ASSOCIAZIONE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI DELLE TRE VENEZIE
IL COMMERCIALISTA VENETO n. 000 - XXXXX / XXXXXX 0000
ASSOCIAZIONE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI DELLE TRE VENEZIE
INSERTO
IL CONTRATTO DI AGENZIA
Xxxxx Xxxxxxxxxx
Avvocato in Treviso
IL CONTRATTO DI AGENZIA
Xxxxx Xxxxxxxxxx
Avvocato in Treviso
I L’agente di commercio
I.1. Riferimenti normativi
La disciplina del contatto di agenzia è particolarmente articola- ta. Alle disposizioni normative – recentemente incise, anche massicciamente, dalla normativa comunitaria – si aggiunge, come noto, la disciplina della contrattazione collettiva.
I riferimenti normativi si traggono, anzitutto, dagli artt. 1742- 1752 c.c., a mezzo dei quali è stata introdotta nel nostro ordina- mento una figura contrattuale ignota al Codice di Commercio del 1892 (che si limitava a disciplinare il c.d. “mandato com- merciale”).
La direttiva CEE 653/86 (i cui principi sono stati trasposti nel nostro ordinamento dalla Legge 303/1991 e dalla Legge 65/ 1999), nell’ottica di una armonizzazione comunitaria dei princi- pi fondamentali del rapporto, ha fortemente modificato l’im- pianto codicistico dell’istituto.
Del resto, non va trascurato l’impatto avuto sulla fattispecie dalle norme della c.d. contrattazione collettiva (i c.d. Accordi Economici Collettivi, cui si deve la regolamentazione di aspetti, anche molto rilevanti, del rapporto).
Il corretto inquadramento della fattispecie concreta va dunque svolto riguardandosi al contratto (che, per legge, deve essere esteso in forma scritta, ad probationem), alla disciplina codicistica e, nondimeno, alla disciplina comunitaria (che, nel rapporto tra fonti normative prevale su quella interna incompa- tibile, ancorché non recepita in normativa interna); non doven- dosi, poi tralasciare l’impatto degli A.E.C., quando richiamati o comunque applicabili al rapporto.
La frammentarietà del sistema delle fonti suggerisce, pertanto, una adeguata stesura degli accordi negoziali ed una attenta va- lutazione preventiva delle finalità e del programma di sviluppo del concreto rapporto.
Questo intervento si prefigge, dunque, la finalità di tracciare una, pur generica, panoramica di taluni aspetti particolarmente problematici dell’agenzia e di fornire, sulla scorta degli attuali orien- tamenti giurisprudenziali e dottrinali, la risposta a quesiti specifici
che emergeranno nel corso del dibattito che lo chiuderà.
I.2. L’agente
L’art. 1742 c.c. definisce il contratto di agenzia come quello con cui “una parte assume stabilmente l’incarico di pro- muovere per conto dell’altra, verso retribuzione la conclu- sione di contratti in una zona determinata”.
L’attività caratteristica è, quindi, quella della promozione dei contratti.
Attività, questa, che, nell’opinione della giurisprudenza, non si sostanzia nel mero ‘proporre’, nella sterile visita della cliente- la, rendendosi necessaria (e qualificante, per la fattispecie) quell’opera di convincimento che rappresenta compito speci- fico dell’agente e che vale, tra altre cose, a differenziare la figura dell’agente da altre, ricondotte al lavoro subordinato (es. il propagandista, l’informatore farmaceutico) che si limitano a proporre; non già a proporre per convincere2.
L’agente è tendenzialmente libero nello sviluppo della propria attività promozionale: il come egli decida di fare promozione è sostanzialmente affar suo3 (ovviamente, nei limiti di quello che è il potere direttivo del preponente).
L’attività dell’agente si caratterizza anche per la stabilità dell’in- carico. L’avverbio stabilmente riveste importanza centrale nel- l’inquadramento della fattispecie, ove, ad esempio, la stabilità ed il suo concetto tracciano una importantissima distinzione tra la figura dell’agente e quella del procacciatore d’affari (cfr. infra). In via di prima approssimazione, può sostenersi che l’agente nella propria zona può (e deve) concludere o far concludere al proprio preponente tutti gli affari possibili.
La stabilità, dunque, non si esaurisce nella mera continuità tem- porale (o, comunque, in una visione banalmente diacronica del rapporto) ma va ricercata all’interno di quel potere/dovere che informa di sé l’attività, nello svolgimento del rapporto stesso. Così che, sintetizzando, il procacciatore d’affari – ancorché la sua attività possa, per avventura, svolgersi oltre il singolo, spe- cifico affare ed avere una continuità temporale – svolge sin- goli, specifici affari, non correlati dall’elemento della stabilità
1 Trascrizione, con adattamenti, dei lavori di un incontro di approfondimento sul rapporto di agenzia tenutosi in data 20.7.2014 presso l’Associazione Piccole e Medie Industrie Friuli Venezia Giulia – CONFAPI in Udine. L’incontro (che non tiene conto delle –successive – modifiche apportate alle norme della Contrattazione Collettiva) si è articolato in due fasi: la prima, di richiamo degli istituti d’interesse, concordati con l’Associazione; la seconda, più schiettamente “partecipativa”, con la risposta a una serie di quesiti posti dai partecipanti.
2 Cfr. ex multis, Cassazione civile, Sez. Lavoro, 22 giugno 1999 n.6355; Xxxxxxxxxx xxxxxx, Xxx. Xxxxxx, 00 ottobre 2001 n.13027; Tribunale di Roma, 01 aprile 2008 con commento di X. Xxxxxxxxxxxx, “La sola propaganda non configura agente”, in Agenti & Rappresentanti n.2/2008.
3 Cfr. Corte d’Appello di Roma, Sez. Lavoro, 15 giugno 2005.
2
(cfr. Cassazione civile, Sez. Lavoro, 04 dicembre 1989 n.53224).
La linea di demarcazione tra le fattispecie – particolarmente nelle ipotesi, del tutto frequenti, di rapporti di procacciamento d’affari continuativi – è ovviamente molto sottile, ed impone grande attenzione, nella fase redazionale del testo negoziale quan- to in quella di svolgimento del rapporto, come vedremo, infra, nello specifico. Il rapporto di agenzia si esercita in una zona (la norma dell’art. 1742 c.c. parla di una “zona determinata”).
