LA DISCIPLINA DEI CONTRATTI PENDENTI NEL NUOVO
UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE
FACOLTÀ DI ECONOMIA “XXXXXXX XXX”
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Corso di Laurea Magistrale o Specialistica in Economia e Management curriculum Economia
LA DISCIPLINA DEI CONTRATTI PENDENTI NEL NUOVO
CODICE DELLA CRISI E DELL’INSOLVENZA
THE REGULATION OF PENDING CONTRACTS IN THE NEW CRISIS AND INSOLVENCY CODE
Relatore: Tesi di Laurea di:
Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxx Xxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxx
Anno Accademico 2021 – 2022
INDICE
INTRODUZIONE 4
CAPITOLO I – IL CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA E DELL’INSOLVENZA
I.1.1 Il Codice dopo la Direttiva Insolvency 2019/2023 6
I.1.2 La Direttiva UE 2019/1023 e le scelte per l’attuazione 9
I.1.3 Il rinvio dell’entrata in vigore del CCI 14
I.1.4 Le definizioni di crisi ed insolvenza 17
I.1.5 Gli strumenti per far fronte al rischio di crisi e di insolvenza 22
I.1.6 La necessità di tempestiva emersione della crisi: gli assetti adeguati 25
I.1.7 La composizione negoziata della crisi 28
CAPITOLO II I CONTRATTI PENDENTI NEL CODICE DELLA CRISI
E DELL’INSOLVENZA
II.1 La disciplina europea in materia di contratti pendenti nella crisi d’impresa 36
II.2 La liquidazione giudiziale e i contratti pendenti 43
II.3 La liquidazione controllata del sovra indebitato e i contratti pendenti 52
II.4 I contratti pendenti nella liquidazione coatta amministrativa (LCA) 54
II.5 I contratti pendenti nel concordato preventivo 56
II.5.1 I contratti con le pubbliche amministrazioni 60
II.5.2 Il contratto di locazione finanziaria 61
II.5.3 I contratti esclusi 62
II.5.4 Profili processuali 63
CAPITOLO III – GLI EFFETTI DELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE
SUI CONTRATTI PENDENTI: ANALISI DI CONTRATTUALI | ALCUNE | TIPOLOGIE |
III.1 I rapporti di lavoro | 65 | |
III.2 La locazione finanziaria e la locazione immobiliare | 71 | |
III.3 L’affitto d’azienda | 76 | |
III.4 I contratti a carattere personale | 78 | |
III.4.1 Il contratto di mandato | 81 | |
III.4.2 Il contratto di commissione | 82 | |
III.4.3 Il contratto di appalto | 83 | |
III.4.4 Il contratto di borsa a termine | 85 | |
III.4.5 Il contratto di associazione in partecipazione | 85 | |
III.4.6 Il contratto di conto corrente | 86 | |
III.5 Il contratto preliminare | 89 | |
CAPITOLO IV – CONCLUSIONI | 98 | |
BIBLIOGRAFIA | ||
RINGRAZIAMENTI |
INTRODUZIONE
Il diritto della crisi e dell’insolvenza ricomprende l’insieme delle regole che si applicano nel momento in cui si presenta una situazione di crisi o di insolvenza del debitore, che consiste in uno squilibrio di tipo economico, patrimoniale o finanziario.
Quando la crisi non è attuale ma è probabile, il primo rischio da scongiurare è il ritardo del debitore nel rilevare il proprio stato e nel prendere iniziative idonee per affrontarla. Il ritardo è sempre uno dei fattori che incide maggiormente nell’aggravamento ed espansione della situazione di crisi, rendendo più difficoltosa l’attività di risanamento e salvaguardia dei valori aziendali. In quest’ottica nel nuovo CCI è stata prevista una specifica disciplina in ordine agli assetti adeguati, finalizzata alla rilevazione anticipata della crisi, evitando la disgregazione dei complessi produttivi.
La situazione di crisi e insolvenza del debitore, coinvolge contemporaneamente, creditori e i soggetti portatori di interessi, occorre quindi stabilire regole in grado di garantire un approccio collettivo che permetta a tutte le parti di operare in un quadro di regole ben delineate nonostante la divergenza di interessi.
Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza, in Italia, ha sostituito la precedente Legge Fallimentare che per certi versi era datata e non coerente con il panorama economico creatosi nel frattempo. Il CCI trae origine dalla Direttiva europea 2019/1023 la quale detta norme ed orientamenti vincolanti per gli Stati membri, con l’obiettivo di rendere il sistema concorsuale di ogni Stato più efficiente. La Direttiva tende anche ad armonizzare le varie discipline contenute nei vari Stati cercando di configurare norme e valori comuni europei.
La Direttiva contiene significative novità circa il trattamento dei contratti pendenti. Uno dei principali obiettivi del nuovo codice è quello di favorire la continuità aziendale mantenendo integri i complessi produttivi, di conseguenza il tema dei contratti pendenti riveste un’importanza strategica e fondamentale.
Allo scopo di preservare la continuità dei contratti, la Direttiva impone varie limitazioni al contraente in bonis aprendo il tema della tutela del contraente, che viene equiparato a tutti gli effetti ad un creditore, anche ai fini dell’individuazione del trattamento minimo e della legittimazione individuale ad opporsi.
Nel passaggio dalla Legge Fallimentare al CCI è cambiata la definizione di contratto pendente, il quale ora è da intendersi come il contratto perfezionato ma ancora ineseguito nelle prestazioni principali da entrambe le parti al momento dell’apertura della procedura concorsuale. Tale nozione ha natura trasversale poiché la si trova nella disciplina della liquidazione giudiziale, nella liquidazione coatta amministrativa e nel concordato preventivo.
La disciplina del 1942, in vigore fino alla riforma del 2006, presentava il difetto di offrire una regolamentazione dei contratti pendenti di tipo casistico, senza previsioni di carattere generale. Con il D. Lgs. n. 5/2006 oltre ad essere enunciato il principio generale della sospensione dell’esecuzione del contratto unitamente alla facoltà del curatore di scegliere tra subentro e scioglimento, sono stati disciplinati ex novo anche i rapporti giuridici prima non codificati e sono stati modificati i contenuti di talune norme relative a contratti già previsti. Successivamente con il D.Lgs. n. 169/2007 il quadro è stato completato con disposizioni integrative e di coordinamento.
Attualmente, analogamente alla Legge Fallimentare, il Codice della Crisi e dell’Insolvenza disciplina la sorte dei contratti pendenti nella liquidazione giudiziale, nella liquidazione coatta amministrativa e nel concordato preventivo.
L’evoluzione della normativa, dimostra il carattere centrale e strategico assunto dai contratti pendenti nell’ambito della crisi di impresa, tenendo presente anche il fatto che la moderna disciplina concorsuale è indirizzata a meccanismi di continuità aziendale piuttosto che alla mera liquidazione dell’impresa.
Nell’elaborato che segue illustrerò la disciplina dei rapporti pendenti, avuto particolare
riguardo alle novità introdotte dal CCI e analizzerò la sorte di alcuni di essi.
CAPITOLO I – IL CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA E DELL’INSOLVENZA
I.1 IL CODICE DOPO LA DIRETTIVA INSOLVENCY 2019/2023
I.1.1 Origine ed evoluzione della materia in Italia
Il sistema normativo vigente è il prodotto di una evoluzione, nel tempo, del diritto della
crisi e dell’insolvenza.
I primi tratti storici di tale disciplina si rinvengono nelle legislazioni degli statuti delle città italiane del basso medioevo, ed erano espressione della classe sociale mercantile la quale occupava una posizione di rilievo nel contesto politico ed economico di allora. L’aumento esponenziale dei traffici commerciali diede l’impulso alla creazione ed introduzione di istituti giuridici che oggi chiamiamo procedure concorsuali. Essi avevano una doppia finalità: da un lato tutelare i creditori i quali vedevano pregiudicato il proprio merito creditizio in virtù del mancato adempimento dell’obbligazione da parte del mercante e dall’altro lato escludere il mercante dal contesto economico.
I principi su cui si basavano le procedure concorsuali di allora erano:
• Previsioni di tali strumenti nel solo caso in cui il debitore fosse un mercante.
• Carattere notevolmente sanzionatorio nei confronti del mercante inadempiente a tal punto da privarlo della possibilità di agire nuovamente sul mercato.
Questi principi furono conservati, seppur con modifiche necessarie, nel Codice di Commercio del 1882 in cui diveniva centrale l’esigenza di tutelare gli interessi della classe borghese.1
1 Xxxxxxxx X’Xxxxxxx, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Giappichelli, 2022, pag 15
Successivamente ad alcuni progetti non attuati, nel 1942 venne pubblicata la nuova legge fallimentare, il regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, la quale disciplinava in maniera completa, le procedure concorsuali in vigore all’epoca, ad eccezione della procedura di liquidazione coatta amministrativa che era contenuta, allora come oggi, in leggi speciali. La legge 267/1942, promulgata successivamente alla crisi finanziaria che interessò l’Italia nel 1929, creò l’istituto Nazionale per la Ricostruzione Industriale, con il quale lo Stato operava direttamente in economia decidendo le politiche industriali da implementare. L’obiettivo dello Stato e della legge era quello di estromettere dal mercato le imprese non efficaci ed efficienti mediante una liquidazione atomistica attuata tramite il fallimento.
I meccanismi della legge inizialmente non entrarono in crisi poiché l’Italia, dopo la
seconda guerra mondiale, attraversò il periodo del cosiddetto miracolo economico. Intorno agli anni’70 la concomitanza tra crisi del petrolio, inflazione, incertezza politica, disordini sociali e disoccupazione fece emergere l’esigenza di aggiornare la legge fallimentare del 1942.
Negli anni ’80 fu attuata una riforma che prevedeva la separazione tra Banca d’Italia e controllo statale al fine di contrastare l’inflazione. Il periodo di ripresa economica era dovuto ad un trend di spesa pubblica molto alto, il quale non poteva essere mantenuto, al fine di entrare nella Comunità Europea, in seguito alla previsione dei principi del trattato di Maastricht nel 1992.
Intorno alla fine degli anni ’90 e inizi 2000 la legge fallimentare iniziava a mostrare tratti di arretramento, principalmente per il fatto che era stata introdotta in una realtà economica differente. Infatti il legame tra legge fallimentare ed economia è inseparabile.
Al fine di renderla più attuale, in quegli anni, operò la commissione Trevisanato il cui progetto di riforma si discostava dalla legge n. 267, per renderla più coerente anche con le scelte europee. Il principale intervento consisteva nel privatizzare le questioni economiche fra creditore e debitore, prevedendo strumenti nuovi o innovativi come il concordato preventivo.
Le riforme degli anni 2005 e 2007, cambiarono il sistema normativo precedente senza abrogare la legge fallimentare n. 267/1942.
Onde evitare una procedura di infrazione europea l’Italia è intervenuta con la L. n. 3 del 27 gennaio 2012, la quale ha introdotto il sistema del sovraindebitamento, modificata poco tempo dopo con il decreto sviluppo bis D.L. 17 dicembre 2012 n. 221.
Il legislatore nel 2017 decise di avviare i lavori per una nuova definitiva legge delega che culminò nella legge 19 ottobre 2017 n. 155 e affidò il compito di estendere la legge delega ad una commissione, presieduta dal giurista Xxxxxx Xxxxxxx, che ha portato al D. Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, conosciuto come codice della crisi e dell’insolvenza: un testo unico in materia fallimentare sostitutivo del regio decreto n. 267 del 1942.
Il Codice sarebbe dovuto entrare in vigore il 15 agosto 2020, periodo caratterizzato dalla pandemia, dopo 18 mesi di vacatio legis dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del 14 febbraio 2019.
L’entrata in vigore era stata posticipata mediante il decreto liquidità n. 23 del 2020,
successivamente con il D.L. 118/21 ed infine con il D.L. 36/2022.
La relazione al Decreto n. 118/2021 decise, ad uno spostamento per l’entrata in vigore del codice, al 16 maggio 2022 per adeguare la legge alla Direttiva europea Insolvency n. 1023/2019, la quale era stata approvata dopo il codice che in alcuni aspetti non era
connesso con la direttiva. In ultima istanza, l’articolo 42 del D.L. 30 aprile 2022 n. 36, previsto per dare attuazione al PNRR (piano nazionale ripresa resilienza) ha previsto l’entrata in vigore del codice il 15 luglio 2022.2
I.1.2 La Direttiva UE 2019/1023 e le scelte per l’attuazione
Il 15 luglio 2022 è entrato in vigore il Codice della crisi e dell’insolvenza (CCII), dopo più di due anni dalla sua emanazione avvenuta nel gennaio 2019. Il CCII è stato modificato poco prima della sua entrata in vigore per poterlo adeguare alla Direttiva europea 2019/1023, di seguito indicata come “Direttiva”, entro il giorno finale previsto per il recepimento, il 16 luglio 2022, all’interno dell’ordinamento italiano. Il recepimento è stato possibile tramite il d. lgs. 17 giugno 2022 n. 83 pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’ 1 luglio 2022.
Nel 2019, l’Unione europea si è occupata del tema del diritto della crisi, prevedendo norme con l’intento di amalgamare le legislazioni dei paesi membri. Precedenti provvedimenti dell’Unione in tale materia avevano il circoscritto scopo di coordinare le procedure concorsuali dei diversi Stati membri, lasciando essi liberi di prevedere e dettare il contenuto delle norme nazionali.3
La Direttiva prevede norme sostanziali imponendole agli Stati dell’Unione, tentando di rendere il loro sistema concorsuale interno quanto più efficiente e coerente ad alcuni principi e valori fondamentali dettati.
2 Xxxxx Xxxxxxxxxxx, I mutevoli orizzonti del diritto della crisi, in “xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx”, 14 giugno 2022, pag 23456
3 Regolamento (CE) 2000/1346, relativo alle procedure di insolvenza, poi sostituito dal Regolamento (UE) 2015/848
Il presupposto è che una normativa concorsuale efficiente e coordinata è una condizione necessaria per il buon funzionamento del mercato unico europeo.
La Direttiva ingloba tre ambiti:
• I cosiddetti “quadri di ristrutturazione preventiva”, quindi le procedure e gli strumenti che gli Stati devono fornire ai soggetti, i quali esercitano un’attività economica, per permettere ad essi di gestire e affrontare la crisi.
• L’ esdebitazione dei soggetti economici, quindi non vi è ricompreso il soggetto
consumatore.
• Misure e strumenti orientate ad aumentare e migliorare l’efficacia delle procedure
di ristrutturazione e insolvenza.
La Xxxxxxxxx vuole assicurarsi, che all’interno degli Stati membri, tutti i soggetti che esercitano un’attività economica abbiano la possibilità di rivedere e riprogrammare la propria situazione debitoria. Questo, quando, nonostante le difficoltà finanziare ed economiche l’attività sia ancora economicamente valida e o sia ancora soggetta ad esserlo.4
Si scorge immediatamente l’intento della Direttiva: evitare la disgregazione dei complessi
produttivi, distruzione di ricchezza e connessa perdita dei posti di lavoro.
Il programma di ristrutturazione che permette di assolvere l’obiettivo della conservazione del valore aziendale è definito come: “insieme delle misure che includono la modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle attività e delle passività del debitore o di qualsiasi altra parte della struttura del capitale del debitore, quali la vendita
4 La Direttiva ha lo scopo di garantire “alle imprese e agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare ad operare” (Considerando 1)
di attività o parti dell’impresa, e, se previsto dal diritto nazionale, la vendita dell’impresa in regime di continuità aziendale”5
E’ importante fare due precisioni: la prima è che la Direttiva lasciava agli Stati membri la decisione se prevedere o non prevedere la continuità aziendale anche con la continuità indiretta. L’Italia con la l. 17 ottobre 2017 n. 155, optò per la continuità aziendale esercitata in forma sia diretta che indiretta.
La seconda è che oggetto di protezione e tutela della Direttiva non è solo l’attività di impresa, ma qualsiasi attività economica quindi anche quella esercitata dai lavoratori autonomi e dai professionisti intellettuali.
Di conseguenza le norme europee trattano e disciplinano le crisi degli imprenditori, commercianti e agricoli, dei lavoratori autonomi e dei professionisti intellettuali.
La Direttiva, come da tradizione normativa dell’Unione Europea, vincola gli Stati membri
a raggiungere determinati obiettivi lasciandoli liberi nel decidere i mezzi.
In ambito della materia della crisi e dell’insolvenza questo avviene lungo diverse
direzioni.
La Direttiva obbliga gli Stati membri a predisporre strumenti di ristrutturazione preventiva nel rispetto di caratteri e principi di efficacia ritenuti essenziali, senza però imporre una totale armonizzazione dell’intero sistema di strumenti e procedure di superamento della crisi.
La Direttiva può essere attuata dagli Stati tramite un unico strumento o più strumenti a patto che, se si opta per questa ultima opzione, tali strumenti agiscano in maniera
5 Direttiva UE 2019/1023 art. 2, par. 1, n. 1
coordinata e coerente permettendo di adeguare l’intensità dello strumento alle
circostanze.
In sede di recepimento della Direttiva doveva essere quindi presa una decisione fondamentale: attuare la Direttiva con un solo strumento decidendo che esso sia di nuova creazione oppure già esistente nell’ordinamento, o attuare la Direttiva tramite molteplici strumenti integrati fra loro per poter essere utilizzati dal debitore in maniera flessibile sia da un punto di vista procedurale che sostanziale.
Tramite il decreto legislativo 17 giugno 2022, n.83 il Governo italiano ha deciso di adottare la Direttiva mediante una pluralità di strumenti.
La conseguenza è stata quella di adattare gli strumenti già esistenti. Ciò ha comportato:
• Un intervento deciso in materia di concordato preventivo che è stato suddiviso in due sottotipi ossia il concordato in continuità, mediante cui si è recepita parte della Direttiva, e il concordato liquidatorio il quale ricalca l’iniziale dettato del CCII.
• L’introduzione di un nuovo PRO, piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, che permette al debitore, che continua a gestire il proprio patrimonio, di richiedere il benestare dei creditori su una proposta o piano dal contenuto libero e che diventa efficace e vincolante se approvata da tutte le classi, considerando il principio guida dell’assenza di pregiudizio rispetto all’ipotesi alternativa di liquidazione giudiziale.
• L’ampliamento della legittimazione al voto riguardo le proposte del debitore, nel
concordato o nel PRO, che è ora attribuito a tutti i creditori anche prelatizi, a
meno che non sia espressamente previsto il rimborso, integrale, immediato e in denaro.
• La previsione di una nuova disciplina dei quadri di ristrutturazione delle società che implementa nuovi obblighi per gli amministratori potendo intervenire sulla struttura sociale con modifiche che incidono sui diritti di partecipazione dei soci, prevedendo però il loro coinvolgimento tramite il collocamento in una o più classi.
