolamento federale, si contraddistingua per la maggiore linearità.
A voler considerare un’altra ipotesi, ossia il caso di un’associazione sportiva dilettantistica di golf che decida di ingaggiare un maestro o assistente qualificato professionista dalle norme federali, secondo l’orientamento sostenuto in prevalenza verrebbe a delinearsi una situazione tale per cui, da un lato, rileverebbe l’impossibilità di ascrivere il compenso del maestro nell’ambito di operatività dell’art.67 TUIR; dall’altro, dal momento che il datore di lavoro/committente non ha natura commerciale, potrebbe a giusto titolo invocarsi la disciplina giuslavoristica tracciata dalla legge n.91/81.
A tale situazione conseguirebbe, per quanto concerne la materia fiscale, l’obbligo di iscrivere il maestro/assistente presso la gestione separata ex Enpals, in quanto esponente della categoria prevista al n. 22 del D.M. 15 marzo 2005109.
106 cfr. Circolare Enpals n. 20/2002. 107 cfr. circolare Enpals n. 7/2006. 108 XXXXXXXXX X., op. cit., p. 36.
Se ne deduce che, anche con riguardo a tale ipotesi, pur volendo avallare la tesi che ricollega il rapporto associativo al tesseramento, non può comunque escludersi l’applicazione del regime fiscale e previdenziale disposto in favore dei lavoratori.
Se n’è, dunque, dedotto che quandanche si sia in presenza di una prestazione sportiva che, pur essendo assoggettata agli obblighi dettati in xxx xxxxxxxx xx xxxxxxx xx xxxxxx, non è riconducibile né al modello normativo tracciato dall’art. 67, comma 1, lett. m TUIR né tantomeno alla legge n. 81/1981, non può, in ogni caso aderirsi alla prospettazione teorica secondo cui, per la sola sussistenza del vincolo del tesseramento, quei determinati rapporti sportivi siano esentati dalle regole giuslavoristiche.
È chiaro che le riflessioni proposte con riferimento alla materia fiscale devono essere considerate al netto delle incertezze interpretative relative che caratterizzano la disciplina de qua.
Com’è noto, infatti, gli orientamenti di cui si è dato atto e il riflesso che essi assumono nella prassi amministrativa, nella maggior parte dei casi non riescono a garantire piena tutela e dignità giuridica al fenomeno del dilettantismo il quale continua ad essere escluso dall’ambito di operatività dei principi fondamentali in materia di lavoro e previdenza sociale e ciò anche con riferimento ai casi in cui esso rappresenta la principale (se non esclusiva) fonte di reddito110.
110 XXXXXXXXX X., op. cit., p. 36.
CAPITOLO SECONDO
IL QUADRO GIURIDICO INTERNO E SOVRANAZIONALE
2.1. Lo sport professionistico tra fonti interne e comunitarie
Il fenomeno sportivo, in quanto attività attinente alla piena e libera espressione della personalità dell’individuo organizzata secondo schemi e modelli ben precisi, trova pieno riconoscimento e, conseguentemente, regolamentazione nella Costituzione italiana111.
111 PARISI A.G., in CANTAMESSA X., XXXXXX G.M., XXXXXXXXXXXXX G. (a cura di), Lineamenti di diritto sportivo, Xxxxxxx Editore, Milano 2008, p. 316.
A ben vedere, tuttavia, l’impianto originario della Carta fondamentale del ’48 difettava di un riferimento normativo esplicito allo sport, circostanza che ha indotto alcuni a ritenere che, quantomeno in origine, non vi fosse alcun interesse da parte dell’Assemblea Costituente rispetto a tale fenomeno, laddove altri, invece, hanno attribuito a tale silenzio una più ampia lettura, riconducendolo al particolare momento storico in cui la nostra Costituzione ha visto la luce. Ad ogni buon conto, l’ipotesi più accreditata è quella secondo l’intenzione perseguita in sede di elaborazione del testo costituzionale fosse quella di dare un chiaro segnale di netta rottura con l’assetto normativo che l’Italia aveva conosciuto fino all’introduzione della forma di governo repubblicana e l’avvento della Carta fondamentale112.
Ciò perché in tutti i regimi totalitari che si instaurarono nel continente europeo nel corso del XX secolo operarono una forte strumentalizzazione del fenomeno sportivo, rendendo le fasi di preparazione e selezione rigorosa degli atleti un perno centrale del loro programma politico finalizzato al dominio razziale. Rebus sic stantibus, tenuta in debito conto la natura programmatica delle norme costituzionali, seppur in assenza di norme costituzionali espressamente indirizzate al fenomeno sportivo, la rilevanza costituzionale attribuita a quest’ultimo ben può essere dedotta mediante un’operazione di ricostruzione del sistema ad opera degli interpreti, facendo riferimento non solo alle norme richiamate, di volta in volta, dal Giudice delle leggi per la risoluzione di questioni di legittimità costituzionale, ma anche dai riferimenti di corredo operati dalla stessa Costituzione113.
Tanto premesso, certamente sono applicabili alla disciplina del lavoro sportivo di tipo professionistico i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, cristallizzati nelle seguenti disposizioni:
- art. 2 Cost.: principio di personalità («La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle
112 PRELATI R., Fondamenti etici del Diritto sportivo, Università degli Studi di Perugia., Perugia 2008, p. 217.
113 Ibidem.
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»);
- art. 3 Cost.: principio di uguaglianza formale e sostanziale («Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»);
- art. 4 Cost.: principio del diritto/dovere al lavoro («La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società»);
- art. 18 Cost.: diritto dei cittadini di associarsi liberamente («I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare»), dal momento che, atteso l’ampio perimetro di applicazione della richiamata norma, ben può ricondurvisi l’esercizio della pratica sportiva specializzata, quale declinazione particolare della facoltà di ciascun individuo di poter regolare e/o coordinare i propri interessi e inclinazioni personali;
- artt. 35-47 Cost., ossia il compendio di disposizioni che sanciscono la tutela costituzionale del lavoro114.
114 Ivi.
Più segnatamente, l’art. 35 Cost. stabilisce: «La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero». E, ancora, hanno piena applicabilità alla materia de qua gli artt. 36 («Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi»); 37 («La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione»); 38 («Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera»); 39 («L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro
registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce») e 40 Cost. («Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano»)115.
Come anzidetto, in assenza di riferimenti al mondo sportivo all’interno dell’originaria formulazione della Carta costituzionale si sono resi necessari degli interventi legislativi che andassero a sopperire a tale lacuna: essendo ormai parte integrante della vita moderna, il fenomeno sportivo ha assunto una dimensione che, in alcun modo, l’ordinamento avrebbe potuto continuare ad ignorare116.
Una prima innovazione in tal senso si ebbe ad opera della Riforma del Titolo V della Costituzione, legge costituzionale n. 3/2001, la quale, in riforma dell’art. 117 Cost., ha riconosciuto espressamente la potestà legislativa regionale in «materia di ordinamento sportivo». Nonostante la vaghezza dell’espressione adoperata, la potestà attribuita alle Regioni non lede in alcun modo l’autonomia dell’ordinamento sportivo, dal momento che la competenza attribuita agli enti territoriali in tale materia è circoscritta alla collaborazione degli stessi con il C.O.N.I.
Quest’ultimi, infatti, hanno l’obbligo di attivarsi per adottare tutte le misure necessarie alla promozione della pratica sportiva quale promozione dell’interesse pubblico117.
Nel sistema interno delle fonti che regolamentano il fenomeno sportivo vengono, infine, in rilievo gli usi normativi.
115 GERMANO T., Lavoro sportivo, in Digesto discipline privatistiche, sez. comm., VIII ed.
116 PRELATI R., op. cit., p. 215.
117 SPADAFORA M.T., Diritto del Lavoro Sportivo, Giappichelli Ed., Torino, 2015, p. 59.
A tenore dell’art. 2078 c.c. «In mancanza di disposizioni di legge e di contratto collettivo si applicano gli usi. Tuttavia gli usi più favorevoli ai prestatori di lavoro prevalgono sulle norme dispositive di legge. Gli usi non prevalgono sui contratti individuali di lavoro». Ne consegue che, secondo quanto disposto dalla norma richiamata innanzi, anche nella materia lavoristica l’uso rappresenta una fonte di diritto di natura sussidiaria, atteso che essi non possono prevalere né sul contratto individuale di lavoro né tantomeno sui contratti collettivi, potendo trovare applicazione solo in mancanza degli stessi118.
Trattasi di un’eccezione alla gerarchia delle fonti del diritto, la cui ratio è da rinvenirsi nel principio cardine della materia lavoristica del favor prestatoris, in ossequio al quale allorquando rispetto alla medesima fattispecie trovino applicazione più norme, a prevalere dev’essere quella più favorevole al lavoratore e ciò quandanche tale disposizione sia di rango inferiore. Ne deriva un sistema in cui «le norme di legge prevalgono sugli usi meno favorevoli ai lavoratori; le norme di legge imperative prevalgono sugli usi anche se questi sono più favorevoli; le norme di legge dispositive cedono di fronte agli usi più favorevoli ai lavoratori»119.
Si è già detto, nel corso del precedente capitolo, come, allo stato dell’arte, il riferimento normativo principale per lo sport professionistico sia la legge n. 91/1981, cui è rimessa la regolamentazione contrattuale del fenomeno sportivo.
Antecedentemente all’introduzione di tale provvedimento, invece, la condizione giuridica dell’atleta professionista era del tutto peculiare: essa, infatti, era strettamente connessa al tesseramento di quest’ultimo presso una società sportiva (riconosciuta dal CONI), per effetto del quale veniva a crearsi tra le parti un vincolo giuridico di natura particolare.
Invero, al tempo la funzione assolta dal tesseramento non si esauriva nel sancire l’ingresso dell’atleta nel mondo dello sport professionale, ma rappresentava un vero
118 SPADAFORA M.T, op. cit., pp. 56-57.
119 XXXXXX X., Lineamenti di diritto del lavoro, Xxxxxxxxxxxx Ed., Torino, 2008, p. 227.
e proprio strumento di controllo della società sportiva nei riguardi di quest’ultimo. Grazie a tale strumento, infatti, la società si assicurava un legame longevo con l’atleta impegnandosi a provvedere, in prima battuta, alla sua preparazione atletica e, successivamente decidendo, in via esclusiva, le sorti di ciascun rapporto di natura contrattuale dei propri tesserati. Altresì, era esclusa ogni possibilità per gli atleti di esercitare il diritto di recesso, nonché quella di manifestare il proprio dissenso ad una loro eventuale cessione ad altra società120.
È chiara, dunque, la fondamentale differenza intercorrente, sotto tale profilo, con la disciplina sancita dalla legge n. 91/1981: i vincoli contrattuali posti a carico degli sportivi professionisti nell’assetto antecedente all’adozione del citato provvedimento eccedevano in misura consistente i normali oneri scaturenti dalle obbligazioni di natura contrattuale, sancendo «una sorta di “titolo di proprietà” sull’atleta, visto come un bene della società sportiva detentrice del relativo cartellino, con conseguenze incompatibili con la dignità della persona e con il principio di libertà del lavoro»121.
Volgendo, poi, lo sguardo al piano sovranazionale, a ricoprire un ruolo apicale tra le istituzioni proprie dell’ordinamento sportivo è il CIO (Comitato Internazionale Olimpico)122, un’organizzazione non governativa, che non persegue scopo di lucro, istituita al fine di provvedere all’organizzazione dei giochi olimpici, verificare che essi si svolgano secondo i principi e le regola sportive formulati nelle Règles Olympiques e promuovere la cooperazione tra i Paesi anche in competizioni di altra natura123.
