Tuttoscuola
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02 11 2020
SOMMARIO
Settimana dal 02.11.2020
1. Chiudere temporaneamente le scuole nelle zone rosse, rafforzare le ‘tre T’ e poi riaprire
2. DAD dalla terza media in su/1: tutti a casa con timori di dispersione
3. DAD dalla terza media in su/2: 5 milioni di ore settimanali non in presenza
4. Organizzazioni sindacali "spaccate" sulla regolamentazione della didattica a distanza
5. Il contratto di disciplina della DDI: un bivio storico per le organizzazioni sindacali?
6. Il Contratto integrativo nazionale sulla DDI è valido comunque
7. I tre volti dell’Educazione civica
8. Educazione Digitale: le risorse gratuite per l’Educazione Civica
9. Esami Trinity di lingua inglese in Video Conferenza (VC)
Settimana dal 09.11.2020
1. USA, Xxxxx xxxxx le elezioni. Che cosa cambia per la scuola
2. Quattro alunni con disabilità su dieci coinvolti nella didattica a distanza
3. 68mila docenti di sostegno in DAD
4. Il sostegno mancato/1. Così si torna alle scuole speciali?
5. Il sostegno mancato/2. La soluzione è la personalizzazione
6. Alla scoperta del paradigma dell’educativo digitale: webinar gratuito lunedì 9 novembre
7. DDI o DAD, tra didattica e burocrazia
8. L’insegnamento a distanza: "toppa" all’insufficienza del trasporto pubblico?
Settimana dal 16.11.2020
1. Il preoccupante bollettino Covid della didattica a distanza
2. Monitoraggio europeo/1. Quell’Italia immobile…
3. Monitoraggio europeo/2. Scuola italiana sotto la media UE, con spesa ancora in calo
4. Monitoraggio europeo/3. Si investe poco in istruzione. Ma è solo una questione di soldi?
5. Eduscopio 2020 (che la Cgil vorrebbe bloccare): a Milano affermazione delle scuole paritarie
6. Contratto DDI/1: lo schieramento sindacale scricchiola
7. Contratto DDI/2. C’era una volta la Trimurti
8. Contratto DDI/3. Un nuovo inizio, per un nuovo sindacato?
9. Contratto DDI/3. Un nuovo inizio, per un nuovo sindacato?
Settimana dal 02.11.2020
1. Chiudere temporaneamente le scuole nelle zone rosse, rafforzare le ‘tre T’ e poi riaprire
Non siamo epidemiologi. Non disponiamo dei dati analitici esaminati dagli esperti del Cts e dal Ministero dell’istruzione. Però dopo un mese e mezzo dall’inizio delle lezioni una cosa sembra chiara, ed è confermata da tante testimonianze dirette dalle scuole: se è verosimile che il virus non si diffonde particolarmente all’interno delle aule scolastiche (anche se non si può escludere, come dimostrano recenti studi sulla propagazione tramite aerosol negli ambienti chiusi), le scuole sono comunque pesantemente toccate dalla circolazione del virus. Direttamente o indirettamente. Docenti, personale ATA, studenti, genitori. L’ambito scolastico rappresentava al 30 ottobre il 3,8% di tutti i contagi, secondo il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Xxxxxx Xxxxxxxxxx. Dati in rapida crescita, purtroppo, e dati medi nazionali: ci sono zone dove la percentuale è molto più alta. Un articolo del xxxxxxxx.xx approfondisce il tema citando diversi studi e fonti.
In ogni scuola quotidianamente c’è un contagiato o, molto più spesso, chi è entrato in contatto con persone contagiate. Avviene sui mezzi di trasporto, a casa o altrove, dove non sono state prese tante precauzioni come a scuola. Ma la scuola ne paga le conseguenze. La prima è che sempre più frequentemente deve scattare il meccanismo di coinvolgimento dell’ATS (Agenzia per la Tutela della Salute, ex ASL), da cui le scuole dipendono completamente riguardo alle misure sanitarie da intraprendere. Solo che la reattività delle ATS è mediamente inadeguata, in alcune zone ad alto tasso di contagi è ormai gravemente deficitaria, ed è saltato ogni tracciamento. La tenuta del sistema di prevenzione e gestione delle emergenze è a rischio. E poi le assenze forzate del personale, che si vanno ad aggiungere ai vuoti di organico che ancora sussistono in molte scuole, le assenze degli studenti in quarantena o in isolamento fiduciario. Ogni giorno insomma è un bollettino di guerra al quale dover fare fronte e che sta mettendo a dura prova la resistenza dell’organizzazione scolastica, in particolare dove ci sono i picchi di contagi.
Secondo una ricerca condotta dal matematico Xxxxxxx Xxxxxxxx, della New York University di Abu Dhabi, e pubblicata sulla rivista Physica D: Nonlinear Phenomena, “non vi sono al momento le condizioni di sicurezza sufficienti per mantenere le scuole aperte in tutto il Paese, nemmeno in modalità mista”. In base al modello matematico messo a punto dallo studioso “purtroppo la situazione al 20 ottobre 2020 è completamente compromessa. La prevalenza dei casi attivi di circa 2.5 per mille abitanti indica che l’insegnamento in presenza non è sostenibile, ma non lo è neppure una soluzione mista” osserva Xxxxxxxx sul sito della rivista Madd Maths! diretta dal matematico Xxxxxxx Xxxxxxxx, del Cnr. Intanto si stima che tra 20 giorni si raggiungerà il 40% di occupazione dei posti letto negli ospedali da parte di malati Covid.
Le scuole hanno fatto di tutto per garantire un servizio sicuro, e ne va dato loro merito, ma sono i sistemi contigui (dai trasporti alle ATS) a non reggere l’urto di milioni di persone che ogni giorno vanno a scuola, per studiare, per lavorare, per accompagnare e riprendere i figli. E’ proprio quella “cintura di sanità” richiamata mesi fa da Xxxxxxxxxxx che doveva proteggere la scuola, che non sta funzionando. Che fare?
Prima di tutto bisogna distinguere gli interventi tra aree ad alto e basso contagio: le soluzioni non possono essere indifferenziate. Per le “zone rosse”, c’è bisogno di un “reset” per tentare una frenata alla corsa del virus e per consentire di riprendere in mano il tracciamento dei contagi. Insomma la scuola in quelle aree potrebbe fare l’ennesimo sacrificio, quello di una chiusura forzata per un breve periodo, incluse scuole dell’infanzia e primo ciclo: ma ciò ha senso solo se questo periodo venga utilizzato per recuperare il filo delle tre “T”: trasporti, tamponi e tracciamento. Un intervento concertato per fare quello che non si è fatto nei mesi estivi, mentre le scuole tra mille difficoltà si organizzavano per il distanziamento: rafforzare il sistema dei trasporti con soluzioni radicali, come l’utilizzo di pullman privati, car sharing, mezzi NCC, taxi (tutti operatori privati che per inciso sono sono in piena crisi: hanno necessità di
essere ristorati, ma piuttosto che con contributi a fondo perduto potrebbero essere ingaggiati per rafforzare il sistema di trasporto legato alla mobilità per le scuole), etc; e poi ricorso a tamponi rapidi a tappeto; far funzionare gli ATS, incrementandone il personale o adeguandone l’operatività. Sta avvenendo questo in Campania e in Puglia, dove la chiusura delle scuole è già stata disposta? Se non lo si sta facendo, sarebbe come tamponare un’emorragia senza somministrare coagulanti. Come intervenire su un’emergenza senza una valutazione sistemica. Che si arrivi dunque pure alla dolorosa, temporanea chiusura delle scuole nelle aree più critiche per dare tempo agli altri ecosistemi che interagiscono con esse – in buona parte indirizzati dalle Regioni – di recuperare il tempo perduto. Se, e solo se, si sistemassero queste falle che stanno mettendo a rischio il sistema di protezione organizzato dal sistema scolastico, potrebbe avere senso e prospettiva un breve stop delle lezioni a scuola, per il tempo minore possibile a sistemare le tre “T” (due settimane?). Per scongiurare una altrimenti inevitabile chiusura più lunga e drammatica.
2. DAD dalla terza media in su/1: tutti a casa con timori di dispersione
In giornata, dunque, dopo il dibattito in Parlamento, il Governo presenterà un nuovo DPCM nel quale, quasi certamente, verrà disposta la sospensione completa delle attività didattiche in presenza per tutte le classi della secondaria di II grado e delle terze della secondaria di I grado.
Non si tratterebbe di DAD o DDI per il 75% delle ore di lezione, come disposto nel precedente DPCM del 24 ottobre, bensì, a quanto sembra, del 100%, cioè dell’intera attività didattica in remoto.
Una decisione sofferta che potrebbe essere propedeutica – è questo il timore di tanti – alla chiusura di tutte le scuole.
La limitazione della chiusura alle classi degli alunni più grandi potrebbe dipendere da almeno due ragioni: la loro autonomia rispetto alla necessità di assistenza da parte dei genitori e la loro capacità complessiva di gestire la strumentazione tecnologica nei collegamenti della DAD.
A proposito della strumentazione tecnologica, sono in arrivo 85 milioni di euro per la didattica digitale integrata previsti dal Decreto Ristori per finanziare l’acquisto di 200mila nuovi dispositivi per gli studenti meno abbienti e per l’installazione di oltre 100mila connessioni.
Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. A suo tempo, sarebbe stato più opportuno dare la precedenza alla banda larga anziché ai banchi con le ruote, in parte non ancora arrivati. Una delle conseguenze del mancato coordinamento tra i diversi livelli decisionali.
Come nella primavera scorsa, una consistente quota di alunni potrebbe avere difficoltà di partecipare alla DDI o addirittura esserne escluso con potenziale accentuazione della dispersione scolastica, soprattutto nel secondo ciclo.