La Direttiva, all’articolo n. 4, conferiva la possibilità ai creditori e soggetti rappresentanti dei lavoratori di iniziare e proporre la ristrutturazione. L’Italia ha deciso di non avvalersi di tale concessione, lasciando libero il debitore di iniziare la ristrutturazione e concedendo la possibilità ai creditori di chiedere l’apertura della liquidazione giudiziale.6 In una visione completa e sistematica la Direttiva prevede che il soggetto debitore possa accedere a una tutela a fasi progressive tra le quali vi è un passaggio semplice e fluido in base ad una invasività maggiore:
• Esenzione da revocatoria di atti funzionali e applicativi della ristrutturazione.
• Sospensione delle azioni della totalità dei creditori o di una parte di essi.
• Tutela e protezione degli atti funzionali all’ottenimento di finanziamenti per
dare attuazione alla ristrutturazione.
• Vincolo per i creditori contrari inseriti nella medesima classe.
• Ristrutturazione trasversale ossia vincolo per intere classi di creditori e per i soci della società che attraversa la ristrutturazione.
6 Ai sensi dell’art. 120bis CCII, infatti, “l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza è deciso, in via esclusiva, dagli amministratori unitamente al contenuto della proposta e alle condizioni del piano.”
La transizione da una fase all’altra è fluida nel senso che il debitore da inizio alla ristrutturazione del debito senza essere vincolato a scelte iniziali, potendo adeguare l’intensità degli strumenti mediante interazoni e dialogo con i creditori e le altre parti interessate.
La Direttiva mira a limitare il ruolo invasivo dell’autorità giudiziaria, confinandolo ad una funzione ausiliare cioè assistere il debitore e i creditori nella redazione e nella negoziazione del piano.7
I.1.3 Il rinvio dell’entrata in vigore del CCI
Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, l’1 Luglio 2022, del decreto legislativo n. 83 del 17 Giugno 2022 è stato varato il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, dopo quasi cinque anni dalla legge delega n.155 del 19 ottobre 2017 e dopo circa sette anni dall’istituzione della commissione ministeriale formata per la previsione dei principi delega.
Nel frattempo però si è verificato un evento del tutto inatteso e drammatico: la pandemia da Covid19.
La pandemia ha negato l’entrata in vigore nella sua interezza e totalità del codice. Questo periodo sospeso ha fornito l’occasione per apportare miglioramenti e adeguare il codice alla direttiva europea, nel frattempo emanata. Ciò ha portato, all’interno del nostro ordinamento, ad una normativa concorsuale più moderna e innovativa, favorendo un
7 Xxxxxxx Xxxxxxxxxxxx, Il Codice della crisi dopo il d.lgs. 83/2022: la tormentata attuazione della direttiva europea in materia di quadri di ristrutturazione preventiva, in ristrutturazioniaziendali xxxxxx.xx, 21 luglio 2022, pag 27 28293031 3235363738
cambiamento culturale per migliorare strumenti di intervento precoci finalizzati a
conservare i valori aziendali e le potenzialità dell’impresa.
Il decreto legislativo n.14 del 12 gennaio 2019 ha dato un nuovo codice, chiamato Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, la cui entrata in vigore è stata posticipata a diciotto mesi, tranne che per una cerchia ristretta di articoli.
La dilazione è stata opportuna per predisporre le nuove strutture previste, come gli organismi di composizione della crisi presso le Camere di Commercio, e dare il tempo a tutti gli operatori di apprendere il nuovo, importante, testo normativo.
Ma, nel gennaio 2019, la pandemia era ancora un orizzonte lontano ma quando da li a pochi mesi la pandemia è diventata realtà, l’entrata in vigore del codice è stata nuovamente posticipata al 1 settembre 2021 dal D.L. n. 23/2020, il cosiddetto Decreto Liquidità, ad eccezione di alcune disposizioni relative al sovraindebitamento, e poi al 16 maggio 2022 dal D.L. n. 118/2021.
L’entrata in vigore è stata in seguito, ulteriormente posticipata, al fine di adeguare la materia alla direttiva europea nel frattempo emanata.8
La scelta di rinviare l’entrata del Codice è ravvisabile nell’opportunità di evitare che la diretta applicazione dei, complessi, nuovi meccanismi possa pregiudicare l’ adeguata gestione graduale della crisi rispondente al momento provocato dalla pandemia, con il rischio ulteriore di provocare incertezze e dubbi applicativi.
L’emergenza sanitaria ha provocato una grave recessione nel 2020, con una diminuzione del prodotto interno lordo mondiale del 3,9%. I governi nazionali hanno tentato di rimediare alla situazione di crisi mediante misure di sostegno all’economia, che hanno
8 Xxxxxx Xxxxxxx, Il Codice della crisi nel tempo sospeso della pandemia, in “xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx”, 18 marzo 2021, pag 23
evitato la fuoriuscita dal mercato delle imprese sane e di quelle che si trovavano in difficoltà però senza una insolvenza conclamata.
Secondo il Cerved (Centri Elettronici Reteconnessi Valutazione Elaborazione Dati), in Italia su 500.000 imprese inquadrate come sicure prima della pandemia, 308.000 sono rimaste sane mentre 182.000 sono state classificate come vulnerabili e 9.300 sono passate dalla classificazione di solide a rischiose.
La legge fallimentare, previgente, si fondava su una disciplina piuttosto compiuta, che nonostante sia stata modificata nel corso degli anni, faceva riferimento ad una situazione economica e industriale differente dall’attuale. La legge previgente non contemplava al suo interno strumenti che incentivano l’emersione anticipata della crisi.
La decisione di rinviare l’applicazione del Codice era data dall’obbligo di adeguamento e
coordinamento con i principi, gli strumenti e gli istituti della Direttiva UE 2019/1023. Alcune disposizioni del Titolo II del Codice possono entrare in vigore nel termine del 31 dicembre 2023. La motivazione è data dal fatto di poter sperimentare e verificare l’efficacia ed efficienza della composizione negoziata e riguardare i meccanismi di allerta per le imprese.9
Per quanto riguarda l’entrata in vigore delle nuove norme, in base alla disciplina transitoria contenuta all’art. 390 del decreto legislativo 12 gennaio 2019 n.14 è stato disposto che i ricorsi per la dichiarazione di fallimento e le proposte di concordato fallimentare, i ricorsi per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione, per l’apertura del concordato preventivo, per l’accertamento dello stato di insolvenza delle imprese
9 Xxxxxxx Xxxxxxx, La riforma del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in una prospettiva europea, in “Tidona e Xxxxxxxxx.xxx” studio legale, 11 dicembre 2021, pag 23419
soggette a liquidazione coatta amministrativa e le domande di accesso alle procedure di composizione negoziata della crisi da sovraindebitamento depositati prima dell’entrata in vigore del codice sono definiti secondo le disposizioni della legge fallimentare, nonché della legge n. 3/2012.
Le procedure di fallimento e le altre procedure pendenti alla data di entrata in vigore del codice, nonché le procedure aperte a seguito della definizione dei ricorsi e delle domande di cui al comma 1 dell’art. 390 sono definite secondo le disposizioni della legge fallimentare e dalla legge n. 3/2012.
In riferimento ai profili penali, il terzo e ultimo comma dell’art. 390 prevede che quando in relazione alle procedure elencate dai commi uno e due, sono commessi i fatti puniti dalle disposizioni penali del titolo sesto della legge fallimentare, nonché dalla sezione terza della legge n.12/2012, ai medesimi fatti si applicano le predette disposizioni.10
I.1.4 Le definizioni di crisi ed insolvenza
L’imprenditore che sopporta il rischio di crisi e di insolvenza oggi è diverso dall’imprenditore del passato. E’ cambiato il contesto economico ed i fattori di rischio al suo interno: una crescente complessità aziendale, il continuo ricorso alla tecnologia, la globalizzazione che ha provocato un’ incessante pressione competitiva, la velocità e l’intensità della transizione tecnologica, l’accorciamento dei cicli di vita dei prodotti e dei processi produttivi ed altri.
L’allineamento della dimensione giuridica della crisi e dell’insolvenza con la dimensione
aziendalistica è avvenuto recentemente, con la legge delega n. 155 del 2017, con
10 Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Il codice della crisi dopo il d.lgs. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione
dell’impresa e concordato preventivo, in “xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx”, 17 Luglio 2022, pag 7
l’inserimento della nozione di crisi e dell’insolvenza intesa come fenomeno
probabilistico.11
Tramite questo intervento il legislatore ha ribaltato la prospettiva da una concezione dell’insolvenza definibile tale solo quando e se manifesta, cioè dimostrata ex post, per prevedere anche l’ipotesi di probabilità di futura insolvenza. La possibilità di prevedere la crisi è riconosciuta quando è prefigurabile l’insolvenza e chiaramente in mancanza di correttivi. Non si fornisce, quindi, una nozione diretta di crisi né la si caratterizza, ma si prevede una nozione indiretta, come prefigurazione della probabilità di futura insolvenza e quindi c’è una relazione causale tra crisi ed insolvenza la cui conoscenza anticipata permette di salvare l’impresa. La nozione di insolvenza rimane ancorata, secondo tradizione, ad una dimostrata incapacità di adempiere alle obbligazioni dell’impresa, e dall’altro lato si contempla la sua predittività su basi probabilistiche, con idonee metodologie.
E’ necessario introdurre di conseguenza un metodo di amministrazione e di controllo che guardi al futuro in modo da poter agire per tempo. L’organo di controllo dovrà operare per una vigilanza proattiva dotandosi di indici, flussi informativi prospettici ed altri documenti utili ad un’analisi preventiva. Gli amministratori hanno l’obbligo di gestire l’impresa in crisi consapevole della possibile involuzione verso lo stato di insolvenza e quindi dovranno agire per evitare o mitigare questo rischio.
11 Art. 2 legge delega n. 155 del 2017 punto 2 lettera c): “Introdurre una definizione dello stato di crisi, intesa come probabilità di futura insolvenza, anche tenendo conto delle future elaborazioni della scienza aziendalistica, mantenendo l’attuale nozione di insolvenza di cui all’art. 5 del r.d. del 16 marzo 1942, n. 267.”
La nozione di insolvenza conserva una dimensione fattuale, quando si è già manifestata, e ciò implica il concedere un maggior lasso temporale per agire tempestivamente impedendo la diffusione dei fattori di crisi e di insolvenza.
La dottrina aziendalistica è più decisa e intende il rischio di insolvenza nel preciso istante in cui è conoscibile e accertabile lo squilibrio finanziario futuro anticipando il divario temporale tra conoscibilità della crisi e accertamento del fenomeno di insolvenza.
Tramite le definizioni di crisi ed insolvenza, contenute nel decreto legislativo 12 gennaio 2019 n. 14, vengono ad avvicinarsi diritto e scienza aziendalistica.
Crisi: “lo stato di difficoltà economicofinanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate.”
Insolvenza: “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.”
La vaga espressione “stato di difficoltà” è stata risolta dal provvedimento correttivo il quale la ha sostituita con la locuzione “squilibrio economicofinanziario”. L’intervento è stato necessario poiché lo “stato di difficoltà” è indeterminato circa l’intensità e durata. Inoltre l’indeterminatezza della definizione di crisi potrebbe causare rischi di abuso nel ricorso a strumenti e procedure per la gestione della crisi e per accedere a misure protettive e cautelari da parte del debitore.
L’art. 13, comma primo, del testo previgente del CCI, dava un’ indicazione ulteriore circa l’individuazione della crisi: “Costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche
dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della non sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi…”
Il testo definitivo del CCI, dopo il decreto legislativo 17 giugno 2022 n. 83, emanato per il recepimento della direttiva europea Insolvency, ha modificato ancora la definizione di crisi la quale alla luce del decreto assume la seguente definizione; “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza, che si manifesta con diversi gradi di intensità, attraverso l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi.” Si tralasciano i riferimenti aziendali legati agli squilibri economici e finanziari e si ritorna ad una definizione maggiormente vaga.
Si mantiene la manifestazione della crisi connessa, da una relazione causale, con i flussi prospettici inadeguati per le obbligazioni di impresa, non più definite pianificate come nel testo precedente del Codice.
Ha subito una modifica l’art. 13 del testo previgente del CCI, infatti è stato previsto un allungamento temporale dai sei mesi ai dodici mesi per la rilevazione della non sostenibilità di debiti, poiché come si è osservato nella realtà economica esistono situazioni di crisi, anche gravi, che non evolvono in uno stato di insolvenza. Il legislatore ha voluto evitare un’enfasi totalizzante sull’insolvenza la quale avrebbe potuto escludere le numerose situazioni di crisi non legate all’insolvenza appunto.
Di contro, l’orizzonte temporale di dodici mesi potrebbe provocare il rischio di lasciare momentaneamente in sospeso la riconoscibilità della crisi dovuta ad un quadro di flussi finanziari irregolari e altalenanti i quali potrebbero far pensare ad un riequilibrio nei
dodici mesi ma riequilibrio che in realtà non avviene quindi sottovalutando rischi monetari di brevissimo periodo.
La perplessità è che questa previsione differisca il problema e non lo anticipi, concedendo all’imprenditore un arco temporale più lungo per gestire le sue finanze con probabilità di danno e tenuta dell’azienda a fronte di eventi di insolvenza durante l’anno.
Il decreto n. 118 del 2021, con il contenuto del protocollo allegato, ha trattato l’insolvenza reversibile, che di conseguenza è entrata nel diritto della crisi come nuova categoria. Il protocollo al punto 2.4, considera l’insolvenza reversibile come uno stato che non preclude l’avvio delle trattative da parte dell’esperto in situazioni di raggiungimento del risanamento dell’impresa. L’insolvenza reversibile è uno stato temporaneo e non ostativo della continuità aziendale.
La differenza con la tipica insolvenza è che essa è la manifestazione finale della crisi di impresa, non reversibile e che quindi non prevede assorbimento ulteriore di risorse poiché è persa la continuità aziendale.
L’insolvenza reversibile si manifesta in situazioni di imprese sane e attive dal punto di vista strategico con modelli di business attuali e competitivi ma che nonostante ciò soffrono di situazioni di insolvenza non definitiva.
Si tratta di insolvenza di origine esterna, causata da fenomeni incontrollabili temporanei e,per cui, che non derivano dalla gestione interna dell’azienda.
L’insolvenza di tale genere è definitiva reversibile sia per la temporaneità del fenomeno
sia perché non sono stati minati gli schemi produttivi e organizzativi dell’impresa.12
12 Xxxxx Xxxxxx, Crisi e insolvenza dopo il codice della crisi, in “xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx”, 22 agosto 2022 pag 444547 48495051527172777879
I.1.5 Gli strumenti per far fronte al rischio di crisi e di insolvenza
All’interno dell’ordinamento vi sono molteplici strumenti da poter adottare per fronteggiare il rischio di crisi e di insolvenza.
Innanzitutto, sono presenti norme che obbligano il debitore ad individuare, in maniera tempestiva, la propria situazione di crisi dotandosi di assetti idonei per rilevarla e intraprendere rapidamente le iniziative idonee per fronteggiarla. Argomento, questo, che tratterò in maniera più dettagliata successivamente.
Il debitore ha la possibilità di chiedere e intraprendere la composizione negoziata della crisi, cioè una strada che porta ad una mediazione tra debitore, creditori ed altri soggetti interessati, mediante la figura di un esperto indipendente. Anche per quanto riguarda la composizione negoziata della crisi me ne occuperò in maniera più puntuale più avanti nel testo.
L’ordinamento mette a disposizione gli strumenti negoziali di regolazione della crisi e dell’insolvenza: piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione dei debiti, la convenzione di moratoria, il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, il concordato preventivo ed infine il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio.
Questi strumenti sono disponibili soltanto per i debitori coloro i quali svolgono attività di impresa. Gli strumenti sono accomunati per la loro natura negoziale poiché vi è una proposta che il debitore indirizza ai propri creditori.
All’interno dell’ordinamento sono presenti le procedure di insolvenza, previste per le situazioni di grave insolvenza ed esse consistono nel fatto che il patrimonio del debitore sia affidato ad un organo, nominato dal giudice o dall’autorità amministrativa, il quale
procede a gestirlo, liquidarlo e dividere il ricavato tra i creditori, oppure in alternativa l’autorità giudiziaria o amministrativa potrebbe attuare un tentativo di ristrutturazione della situazione economicofinanziaria dell’impresa. Le procedure di insolvenza sono le seguenti: liquidazione giudiziale, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza.
L’ordinamento tramite le procedure di sovraindebitamento fornisce strumenti, per il superamento della crisi, ai debitori che non esercitano attività d’impresa commerciale medio grande la cui insolvenza ha effetti più limitati.
Tali procedure sono: la ristrutturazione dei debiti del consumatore, il concordato minore e la liquidazione controllata del sovraindebitato.
Le fonti normative per gli strumenti elencati sono: il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, che incorpora la disciplina di tutti gli strumenti sopra descritti, tranne la liquidazione coatta amministrativa e l’amministrazione straordinaria.
La disciplina della liquidazione coatta amministrativa è rintracciabile in parte nel CCI ed in parte in singole leggi speciali.
La disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza è contenuta nel d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 per la sua parte ordinaria, e nel d.l 23 dicembre 2003, n. 347, convertito in legge 18 febbraio 2004, n. 39 per la parte straordinaria.
La quasi totalità degli strumenti e dei percorsi forniti dal diritto della crisi e
dell’insolvenza rientrano nella categoria delle procedure concorsuali.
Indipendentemente dal preciso scopo e percorso di ogni procedura concorsuale esse sono accomunate da alcune caratteristiche. Una prima caratteristica comune è l’universalità o globalità, per la quale la procedura, tendenzialmente, coinvolge l’intero patrimonio del debitore al momento dell’apertura.
Ulteriore caratteristica comune è la generalità, nel senso che la procedura investe tutti i creditori esistenti al momento della sua apertura. A differenza delle procedure esecutive individuali nelle quali sono i singoli creditori ad avviare o intervenire nel procedimento, senza un’ obbligata partecipazione della totalità dei creditori.
Altra caratteristica comune è l’officiosità, in quanto le procedure si aprono con un
provvedimento dell’autorità giudiziaria o amministrativa.
Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza disciplina la categoria degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Sulla base della definizione prevista dall’art. 2, comma 1, lett. mbis13 rientrano in questa categoria: il piano attestato di risanamento, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, la convenzione di moratoria, il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, il concordato preventivo, il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio e la liquidazione giudiziale.14
13 Art. 2, comma 1, lett. mbis CCI : “le misure, gli accordi e le procedure volte al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività o passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività.”
14 Xxxxxxxx X’Xxxxxxx, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Xxxxxxxxxxxx, 2022, pag 345789
I.1.6 La necessità di tempestiva emersione della crisi: gli assetti adeguati
La crisi va affrontata nel momento in cui mostra i primi segnali e prima che essa si concretizzi sul mercato. In base a questa visione è stato possibile l’inserimento all’interno dell’art. 2086 del c.c, per l’imprenditore individuale e per le modalità di esercizio di impresa in forma societaria, degli assetti adeguati che sono esplicitamente trattati nell’art. 3 del CCI.15
L’articolo di legge prevede l’obbligo per l’imprenditore di dotarsi di mezzi e strumenti idonei per effettuare un controllo, un monitoraggio e attuare strategie, modelli di business per potere anticipare ed intercettare i segnali di crisi futura.