I membri del CIO vengono individuati tra i cittadini degli Stati dotati di un Comitato Nazionale Olimpico (CNO) riconosciuto dal Comitato: anche in questo caso, dunque, il riconoscimento costituisce un requisito indefettibile affinché i vari CNO dei singoli
120 XXXXXXXXXX L., Diritto sportivo, Giappichelli Editore, Torino, 2009, p. 126.
121 Ibidem.
122 SANINO M., Il diritto sportivo, CEDAM, III ed., Padova, 2011, p. 71.
123 Ibidem.
Paesi possano essere abilitati all’iscrizione dei propri atleti allo svolgimento dei Giochi Olimpici124.
Tra il CIO e i vari CNO dei singoli Paesi sussiste un rapporto di natura gerarchica, in forza del quale il Comitato sovrintende, in maniera costante, all’osservanza delle regole sancite all’interno della Carta olimpica da parte dei singoli enti sportivi nazionali: tale compito viene assolto anche attraverso la sottoposizione dei regolamenti e degli statuti interni a controlli regolari. Nell’ambito di questa struttura di tipo piramidale, quindi, è intuibile che il compito spettante ai vari CNO sia quello di preservare intatti i valori di cui i Giochi olimpici si fanno promotori125.
Vi sono, poi, una serie di sottosistemi, ossia le Federazioni, che rappresentano l’organizzazione che ciascuna disciplina sportiva (calcio, pallavolo, basket, nuoto, tennis, ginnastica artistica etc.) assume su scala internazionale.
In conseguenza di ciò, non è impropria la definizione adoperata da quanti sostengono che, nella realtà, coesiste una pluralità di ordinamenti sportivi e ciò perché, se, da un lato, è vero che l’assetto interno di cui ciascuna federazione si dota (cd. ordinamenti federale) deve necessariamente ricondursi al quadro normativo tracciato a livello mondiale dal CIO, dall’altro è pur vero che il complesso di norme giuridiche che regolamenta l’esercizio di un determinato sport rappresenta, a tutti gli effetti, un impianto giuridico a sé stante, perfettamente qualificabile come ordinamento giuridico autonomo, in quanto dotato di tutti i requisiti richiesti per poter godere di tale riconoscimento (ossia pluri-soggettività, normazione e organizzazione)126.
Diverse, sia per natura che per finalità perseguite, le Federazioni Sportive Internazionali, giuridicamente qualificabili come organizzazioni non governative composte, in quanto incorporano in sé anche altri enti federali. Sul piano interno
124 XXXXXXXXXX X., op. cit. pp. 122-123.
125 Ibidem.
126 XXXXXXXXXX X., op. cit. p. 125.
dello Stato entro il cui territorio la loro sede è collocata, esse assumono la dignità di associazioni private aventi personalità giuridica127.
Alle Federazioni Sportive internazionali è affidato il compito di diffondere la pratica sportiva attraverso la promozione della stessa (funzione che viene esplicata mediante l’organizzazione di competizioni atletiche), nonché di predisporre le regole tecniche di ciascuna disciplina sportiva a cui, pena l’esclusione dall’ordinamento sportivo internazionale, le singole Federazioni nazionali devono attenersi128.
Per quel che attiene l’ambito calcistico, l’istituzione apicale dell’ordinamento giuridico internazionale è rappresentata dalla F.I.F.A. (acronimo di Fédération Internationale de Football Association), nata al fine di sostenere e promuovere lo sviluppo del calcio in tutto il mondo. Avendo sede legale a Zurigo, essa segue le prescrizioni impartite dal codice civile svizzero, ai sensi del cui art. 60 trattasi di un’associazione di diritto privato che gode di personalità giuridica129.
Tra le principali funzioni della F.I.F.A. rientrano:
- l’organizzazione di competizione calcistiche internazionali;
- sovrintendere ad eventuali violazioni di norme da parte delle singole Federazioni Sportive calcistiche;
- verificare che le prassi interne adottate da ciascuna Federazione internazionale non concretizzi abusi ai danni delle Federazioni né mini la genuinità delle competizioni sportive;
- incentivare l’adozione di misure di contrasto finalizzate a contrastare il razzismo in ambito sportivo130.
127 Ibidem.
128 XXXXXXXXXX X., op. cit., p. 170.
129 Ibidem.
130 Ivi.
Organo speculare alla FIFA ma con riferimento al solo continente europeo, invece, è la UEFA (Union of European Football Associations), avente sede a Nyon, in Svizzera, il cui compito è organizzare le competizioni calcistiche tra gli Stati aderenti all’UE.
Infine, alla base della piramide dell’ordinamento sportivo internazionale vi sono i Comitati Olimpici Continentali la cui funzione principale è quella di provvedere all’organizzazione delle competizioni atletiche a livello continentale.
Il comitato olimpico continentale per l’Europa è il COE (Comitato Olimpico Europeo), il quale, oltre a curare la diffusione dei principi e dei valori sottesi allo svolgimento dei Giochi olimpici, ha anche il compito di incentivare interventi di solidarietà nei riguardi di quei Paesi in cui i comitati nazionali hanno una genesi più recente, promuovendo la conclusione di accordi bilaterali con le associazioni olimpiche europee. Altresì, il COE concorre all’organizzazione delle edizioni future dei Giochi olimpici, curando anche la commercializzazione dei prodotti collegati a tale evento131.
Anche sul piano nazionale l’ordinamento sportivo, articolandosi in una molteplicità di organizzazioni collettive, assume una struttura gerarchia.
Al vertice di tale gerarchia è posto il CONI, istituito nel nostro ordinamento con legge n. 426/1942, la quale espressamente gli attribuisce le funzioni di promozione, organizzazione e sviluppo dello sport nazionale.
A decorrere dal 1999 fino al 2008, il legislatore nazionale è intervenuto, a più riprese, nel modificare l’assetto e le competenze di questo ente, attraverso una serie di provvedimenti, quali
- d. lgs. n. 242/1999 (c.d. decreto Xxxxxxxx): in tale circostanza, il legislatore italiano non si limitava a riconoscere, ex art. 1 del citato decreto, la personalità giuridica di diritto pubblico di tale ente e a fissare la sede dello stesso a Roma, ma al contempo decretava, per la prima volta nella storia,
131 SPADAFORA M.T., op. cit., p. 27.
l’inclusione del CONI nell’ordinamento sportivo internazionale, riconoscendone l’appartenenza tanto all’ordinamento sportivo quanto a quello statale. Diretta conseguenza di tale previsione è l’obbligo posto in capo al CONI di uniformarsi ai principi stabiliti dal CIO132.
- Il D. L. n. 138/2002, successivamente convertito in legge 8 agosto 2002,
n. 178, invece, ha disposto il trasferimento di tutte le attività strumentali del CONI in capo alla CONI Servizi S.p.A. (il cui pacchetto azionario appartiene completamente al Ministero dell’Economia e delle Finanze), costituita con il proposito di regolamentare le attività finanziarie facenti capo al CONI.
In buona sostanza, attraverso tale previsione, il legislatore ha sollevato il CONI da tutte le competenze di natura gestionale, riconfermandone le funzioni di promozione e di indirizzo sportivo133.
- L’art. 1 d. lgs n. 15/2004 (c.d. decreto Pescante), intervenuto in modifica dell’art. 2, comma primo, del decreto Melandri del 1999, statuisce che: «Il CONI è la Confederazione delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate e si conforma ai principi dell'ordinamento sportivo internazionale, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dal Comitato olimpico internazionale, di seguito denominato CIO. L’ente cura l’organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale, ed in particolare la preparazione degli atleti e l’approntamento dei mezzi idonei per le Olimpiadi e per tutte le altre manifestazioni sportive nazionali o internazionali. Cura inoltre, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, anche d'intesa con la commissione per la vigilanza ed il controllo sul
132 SPADAFORA M.T., op. cit., p. 31.
133 Ibidem.
doping e per la tutela della salute nelle attività sportive, istituita ai sensi dell'articolo 3, della legge 14 dicembre 2000, n. 376, l’adozione di misure di prevenzione e repressione dell’uso di sostanze che alterano le naturali prestazioni fisiche degli atleti nelle attività sportive, nonché la promozione della massima diffusione della pratica sportiva, sia per i normodotati che, di concerto con il Comitato italiano paraolimpico, per i disabili, nei limiti di quanto stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616. Il CONI, inoltre, assume e promuove le opportune iniziative contro ogni forma di discriminazione e di violenza nello sport»134.
- Parimenti degne di nota le prescrizioni contenute nel comma secondo, art. 1, dello Statuto CONI del 2004, nell’ambito del quale viene stabilito che tale ente costituisce un’autorità di regolazione, gestione e disciplina della pratica sportiva, che dev’essere intesa non solo come componente essenziale per lo sviluppo morale e fisico dell’individuo, ma anche quale elemento imprescindibile nell’educazione di ogni cittadino e, per converso, della cultura nazionale italiana.
In ragione di ciò, le disposizioni immediatamente successive a quella di cui innanzi illustrano gli obiettivi che, in qualità di coordinatore e promotore dello sport italiano, il CONI è chiamato a perseguire, nonché le attività di sorveglianza cui lo stesso è tenuto al fine di assicurare, in ogni circostanza, il corretto svolgimento delle competizioni sportive. Del pari, si ribadisce l’esclusiva competenza di tale ente nell’adozione dei regolamenti in ordine al tesseramento degli sportivi professionisti, nonché l’onore per lo stesso di adottare misure ad hoc per contrastare episodi di razzismo, xenofobia, emarginazione e disuguaglianza sociale nello svolgimento delle competizioni (art.2). L’art. 3 dello Statuto del CONI, invece, ribadisce
134 cfr. art. 1 d. lgs n. 15/2004, disponibile in xxx.xxxxxx.xx.
come, in qualità di organo promotore della diffusione dello sport, a tale organismo competa, in via principale, la preparazione tecnica degli atleti in vista e soprattutto in occasione della partecipazione ai Giochi olimpici. L’intervento di riforma sullo Statuto del CONI avutosi nel 2008 ed entrato in vigore, essenzialmente, a decorrere dal 2014 ha riguardato, invece, le sole disposizioni attinenti al sistema di giustizia sportiva135.
Più controverso, invece, è stato definire, in maniera unanime, quale fosse la natura giuridica delle Federazioni Sportive Nazionali (FSN), argomento che, a lungo, ha visto versare nell’incertezza sia la dottrina che la giurisprudenza.
Si è già detto che le Federazioni siano le sole associazioni di diritto privato in grado di rappresentare le singole discipline sportive, dato da cui pare ragionevole dedurre che le stesse debbano essere, a pieno titolo, qualificate come associazioni di diritto privato.
Tuttavia, esse vengono definite dall’art. 2 D.P.R. n. 157/1986 «organi del CONI», espressione che evidenzia la partecipazione delle stesse alla natura pubblicistica di tale ente136. Alle medesime conclusioni è pervenuta anche la giurisprudenza di legittimità, la quale, ad opera dell’arresto n. 2725/1979, ribadendo che le Federazioni Sportive Nazionali sono organi appartenenti ad un ente pubblico (CONI), ha, in via implicita, confermato la matrice pubblicistica delle stesse137.
Maggiormente ondivaga, invece, si attestava la giurisprudenza amministrativa, la quale, in alcuni casi, si è dimostrata concorde con la Suprema Corte, concludendo in favore della natura pubblica delle Federazioni138; in altri casi, invece, ha riconosciuto la propria giurisdizione nella risoluzione delle controversie in virtù della doppia natura giuridica di cui le Federazioni Sportive Nazionali godono139.