Mentre nel secondo ciclo la completa chiusura delle classi comporta il coinvolgimento di tutti i professori nella DAD (soltanto da scuola?), per le terze classi della secondaria di I grado molti professori impegnati anche nelle classi intermedie dovranno destreggiarsi tra didattica in presenza e didattica a distanza, a scuola: una complicazione organizzativa.
3. DAD dalla terza media in su/2: 5 milioni di ore settimanali non in presenza
Quanti alunni nei prossimi giorni saranno costretti a casa se, come sembra ormai certo, il nuovo DPCM estenderà la DDI a tutti gli studenti delle superiori e agli alunni di terza media?
Quante ore di didattica non verranno più svolte settimanalmente in presenza (con il fondato rischio che una buona parte non venga svolta in modo corrispondente a distanza)?
L’anno scorso gli studenti delle superiori nelle scuole statali sono stati oltre 2,6 milioni (2.623.298) distribuiti in 121.541 classi, presumibilmente confermati anche quest’anno.
Gli alunni delle seconde classi di scuola media statale l’anno scorso sono stati circa 544mila inseriti in 26 mila classi. Saranno circa altrettanti in terza quest’anno.
Complessivamente quest’anno gli alunni di scuole statali coinvolti nella nuova DAD sono, pertanto, 3 milioni e 144mila circa, inseriti in 147,5 mila classi.
I 130 mila alunni di scuole paritarie interessati a questa nuova DAD sono distribuiti in circa 2800 classi.
Le ore settimanali che gli alunni di terza media dovranno trascorrere non in presenza saranno rispettivamente 803.400 nelle scuole statali e 85.800 nelle paritarie per un totale di 889.200, tenendo conto delle non numerose classi organizzate a tempo prolungato.
Per le oltre 129 mila classi delle scuole statali e paritarie del secondo ciclo le ore settimanali che non si svolgeranno in presenza saranno rispettivamente 3.767.771 nelle scuole statali e 239.723 nelle paritarie per un totale superiore ai 4 milioni.
Complessivamente ogni settimana e per tutto il periodo contumaciale non verranno prestate in presenza quasi 5 milioni di ore (4.896.694).
4. Organizzazioni sindacali ‘spaccate’ sulla regolamentazione della didattica a distanza
Alla fine, i sindacati si sono divisi sulla firma del contratto che regola la didattica a distanza (o didattica digitale integrata, DDI). Mentre CISL Scuola e ANIEF hanno sottoscritto il contratto che regola questa modalità di prestazione della funzione docente, introdotta a causa della pandemia, dall’altra parte, il resto dello schieramento sindacale non ha aderito: qualcuno (FLC CGIL) rifugiandosi nel “benaltrismo” (occorre prevedere nuove risorse per garantire a tutti gli studenti l’effettiva connessione, si legge in comunicato congiunto tra la categoria e la confederazione CGIL, e per questo il confronto deve essere spostato in sede politica), qualcun altro (UIL SCUOLA) buttandola in politica (Governo al capolinea, ha tuonato Xxxx Xxxx, in una dichiarazione a una testata online, che di fatto colloca il suo sindacato nello schieramento degli oppositori all’ equilibrio politico attualmente vigente nel Paese, non essendosi limitato a una critica al solo ministro dell’istruzione), altri ancora (XXXXX e SNALS) appellandosi ai tempi ristretti e all’impossibilità di una discussione più approfondita.
I due sindacati firmatari, dal canto loro, lo fanno ricordando che quello di regolare la didattica a distanza (o didattica digitale integrata) era un obiettivo che tutte le organizzazioni sindacali si erano poste sin dal suo primo manifestarsi, al fine di ricondurre la materia entro i confini dello spazio contrattuale e di evitare qualche eccesso e qualche sconfinamento che era stato denunciato lo scorso anno, in occasione della fase “pionieristica” instauratasi a causa del lockdown.
Ma il punto vero è la spaccatura del fronte sindacale, che, sia pure con qualche mal di pancia e qualche contorsione, aveva sostanzialmente sin qui retto, mantenendo un’unità di fatto fino dai tempi dell’opposizione alla Buona Scuola di renziana memoria. Unità che, dal punto di vista sindacale, aveva certo dato i suoi frutti. A essa si deve il sostanziale svuotamento di contenuti della legge 107 del 2015 (la da loro considerata “famigerata” Buona Scuola, appunto), nonché il rilevante contributo del mondo della scuola all’indebolimento del governo che aveva tanto fortemente voluto quella legge, ottenendo così la riaffermazione del ruolo sociale dei cosiddetti “corpi intermedi”, da Xxxxx ostentatamente ignorati e snobbati in più di qualche occasione.
Da allora, i sindacati scuola si erano presentati in modo unitario a tutti i più importanti appuntamenti politici riguardanti la loro sfera di competenza, anche nei confronti dell’attuale titolare del dicastero di viale Trastevere. Diverse le conferenze stampa online che le cinque sigle rappresentative del comparto Scuola avevano unitariamente tenuto negli ultimi mesi, segnando il proprio dissenso rispetto alle scelte del ministero, in particolare sulla questione del precariato e delle modalità di reclutamento del personale scolastico. Questa compattezza è ora indiscutibilmente incrinata, e, con una certa abilità di manovra, nel solco che si è aperto tra i sindacati si insinua la burocrazia ministeriale, come si può verificare leggendo la nota n. 1934, del 26 ottobre scorso, il cui firmatario, il Capo Dipartimento Xxxxx Xxxxxxx, nel dare istruzioni circa l’applicazione dell’ipotesi di contratto sottoscritta da CISL SCUOLA e ANIEF, non tralascia di ringraziare le due sigle sindacali per “l’altissima comprensione del momento dimostrata”. Com’è del tutto evidente, il non detto è più eloquente di quanto è detto.
Nonostante le precipitose affermazioni in senso contrario di qualche sito del settore scolastico (e persino di qualche autorevole esponente politico), non sembrano sussistere elementi di dubbio circa la validità del contratto, anche se sottoscritto da due sole organizzazioni sindacali. Secondo l’art. 43, comma 3, del decreto legislativo 165/2001 (il Testo Unico del Pubblico Impiego) occorre che le ipotesi di contratto vengano sottoscritte da tante sigle che rappresentino almeno il 51% del comparto o dell’area contrattuale, come media tra il dato associativo e il risultato ottenuto alle elezioni delle RSU, ma il riferimento è alla contrattazione collettiva nazionale (i CCNL), ossia i contratti sottoscritti dall’ARAN, non alla contrattazione integrativa, come nel caso di specie. Quindi, il contratto sulla didattica a distanza dovrebbe essere considerato vigente e applicabile, anche se il dato politico, al di là delle considerazioni giuridiche, è certamente quello al momento prevalente.
5. Il contratto di disciplina della DDI: un bivio storico per le organizzazioni sindacali?
Nel merito, il contratto sulla didattica a distanza è evidentemente mirato a dare qualche risposta di ordine pratico ai tanti quesiti che derivano dall’uso delle tecnologie telematiche in relazione agli obblighi di lavoro dei docenti. Non può sfuggire a nessuno che, nelle condizioni attuali, la didattica a distanza si configura più come un “provvedimento di guerra” che come una scelta meditata e consapevole, dietro la quale sia rintracciabile uno “statuto epistemologico”, come si usa dire. Conseguentemente, il contratto di cui si discute riafferma alcuni principi cardine sia dell’organizzazione scolastica (la necessità di rispettare le competenze degli organi collegiali, il rispetto della libertà di insegnamento, l’esplicitazione e approvazione di un piano), sia di quella del lavoro (rispetto dei carichi di lavoro contrattuali), ma soprattutto contribuisce a risolvere il problema dei docenti posti in isolamento fiduciario o quarantena precauzionale, cioè di fatto asintomatici e non malati, ma venuti a contatto con il virus, quindi potenzialmente in grado di trasmetterlo.
Posto che non sussiste ormai più alcun dubbio circa il fatto che la didattica a distanza rientri sia tra le competenze proprie della professionalità docente, sia nel contenuto della prestazione lavorativa (il decreto legge 22/2020, art. 2, comma 3, stabilisce che in corrispondenza della sospensione delle attività didattiche in presenza a seguito dell’emergenza epidemiologica, il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza), rimane il fatto che, secondo il decreto legge 18/2020, il periodo trascorso dai dipendenti pubblici in malattia o in quarantena con sorveglianza attiva, o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva, è equiparato al periodo di ricovero ospedaliero. Di qui la domanda se il docente in tale condizione sia o meno tenuto all’effettuazione della propria prestazione lavorativa. Tenuto conto del fatto che il diffondersi della malattia può determinare la ripetuta necessità di isolamento dei docenti, oltre che delle loro classi, si comprende bene l’importanza della questione.
A questo risponde il contratto di cui si parla, art. 1, comma 3, laddove si concorda che il docente in isolamento o quarantena fiduciaria, ma non in malattia certificata, svolge la prestazione professionale in DDI (didattica digitale integrata) a favore delle proprie classi, anch’esse in quarantena, o delle classi che si trovino a scuola, mentre l’insegnante si trova a casa per motivi di profilassi, sempre che sia possibile assicurare la presenza di un altro docente per assicurare la sorveglianza. In sostanza, quindi, il contratto fa uscire le misure di prevenzione dal contesto della malattia e ricolloca la condizione del lavoratore nel quadro della sua prestazione professionale.
Resta ora da capire se la situazione avrà ulteriori risvolti. La FLC CGIL non ha completamente chiuso la porta all’ipotesi di una successiva adesione al contratto sulla DDI. Il sindacato aspetta, a tal proposito, l’incontro con la ministra Azzolina previsto per la prossima settimana. Xxx non firmatari grava comunque più di un dilemma: la mancata firma dipende dal fatto che essi ritengono che il lavoratore sostanzialmente sano, costretto a stare a casa per mera precauzione, in realtà dovrebbe sottrarsi alla prestazione lavorativa? In caso di risposta affermativa, come spiegarlo ai rappresentanti di quei settori lavorativi per i quali pandemia è sinonimo di cassa integrazione, licenziamenti e chiusure di aziende? Oppure, se ritengono che,
al contrario, quel lavoratore debba prestare la propria opera, come spiegare allo stesso il rifiuto di dare a tale prestazione una disciplina giuridica, anche al fine di tutelarlo? E se il principio è accettato e il problema fosse, invece, sui contenuti, quali sono le controproposte?