Il legislatore incentiva la figura di un nuovo tipo di imprenditore, necessariamente moderno e aggiornato il quale si fa carico di obblighi etico gestionali.
La materia delle procedure di allerta contenuta nel vecchio titolo II del codice della crisi è stata oggi modificata e rinnovata a seguito del recepimento del D.L. 118/2021, ed era una modalità per costringere l’imprenditore individuale e collettivo ad avviare iniziative senza indugio, poiché, nell’inattività dell’imprenditore, agivano soggetti istituzionali i quali segnalavano la crisi fino ad informare il Pubblico Ministero. Tale sistema era ritenuto
15 Art. 3, CCI: “L'imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e
assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte.
2. L'imprenditore collettivo deve istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell'articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell'assunzione di idonee iniziative”.
3. “Al fine di prevedere tempestivamente l'emersione della crisi d'impresa, le misure di cui al comma 1 e gli assetti di cui al comma 2 devono consentire di:
a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economicofinanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell'impresa e dell'attività imprenditoriale svolta dal debitore;
b) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rile vare i segnali di cui al comma 4;
c) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la
verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all'articolo 13, al comma 2.”
troppo aggressivo e invadente e aveva riacceso il dibattito tra sostenitori della privatizzazione della gestione della crisi e i sostenitori di un intervento del giudice.
L’articolo 3 del CCI mira a portare l’imprenditore nella direzione voluta dal legislatore, creando una situazione nella quale attuare una scelta diversa dall’attivarsi tempestivamente e dotarsi di assetti adeguati diventa economicamente rischioso.
Gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati sono funzionali per la veloce rilevazione della situazione di crisi, e cioè lo squilibrio di carattere patrimoniale, economico e finanziario.
Gli assetti adeguati devono avere caratteristiche tali per cui è possibile effettuare la lista di controllo particolareggiata, la check list, che permette di svolgere il test pratico per verificare la raggiungibilità del risanamento di cui all’art 13 CCII.16
Il legislatore, oltre all’obbligo di istituire assetti adeguati, ha previsto specifici doveri per il debitore: illustrare la propria situazione patrimoniale, economico e finanziaria in modo chiaro, veritiero e completo, assumere senza ritardo iniziative idonee per non pregiudicare i diritti dei creditori ed infine gestire il patrimonio o l’impresa nel prioritario interesse dei creditori.17
16 Art 13, CCI 1. “E' istituita una piattaforma telematica nazionale accessibile agli imprenditori iscritti nel registro delle imprese attraverso il sito istituzionale di ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura. La piattaforma è gestita dal sistema delle camere di commercio, per il tramite di Unioncamere, sotto la vigilanza del Ministero della giustizia e del Ministero dello sviluppo economico.”
2. “Sulla piattaforma sono disponibili una lista di controllo particolareggiata, adeguata anche alle esigenze delle micro, piccole e medie imprese, che contiene indicazioni operative per la redazione del piano di risanamento, un test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento e un protocollo di conduzione della composizione negoziata accessibili da parte dell'imprenditore e dei professionisti dallo stesso incaricati. La struttura della piattaforma, il contenuto della lista di controllo particolareggiata, le modalità di esecuzione del test pratico e il contenuto del protocollo sono definiti dal decreto dirigenziale del Ministero della giustizia adottato ai sensi dell'articolo 3 del decretolegge 24 agosto 2021, n. 118, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 ottobre 2021, n. 147.”
17 Xxxxx Xxxxxxxxxxx, I mutevoli orizzonti del diritto della crisi, in “xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx”, 14 giugno 2022, pag 789
Tra le fila degli esperti contabili è diffuso il sentimento che l’istituzione di assetti adeguati possa essere troppo pesante per le piccole e medie imprese e causare loro eccessivi sforzi economici. Ma il significato di adeguatezza sottointende una misura di relazione, prevista dall’art 2086 c.c18, cioè rapportarla alla natura e alle dimensioni dell’impresa. Quindi l’adeguatezza per una piccola o media impresa va relazionata con la propria struttura finanziaria più semplice.19
18 Art 2086 comma 2, c.c: “L'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il
dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuita' aziendale, nonche' di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuita' aziendale.”
19 Xxxxxx Xxxxxxx, Il Codice della crisi nel tempo sospeso della pandemia, in “xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx”, 18 marzo 2021, pag 910
I.1.7 La composizione negoziata della crisi
La composizione negoziata della crisi è un procedimento di natura stragiudiziale, meno oneroso e più congruo all’attuale contesto economico, tramite il quale il legislatore persegue il risanamento delle imprese, che nonostante versino in una situazione di squilibrio finanziario, patrimoniale ed economico, mostrano capacità e potenzialità per poter continuare a restare sul mercato, anche con una cessione dell’azienda o di alcuni suoi rami.
La composizione negoziata della crisi, rispetto alla procedura di composizione assistita della crisi, è uno strumento maggiormente conforme ai principi e alle indicazioni contenute nella direttiva europea 2019/1023, che punta a favorire l’imprenditore a fronteggiare e risolvere la crisi in maniera rapida, semplice e poco onerosa.20
La composizione negoziata è un procedimento tramite il quale un esperto indipendente agevola la fase delle trattative tra l’imprenditore, il creditore e gli altri soggetti interessati, giungendo ad una soluzione per il risanamento dei valori aziendali.
La composizione negoziata non è né una procedura concorsuale né uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, ma è un percorso che può portare all’accesso a questi strumenti.
Essa non è una procedura attivata dal giudice ma ha carattere volontario.
La legittimazione ad attivare la procedura spetta esclusivamente all’imprenditore, che
quindi è completamente libero di scegliere se avvalersi di tale possibilità.
20 Xxxxxxx Xxxxxxx, La riforma del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in una prospettiva europea, in “Tidona e Xxxxxxxxx.xxx” studio legale, 11 dicembre 2021, pag 4
Nel caso di società, la decisone spetta agli amministratori, i quali però possono ricevere una segnalazione di sussistenza di presupposti per la domanda da parte dell’organo di controllo.21
Il presupposto soggettivo per richiedere l’accesso alla composizione negoziata, è identificato dalla qualità di imprenditore, sia commerciale che agricolo senza alcun limite dimensionale.
Il presupposto oggettivo è la condizione di squilibrio patrimoniale o economico finanziario che rendono probabile la crisi e l’insolvenza. In relazione al presupposto oggettivo deve essere però perseguibile il risanamento dell’impresa.
Prima di arrivare al momento vero e proprio di crisi l’imprenditore attraversa un periodo di cosiddetta pre crisi, la quale è una situazione in cui l’impresa non versa in un vero e proprio stato di crisi e quindi si intravede la necessità e possibilità di chiedere istanza per la composizione negoziata avviando un dialogo con creditori e soggetti interessati.
L’istanza di accesso alla procedura di composizione negoziata può essere richiesta anche in pendenza di uno stato di crisi, che è lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi.
L’imprenditore può ricorrere alla composizione negoziata anche quando attraversa una situazione di insolvenza.
21 Art. 25octies, comma 1, CCI: “L’organo di controllo societario segnala, per iscritto, all’organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza di cui all’art. 17. La segnalazione è motivata, è trasmessa con mezzi che assicurano la prova dell’avvenuta ricezione e contiene la fissazione di un congruo termine, non superiore a trenta giorni, entro il quale l’organo amministrativo deve riferire in ordine alle iniziative intraprese. In pendenza delle trattative, rimane fermo il dovere di vigilanza di cui all’articolo 2403 del codice civile.”
Indipendentemente dalla condizione attraversata, pre crisi, crisi o insolvenza è fondamentale che sussista la possibilità di risanamento dell’impresa in capo al debitore o la salvaguardia dei valori aziendali mediante trasferimento di azienda o ramo/i d’azienda.22
L’imprenditore che intende avvalersi della composizione negoziata deve fare la richiesta di nomina di un esperto, tramite una piattaforma telematica nazionale gestita dal sistema informatico delle camere di commercio attraverso Unioncamere, sotto il controllo dei Ministeri della giustizia e dello sviluppo economico.23
All’interno della piattaforma sarà disponibile accedere a:
• Una lista di controllo particolareggiata, chiamata check list, che fornisce linee guida per formulare il piano di risanamento.
• Un test pratico per accertare la perseguibilità del risanamento aziendale.
• Un protocollo per seguire l’imprenditore nella procedura della composizione
negoziata.
L’istanza per l’accesso alla procedura avviene mediante la compilazione, in forma telematica, di un modello in cui l’imprenditore fornisce le seguenti informazioni: i bilanci degli ultimi tre esercizi, o per gli imprenditori che non redigono un bilancio, la presentazione delle dichiarazioni iva e dei redditi degli ultimi tre periodi d’imposta, un progetto di risanamento dell’impresa contenente un piano finanziario per i sei mesi seguenti, una lista dei creditori, con l’indicazione dell’importo dei crediti totali e di quelli
22 Xxxxxxxx X’Xxxxxxx, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Xxxxxxxxxxxx, 2022, pag 2930
23 Art. 17, comma 1, CCI: “L’istanza di nomina dell’esperto indipendente è presentata tramite la piattaforma telematica di cui all’articolo 13 mediante la compilazione di un modello, ivi disponibile, contenente le informazioni utili ai fini della nomina e svolgimento dell’incarico da parte dell’esperto nominato.”
già scaduti, un elenco, se vi sono, di diritti reali e personali di garanzia, documenti attinenti a debiti tributari, previdenziali, assicurativi e bancari.
La procedura prevede che l’imprenditore sia affiancato da un esperto, il quale ha il compito di facilitare le trattative tra imprenditore, creditori e soggetti interessati al risanamento. E’ importante specificare che l’esperto non si sostituisce all’imprenditore. L’esperto per potere accedere all’incarico deve avere le competenze adeguate, e successivamente alla nomina deve verificare di essere in possesso dei requisiti di indipendenza e professionalità. L’esperto non deve aver prestato attività lavorativa in favore dell’imprenditore, né essere stato membro del consiglio di amministrazione o organo di controllo, né aver avuto partecipazioni nell’impresa soggetta alla procedura.
In questo caso l’indipendenza è rafforzata perché è previsto che chi ha svolto l’incarico di esperto non potrà avere rapporti professionali con l’imprenditore per i due anni successivi all’archiviazione della composizione negoziata. Nel caso in cui l’esperto collabori con un revisore legale o soggetti con determinate competenze in campo previdenziale, tributario, bancario essi non potranno essere legati all’impresa o all’imprenditore da rapporti personali e professionali.24
Dopo aver accettato la nomina l’esperto deve verificare l’esistenza della possibilità di risanamento dell’impresa. Per verificare tale prospettiva, egli si avvale dei documenti necessari e svolge incontri con l’imprenditore e, se presenti l’organo di controllo e il revisore. Si apre, quindi, la fase preliminare al termine della quale se l’esperto non accerta la prospettiva di risanamento lo comunica all’imprenditore e al segretario generale della
24 Xxxxxxx Xxxxxxx, La riforma del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in una prospettiva europea, in “Tidona e Xxxxxxxxx.xxx” studio legale, 11 dicembre 2021, pag 567
camera di commercio, il quale disporrà l’archiviazione dell’istanza di composizione
negoziata entro cinque giorni lavorativi.25
Se l’archiviazione è richiesta dall’esperto, l’imprenditore non può presentare una nuova domanda di composizione negoziata prima di un anno dalla data di avvenuta archiviazione.
Se invece è l’imprenditore ad accertare la mancanza della fattibilità del risanamento, e chiede l’archiviazione della procedura, il termine per richiedere l’apertura della composizione negoziata è ridotto, una volta sola , a quattro mesi.26
Se l’esperto ravvisa condizioni di risanamento procede ad avviare le trattative tra l’imprenditore, creditori e soggetti interessati. Le trattative hanno natura riservata, vi è quindi un obbligo di riservatezza per tutte le parti interessate. Le modalità per svolgere le trattative possono essere definite liberamente dalle parti: potrebbero consistere in incontri bilaterali, separati, o ancora con una determinata categoria di soggetti.
Le tempistiche sono decise dall’esperto il quale deve tenere conto che il suo incarico
termina entro centottanta giorni dall’accettazione della nomina.27
25 Art. 17, comma 5, CCI: “L’esperto, accettato l’incarico, convoca senza indugio l’imprenditore per valutare l’esistenza di una concreta prospettiva di risanamento, anche alla luce delle informazioni assunte dall’organo di controllo e dal revisore legale, ove in carica. L’imprenditore partecipa personalmente e può farsi assistere da consulenti. Se ritiene che le prospettive di risanamento sono concrete l'esperto incontra le altre parti interessate al processo di risanamento e prospetta le possibili strategie di intervento fissando i successivi incontri con cadenza periodica ravvicinata. Se non ravvisa concrete prospettive di risanamento, all’esito della convocazione o in un momento successivo, l’esperto ne dà notizia all’imprenditore e al segretario generale della camera di commercio che dispone l’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata entro i successivi cinque giorni lavorativi. Nel corso delle trattative l’esperto può invitare le part i a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa o se è alterato l’equilibrio del rapporto in ragione di
circostanze sopravvenute. Le parti sono tenute a collaborare tra loro per rideterminare il contenuto del contratto o adeguare
le prestazioni alle mutate condizioni.”
26 Art. 17, comma 9, CCI: “In caso di archiviazione dell’istanza di cui al comma 1, l’imprenditore non può presentare una nuova istanza prima di un anno dall’archiviazione. Se l’archiviazione è richiesta dall’imprenditore con istanza depositata con le modalità previste nel comma 1 entro due mesi dall’accettazione dell’esperto, il termine di cui al primo periodo è ridotto, per una sola volta, a quattro mesi.”
27 Art. 17, comma 7, CCI: “L’incarico dell’esperto si considera concluso se, decorsi centottanta giorni dalla accettazione della nomina, le parti non hanno individuato, anche a seguito di sua proposta, una soluzione adeguata per il superamento delle condizioni di cui all’articolo 12, comma 1. L’incarico può proseguire per non oltre centottanta giorni quando tutte le
L’incarico dell’espero si considera concluso se, dopo centottanta giorni dall’accettazione della nomina, le parti non sono giunte ad una soluzione per il risanamento, nonostante un piano proposto dall’esperto.
Durante le trattative l’esperto può esortare le parti a rideterminare il contenuto dei contratti ad esecuzione periodica o continuata, se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa.28
Per evitare che il ricorso alla composizione negoziata allarmi le banche ed intermediari finanziari e, causi una riduzione di sostegno finanziario all’imprenditore, con decremento delle possibilità di raggiungimento del risanamento, è previsto che l’accesso alla composizione negoziata non è causa di sospensione o revoca di affidamenti bancari.29
La composizione negoziata è definita come una procedura amichevole e l’esperto non si sostituisce all’imprenditore quindi l’imprenditore mantiene la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa, senza minare la sostenibilità economica e finanziaria. Gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere dall’imprenditore durante la procedura, in seguito all’accettazione della nomina dall’esperto, se coerenti con le trattative e con il piano non sono soggetti a revocatoria.
parti lo richiedono e l’esperto vi acconsente, oppure quando la prosecuzione dell’incarico è resa necessaria dal ricorso dell’imprenditore al tribunale ai sensi degli articoli 19 e 22. In caso di sostituzione dell’esperto o nell’ipotesi di cui all’articolo 25, comma 7, il termine di cui al primo periodo decorre dall’accettazione del primo esperto nominato.
28 Art. 17, comma 5, CCI: “Nel corso delle trattative l’esperto può invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa o se è alterato l’equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute. Le parti sono tenute a collaborare tra loro per rideterminare il contenuto del contratto o adeguare le prestazioni alle mutate condizioni.”
29 Art. 16, comma 5, CCI: “Le banche e gli intermediari finanziari, i loro mandatari e i cessionari dei loro crediti sono tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato. L'accesso alla composizione negoziata della crisi non costituisce di per sé causa di sospensione e di revoca degli affidamenti bancari concessi all'imprenditore. In ogni caso la sospensione o la revoca degli affidamenti possono essere disposte se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale, con comunicazione che dà conto delle ragioni della decisione assunta.”
L’imprenditore prima di compiere un atto di straordinaria amministrazione e atti di esecuzione di pagamenti non connessi con lo stato di avanzamento delle trattative deve informare, per iscritto, in via preventiva l’esperto.
Se l’esperto ravvisa un pregiudizio per i creditori o le parti interessate lo segnala per iscritto all’imprenditore e all’organo di controllo se presente.
Se nonostante la segnalazione l’imprenditore compie l’atto, l’esperto può iscrivere, nei seguenti dieci giorni, il proprio dissenso presso il registro delle imprese. In seguito all’iscrizione del dissenso, nel registro, gli atti di straordinaria amministrazione e i pagamenti sono revocabili.30
Resta ferma la responsabilità civile e penale dell’imprenditore per gli atti compiuti
durante la composizione negoziata, se posti in essere violando la legge.31
La composizione negoziata non è una procedura giudiziale in quanto il tribunale non la guida e non attua una forma di autorità e di controllo. L’imprenditore in virtù di ciò è incentivato ad avvalersene.
Il tribunale interviene nella procedura solo quando ne fa richiesta esplicita l’imprenditore. Un esempio di intervento del tribunale consiste nelle autorizzazioni che l’imprenditore richiede al tribunale, il quale controlla che tali richieste siano funzionali per la continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori.
In quest’ottica il tribunale può autorizzare l’imprenditore, ad esempio, a contrarre finanziamenti prededucibili e a trasferire l’azienda o un ramo di essa con conseguente
30 Art. 24, comma 3, CCI: “Gli atti di straordinaria amministrazione e i pagamenti effettuati nel periodo successivo alla accettazione dell’incarico da parte dell’esperto sono in ogni caso soggetti alle azioni di cui agli articoli 165 e 166 se, in relazione ad essi, l’esperto ha iscritto il proprio dissenso nel registro delle imprese ai sensi dell’articolo 21, comma 4, o se il tribunale ha rigettato la richiesta di autorizzazione presentata ai sensi dell’articolo 22.”
31 Xxxxxxxx X’Xxxxxxx, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Giappichelli, 2022, pag 343536
liberazione dell’acquirente dai debiti pregressi. La liberazione dai debiti anteriori aumenta le possibilità di trovare soggetti interessati all’impresa e conseguire la salvaguardia dei valori aziendali.
La composizione negoziata può avere conclusioni diverse: archiviazione, raggiungimento di un accordo con i creditori ed è l’esito auspicato dal legislatore o mancato raggiungimento di un accordo con i creditori. In quest ultimo caso, se persiste la crisi o l’insolvenza, l’imprenditore può ricorrere agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza messi a disposizione del codice.32
32 Xxxxxxxx X’Xxxxxxx, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Xxxxxxxxxxxx, 2022, pag 39404142
CAPITOLO II – I CONTRATTI PENDENTI NEL CODICE DELLA CRISI
E DELL’INSOLVENZA
II.1 LA DISCIPLINA EUROPEA IN MATERIA DI CONTRATTI
PENDENTI NELLA CRISI D’IMPRESA
Gli Stati membri dell’Unione Europea hanno recentemente recepito all’interno dei propri ordinamenti la direttiva 2019/1023/UE, con la quale il legislatore europeo pone come scopo l’armonizzazione dei quadri di ristrutturazione preventiva utilizzabili per le imprese in crisi che hanno ancora possibilità di conservare e produrre valore tramite la continuità del complesso aziendale e delle sue attività.