135 XXXXXXXXXX X., op. cit., p. 187.
136 XXXXXXXXXX X., op. cit., pp. 188-189.
137 cfr. Cass. Civ., SS. UU., sent. n. 2725/1979.
138 cfr. Cons. St., sez. VI, 18 gennaio 1996 n. 108.
139 cfr. TAR Marche, sent. 30 gennaio 1998 n. 87.
Ebbene, a fugare ogni dubbio in merito è intervenuto il già menzionato decreto Xxxxxxxx del 1999, il cui art. 1 stabilisce chiaramente la natura privatistica delle Federazioni. Tuttavia, a fronte di un così cristallino riconoscimento, l’art. 15, lett. a), comma 1 dispone anzitutto che le Federazioni Sportive Nazionali svolgano le attività loro affidate dall’ordinamento «in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI», nonché che l’attività delle Federazioni possano assumere valenza pubblicistica con riferimento ad alcuni aspetti ben precisi140.
Com’è stato opportunamente osservato dalla dottrina, riconoscere la valenza pubblicistica di alcune attività svolte dalle Federazioni Sportive Nazionali a nulla rileva in riferimento alla natura giuridica delle stesse, dal momento che alcuna preclusione vige rispetto al fatto che un soggetto privato eserciti funzioni pubbliche141.
Altresì, tutte le Federazioni Sportive attive sul territorio nazionale devono essere riconosciute dal CONI: i requisiti richiesti per il riconoscimento sono l’esercizio di una disciplina sportiva e l’affiliazione ad una Federazione Internazionale riconosciuta dal Comitato Internazionale Olimpico.
Per quel che concerne i compiti assolti dalle FSN, ciascuna Federazione deve provvedere non solo a regolamentare l’attività sportiva d’interesse dettandone le regole, ma anche al relativo esercizio del potere per le ipotesi di violazione delle stesse. Al contempo, esse collaborano con il CONI in tutte le attività di promozione e potenziamento dello sport nazionale, concorrendo con lo stesso anche per quel che concerne la preparazione della delegazione italiana di atleti partecipanti alle manifestazioni sportive e, in particolare, ai Giochi olimpici142.
Nella disamina relativa all’organizzazione del fenomeno sportivo sul piano nazionale, meritano menzione anche le Leghe che hanno, via via, assunto sempre maggiore importanza nel corso degli anni.
140 cfr. art. 15, lett. a), co.1, D. lgs. n. 242/1999.
141 FRATTAROLO V., Il rapporto di lavoro sportivo, Xxxxxxx, Milano, 2004, p. 7.
142 Ibidem.
In punto di diritto, esse sono associazioni di diritto privato in cui rientrano le società sportive affiliate alle rispettive Federazioni, cui è riservato il fondamentale compito di rappresentare le stesse nelle fasi di stipulazione degli accordi e dei contratti individuali da sottoporre agli atleti. Inoltre, compete alle Leghe anche la calendarizzazione di tutti gli incontri sportivi in cui si articola il Campionato e la determinazione dei criteri da soddisfare per l’iscrizione ai tornei143.
Sebbene lo Statuto della FIGC riconosca e garantisca l’autonomia delle singole Leghe calcistiche italiane144, le stesse devono, in ogni caso, operare attenendosi a quanto sancito dallo Statuto del CONI (in particolar modo all’art. 9, co.2, norma che impone il rispetto del principio di democrazia interna) e a quanto disposto dalla Federazione.
Infine, la “base” della piramide di cui in disamina è rappresentata dalle associazioni sportive sia di natura dilettantistica che professionali145.
Con riferimento al piano normativo comunitario, invece, in xxx xxxxxxxxxxx xxxxxxx xxxxxxxxx xxx x’xxxxxxxx xxx xxxxxxxx sportivo nell’ordinamento giuridico europeo, in quanto attività suscettibile di rilevanza economica, si deve alla giurisprudenza della CGUE. Invero, perché lo sport venga pienamente annoverato tra le competenze di coordinamento e di sostegno dell’Unione Europea, occorrerà attendere l’adozione del Trattato di Lisbona (entrato in vigore il 1º dicembre 2009), che lo menziona espressamente all’art. 165 TFUE146.
Difatti, il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea (Trattato di Roma del 1924) non contemplava alcuna disposizione che potesse fungere da base normativa legittimante eventuali interventi dell’allora CEE in materia sportiva.
000 XXXXXXXXXX X., op. cit., p. 8.
144Le Leghe calcistiche italiane sono quattro e sono: la Lega Nazionale Professionisti di Serie A, la Lega Nazionale Professionisti di Serie B, la Lega Pro e Lega Nazionale Dilettanti.
145 FRATTAROLO V., op. cit., p. 9.
146 XXXXXXX X., Fenomeno sportivo e ordinamento europeo dopo il Trattato di riforma, Documenti dell’Università degli Studi Xxxxx Xx, p. 5.
Tuttavia, «l’esperienza ha dimostrato quanto l’integrazione economica sia stata feconda e ricca di conseguenze anche in quei settori che, pur non contemplati (espressamente) dai Trattati, sono strettamente connessi alle aree di azione della Comunità medesima»147.
A delineare l’attuale modello sportivo europeo hanno concorso, da un lato, le elaborazioni giurisprudenziali della Corte di Giustizia, quandanche adita in via pregiudiziale; dall’altro, le molteplici conferenze intergovernative che hanno via via ampliato le competenze delle istituzioni europee in materia di sport148.
A ben vedere, pur ritrovandosi prime pronunzie della CGUE in ambito sportivo già alla fine degli anni ’70, fu solo a partire dalla metà degli anni ’90 e, più precisamente, con l’emissione della sentenza Xxxxxx, che tale interesse ha raggiunto maggior rilievo.
Investita per la prima volta di questioni relative allo sport nell’ambito dell’arresto
Xxxxxxx, in tale provvedimento la CGUE stabiliva che:
- l’attività sportiva era da considerarsi di competenza delle istituzioni comunitarie nella sola ipotesi in cui la stessa potesse essere configurata come attività economica. In tal caso, infatti, trattandosi di una prestazione lavorativa di tipo subordinato, la stessa rientrava a pieno titolo nelle disposizioni del TCE relative alla libera circolazione (oggi artt. 45 e 48 TFUE);
- la natura giuridica di enti di diritto privato delle Federazioni Sportive non legittimava l’esclusione di quest’ultime dall’applicabilità del diritto comunitario. In caso contrario, la rimozione di tutte le limitazioni previgenti alla libera circolazione delle persone e dei servizi tra gli Stati membri dell’UE sarebbe risultata gravemente compromessa;
147 XXXXXXXXXX L., Diritto sportivo, Torino, Giappichelli editore, 2009.
148 SANINO M., VERDE M., Il diritto sportivo, Padova, CEDAM, 2008.
- il principio di non discriminazione non trovava applicazione, in ambito sportivo, con riferimento alla formazione delle squadre, atteso che, in quella fase, l’individuazione degli atleti ritenuti più meritevoli e preparati rappresenta una scelta tecnica esclusivamente sportiva e non economica e, pertanto, esclusa dalle competenze della Corte adita149.
Ciò nonostante, persistevano dubbi residui circa la portata di tale esenzione. Tuttavia, dopo solo due anni, la CGUE tornò sul punto con la sentenza Donà, nell’ambito della quale affermava che «le norme comunitarie non si oppongono ad una disciplina o prassi sportiva che escluda i giocatori stranieri dalla partecipazione a certi incontri per motivi non economici, ma inerenti al carattere e alla fisionomia specifica di detti incontri ed avente natura prettamente sportiva, come ad esempio è in occasione di incontri tra squadre nazionali di diversi Paesi»150.
Tuttavia, nonostante i richiamati interventi, il rapporto tra l’ordinamento comunitario e il diritto sportivo rimase nell’ombra ancora a lungo. La svolta in tal senso, infatti, si ebbe solo nel 1995, con la sentenza Xxxxxx.
In tale circostanza, i giudici di Lussemburgo concludevano in favore della contrarietà all’art. 39 TCE (ad ora art. 45 TFUE) delle norme secondo cui un atleta professionista, cittadino di uno Stato comunitario, potesse essere ingaggiato da un’altra società sportiva nella sola ipotesi in cui quest’ultima avesse corrisposto una somma di denaro a titolo di indennità di formazione e/o promozione.
Nella medesima prospettiva, i giudicanti rigettavano la tesi secondo cui tali disposizioni si legittimavano in relazione all’ipotesi in cui le squadre nazionali godessero di adeguate riserve di calciatori da poter schierare in campo nel corso delle competizioni sportive151.
149cfr. CGUE, C- 13, Xxxxxxx e Xxxx c. Association Union cycliste internazionale, sent. 14 luglio 1976.
150cfr. CGUE, C—13/76, Donà, sent. 14 luglio 1976.
151 XXXXXXX M., op. cit., p.11.
Dunque, alla luce delle statuizioni contenute nella sentenza Xxxxxx, si evince come la CGUE abbia ritenuto completamente inadatte le norme sportive al conseguimento dell’equilibrio finanziario riconnesso alla pratica atletica, specie con riferimento ai cd. club minori. Secondo i giudici internazionali, infatti, «un sistema di mutua ripartizione delle entrate tra le società calcistiche (vendita dei biglietti di ingresso, ripartizione dei diritti televisivi, etc.) potrebbe, ad esempio, essere utilizzato per garantire un maggior equilibrio finanziario tra i club senza con ciò pregiudicare il diritto alla libera circolazione dei lavoratori in Europa».
Ma se con la richiamata sentenza lo sport professionistico entrava a gamba tesa nel diritto comunitario, la piena consapevolezza della rilevanza assolta da quest’ultimo anche in termini di integrazione verrà pienamente compresa dagli Stati membri solo negli anni 1996-2000.
In tale arco temporale, infatti, venne a delinearsi un approccio europeo al fenomeno sportivo tutto nuovo, come comprovato dalla dichiarazione n. 29 di corredo al Trattato di Amsterdam del 1997: «sono anche gli anni in cui appare necessario chiarire che il diritto comunitario non è contro lo sport ma che viceversa è nell’interesse dell’intero fenomeno sportivo ricondurre l’autonomia che gli è riconosciuta all’interno di un quadro unitario e ordinato di fonti»152.
Nel 1996, nell’ambito della sentenza Xxxxxxxx, per il cui caso di specie la Corte di Giustizia veniva adita con riferimento alla possibilità di disporre o meno il trasferimento di un atleta professionista nel corso dello svolgimento di un torneo, veniva stabilita l’esigenza di derogare al principio di libera circolazione degli sportivi professionisti anche per ragioni di natura non prettamente economiche, al fine di garantire la sicurezza nello svolgimento delle competizioni sportive153.
A sancire il superamento di quella netta linea di confine tra lo sport professionale e quello dilettantistico in ambito europeo è stata la sentenza Xxxxxxx, con la quale la
152Ibidem.
153CGUE, C. 176/96, Xxxx Xxxxxxxx/ Federation Royale belge des societes de basketball.
giurisprudenza sovranazionale ha conferito all’ordinamento europeo un’impronta sostanzialista. In tale circostanza, infatti, la CGUE ha ritenuto che «ai fini dell’applicazione del diritto comunitario non rileva la classificazione dell’attività sportiva come professionistica o dilettantistica, quanto piuttosto la sua natura economica»154.