6. Il Contratto integrativo nazionale sulla DDI è valido comunque
Il mondo sindacale si è spaccato sull’ipotesi di contrattazione integrativa per la definizione della didattica a distanza integrata, sottoscritta al momento soltanto da due sindacati (Cisl-scuola e Xxxxx) che, comunque, non raggiungono percentualmente la maggioranza dei sei sindacati rappresentativi.
Contrariamente a quanto hanno pensato molti, per la CCNI non è richiesta la maggioranza come è invece previsto per i CCNL.
Può sembrare strano, ma è così, come ha precisato l’ARAN.
Nel sito dell’ARAN, a proposito della procedura da seguire nella contrattazione integrativa, si afferma infatti che “Ai fini della contrattazione decentrata integrativa non esistono regole, legali o contrattuali, che impongano un numero minime di firme o di percentuali predefinite di rappresentatività sindacale per la validità del contratto integrativo, al contrario di ciò che avviene per la contrattazione collettiva nazionale.
Conseguentemente, l’ipotesi di accordo (e, successivamente, anche il contratto integrativo) è valida anche se non è stata firmata da tutti i soggetti sindacali legittimati.
È auspicabile, comunque, che nel corso del negoziato tutte le parti diano il proprio contributo e si raggiunga una ipotesi di accordo condivisa con il più ampio consenso possibile. Ciò consente, infatti, di avere minore conflittualità e di minimizzare i rischi di un successivo contenzioso giudiziario. È possibile che i soggetti sindacali che non abbiano firmato l’ipotesi di accordo, sottoscrivano, successivamente, il contratto decentrato integrativo definitivo”.
Non è pertanto indispensabile la sottoscrizione dell’ipotesi da parte della Flc-cgil per assicurare la maggioranza.
È possibile la sottoscrizione del CCNI successivamente anche quando sarà definito, ma se questo non avverrà, potrebbero esserci problemi di applicazione del contratto nelle scuole, soprattutto se i sindacati non sottoscrittori porteranno sul territorio le loro tesi contrarie.
In tempi di emergenza per il Covid–19 eventuali contrasti tra i docenti più sindacalizzati non farebbero bene alla scuola.
7. I tre volti dell’Educazione civica
Dal corrente anno scolastico, com’è noto, l’insegnamento dell’Educazione civica è obbligatorio fin dalla scuola dell’infanzia, in attuazione della legge istitutiva n. 92, approvata pressoché all’unanimità dal Parlamento nell’agosto del 2019. Ma in poco più di un anno, con tre ministri della PI diversi (Xxxxxxxx in uscita, Fioramonti e poi Azzolina), il volto di questo insegnamento, la sua identità in termini di obiettivi di apprendimento caratterizzanti, è cambiato tre volte.
Con Xxxxxxxx (Lega) prevalevano gli aspetti riguardanti la legalità, le regole, i comportamenti; con Xxxxxxxxxx (M5S, poi uscito dal Movimento), nei suoi intensi e monotematici quattro mesi alla guida del Ministero, quelli relativi all’educazione ambientale; con Azzolina (sempre M5S, ma più allineata con la leadership del movimento/partito) è emersa con forza anche la valenza relativa alla educazione digitale, che però si è affiancata alle altre due, senza diventare quella dominante. Una soluzione di compromesso, ma forse inevitabile in presenza di una legge come la 92/2019 nata dalla confluenza di diverse aspettative e priorità, di cui si sono fatti interpreti i diversi partiti, in un unico testo legislativo.
Questo aspetto trivalente della nuova Educazione civica si coglie bene nelle Linee Guida sull’Educazione civica emanate a giugno ed è ben presente nel portale dedicato messo nei giorni scorsi sul sito del Ministero all’indirizzo xxx.xxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxx_xxxxxx, contenente una considerevole quantità di informazioni e materiali utili per gli insegnanti, strumenti per la formazione, FAQ e una serie di link a specifiche aree tematiche come la lotta al bullismo e al
cyberbullismo, l’educazione finanziaria, storia e cittadinanza europea, educazione stradale. Stupisce un po’ che non sia prevista l’educazione sanitaria, tema di assoluta attualità.
Il portale si arricchirà progressivamente con l’acquisizione delle tante buone pratiche realizzate dalle scuole nei diversi campi di possibile attuazione della legge, che anche Xxxxxxxxxxx ha evidenziato nel suo viaggio tra le scuole nel corso dell’anno scolastico 2019-2020, e che continuerà a segnalare nel nuovo anno 2020-2021 (se ne parla qui), reso ancora più impegnativo dalla ripresa della pandemia.
8. Educazione Digitale: le risorse gratuite per l’Educazione Civica
Formare cittadini consapevoli, responsabili e attivi nel contesto civico e sociale della comunità non è un compito semplice: come si può avviare tale percorso?
La didattica digitale può essere una soluzione: Europa=Noi, l’iniziativa sviluppata per il Dipartimento per le Politiche Europee della Presidenza del Consiglio, parla agli studenti di cittadinanza europea, contribuendo a far conoscere il ruolo delle Istituzioni dell’UE e a far interiorizzare i valori della cittadinanza.
Impatto dell’uomo sulla Terra dal punto di vista energetico e alimentare; tutela delle risorse naturali; economia circolare, corretto riciclo dei materiali e biodiversità sono il nucleo tematico di molte iniziative presenti su XxxxxxxxxxXxxxxxxx.xx
Ogni docente può trovare lo strumento adatto:
format multimediali, approfondimenti, attività laboratoriali, individuali o cooperative e PCTO Digitali, registrandosi gratuitamente ai percorsi didattici: Il futuro è rinnovabile, Noi, il cibo, il nostro Pianeta, Guardiani della Costa, Gli AmicoEco, Raccogliamo Valore, Xxxx Xxxxxxx incontra un delfino,Sportello Energia e molti altri.
Uno dei temi più complessi da affrontare a scuola è la Cittadinanza Digitale, focalizzato sull’uso consapevole dei mezzi di comunicazione digitale, che trova imprescindibile fondamento nella vita reale. Gli insegnanti possono attingere a coinvolgenti risorse per i più piccoli e schede laboratoriali per parlare di consapevolezza di sé, valore della diversità, condivisione e inclusione da Il momento dell’Eroe.
Educazione Civica è anche educazione alla salute.
Le risorse di A tutta vita! consentono di affrontare temi legati alla nutrizione, al movimento e alla prevenzione delle dipendenze, per generare quella coscienza critica in grado di fare la differenza nella definizione del proprio presente e del proprio futuro.
Per consultare le risorse gratuite per l’Educazione Civica: xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxx-xxxxxx/
9. Esami Trinity di lingua inglese in Video Conferenza (VC)
Per tutto l’anno accademico 2020-2021, considerato il perdurare dell’incertezza legata alla situazione sanitaria, Trinity College London, ente certificatore internazionale di lingua inglese, musica e arti performative, offre alle sedi registrate Trinity la possibilità di scegliere di organizzare gli esami di certificazione Trinity GESE e ISE modulo orale (si veda il paragrafo “Gli esami Trinity di lingua inglese”) in Video Conferenza (VC) presso la scuola.
Il formato degli esami rimane invariato, così come i requisiti linguistici e le certificazioni acquisite tramite un esame in VC hanno lo stesso valore delle certificazioni ottenute a seguito di un esame in presenza.
Organizzare una sessione di esami Trinity in VC: vantaggi e requisiti
• La scuola deve prima registrarsi come sede di esami Trinity, un’operazione semplice e gratuita che si può svolgere online.
• Viene data alle scuole che organizzano esami in VC una settimana in più (da gennaio 10 giorni) per confermare la sessione.
• All’interno del periodo di due settimane indicato dalla sede al momento della segnalazione dell’esame, è possibile scegliere la settimana in cui si intende organizzare la sessione.
• Non è richiesto il raggiungimento di una minimum fee, come avviene invece per gli esami in presenza, ma è sufficiente iscrivere alla sessione un numero di candidati tale da coprire uno slot temporale pari a un minimo di 3 ore e mezza.
• E’ sufficiente avere una buona connessione Internet e un pc fisso o un portatile dotato di webcam e microfono.
Gli esami Trinity di lingua inglese
Le certificazioni Trinity non hanno scadenza formale e sono riconosciute come attestazione di conoscenza e competenza in lingua inglese da università, aziende e istituzioni governative in Italia e a livello internazionale. Ogni anno, migliaia di candidati nel mondo sostengono gli esami di certificazione Trinity di lingua inglese, dei quali esistono le due seguenti tipologie: GESE, disponibili in 12 Grade da pre A1 a C2, valutano le abilità di Speaking & Listening. ISE, disponibili da A2 a C2, valutano in modo integrato le 4 abilità di Speaking & Listening e Reading & Writing.
Per informazioni sugli esami Trinity in VC: xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxx/xxxxx-xx- videoconferenza
Settimana dal 09.11.2020
1. USA, Xxxxx xxxxx le elezioni. Che cosa cambia per la scuola
Xxx Xxxxx, già vicepresidente con Xxxxx (2008-2016), ha vinto le elezioni per la presidenza degli USA superando non senza fatica Xxxxxx Xxxxx, uno dei pochissimi presidenti americani uscenti a non essere stato confermato per il secondo quadriennio.