Tra gli argomenti oggetto della direttiva vi è anche quello dei contratti pendenti, nei confronti dei quali la disciplina europea ha imposto importanti cambiamenti rispetto alla disciplina italiana.
Le ragioni che hanno spinto il legislatore europeo nel prevedere una disciplina specifica in tema di contratti pendenti è data dal fatto che, nel contesto attuale di un’economia sempre più dematerializzata, una gran parte del valore d’impresa è connessa ai rapporti pendenti e la crisi di uno dei contraenti, se attribuisce alla controparte il potere e la facoltà di sospendere l’esecuzione del contratto o cessarlo in via anticipata, causa situazioni di disgregazione aziendale e organizzativa. Questo provoca una sottrazione del creditore contrattuale alla sorte degli altri creditori e causa, inoltre, una distruzione permanente di ricchezza tale per cui l’impresa è impedita nella prosecuzione della sua attività e conservazione dei valori aziendali. Quindi il contraente in bonis potrebbe distruggere più ricchezza in confronto a quella di cui si è appropriato.
Sulla base di questa prospettiva la direttiva europea ha previsto che debbano essere neutralizzati i meccanismi, derivanti da fonti contrattuali, che rendono gravosa o impossibilitano l’impresa alla continuazione dei suoi rapporti preesistenti come conseguenza dell’avvio della ristrutturazione.
Gli obiettivi perseguiti dall’ordinamento europeo non sono totalmente lontani dall’ordinamento italiano, il quale già classifica come inefficaci i patti e accordi contrattuali che impediscono la continuazione del contratto per effetto della ammissione di una delle parti alla procedura di concordato.
Le disposizioni della Direttiva sul tema dei contratti pendenti, rispetto alla disciplina nazionale, sono caratterizzate da una maggiore incisività nel perseguire l’obiettivo della prosecuzione dei rapporti in corso.
Entrando nel dettaglio della Direttiva, essa ha previsto che la misura della sospensione delle azioni esecutive individuali dei creditori abbia l’effetto di negare ad essi di aggredire il patrimonio del debitore, ma la novità è stata quella di escludere che i contraenti di un contratto essenziale per la continuità possano opporsi alla sua esecuzione eccependo l’inadempimento o avvalersi in autotutela di altri rimedi i quali hanno come presupposto l’inadempimento di crediti precedenti. La scelta del legislatore di assimilare le due situazioni è data dal fatto che egli equipara gli effetti derivanti dai rimedi a tutela del creditore e quelli derivanti dall’autotutela del contraente in bonis.
Nel quadro normativo precedente all’entrata in vigore della Direttiva europea, il contraente che contestava l’inadempimento di crediti anteriori al deposito della domanda di concordato preventivo poteva sempre rifiutare l’esecuzione del contratto oppure agire per la risoluzione di esso o far valere una clausola risolutiva espressa.
In riferimento l’articolo 7 della Direttiva prevede che la parte in bonis non possa mai rifiutare l’adempimento, sciogliersi dal contratto, far valere decadenze o modificare i termini dell’accordo in sfavore del debitore, quando ricorrono insieme tutte le condizioni seguenti:
• E’ stata disposta la sospensione delle azioni esecutive individuali e il contraente in bonis risulta destinatario di tale misura. La Direttiva prevede che la sospensione delle azioni esecutive individuali non si produce automaticamente con l’inizio della ristrutturazione ma deve essere domandata dal debitore. Gli stati membri possono optare per una sospensione generale oppure limitata a singoli creditori o categorie di creditori.
• Si tratta di un contratto pendente, cioè non compiutamente eseguito da nessuna delle parti al momento della sospensione.
• La prosecuzione del contratto risulta essere fondamentale per la gestione corrente
dell’impresa.
• La parte esercita i rimedi di autotutela sulla semplice base che vi sono crediti precedenti non soddisfatti.
La sterilizzazione dei rimedi riguarda sia le facoltà contrattuali decise dalle parti come ad esempio clausole risolutive espresse, interessi moratori, decadenze dal beneficio del termine, sia le facoltà riconosciute ordinariamente dal diritto alla parte in bonis, ad esempio diffida ad adempiere, azione di risoluzione o eccezione di inadempimento.
La Direttiva europea concede la possibilità agli Stati membri di estendere la sterilizzazione dei rimedi, prevedendo che essa abbia effetto nei confronti della totalità dei contratti pendenti, tra cui anche quelli non essenziali per la continuità aziendale.
La disciplina europea produce l’effetto di separare idealmente il contratto in due parti, prima e dopo il momento in cui è attuata la sospensione delle azioni esecutive individuali. In riferimento al momento antecedente la sospensione, la controparte è trattata come un creditore qualsiasi, mentre nel momento successivo alla sospensione il terzo non può astenersi dall’eseguire il contratto laddove è rispettato l’equilibrio sinallagmatico.
Nonostante ciò, nemmeno in base alla disciplina europea il terzo contraente può essere obbligato ad eseguire la propria prestazione nelle seguenti circostanze:
• Quando il rapporto è inserito in un’ampia relazione commerciale, che prevede una sequenza di contratti. In tale situazione il rifiuto del terzo di stipulare un nuovo contratto in mancanza della previa soddisfazione dei crediti è una legittima espressione della sua libertà negoziale.
• Nei contratti pendenti scindibili ove è possibile individuare coppie di prestazioni autonome quando la sospensione si verifica tra il momento in cui il debitore sarebbe tenuto alla prestazione e la conseguente controprestazione del terzo.
• Quando il rapporto contrattuale è per natura inscindibile, con la conseguenza che la prosecuzione richiede che il debitore, mediante consenso della parte in bonis a ridurre le pretese, soddisfi anche i debiti anteriori. Ad esempio un contratto preliminare di compravendita.
Nei casi precedentemente elencati è necessario che il debitore effettui il pagamento autorizzato per ottenere la prestazione del terzo.
Il legislatore europeo ha voluto neutralizzare il potere di ricatto dei creditori parte di un contratto strategico.
Sono, invece, più limitate le modifiche all’ordinamento italiano relative al recepimento dell’articolo 7 paragrafo 5 della Direttiva, il quale prevede la sterilizzazione delle clausole ipso facto tramite cui le parti si accordano per prevedere il diritto della parte in bonis di sospendere, cessare o modificare in peggio il contratto pendente non essenziale in seguito all’avvio di una ristrutturazione.
Il legislatore ha esteso l’ambito di applicazione dell’inefficacia delle clausole ipso facto, già prevista per il concordato preventivo, anche per l’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa.
La Direttiva prevede che siano da considerarsi clausole ipso facto quelle che hanno le seguenti caratteristiche:
• Attribuiscono alla parte in bonis il diritto di rifiutare l’adempimento, risolvere il contratto, anticipare la scadenza del contratto, modificare il contenuto del contratto in sfavore del debitore.
• Sono operative e attivate quando l’impresa presenta domanda di avvio della ristrutturazione e/o formula una richiesta di sospensione delle azioni esecutive individuali dei creditori.
La disciplina europea investe un ambito di applicazione più ampio e in virtù di ciò precisa che la sanzione dell’inefficacia si applica non solo agli accordi che prevedono, che come effetto dell’apertura della procedura, la sospensione o cessazione anticipata del contratto pendente ma anche a quegli accordi che concedono alla parte in bonis il diritto di modificare in peggio il contenuto del contratto o di anticipare le scadenze delle obbligazioni a carico dell’impresa.
Diversamente da quanto previsto nella disciplina del concordato preventivo la direttiva europea non prevede espressamente la possibilità al debitore di sospendere o sciogliere i contratti in corso di esecuzione non funzionali per il proseguo dell’attività d’impresa.
Tale facoltà, in sede di negoziazione e dialogo avvenuta in sede europea è stata scartata, ma il legislatore nazionale ha deciso di attribuire la predetta facoltà al debitore poiché l’esercizio di tale potere non contrasta con la disciplina europea dei quadri di ristrutturazione. Infatti la scelta, tra sospensione e scioglimento dei contratti pendenti, potrebbe risultare funzionale e maggiormente favorevole per la continuità d’impresa, permettendo al debitore di sciogliersi da rapporti che costituiscono un impedimento e ostacolo alla ristrutturazione aziendale.
La Direttiva non ha previsto una disciplina specifica sul tema delle tutele per i terzi contraenti però la si può ricostruire mediante alcuni indicatori.
Il legislatore europeo nelle disposizioni che trattano l’interferenza nel rapporto contrattuale ha indicato la controparte contrattuale dell’impresa in crisi come creditore. L’utilizzo di questa espressione è voluto e quindi vi è una comparazione e assimilazione tra creditori e contraenti per cui è necessario il rispetto del principio generale dell’assenza di pregiudizio, cioè la garanzia che il trattamento derivante dalla ristrutturazione non sia peggiore rispetto alle alternative.
La Direttiva prevede, all’interno dei considerando n. 4849, che la riduzione dei diritti dei creditori, tra i quali rientrano anche i terzi contraenti, deve essere proporzionata e il rispetto di tale requisito si verifica se il piano produce effetti economici sui loro diritti più vantaggiosi o almeno pari rispetto a quelli che si verificherebbero nello scenario alternativo migliore o in caso di liquidazione dell’impresa del debitore. Il considerando
specifica che i contraenti devono avere la possibilità di poter accedere ad un mezzo di ricorso per la verifica da parte del giudice del rispetto del diritto riconosciuto. L’unico adattamento necessario è nella sfera procedimentale: la Direttiva europea concede a ciascun creditore dissenziente, di attivarsi per opporsi all’omologazione constatando un trattamento non conforme al principio dell’assenza di pregiudizio, di conseguenza si è reso necessario eliminare la restrizione che impedisce a un creditore contrario, appartenente ad una classe di ceditori favorevole, di attivare il giudizio di convenienza.33
33 Xxxxxx Xxxxxx, La disciplina europea in materia di contratti pendenti nella crisi di impresa, in “giustiziacivile,com”, 6
novembre 2020, pag 34567891011121314
II.2 LA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE E I CONTRATTI PENDENTI
La liquidazione giudiziale è una procedura concorsuale di natura giudiziale con carattere coattivo, tramite la quale il patrimonio del soggetto sottoposto a tale procedura viene consegnato ad un organo nominato su decisione da parte del tribunale che lo amministra, lo liquida e in ultima istanza ne ripartisce il ricavato fra i creditori.
Lo scopo primario della liquidazione giudiziale è provvedere ad assicurare ai creditori una soddisfazione migliore rispetto a quella che otterrebbero tramite l’esecuzione individuale.
All’interno della procedura assumono importanza interessi diversi e ulteriori rispetto a quello dei creditori, come ad esempio l’interesse dei lavoratori, l’interesse all’integrità degli apparati produttivi, i quali trovano tutela non solo all’interno del Codice della Crisi e dell’Insolvenza ma anche in norme di altre leggi, come ad esempio la disciplina della concorrenza.
Di conseguenza l’interesse dei creditori, che rimane primario, deve coniugarsi con
ulteriori interessi di pari rilevanza costituzionale.
La prima importante modifica è stata la sostituzione dell’espressione fallimento con il termine liquidazione giudiziale, come appuntato dall’art. 2, comma 1, lett. a, della Legge delega n. 155/2017. Tale modifica è stata introdotta per eliminare, anche dal punto di vista del lessico, ogni percezione di disvalore nei confronti del debitore insolvente sottoposto alla procedura. Tale passaggio di espressione era già avvenuto, precedentemente, in Francia, Germania e Spagna.34
34 Xxxxxxx Xxxxxxx, Dal fallimento alla liquidazione giudiziale. Note minime sulla nuova disciplina del CCII, in “Il
Fallimento, 10/2019, pag 11411142
Il presupposto soggettivo della liquidazione giudiziale è la qualità di imprenditore commerciale, ad esclusione degli enti pubblici e delle imprese minori. Occorre quindi verificare che il soggetto sottoposto alla procedura sia un imprenditore ai sensi dell’art. 2082 del Codice Civile, il quale definisce appunto l’imprenditore come colui che esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.
Non sono imprenditori e, quindi non sono soggetti alla liquidazione giudiziale, i debitori civili, tra cui rientrano i consumatori ed i professionisti, i quali possono ricorrere alle procedure di sovra indebitamento appositamente previste per essi.
Sono, ulteriormente, esclusi dalla procedura lo Stato e gli enti pubblici. Sono però sottoposte a liquidazione giudiziale le società pubbliche, tra le quali vi rientrano le società a partecipazione pubblica e le società a controllo pubblico.
Gli imprenditori minori sono stati esclusi dalla liquidazione giudiziale per motivi di efficienza economica e di eventuale eccessiva onerosità a loro carico.
Il presupposto oggettivo della liquidazione giudiziale è lo stato di insolvenza. La valutazione è di tipo oggettivo quindi non rilevano le cause dell’insolvenza, anche quando esse derivano da una situazione di forza maggiore e/o non sono imputabili al debitore.
L’accesso alla liquidazione giudiziale si avvia mediante il deposito della domanda dinanzi al tribunale competente territorialmente.
I soggetti legittimati a proporre la domanda sono: il debitore, gli organi e le autorità amministrative che hanno funzioni di controllo e vigilanza sul debitore, uno o più creditori ed infine il pubblico ministero.
Il debitore è quindi legittimato a chiedere l’apertura della propria liquidazione giudiziale, ma questa legittimazione diviene un obbligo per il debitore in stato di insolvenza, altrimenti è configurabile il reato di bancarotta semplice a suo carico, se non chiedendo l’apertura egli ha peggiorato il proprio dissesto.
Il debitore in stato di insolvenza ha comunque la possibilità di fare richiesta di nomina dell’esperto per l’avvio della procedura di composizione negoziata della crisi, o presentare richiesta di accesso ad un differente strumento di gestione della crisi e dell’insolvenza.
Nel caso di società, la decisione di presentare la domanda di apertura della liquidazione giudiziale è di competenza degli amministratori ed essa va sottoscritta dagli amministratori che hanno la rappresentanza legale.
Anche gli organi che svolgono funzione di vigilanza e controllo hanno la legittimazione a presentare domanda di apertura. La legittimazione assume un vero e proprio dovere, funzionale e coerente con i compiti che l’organo deve svolgere ed un eventuale inadempimento da luogo a forme di responsabilità.
La liquidazione giudiziale non può essere avviata d’ufficio dal tribunale, nonostante sia a conoscenza dell’esistenza dei presupposti oggettivo e soggettivo. Se il tribunale rinviene un presupposto nel corso di un procedimento lo segnala al pubblico ministero, il quale è tra i soggetti legittimati a presentare domanda di apertura.
La presentazione della domanda avviene con ricorso il quale deve contenere le motivazioni e ragioni della domanda ed è sottoscritto dal difensore che ha la procura.
La domanda presentata dal debitore è trasmessa dal cancelliere al registro delle imprese per l’iscrizione, volta a rendere conoscibile ai terzi il fatto che il debitore sta per essere sottoposto a liquidazione giudiziale.
Se la domanda è proposta da soggetti legittimati diversi dal debitore non è prevista l’iscrizione nel registro delle imprese, poiché il debitore ha la facoltà di contestarla e proporre opposizione per non subire il pregiudizio reputazionale nei confronti dei terzi, dato che la domanda potrebbe essere infondata. Tra la data della notifica e quella dell’udienza devono passare non meno di quindici giorni, e il debitore in questo lasso di tempo ha la possibilità di formare le proprie difese.
Successivamente al deposito della domanda, l’udienza dovrà tenersi entro quarantacinque giorni dal deposito del ricorso. L’udienza è fissata con decreto all’interno del quale il tribunale fissa un termine per il debitore fino a sette giorni prima dell’udienza per la presentazione di memorie difensive.
Il procedimento per l’apertura di liquidazione giudiziale può concludersi nei seguenti modi: estinzione per rinuncia della domanda, dichiarazione di incompetenza territoriale, rigetto della domanda di apertura ed infine dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale.35
L’apertura della liquidazione giudiziale produce effetti anche nei confronti dei contratti pendenti. Per contratto pendente si intende il contratto perfezionato prima dell’apertura della liquidazione giudiziale e che sia ancora ineseguito o non compiutamente eseguito nelle prestazioni principali da entrambi le parti nel momento di apertura della procedura.
35 Xxxxxxxx X’Xxxxxxx, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Xxxxxxxxxxxx, 2022, pag 197198199201202204 205206207208209
Non sono quindi contratti pendenti, e non sono coinvolti dagli effetti della liquidazione giudiziale, i contratti che al momento dell’apertura della procedura siano stati interamente eseguiti da entrambe le parti o per i quali una delle due parti abbia completamente eseguito la propria prestazione principale, residuando da effettuare solo le prestazioni accessorie.
In riferimento ai contratti eseguiti da una sola parte se è il debitore a non aver eseguito la prestazione, la controparte deve presentare domanda di ammissione al passivo per far valere il proprio credito, se al contrario è la controparte a non aver eseguito la prestazione, il curatore usa gli strumenti negoziali e processuali per chiedere l’adempimento.
Non rientrano tra la categoria di contratto pendente, i contratti ad effetti reali quando all’apertura della liquidazione giudiziale è già avvenuto il trasferimento del diritto, in conseguenza del fatto che il trasferimento della proprietà rappresenta la prestazione principale del venditore.
Se il contratto è pendente nel momento di apertura della liquidazione, è necessario perseguire esigenze diverse: evitare che il curatore sia obbligato ad eseguire la prestazione, assunta precedentemente dal debitore, o nell’ipotesi in cui ciò non sia possibile, la massa dei creditori sia esposta ad azioni risarcitorie ad opera della controparte. L’altra esigenza è evitare il rischio che la controparte contrattuale non intenda proseguire il contratto come effetto dell’apertura della procedura, sottraendola di contratti potenzialmente utili nelle fasi di amministrazione e liquidazione dell’attivo.
Per tutelare le due necessità la legge introduce una disciplina specifica, che deroga
rispetto al diritto comune, in particolare rispetto all’art. 1372 c.c.36
La disciplina in tema di contratti pendenti prevede una regola generale, esercitabile per tutti i tipi contrattuali, salvo diversa indicazione, e di regole specifiche applicabili a singoli tipi contrattuali previsti in modo determinato. Di conseguenza, se un contratto tipico o atipico non è oggetto di una regola specifica, si applica la regola generale.
La regola generale è quella della sospensione del contratto come conseguenza dell’apertura della liquidazione giudiziale, con potere del curatore di sciogliersi o, in alternativa, subentrare nel contratto.
Se un contratto è pendente al momento dell’apertura della procedura, l’esecuzione del contratto è sospesa ma il curatore, ottenuta l’autorizzazione del comitato dei creditori, può subentrare nel contratto, assumendo i relativi obblighi, oppure può sciogliersi dallo stesso.