Da ciò si deduce che, a parere dei giudici di Lussemburgo, ai fini della determinazione della qualità di lavoratore come inteso ai sensi dell’art. 39 TCE (attualmente art. 45 TFUE) occorra fare riferimento non alle mere enunciazioni di principio delle norme federali, quanto, piuttosto, ai criteri obiettivi: «tali sono lo svolgimento, in favore di una persona fisica o giuridica e per un certo periodo di tempo, di prestazioni lavorative reali ed effettive contro un corrispettivo, senza che rilevi che l’attività sia svolta a tempo pieno o parziale. In questo senso il fatto che una federazione nazionale qualifichi una determinata attività sportiva come dilettantistica non assume alcuna rilevanza per l’ordinamento giuridico comunitario cosicché anche un atleta considerato “dilettante” potrà beneficiare delle libertà e delle garanzie offerte dall’ordinamento dell’Unione europea in presenza dei richiamati elementi che ne fanno un lavoratore comunitario»155.
Trattandosi di un’attività economicamente rilevante, la pratica sportiva soggiace alla normativa predisposta dai Trattati europei in materia di tutela della concorrenza.
In tal senso depone l’ampia portata applicativa che il concetto di impresa assume in ambito comunitario, circostanza che legittima l’applicazione della normativa comunitaria antitrust ai sensi degli artt. 101 e 102 TFUE ossia con riferimento sia alle società e/o associazioni sportive sia ai singoli atleti.
Tale riconoscimento, ad onor del vero, rappresenta una conquista giuridica figlia della modernità, dal momento che, per lungo tempo, la dottrina maggioritaria aveva ritenuto che le pratiche proprie del mondo dello sport (si pensi, a titolo
154 PIERINI M., op. cit., p.13.
155 XXXXXXX M., op. cit., p. 14.
esemplificativo, alle regole inerenti i casi di arbitrato obbligatorio; quelle che disciplinano il ruolo degli agenti degli atleti professionisti; la normativa in materia di cessione dei diritti televisivi e di trasferimento dei giocatori ad altre società sportive; le sanzioni disciplinari, etc.) non potessero essere ricondotte alla disciplina europea in materia di concorrenza.
A sancire il superamento di tale posizione fu la Commissione europea, la quale, nel 2003 richiedeva l’attivazione della procedura di vigilanza nei confronti della FIA (Federazione Internazionale dell’Automobile) e in particolare della Formula uno (FOA), per verificare l’osservanza, da parte della stessa, della normativa comunitaria antitrust, atteso soprattutto l’impatto economico di non scarso momento connesso all’organizzazione delle gare automobilistiche156.
In conseguenza di ciò, la FIA apportò delle modifiche ai propri regolamenti, operando una netta distinzione tra le funzioni commerciali da quelle svolte in qualità di ente automobilistico di riferimento mondiale: essa, infatti, «garantì il libero accesso agli sport motoristici in regime di parità, modificando la durata dei contratti di trasmissione televisiva in chiaro e rendendo più trasparenti le procedure decisionali e di ricorso fino ad allora insindacabili»157.
All’indomani del caso Xxxxxx e per molti anni a venire, la giurisprudenza internazionale si era astenuta dall’emettere pronunce inerenti alla compatibilità delle norme interne delle Federazioni Sportive con la tutela europea della concorrenza sancita agli artt. 101 e 102 TFUE.
Un primo intervento in tale senso si ebbe nel 2005, con la sent. Piau, nell’ambito della quale si adiva la CGUE al fine di valutare la compatibilità con la normativa europea antitrust del regolamento FIFA, secondo il quale il rilascio della licenza necessaria a svolgere la professione di agente di uno sportivo professionista era
156 XXXXXXX M., op. cit., p. 15.
157 Ibidem.
subordinata al superamento di un relativo esame di idoneità, congiuntamente ad una fideiussione bancaria158.
Ebbene, nell’ambito della pronunzia in commento, i giudici di Lussemburgo, sancendo una netta inversione di tendenza rispetto all’orientamento sostenuto dalla giurisprudenza comunitaria fino a quel momento, statuivano che:
«a) in prima lettura, le disposizioni FIFA potevano senz’altro apparire incompatibili con il diritto comunitario in quanto direttamente capaci di incidere sullo svolgimento della concorrenza e dunque contrastare con le disposizioni degli articoli 81 e 82 TCE (ora artt. 101 e 102 TFUE);
b) che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione (secondo cui la FIFA non sarebbe un operatore economico), la FIFA è un soggetto economico a tutti gli effetti qualificabile come associazione di imprese, in quanto agisce sul mercato attraverso le Federazioni nazionali e le società, che sono le acquirenti effettive dei servizi;
c) che le disposizioni che subordinano il superamento di un esame (restrizione qualitativa più che quantitativa) e il rilascio di una fideiussione, mancando una regolamentazione generale dell’attività di agente in Europa, potrebbero costituire un profilo di posizione dominante, ma che tale eventualità non ricorre per il fatto che sono soddisfatte le condizioni per godere di una esenzione in base all’art. 81 n.3 TCE (ora artt. 101 n.3 TFUE)»159.
Alla luce di quanto dedotto, dunque, i giudicanti concludevano affermando che la materia devoluta alla cognizione della Corte rientrasse, a pieno titolo, nella disciplina europea della concorrenza, con la sola eccezione, ai sensi del comma terzo, art. 81, TCE del requisito della licenza necessaria all’esercizio della professione di agente di un atleta professionista, dal momento che essa «introduce limiti qualitativi e non
158CGUE, C-T 193/02, Xxxxxxx Xxxx c/o Commissione della Comunità europea, set. 26 gennaio 2005.
159 XXXXXXX X., op. cit., pp. 15-16.
quantitativi, di per sé capaci di tutelare meglio i calciatori e di moralizzare gli stessi agenti»160.
Ad incidere in maniera rilevante sull’attenzione rivolta dalle istituzioni europee al fenomeno sportivo fu l’introduzione, avvenuta nel 1998, del documento rubricato
«Evoluzione e prospettive dell’azione comunitaria nel settore dello sport», cui fece immediato seguito, nell’anno successivo, «Il modello europeo di sport».
Nell’ambito dei citati documenti, l’UE identificava e riconosceva le funzioni sociali dello sport, catalogandole in:
- funzione educativa: «l’attività sportiva è un ottimo strumento per equilibrare la formazione individuale e lo sviluppo umano a qualsiasi età»;
- funzione di sanità pubblica: «l’attività fisica rappresenta un’occasione di migliorare la salute dei cittadini e di lottare in modo efficace contro alcune malattie, quali affezioni cardiache e cancro, e può contribuire a preservare la salute e la qualità della vita fino ad età inoltrata»;
- funzione sociale: «lo sport è uno strumento appropriato per promuovere una società più solidale, per lottare contro l’intolleranza e il razzismo, la violenza, l’abuso di alcool o l’assunzione di stupefacenti; può, inoltre, contribuire all’integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro»;
- funzione culturale: «la pratica sportiva consente ai cittadini di radicarsi maggiormente nel rispettivo territorio, di conoscerlo più a fondo, di integrarvisi meglio anche a vantaggio della salvaguardia del territorio»;
- funzione ludica: «la pratica sportiva è una componente importante del tempo libero e dei divertimenti a livello sia individuale che collettivo. Assume una profonda importanza lo sviluppo del volontariato in quanto espressione di solidarietà sociale»161.
160Ibidem.
161 XXXXXXX X., op. cit., pp. 20-21.
Questa nuova visione europea dello sport trova conferma nella Dichiarazione di Helsinki del 10 dicembre 1999, ove, per la prima volta, viene sancita la connessione tra le politiche di intervento dell’Unione Europea e l’esigenza di salvaguardare la funzione sociale assolta dallo sport. Alla luce di questa maturata consapevolezza, le istituzioni europee chiedono agli Stati membri di tener ben presenti le funzioni dello sport riconosciute nel modello europeo nelle fasi di determinazione e gestione delle politiche comuni162.
Nell’ambito della Dichiarazione di Nizza del 2000, invece, il Consiglio europeo enuncia espressamente il valore dello sport nel mantenere in vita i legami di solidarietà sociale tra i vari Paesi, sottolineandone il rilievo anche quale fattore di coesione e integrazione, specie tra i giovanissimi. La “giuridicizzazione” del fenomeno sportivo operata dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE sanciva un’ulteriore svolta nel sistema, dal momento che dichiarava una maggior tutela dello sport anche con riferimento alla trasparenza con cui operano le Federazioni sportive nazionali.
Xxxxxx a soli pochi anni dopo la decisione n. 291/2003, con la quale l’anno solare 2004 venne proclamato «anno europeo dell’educazione attraverso lo sport», con cui le istituzioni europee risaltano «il binomio educazione-sport quali settori chiave per promuovere lo sviluppo armonioso della personalità dei giovani, per costruire modelli di aggregazione e identificazione, per fornire spunti emotivi ed affettivi uniti ai simboli di appartenenza»163.
Prende, così, avvio l’iter che ha condotto alla prima iniziativa europea di pieno riconoscimento del fenomeno sportivo, ossia la redazione del «Libro bianco sullo sport», nell’ambito del quale viene dato atto delle posizioni assunte dalle istituzioni comunitarie con riferimento ai tre principali aspetti del fenomeno sportivo europeo, che sono il ruolo sociale dello stesso, la governance e i risvolti economici della
162 Ibidem.
163 Ivi.
pratica atletica. Dunque, acclarato che, a norma dell’art. 165 TFUE, può oggi pacificamente concludersi in favore della sussistenza della competenza dell’UE in ambito sportivo, deve al contempo osservarsi come sia la medesima disposizione a prevedere delle limitazioni di tale funzione.
Invero, secondo quanto disposto dalla norma de qua, «1. L’Unione contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche. L’Unione contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed educativa.
2. L’azione dell’Unione è intesa: – a sviluppare la dimensione europea dell’istruzione, segnatamente con l’apprendimento e la diffusione delle lingue degli Stati membri; – a favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti, promuovendo tra l’altro il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio; – a promuovere la cooperazione tra gli istituti di insegnamento; – a sviluppare lo scambio di informazioni e di esperienze sui problemi comuni dei sistemi di istruzione degli Stati membri; – a favorire lo sviluppo degli scambi di giovani e di animatori di attività socioeducative e a incoraggiare la partecipazione dei giovani alla vita democratica dell’Europa; – a incoraggiare lo sviluppo dell’istruzione a distanza; – a sviluppare la dimensione europea dello sport, promuovendo l’equità e l’apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport e proteggendo l’integrità fisica e morale degli sportivi, in particolare dei più giovani tra di essi.
3. L’Unione e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di istruzione e di sport, in particolare con il Consiglio d’Europa.
4. Per contribuire alla realizzazione degli obiettivi previsti dal presente articolo: – il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando in conformità della procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, adottano azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, – il Consiglio, su proposta della Commissione, adotta raccomandazioni»164.
Altresì, il TFUE ha ampliato le competenze dell’Unione in materia di tutela della salute pubblico, ambito cui, come si è detto l’attività sportiva è strettamente collegata.
Si è, poi, osservato come l’organizzazione sistematica di cui, allo stato, il fenomeno sportivo gode in seno alla legislazione europea rende la stessa Unione Europea, intesa come organizzazione di singoli Stati nazionali, maggiormente autorevole e rappresentativa, specie nella determinazione delle misure di contrasto all’eventuale instaurazione di prassi devianti in ambito sportivo.