La notizia è stata accolta con viva soddisfazione dagli insegnanti delle scuole pubbliche statunitensi, che già per bocca della leader del loro più importante sindacato, la National Education Association, Xxxx Xxxxxxxx Xxxxxx, aveva dichiarato al momento della loro candidatura che “il ticket Xxxxx-Xxxxxx è il ‘Dream Team’ per le nostre scuole pubbliche e i nostri studenti”.
In effetti nei quattro anni della sua presidenza Xxxxx non si è mai occupato di politica scolastica, totalmente delegata alla sua fedele ministra Xxxxx XxXxx, e anche durante la recente campagna elettorale ne ha parlato solo per accusare i governatori democratici di voler mantenere le scuole chiuse “per motivi politici” minacciando di tagliare gli aiuti alle scuole che non aprono (cosa che comunque non avrebbe potuto fare senza l’approvazione del Congresso). Così il programma di politica scolastica presentato da Xxxxx si è ridotto a due soli punti essenziali: la libertà di scelta (Provide School Choice to Every Child in America), lo stesso proposto nel 2016, e l’insegnamento dell’“Eccezionalismo Americano” (TeachAmerican Exceptionalism), mentre quello di Xxxxx, probabilmente ispirato anche da sua moglie Xxxx, ex insegnante di liceo e nel community college, si è articolato in una lunga serie di proposte, come riferisce un attento osservatore della scuola americana come Xxxxx Xxxxxxxxx, direttore del sito Sito xxxxxxxx.xxx, che le elenca in un dettagliato articolo. Ecco le principali:
- drastico incremento dei fondi federali per le scuole, inclusala triplicazione dei fondi del titolo 1 per le scuole che servono un rilevante numero di studenti a basso reddito;
- aumento dei finanziamenti per il tutoraggio degli insegnanti, la leadership e lo sviluppo professionale. I fondi verrebbero utilizzati anche per aiutare gli insegnanti a ottenere una certificazione aggiuntiva in aree ad alta richiesta, come l’istruzione speciale o l’istruzione bilingue;
- raddoppio del numero di psicologi, consulenti, infermieri e assistenti sociali;
- “finanziamenti completi” per l’istruzione speciale, rispetto al 14% attualmente fornito dal governo federale;
- garanzia che tutti i bambini di 3 e 4 anni abbiano accesso a una scuola di alta qualità come parte di una robusta proposta (775 miliardi di dollari) per sostenere i caregiver a tutti i livelli;
- crediti d’imposta di 8000 dollari per bambino alle famiglie a basso e medio reddito per pagare l’assistenza dei bambini;
- creazione di un nuovo credito d’imposta per l’edilizia per l’infanzia al fine di incoraggiare le imprese a costruire strutture per l’infanzia nei luoghi di lavoro.
Sul fronte dell’istruzione superiore Xxxxx propone che la frequenza dei college e delle università pubbliche storicamente nere sia gratuita per le famiglie che guadagnano meno di
125.000 dollari all’anno. E inoltre accesso ai Community college gratuito per tutti e cancellazione dei debiti studenteschi fino a 10.000 dollari.
Certo, Xxxxx non potrà ignorare il fatto che il suo avversario Xxxxx ha comunque ottenuto quasi la metà dei voti popolari e che molti Stati sono a guida repubblicana, ma la sua scelta in favore della scuola pubblica e dei ceti popolari è netta. I prossimi anni diranno se quello formato dalla coppia Xxxxx-Xxxxxx xxxx davvero un “dream team” per la scuola americana.
2. Quattro alunni con disabilità su dieci coinvolti nella didattica a distanza
Sono 111 mila gli alunni con disabilità nelle scuole statali costretti dal DPCM 3 novembre a starsene a casa e a seguire l’attività didattica a distanza, fatta salva quella strana possibilità di frequenza separata in presenza solo per loro (con quali insegnanti?
Soltanto con quelli di sostegno che comunque non possono assicurare la totale copertura oraria? Con l’integrazione degli AEC?).
Come loro, anche 3 milioni e 700 mila di altri ragazzi non possono seguire le lezioni in presenza, come era avvenuto nel primo mese e mezzo di scuola.
Ma per i ragazzi con disabilità la situazione è ben diversa e, come già avvenuto nella primavera scorsa, sono loro a pagare il prezzo più alto della esclusione dalla scuola.
Il docente preposto al sostegno, costretto ad operare da lontano, non può mettere in atto quei contatti e quegli interventi quotidiani che aiutano a conquistare autonomia operativa.
Inoltre, senza l’intervento di un adulto, molti ragazzi con disabilità spesso non sono in grado di utilizzare efficacemente la strumentazione tecnologica per seguire gli interventi in DAD.
Doppia penalizzazione, dunque. Ma forse proprio per questa ragione il DPCM ha previsto quella possibilità, di non facile realizzazione, di cui abbiamo detto.
In Campania più di 14.500 ragazzi con disabilità inseriti nelle scuole dell’infanzia e primaria, a causa della minore età, sono quasi del tutto esclusi dall’utilizzo dei device che li possono tenere collegati con il mondo esterno e con i loro insegnanti. A meno che non vi sia a sostenerli e guidarli a casa qualche loro familiare.
Complessivamente quattro ragazzi con disabilità ogni dieci (41,2%) sono coinvolti in questa esclusione dalla didattica in presenza (soprattutto negli istituti superiori): 111 mila su 269 mila.
Campania e Lombardia, con oltre 50 mila alunni con disabilità complessivi, raggiungono quasi la metà dei ragazzi obbligati a casa e in contatto con la loro scuola tramite la DAD.
3. 68mila docenti di sostegno in DAD
Sono almeno 68mila i docenti di sostegno che il DPCM 3 novembre obbliga ad operare a distanza per i 111mila alunni con disabilità affidati, fatta salva la possibilità per questi di frequenza in presenza solo per loro.
Rappresentano quasi il 40% dei 172 mila docenti di sostegno in servizio l’anno scorso nelle scuole statale. Ma con tutta probabilità per l’anno in corso i docenti di sostegno saranno molti di più (secondo le stime riportate nel dossier di Xxxxxxxxxxx sul sostegno, circa 185 mila); e saranno di più anche quelli che si troveranno in DAD con possibile accentuazione di alcune criticità proprie di questo nevralgico settore: potrebbero arrivare a 70-75 mila.
Si tratta di criticità purtroppo consolidate, a cominciare dal crescente incremento dei posti in deroga assegnati per legge a docenti precari. Alla situazione di precarietà dei posti in deroga va aggiunta quella di circa il 15%-20% di posti di sostegno stabili vacanti in attesa della conclusione dei concorsi e assegnati a docenti con contratto annuale a tempo determinato.
Complessivamente si può ritenere, pertanto, che almeno la metà dei docenti di sostegno in servizio abbia un rapporto di lavoro a tempo determinato; tra i 68 mila costretti ad operare a distanza circa 35 mila sono docenti precari. A quasi tutti sono stati affidati alunni diversi rispetto all’anno scorso, con i quali ora sarà ancora più difficile la relazione educativa nelle condizioni imposte dal contrasto al virus, mancando una reciproca conoscenza. E’ la prova che la continuità didattica a favore degli alunni con disabilità per il momento resta una mera affermazione ideologica.
Un numero imprecisato di quei docenti di sostegno precari è anche privo di specializzazione.
Per ultimo va considerato il fatto che i docenti di sostegno in DAD vengono privati dell’interazione di gruppo con gli altri docenti della classe indebolendo il lavoro in team, che è una delle condizioni per rendere efficace l’inclusione degli alunni affidati.
In Campania, per effetto dell’ordinanza De Luca, sono in DAD tutti i 20.151 docenti di sostegno in servizio. Complessivamente le tre regioni in fascia rossa superano i 18mila docenti di sostegno: in Lombardia 9.528, in Piemonte 5.701 e in Calabria 2.988.
Sicilia e Lazio hanno rispettivamente 5.442 e 4.209 docenti di sostegno in DAD. La minore incidenza di insegnanti di sostegno in didattica a distanza si ha in Veneto, con il 23,5%.
4. Il sostegno mancato/1. Così si torna alle scuole speciali?
Fa molto discutere, per usare un understatement, quella parte dell’ultimo DPCM che estendendo la didattica a distanza al 100% nelle scuole superiori, ha previsto la frequenza in presenza solo per gli alunni che devono utilizzare i laboratori e per quelli con disabilità “in ragione di mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali”.
È vero che il DPCM parla di una possibilità e non di un obbligo (“Resta salva la possibilità di…), ma la prospettiva di istituti vuoti, con la sola presenza degli alunni con disabilità, insieme ai loro docenti di sostegno e agli assistenti, prefigura un balzo all’indietro nel tempo con il ritorno delle ‘classi speciali’, abolite dalla legge 517 del 1977 proprio con l’obiettivo di realizzare la piena integrazione di tali alunni nelle classi ordinarie (Xxxx Xxxx, segretario della Uil scuola, ha detto che “si rischia un passo indietro di 40 anni nell’inclusione scolastica).
Il rischio è segnalato con efficacia da Giulia Polito in un articolo, pubblicato il 6 novembre 2020 nel blog InVisibili del sito xxxxxxxx.xx, intitolato Scuola e disabilità: molta retorica e poco sostegno, ma forse ora si cambia, nel quale si dà conto anche della parziale marcia indietro fatta dallo stesso Ministero che attraverso una circolare contenente indicazioni sull’applicazione del DPCM invita gli istituti ad assicurare il “coinvolgimento anche, ove possibile, di un gruppo di allievi della classe di riferimento, che potrà variare nella composizione o rimanere immutato, in modo che sia costantemente assicurata quella relazione interpersonale fondamentale per lo sviluppo di un’inclusione effettiva e proficua”.
Una soluzione contorta, incerta nella sua applicazione, criticata dalla Confad (Coordinamento Nazionale Famiglie con Disabilità), favorevole invece alle lezioni domiciliari, la modalità didattica raccomandata anche dagli assistenti familiari (caregivers), come mostra l’esito di un sondaggio ad essi riservato, promosso dalla stessa CONFAD.