La sospensione del contratto prevede che esso sia in stand by, quindi nessuno dei due contraenti è obbligato ad attivarsi per effettuare la propria prestazione. La sospensione che attribuisce una scelta discrezionale al curatore è una previsione di favore per la massa dei creditori, poiché il curatore deciderà di subentrare in quei rapporti che ritenga utili alla procedura, o in alternativa sciogliersi dai contratti che per tipologia e finalità risultino essere pregiudizievoli per i creditori. Queste facoltà previste per il curatore derogano alle norme del diritto comune, le quali non consentono ad una sola delle due parti di decidere
36 Art. 1372 C.C: “Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge.”
autonomamente ed unilateralmente le sorti di un contratto pendente. La finalità è quella di
una migliore tutela dell’interesse collettivo dei creditori.
La scelta del curatore, in ogni caso, è connessa all’autorizzazione del comitato dei
creditori.
In caso di inerzia del curatore la controparte può mettere in mora il curatore, chiedendo al giudice di prevedere un termine, che non può essere superiore a sessanta giorni, scaduto il quale il contratto si intende sciolto.
Se il curatore opta per il subentro nel contratto, lo fa nella stessa posizione contrattuale del debitore e dovrà adempiere alle obbligazioni contenute in esso.
I crediti maturati dalla controparte durante la liquidazione giudiziale sono prededucibili, mentre i crediti sorti prima dell’apertura potranno solo essere oggetto di domanda di ammissione al passivo e saranno successivamente soddisfatti con gli altri crediti di medesimo rango.
Nel caso in cui il curatore decida di sciogliersi dal contratto, la controparte ha solamente il diritto di far valere nel passivo il credito derivante dal mancato adempimento, senza ottenere risarcimento del danno. Anche in questo caso vi è una deroga alle norme di diritto comune.
Il potere del curatore è reso effettivo mediante la previsione di inefficacia delle clausole negoziali che collegano la risoluzione del contratto all’apertura della liquidazione giudiziale. L’inefficacia opera in modo ampio e interessa tutte le clausole che prevedono e consentono al terzo di sciogliersi dal contratto quale effetto dell’apertura.
Quando il debitore è inadempiente prima dell’apertura della procedura e la controparte ha intrapreso l’azione di risoluzione del contratto, sempre prima della liquidazione
giudiziale, l’azione continua durante il procedimento e produce i suoi effetti nei confronti del creditore. Il tribunale, chiamato a rispondere circa la domanda di risoluzione, se la accoglie impedisce al curatore di pretendere la prosecuzione del contratto.
Se la controparte, nonostante il precedente inadempimento del debitore, non abbia proposto azione di risoluzione, non può chiederla successivamente all’apertura della procedura.
Nel caso in cui il curatore è autorizzato all’esercizio dell’impresa nonostante l’apertura della procedura, la regola generale non è quella che prevede la sospensione del contratto, con possibilità di scelta fra subentro o scioglimento, ma vige la regola della prosecuzione, a meno che il curatore non decida di sospendere l’esecuzione o di sciogliersi.
Il rovesciamento della regola è posto per tutelare l’interesse dei creditori, difficilmente l’esercizio dell’impresa potrebbe continuare in mancanza della prosecuzione dei contratti pendenti.
Per alcuni tipi contrattuali è delineata una disciplina autonoma, che può essere differente o meno dalla regola generale a seconda della casistica.
I contratti sottoposti ad una disciplina autonoma possono essere suddivisi in tre grandi categorie:
• Contratti sospesi con attribuzione della scelta al curatore, ma con applicazione di regole particolari. In questa prima categoria rientrano i contratti sospesi in riferimento ai quali è attribuita una scelta al curatore, ma vi può essere un’applicazione di regole particolari rispetto alla regola generale.
• Contratti che si sciolgono automaticamente. In questa categoria rientrano i contratti che si sciolgono automaticamente quale effetto dell’apertura della liquidazione giudiziale a carico di una delle due parti.
• Contratti che proseguono. In questa categoria rientrano i contratti che proseguono successivamente all’apertura della procedura, senza che operi la sospensione. Sono ricomprese ipotesi nelle quali vi è un intenso interesse della parte in bonis alla prosecuzione del rapporto pendente.37
37 Xxxxxxxx X’Xxxxxxx, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Giappichelli, 2022, pag 262263264265267269 271
Xxxxxxxxx Xxxxx, I rapporti pendenti nella liquidazione giudiziale, in “Il Fallimento”, 10/2019, pag 1183118411851186
II.3 LA LIQUIDAZIONE CONTROLLATA DEL SOVRAINDEBITATO E I CONTRATTI PENDENTI
La disciplina della liquidazione controllata del sovraindebitato è la procedura corrispondente alla liquidazione giudiziale ma prevista per coloro che sono in una condizione di sovra indebitamento.38 Anche in questa situazione il contratto pendente è individuato nel contratto ineseguito o non completamente eseguito nella prestazione principale al momento dell’apertura della procedura.
L’unica regola che vige è quella della sospensione automatica del contratto fino alla decisione del liquidatore, il quale ha la facoltà di scegliere tra prosecuzione o scioglimento.
Questa regola però non tiene conto che anche nelle imprese minori può palesarsi il problema dell’esercizio di impresa provvisorio, non disciplinato all’interno della liquidazione controllata del sovra indebitato, cosi come, lo stesso problema, si pone per l’impresa agricola.
Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza è un codice e un testo unitario al cui interno sono presenti tutte le procedure, quindi è possibile prevedere risposte e soluzioni interpretative in via analogica in relazione alle norme espresse all’interno della disciplina della liquidazione giudiziale.
Per tale motivo è plausibile optare per una soluzione interpretativa in caso di esercizio
provvisorio dell’impresa agricola o dell’impresa minore soggetta alla procedura di
38 Art. 2, comma 1, lett. c, CCI: “sovra indebitamento: lo stato di crisi o insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle startup innovative di cui al decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza.
liquidazione controllata da sovra indebitamento, applicando la regola stabilita dall’art.
211, comma 8, CCI.39
Anche in caso di liquidazione controllata del sovra indebitato è possibile che il creditore chieda la messa in mora del liquidatore, richiedendo un termine al giudice delegato, non inferiore a sessanta giorni, superato il quale il contratto si intende sciolto. Nel caso di prosecuzione del contratto, i crediti maturati durante la procedura sono prededucibili, mentre se il liquidatore scioglie il contratto il credito si insinua nel passivo per il mancato adempimento delle prestazioni.40
39 Art. 211, comma 8, CCI: “Durante l’esercizio i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli. E’ fatto salvo il disposto dell’articolo 110, comma 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50. I crediti sorti nel corso dell’esercizio sono soddisfatti in prededuzione ai sensi dell’articolo 221, comma 1, lettera a.”
40 Xxxxxxxxx Xxxxx, I rapporti pendenti nella liquidazione giudiziale, in “Il Fallimento”, 10/2019, pag 1192
II.4 I CONTRATTI PENDENTI NELLA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA (LCA)
La disciplina della liquidazione coatta amministrativa all’interno del Codice della Crisi e dell’insolvenza è rimasta sostanzialmente immutata rispetto alla disciplina contenuta nel Titolo V della Legge Fallimentare. L’articolo 304 del codice41 ha contenuto uguale all’articolo 201 della Legge Fallimentare. L’articolo 304 richiama le norme previste agli artt. 172192 del CCI, e ciò vuol dire che si applica la disciplina prevista per la liquidazione giudiziale,
La scelta del legislatore però rende perplessi poiché, già in precedenza, erano emerse criticità relative al rapporto tra Xxxxx Xxxxxxxxxxxx e LCA ed il nuovo codice non le ha risolte. Uno dei principali problemi è quello dell’armonizzazione tra la disposizione che subordina la decisione del curatore relativamente alle sorti del contratto pendente al benestare del comitato dei creditori. Il comitato di sorveglianza, nonostante presenti tratti simili con il comitato dei creditori, non può esercitare questa autorizzazione, e allora il quesito è se lo stesso può essere attuato dall’autorità amministrativa, senza bisogno di nessuna autorizzazione, dati i più ampi poteri del commissario liquidatore rispetto al curatore.42
Un ulteriore problema riguarda la norma che concede al contraente in bonis di fare richiesta al giudice delegato di fissare un termine di messa in mora, decorso il quale il
41 Art 304, CCI: 1. “Dalla data del provvedimento che ordina la liquidazione si applicano le disposizioni del titolo V, capo
I, sezioni III e V e le disposizioni dell’articolo 165.”
2. “Si intendono sostituiti nei poteri del tribunale e del giudice delegato l’autorità amministrativa che vigila sulla liquidazione, nei poteri del curatore il commissario liquidatore e, in quelli del comitato dei creditori, il comitato di sorveglianza.”
42 Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Le novità in materia di contratti pendenti nel Codice della Crisi di impresa e dell’Insolvenza, in
“Judicium”, 2019 pag 340
contratto si intende sciolto: in questo caso tale norma non è applicabile perché la decisione non rientra tra le competenze dell’autorità amministrativa. La conseguenza è che quindi nella LCA, il contraente in bonis non gode di uno strumento di tutela per fronteggiare l’inerzia del commissario liquidatore a meno che non si ritenga applicabile l’art. 1183 del codice civile.43
43 Art. 1183, C.C: “Se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita, il creditore può esigerla
immediatamente.”
Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxxxx, Le novità in materia di contratti pendenti nel Codice dells Crisi di impresa e dell’Insolvenza , in
“Diritto ed Economia dell’impresa”, 2021
II.5 I CONTRATTI PENDENTI NEL CONCORDATO PREVENTIVO
Una delle novità introdotte nella Legge Fallimentare dal D.L. n.83 del 2012 fu quella inerente alla sorte dei rapporti giuridici preesistenti nella disciplina del concordato preventivo. Nella definizione di contratto pendente il legislatore decise di riprendere la stessa definizione usata nel primo comma dell’art. 72. L.fall, che forniva la regola generale per il fallimento: doveva trattarsi di contratti a prestazioni corrispettive ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti ad una certa data, che nel fallimento era la data di deposito o iscrizione nel registro delle imprese della sentenza dichiarativa di fallimento, mentre nel concordato preventivo la data individuata era quella che coincideva con la presentazione del ricorso.
Nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza vi sono altre novità: la definizione di contratto pendente è stata integrata, nel senso che deve trattarsi di contratti a prestazioni corrispettive ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambi le parti. Il momento di riferimento è la data di deposito della domanda di accesso al concordato preventivo.
Dalla nozione di contratto pendente si ricava che non rientrano in tale categoria i rapporti sinallagmatici interamente eseguiti da una delle due parti prima della domanda, dando luogo, nel caso di adempimento del contraente in bonis, ad un credito concorsuale, mentre in caso di adempimento del soggetto concordatario, ad un credito da soddisfare interamente. Non rientrano nella definizione di contratto pendente neanche i contratti risolti, per qualsiasi motivo tra cui risoluzione consensuale, in seguito ad una clausola risolutiva espressa o in seguito ad una diffida ad adempiere, prima della presentazione della domanda di concordato.
Rimane conservato il principio generale della prosecuzione dei rapporti, indipendentemente dalla loro natura di atti di ordinaria o straordinaria amministrazione sia nel caso di concordato liquidatorio che concordato con continuità aziendale.
Prima dell’introduzione del CCI uno dei principali quesiti irrisolti era quello che si presentava in caso di domanda con riserva: il legislatore non aveva fornito né indicazioni né criteri applicabili dal tribunale o dal giudice delegato tramite i quali poter giudicare la richiesta del debitore di sospensione o scioglimento del contratto. Il tribunale non avrebbe potuto né giudicare né motivare la scelta. L’indicazione fornita per risolvere tale problema era che la richiesta di autorizzazione alla sospensione o scioglimento doveva essere motivata, ed è qui la soluzione, accompagnata dall’evidenziazione delle caratteristiche principali del concordato preventivo che si sarebbe proposto, con una indicazione e comparazione degli oneri che sarebbero sorti dalla prosecuzione del rapporto, con quelli che sorgerebbero in seguito allo scioglimento anticipato.
La possibilità per il contraente in concordato di chiedere istanza per l’autorizzazione alla sospensione o scioglimento di uno o più contratti è stata mantenuta, ma solamente se la prosecuzione non è coerente con le indicazioni del piano e non è funzionale all’esecuzione dello stesso. Fino a quando il debitore non presenta il piano, egli può domandare solo la sospensione, mentre successivamente alla presentazione del piano il debitore può fare richiesta sia di sospensione, che può essere concessa per un termine non maggiore a trenta giorni dalla data di decreto di apertura del concordato, sia lo scioglimento. In alcune situazioni il debitore concordatario potrebbe essere impossibilitato nella stesura di una proposta fattibile in mancanza di un’autorizzazione, ignorando di fatto la sorte dei rapporti pendenti la cui prosecuzione potrebbe minare le
finalità del piano: in assenza di una decisione tempestiva in riferimento alle scadenze dei contratti delle contrapposte prestazioni, la continuazione del rapporto e la prededucibilità del credito del contraente in bonis potrebbero peggiorare il passivo dell’impresa con danno per la massa dei creditori, riducendo le aspettative di soddisfacimento degli altri creditori anteriori ed impedendo la realizzabilità del piano che il debitore aveva pensato di presentare ad essi.
E’ dibattuto se le facoltà del debitore siano cumulabili, cioè che il debitore concordatario possa fare richiesta, inizialmente, per la semplice sospensione del contratto e in secondo momento l’autorizzazione allo scioglimento del contratto, ma in ogni caso prima della scadenza del termine per la sospensione, dando più tempo al debitore per verificare incongruenze del contratto pendente con il piano e per motivare l’istanza di scioglimento. La sospensione del contratto produce un sacrificio per il contraente in bonis poiché egli dovrà essere pronto ad adempiere per tutto il periodo concesso al debitore.
Per quanto riguarda il procedimento, il CCI prevede che la richiesta del debitore debba essere presentata al tribunale, prima del deposito del decreto di apertura del concordato, o in alternativa al giudice delegato con istanza autonoma, dopo che essa sia stata notificata al contraente in bonis, il quale può proporre opposizione mediante una memoria scritta entro sette giorni dalla ricezione dell’istanza. La memoria può contenere una quantificazione dell’indennizzo quale conseguenza del mancato adempimento e sarà riconosciuta come credito concorsuale nella predisposizione del piano per il calcolo del fabbisogno finanziario. In caso di mancato accordo sulla determinazione dell’indennizzo, la decisione è rimessa al giudice ordinario, fatta salva la competenza del giudice delegato per la quantificazione del credito ai fini del calcolo delle maggioranze.
Il tribunale o giudice delegato si esprimono sull’istanza presentata dal debitore con decreto motivato e reclamabile. Se l’autorizzazione viene concessa, il debitore deve notificarla all’altro contraente e da quel momento si producono gli effetti di sospensione o scioglimento del contratto.
La nuova disciplina contenuta nel CCI garantisce in ogni caso un contradditorio con il contraente in bonis, il quale non verrebbe a conoscenza dell’iniziativa del debitore concordatario, prevedendo l’obbligo per il debitore di notificare all’altro contraente l’istanza di autorizzazione prima del suo deposito in tribunale, consentendo al contraente di opporsi alla richiesta del debitore.
Questa previsione di favore per il contraente in bonis è stata inserita nel concordato preventivo ma non nella liquidazione giudiziale. Il contraente in bonis quindi può opporsi all’autorizzazione per i soli motivi di incoerenza e non funzionalità della richiesta con il piano e non può opporsi in caso di personale interesse: la sua opposizione non può avere ad oggetto il fatto che la sospensione o lo scioglimento siano per egli motivo di danno.
Relativamente all’attribuzione della natura concorsuale del credito per l’indennizzo, la concorsualità di un credito è collegata all’anteriorità della causa da cui ha origine rispetto all’inizio della procedura concorsuale; anche se ciò non è sempre vero poichè vi sono crediti sorti anteriormente, ma considerati dal legislatore come prededucibili.
Tutto ciò che ha causa o titolo posteriore all’apertura della procedura da luogo o ad un credito prededucibile, o ad un credito inopponibile alla massa creditoria concorsuale, come per i crediti sorti per effetto di atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione scritta del tribunale o del giudice delegato.
L’indennizzo è soddisfatto come un credito chirografario sorto prima del concordato, fermo restando la prededuzione del credito sorto per eventuali prestazioni eseguite legalmente e in rispetto con gli accordi o gli usi negoziali in seguito all’avvenuta pubblicazione della domanda di accesso al concordato e prima della sua notificazione.
La seconda condizione, che prevede che le prestazioni siano conformi agli accordi o usi negoziali, tende ad evitare che il contraente in bonis, dopo aver saputo i piani del debitore, esegua in maniera opportunistica la sua prestazione per ottenerne la prededuzione.
II.5.1 I contratti con le pubbliche amministrazioni
Il legislatore ha previsto sia per concordati con continuità aziendale, sia per quelli liquidatori che i contratti in corso di esecuzione, stipulati con le pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto del deposito della domanda di concordato, prevedendo che siano inefficaci patti contrari. La disciplina contenuta nel CCI sottolinea quindi che il mero deposito della domanda di accesso al concordato preventivo, non ostacola la continuazione dei contratti con le pubbliche amministrazioni, anche da parte di società cessionaria, conferitaria di azienda o rami di azienda cui i contratti siano trasferiti, le quali abbiano i requisiti per la partecipazione alla gara ed esecuzione del contratto.
Il giudice delegato, all’atto di cessione o del conferimento, ordina la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni dopo che un professionista indipendente abbia attestato la conformità al piano e la capacità ad adempiere.
Il deposito della domanda, inoltre non impedisce, la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici, previo deposito di una relazione stilata da un
professionista indipendente con la quale certifica la conformità al piano e l’avvenuta
autorizzazione del tribunale o giudice delegato, sentito il commissario giudiziale.
Le stazioni appaltanti, nel caso in cui il contratto sia sciolto a seguito del concordato preventivo dell’appaltatore sentono i soggetti che hanno partecipato alla gara originaria in base alla graduatoria, per concludere un nuovo contratto per affidarne l’esecuzione o il completamento dei lavori. L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) può subordinare la partecipazione, l’affidamento di sub appalti e la stipulazione dei relativi contratti all’esigenza che l’impresa soggetta a concordato sia affiancata da un operatore in possesso dei requisiti generali, di capacità finanziarie e tecniche, di certificazioni necessarie per l’affidamento dell’appalto, la quale si impegni nei confronti dell’impresa e della stazione appaltante nel mettere a disposizione le risorse necessarie per la durata del contratto e la sua esecuzione.
II.5.2 Il contratto di locazione finanziaria
Il contratto di locazione finanziaria è oggetto di una disposizione specifica contenuta all’art. 97 CCII, comma 11, il quale ha riprodotto, con alcuni scostamenti, il testo all’art. 169 bis, l.fall. comma 5. In questa situazione si attua una distinzione a seconda che, avvenuta la restituzione del bene al concedente, egli sia debitore verso la procedura o che invece egli risulti creditore nei confronti dell’utilizzatore. Nel primo caso, per il calcolo del debito del concedente, occorre considerare, della maggior somma ricavata dalla vendita o dalla collocazione del bene, avvenute a valori di mercato. Nella seconda ipotesi, per il calcolo del credito del concedente, bisogna considerare il credito vantato alla data del deposito della domanda, senza prevedere ulteriori crediti a titolo penale o per il risarcimento dei danni.