Torneremo sul concetto di zona (anche in relazione al tema dell’esclusiva), ma il concetto va inquadrato sin d’ora.
Risulta immediata l’associazione logica alla zona geografi- ca5. Il che, peraltro, non basta, poiché è nota, nell’evoluzione interpretativa6, l’estensione del concetto ad una lista di clien- ti, ovvero ad un genere o ad una tipologia di clienti (anche a prescindere dalla espressa indicazione d’una zona specifica). Ciò che maggiormente rileva, dunque, è la determinatezza o la determinabilità.
Il concetto identifica l’ambito di operatività del rapporto, in cui si esercita l’esclusiva (che del rapporto, come vedremo, è ele- mento naturale).
Può dirsi che, ricollegando il concetto di zona a quello di stabilità, la zona è l’ambito entro il quale l’agente può e deve esercitare la promozione di vendita, con il corollario del diritto alla provvigione (anche indiretta, come vedremo, per quanto attiene alle vendite promosse da altri nella zona di propria assegnazione) per tutte le vendite entro la stessa effettuate. Ancorché effettuate diretta- mente dalla mandante e senza intervento dell’agente. L’identifi- cazione della zona (assieme alla individuazione dei c.d. clienti direzionali, secondo quanto vedremo in appresso) rappresenta dunque uno dei momenti di massima attenzione nella fase redazionale del contratto. Troppo spesso, nel momento della ste- sura negoziale, si equivoca sul punto e frequenti risultano rapporti contrattuali in cui all’assegnazione di una zona geografica segue l’indicazione (troppo spesso, affidata agli allegati contrattuali e senza specificazioni integrative) di elenchi di clientela.
Il tutto, lasciando poi all’interprete il difficile compito di vaglia- re se, soprattutto in assenza di ulteriori indicazioni, l’elencazione di dettaglio valga ad escludere l’esclusiva negoziale al di fuori dell’elencazione di clientela.
I.3. Particolari figure di agente
In chiusura di questa prima parte, giova soffermarsi su talune figure tipiche di agente. Non abbisogna di particolari commen- ti quella dell’agente con rappresentanza. Bastando ricorda- re che la rappresentanza – come potere di conclusione del
rapporto contrattuale con il cliente in nome e per conto della mandante – non è elemento essenziale, né tantomeno naturale del rapporto di agenzia. Talché il potere rappresentativo non compete all’agente se non gli viene specificamente attribuito. Per quanto all’agente con deposito, si tratta di fattispecie tipica, particolarmente in taluni settori, nei quali vi è particolare esigenza di approvvigionamento della clientela. Talché l’agen- te (tendenzialmente con rappresentanza) assomma anche la qualifica di depositario, potendo assolvere, oltre alla funzione della promozione e della vendita (agente con rappresentanza), anche quella di consegna ed approvvigionamento del cliente7. Leggermente diversa la figura dell’agente che opera in c.d. tentata vendita (tipica, ad esempio, nel settore del commer- cio al dettaglio di caffè e bevande), che si configura come quella di un agente con rappresentanza che reca con sé – appunto, per la tentata vendita – la merce che auspicabilmente collocherà presso la clientela (e che carica con cadenza fre- quente, direttamente presso la mandante).
Mentre la figura dell’agente con deposito non crea particolari dubbi interpretativi, quella dell’agente in tentata vendita rischia di impattare con talune figure di lavoratori dipendenti (nel caso in cui essi visitino la clientela, risultino muniti di potere rappre- sentativo per quanto alla conclusione di contratti e provvedano direttamente alla consegna dei prodotti).
In tal contesto, ovviamente, risulta particolarmente pericolosa la sovrapposizione tra lavoro subordinato e agenzia, donde la previsione dell’art. 1 degli AEC 2002, secondo cui debbono essere in ogni caso rispettati “i principi di autonomia ed in- dipendenza nello svolgimento dell’attività e che non sia- no previsti obblighi di orario di lavoro e di itinerari predeterminati”.
Analoghi problemi di sovrapposizione si pongono per quanto alla figura dell’agente generale, il quale assomma agli ordi- nari compiti promozionali anche dei compiti di coordinamen- to degli agenti in uno specifico territorio8. In base a giurispru- denza granitica, obblighi, doveri e compiti di coordinamento non debbono mai essere completamente pervasivi, rispetto al- l’obbligo di promozione di vendita, che rimane fondamentale9. Per quanto, invece, all’agente monomandatario, basterà ram- mentare che si tratta di chi, di fatto, esercita attività di agenzia per un solo preponente.
Dovendosi sottolineare sin d’ora che in base a un orientamen- to consolidato della Corte di Cassazione è prescritta un’inda- gine, nella concreta realtà dei fatti, dell’esercizio effettivo del- l’attività per un solo preponente, anche a prescindere da quan- to indicato nel dettato contrattuale10.
4 Con tale sentenza la Corte di legittimità afferma il principio per cui caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell'attività dell'agente - non escluse ex post dalla esiguità del numero degli affari conclusi - di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell'ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo con quest'ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma con risultato a proprio rischio e con l'obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo. Per contro stabilisce la Corte, il rapporto di procacciatore d'affari si concreta nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all'imprenditore da cui ha ricevuto l'incarico di procurare tali commissioni.
5 Nel lontano 1978, la Cassazione, con sentenza n. 5822 del 7 dicembre 1978, affermava che “Il concetto di "zona" nel cui ambito l'agente assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto del preponente, la conclusione di contratti (art. 1742 c. c.) ha unicamente un significato territoriale geografico.”
6 Cfr. ex multis, Tribunale di Varese, 8 luglio 2001; in dottrina, X. Xxxxxxxxxxxx, L’agente di commercio e il contratto d’agenzia, Verona, 2009, p.70.
7 Per un approfondimento sul tema, cfr. ex multis, X. Xxxxx, Agenti o rappresentanti con deposito?, in Agenti & Rappresentanti di Commercio, fasc. n.3/2001;
C. Xxxx’Xxxx, L’agente con deposito. Aspetti civilistici, contrattuali e fiscali, in Agenti & Rappresentanti di Commercio, fasc. n.2/1999.