In tal modo, infatti, «essa può respingere con maggiore forza i ricatti diretti e indiretti, provenienti dalle istituzioni sportive internazionali, ai singoli Stati membri. In effetti, l’arma più insidiosa e tenuta proprio per questo sapientemente utilizzata dalle istituzioni sportive mondiali, contro gli Stati rei di non rispettare i propri diktat è spesso rappresentato dai ricatti estremi di ignorare lo Stato o escluderlo da talune competizioni nel caso lo stesso prenda decisioni sgradite o dia esecuzione a sentenze di giustizia amministrativa»165.
A chiusura dell’organizzazione che il fenomeno sportivo assume in ambito interno, vengono in rilievo le associazioni dilettantistiche, disciplinate dall’art. 90, commi 17- 18, l. n. 289/2002 (Legge finanziaria 2003).
Nello specifico, le associazioni sportive dilettantistiche (A.S.D.) sono delle persone giuridiche con finalità sportive senza scopo di lucro: tale struttura, oltre ad essere più
164 cfr. art. 165 TFUE, in xxx.xxxxxx.xx.
165 XXXXXXX X., op. cit., p. 31.
Invero, una ASD è solitamente affiliata ad una Federazione Sportiva Nazionale o a una Disciplina Sportiva Associata riconosciute dal CONI, ovvero a un Ente di promozione sportiva riconosciuto dal CONI.
A seguito all'entrata in vigore della l. n. 289/2002, la possibilità di usufruire del regime fiscale agevolato è stata estesa, altresì, alle società cooperative e alle società di capitali costituite per svolgere attività sportive dilettantistiche senza scopo di lucro (società sportive dilettantistiche / S.S.D.).
Tali formulazioni associative costituiscono, tuttora, il riferimento prevalente nel mondo sportivo dilettantistico166.
Nell’agosto del 1959, a seguito della riforma Zauli, nacque la Lega Nazionale Dilettanti, con i Comitati Regionali per organizzare l'attività sul territorio.
Antecedentemente a tale novella, vi erano unicamente i Direttori di Zona, che successivamente furono sostituiti dalle Leghe Regionali, poste alle dipendenze della Federazione.
In virtù della riforma, fu introdotto il sistema di elezione per le cariche previste dallo Statuto: il primo Presidente della Lega Dilettanti che fu eletto, era un personaggio di spicco nella vita della Federazione Italiana Giuoco Calcio, ossia Xxxxxxxx Xxxxxxx.
La Lega Nazionale Dilettanti (LND) è l’organo che dirige e organizza, attraverso la sua organizzazione interna (i comitati), i campionati e le coppe per le squadre maschili iscritte dal quarto fino all'ultimo livello del calcio italiano e i campionati femminili di Serie C, Eccellenza e Promozione e le manifestazioni del beach soccer e del Calcio a 5.
Durante gli anni Sessanta, la Lega Nazionale Dilettanti adempì con successo i compiti, che precedentemente erano della FIGC, come il coordinamento dei
166 DEL RE G., Associazioni Sportive Dilettantistiche e Società Sportive Dilettantistiche, in Diritto 24, Il Sole 24 ORE, 2014.
Campionati Regionali gestiti dai Comitati Regionali e l'impiantistica sportiva: nel giro di due anni l'attività agonistica tra i Dilettanti aumentò di oltre il 50%.
Inoltre, nel 1962 venne costituita la squadra nazionale dilettante e successivamente, fu pubblicato il primo numero della rivista ufficiale della L.N.D., «Calcio Dilettanti», a cui collaborò anche Xxxxxxx Xxxxx, il quale ebbe un’illustre carriera nel CONI.
La prima assemblea della L.N.D. si tenne nei primi mesi del 1965 e vi parteciparono oltre il 90% delle affiliate alla Lega (circa 2.000 unità).
Solo nel 1967, fu introdotto il Campionato di Promozione e si svolse la prima edizione della Coppa Italia Dilettanti.
La disciplina del calciatore dilettante è, da sempre, caratterizzata da un assoluto vuoto di tutela, atteso che non esista una disciplina giuridica compiuta né a livello sportivo né a livello nazionale, essendo regolati solo alcuni aspetti specifici167 (ad es. di diritto tributario).
Difatti, il monolitico assetto della normativa di settore e gli sporadici interventi giurisprudenziali creano dei margini di incertezza circa la corretta qualificazione giuridica del calciatore dilettante.
Peraltro, la l. n. 91/1981 (sul professionismo sportivo) si limita a definire la categoria dei calciatori professionisti, individuando nella continuità, nell’onerosità e nella qualificazione da parte della Federazione d’appartenenza, i caratteri tipici della prestazione dovuta; tuttavia, non vi è alcun accenno alla più ampia categoria dei calciatori dilettanti, che, pertanto, devono ritenersi esclusi dall’applicabilità della suddetta normativa.
Quid iuris dello stato giuridico di un calciatore non professionista, dunque?
Si definiscono calciatori non professionisti tutti coloro che svolgono attività sportiva per società associate alla Lega Nazionale Dilettanti, inclusi gli atleti che giocano calcio a cinque e/o svolgono attività ricreativa.
167 SFERRAZZA M., Rapporto di lavoro e tutela previdenziale del calciatore non professionista, 2006.
Per tale categoria di atleti, tutte le fonti normative, incluse le N.O.I.F. (Norme organizzative interne della F.I.G.C.), non prevedono una definizione chiara: l’art. 29, comma 2 N.O.I.F. dichiara solamente che «per tutti i calciatori “non professionisti” è esclusa ogni forma di lavoro, sia autonomo che subordinato».
È evidente che, rispetto a quanto previsto per i calciatori professionisti, i calciatori dilettanti non potranno stipulare alcun contratto individuale di lavoro con le società per le quali sono tesserati, né tantomeno potranno ricevere da queste ultime somme di denaro o altre erogazioni a titolo di retribuzione168.
In ordine a tale situazione normativa, sussiste una tesi in tema di subordinazione dei calciatori qualificati come dilettanti, che è stata più volte ribadita anche dalla giurisprudenza di merito.
Sul punto, in particolare, il Tribunale di Pescara169 afferma testualmente che il
«tenore volutamente universale scelto dal legislatore (in riferimento all’art. 43 D.lgs. 286/98) consente, poi, di ritenere che ogni attività di rilievo sociale costituisca oggetto di protezione, e non soltanto quella che rivesta un preminente significato economico-professionale. La distinzione (peraltro assai sfuggente nell’agonismo odierno) tra professionismo e dilettantismo nella prestazione sportiva si mostra priva di ogni rilievo, non comprendendosi per quale via potrebbe mai legittimarsi una discriminazione del dilettante».
Inoltre, in relazione alla questione del nomen iuris utilizzato dalle parti per la qualificazione del rapporto di lavoro sportivo, è intervenuta la Suprema Corte,170 la quale dichiara che «la qualificazione attribuita dalle parti al rapporto non ha valore determinante rispetto agli effettivi contenuti dello stesso, ben potendosi pervenire ad una diversa qualificazione, ove si dimostri che l’elemento della subordinazione si sia di fatto realizzato nello svolgimento del rapporto»; solo «nei casi in cui può essere ridotta, per il concreto atteggiarsi del rapporto, l’evidenza immediata della
168 Ibidem.
000 Xxx., Xxx. del 18 ottobre 2001, in Foro it., 2002, p. 897.
170 Cass., sent. n. 6114/1998, in Foro it.
subordinazione, è lecito far riferimento a criteri complementari e sussidiari (quali la collaborazione, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario predeterminato, il versamento, a cadenze fisse, di una retribuzione prestabilita, il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato all’impresa dal datore di lavoro) i quali – se individualmente considerati… privi di valore decisivo
– ben possono essere valutati globalmente come indizi probatori da parte del giudice di merito».
Atteso che la posizione giurisprudenziale è ben diversa da quella assunta a livello normativo, si condivide la definizione resa dal legislatore federale, il quale ha definito, in modo non equivoco e residuale, quella che è l’essenza dello status di calciatore non professionista171: ebbene, si riconduce la prestazione resa dal calciatore non professionista al solo rapporto associativo ed alla natura sportivo/dilettantistica, che lo caratterizza.
2.2. La legge delega n. 86/2019 e la riforma dello sport
La riorganizzazione dell’intero ordinamento sportivo, in tempi più recenti, è avvenuta ad opera della legge delega 8 agosto 2019, n. 86172, la quale, in sede di riordino e riforma della disciplina ha disposto la riorganizzazione dell’ordinamento sportivo e delle professioni sportive173. Essa prevede la «individuazione della figura del lavoratore sportivo, ivi compresa la figura del direttore di gara, senza alcuna distinzione di genere, indipendentemente dalla natura dilettantistica o professionistica dell'attività sportiva svolta, e definizione della relativa disciplina in materia assicurativa, previdenziale e fiscale e delle regole di gestione del relativo fondo di previdenza»174.
171 SFERRAZZA M., op. cit.
172 Per un primo commento al disegno di legge, che ad esito di dibattito e dello stralcio di alcune sue parti ha portato all’approvazione della legge n. 86/2019, Cfr. SANDULLI P., Note a prima lettura del disegno di legge n. 1603/2019 in tema di riordino dell'ordinamento sportivo, in Riv. Dir. Econ. Sport., 2019, pp. 47 ss.
173 RAPACIULLO S., La riforma italiana dello sport tra critiche, paventate illegittimità, paure e best practices, in Riv. Dir. Econ. Sport., 2019, pp. 9 ss.
174 Cfr., Art. 5, co. 1 lett. c) l. n. 86/2019.
Al fine di comprendere la natura di tale previsione, i cui effetti sono strettamente connessi al cambiamento politico (avvenuto a seguito della approvazione della legge delega), occorre muovere dalle prestazioni rese dagli associati all’AIA (Associazione Italiana Arbitri)175, ovvero dei direttori di gara, i quali assicurano il regolare svolgimento delle partite di calcio, in tutti i campionati della Federazione Italiana Giuoco Calcio, dagli esordienti provinciali alla Serie A176.
Tradizionalmente, le funzioni programmatiche svolte dall’AIA, per conseguire determinate finalità, sono le seguenti:
- il reclutamento, ossia una serie di azioni sul territorio, finalizzate ad avvicinare potenziali futuri arbitri all'Associazione, attraverso la propaganda;
- la crescita tecnica, la quale consiste nell’insegnamento della cultura arbitrale e nella formazione tecnica dei direttori di gara; prevede incontri obbligatori (Riunioni Tecniche Obbligatorie) che hanno la forma di lezioni frontali, visione di partite e relativo commento, allenamenti e altre diverse attività propedeutiche;
- la crescita associativa, che è finalizzata allo sviluppo di rapporti interpersonali tra associati, con l’obiettivo di arricchire l’esperienza nell’Associazione e di condividere le esperienze tecniche.
In relazione a ciò, si prendono in considerazione sia la cd. classe arbitrale che lo status quo della stessa Associazione. È, poi, opportuno sottolineare che l’AIA ha svolto una funzione rilevante poiché ha cercato di ricondurre, all’interno della legge delega, la figura del direttore di gara177 nella nozione (più ampia) di lavoratore sportivo.
175 L'Associazione Italiana Arbitri è costituita da istituzioni sportive no-profit, che gestiscono l'aspetto arbitrale del mondo calcistico, sviluppato dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio, a livello periferico.