La vendita e l’allocazione del bene sono effettuate in base ai criteri e modalità contenute all’art. 1, comma 139, della legge 4 agosto 2017, n. 124, il quale prevede che il concedente procede alla vendita o ricollocazione del bene in base ai valori derivanti da pubbliche rilevazioni di mercato stilate da soggetti competenti. Quando le rilevazioni non sono possibili, la vendita sarà conseguita in base ad una stima effettuata da un perito indicato, in accordo, dalle parti entro venti giorni successivi alla risoluzione del contratto, o in ultima ipotesi, in caso di mancato accordo, la stima sarà affidata ad un perito indipendente scelto dal concedente all’interno di un elenco di almeno tre operatori esperti.
II.5.3 I contratti esclusi
L’ultimo comma dell’articolo 97 del CCI esclude dalle regoli generali alcune fattispecie contrattuali: i rapporti di lavoro subordinato, i contratti preliminari di vendita trascritti, che hanno ad oggetto o un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale del promissario acquirente, sempre che gli effetti della trascrizione non siano cessati prima della data di apertura del concordato preventivo e il promissario acquirente ne chieda l’esecuzione, i finanziamenti destinati ad uno specifico affare, i contratti di locazione di immobili, ma solo nel caso di concordato del locatore.
L’esclusione dei contratti di lavoro subordinato è data dal fatto che per le situazioni di crisi, tra le quali è ricompresa il presupposto oggettivo del concordato, vi è una disciplina specifica già contenuta negli articoli presenti in tema di liquidazione giudiziale, alla quale è possibile coniugare l’articolo 100 del CCI, secondo il quale, nel concordato con continuità aziendale, il tribunale può autorizzare il pagamento della retribuzione dovuta per la mensilità precedente al deposito del ricorso, ai lavoratori addetti all’attività per la quale è stata prevista la continuazione.
Affinchè ci sia continuità aziendale indiretta, è necessario che dal contratto avente ad oggetto l’azienda sia indicato il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori che sia almeno la metà della media di quelli presenti in azienda nei due esercizi precedenti alla data di deposito della domanda di concordato.
Per quanto riguarda i contratti preliminari di vendita trascritti, nel concordato preventivo la regola generale è quella della continuazione del rapporto, fatta salva la facoltà del debitore di richiedere l’autorizzazione alla sospensione o scioglimento del contratto.
Per quanto riguarda i contratti di finanziamenti destinati ad uno specifico affare, la non applicazione nel concordato della regola generale dovrebbe portare alla sospensione o allo scioglimento del contratto, ma la prosecuzione del rapporto dipende dal contenuto del piano concordatario. E se questo non implica la continuazione dell’operazione, il finanziatore ha il diritto di partecipare al concordato per il suo credito concorsuale.44
II.5.4 Profili processuali
Relativamente alla disciplina del procedimento successiva alla presentazione dell’istanza, l’art. 97 CCI, prevede delle novità rispetto al previgente art. 169 bis della Legge Fallimentare. L’art. 169 presentava una disciplina minima tesa ad assicurare una celere decisione in ordine ai contratti pendenti, ma comunque prevedeva che il contraente in bonis dovesse essere sentito. Il principio viene mantenuto e, in aggiunta, sistematizzato, dall’art. 97 del CCI, il quale pone a carico del debitore l’obbligo di notificare l’istanza di autorizzazione al contraente in bonis e di depositare la prova al momento del ricorso tramite precise modalità di instaurazione del contradditorio.
44 Xxxxx Xxxxxx Xxxxxxx, Gli effetti del concordato preventivo sui contratti pendenti nel passaggio dalla legge fallimentare al CCI, in “Il Fallimento, 7/2019, pag 864865866867868869870871872873874
E’ previsto che l’esigenza di interpellare il contraente in bonis non debba essere necessariamente soddisfatta in udienza, ma è sufficiente che il giudice instauri il contraddittorio concedendo alle parti un termine per la produzione e presentazione di documenti scritti.
Il modello adottato dal legislatore del codice per tale procedimento è quello del procedimento in camera di consiglio, di conseguenza l’autorità giudiziaria competente può fissare un’udienza nella quale sentire il contraente in bonis, ove lo ritenga necessario.45
45 Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Le novità in materia di contratti pendenti nel Codice della Crisi di impresa e dell’Insolvenza, in
“Judicium”, 2019 pag 345346
CAPITOLO III – GLI EFFETTI DELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE SUI CONTRATTI PENDENTI: ANALISI DI ALCUNE TIPOLOGIE CONTRATTUALI
III.1 I RAPPORTI DI LAVORO
La novità più importante che attiene la disciplina dei rapporti di lavoro nel diritto della crisi è quella di aver trovato collocazione e regolamentazione all’interno del Codice della Crisi e dell’Insolvenza. Precedentemente tale tema era regolato dall’art. 2119, comma 2, c.c46 e quindi al di fuori della normativa fallimentare.
La Legge Fallimentare non prevedeva norme specifiche relative agli effetti del fallimento sui rapporti di lavoro subordinato e la dottrina47 in materia riteneva che non era applicabile la disciplina generale ex art. 72 l. fall., poiché ciò avrebbe causato situazioni pregiudizievoli per il lavoratore. Infatti la sospensione del contratto di lavoro avrebbe fatto venire meno i diritti dei lavoratori relativi alla retribuzione e altri oneri indicati dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro: la situazione si aggraverebbe considerando che la durata della sospensione non è sottoposta ad un termine, fermo restando, comunque, la possibilità per il lavoratore di mettere in mora il curatore.
In questo contesto è necessaria una distinzione tra il diritto al lavoro, come principio costituzionale riconosciuto dalla Repubblica, la quale promuove le condizioni che lo rendono effettivo, dal diritto al posto di lavoro il quale è oggetto di una disciplina specifica nel rapporto interno all’impresa.
46 Art. 2119, comma 2, c.c: “Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda.”
47 Cfr. Xxxxxxxxx, Xxxxxxx, Rapporti di lavoro e fallimento, in Trattato III, pag 427
Occorre evidenziare che l’impegno della Repubblica non garantisce ad ogni cittadino il diritto all’occupazione, poiché esso è condizionato alla situazione economica del paese. L’esistenza di una crisi d’impresa e l’esigenza di superarla con il conseguente ripristino di un’efficiente funzionalità potrebbe condurre l’impresa ad una ristrutturazione economica ed organizzativa mediante la riduzione del personale occupato.
In un situazione di precarietà e di crisi si devono bilanciare due interessi e diritti: da una parte il diritto al lavoro e dall’altra i diritti dei lavoratori.
Come anticipato, con l’entrata in vigore del CCI, la disciplina dei rapporti di lavoro ha trovato collocazione e regolamentazione in esso, più precisamente agli articoli 189, 190 e 191 del Codice, con i quali il legislatore ha dato attuazione ai criteri direttivi della L. delega n. 155/2017. Tali criteri consistono nell’armonizzazione delle procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza del datore di lavoro con i metodi di tutela dell’occupazione e del reddito dei lavoratori che sono individuati nella Carta sociale europea, nella Direttive 2008/94/CE del Parlamento europeo e all’interno della Direttiva 2001/23/CE del Consiglio europeo.
Venendo agli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro subordinato, occorre coniugare l’interesse dei creditori, con la tutela dell’occupazione e dei diritti dei lavoratori. Ciò avviene con l’applicazione della regola generale sui contratti pendenti ma calibrata per considerare la presenza dei concorrenti interessi dei lavoratori, che hanno anche rilievo costituzionale.
L’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del datore di lavoro non è motivo di licenziamento ed i rapporti di lavoro subordinato in atto alla data della sentenza di apertura restano sospesi fino a quando il curatore, ottenuta l’autorizzazione del giudice
delegato e dopo aver sentito il comitato dei creditori comunica ai lavoratori di subentrarvi assumendo i relativi obblighi, oppure fornisce informazione del recesso.
L’effetto automatico è quindi la sospensione dei rapporti di lavoro e in virtù di ciò il datore di lavoro o curatore non è obbligato al pagamento delle retribuzioni e i lavoratori non sono tenuti ad effettuare la propria prestazione lavorativa. Il curatore effettua la scelta tra subentro nei contratti o recesso. Rispetto alla regola generale la scelta del curatore non deve essere autorizzata dal comitato dei creditori poiché è previsto che esso sia solamente sentito, invece è prevista l’autorizzazione del giudice delegato. Il curatore ha l’obbligo di comunicare all’Ispettorato territoriale del Lavoro del luogo nel quale è stata aperta la procedura, l’elenco dei lavoratori in forza al momento di apertura, entro il termine di trenta giorni prorogabile di altri trenta giorni nel caso in cui i dipendenti siano più di cinquanta.
Il subentro del curatore nei rapporti di lavoro sospesi decorre dalla comunicazione del curatore nei confronti dei lavoratori, per cui da questo momento entrambe le parti sono, nuovamente, obbligate ad eseguire le rispettive prestazioni.
Il recesso del curatore dai rapporti di lavoro ha effetto retroattivo alla data di apertura della liquidazione giudiziale. A causa dell’importanza degli effetti del recesso sulla conservazione del posto di lavoro, il recesso deve essere comunicato per iscritto e deve contenere l’indicazione dei motivi che hanno portato a tale scelta, quali ad esempio l’impossibilità della continuazione o del trasferimento d’azienda o di un ramo di essa, presenza di condizioni economiche tali per cui è necessario cambiare l’organizzazione del lavoro. Deve quindi ricorrere un giustificato motivo oggettivo.
Durante il periodo di sospensione del contratto di lavoro il lavoratore non percepisce la retribuzione, occorre quindi che sia tutelato ed infatti è stato posto un limite temporale alla fase di sospensione. Il limite temporale ha durata di quattro mesi dall’apertura della procedura e decorso tale termine, senza che il curatore abbia comunicato il subentro, i rapporti di lavoro che non siano cessati nel frattempo si intendono risolti di diritto con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale. Il curatore o l’Ispettorato territoriale del Lavoro del luogo nel quale è stata instaurata la procedura, possono, qualora lo ritengano necessario, per motivazioni quali la possibilità di ripresa o trasferimento dell’azienda a terzi, chiedere al giudice delegato una proroga del termine. La stessa richiesta può provenire anche dai singoli lavoratori ed in quel caso la proroga del termine produce effetti solo nei confronti di coloro che hanno fatto istanza. Il giudice delegato, verificati i motivi e le istanze, può concedere al curatore un termine non superiore a otto mesi, il quale decorre dalla data del provvedimento di proroga. In caso di inerzia del curatore nel corso del suddetto termine i contratti di lavoro, che non siano cessati nel frattempo, si intendono risolti di diritto alla data di apertura della liquidazione giudiziale. La proroga del termine assegnato al curatore per effettuare la scelta produce un arco temporale più lungo della sospensione, di conseguenza a favore di ciascun lavoratore è riconosciuta un’indennità, non soggetta a contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, e tale indennità è ammessa al passivo come credito prededucibile.
Il lavoratore interessato alla cessazione del rapporto di lavoro per evitare che l’inerzia del
curatore gli arrechi pregiudizio, può dimettersi e le eventuali dimissioni presentate
durante il periodo di sospensione si intendono rassegnate per giusta causa, con effetto dalla data di apertura della liquidazione giudiziale, con conseguente diritto del lavoratore a conseguire l’indennità di mancato preavviso. Tale indennità spetta al lavoratore anche in caso di recesso del curatore, di licenziamento o risoluzione di diritto ed è considerata come credito anteriore all’apertura della procedura, credito privilegiato ma non deducibile.
Inoltre sempre a tutela del lavoratore, la cessazione del rapporto di lavoro, conseguente all’apertura della procedura, viene equiparata alla perdita involontaria dell’occupazione e permette al lavoratore di godere del trattamento NASpI, Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego.
Nel caso di esercizio dell’impresa del debitore sottoposto a liquidazione giudiziale da parte del curatore la regola che opera è quella della prosecuzione dei rapporti di lavoro subordinato, al fine di salvaguardare la continuità aziendale e produttiva, salvo che il curatore non intenda sospenderli o esercitare il recesso.48
Nel caso in cui il curatore intenda procedere a licenziamenti collettivi, la disciplina generale del Codice della Crisi e dell’insolvenza va integrata con la l. 223/1991 che disciplina tale fattispecie.
Il curatore che intende effettuare licenziamenti collettivi deve informare le associazioni rappresentative dei lavoratori, ossia le rappresentanze sindacali, le rappresentanze sindacali unitarie e le rispettive associazioni di categoria. In caso di assenza delle rappresentanze la comunicazione deve essere indirizzata alle associazioni di categoria
48 Xxxxxxxx X’Xxxxxxx, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Giappichelli, 2022, pag 272273274275
Xxxxxxx Xxxxx, I rapporti di lavoro nella liquidazione giudiziale, in “Il Fallimento, 10/2019, pag 1995199619971998 1999 2000
aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. La comunicazione deve essere rivolta anche nei confronti dell’Ispettorato territoriale del Lavoro del luogo dove i lavoratori svolgono la propria prestazione lavorativa e a quello del luogo di apertura della liquidazione giudiziale. Successivamente alla comunicazione decorre un termine di sette giorni durante il quale le associazioni e rappresentanze possono fare richiesta scritta al curatore per fissare un incontro congiunto, nel quale vengono illustrate le motivazioni che hanno causato un’eccedenza della forza lavoro, cercando di risolvere il problema ed evitare la riduzione, e ove possibile adottare misure sociali di accompagnamento volte a facilitare la riqualificazione dei lavoratori licenziati. Nel caso in cui la procedura sia stata iniziata per cause diverse dalla cessazione dell’azienda o di un ramo di essa, l’esame congiunto può essere richiesto dall’Ispettorato territoriale del Lavoro ed il termine per la convocazione di associazioni e rappresentanze è di quaranta giorni.
Nel momento in cui è convocato l’incontro, i soggetti partecipanti hanno dieci giorni per giungere ad un accordo altrimenti la procedura si intende esaurita. I soggetti possono chiedere al giudice delegato una proroga del termine di ulteriori dieci giorni in presenza di giustificati motivi.
La disciplina del Codice della Crisi e dell’Insolvenza è atta a velocizzare i tempi della procedura di licenziamento collettivo, rispetto alla disciplina generale contenuta nella l. 223/1991, che prevede una durata massima dell’esame congiunto di settantacinque giorni.49
49 Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Le novità in materia di contratti pendenti nel Codice della Crisi di impresa e dell’Insolvenza, in
“Judicium”, 2019 pag 337338
III.2 LA LOCAZIONE FINANZIARIA E LA LOCAZIONE IMMOBILIARE
La locazione finanziaria è regolata dall’art. 177 del CCI, la quale deve intendersi in base all’art. 1, comma 136, L. 4 agosto 2017, n. 124 come il “contratto con il quale la banca o l’intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto.”
L’art. 177 conferma il previgente art. 72quater della Legge Fallimentare e prevede una disciplina specifica degli effetti della liquidazione giudiziale sul contratto atipico di leasing. Il contratto prevede che un soggetto concede all’altra parte un bene dietro corrispettivo di un canone periodico per un arco temporale determinato, terminato il quale il beneficiario ha la facoltà di scegliere tra: continuazione del godimento del bene con una riduzione del canone, diventare proprietario del bene ed infine sostituzione del bene con mantenimento dello stesso canone come corrispettivo.
Le regole dettate dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza si applicano al contratto di leasing che è pendente alla data di apertura della liquidazione giudiziale, quindi il contratto non deve aver già raggiunto il suo scopo, ed in caso di leasing traslativo il fine
del contratto non è raggiunto fino a quando l’utilizzatore non abbia esercitato il diritto di riscatto del bene, o in alternativa non abbia rinunciato all’opzione di acquisto.
In caso di liquidazione dell’utilizzatore la norma prevede che al contratto di locazione finanziaria si applichi la regola generale contenuta nell’art. 172 CCI, per cui l’esecuzione del contratto resta sospesa fino a quando il curatore decide se subentrare nel rapporto pendente o sciogliersi da esso. Nel corso della sospensione non è dovuto il pagamento dei canoni. Nel caso in cui il curatore decida di subentrare nel contratto, i canoni sono trattati come crediti concorsuali, mentre in caso di scioglimento rientreranno nel calcolo del credito residuo in linea capitale.
Se l’esercizio d’impresa prosegue, ai sensi dell’art. 211 del CCI, il contratto continua ad avere esecuzione perché l’oggetto di esso sono beni strumentali necessari affinchè l’attività prosegua. In questa ipotesi il curatore subentra automaticamente nel contratto ma potrà comunque esercitare la facoltà di recesso successivamente.
Se il curatore subentra nel contratto assume tutti i diritti e tutti gli obblighi derivanti dal contratto. Egli dovrà, quindi, corrispondere i canoni a scadere, successivi al sub ingresso, in prededuzione e dovrà versare il corrispettivo pattuito a fronte dell’eventuale esercizio dell’opzione di acquisto scaduto il termine del contratto. Il subentro del curatore può realizzarsi anche per fatti concludenti, tramite il continuo uso del bene da parte del curatore.
Nella situazione in cui il curatore opti per lo scioglimento del contratto il contraente in bonis:
• Ha diritto alla restituzione del bene, a condizione che il contratto di locazione finanziaria abbia data certa anteriore alla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale e quindi risulti opponibile.
• Deve versare nei confronti della procedura l’eventuale differenza tra la maggiore somma ricevuta dalla vendita o dalla collocazione del bene, rispetto al credito residuo in linea capitale.
• Egli godrà dell’esenzione da revocatoria per i canoni percepiti anteriormente alla
data di apertura della procedura.
Il bene è di proprietà del concedente per cui egli ha il diritto alla restituzione nel momento in cui il contratto viene sciolto e per questo motivo il diritto alla restituzione è sottratto al concorso.
Se il bene non viene restituito perché non trovato il concedente ha il diritto di essere ammesso al passivo anche per l’intero importo dei crediti relativi ai canoni, dato che l’impossibilità della restituzione comporta il sorgere di un credito pari al controvalore in denaro del bene alla data di apertura.
Se la somma ottenuta dalla vendita o da un’altra collocazione del bene è superiore al credito residuo in linea capitale del concedente, egli deve versare al curatore la differenza. Se invece la somma è inferiore il concedente si insinuerà nel passivo per la differenza.
Il credito residuo in linea capitale è uguale alla somma dei canoni scaduti e non pagati alla data di apertura della liquidazione giudiziale, dei canoni a scadere e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione di acquisto.
La vendita del bene da parte del concedente deve essere effettuata secondo valori di mercato. Gli organi della procedura valuteranno tale requisito. In sede di decisione sulla
domanda del concedente di ammissione del proprio credito al passivo, gli organi della procedura hanno la facoltà di respingere la domanda o chiedere alla società di leasing la differenza tra quanto conseguito e l’eventuale maggiore valore di mercato. Il Codice prevede che la stima sia disposta dal giudice delegato.