8 Interessanti spunti, anche sul tema de quo, A. Venezia, Compensazione impropria e contratto di agenzia, in Contratti, 2003, 5, 478.
9 Cfr. ex multis, Cassazione civile, Sez. Lavoro, 24 gennaio 1994 n.687; Pret. Milano, 17 dicembre 1996, n. 3835, in Lav. Giur., n. 4/1997, 329.
10 In questi termini, cfr. Cassazione civile, Sez. Lavoro, 06 novembre 2000 n.14444; in dottrina X. Xxxxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, Il contratto di agenzia commerciale, Cedam, 2003 – si segnala tuttavia contra Cassazione civile, Sez. Lavoro, 3 agosto 2007 n.17080, secondo cui “il diritto dell'agente monomandatario alla contribuzione su un più alto massimale sorge in funzione dell'esercizio effettivo dell'attività così particolarmente connotata, a prescindere dall'assunzio-
ne formale di uno specifico obbligo da parte del proponente”. 3
1.4. Il procacciatore d’affari
E’ particolarmente interessante, a questo punto, distinguere l’agente dal procacciatore d’affari11.
E’ noto che il procacciatore d’affari gode di un regime di tutela ben diverso (e minore) di quello attribuito all’agente. Non beneficiando, evidentemente e in ragione delle differenze ontologiche tra le due fattispecie, delle garanzie che presiedo- no alla interruzione del rapporto, piuttosto che della relativa tutela indennitaria12 come previste per il rapporto di agenzia. Del resto, risulta molto frequente (particolarmente in fase ini- ziale del rapporto) la tentazione d’inquadrare l’agente come un procacciatore d’affari13.
Detto, preliminarmente, che le finalità appena cennate possono essere soddisfatte ricorrendo ad istituti tipici endoagenziali (il riferimento, ovviamente, va al c.d. patto di prova, regolamentato espressamente anche dalla contrattazione col- lettiva), il cedere alla segnalata tentazione comporta, spesso, conseguenze aberranti o, comunque, molto pericolose per le imprese mandanti.
E’ invero ricorrente la prassi di rapporti in cui l’inquadramento del testo negoziale come “procacciamento di affari” viene clamorosamente smentito dal concreto atteggiarsi del rapporto stesso e, ancor più spesso, dal contegno della stessa mandante (giungendosi, nei casi più eclatanti, a comunicazioni di fissazio- ne di budget di fatturato; ovvero a comunicazioni di recesso con preavviso ovvero di recesso in tronco per giusta causa). Va nondimeno chiarito che, se, a dispetto di quanto indicato in contratto, con ricostruzione fatta a posteriori ed ‘in concreto’, può riconnettersi al rapporto una certa quale stabilità (individuabile, a mero titolo di esempio, nei volumi di fatturato, piuttosto che nello stesso sentirsi indotto, del preponente, a co- municare ‘recesso con preavviso’, come nell’esempio sopra svolto) ne risulta immancabilmente provata la sussistenza d’un rapporto di agenzia, cui accedono le relative tutele (potenzial- mente molto pesanti, in termini economici, per la mandante). Svolta questa doverosa precisazione, la ricostruzione dei limiti e della struttura della figura del procacciatore d’affari viene tratta, per analogia, dalla disciplina dell’agenzia, ovviamente in quanto compatibile14. Si applica, dunque, la disciplina della prov- vigione (ad esempio, per quanto concerne la relativa maturazione e la prescrizione del relativo diritto).
Al contrario (essendo incompatibile) non si applica la disciplina relativa al preavviso, né la tutela indennitaria del fine mandato di cui all’art. 1751 c.c.15 (il che, peraltro, ben si spiega con l’assenza di stabilità, tipica del procacciamento d’affari).
I.5. Xxxxxxx e rapporto di lavoro subordinato
Restano da identificare, in questa preliminare panoramica, le differenze che sussistono con il rapporto di lavoro subordi- nato. La tentazione di inquadrare collaboratori dell’impresa, sostanzialmente subordinati, nell’ambito dei rapporti di parasubordinazione, è frequente, particolarmente per quei col- laboratori attivi nell’ambito commerciale.
Risulta fondamentale, pertanto, tracciare le linee di demarcazione tra le due fattispecie, come individuate dalla giu- risprudenza.
In linea di prima approssimazione può dirsi che l’agenzia è ricollegata al lavoro autonomo, ma presenta due tratti salienti: la continuità (su cui già ci siamo intrattenuti) ed il lavoro non prevalentemente (o non necessariamente) proprio.
Tipico dell’agenzia, del resto, è la soggezione da parte del- l’agente al c.d. rischio d’xxxxxxx00, ma anche questo crite- rio, in sé e per sé, non ha valore assoluto.
Nel tentativo di trovare una linea di demarcazione più netta possibile, la dottrina, e soprattutto la giurisprudenza, si sono soffermate ad esaminare talune c.d. spie sintomatiche. Na- turalmente, trattandosi, appunto, di spie sintomatiche, è lecito dubitare della loro rilevanza discriminatoria, singolarmente pre- se; la rassegna che segue, tuttavia, fornisce un quadro signifi- cativo che l’interprete potrà (e dovrà) considerare in sede di redazione contrattuale (non meno che durante il rapporto).
Il testo negoziale, del resto, assume una certa rilevanza, al riguardo.
Benché, infatti, l’individuazione del rapporto come ‘agenzia’ debba ancorarsi al concreto atteggiarsi del rapporto stesso (talché occorre in concreto verificarne la sussistenza), le espressioni – che (normalmente) si utilizzano – circa la piena titolarità in capo all’agente d’un autonomo potere di organiz- zazione di mezzi - vanno, comunque, suggerite, poiché valgono ad escludere la diversa qualificazione del rapporto come su- bordinato, salva la rigorosa prova contraria. Quindi, con un onere probatorio aggravato, a carico di chi invochi la diversa qualificazione. Passando, dunque, in veloce rassegna tali indi- ci, valga quanto segue.
La retribuzione fissa (o in parte fissa), in assenza di altri sintomi non è, da sé, elemento qualificante della subordinazione. Anzi, molteplici sono le disposizioni (particolarmente nella di- sciplina collettiva) che fanno espresso riferimento ad una re- tribuzione (anche in parte) non provvigionale.