Per evitare di fare passi indietro e per procedere, al contrario, verso la piena integrazione degli alunni con disabilità, servirebbe tuttavia cominciare a riflettere e ad operare in direzione di un radicale ripensamento della figura dell’insegnante di sostegno. Ne parliamo nella notizia successiva.
5. Il sostegno mancato/2. La soluzione è la personalizzazione
Al centro del dibattito è la figura dell’insegnante di sostegno, che secondo alcuni studiosi, tra i quali lo stesso Xxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxx della Fondazione Agnelli e Xxxxx Xxxxx – pedagogista dell’università di Bolzano e animatore della casa editrice Xxxxxxx, specializzata nel campo delle disabilità – dovrebbe essere messa in discussione fino ad arrivare al suo superamento prevedendo per tutti i docenti una solida formazione nel campo della pedagogia e della didattica speciale e riportando almeno una parte degli attuali insegnanti di sostegno al loro originario ruolo di insegnanti curricolari, mentre un’altra parte di essi dovrebbe ulteriormente specializzarsi per svolgere compiti di consulenza (e di codocenza nei casi più difficili) per tutti i colleghi delle diverse discipline.
Questo scenario, che Xxxxxxxxxxx ha iniziato a delineare fin dalla presentazione delle “Sei idee per rilanciare la scuola” (settembre 2013), richiederebbe tuttavia una scelta di fondo, una scelta di politica scolastica (se non una scelta politica tout court), in direzione della piena inclusione di tutti gli studenti, in relazione alle loro specifiche esigenze, che passa per la personalizzazione dei percorsi formativi individuali, la riduzione delle ripetenze, una valutazione correlata ai potenziali dei singoli studenti e non a standard impersonali.
I più recenti sviluppi delle nuove tecnologie e delle neuroscienze consentono oggi di differenziare e personalizzare i modi, i tempi e gli stessi contenuti dei processi formativi, e di puntare sul successo di tutti, senza distinzione tra alunni più o meno dotati ai fini della prosecuzione degli studi.
Un obiettivo che, se perseguito con coerenza, vedrebbe coincidere il miglior risultato in termini di efficienza (il migliore risultato possibile per ciascun alunno) con il migliore risultato sul piano dell’equità (il dimensionamento dell’intervento didattico non sulla base di uno standard astratto ma commisurato ai potenziali individuali).
Sarebbe così superato in radice lo storico dilemma tra efficienza ed equità, quello che ha indotto alcuni a far coincidere la selettività e la competitività con la massima efficienza ed altri a considerare equa la semplice eliminazione delle bocciature. In realtà, come ha ricordato Xxxxx citando xxx Xxxxxx e l’art. 3 della Costituzione, occorrerebbe avere “il coraggio di fare differenze in positivo tra disuguali, per compensare differenze che altrimenti diventerebbero disuguaglianze, combattere le varie forme di marginalizzazione ed esclusione, rimuovere gli
ostacoli perché ognuno sviluppi il proprio massimo potenziale, qualunque sia la sua condizione personale e sociale”.
6. Alla scoperta del paradigma dell’educativo digitale: webinar gratuito lunedì 9 novembre
Il perdurare dell’emergenza e la presa di coscienza della nuova funzione proattiva assunta dalle tecnologie congiunta alla ricerca di nuove metodologie anche in una prospettiva di Didattica Digitale Integrata, conducono ad un ripensamento complessivo delle modalità di insegnamento/apprendimento. Come fare? Da dove partire?
Se ne parlerà nel corso di ben due webinar gratuiti che si terranno lunedì, 9 novembre e lunedì, 16 novembre alle ore 17.00, e che avranno come relatori rispettivamente Xxxxxxxxx Xxxxxxxx (DS, già sottosegretario MIUR) e Xxxxxxx Xxxxxxxxx (Università Cattolica); Xxxxxxx Xxxxxxx (Università di Torino) e Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxx (DS). Titolo del mini ciclo: “L’apprendimento attivo con l’aiuto delle tecnologie”.
Iscriviti ora ai webinar gratuiti del 9 e del 16 novembre alle ore 17.00
In questo contesto emerge inoltre la necessità di rendere sistematiche e strutturali le innovazioni didattiche introdotte nel periodo di lockdown, individuando tra le soluzioni di emergenza quelle che rappresentano non solo rimedi, ma vere linee trasformative. Il nuovo paradigma dell’educativo digitale segue cinque principali rotte:
1) dall’aula alle zone di apprendimento;
2) dall’orario scolastico al tempo di lavoro
3) da discipline a compiti di realtà, cross culturali e in grado di stimolare una molteplicità di competenze, anche e soprattutto sociali, civiche ed emotive;
4) dal libro di testo alle fonti culturali;
5) infine, il cambiamento forse più importante, premessa e condizione di ogni altro: da insegnanti ex cathedra a insegnanti facilitatori, registi di esperienze di apprendimento.
Non è più sufficiente insomma essere esperti di una disciplina.
Nel mini ciclo composto dai due webinar gratuiti verrà anche presentato il nuovo percorso formativo di Xxxxxxxxxxx che presenteremo nel corso delle dirette del 9 e del 16 novembre, intitolato “L’APPRENDIMENTO ATTIVO CON L’AIUTO DELLE NUOVE TECNOLOGIE. Didattiche
innovative per sviluppare competenze trasversali. Per una scuola inclusiva ed efficace”.
Il corso ha come finalità generale quella di sostenere l’innovazione didattica, inserendo la scuola nel nuovo paradigma educativo, a cui le nuove tecnologie ci spingono, come risposta pedagogica al cambiamento di epoca che stiamo vivendo.
Il corso inoltre offrirà nozioni e spunti per l’implementazione del “Piano scolastico per la Didattica Digitale Integrata”.
Attenzione: indipendentemente dal periodo di iscrizione al webinar, potranno accedere alle diretta del 9 e del 16 novembre, solo i primi 1000 utenti che si collegheranno.
Tuttoscuola invierà comunque il link per vedere la registrazione dei webinar a tutti gli iscritti. È prevedibile una forte richiesta di partecipazione.
Se non ti è possibile collegarti con largo anticipo, non c’è nessun problema: suggeriamo di attendere comodamente la registrazione per mail, che invieremo poco dopo il webinar. Potrai visionarla quando vuoi. L’importante per riceverla è iscriversi.
7. DDI o DAD, tra didattica e burocrazia
Ritorna – come era prevedibile – la didattica telematica, almeno alle superiori, e anche in seconda e terza media, nelle regioni in fascia rossa. Alunni di nuovo davanti a uno schermo, venuto a invadere l’unica sfera della loro vita che ne era rimasta finora parzialmente immune: quella scolastica. Del resto, non abbiamo scelta, se vogliamo evitare l’ulteriore propagarsi del virus. È diffusa in tutti gli operatori la convinzione che la didattica digitale sia un provvedimento “di guerra”, l’unica possibile risposta a una situazione di emergenza che
renderebbe altrimenti impraticabile l’attività scolastica. Come si dice, piuttosto che niente, è meglio piuttosto.
Ma come affrontiamo questa emergenza, con quale tipo di approccio: quello del miglior risultato didattico possibile, nel quadro delle condizioni date, o con la logica dell’adempimento formale, “delle carte a posto”, del “danno erariale” dietro l’angolo, con relativa occhiuta sorveglianza e punizione da parte della Corte dei Conti? A leggere qualche atto ufficiale, per la verità, questa è, se non “la” preoccupazione, almeno una delle preoccupazioni con le quali sosteniamo questa nuova fase di emergenza. La circolare 1934, di accompagnamento ed esplicazione del tribolato contratto integrativo sulla didattica a distanza (a proposito, i “rumours” ci dicono che ci saranno novità: adesioni di altri sindacati e la formulazione di una nuova nota esplicativa) è abbastanza chiara sull’argomento: “il personale docente è comunque tenuto al rispetto del proprio orario di servizio e alle prestazioni connesse all’esercizio della professione docente”, e, poco oltre, “… il docente assicura le prestazioni in modalità sincrona al gruppo classe o a gruppi di alunni circoscritti di alunni della classe”. Allo stesso modo, la nota 1990 del 5 novembre, illustrativa dell’ultimo DPCM (quello del 3 novembre), fa tutto un giro di parole per indicare ai dirigenti scolastici la possibilità di adottare “ogni disposizione organizzativa atta a creare le migliori condizioni per l’erogazione della didattica in DDI, anche autorizzando l’attività non in presenza, ove possibile e ove la prestazione lavorativa sia comunque erogata”.
Tradotto: se necessario, i dirigenti scolastici possono autorizzare i docenti a erogare la didattica a distanza da casa propria. Un capolavoro semantico che trasforma in una concessione calata dall’alto quella che, in certe condizioni, è l’unica via d’uscita per l’amministrazione, che fa finta di non sapere che la rete informatica di alcune scuole non ce la farebbe a sostenere le lezioni erogate da decine di docenti contemporaneamente e fruite da alunni che, numericamente, variano tra i seicento e i milledue/millecinquecento.
8. L’insegnamento a distanza: ‘toppa’ all’insufficienza del trasporto pubblico? Consentire ai docenti di erogare da casa la propria lezione significa alleggerire il traffico sugli autobus in una fase nella quale si consiglia caldamente di non andare troppo in giro, per non esporsi all’azione del virus e non intasare, poi, gli ospedali. In sostanza, si chiede ai docenti di supplire con proprie risorse alle insufficienze pubbliche e, alla fine, dovrebbero sentire questa supplenza come un privilegio.