176 XXXXXXX E., La prestazione arbitrale: inquadramento lavoristico e prospettive di riforma, 2019.
177 Ibidem; l’A. afferma che «nel ricondurre la figura del direttore di gara alla nozione di lavoratore sportivo, certo non si potrà pensare ad una equiparazione delle rispettive discipline, dal momento che, non soltanto la prestazione presenta delle caratteristiche diverse, ma anche il rapporto del lavoratore con il datore – si consideri
In particolare, la l. n. 86/2019 prevede che il Governo debba:
- riordinare e riformare le disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché del rapporto di lavoro sportivo;
- disciplinare puntualmente i rapporti di rappresentanza degli atleti e delle società sportivi, regolando l’accesso e l’esercizio della professione di agente sportivo;
- riorganizzare e rimodulare le norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi e della normativa in materia di ammodernamento o costruzione di impianti sportivi;
- semplificare gli adempimenti e gli oneri amministrativi, soprattutto di natura contabile, a carico delle federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate, degli enti di promozione sportiva, delle associazioni benemerite e delle loro affiliate riconosciuti dal CONI;
- regolare la sicurezza nelle discipline sportive invernali178.
Inoltre, per procedere all’organizzazione e allo sviluppo della pratica dell’attività sportiva nelle istituzioni scolastiche, la legge delega stabilisce che le scuole di ogni ordine e grado possano costituire un centro sportivo scolastico, secondo le modalità e nelle forme previste dal Codice del Terzo settore179.
Pertanto, solo a seguito dell’intervento del Presidente dell’AIA, il quale ha soprattutto focalizzato l’attenzione sulle condizioni in cui operano gli arbitri, si è richiesto al legislatore un intervento normativo per garantire maggiori tutele180.
tale direttamente l’AIA oppure la FIGC, cu la stessa Associazione afferisce – risponde a logiche completamente differenti».
178 Ibidem.
179 LAMBOGLIA A., Xxxxx delega Sport – il nuovo ruolo del CONI e le critiche del CIO, 2019.
180 Cfr., Audizione del Presidente dell’AIA Xxxxxxxx Xxxxxx, relativa al disegno di legge C. 1603-bis, tenutasi presso la Camera dei deputati il giorno 9 aprile 2019, i cui contenuti sono disponibili al seguente indirizzo xxx.xxxxxx.xx.
Sotto il profilo strettamente giuridico, la l. n. 86/2019 si presenta come un intervento di razionalizzazione dell’inquadramento dell’attività arbitrale181 e del rapporto associativo, ossia come un processo finalizzato a tutelare le diverse categorie di lavoratori sportivi.
Difatti, al fine di superare tutte le criticità legate alla definizione della categoria summenzionata, la legge delega n. 86/2019, nell’ambito di un progetto di ordinamento e semplificazione delle professioni sportive, ha avviato un processo di riordino, che implica la «sostanziale equiparazione delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, anche nell’ambito delle istituzioni scolastiche, nonché del rapporto di lavoro sportivo, al fine di garantire la parità di trattamento e di genere»182.
È evidente che la legge in commento si proponga di riorganizzare la disciplina di settore, nel rispetto di principi e criteri direttivi, ispirati alla organizzazione sistematica delle norme di settore, migliorando la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa, andando, inoltre, ad adeguare e semplificare il linguaggio normativo in materia di sport183.
Ebbene, lo scopo principale è di definire, altresì, gli ambiti dell’attività del CONI, delle federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate, degli enti di promozione sportiva, confermando, in coerenza con quanto disposto dalla Carta olimpica, la missione del CONI di incoraggiare e divulgare i principi e i valori dell’olimpismo, in armonia con l’ordinamento sportivo internazionale.
181 Cfr., Cass. lav. n. 10987/2009, conferma l’interpretazione della Corte territoriale riconducendo la prestazione resa dagli arbitri all’adempimento del vincolo associativo. Si afferma, infatti, «la inapplicabilità […] della normativa lavoristica in tema di rapporto di lavoro subordinato, stante l’esistenza di un rapporto associativo dell’arbitro di calcio, in quanto tesserato con la F.I.G.C e facente quindi parte dell’A.I.A., di talché le prestazioni svolte dallo stesso, a prescindere dalla gravosità degli impegni e dalla presenza di una remunerazione, integrano adempimento del patto associativo per l’esercizio in comune dell’attività sportiva». Da ciò deriverebbe come corollario, secondo la Corte, che la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato potrà essere accertata soltanto laddove «l’attività svolta esuli dal contenuto dell’oggetto sociale», circostanza che non ricorre nel caso delle attività dell’arbitro che costituirebbero adempimento del patto sociale, tra le quali rientrerebbe di certo l’attività di direzione di gara.
182 RAPACIULLO S., op. cit.
183 MASSARENTI C., Novità in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive e di semplificazione normativa, 2019.
Infine, si sostiene la piena autonomia gestionale, amministrativa e contabile delle federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate, degli enti di promozione sportiva e delle associazioni benemerite rispetto al CONI. In ogni caso, il Governo può esercitare un potere di controllo, in relazione alla gestione e all’utilizzazione dei contributi pubblici184.
In un contesto di criticità legate alla definizione di lavoratore sportivo, si comprendono le motivazioni che hanno spinto l’AIA a richiedere uno specifico riassetto della disciplina, realizzatosi proprio attraverso la l. n. 86/2019: difatti, tale legge, non potendo intervenire direttamente sul tema, ha definito i principi e i criteri direttivi.
Nell’impossibilità di preannunciare i possibili contorni di tale figura trasversale, quale il lavoratore sportivo185, vengono esaminati, de iure condito, i diritti e gli obblighi del calciatore professionista, in ordine alle diverse problematiche (ad es., concernenti il diritto di prendere parte agli allenamenti, in caso di controversie di natura contrattuale con la Società di appartenenza)186.
Per tal motivo, il testo della legge delega offre alcuni spunti di riflessione fondamentali: in particolare, l’art. 5, comma 1 specifica che, per procedere ad una corretta regolamentazione, è necessario ridefinire e riformulare il rapporto di lavoro sportivo, riconducendo i diversi attori (del settore calcistico) nella più ampia nozione di lavoratore sportivo187.
184 Ibidem.
185 XXXXX M., Xxxxx (dal) gioco: le ragioni di un approfondimento giuslavoristico sul mondo del calcio, 2019, in
xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, pp. 5 ss.
186 D’ASCOLA S., Diritti e obblighi del calciatore professionista tra legge e contratto, 2019, in
187 Cfr., art. 5 l. n. 86/2019; nello specifico, il comma 1 prevede che: «allo scopo di garantire l'osservanza dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione nel lavoro sportivo, sia nel settore dilettantistico sia nel settore professionistico, e di assicurare la stabilità e la sostenibilità del sistema dello sport, il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi di riordino e di riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici nonché' di disciplina del rapporto di lavoro sportivo, secondo i seguenti principi e criteri direttivi: a) riconoscimento del carattere sociale e preventivo-sanitario dell’attività sportiva, quale strumento di miglioramento della qualità della vita e della salute, nonché' quale mezzo di educazione e di sviluppo sociale;
b) riconoscimento del principio della specificità dello sport e del rapporto di lavoro sportivo come definito a livello nazionale e dell'Unione europea, nonché' del principio delle pari opportunità, anche per le persone con disabilità, nella pratica sportiva e nell'accesso al lavoro sportivo sia nel settore dilettantistico sia nel settore
Difatti, la delega governativa codifica anche, le prestazioni per le quali è possibile continuare ad erogare il rimborso sportivo in esenzione fiscale, ossia le prestazioni tipiche dello sport dilettantistico188.
Ebbene, l’art. 5 evidenzia una serie di principi cui il Governo deve attenersi, per realizzare tale intervento: si tratta di concetti già caratterizzanti le numerose valenze della pratica sportiva, abitualmente richiamati nella dottrina e talvolta, anche nella prassi e nella giurisprudenza in materia.
Il riconoscimento del principio della specificità dello sport189 e del rapporto di lavoro sportivo comporta la definizione delle cd. pari opportunità, sia in relazione alla
professionistico; c) individuazione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e fermo restando quanto previsto dal comma 4, nell'ambito della specificità di cui alla lettera b) del presente comma, della figura del lavoratore sportivo, ivi compresa la figura del direttore di gara, senza alcuna distinzione di genere, indipendentemente dalla natura dilettantistica o professionistica dell’attività sportiva svolta, e definizione della relativa disciplina in materia assicurativa, previdenziale e fiscale e delle regole di gestione del relativo fondo di previdenza; d) tutela della salute e della sicurezza dei minori che svolgono attività sportiva, con la previsione di specifici adempimenti e obblighi informativi da parte delle società e delle associazioni sportive con le quali i medesimi svolgono attività; e) valorizzazione della formazione dei lavoratori sportivi, in particolare dei giovani atleti, al fine di garantire loro una crescita non solo sportiva, ma anche culturale ed educativa nonché' una preparazione professionale che favorisca l'accesso all’attività lavorativa anche alla fine della carriera sportiva; f) disciplina dei rapporti di collaborazione di carattere amministrativo gestionale di natura non professionale per le prestazioni rese in favore delle società e associazioni sportive dilettantistiche, tenendo conto delle peculiarità di queste ultime e del loro fine non lucrativo; g) riordino e coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni di legge, compresa la legge 23 marzo 1981, n. 91, apportando le modifiche e le integrazioni necessarie per garantirne la coerenza giuridica, logica e sistematica, nel rispetto delle norme di diritto internazionale e della normativa dell'Unione europea, nonché' per adeguarle ai principi riconosciuti del diritto sportivo e ai consolidati orientamenti della giurisprudenza; h) riordino della disciplina della mutualità nello sport professionistico; i) riconoscimento giuridico della figura del laureato in scienze motorie e dei soggetti forniti di titoli equipollenti di cui al decreto legislativo 8 maggio 1998, n. 178; l) revisione e trasferimento delle funzioni di vigilanza esercitate dal Ministero della difesa su enti sportivi e federazioni sportive nazionali, in coerenza con la disciplina relativa agli altri enti sportivi e federazioni sportive, previa puntuale individuazione delle risorse umane, strumentali e finanziarie da trasferire; m) trasferimento delle funzioni connesse all’agibilità dei campi e degli impianti di tiro a segno esercitate dal Ministero della difesa all'Unione italiana tiro a segno, anche con la previsione di forme di collaborazione della stessa con il predetto Ministero, previa puntuale individuazione delle risorse umane, strumentali e finanziarie da trasferire; n) riordino della normativa applicabile alle discipline sportive che prevedono l'impiego di animali, avendo riguardo, in particolare, agli aspetti sanitari, al trasporto, alla tutela e al benessere degli animali impiegati in attività sportive».
188 BOSCHI S., Riordino dello sport o riordino del CONI? Commento alla Legge Delega 86/2019 sul riordino dell'Ordinamento Sportivo, 2019.
189 DE RITIS M. R., Diritto ed economia delle imprese sportive, 2019; l’A. dichiara che lo sport è «una definizione troppo ampia ai fini giuridici. La definizione di sport è, infatti, rilevante ai fini dell’applicazione di una serie di norme specifiche (ad esempio, per la disciplina del doping, che va distinto in farmacologico e tecnologico). Molte sono le associazioni, del resto, che richiedono un ampliamento della definizione di sport, così da farvi rientrare attività che non comportano propriamente un’abilità anche fisica (come avviene per giochi tradizionali, come la lippa, la morra e la rebatta, rientranti tra le attività indicate nel Registro del C.O.N.I.), ma solo mentale: è il caso degli scacchi, del gioco delle carte (in particolare il bridge) e dei videogiochi. Oggetto di discussione, più in generale, è l’inclusione, tra le attività tipicamente sportive, non solo dei giochi di abilità mentali (sport della
disabilità che alle palesi differenze fra lavoro sportivo dilettantistico e professionistico.