La giurisprudenza più recente, del resto, ammette la retribu- zione fissa17, ancorché non legata ad una mera ‘anticipazione
11 Per una panoramica sulla figura del procacciatore d’affari, X. Xxxxxxxxxx, I caratteri distintivi del procacciatore d’affari, in Agenti & Rappresentanti di Commercio, fasc. n.4/2004.
12 Cfr. ex multis, Cassazione civile, Sez. Lavoro, 28 agosto 2013 n.19828.
13 Evidente la finalità: avere un collaboratore ‘commerciale’ che non goda, come detto, di particolari tutele di legge, soprattutto nella fase terminativa del rapporto. 14 In questi termini si esprime Cassazione civile, Sez. Lavoro, 14 maggio 2007 n.11024: “Il diritto dell'agente alle provvigioni si prescrive in cinque anni ex art. 2948 c. c.; altrettanto vale per il procacciatore d'affari al quale sono applicabili in via analogica le disposizioni del contratto d'agenzia che non presuppongono un carattere stabile e predeterminato del rapporto.”.
15 Cfr. Cassazione civile, Sez. Lavoro, 24 giugno 2005 n.13629.
16 Cfr. ex multis, Cassazione civile, Sez. Lavoro, 1 settembre 1986 n. 5364; Cassazione civile, Sez. Lavoro, 26 novembre 1985 n. 5867, secondo cui “L'elemento essenziale e caratterizzante del rapporto di agenzia si sostanzia nella realizzazione da parte dell'agente di una attività economica organizzata, rivolta ad un risultato di lavoro che questi svolge autonomamente nell'interesse e per conto, ed eventualmente anche in nome, del preponente cui compete il limitato potere di impartire all'agente istruzioni generali di massima, oltre il diritto di pretendere ogni informazione utile per la valutazione della convenienza dei singoli affari, ricadendo il rischio economico e giuridico della attività suddetta esclusivamente sull'agente medesimo e differenziandosi perciò tale rapporto da quello di lavoro subordinato, del quale è elemento essenziale la prestazione di energie lavorative con soggezione al potere direttivo del datore di lavoro e nell'ambito di una organizzazione di cui il rischio ed il risultato fanno capo esclusivamente a quest'ultimo, con conseguente irrilevanza, ai fini della riconduzione ad una determinata fattispecie, all'uno o all'altro rapporto, di elementi marginali quali l'orario di lavoro e l'appartenenza dei mezzi o strumenti di produzione all'una o all'altra delle parti contraenti.”.
17 Cfr. Cassazione civile, Sez. Lavoro, 23 luglio 2012 n.12776; Xxxxxxxxxx xxxxxx, Xxx. Xxxxxx, 0 ottobre 1991 n.10558.
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provvigionale’. Nondimeno, il riconoscimento, d’un ‘fisso’ sot- to specie di anticipo provvigionale rappresenta una prassi deci- samente preferibile a quella del ‘fisso tout court’, poiché man- tiene in capo alla preponente il diritto di effettuare conguagli e conferma una correlazione tra il compenso e l’attività effetti- vamente e proficuamente svolta.
La giurisprudenza ravvisa un indice indiziario (ancorché privo di valore assoluto in sé solo considerato) nella soggezione ad un orario di lavoro.
La questione, peraltro, va sempre raccordata al potere del pre- ponente di fornire direttive; talché, quando la predeterminazione sia legata a logiche organizzative personali della mandante, l’im- posizione d’un orario di lavoro (o di una stretta calendarizzazione dell’attività dell’agente) induce a ritenere la sussistenza d’un rapporto di lavoro subordinato; quando, invece, risponde a logi- che di miglior organizzazione dell’attività promozionale, rientra nell’ambito del potere direttivo, tipico della preponente18 e la subordinazione va esclusa.
Ulteriore sintomo della subordinazione può ravvisarsi nella ne- cessità di coordinarsi con il preponente per la gestione delle ferie o della malattia. Ancora una volta, la pesante interfe- renza da parte del preponente nell’organizzazione del lavoro dell’agente incide sulla autonomia e sul diritto di organizzare la propria attività, che spetta per definizione a quest’ultimo.
Nondimeno, il potere di coordinamento (e di impartire direttive nell’esecuzione del mandato) non può essere confuso con il potere direttivo, tipico della sovraordinazione. Ove il tratto di- stintivo, ancora una volta, può essere individuato nel fine ultimo dell’esercizio del potere stesso, talché, quando il potere è eser- citato per una miglior organizzazione aziendale del mandante, esso è sicuramente sintomatico d’un potere sovraordinato e, per converso, d’un rapporto di lavoro subordinato19.
II La zona e l’esclusiva
II.1. La zona e le variazioni di zona
L’art. 1742 chiarisce che l’agente promuove la conclusione di contratti in una zona determinata, talché la zona costituisce un elemento essenziale del contratto di agenzia.
La giurisprudenza chiarisce che, in difetto d’indicazione nego- ziale della zona, si possa guardare all’ambito territoriale in cui le parti operano al momento della instaurazione del rapporto”20. Del resto, come già anticipato, se, in particolare prima dell’intervento armonizzatore della normativa CEE, si poteva dubitare che la zona fosse necessariamente un concet- to geografico e non potesse essere riferito a specifiche tipologie di prodotti o clienti, l’art. 7 della Direttiva CEE 653/86 ha espres- samente chiarito che ci si può riferire anche ad un determinato gruppo di persone o di prodotti.
Talché si impone, sotto questo profilo, una particolare attenzio-
ne nella redazione del testo contrattuale.
La possibilità di introdurre variazioni di zona (ovviamente, rife- rendoci, qui, alla possibilità di variare unilateralmente la zona, ad opera del preponente) è disciplinata dalla sola contrattazio- ne collettiva21. Talché, qualora il rapporto contrattuale non vi sia soggetto (oltre che nei casi consueti, anche per mancato richiamo della relativa normativa ovvero per disapplicazione) la variazione unilaterale non è consentita e costituisce fattispecie di inadempimento.