Ovvio che la logica dell’adempimento e della Corte dei Conti, il cui input viene dalle “sfere superne”, sia poi pedissequamente riprodotta in quelle inferiori. Xxxx, quindi, che assistiamo al verificarsi di incomprensibili contraddizioni in alcuni centri del Paese nei quali il sindaco, che prende sul serio la propria posizione di autorità sanitaria, chiude le scuole a causa della situazione epidemiologica, mentre i dirigenti scolastici impongono ai docenti di andare a scuola per fare da lì la didattica a distanza. Difficile negare che si tratti di una incoerenza nella politica complessiva di contrasto alla diffusione del virus, come Tuttoscuola ha già rilevato avanzando proposte concrete.
Per carità, tutto giusto, ognuno ha ragione dal proprio punto di vista. È giusto che in un paese nel quale il virus distrugge quotidianamente migliaia di posti di lavoro, chi un lavoro ce l’ha, per di più sostenuto da un erario sempre più indebitato, faccia il proprio dovere fino in fondo, e anche qualcosa di più, se possibile. È anche giusto che i controlli e i riscontri siano effettuati, perché il senso del dovere è una di quelle qualità che il Buon Dio (o la Natura) distribuisce in modo più ineguale. Tuttavia, alla fine dobbiamo cercare di ragionare in funzione dell’obiettivo, più che non in funzione degli umori della Corte dei Conti.
Tra DaD e DiD, insomma, ci vuole un po’ di riflessione e creatività (DaDaumpa, come cantavano le iconiche gemelle tedesche dei primi anni della TV). Siamo sicuri che trasformare la DaD/DiD in una mera riproposizione, con altri mezzi, della lezione in presenza sia efficace (o non troppo inefficace) dal punto di vista degli apprendimenti? La distanza compromette più della presenza la capacità attentiva? Se sì, cosa fare? L’attività asincrona mediante la proposizione di materiali multimediali è necessariamente meno efficace della lezione sincrona,
o si tratta, invece, di un espediente che sollecita di più la partecipazione dell’alunno, quindi il profitto che può trarre dalla lezione?
Insomma, le vicende che stiamo vivendo ci sollecitano una riflessione su una modalità di erogazione della didattica che rischia di riproporsi anche in futuro, per le stesse motivazioni per le quali si impone oggi. Per questo, è bene coltivare un approccio più sistemico e meno emergenziale alla questione della didattica a distanza, se vogliamo evitare che lo sberleffo (uno dei tanti) che circola in rete in questi giorni divenga realtà. Cosa dice? Più o meno questo: “il medico che tra dieci anni curerà la vostra appendicite oggi studia a distanza, giocando alla Play Station in mutande con la webcam spenta. Abbiate cura di voi stessi”.
Settimana dal 16.11.2020
1. Il preoccupante bollettino Covid della didattica a distanza
Sabato, inaspettatamente, il presidente facente funzione della regione Calabria, Xxxx Xxxxxx, ha disposto con propria ordinanza la sospensione delle attività didattiche in presenza fino al 28 novembre per tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Domenica la Giunta regionale della Basilicata ha disposto la sospensione delle lezioni in presenza anche per la primaria e la secondaria di I grado fino al 3 dicembre.
Le due nuove decisioni segnano un incremento delle altre limitazioni già disposte e di quelle recentissime.
L’estensione della zona rossa a Campania e Toscana aveva già ampliato gli effetti della didattica a distanza ad altri alunni e docenti, interessando anche le classi in cui questi fino a pochi giorni svolgevano l’attività didattica in presenza.
Il coinvolgimento, tuttavia, non ha riguardato la Campania, in quanto il governatore Xxxxxxxx Xx Xxxx aveva già disposto con propria ordinanza la sospensione dell’attività didattica in presenza per tutte le scuole, dall’infanzia alle superiori, ben oltre, quindi, la limitazione prevista dal DPCM 3 novembre soltanto per le superiori e per le seconde e terze del I grado. Il blocco totale in Campania potrebbe, tuttavia durare solo per un’altra settimana, perché sembra che Xx Xxxx dal 24 novembre voglia consentire la didattica in presenza per la scuola dell’infanzia e per le prime classi della primaria (forse la protesta di molte madri lo ha convinto a ridurre il blocco).
Ritornate (quasi) alla normalità la Puglia e Palermo, dopo che il governatore Xxxxxxx Xxxxxxxx e il sindaco Xxxxxxx Xxxxxxx hanno rivisto le loro decisioni, accettando la DAD soltanto per le superiori, come previsto dal DPCM.
Al momento, dopo la Calabria e la Basilicata, se nelle prossime ore non interverranno altre ordinanze di sospensione della attività didattica in presenza, la situazione generale è la seguente, nel bollettino Covid di Tuttoscuola:
Alunni delle scuole statali e paritarie a casa: 3.930.895 su 8.433.934 (46,6%) Alunni con disabilità in scuole statali a casa: 118.710 su 269.138 (44,1%)
Docenti statali su posti comuni e di sostegno in DAD: 389.231 su 806.329 (48,3%) Docenti statali di sostegno in DAD: 74.560 su 172.324 (43,3%)
Classi chiuse di scuole statali: 176.901 su 369.960 (47,8%).
Scuole statali e paritarie (e Aosta, Bolzano e Trento) con classi chiuse: 18.470 su 55.275 (33,4%)
2. Monitoraggio europeo/1. Quell’Italia immobile…
Tuttoscuola ha tempestivamente pubblicato una sintesi e il testo completo della scheda nazionale dedicata all’Italia contenuta nel Rapporto di monitoraggio redatto dall’Unione Europea (Direzione generale dell’istruzione, della gioventù, dello sport e della cultura), completato il 15 settembre 2020 e apparso sul sito della UE il 12 novembre. Un rapporto di singolare chiarezza (non è sempre così) contenente informazioni e dati aggiornati fino alle misure prese in Europa e nei singoli Paesi per fronteggiare le conseguenze della pandemia di Covid-19 sul funzionamento dei sistemi scolastici, ma anche un check-up complessivo sul loro stato di salute con il raffronto comparativo dei principali dati considerati (spesa complessiva e per settore rispetto al PIL, scolarizzazione ai vari livelli, tassi di dispersione, performance critiche dei quindicenni, digitalizzazione e altri indicatori).
Per quanto riguarda l’Italia ci sono poche novità positive e molte conferme negative, perché malgrado una netta inversione della decennale tendenza al ribasso la spesa per l’istruzione resta bassa (dati 2019), così come i livelli di apprendimento della fascia più debole della popolazione scolastica, mentre resta grave il fenomeno della dispersione e sempre elevati sono gli squilibri territoriali e per tipologia di percorso evidenziati dall’indagine PISA e dalle prove Invalsi.
Anche per quanto riguarda la digitalizzazione dell’insegnamento e dell’apprendimento, che la pandemia ha reso ancora più necessaria e urgente in tutta l’Europa, le scuole italiane risultano dotate di strumenti digitali in linea con gli altri Paesi dell’UE, ma sono in ritardo per quanto riguarda il livello e la velocità di connessione. È significativo che il Rapporto nella sua parte generale comparativa non inserisca quasi mai l’Italia tra i Paesi che si segnalano per impegno e capacità di innovazione. “Il limitato progresso dell’innovazione digitale nell’insegnamento è in
parte legato all’età media avanzata e alle scarse competenze digitali del corpo docente”. Sebbene la percentuale di docenti che spesso o sempre consentono agli studenti di utilizzare le TIC per progetti e lavori in classe sia aumentata dal 30% del 2013 al 46,6% del 2018, solo il 35% ha riferito di essersene servito per l’insegnamento nella maggior parte o nella totalità delle lezioni nel 2018, rispetto al 72% in Finlandia e al 49% in Portogallo.
Tra marzo e giugno 2020 il governo ha stanziato 201,7 milioni di euro a sostegno dell’apprendimento a distanza. Le misure comprendono l’acquisto di dispositivi digitali per le scuole, al fine di consentire agli studenti di partecipare all’apprendimento a distanza. Il gap dovrebbe quindi ridursi, ma la strada è ancora lunga, soprattutto per l’indispensabile percorso di formazione qualificata per tutti i docenti, di cui sembra si abbia poca consapevolezza.
3. Monitoraggio europeo/2. Scuola italiana sotto la media UE, con spesa ancora in calo
Su 7 degli indicatori chiave identificati dalla Commissione europea, l’Italia è sotto la media UE in ben 6: competenze in lettura, matematica e scienze, abbandono scolastico, livello di istruzione terziaria, Istruzione degli adulti. Per un Paese che dovrebbe avere l’ambizione di essere trainante in Europa sono dati deprimenti. Solo nella scolarizzazione dei bambini di 4 anni è sopra la media UE, che è anche l’unico indicatore per il quale è stato raggiunto l’obiettivo di Lisbona (anche se, paradossalmente, nel 2019 è scesa dal 96,1% al 94,9% andando sotto all’obiettivo del 95%).
Negli altri 6 indicatori l’Italia è ben lontana dagli obiettivi di Lisbona, che avrebbero dovuto essere raggiunti entro il 2010.
Spicca, tra i tanti, un dato: nel 2018 l’Italia ha destinato all’istruzione solo il 4% del PIL, rispetto a una media europea del 4,6%, cioè quanto spendeva proprio l’Italia nel 2009.
Come sottolinea l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani (CPI) dell’Università Cattolica, “questo declino è avvenuto in modo più rapido rispetto ai cambiamenti demografici: tra il 2007 e il 2017 la quota di popolazione 3-25 anni sul totale della popolazione è calata del 2,3 per cento, mentre la spesa media per popolazione 3-25 anni in pubblica istruzione in rapporto al reddito pro capite è calata del 14,1 per cento”.
Nonostante un leggero aumento nel 2018, la spesa per l’istruzione in Italia rimane tra le più basse nell’UE. La Francia ad esempio si attesta al 5.4% del Pil. Nel 2018 la spesa pubblica per l’istruzione è aumentata dell’1% in termini reali rispetto all’anno precedente, ma resta ben al di sotto della media UE, sia in percentuale del PIL (il 4% contro il 4,6%) sia in percentuale della spesa pubblica totale, che all’8,2% è la più bassa dell’UE (9,9%).