Appare evidente l’esigenza di chiedere al Legislatore di esprimersi su un ambito che interessa diverse tipologie di lavoratori sportivi, collocando tale riforma dello sport in un contesto non caratterizzato solo da campionati e classifiche, ma anche e soprattutto, dalla condivisione e dall’esperienza solidale.
Pertanto, la definizione precisa della figura del lavoratore sportivo (dilettante o professionista) e, conseguentemente, il suo inquadramento fiscale e previdenziale, è stata oggetto di definizione da parte dell’autorità competente.
Ben si comprende come, accanto ai contratti nazionali di lavoro per impianti e attività sportive, alcuni dei quali sono sottoscritti da rappresentanze del mondo sindacale e sportivo troppo esigue per poter costituire un'affidabile base di contrattazione collettiva, sia necessario procedere all’introduzione di un ben delineato perimetro normativo, entro cui tali contratti riducano la propria significatività rispetto agli elementi tipici della prestazione sportiva190.
In relazione alla distinzione tra calciatore professionista e dilettantista, il legislatore fissa i punti di una riforma del lavoro nello sport dilettantistico, provando a proporre scenari occupazionali ben diversi dal consueto incarico di prestazioni sportive: si procede ad una graduale riduzione del ricorso ad una forma contrattuale riduttiva (e lesiva) per l’ambito calcistico/dilettantistico.
Invero, attraverso degli strumenti agevolativi e delle prestazioni di assistenza, si coadiuvano i calciatori (professionisti e dilettanti) nella stipulazione e conclusione
mente), come gli scacchi e il bridge, e loro combinazioni parallelamente alle competizioni sportive multidisciplinari (pentamind e decamentathlon al pari del pentathlon e decathlon), ma anche di quelle relative ai videogiochi, dove il gesto fisico è minimo, non diversamente da quanto accade, ad esempio, nell’automobilismo, in cui, però, è elevato lo stress fisico che subisce il soggetto nel corso della manifestazione sportiva, a causa dello spostamento dell’autoveicolo lungo un percorso reale e non virtuale. Xxxxxx, lo sport è principalmente effetto dell’intelletto umano, in relazione all’impegno psicofisico, all’elaborazione delle regole e nel loro rispetto, al confronto con i risultati posti in essere da altri. In altri settori, invece, lo sport sembra avvicinarsi a forme artistiche: è il caso della danza sportiva. Preferibile è, dunque, affermare che si ha sport, con conseguente applicazione della relativa disciplina che si andrà a trattare, se vi è un impegno intellettuale (volitivo) e fisico (anche minimo), precise regole da rispettare e un confronto (non necessariamente risolto in competizione) e di conseguenza una forma anche minima di organizzazione per la gestione delle attività e dei risultati».
190 Ibidem.
del contratto di lavoro: gli atleti potranno negoziare la propria assunzione direttamente con la società, ricorrendo alla figura degli agenti che, avendo ricevuto l’incarico, assistono e favoriscono i rapporti fra un calciatore e una società.
Ciò implica la costituzione di rapporti di lavori più strutturati, che comportino un incremento dei costi del lavoro per le associazioni e le società di appartenenza. Inoltre, tale percorso di lavoro regolare consente di versare la contribuzione previdenziale e, quindi, di avere diritto ad un trattamento pensionistico a fine carriera, così come agli interventi assistenziali garantiti dallo Stato (malattia, infortunio, maternità, disoccupazione, ecc.)191.
La normazione interessa tutti i rapporti di collaborazione di carattere amministrativo/gestionale di natura non professionale, nell’ambito sportivo dilettantistico: anche tale aspetto denota l’evoluzione delle collaborazioni sportive. Si può, dunque, affermare che è un lavoratore sportivo «l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo al di fuori delle prestazioni amatoriali»192.
Da tale definizione, è pacifico ritenere che l’attività sportiva possa essere svolta sia in modalità di lavoro subordinato che autonomo.
Ebbene, in attuazione dell’art. 5 della legge delega, si introduce una revisione organica e della definizione del lavoratore sportivo in tutte le sue forme, che prevede, per la prima volta, tutele lavoristiche e previdenziali per i lavoratori sportivi sia nel settore dilettantistico, sia nel settore professionistico.
Concludendo, si prevede che i decreti attuativi della l. n. 86/2019 intervengano in materia di:
191 Ivi.
192 XXXXXXXX G., La rivoluzione del lavoratore sportivo: contratti e contributi per i dilettanti di A2 e B, compresi arbitri e direttori sportivi, 2020.
- riconoscimento all’attività di associazioni e società sportive dilettantistiche;
- pari opportunità per lo sport femminile, professionistico e dilettantistico;
- riconoscimento di pari diritti delle persone con disabilità;
- tutela dei minori e dei cittadini con disabilità nell’ambito della pratica sportiva;
- istituzione della figura professionale del chinesiologo di base, di quello sportivo e del manager dello sport.
Tali interventi sono volti a rafforzare il sostegno alla pratica sportiva di base, curata dall’associazionismo sportivo.
Cinque sono i decreti legislativi che daranno attuazione alla riforma dello sport, disposta dalla legge delega n. 86 del 2019. Si tratta di una serie di misure che, attraverso una ridefinizione del lavoratore sportivo, degli agenti, nonché dei diritti e delle responsabilità delle associazioni sportive, mirano a tutelare, sotto molteplici profili, questa categoria di lavoratori, con specifico riguardo alle donne e ai minori193. In particolare, i provvedimenti intervengono in materia di lavoro sportivo, di semplificazioni e di sicurezza, in materia di sport: si procede ad una revisione organica e alla definizione del lavoratore sportivo (in tutte le sue forme ed accezioni) attraverso l’introduzione di tutele lavoristiche e previdenziali, sia nel settore dilettantistico che nel settore professionistico.
Invero, le principali novità sono le seguenti:
- l’abolizione del vincolo sportivo, inteso come limitazione alla libertà contrattuale dell’atleta, anche nel settore dilettantistico, entro il mese di luglio 2022;
193 Riforma dello sport: approvati i decreti per la tutela di atleti e associazioni, in xxx.xxxxx.xx.
- il riconoscimento all’attività di associazioni e società sportive dilettantistiche che hanno formato l’atleta, alle quali è assicurato un premio di formazione;
- pari opportunità per lo sport femminile, professionistico e dilettantistico e pari diritti alle persone con disabilità, nell’accesso alla pratica sportiva di tutti i livelli;
- diversi livelli di tutele per i minori e i cittadini con disabilità, nell’ambito della pratica sportiva;
- la tutela e il sostegno del volontariato sportivo.
Con l’emanazione di tali decreti, le associazioni sportive e le società sportive dilettantistiche sono autorizzate a svolgere anche attività commerciali, solo se complementari all’attività sportiva e strumentali all’autofinanziamento; ulteriormente, esse possono distribuire una parte dei dividendi, con limiti stringenti a tutela della vocazione sportiva. In relazione alla figura degli agenti sportivi, uno dei suddetti decreti disciplinerà per la prima volta, in modo organico, i requisiti di accesso alla professione, compensi e incompatibilità, allo scopo di garantire imparzialità, indipendenza e trasparenza nell’attività, con riferimento soprattutto alla tutela dei diritti dei minori. Difatti, è stato istituito presso il CONI un registro nazionale specifico al quale dovranno essere iscritti tutti gli agenti194.
È stato, inoltre, attuato l’art. 7 l. n. 86/2019, che prevede l’aggiornamento delle norme tecniche e la semplificazione delle procedure amministrative, in relazione alla realizzazione e manutenzione degli impianti sportivi: attraverso tale obiettivo, si assicura un effettivo ammodernamento delle strutture, soprattutto in termini di accessibilità e un adeguato sistema energetico e di sicurezza, in linea con la normativa internazionale e gli standard comunitari.
194 Ibidem.
Altresì, è stato eseguito l’art. 8 della medesima legge delega, che interviene sia nell’ambito della semplificazione burocratica che in tema di lotta alla violenza di genere195.
In ordine alla semplificazione burocratica, è stato introdotto un registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, presso il Dipartimento per lo sport, gestito, con modalità telematiche, dalla società Sport e salute S.p.A.
In relazione al dibattuto tema della violenza di genere, verranno definite le modalità e tempi per la redazione di apposite linee guida, con validità quadriennale, per la predisposizione dei modelli organizzativi e di controllo dell’attività sportiva e dei codici di condotta a tutela dei minori e per la prevenzione delle molestie, della violenza di genere e di ogni altra condizione di discriminazione prevista per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale da parte di federazioni sportive discipline sportive associate, enti di promozione sportiva e associazioni benemerite196.
Infine, verrà attuato l’art. 9 della delega, il quale interverrà in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali: il provvedimento detta norme specifiche per gli sport invernali da discesa e da fondo, stabilendo i principi fondamentali per la gestione in sicurezza delle aree sciabili197.
2.3. Il Testo Unico sullo Sport: tra elementi innovativi e criticità
L’originaria bozza del Testo unico sullo sport è stata suddivisa in cinque decreti: il primo dei quali, oggetto di critiche da parte di molti componenti del mondo sportivo, introduce le misure in materia di ordinamento sportivo e, di conseguenza, disciplina i compiti e le funzioni del Coni, del Cip, della società Sport e salute spa e del
195 Riforma Dello Sport 2020, Quali Sono I Decreti Approvati E Che Cosa Prevedono, in xxx.xxxxxxx.xx.
196 Ibidem.
197 XXXXXXX X., Riforma dello Sport: le nuove tutele introdotte, 2020.
dipartimento sport presso la Presidenza del consiglio dei Ministri, delle Federazioni, delle discipline sportive associate, degli enti di promozione sportiva, dei gruppi sportivi militari e di Stato.
Il secondo decreto disciplina le associazioni e le società sportive dilettantistiche e professionistiche, i tesserati e i rapporti di lavoro nello sport; diversamente, il terzo provvedimento regola i rapporti di rappresentanza degli atleti e delle società sportive ed anche, le modalità di accesso ed esercizio della professione di agente sportivo.
Gli ultimi due provvedimenti introducono la normativa in materia di ammodernamento e/o costruzione di impianti sportivi e le misure in materia di sicurezza, nelle discipline sportive invernali.
Attualmente, è impossibile stabilire in modo certo, il momento in cui entreranno in vigore: si può solo affermare che i testi prevedono, per la parte concernente il lavoro sportivo, l’entrata in vigore a decorrere dal mese di settembre 2021198.
È necessario sottolineare che, dalla predisposizione della riforma, sono sorti molti dubbi soprattutto in relazione alla suddivisione dei compiti tra Coni, Società sport e salute S.p.A. e dipartimento della Presidenza del Consiglio del Ministri.
Difatti, con l’entrata in vigore di tale riforma, il registro Coni delle società e associazioni sportive dilettantistiche non sarà più tenuto dal Coni ma dal Dipartimento sport. Pertanto, manca un qualsivoglia collegamento tra l’attuale situazione e quella che si realizzerà con l’attuazione della riforma.
È opportuno evidenziare che la bozza della riforma non ha preso in considerazione il riconoscimento, ai fini sportivi, delle società cooperative.
Ci si pone un quesito in relazione alle sorti delle numerose cooperative sportive dilettantistiche presenti nel territorio nazionale.