Gli AEC del 2002 conoscono variazioni unilaterali (di zona, pro- dotti e provvigioni), distinguendo:
– variazioni lievi (entro il 5% delle provvigioni dell’anno precedente): con obbligo di comunicazione scritta efficace dalla ricezione (si noti: per evitare abusi, la disciplina prevede il cu- mulo delle variazioni, talché l’insieme delle variazioni lievi, en- tro l’anno, si considerano unica e più rilevante variazione);
– variazioni medie (tra il 5 ed il 20%): con obbligo di co- municazione scritta con preavviso di due mesi (4 per i monomandatari);
– variazioni sensibili (oltre il 20%): con obbligo di comuni- cazione scritta ad substantiam e preavviso pari a quello per la risoluzione del rapporto. Dalla data di ricezione d’una variazio- ne sensibile, all’agente spetta un termine di 30 giorni per di- chiarare per iscritto che non accetta la variazione. Da tale mo- mento la fattispecie si trasforma in recesso con preavviso ad opera del preponente.
Basterà ricordare che gli AEC del 2009 hanno innovato la di- sciplina sia sotto il profilo del cumulo (non circoscritto alle va- riazioni lievi, ma esteso a quelle medie ed allargato ai 18 mesi precedenti, 24 per monomandatari), che sotto il profilo della previsione d’una indennità sostitutiva del preavviso, quando non rispettato dalla mandante.
II.2. L’esclusiva
Quanto all’esclusiva, la norma dell’art. 1743 c.c. la disciplina come un c.d. elemento naturale del contratto.
Spettando, per legge, bilateralmente: sia in favore dell’agente che in favore del preponente.
In sintesi estrema, il diritto di esclusiva postula che l’agente non possa vedersi invaso nella propria zona; nel mentre, che l’agente non possa promuovere prodotti in concorrenza con quelli della propria mandante.
Il fatto, però, che si tratti d’un elemento naturale implica la piena derogabilità del regime di legge22.
Con deroga che, quando non espressa, è desumibile anche per via indiretta – cfr. Cassazione civile, Sez. lavoro, 30 luglio 2004, n. 14667 (purché, peraltro e quando la deroga avvenga tacitamente o per facta concludentia, la stessa possa desumersi da contegni chiari ed univoci).
La giurisprudenza ha chiarito, nel tempo, che la deroga per via
18 Cfr. ex multis, Cassazione civile, Sez. Lavoro, 18 dicembre 1986 n.7714; Xxxxxxxxxx xxxxxx, Xxx. Xxxxxx, 00 agosto 2001 n.11264; Xxxxxxxxxx xxxxxx, Xxx. Xxxxxx, 00 maggio 2002 n.7087.
19 In dottrina, cfr. X. Xxxxxxxxxxxx, Agenti e ausiliari del commercio in genere, in Agenti & Rappresentanti di Commercio, fasc. n.1/1996.
20 Cfr. Cassazione civile, Sez. Lavoro, 4 settembre 2013 n.2032; Cassazione civile, Sez. Lavoro, 4 maggio 1981 n. 2720.
21 Si segnala, peraltro, in punto, X. Xxxxxxxxxxx, Il diritto di esclusiva nel rapporto di agenzia, in Contratti, 2014, 1, 73, secondo il quale alle variazioni di zona potrebbero applicarsi i principi dettati dalla Corte di Cassazione - Cassazione civile, Sez. lavoro, 20 maggio 1997, n. 4504 - in tema di modifica unilaterale della lista dei c.d. clienti direzionali.
22 Cfr. ex multis, Corte d’Appello di Torino, 1 agosto 2000; Tribunale di Monza, 9 novembre 2006 secondo cui “la clausola di esclusiva non ha mai natura vessatoria, nemmeno quando il contratto sia stato unilateralmente predisposto e concluso mediante adesione ad un formulario”, con commento “Rassegna di Merito”, in Contratti, 2007, 7, 677; conforme a quest’ultima Cassazione civile, Sez. lavoro, 3 maggio 2001, n. 6369; in dottrina X. Xxxxxxxxx, Mutamen-
to di zona e disponibilità dei diritti nel contratto di agenzia, in Lavoro nella Giur., 2000, 10, 959. 5
indiretta può trarsi:
- dalla riserva di clienti in favore della mandante (c.d.
clienti direzionali)23;
- dalla concreta operatività sul mercato, da parte del- l’agente, a vantaggio di concorrenti della mandante, con inca- richi specificamente segnalati24;
- dalla espressa indicazione in contratto d’un elenco di clienti cui risulti circoscritta l’esclusiva25;
- dalla contemporanea presenza di più agenti, nella stes- sa zona, con elencazione di clienti xxxxxxx00;
- più in generale, da un comportamento, contemporaneo o successivo al contratto, che deroghi all’esclusiva27.
Alla violazione dell’esclusiva consegue un inadempimento e, pertanto, un illecito contrattuale28; illecito che garantisce al pre- ponente il diritto di recedere (nei casi più gravi, in tronco) dal rapporto di agenzia. Già si è specificato, più sopra, come il con- cetto di esclusiva vada nettamente distinto, concettualmente, dal monomandato. Fattispecie, quest’ultima che prevede – con valutazione da farsi, come detto, in concreto – che l’agente non svolga attività per alcuna altra preponente.
L’esclusiva, invece, ha diretta relazione con la zona (oltre che, ovviamente, col divieto per l’agente di operare per aziende concorrenti nell’ambito dello stesso ramo di attività; o, per la mandante, di valersi contemporaneamente di altri agenti per lo stesso ramo di attività e nella stessa zona).
Il concetto – rilevante anche per quanto infra – di ‘stesso ramo di attività’ è individuato dagli AEC, talché non si ha con- correnza quando ci si riferisca a generi di prodotti che per foggia, destinazione e valore d’uso siano diversi tra loro.
Come già sopra evidenziato, del resto, la tesi per cui la zona può coincidere anche con un elenco nominativo di clienti indu- ce a ritenere valide pattuizioni introducenti una esclusiva limi- tata ad affari con clienti specifici; il che esclude che all’agen- te possano spettare le c.d. provvigioni indirette per affari con- clusi con clienti esclusi dal detto elenco.