L’art. 177, comma 3 del CCI regola la liquidazione della società di leasing: se è la società di leasing del concedente assoggettata alla liquidazione giudiziale, il contratto prosegue e l’utilizzatore in bonis mantiene la possibilità di scelta fra acquisto della proprietà del bene alla scadenza del contratto dietro pagamento dei canoni e del prezzo concordato. La norma tutela il contraente in bonis.50
La sorte del contratto di locazione di immobili nella liquidazione giudiziale è disciplinata dall’art. 185 del CCI e riprende il previgente art. 80 della Legge Fallimentare. Resta sempre fissa la regola generale della continuazione del contratto: la ratio è quella di tutelare l’interesse del conduttore a rimanere nell’immobile in caso di liquidazione del locatore e, viceversa, l’interesse del locatore a ricevere il pagamento dei canoni successi alla liquidazione, in caso di procedura aperta verso il conduttore. Si mantengono distinte la situazione in cui ad essere sottoposto alla liquidazione sia il locatore dalla situazione in cui la procedura è aperta nei confronti del conduttore. Nel primo caso il curatore ha la facoltà di recedere dal contratto solo se la durata contrattuale residua è maggiore di quattro anni e tale facoltà è sottoposta ad un termine di un anno dal momento di inizio
50 Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxxxx, Le novità in materia di contratti pendenti nel Codice della Crisi di impresa e dell’Insolvenza, in
“Diritto ed Economia dell’impresa”, 2021, pag 161718
Xxxxxxxxx Xxxxx, I rapporti pendenti nella liquidazione giudiziale, in “Il Fallimento”, 10/2019, pag 1191
della liquidazione giudiziale. Nella seconda ipotesi, cioè di procedura aperta verso il conduttore, la facoltà concessa al curatore non è sottoposta a limitazione temporale.
L’art. 185 del Codice prevede espressamente che, in entrambi i casi, lo scioglimento del contratto deciso dal curatore deve avvenire previa autorizzazione del comitato dei creditori.
Un’innovazione introdotta dal Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza riguarda la disciplina in materia di effetti dello scioglimento. L’art. 185 CCI prevede che in caso di recesso, il contraente in bonis abbia diritto ad un indennizzo, tuttavia con lo scopo di limitare i crediti prededucibili all’interno della procedura, l’indennizzo non è più assoggettato alla disciplina in materia di prededuzione, ma è qualificato come credito concorsuale.51
51 Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Le novità in materia di contratti pendenti nel Codice della Crisi di impresa e dell’Insolvenza, in
“Judicium”, 2019 pag 331338
III.3 L’AFFITTO D’AZIENDA
L’art. 184 del CCII innova la disciplina inerente al contratto di affitto d’azienda pendente al momento dell’apertura della procedura concorsuale. Rispetto a quanto stabilito nel previgente art. 79 della Legge Fallimentare, il quale prevedeva la facoltà di recesso da parte di entrambe le parti, l’art. 184 del nuovo Codice riserva solo al curatore, sia che la liquidazione giudiziale sia aperta nei confronti del concedente sia verso l’affittuario, la facoltà di scioglimento dal contratto.
L’articolo 184, in linea generale, prevede la prosecuzione dei contratti ma distingue i casi in cui ad essere sottoposto alla procedura sia il concedente o l’affittuario. Nel primo caso il curatore può, previa autorizzazione del comitato dei creditori, recedere dal contratto entro sessanta giorni dall’apertura della procedura, mentre se la liquidazione giudiziale è aperta nei confronti dell’affittuario, la facoltà di recesso non è soggetta a nessun limite di tempo.
Altro elemento di differenza della nuova normativa della crisi d’impresa è la necessaria concorsualizzazione del credito per indennizzo spettante alla controparte della curatela, rovesciando quindi la regola della prededuzione stabilita dall’art. 79 l.fall.
Un aspetto in comune tra l’articolo 184 CCII e l’articolo 79 della Legge Fallimentare è la previsione di un indennizzo, determinato dal giudice delegato, in caso di disaccordo fra le parti.
La retrocessione dell’azienda in conseguenza del recesso del curatore non comporta la responsabilità della procedura per i debiti maturati anteriormente, e che ai rapporti pendenti si applichi la disciplina contenuta all’articolo 172 e seguenti del CCII.
Viene omogeneizzata la disciplina applicabile alla retrocessione d’azienda, parificando l’affitto preesistente all’apertura della procedura di liquidazione giudiziale rispetto a quello autorizzato dal giudice delegato, trovando una soluzione che miri a tutelare la massa dei creditori e la continuità aziendale in virtù dell’applicazione della disciplina sui rapporti pendenti.52
52 Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Le novità in materia di contratti pendenti nel Codice della Crisi di impresa e dell’Insolvenza, in
“Judicium”, 2019 pag 333334
Xxxxxxxxx Xxxxx, I rapporti pendenti nella liquidazione giudiziale, in “Il Fallimento”, 10/2019, pag 1192
III.4 I CONTRATTI A CARATTERE PERSONALE
La disciplina degli effetti del fallimento sui contratti pendenti, delineata dalla riforma del 20052006, introduceva un sistema chiuso e rigido, dato che ai sensi dell’art. 72 l. f., per tutti i contratti in corso a prestazioni corrispettive vigeva la regola della sospensione dell’esecuzione, con facoltà del curatore di sciogliersi dal contratto o di subentrare in esso. Lo scioglimento automatico o subentro automatico si applicavano solo ai contratti espressamente previsti in altre disposizioni.
Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza ha introdotto una regola che consente una minor rigidità rispetto alla previgente Legge Fallimentare. Infatti l’art. 175 CCII rappresenta una norma nuova, non presente nella Legge Fallimentare. L’oggetto della norma sono i contratti a “carattere personale” ed il secondo comma dell’art. 175 da una definizione di contratto a carattere personale affermando che esso sussiste “quando la considerazione della qualità soggettiva della parte nei cui confronti è aperta la liquidazione giudiziale è stata motivo determinante del consenso.” Esempi di contratti a carattere personale che tratterò alla fine del paragrafo sono: il contratto di mandato, il contratto di commissione, il contratto di appalto, il contratto di borsa a termine, il contratto di associazione in partecipazione ed il contratto di conto corrente.
La norma si riferisce ad una categoria contrattuale contenuta nella sezione del Codice della crisi riguardo gli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti giuridici pendenti. Il principio generale enunciato dall’art. 172 del Codice prevede che in caso di liquidazione giudiziale, l’esecuzione dei contratti pendenti è sospesa con possibilità di scelta affidata al curatore fra il subentro e lo scioglimento, mentre l’art. 175 rappresenta
un’eccezione al sistema, riferita non ad un singolo contratto ma ad una categoria contrattuale.
Il primo comma dell’art. 175 applica la regola dello scioglimento automatico nel caso di contratti di carattere personale indipendentemente dalla circostanza che sia sottoposta alla procedura una o l’altra parte. A questa regola viene prevista un’eccezione tale per cui il curatore può decidere di subentrare nel contratto, assumendo, a decorrere dalla data di subentro gli obblighi contrattuali. Tale facoltà presuppone l’autorizzazione del comitato dei creditori e il benestare del contraente in bonis.
La legge delega del 19 ottobre 2017, n. 156, all’art. 7, sesto comma, lett. b, dispone che la disciplina dei rapporti giuridici pendenti è integrata prevedendo lo scioglimento dei contratti a carattere personale, salvo che non continuino con il benestare della controparte. La norma contenuta nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza dà attuazione riproducendo il testo di quella contenuta nel testo della Commissione Rordorf. Il successivo decreto correttivo non ha introdotto modifiche all’art. 175.
L’interesse tutelato è quello del contraente in bonis.
La disposizione contenuta nell’art.175 non viene in considerazione in caso di esercizio provvisorio. In questa ipotesi si applica l’art. 211 ottavo comma per cui i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospendere l’esecuzione o scioglierli.
Sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto
dall’apertura della liquidazione giudiziale.
Nei contratti a carattere personale sono da considerare efficaci le clausole che ricollegano all’apertura della procedura lo scioglimento dei contratti per cui lo stesso legislatore stabilisce il medesimo effetto.
Non si può qualificare come personale un contratto rispetto al quale è prevista la clausola di scioglimento in caso di soggezione a procedura, altrimenti la norma relativa all’inefficacia delle clausole negoziali potrebbe essere aggirata.
Per la ricostruzione della fattispecie di contratto a carattere personale è utile prendere in esame alcune norme del codice civile ove tale categoria è presente. La regola del codice civile da prendere in considerazione è l’art. 2558 in tema di successione nei contratti in caso di trasferimento d’azienda. In questa ipotesi l’acquirente subentra nei contratti conclusi dall’alienante che però non siano di carattere personale. Il legislatore delinea un sistema a tutela del contraente ceduto in caso di trasferimento d’azienda: da un lato la regola dell’esclusione del trasferimento dei contratti a carattere personale e dall’altro la previsione della facoltà di recesso per giusta causa in presenza dei contratti che non abbiano il carattere di personale.
Questa disciplina è derogabile perché nel contratto può essere inserita la possibilità di trasferibilità o meno ma anche perché nell’accordo tra alienante ed acquirente può disciplinarsi la sorte dei contratti.
In caso di procedura concorsuale la tutela possibile per il contraente in bonis è lo scioglimento del contratto.
Con riferimento all’azienda è necessario stabilire quali siano quei contratti nei quali l’identità e le qualità personali dell’imprenditore alienante sono state in concreto determinanti del consenso del terzo contraente, ciò è da verificare caso per caso.
In base ad una diversa visione, i contratti di carattere personale che non si trasferiscono unitamente all’azienda sarebbero da individuare in quelli la cui conclusione dipenderebbe dalle scelte personali dell’alienante. Questa prospettiva pretende di tutelare l’acquirente escludendo dalla successione tali contratti.
Secondo un’altra prospettiva i contratti a carattere personale potrebbero essere suddivisi in tre classi: i tipi contrattuali qualificabili come tali (contratto di mandato, di borsa a termine, appalto, commissione, conto corrente), contratti aventi ad oggetto prestazioni oggettivamente infungibili ed i contratti in concreto stipulati in base alla considerazione delle qualità personali delle parti.
Un ulteriore indice rilevante alla fine della considerazione del contratto a carattere personale è quella della incedibilità del contratto.
Con riferimento al trasferimento d’azienda sono state individuate due categorie di contratti personali in una prospettiva di tutela del contraente ceduto: i contratti in cui c’è una oggettiva infungibilità cioè un’impossibilità dell’esecuzione della medesima prestazione da parte dell’acquirente dell’azienda, ed i contratti caratterizzati da un’infungibilità soggettiva, per i quali la rilevanza della parte alienante sia stata decisa dalle parti, anche mediante lo specifico accordo di incedibilità del rapporto.53
III.4.1 Il contratto di mandato
Il contratto di mandato è regolato dall’art. 183 del CCII. Anche per il mandato è prevista
la regola dello scioglimento. In caso di liquidazione giudiziale del mandatario, il contratto
53 Xxxxxx Xxxxxxxx, Gli effetti della liquidazione giudiziale sui contratti pendenti di carattere personale alla luce del Codice della crisi, in “Il Nuovo Diritto delle Società”, 9/2020, pag 112011211122112511261127
si scioglie automaticamente anche in caso di esercizio dell’impresa e di conseguenza il mandante in bonis dovrà rivendicare i beni acquistati dal mandatario insolvente, prima della procedura, insinuandosi nel passivo.
Se il mandato non è ancora eseguito e se esso abbia comportato delle spese, queste saranno rimborsate e il mandatario dovrà restituire quanto di pertinenza del mandante. In caso di avvenuta esecuzione, il mandante dovrà insinuarsi al passivo per ottenere le somme che non gli siano ancora state restituite e chiedere la rivendica in caso di beni.
In caso di esercizio di impresa del debitore il mandante in bonis ha salvo il proprio diritto di revocare il mandato e nell’ipotesi di contratto basato sulle qualità personali dei soggetti contraenti, il mandante può revocare il mandato per giusta causa.
In caso di liquidazione giudiziale aperta verso il mandante, il curatore può decidere se proseguire il rapporto oppure scioglierlo, anche nell’ipotesi di continuazione dell’attività di impresa. Nel caso in cui il curatore subentri al posto del mandante soggetto a liquidazione giudiziale, i crediti inerenti al mandato sono qualificati prededucibili solamente se sorti per l’attività effettuata dopo l’apertura della procedura. Quindi in questa ipotesi l’esecuzione del contratto resta sospesa fino a quando il curatore non decida tra scioglimento o continuazione, assumendo i relativi obblighi in capo al mandante insolvente.
III.4.2 Il contratto di commissione
Il contratto di commissione è un contratto di mandato senza rappresentanza qualificato
dall’oggetto dell’incarico conferito al commissionario, cioè l’acquisto o la vendita di beni
per conto del committente e in nome del commissionario. Il contratto di commissione si
scioglie per effetto dell’apertura della procedura.
III.4.3 Il contratto di appalto
Il contratto di appalto presenta una disciplina articolata in caso di liquidazione giudiziale. L’art. 186 del CCII regola diversamente le ipotesi di liquidazione giudiziale del committente e dell’appaltatore.
Se la liquidazione giudiziale è aperta nei confronti del committente, il contratto di regola si scioglie. Il curatore può informare di voler subentrare nel contratto ma tale facoltà deve essere esercitata previo consenso del comitato dei creditori nel termine di sessanta giorni ed è necessario che il curatore fornisca adeguate garanzie per il pagamento del corrispettivo.
Se la procedura è aperta verso l’appaltatore di norma il contratto non si scioglie. Se però le qualità soggettive dell’appaltatore sono state il motivo determinante del contratto, allora il contratto si scioglie. Il contratto può comunque rimanere efficace a condizione che il committente dichiari espressamente che intende proseguire il contratto.
Per quanto riguarda lo scioglimento del contratto la ratio della norma che lo prevede è da ricercare nel venir meno dell’impresa in caso di liquidazione giudiziale dell’appaltatore e nella non utilità della prestazione se la procedura è a carico del committente.
Nella circostanza in cui lo scioglimento opera di diritto, il contraente in bonis non potrà esercitare l’azione di risoluzione e di risarcimento dei danni né chiedere pagamenti di penalità o indennità per mancata esecuzione dell’opera. Queste regole valgono solo se il
contratto è pendente al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale. Se in tale momento fosse già stata esperita l’azione di risoluzione per inadempimento allora saranno applicate le regole contenute nel codice civile, ivi compresa la possibilità di ottenere il risarcimento per il danno subito.
Con riferimento all’oggetto del contratto di appalto occorre fare delle distinzioni. Se l’oggetto dell’appalto sono beni mobili, dato che la proprietà del bene si acquista con l’accettazione dell’opera, il committente potrà solamente insinuarsi nella procedura dell’appaltatore per il prezzo già versato, per ottenere la consegna del bene nello stato in cui si trova. Questo a meno che il committente non abbia già fornito i materiali, allora in questa situazione egli potrà rivendicare la parte dell’opera già eseguita ed i materiali non ancora usati.
In caso di liquidazione giudiziale del committente, il curatore se non subentra nel contratto potrà decidere di ottenere la differenza tra gli acconti versati ed il beneficio che deriva all’appaltatore come causa della non continuazione dell’opera, oltre a poter ritenere la parte di opera già fatta.
Nel caso in cui l’oggetto del contratto di appalto sia un bene immobile, se il suolo è di proprietà del committente in bonis l’opera non farà parte dell’attivo della procedura dell’appaltatore.
Se, al contrario, il suolo è di proprietà dell’appaltatore sottoposto a liquidazione
giudiziale, il committente potrà solamente insinuarsi al passivo della procedura.
Se la parte insolvente è il committente e la proprietà del suolo è dell’appaltatore in bonis, il committente potrà ottenere dall’appaltatore il minor importo tra quanto versato e il vantaggio che deriva all’appaltatore dal trattenere l’opera.
III.4.4 Il contratto di borsa a termine
Il contratto di borsa a termine è regolato dall’art. 181 del CCII. Per tale contratto opera lo scioglimento. La ratio di questa previsione è nella necessità di sottrarre la massa dei creditori dal rischio che caratterizza i contratti di borsa. La norma mira ad un’incompatibilità tra la procedura di liquidazione giudiziale e la speculazione borsistica. Il contratto di borsa a termine, se il termine scade dopo l’apertura della procedura si scioglie alla data di apertura. Se il termine è già scaduto e nessuna delle due parti abbia eseguito la propria prestazione si applica la regola generale contenuta all’art. 172 del Codice della crisi.
La differenza fra il prezzo contrattuale e il valore delle cose o dei titoli alla data di apertura della liquidazione giudiziale risulta in credito o in caso contrario è ammessa al passivo.
L’art. 203, comma 2 del Testo Unico sulla Finanza (TUF) prevede che per l’applicazione dell’art. 181 del CCII, per gli strumenti finanziari si può far riferimento al costo di sostituzione degli stessi, calcolato secondo il valore di mercato al momento dell’apertura della procedura.
III.4.5 Il contratto di associazione in partecipazione
L’art. 182 del CCII stabilisce che il contratto di associazione in partecipazione si scioglie per effetto dell’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti dell’associante. L’associato ha il diritto di far valere nel passivo della liquidazione giudiziale il credito per
la parte dei conferimenti che non è assorbita dalle perdite a suo carico. L’associato deve
versare la parte ancora dovuta nei limiti delle perdite che sono a suo carico.
Quindi, se a essere sottoposto alla procedura è l’associante vi è lo scioglimento del contratto di associazione in partecipazione e i rapporti economici con la procedura sono regolati nel senso che se gli apporti dell’associato sono maggiori delle perdite a suo carico potrà insinuarsi al passivo per la differenza, se in caso contrario all’apertura della procedura l’associato è in debito sarà tenuto a versare alla procedura gli importi ancora dovuti nel limite delle perdite a suo carico.
Per recuperare gli apporti dovuti dall’associato si applica la norma di legge prevista per i conferimenti ancora dovuti dai soci di società a responsabilità limitata sottoposta a liquidazione giudiziale. Il giudice delegato su proposta del curatore può emettere un decreto, opponibile, obbligando l’associato ad effettuare il versamento.
III.4.6 Il contratto di conto corrente
Il contratto di conto corrente è disciplinato dall’art. 183 del Codice della crisi il quale enuncia che i contratti di conto corrente, anche bancario. si scioglie per effetto dell’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti di una delle due parti.
La ratio sottesa allo scioglimento del contratto deriva da una assimilazione alla regola generale contenuta all’art. 1183 del codice civile, per cui il correntista ha la facoltà di recedere dal contratto in caso di insolvenza dell’altra parte.
Un ulteriore ostacolo alla prosecuzione del contratto è dato dalla regola, propria della procedura, dell’indisponibilità del patrimonio tale per cui vi è una impossibilità per il debitore di acquistare crediti o di essere gravato da debiti con rimesse in conto corrente.
L’intento dello scioglimento è ravvisabile anche nel fatto di voler tutelare le ragioni della massa dei creditori e quindi nell’esigenza di acquisire subito l’eventuale saldo attivo a favore dei creditori.