L’investimento è disomogeneo per grado di scuola. Mentre la quota di PIL assegnata all’educazione pre-primaria, primaria e secondaria è sostanzialmente in linea con gli standard europei, la spesa per l’istruzione terziaria è la più bassa dell’UE, sia in percentuale del PIL (lo 0,3% contro lo 0,8%) sia in percentuale della spesa pubblica per l’istruzione (il 7,7% contro il 16,4%). È opportuno notare che, mentre la spesa pubblica per l’istruzione è diminuita complessivamente del 7% nel periodo 2010-2018, nello stesso periodo la spesa per l’istruzione superiore è stata ridotta del 19%.
Con l’emergenza Covid – ricorda il Rapporto UE – il governo ha stanziato quasi 3 miliardi di euro per alleviare l’impatto economico su studenti, famiglie, scuole e università. I fondi saranno utilizzati per diverse esigenze, tra cui la preparazione alla riapertura delle scuole, il sostegno finanziario agli studenti, l’organizzazione di concorsi generali per l’assunzione di docenti e i lavori di costruzione e manutenzione delle scuole. Ma non si può dimenticare che lo scorso dicembre il Parlamento ha destinato nella legge di bilancio per il triennio 2020-2022 fondi decrescenti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca: 60,5 miliardi nel 2020, 58,7 nel 2021 e 56,6 nel 2022.
4. Monitoraggio europeo/3. Si investe poco in istruzione. Ma è solo una questione di soldi?
Sembra evidente una correlazione diretta tra bassa spesa nell’istruzione e negativo andamento negli apprendimenti.
Se il sistema di istruzione italiano produce risultati sotto la media UE sia negli apprendimenti (vedi ad esempio i 26 quindicenni su 100 che non raggiungono un livello di competenze neanche minimo in scienze), sia nel successo formativo (solo il 27,6% dei giovani tra 30 e 34 anni ha raggiunto il livello di istruzione terziaria, solo la Romania fa peggio di noi in Europa,
dove la media è del 40,3%), è sicuramente in parte dovuto alle scelte di investimento fatte dal nostro paese, che non riservano nei fatti un trattamento prioritario all’istruzione.
Ma questo spiega del tutto gli insoddisfacenti risultati del mondo dell’istruzione a livello europeo? In altri termini, basterebbe spendere di più per l’istruzione per dare una svolta? Purtroppo le cose non stanno così: non basterebbe aumentare la spesa per migliorare la qualità e l’equità della scuola italiana se non venissero rimosse le ragioni profonde degli squilibri e dei ritardi che tuttora la caratterizzano: il suo carattere selettivo derivante dalla rigidità dei modelli organizzativi, dalla standardizzazione dei piani di studio, dalla discontinuità degli insegnanti a partire da quelli di sostegno, da una didattica che resta spesso trasmissiva sia in presenza che a distanza, dall’assenza di un organico piano di formazione in servizio dei docenti, da sindacati più interessati alla stabilità dei posti di lavoro che all’incentivazione della qualità delle prestazioni professionali del personale.
I soldi servono, eccome, ma diventano un investimento produttivo solo se posti al servizio di un serio e motivante progetto di miglioramento, ripetiamo, della qualità e dell’equità del sistema di istruzione italiano. Altrimenti restano spesa e basta. Noi lo diciamo da anni, forse decenni, documentando e supportando queste valutazioni con dati, analisi, comparazioni. Ma non passa.
5. Eduscopio 2020 (che la Cgil vorrebbe bloccare): a Milano affermazione delle scuole paritarie
Eduscopio è la mappa qualitativa degli istituti secondari superiori che la Fondazione Xxxxxxx mette da sette anni a disposizione dei genitori italiani, soprattutto quelli che hanno i figli in terza media, per fornire loro elementi di valutazione ai fini della scelta dell’istituto migliore ai quali iscriverli.
Quest’anno Xxxxxxxxx ha preso in considerazione i risultati ottenuti nel primo anno di università (media dei voti e crediti formativi) da chi è stato matricola nel 2015, 2016 e 2017 provenendo dal rispettivo liceo o istituto (classico, scientifico, linguistico, tecnico): ben un milione e 750 mila studenti. Non sono mancate le sorprese, in positivo e in negativo, ma tendenzialmente il ranking ha premiato molte delle scuole che già nelle scorse edizioni di Eduscopio occupavano i primi posti, a partire da alcuni licei classici paritari d’eccellenza (anche per i costi) concentrati in particolare a Milano, dove occupano cinque dei primi dieci posti. In testa l’istituto Sacro Cuore, che si ispira all’insegnamento di Xxx Xxxxxxxx, fondatore di Comunione e Liberazione, seguito da altri due istituti paritari, l’Xxxxxx Xxxxxxx e il San Xxxxxxxx. Solo quarto il liceo classico statale Xxxxxxxx Xxxxxxx.
Si va consolidando insomma, sia pure (per ora) soprattutto a Milano, la disponibilità delle famiglie benestanti a spendere somme di una certa consistenza (in genere circa 5.000 euro di retta base, in alcuni casi di più, oltre il costo di numerosi servizi e attività integrative a richiesta) per l’istruzione dei figli nelle scuole paritarie scegliendo in particolare il liceo classico, seguito dallo scientifico.
È probabilmente questa tendenza, evidenziata dalle classifiche di Eduscopio, ad aver indotto la Flc Cgil a parlare, in una dura nota apparsa sul suo sito, del ritorno di “una logica classista di età gentiliana, che classifica le scuole sulle richieste del mondo del lavoro su indicatori del tutto aleatori e parziali (percentuale di contratti degli studenti diplomati, percentuale di neet, media del voto di uscita, percentuale di successo nel primo e nel secondo anno di università …), eliminando di fatto il valore sociale, educativo e culturale dell’azione delle istituzioni scolastiche rimpiazzato da indicazioni di ‘borsa’ e logiche di mercato”.
Non può non destare qualche preoccupazione, tuttavia, l’invito rivolto dal sindacato al Ministero a “intervenire bloccando queste operazioni di mercato che non aiutano a scegliere i percorsi scolastici per la validità culturale che possono avere, bensì instaurano una competizione fra alunni, docenti, scuole che non solo si presta alla strumentalizzazione dei media (tutti i giornali oggi parlano di classifiche’ e ‘pagelle’), ma fornisce un disservizio alla comunità educante, impegnata alla costruzione di persone e non di numeri”.
E come dovrebbe “intervenire” il Ministero? Censurando in qualche modo Eduscopio (ma come potrebbe?) o, come sembra di capire dalle ultime righe del comunicato (“Auspichiamo che il Ministero apra al più presto con dirigenti, docenti, studenti e con le organizzazioni sindacali una seria interlocuzione sul sistema nazionale di valutazione e sul ruolo dell’Invalsi”), chiedendo all’Invalsi di fare il controcanto alle classifiche della Fondazione diretta da Xxxxxx Xxxxxxx, sempre redatte peraltro con rigore scientifico e con sabauda reverenza per l’oggettività dei
dati? E con quali strumenti potrebbe procedere l’Invalsi se si vuole anche che i risultati dei singoli istituti non vengano resi pubblici?
Per conto nostro bisogna essere grati alla Fondazione Agnelli, che fornisce uno strumento alle famiglie utile per affrontare una scelta delicata, nella desolante mancanza di un efficace orientamento che contraddistingue la scuola italiana (a tutti i livelli) e che rappresenta una delle cause principali del grave tasso di dispersione tra i 18 e i 24 anni in Italia (che si colloca al 23esimo posto su 27 in Europa, a proposito di classifiche).
6. Contratto DDI/1: lo schieramento sindacale scricchiola
Alla fine, il contratto sulla didattica digitale è stato sottoscritto anche dalla FLC CGIL. Il contratto riguarda, in effetti, la didattica digitale integrata, ossia qualcosa di più e di diverso dalla situazione di emergenza che costringe ad erogare le lezioni in via telematica. La didattica digitale integrata, difatti, in linea teorica è un modello educativo che affianca modalità didattiche innovative alla tradizionale lezione in presenza, facendo leva sull’uso delle nuove tecnologie. Oggi, in realtà, siamo semplicemente di fronte al riproporsi di una situazione di emergenza epidemiologica che suggerisce (impone?) di limitare gli spostamenti fisici di docenti, alunni e famiglie, per evitare che gli assembramenti inevitabilmente determinati dall’attività scolastica amplifichino la propagazione del virus.
Servirà al più presto una riflessione metodologica più avanzata. Quello che è importante sottolineare sin d’ora è che la scelta della FLC CGIL rafforza questo importante contratto, atteso dal mondo della scuola per conferire un quadro di riferimento normativo (e, quindi, organizzativo) alla didattica del tempo della pandemia. Non è escluso che altre adesioni intervengano nei prossimi giorni (Snals?), mentre piuttosto netta sembra essere la posizione negativa di Xxxxx e UIL Scuola.
La UIL Scuola è arrivata a chiedere un referendum tra i lavoratori della scuola per decidere sulla validità del contratto. Problema complesso, quello dei referendum sui contratti, spesso propugnati dalla sigla che, di volta in volta, non si riconosce nei testi finali e che pensa di ricorrere alla consultazione referendaria per dare, così, una “spallata” al contratto contestato. Nell’annoso dibattito tra organizzazioni sindacali che ritengono che il referendum sui contratti sia un oggettivo indebolimento della rappresentatività dei sindacati, già legittimata dal mandato associativo e dai numeri delle elezioni per le RSU, e organizzazioni che, in via di principio, ritengono necessario confortare sistematicamente il contratto sottoscritto tramite il referendum, la UIL Scuola si era finora collocata piuttosto nel primo quadrante che nel secondo. In ogni caso, la discussione sulla materia ha generalmente riguardato i CCNL e non la contrattazione integrativa, com’è il caso di cui stiamo parlando.