La tematica può chiudersi con una doverosa sottolineatura rispetto al tema delle c.d. provvigioni indirette. Provvigioni che, in virtù dell’esclusiva e salve le deroghe sopra specificate, spettano all’agente per tutte le vendite effettuate dalla man- dante (anche direttamente) nella zona allo stesso assegnata.
III Divieto di concorrenza post contrattuale – il patto di non concorrenza
Occorre tracciare una prima differenza tra la concorrenza sleale (ed il relativo divieto, sancito dagli artt. 2598 e ss c.c., la cui violazione dà luogo ad un illecito extra contrattuale), e gli
obblighi di non concorrenza pattizi.
Questi ultimi, ovviamente, hanno la propria fonte non già in un obbligo di legge, ma in una regolamentazione negoziale, ancorché entro i limiti tracciati dall’attuale formulazione dell’art. 1751 bis c.c.; talché la loro violazione integra una vera e pro- pria responsabilità contrattuale (con le conseguenze, anche di ordine probatorio, prescrizionale e processuale, ricollegate a questa fattispecie peculiare).
Poco sopra, trattando dell’esclusiva, abbiamo esaminato gli ob- blighi di non concorrenza che gravano ex lege sull’agente e le deroghe che tali obblighi possono subire.
Restano, ora, da analizzare gli obblighi che possono gravare (sull’agente) al termine del contratto e dopo di esso (con la precisazione che quando, di seguito, ci riferiremo ad un “patto di non concorrenza” faremo esclusivo riferimento al “patto di non concorrenza post-contrattuale” disciplinato dall’art. 1751 bis c.c.). Si possono dare – ne tratteremo – potenziali sovrapposizioni tra contegni di concorrenza sleale e violazioni di obblighi negoziali di non concorrenza post-contrattuale, ma le due fattispecie vanno distinte nettamente.
La disciplina normativa del patto di non concorrenza è stata introdotta ex lege nel nostro ordinamento per effetto della di- rettiva CEE 653/86.
In ossequio alla normativa comunitaria, il D.Lgs. 303/91 ha introdotto ex novo nel nostro ordinamento l’art. 1751 bis c.c. Nel mentre, la legge 422 del 2000 ha introdotto il secondo comma della stessa norma, col relativo obbligo di retribuzione.
In effetti, prima di questi interventi normativi, molteplici, e spesso contraddittorie, erano state le interpretazioni dottrinarie e giurisprudenziali sui limiti di validità di un patto di non concor- renza in materia di agenzia, la cui disciplina veniva tratta per via analogica da discipline anche molto diverse tra loro, quali quella, generale, del patto di non concorrenza (art. 2596 c.c.) e quella del patto di non concorrenza prevista per il lavoro subor- dinato. Attualmente, la norma dell’art. 1751 bis c.c. prevede la forma scritta ad substantiam; circoscrive il vincolo alla mede- sima zona, clientela e generi di prodotti e servizi per cui era stato concluso il contratto di agenzia e fissa il limite massimo di durata nei due anni successivi all’estinzione del contratto.
Innumerevoli sono stati i dubbi di carattere interpretativo ge- nerati dalla nuova fattispecie, di cui in seguito forniamo una veloce panoramica, pur senza pretesa di completezza.
Per quanto alla zona oggetto del divieto di concorrenza valga sottolineare che la norma parla di “stessa zona per cui era stato concluso il contratto”29.
Si è posto il dubbio, particolarmente in dottrina, di come impattino, sui limiti del patto in esame, le c.d. “variazioni unila- terali”. In effetti, a fine contratto, la zona potrebbe essere molto
23 Cfr. Cassazione civile, Sez. lavoro, 9 ottobre 2007, n. 21073, con commento di X. Xxxxxxx, Contratto di agenzia - L'osservatorio delle Corti Superiori, in Obbligazioni e Contratti, 2008, 2.
24 Cfr. Cassazione civile, Sez. lavoro, 2 aprile 2004, n. 6552.
25 Cfr. Cassazione civile, Sez. lavoro, 23 aprile 2002, n. 5920.
26 Cfr. Cassazione civile, Sez. lavoro, 30 maggio 1991, n. 6093.
27 Cfr. Cassazione civile, Sez. lavoro, 28 aprile 1992, n. 5083.
28 Cfr. Cassazione civile, Sez. lavoro, 17 maggio 1993, n. 5591 con commento di X. Xxxxxx, In tema di diritto di esclusiva dell'agente, in Giurisprudenza Italiana, 1995, 3; in dottrina si segnalano sul tema: Galbiati, Obbligo di esclusiva dell’agente e sviamento di clientela, in Foro Padovano, 2002, I, 470; X. Xxxxxxxxxxx, Il diritto di esclusiva nel rapporto di agenzia, in Contratti, 2014, 1, 73 e X. Xxxxx, Il contratto di agenzia, Milano, 2008, secondo cui nel caso in cui l’agente eserciti in proprio un’attività concorrente, si configura verso il preponente il cumulo delle due forme di responsabilità, contrattuale ex art. 1743
c.c. ed extracontrattuale ex art. 2598 c.c.
29 Cassazione civile, Sez. Lavoro, 30 dicembre 2009 n. 27839 ha chiarito che “in caso di patto di non concorrenza inserito in un contratto di agenzia, esso può ritenersi operante, ai sensi dell'art. 1751 bis, primo comma, c. c. , soltanto per la medesima zona e clientela per la quale era stato concluso il contratto di agenzia, mentre deve essere ritenuto nullo per la parte eccedente.”; Cassazione civile, Sez. Lavoro, 16 settembre 2010 n.19568 ha ulteriormente precisato l’esclusione di ogni derogabilità da parte degli usi e dalla contrattazione collettiva, attesa la natura indisponibile della previsione di cui all'art. 1751 bis, I° comma, c.c..
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più ridotta rispetto a quella originariamente prevista, proprio per effetto della facoltà (come detto, riconosciuta alla propo- nente) di variarne l’entità. Un’interpretazione letterale – pre- ferita in dottrina – porta a ritenere che la pattuizione di non concorrenza debba riferirsi alla zona inizialmente prevista30. Si è posta, poi, la questione della sorte del patto nell’ipotesi in cui manchi l’indicazione degli elementi essenziali (zona, pro- dotti e corrispettivo) in base alla previsione di legge.