Lo scioglimento del contratto opera con effetto ex nunc, quindi con conservazione degli effetti prodotti fino alla data di scioglimento.
L’esigibilità del saldo è riferita al momento di apertura della liquidazione giudiziale per quanto riguarda il credito del correntista in bonis, mentre l’esigibilità è riferita alla scadenza contrattuale prevista se il credito è a favore del debitore insolvente.
Non hanno effetto i pagamenti eseguiti per conto del debitore in procedura, né eventuali deduzioni di crediti per spese relative al contratto di conto corrente.
Per l’anteriorità dell’operazione rispetto alla data di apertura della procedura bisogna far riferimento al giorno di annotazione dell’operazione sul conto.
Se la banca non ha ricevuto la comunicazione dell’avvenuta apertura della procedura e ha continuato ad adempiere al rapporto di conto corrente effettuando pagamenti a terzi, il curatore non è responsabile verso la banca.
Il curatore deve essere messo nelle condizioni di avere precisa conoscenza dei rapporti derivanti dal contratto di conto corrente, quindi ha il diritto di entrare in possesso, tramite la consegna della banca, di tutti i documenti relativi al conto corrente del debitore sottoposto a procedura.
La sentenza della Cassazione n. 15669/200754 ha espresso che lo scioglimento del contratto di conto corrente non estingue tutti gli obblighi fra le parti, poiché tra gli obblighi contrattuali di buona fede rientra quello di comunicare alla controparte la documentazione relativa al contratto.
Per quanto riguarda i rapporti affini in ambito bancario, le operazioni bancarie non regolate dal contratto di conto corrente sono soggette alla disciplina generale contenuta all’art. 172 del CCII. Si tratta di contratti autonomi che non trovano specifica regolamentazione nel Codice della crisi. Il curatore potrà scegliere tra il subentro e lo scioglimento. La banca non potrà chiedere la risoluzione salvo che per inadempimenti successivi alla dichiarazione di apertura della procedura. In caso di subentro nel contratto, il credito della banca erogato precedentemente alla dichiarazione di apertura della liquidazione sarà qualificato come concorsuale.55
54 Cassazione civile, sez. I, 13 Xxxxxx 2007, n. 15669.
55 Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxxxx, Le novità in materia di contratti pendenti nel Codice della Crisi di impresa e dell’Insolvenza, in
“Diritto ed Economia dell’impresa”, 2021, pag 121314181920212728
III.5 IL CONTRATTO PRELIMINARE
Prima di procedere alla trattazione del contratto preliminare all’interno del vigente Codice della Crisi e dell’Insolvenza è utile ripercorrere le discipline precedenti. La disciplina del contratto preliminare di vendita immobiliare presente nella previgente Legge Fallimentare è stata modificata dalla l. n. 30 del 1997, per quanto riguarda la trascrivibilità di questo tipo contrattuale e successivamente, durante il periodo delle riforme concorsuali, ha subito modifiche dal d.lgs. n. 5 del 2006 e dal d.lgs. n. 169 del 2007.
L’art. 72 della l. fall., al terzo comma, nel testo del d.lgs. n. 5 del 2006 prevede l’applicabilità al contratto preliminare della regola generale della sospensione dell’esecuzione dei contratti bilaterali ineseguiti: ineseguiti qualora al momento della dichiarazione di fallimento non sia ancora stato concluso il contratto definitivo. I contratti ad effetti reali si considerano eseguiti, e quindi il curatore non può optare per lo scioglimento, se il trasferimento del diritto sia avvenuto prima della dichiarazione di fallimento.
Il settimo comma del art. 72, inserito per mezzo della l. n. 30 del 1997, della previgente normativa concorsuale prevedeva che nel caso in cui il curatore decida di sciogliersi dal contratto preliminare trascritto prima del fallimento, il promissario acquirente che abbia già dato in tutto o parte del prezzo può inserirsi al passivo per il proprio credito, il quale è qualificato come privilegiato, a meno che gli effetti della trascrizione non siano già terminati alla data di dichiarazione del fallimento.
Una deroga alla regola generale è contenuta all’ottavo comma, inserito dal d.lgs. n. 169 del 2007, dell’art. 72 il quale prevedeva che il rapporto contrattuale continua con il curatore in caso in cui il preliminare di vendita trascritto abbia ad oggetto un immobile
destinato ad essere l’abitazione principale dell’acquirente o dei suoi parenti o affini entro il terzo grado o la sede principale dell’impresa dell’acquirente.
Tramite l’art. 11 della l. n. 122 del 2005, sulla tutela degli acquirenti di immobili da costruire, è stato inserito nella Legge Fallimentare l’art. 72 bis, rivisto nel 2007, il quale stabiliva che i contratti relativi ad immobili da costruire si sciolgono se l’acquirente abbia escusso la fideiussione a garanzia della restituzione di quanto versato al costruttore e ne abbia dato comunicazione al curatore precedentemente alla comunicazione di quest’ ultimo tra esecuzione o scioglimento del contratto.
Le Sezioni Unite, in una sentenza del 2005, hanno stabilito che nelle ipotesi di contratto preliminare di compravendita, quando la domanda proposta dal promissario acquirente finalizzata all’ottenimento dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto, è stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento, la sentenza che l’accoglie, nonostante possa essere stata trascritta successivamente, è opponibile alla massa dei creditori.
In una sentenza successiva, nel 2007 le Sezioni Unite hanno espresso che nell’ipotesi di subentro del curatore in un contratto preliminare di vendita immobiliare destinato ad essere l’abitazione principale del promissario acquirente, il trasferimento della proprietà del bene a favore di egli si attua per mezzo di una vendita fallimentare, con successiva cancellazione delle iscrizioni sul bene del creditore ipotecario ed inserimento di egli al concorso con prelazione del prezzo.
Le due sentenze delle Sezioni Unite56, precedentemente illustrate, hanno influito sui lavori preparatori del nuovo Codice della crisi permettendo al legislatore di prevedere soluzioni innovative.
Venendo alla trattazione della disciplina del contratto preliminare nel CCII si osserva che il contenuto dell’art. 72 della previgente legge fallimentare è stato suddiviso in due articoli del nuovo codice: l’art. 172 che stabilisce i principi generali da applicare ai contratti pendenti e l’art. 173 il quale si occupa della trattazione del contratto preliminare. L’art. 172 del CCII non contiene un’apposita disposizione che dichiari applicabile al contratto preliminare il principio generale espresso al primo comma. La mancanza di tale richiamo però non cambia il contenuto della disciplina, quindi si applica la regola generale che sancisce che il contratto preliminare si considera ineseguito quando prima della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale non è ancora stato concluso il contratto definitivo.
L’art. 173, rubricato “contratti preliminari”, regola solamente il contratto preliminare di vendita immobiliare ma può essere esteso al preliminare di ogni altro accordo traslativo di beni immobili. Il primo comma dell’art. 173 si rifà alle ipotesi nelle quali il promissario acquirente abbia proposto e trascritto, precedentemente alla data di apertura della liquidazione giudiziale, la domanda di esecuzione in forma specifica.
Il secondo comma contempla le ipotesi in cui sia stato trascritto tempestivamente il contratto preliminare.
56 Cassazione, sez. un., 16 settembre 2015, n.18131
Cassazione, sez. un., 8 febbraio 2017, n. 3310
Il terzo comma sancisce una deroga rispetto al secondo comma e regola le ipotesi in cui il preliminare trascritto abbia ad oggetto un immobile destinato ad uso abitativo principale per il promissario acquirente e dei suoi parenti ed affini entro il terzo grado o un immobile finalizzato a diventare la sede principale d’impresa del promissario acquirente. Il quarto comma indica le regole da applicare nel caso in cui il curatore decida di subentrare nel preliminare.
L’art. 174 riguarda i contratti aventi ad oggetto immobili da costruire.
L’art. 173 comma 1, che rappresenta una disposizione innovativa nella normativa concorsuale stabilisce che il curatore può sciogliersi dal contratto preliminare di vendita immobiliare anche se il promissario acquirente abbia proposto e trascritto, prima dell’apertura della liquidazione giudiziale, la domanda di esecuzione in forma specifica, ma lo scioglimento non è opponibile al promissario acquirente se la domanda viene accettata a posteriori. Questa norma costituisce una novità rispetto alla previgente Legge Fallimentare e ha un contenuto opposto rispetto alla disposizione successiva, ossia il secondo comma, il quale ricalca l’art. 72 comma 7, l. fall.. e prevede che in caso di scioglimento del contratto preliminare trascritto, il promissario acquirente ha il diritto di insinuarsi al passivo per il proprio credito privilegiato, senza che gli sia riconosciuto un risarcimento del danno, a patto che gli effetti della trascrizione del preliminare non siano già cessati prima della data di apertura della procedura.
Il legislatore ha inserito questa disposizione prendendo spunto dalla sentenza 18131/2015 delle Sezioni Unite la quale esprime che l’esercizio del diritto di scioglimento del contratto da parte del curatore non è opponibile verso il promissario acquirente.
Il primo comma dell’art. 173 deve essere interpretato nel senso che se la domanda è stata tempestivamente proposta e trascritta, una volta riassunto il processo nei confronti del curatore, se egli dichiara di volere subentrare nel contratto al posto del promissario venditore, sospeso fino ad allora, avrà l’obbligo di concludere e stipulare la vendita definitiva. Nel caso contrario, ossia se il curatore non dichiari nulla o decida di voler recedere dal preliminare la sorte del rapporto dipenderà dalla pronuncia in giudizio. Qualora con la sentenza traslativa la domanda venga accolta, essa sarà opponibile alla massa dei creditori e le parti dovranno darvi esecuzione. In caso di rigetto della domanda, il contratto sarà sciolto e le parti saranno obbligate a procedere alle eventuali restituzioni delle prestazioni già effettuate.
In base al primo comma il promissario acquirente ottiene la proprietà del bene promesso in vendita anche se ciò contrasta con la volontà del curatore, invece in base al secondo comma nell’ipotesi in cui sia stato trascritto il contratto preliminare l’esecuzione resta sospesa fino a quando il curatore decide se subentrare o sciogliesi dal contratto.
La ratio legis che ha ispirato il legislatore risiede nelle pronunce delle Sezioni Unite. L’art. 173 al terzo comma prevede una deroga rispetto ai casi in cui il contratto abbia ad oggetto l’abitazione principale del promissario acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado o un immobile destinato a rappresentare la sede principale dell’attività d’impresa. La nuova norma riprende in parte il testo della previgente Legge Fallimentare e la integra disponendo che il preliminare di vendita trascritto non si scioglie se ha ad oggetto un immobile destinato ad essere l’abitazione principale del promissario acquirente e dei parenti ed affini entro il terzo grado, o un immobile utilizzato come sede dell’impresa sempre che gli effetti della trascrizione non siano cessati precedentemente
alla data di apertura della liquidazione giudiziale e il promissario acquirente ne domandi
l’esecuzione nel termine e nelle modalità stabilite.
Nel caso in cui il curatore subentri nel contratto preliminare di vendita, l’immobile è trasferito e messo nella disponibilità del promissario acquirente nello stato in cui si trova. Gli acconti versati prima dell’apertura della liquidazione giudiziale sono opponibili alla massa dei creditori per la metà della somma totale che il promissario acquirente dimostra di aver pagato. Il giudice delegato dopo aver concluso la vendita e ottenuto il prezzo, emette un decreto con cui ordina la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi.
La ratio utilizzata dal legislatore è quella di rafforzare la posizione contrattuale del promissario acquirente, non concedendo al curatore la facoltà di sciogliersi dal contratto, proteggendo quindi il diritto all’abitazione, contenuto anche nella Costituzione, e al diritto dell’impresa.
Il nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza ha voluto evitare che il curatore subentri automaticamente nel contratto preliminare e quindi lasciare il promissario acquirente libero di optare per il proseguimento del rapporto contrattuale o deciderne lo scioglimento. La norma, infatti, stabilisce che il promissario acquirente in caso decida di dar corso al contratto preliminare deve richiederne l’esecuzione nel termine e nelle modalità previste per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi. Se la domanda sarà presentata in maniera tempestiva, il contratto non si estinguerà, nell’ipotesi invece in cui il termine decorra, il contratto preliminare sarà sciolto automaticamente.
Il quarto comma dell’art. 173 del CCII, prevede che se il curatore subentra nel contratto
preliminare di vendita:
• L’immobile è trasferito e consegnato al promissario acquirente nello stato in cui
si trova.
• Gli acconti versati prima dell’apertura della liquidazione giudiziale sono opponibili in misura pari alla metà dell’importo che il promissario acquirente dimostra di aver effettuato.
• Una volta effettuata la vendita, il giudice delegato firma un decreto con il quale statuisce la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, le trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi.
La previsione per la quale l’immobile è trasferito e consegnato al promissario acquirente nello stato in cui si trova crea un peggioramento del trattamento riservato al promissario acquirente, perché sembrerebbe comportare l’esclusione di ogni garanzia per vizi o assenza di qualità a favore del compratore dell’immobile. Questo dato letterale contrasta con l’art. 172 comma 1, secondo cui se il curatore subentra nel contratto assume i relativi obblighi dalla data di subentro.
L’inopponibilità del pagamento della metà degli acconti, in base alla relazione sul codice e con particolare riferimento all’art. 173, deriva dall’esigenza di tutelare l’interesse dei creditori ipotecari che potrebbero perdere la garanzia del credito, soprattutto nell’ipotesi in cui il promissario acquirente abbia versato la maggior parte del prezzo prima della data di apertura della liquidazione giudiziale.
Il contratto preliminare di vendita può avere ad oggetto un immobile da costruire o in corso di costruzione. L’art. 174 del Codice della crisi contiene una disposizione, identica a quella dell’art. 72 bis l. fall., in cui viene ribadito un profilo della disciplina contenuta nel d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122 in ambito di tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti degli immobili da costruire. E’ necessario bilanciare e coordinare l’esercizio dei poteri opposti del curatore e dell’acquirente, poiché il primo potrebbe voler subentrare nel contratto e il secondo potrebbe ritenere utile escutere la fideiussione e ricevere dalla banca la restituzione degli acconti versati e di sciogliere il rapporto contrattuale. La soluzione a questo conflitto è avvenuta mediante l’applicazione del criterio della prevenzione.
Il quesito iniziale è quello di individuare le ipotesi nelle quali il promissario acquirente possa esercitare la facoltà di scioglimento del contratto tramite l’escussione della fideiussione ed egli può farlo nei casi in cui l’esecuzione del contratto è sospesa e attende la scelta del curatore fra subentro e scioglimento del contratto.
Le ipotesi sono contenute all’interno dell’art. 173: nel caso in cui la domanda ex art. 2932 c,c57 sia rigettata la facoltà di sciogliersi dal contratto è riconosciuta al promissario acquirente, un’altra ipotesi è contenuta nel secondo comma dell’art. 173 che ammette la possibilità per il promissario acquirente di escutere la fideiussione anche successivamente alla comunicazione del curatore di voler sciogliersi dal contratto, nell’ipotesi trattata al quarto comma il subentro effettuato dal curatore preclude l’escussione della fideiussione,
57 Ex Art. 2932 c.c.: “Se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, qualora
sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso.”
ma il promissario acquirente comunque ha il diritto di procedere all’escussione prima che
il curatore intenda e dichiari di subentrare.
Nelle ipotesi in cui al promissario acquirente non è permesso escutere la fideiussione, se l’immobile da costruire o in corso di costruzione al momento della conclusione del contratto preliminare sia stato consegnato al promissario acquirente e lo abbia predisposto ad abitazione principale, egli ha il diritto di prelazione nell’acquisto allo stesso prezzo definitivo raggiunto nell’incanto in base all’art. 9 del d.lgs. n. 122 del 2005.58
58 Xxxxxx Xxxxxxxx, I contratti preliminari: dalla legge fallimentare al Codice della Crisi d’impresa, in “Contratto e Impresa”, 3/2020, pag. 10611062106310641065106610671068106910701071107210731074107510761077 1078107910801081
CAPITOLO IV – CONCLUSIONI
Nella disciplina che concerne i contratti pendenti all’interno della procedura di liquidazione giudiziale l’interesse preminente è quello dei creditori e prevale rispetto agli altri interessi in gioco, soprattutto rispetto a quelli della controparte. L’assetto di interessi è confermato dal passaggio dalla Legge Fallimentare al Codice della Crisi e dell’Insolvenza ed è evidenziato dalla regola base la quale prevede la sospensione del contratto con attribuzione al curatore della decisione se sciogliersi dal contratto o subentrare in esso. La scelta di sospensione o subentro attribuita solo al curatore e non anche alla controparte è una previsione di favore per la massa dei creditori che permette all’organo della procedura di decidere il subentro nei contratti che ritiene utili, ma allo stesso tempo anche di sciogliersi dai contratti che per tipologia, natura o condizioni sono dannosi per la massa dei creditori. Questa disposizione in favore, deroga alle norme di diritto comune che non permettono ad una sola delle parti del contratto di decidere la sorte di un contratto pendente in maniera unilaterale. Il privilegio concesso alla curatela, con soggezione della controparte contrattuale, è funzionale ad una migliore tutela dell’interesse collettivo dei creditori, che in un’ottica comparativa prevale rispetto a quello della controparte contrattuale.
Il tema da comprendere è individuare e stabilire fino a dove si spinga la prevalenza dell’interesse dei creditori in contrasto con altri interessi nell’ambito dei contratti pendenti.
In presenza di interessi costituzionalmente rilevanti il legislatore adotta un contemperamento degli stessi. Vi sono alcuni esempi di questo bilanciamento di interessi perseguito.
Il primo esempio attiene le regole in ambito di contratti preliminari: il contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’art. 2645bis c.c59, non si scioglie se ha ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale del promissario acquirente o di suoi parenti o affini entro il terzo grado, o un immobile che costituirà la sede principale dell’attività d’impresa del promissario acquirente, sempre che gli effetti della trascrizione non siano cessati prima della data di apertura della liquidazione giudiziale. Quindi in questo caso il bisogno abitativo o il diritto all’esercizio di un’attività produttiva limitano l’interesse dei creditori, in una prospettiva di bilanciamento di interessi espressi nella costituzione.
Il secondo esempio di contemperamento fra interessi diversi e interessi della massa dei creditori attiene gli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro, in cui la regola generale della sospensione è calibrata sulla base di interessi costituzionalmente rilevanti.
Il terzo esempio riguarda la disciplina degli effetti della procedura sui contratti pubblici pendenti. La previgente normativa concorsuale non trattava tale aspetto, mentre il nuovo codice fa espressamente salve le norme speciali in materia di contratti pubblici. La disciplina pubblicistica impone la prevalenza dell’interesse della parte pubblica per evitare il rischio connesso che deriva dall’inadempimento dell’impresa assoggettata a liquidazione giudiziale rispetto all’interesse dei creditori di vedere incrementato l’attivo prospettico.
59 Art. 2645 bis c.c: “I contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione di taluno dei contratti di cui ai numeri 1) 2) 3 ) e 4) dell’articolo 2643, anche se sottoposti a condizione o relativi ad edifici da costruire o in corso di costruzione , devono essere trascritti se risultano da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.”