7. Contratto DDI/2. C’era una volta la Trimurti
Dopo un decennale periodo di collaborazione, culminato nel grande sciopero anti “Buona Scuola” del 5 maggio 2015, e proseguito fino alle trattative per la stabilizzazione del personale precario, condotte unitariamente con vari ministri della PI, fino a Fioramonti, il fronte dei principali sindacati della scuola si è spaccato. È così venuta meno la “Pentamurti”, il nomignolo affibbiato dai sindacati di base antagonisti ai cinque sindacati storicamente rappresentativi del personale della scuola (Flc Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Xxxxx e Snals) derivante da un ampliamento a cinque della “Trimurti”, denominazione lanciata a suo tempo dalla stampa conservatrice per criticare la collaborazione tra i tre sindacati confederali.
All’origine della spaccatura il dissenso di Uil scuola, Xxxxx e Snals sulla sottoscrizione del contratto integrativo in materia di DDI (Didattica Digitale Integrativa), siglato invece da due soci storici della Trimurti, Flc Cgil e Cisl scuola, e dalla neofita Anief, diventata sindacato rappresentativo dopo le ultime elezioni per il rinnovo delle RSU, svoltesi nel 2018, e che ha avuto tra le sue fila anche l’attuale ministra Xxxxx Xxxxxxxx prima della sua elezione in Parlamento.
Il fatto nuovo, quello che sembra politicamente più rilevante, è l’uscita della Uil scuola dal patto triconfederale, che viene giustificata dal suo segretario Xxxx Xxxx con la mancanza, nel contratto sulla DDI, di “regole certe e di elementi fondamentali quali tempi, tipo e modalità della prestazione lavorativa richiesta ai docenti”. La Uil scuola (ma in modo altrettanto esplicito anche Xxxxx attraverso una dichiarazione del suo leader Xxxx Xx Xxxxxx) contesta il fatto che a regolare le prestazioni richieste ai docenti sia non un vero contratto (“Per la UIL i contratti devono essere chiari e intellegibili, senza elementi di ambiguità interpretativa; una volta
firmati si applicano, non hanno bisogno di dichiarazioni o circolari esplicative”) ma un “atto amministrativo” (il riferimento è alla nota esplicativa firmata dal capo Dipartimento Xxx Xxxxxxx).
Per la Uil scuola servirebbe “se non proprio una legge quadro che introduca la didattica integrata a distanza nelle scuole”, visto che “la scuola è funzione dello Stato”, almeno una ipotesi di contratto organica e completa, da sottoporre comunque a referendum, che “offra ai lavoratori la forza di una scelta basata sul consenso, sulla condivisione, su regole certe, su diritti che abbiano fondamenta solide, non su palafitte dondolanti sull’onda dell’emergenza e dia una risposta di partecipazione democratica, l’unica che ci può mettere insieme per combattere il pericoloso nemico pandemico”.
C’era una volta la Trimurti…
8. Contratto DDI/3. Un nuovo inizio, per un nuovo sindacato?
Diverse le motivazioni della UIL Scuola a sostegno della propria ostilità nei confronti del CCNI appena sottoscritto. La Uil Scuola contesta che la DDI sia stata introdotta “surrettiziamente” tramite un atto amministrativo (le linee guida), senza un supporto legislativo, in quanto la legge 41/2020, di conversione del decreto legge 22/2020, avrebbe sancito l’obbligatorietà della sola didattica a distanza in condizioni di emergenza sanitaria, ma non della DDI. Sarebbe certo materia di infinite discussioni il tema se tale necessità normativa sussista effettivamente, o se non sia sufficiente la formulazione dell’art. 395 del Testo Unico sulla scuola, che definisce in via generale la funzione docente, e i cui contenuti possono poi declinati tramite atti amministrativi, per quanto opportunamente “partecipati”, ovvero contratti, per la parte riguardante la prestazione lavorativa in sé considerata. Difficile, tuttavia, sottrarsi alla considerazione che la distinzione è sottile, e tale da legittimare il dubbio se, nelle condizioni date, sia poi politicamente migliore, per il sindacato, l’alternativa di lasciare mano libera alla controparte, in nome del purismo scientifico e giuridico, rifiutando di “sporcarsi le mani” tramite la regolazione pattizia della materia.
Naturalmente, la posizione della Uil Scuola non è limitata a questa sola considerazione di legittimità. L’esecutivo del sindacato pone, nel suo documento del 13 novembre, una serie di domande: l’abitazione è un luogo di lavoro? E’ ambiente educativo? Un’ora di lezione in presenza equivale ad un’ora on line? La sicurezza come viene configurata? E la privacy? Come si garantisce la vigilanza? E gli infortuni sul lavoro? Come si garantisce la proprietà intellettuale? Le piattaforme private sono sicure? Alcune di queste domande, in realtà, mettono in discussione il concetto stesso di smart working, che si sta affermando in modo sempre più diffuso ben oltre i confini del mondo scolastico. In effetti, se l’abitazione non è da considerarsi luogo di lavoro, questo vale per i docenti come per le decine di migliaia di lavoratori attualmente impegnati nel lavoro a distanza, così come valgono per tutti le problematiche attinenti alla sicurezza, agli infortuni sul lavoro, e via elencando.
La posizione della Gilda è parimenti negativa, come si diceva, e riguarda, nelle parole del coordinatore nazionale, Xxxx Xx Xxxxxx, la necessità di una più puntuale regolamentazione della materia.
Certo è che, in fine dei conti, la materia va regolata, a meno che non si affermi che sia necessario continuare ad erogare la prestazione didattica esclusivamente in presenza e che, pertanto, la disciplina di quella a distanza non sia necessaria. Posizione, quest’ultima, che potrebbe trovare un autorevole supporto in viale Trastevere…
9. Iscrizioni online 2021: possibile inserire la domanda dal 4 al 25 gennaio. Inviata la nota del MI
Inviata a tutti gli istituti scolastici la nota con le indicazioni per le iscrizioni online all’anno scolastico 2021/2022. Le iscrizioni saranno online per tutte le classi prime della scuola primaria, secondaria di primo e secondo grado statale. L’adesione alla procedura d’iscrizione online è facoltativa per le scuole paritarie. L’iscrizione si effettua, invece, in modalità cartacea per la scuola dell’infanzia. Per affiancare i genitori nella scelta è disposizione un’App del portale “Scuola in Chiaro” che consente di accedere con maggiore facilità alle principali informazioni relative a ciascun istituto.
Ci sarà tempo dalle 8:00 del 4 gennaio 2021 alle 20:00 del 25 gennaio 2021 per inoltrare la domanda. Ma ci si potrà registrare sul portale dedicato (xxx.xxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxxxxxx/) già a partire dalle ore 9:00 del 19 dicembre 2020. Chi
è possesso di un’identità digitale (SPID) potrà accedere al servizio utilizzando le credenziali del proprio gestore e senza effettuare ulteriori registrazioni.
Saranno online anche le iscrizioni ai percorsi di istruzione e formazione professionale erogati in regime di sussidiarietà dagli istituti professionali e dai centri di formazione professionale accreditati dalle Regioni che, su base volontaria, aderiscono al procedimento di iscrizione in via telematica.
Potranno essere iscritti i bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni compiuti entro il 31 dicembre 2021. Potranno essere iscritti anche i bambini che compiono il terzo anno di età entro il 30 aprile 2022. Sarà possibile scegliere tra tempo normale (40 ore settimanali), ridotto (25 ore) o esteso fino a 50 ore.
Sarà possibile iscrivere alle classi prime della scuola primaria i bambini che compiono 6 anni di età entro il 31 dicembre 2021. Potranno essere iscritti anche i bambini che compiono 6 anni dopo il 31 dicembre 2021, ma entro il 30 aprile 2022. In subordine rispetto all’istituto scolastico che costituisce la prima scelta, si potranno indicare, all’atto di iscrizione, fino a un massimo di altri due istituti.
All’atto dell’iscrizione, le famiglie esprimeranno le proprie opzioni rispetto alle possibili articolazioni dell’orario settimanale che può corrispondere a 24 ore, 27 ore (elevabili fino a 30), o 40 ore (tempo pieno).
Nella scuola secondaria di primo grado, al momento dell’iscrizione, le famiglie esprimeranno la propria opzione rispetto all’orario settimanale, che può essere articolato su 30 ore oppure su 36 ore, elevabili fino a 40 ore (tempo prolungato). In subordine rispetto all’istituto scolastico che costituisce la prima scelta, si potranno indicare, all’atto di iscrizione, fino a un massimo di altri due istituti.
Nella scuola secondaria di secondo grado, le famiglie effettueranno anche la scelta dell’indirizzo di studio, indicando l’eventuale opzione rispetto ai diversi indirizzi attivati dalla scuola. In subordine rispetto all’istituto scolastico che costituisce la prima scelta, si potranno indicare, all’atto di iscrizione, fino a un massimo di altri due istituti.
La nota ricorda alle famiglie che i contributi scolastici sono assolutamente volontari e distinti dalle tasse scolastiche che, al contrario, sono obbligatorie, ad eccezione dei casi di esonero. Le famiglie dovranno essere preventivamente informate sulla destinazione dei contributi, in modo da poter conoscere le attività che saranno finanziate con gli stessi, in coerenza con il Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF).
Per la gestione delle eventuali iscrizioni in eccedenza, ciascuna scuola individuerà specifici criteri di precedenza, mediante delibera del Consiglio di istituto da rendere pubblica prima dell’acquisizione delle iscrizioni stesse. I criteri dovranno essere definiti in base a principi di ragionevolezza come, ad esempio, la viciniorietà della residenza dell’alunno o particolari impegni lavorativi delle famiglie. La nota ricorda che è da evitare il ricorso a eventuali test di valutazione come criterio di precedenza.