La tesi dominante è che la mancata indicazione non conduca alla nullità qualora tali elementi siano determinabili per relationem. Ciò vale sicuramente per quanto riguarda la zona e i prodotti; ma vale, nondimeno, nell’ipotesi in cui non sia pre- visto un corrispettivo (per la determinazione del quale vale, in ogni caso, il criterio stabilito dall’ultima parte dell’art. 1751 bis, secondo comma c.c., secondo cui infra)
Altro dubbio agitato in dottrina è quello della operatività del patto nel periodo di prova, ove la tesi maggioritaria vuole che, qualora la estinzione del rapporto intervenga durante il detto periodo, il patto non operi31. Anche in questo caso risulta pro- babilmente opportuna una predeterminazione pattizia ed una formalizzazione nel testo contrattuale.
E’ molto importante soffermarsi sul corrispettivo del patto. Si tratta di una novità dovuta alla legge 422 del 2000 (che ha portato all’introduzione del 2° comma dell’art. 1751 bis) che prevede una “indennità non provvigionale” da corrispondersi in occasione della cessazione del rapporto.
Quanto alla misura del corrispettivo, viene assegnato rilievo preminente alla contrattazione tra le parti32.
Pur nella relativa oscurità del dettato normativo, si ritiene che la contrattazione non possa, peraltro, derogare ai criteri di de- terminazione che, in linea generale, sono tracciati dall’ultima parte del 2° comma dell’art. 1751 bis c.c. e affidati, per ulte- riori specificazioni, agli AEC (ove applicabili).
Talché, nell’ipotesi in cui venga pattuito un corrispettivo infe- riore, dovrebbe essere sempre concesso all’agente di ricorre- re al Giudice per ottenere la maggior liquidazione, in ossequio ai criteri cennati.
La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che, in caso di man- cata indicazione del corrispettivo, la pattuizione non risulti nul- la ma consenta una integrazione ex lege, dando accesso alla tutela giurisdizionale ed alla determinazione giudiziale33.
Vi è consolidata giurisprudenza che, valorizzando il dettato normativo, vieta, a pena di nullità dell’intero patto, la corresponsione in misura provvigionale, vieppiù se effettuata durante il rapporto (e non “in occasione della cessazione del rapporto” come prescritto dalla norma, la cui finalità è individuata nell’evitare che, sotto specie di un obbligo provvigionale, lo stesso venga sostanzialmente eluso).
Giova soffermarsi sulle conseguenze della integrazione ex lege in ipotesi di mancata determinazione del corrispettivo, per talune conseguenze potenzialmente molto rilevanti.
Xxxxxx, l’agente, nell’ipotesi in cui non vi sia un corrispettivo,
ovvero la misura dello stesso non risulti determinata, dovrà agire in giudizio per ottenere la determinazione giudiziale.
Rimanendo, peraltro e medio tempore, vincolato agli obblighi di non concorrenza, pena l’inadempimento del patto.
La circostanza non è di poco momento, visto che, tra l’altro, il divieto di operare in concorrenza risulta particolarmente pena- lizzante per l’agente, che si vedrebbe, durante l’obbligo, privato dei mezzi di sostentamento ordinari legati alla sua professionali- tà, senza strumenti – ancorché provvisori – di curatela specifi- ca. Sul punto, peraltro, la giurisprudenza è piuttosto rigorosa.
Del resto, è difficile ipotizzare che il comportamento semplice- mente inerte del preponente (di fronte, tra l’altro, all’obbliga- zione di pagamento di una somma ancor non liquida) possa integrare inadempimento, o comunque possa far scattare quei meccanismi ordinari di protezione dell’obbligato adempiente noti al nostro ordinamento (risoluzione per inadempimento; dif- fida ad adempiere, sospensione dei pagamenti).
Se è fuor dubbio, quindi, che la potenziale applicabilità dei cri- xxxx di legge (e di contrattazione collettiva) nella determinazio- ne giudiziale rappresenta un rischio in termini economici po- tenzialmente gravoso per l’imprenditore, va comunque detto che l’imprenditore potrebbe sfruttare la propria posizione di predominanza economica e trarre dal patto, anche per quanto sopra, un indubbio (ancorché, forse, censurabile) vantaggio. Nel rimandare alla lettura degli AEC per la declinazione dei criteri di determinazione dell’indennità, giova invece soffer- marsi su alcune ulteriori curiosità che riguardano, più nello spe- cifico, la pattuizione.
Xxx detto, anzitutto, che il patto può essere contenuto indiffe- rentemente nel contratto od in un patto accessorio (in tal caso, anche successivo al contratto).
Da tale circostanza – e dalla c.d. ‘autonomia del patto’ - la maggioritaria giurisprudenza inferisce la sostanziale irrilevanza delle cause e delle ragioni di estinzione del contratto di agen- zia, rispetto alla validità e all’efficacia del patto stesso34.
Talché, ad esempio, l’agente non potrebbe pretendere la riso- luzione per inadempimento del patto, nemmeno nell’ipotesi in cui la cessazione del rapporto di agenzia fosse da ascriversi a fatto e colpa della preponente (nemmeno, quindi, nei casi più gravi e in cui l’inadempimento della preponente sia così grave da legittimare un recesso ‘in tronco’ dell’agente).
Un recente – quanto isolato - orientamento dottrinario sembra affermare il contrario ma, per vero, con motivazione che non appare solidissima.
Vieppiù in rapporto alla solidità del diverso principio di autono- mia applicato, come visto, dalla giurisprudenza edita sul tema. Il patto deve avere forma scritta ad substantiam; quindi, a pena di nullità.
Quando contenuto nella clausola di un contratto di agenzia, il patto di non concorrenza esige approvazione specifica, inte- grando una clausola vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.c. (ovviamente, nel rispetto dei requisiti di legge per l’applicabilità
30 Cfr. X. Xxxxxxxxxxxx, L’agente di commercio e il contratto d’agenzia, Verona, 2009; X. Xxxxxxxxxxx, Il patto di non concorrenza fra preponente e agente ex art. 1751 bis c.c., in Contratti, 2011, 2, 125, il che induce a suggerire particolare attenzione al tema, al momento della redazione negoziale, ad evitare dubbi interpretativi.