In molti ipotizzano che le stesse dovranno mutare la propria configurazione originaria, dovendosi, di conseguenza, trasformare in soggetti di diritto diversi199.
198 XXXXXXXXXX X., È partita la riforma dello sport, 2020.
199 Ibidem.
In ordine a ciò, si auspica che venga confermata la possibilità, per le Asd (Associazione sportive dilettantistiche), di ottenere il riconoscimento della personalità giuridica con la mera iscrizione al registro delle associazioni, senza dover procedere alla dimostrazione di alcuna minima consistenza patrimoniale.
Diversamente, il decreto sui sodalizi sportivi e sul lavoro è l’unico provvedimento che contiene le maggiori novità a forte impatto, per il mondo dello sport: in particolare, per le Ssd (Società sportive dilettantistiche) viene introdotto un principio, assunto dalla nuova disciplina sull’impresa sociale (D.lgs. 112/2017), per il quale sarà possibile distribuire ai soci, con prestabiliti limiti, il 50% degli utili prodotti. Ciò potrebbe parzialmente aiutare a ricercare il capitale privato, al fine di procedere ad investimenti nell’ambito dello sport dilettantistico.
Un’ulteriore questione che presenta indubbi profili di criticità è quella relativa al lavoro sportivo dilettantistico: si ritiene200 che si sia passati da un regime in cui nessun calciatore dilettante era tutelato ad uno in cui tutti sono riconosciuti come lavoratori, comprendendo anche i direttori di gara. Invece di procedere attraverso una tipizzazione del lavoro sportivo dilettantistico, si è lasciato aperto il ventaglio di tutte le forme previste dalla vigente legislazione (subordinato, autonomo, occasionale, collaboratore coordinato e continuativo), con aliquote previdenziali differenziate: ciò ha prodotto molteplici ed indubbi contenziosi.
Ebbene, prescindendo dalle figure dei dirigenti o dei tecnici sportivi, saranno in pochi gli atleti dilettanti che raggiungeranno, con i contributi versati per detta attività, un minimo contributivo accettabile ai fini pensionistici201.
Per i motivi suindicati, il Testo unico di riforma del settore sportivo, ha spinto l’allora ministro responsabile, Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, ad ipotizzare una rimessione della delega allo Sport nelle mani dell’ex Presidente del Consiglio, Xxxxxxxx Xxxxx000.
200 XXXXXXXXXX X., op. cit.
201 Ibidem.
202 Il Testo unico sulla riforma dello Sport della discordia, 2020, in xxx.xxxxxx00xxx.xxx.
Ad innescare tale reazione del Ministro fu una lettera formale del direttivo Cinque Stelle, con cui viene richiesto un rinvio della riunione, avente ad oggetto proprio il dibattito relativo al decreto attuativo della legge 86/2019. Nonostante le diverse critiche e le molteplici problematiche, i lavori predisposti per il completamente e il conseguente compimento dei decreti attuativi sono ancora in corso.
Difatti, la prima novità che verrà introdotta dal nuovo Testo unico è proprio la definizione di sport, che viene qui descritto come «qualsiasi forma fisica fondata sul rispetto di regole codificate che, attraverso una partecipazione organizzata o non, ha per obiettivo l’espressione o il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in competizioni di tutti i livelli»203.
Inoltre, un aspetto importante, che verrà disciplinato dalla riforma, è la governance del fenomeno, la quale sarà assegnata sia al Governo che al CONI, alle Federazioni ed alla Società sport e Salute S.p.A. Verrà inserito un limite di tre mandati per le cariche dirigenziali di FSN, DSA, EPS, comportando un rinnovo della classe dirigente.
Lo Stato, pertanto, dovrà esercitare il proprio indirizzo, amministrare e destinare i fondi alle realtà sportive, circa 410 milioni di euro, rafforzando di conseguenza il ruolo del Ministero dello Sport.
Attraverso uno snellimento amministrativo e burocratico di tutti gli adempimenti degli Enti sportivi, le ulteriori novità della riforma dello sport204 riguarderanno:
- l’eliminazione del Modello EAS205, ossia il provvedimento che, oltre ad interessare esclusivamente gli enti non commerciali aventi natura
203 VIANI P., TURRI M., Nuovo testo unico di riforma dello sport: cosa cambia per le Società Sportive Dilettantistiche, 2020.
204 Ibidem.
205 Il Modello EAS è diventato obbligatorio con l’art.30 d.l. 185/2008, e precisazioni importanti sono state poi fornite dalle Circolari dell’Agenzia delle Entrate, 12/E del 9 aprile 2009, 45/E del 29 ottobre 2009 e 51/E del 1° dicembre 2009. Il modello EAS è una dichiarazione di estrema importanza poiché il mancato invio comporta la perdita dei benefici fiscali degli enti associativi, ed in particolare la tassazione delle quote e dei contributi associativi, oltre che dei corrispettivi versati dagli associati per partecipare alle attività istituzionali dell’ente (art.148, commi 1 e 3 Dpr 917 del 1986 e dall’art. 4 Dpr 633 del 1972).
associativa, si compone di 38 domande, grazie alle quali l’Agenzia delle Entrate è in grado di conoscere i principali dati delle associazioni, rilevanti soprattutto dal punto di vista fiscale;
- la possibilità per le ASD, costituite con atto notarile, di acquisire personalità giuridica attraverso l’iscrizione al Registro delle attività sportive dilettantistiche;
- l’esenzione dall’obbligo di fattura elettronica per ASD/SSD iscritte al Registro CONI, che abbiano optato per l’adesione al regime 398/91 e che registrino incassi commerciali di un ammontare non superiore a 65.000,00 euro;
- l’esenzione dell’obbligo di trasmissione telematica dei corrispettivi per le ASD/SSD iscritte al Registro CONI, i cui corrispettivi non superino i 30.000,00 euro, in aggiunta alla necessità che la quota di proventi di carattere commerciale si mantenga al di sotto dei 65.000,00 euro.
Non può non farsi cenno, alla luce dell’emergenza epidemiologica che da un anno e mezzo stiamo vivendo, alla situazione che lo sport nazionale ha vissuto fino a pochi mesi fa, che non trova antecedenti nella storia della Repubblica.
Difatti, lo svolgimento dell’attività sportiva, eccetto quella di natura agonistica, non è stato a lungo permesso a causa dell’emergenza epidemiologica causata dalla diffusione del virus Covid-19.
A tale situazione, indubbiamente complessa, si è associato, con un potenziale effetto detonante, un quadro normativo che non consentiva di avere alcuna certezza sulla regolamentazione pro futuro del fenomeno sportivo.
Sul piano sovranazionale, nel giugno 2020 è intervenuto il Consiglio europeo, che ha affrontato l’impatto del Covid-19 nel mondo dello sport.
Difatti, il settore sportivo ha contribuito alla prevenzione e, per quanto possibile, ha limitato la diffusione del virus nella fase iniziale dell’epidemia, attraverso la concreta
chiusura di palestre, organizzazioni sportive, club ed ogni altro luogo di assembramento per ragioni connesse all’esercizio della pratica sportiva.
Ne sono derivate gravi conseguenze anche in termini economici.
In particolare, le organizzazioni e club sportivi, le leghe, i centri fitness, gli atleti, il personale sportivo, i volontari sportivi e le attività legate allo sport, compresi gli organizzatori di eventi sportivi e i media, hanno, a lungo, vissuto un periodo di crisi come mai prima d’ora, trovandosi a fronteggiare, a fronte delle misure restrittive adottate per contenere la diffusione dei contagi, una situazione economica drammatica.
Per tale ragione, i vari DPCM emanati nel corso delle varie fasi dell’emergenza epidemiologica dal Governo hanno previsto forme di supporto allo sport, finalizzate ad evitare la cessazione dell’attività, soprattutto per quelle società che operano a livello dilettantistico e locale.
In forza di ciò, sono stati illustrati i punti principali della bozza del Testo unico dello sport, elaborata dalla sua amministrazione e attualmente, sottoposta ad esame delle forze politiche e di Governo; tuttavia, non appare ancora chiaro quale sarà l’orientamento del Governo in merito all’iter necessario, affinché tutte le forze politiche possano avere il modo di esprimersi all’interno di un confronto serio e puntuale sulla riforma.
Invero, la reazione degli ordinamenti statali dinanzi all’emergenza sanitaria, derivata dalla diffusione del Covid-19, ha portato alla compressione e alla limitazione di molti diritti individuali e collettivi206 e, inoltre, ha rallentato la trattazione di questioni ancora aperte. Il tentativo di arginare la pandemia ha visto, da un lato, una forte riaffermazione delle prerogative degli Stati nazionali e, dall’altra, ha limitato l’adozione dei suddetti provvedimenti di riordino del settore sportivo.
206 CUOCOLO L., I diritti costituzionali di fronte all’emergenza Covid-19. Una prospettiva comparata, 2020, p. 1.
Per tal motivo, è evidente che l’adozione, o per meglio dire, il perfezionamento dei decreti attuativi, richiederà tempistiche più lunghe rispetto a quelle tradizionali. Ciononostante, è doveroso affermare che tale emergenza epidemiologica è senza precedenti nella storia. Difatti, le istituzioni italiane, come anche le istituzioni degli altri Paesi del mondo, hanno reagito utilizzando in rapida successione, e con un crescendo di intensità collegato all’aggravarsi del contagio, una pluralità di strumenti di normazione di natura emergenziale (ordinanze di ambito nazionale, regionale e locale; decreti legge, DPCM)207.
Le misure adottate, oltre a generare degli interrogativi in ordine all’organizzazione dei poteri statali, richiedono un necessario e faticoso bilanciamento tra il perseguimento dell’interesse collettivo e la tutela dei diritti costituzionali dei cittadini, quale, in primis, il diritto alla salute.
Per arginare le conseguenze economiche della pandemia da Covid-19, il Governo italiano ha introdotto misure straordinarie a sostegno dell’occupazione: di fatto, ha esteso la Cassa integrazione a tutte le imprese senza costi per le stesse ed ha introdotto il divieto di licenziamento per i lavoratori a tempo indeterminato (per giustificato motivo oggettivo). Attraverso tali interventi, ha potenziato i sussidi di disoccupazione, anche mediante i bonus straordinari per le tipologie non completamente coperte dagli ammortizzatori (lavoratori autonomi, lavoratori stagionali, etc.).
È stato disposto anche un sistema di ammortizzatori sociali speciali per tutelare il reddito dei lavoratori, soprattutto, di coloro i quali sono coinvolti dai provvedimenti di sospensione dell’attività economica, come i poli sportivi208.
207 Ibidem.
208 XXXXXXX M., Emergenza Covid-19 e tutela dell’occupazione non standard, 2020; l’A. afferma che, in relazione ai «dati dell’archivio delle Comunicazioni obbligatorie, è possibile sviluppare una prima analisi dell’efficacia di questa azione di policy, sulla base dell’ipotesi che le condizioni del mercato del lavoro in Italia tra marzo e maggio 2019 fossero analoghe a quelle che si sarebbero verificate per lo stesso periodo nell’anno corrente, in assenza della crisi sanitaria e del conseguente lockdown delle attività produttive. In questo contesto si dimostra che l’estensione degli ammortizzatori sociali contenuti nel decreto Cura Italia ha raggiunto effettivamente – almeno nel breve periodo – l’obiettivo di tutelare una vasta platea di lavoratori a termine contro i rischi di disoccupazione e perdita di reddito. Al tempo stesso, la quota di lavoratori tuttora privi di qualsiasi forma di protezione sociale