31 Cfr. X. Xxxxxxxxxxxx, L’agente di commercio e il contratto d’agenzia, Verona, 2009.
32 Cfr. X. Xxxxxxxxxx, Agenzia: indennità di fine rapporto e patto di non concorrenza, in Lavoro nella Giurisprudenza, 2001, 3, 209.
33 Cfr. Cassazione civile, Sez. lavoro, 14 maggio 1998, n. 4891 ed in dottrina X. Xxxxxxxxxx, opera citata.
34 Cfr. Tribunale di Ravenna, 10 aprile 2001 e Tribunale di Ravenna, 9 giugno 2001 con commento di X. Xxxxxxxxx, Patto di non concorrenza ed eccezione di inadempimento nel contratto di agenzia, in Lavoro nella Giurisprudenza, 2001, 9, 860.
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della fattispecie).
La giurisprudenza e la dottrina consentono la pattuizione di una penale per la violazione del patto35.
La norma dell’art. 1381 c.c., come noto, consente una predeterminazione del risarcimento (o di una parte di esso, posto che la penale lascia sempre il diritto di agire per il mag- gior danno, salvo diversa pattuizione), che risulta particolar- mente utile, nel proprio effetto deterrente a carico dell’agente. Sempre in base alla giurisprudenza e alla dottrina prevalenti, la tutela del patto di non concorrenza può avere anche uno svilup- po cautelare, essendo tecnicamente possibile accedere alla tu- tela d’urgenza per inibitoria dei comportamenti eventualmente spregiativi degli obblighi dell’agente36.
Valga anche sottolineare, sotto questo profilo, che penale e inibitoria risultano pacificamente cumulabili, talché la mandan- te potrebbe decidere di avere accesso alla tutela cautelare no- nostante la previsione di una penale37. Si tratta, anche quando lo stesso sia contenuto in un contratto di agenzia, di un vero e pro- prio contratto, (come detto, tra l’altro, perfettamente autonomo, ancorché collegato al rapporto di agenzia).
Dal che si trae, in base alla preminente dottrina, la conseguen- za per cui non dovrebbero essere validi quei meccanismi che riservano al solo preponente di decidere se sciogliersi o meno dal patto, al termine del rapporto.
Talché le parti, consensualmente, possono stabilire di risolvere il contratto: nondimeno, presentando un evidente dubbio di le- gittimità una pattuizione che consenta ad una sola delle parti questa facoltà. Tuttavia, nella prassi negoziale clausole di que- sto tipo sono tutt’altro che infrequenti, e spesso ben tollerate dagli agenti (che, particolarmente in situazioni di mancata de- terminazione del corrispettivo, riescono a liberarsi velocemen- te dell’obbligo di non concorrenza e a ‘rimettersi sul mercato’). Per quanto alla determinazione degli obblighi negoziali, si ritie- ne che qualora la determinazione degli obblighi risulti vaga, come
già detto, non si dia xxxxx xxxx xxxxxxx xxx xxxxx, ma si ricorra alla integrazione ex lege di cui sopra abbiamo accennato.
Nel caso, invece, in cui i limiti ‘quantitativi’ (zona, durata, corrispettivo) siano fissati in misura diversa da quella di legge, nel mentre, ovviamente, nulla quaestio in ipotesi di limiti più favorevoli all’agente (ad es.: durata annuale o vincolo per zona inferiore a quella contrattuale), vien fatto di chiedersi quale sia la sorte di patti con vincoli più gravosi per l’agente.
Sotto tale profilo, la giurisprudenza di legittimità38 afferma che il patto è nullo per le eccedenze, e valido per il resto. La diver- sa tesi, sostenuta in dottrina, della nullità dell’intero patto (come accade per quanto ai patti previsti per il lavoro subordinato ex art. 2125 c.c.) non sembra accettabile, anche perché il princi- xxx contrario pare imposto dalla disciplina comunitaria.
Merita un ultimo accenno il tema della autonomia del patto. Abbiamo già visto che, in base alla giurisprudenza edita sul tema (Tribunale Ravenna 2001), le vicende estintive del con- tratto di agenzia non hanno effetto sul patto stesso. Ne abbia- mo già parlato sopra. La sentenza ravennate si basa sull’inconfigurabilità della eccezione di inadempimento in rela- zione al fatto che si tratta di rapporti diversi. Già si è detto di come la contraria tesi dottrinaria, isolatissima, appaia scarsa- mente motivata. Per quanto questa non sia la sede per appro- fondimenti di questo genere, pare che, particolarmente nelle ipotesi in cui l’agente sia costretto ad esercitare il recesso in tronco per causa, fatto e colpa della preponente (ovvero, quel che sarebbe ancor più grave, nell’ipotesi in cui lo stesso sia soggetto ad un recesso in tronco della mandante privo di giu- sta causa), la lunga durata della causa di liquidazione del corrispettivo, da un lato, e l’esigenza di sostentamento dall’al- tro, dovrebbero essere contemperate, eventualmente facendo ricorso a principi generali del nostro ordinamento, quale quello della c.d. buona fede oggettiva, per potersi giungere alla inesigibilità del comportamento adempiente dell’agente.
35 Cfr. Cassazione civile, Sez. lavoro, 22 novembre 2002, n.16492; X. Xxxxxxxxxxxx, L’agente di commercio e il contratto d’agenzia, Verona, 2009.
36 Cfr. ex multis, Cassazione civile, Sez. lavoro, 20 aprile 2001, n.5901; Tribunale di Milano, 19 gennaio 2001; Tribunale di Mantova, 20 novembre 2003; in dottrina X. Xxxxxxxxxxxx, L’agente di commercio e il contratto d’agenzia, Verona, 2009; X. Xxxxxx, Agente organizzato in forma societaria e competenza del giudice del lavoro, Agenti & Rappresentanti di Commercio n.2/1998.
37 Cfr. Tribunale di Milano, 11 giugno 2001; in dottrina X. Xxxxxxxxxxxx, L’agente di commercio e il contratto d’agenzia, Verona, 2009.
38 Cassazione civile, Sez. lavoro, 16 settembre 2010, n.19586.
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