Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
DOTTORATO DI RICERCA IN
Istituzioni e Mercati Diritti e Tutele
Ciclo XXVII
Settore Concorsuale di afferenza: 12/B2
Settore Scientifico disciplinare: IUS/07
LEGISLAZIONE DELLA CRISI E RINVIO AL CONTRATTO COLLETTIVO
Presentata da: XXXXXX XXXXXXXXX
Coordinatore Dottorato Relatore
Xxxxx.xx Prof. XXXXXX XXXXXXXXXX Xxxxx.xx Xxxx. XXXXX XXXX
Esame finale anno 2015
INDICE
Introduzione 6
PARTE I
Una tecnica tipica di regolazione del lavoro: il rinvio dalla legge al contratto collettivo
Sezione I
Il doppio binario della gerarchia e del favor e il modello di «inte- grazione semplice» tra legge e contratto collettivo
1. – Alcune notazioni sui rapporti tra legge e contratto collettivo in seno alle fonti del diritto del lavoro 12
2. – Antecedenti storici. Il rinvio al contratto collettivo nel codice civile e nella legislazione speciale dei primi decenni del dopoguerra 18
Sezione II
Alterazioni e complicazioni nei rapporti tra legge e contratto collettivo
1. – Qualche osservazione di metodo 27
2. – I presupposti «giuridico-istituzionali» di una fitta integrazione tra legge e contratto collettivo 30
3. – Crisi economica, apertura dei mercati e innovazione tecnologica: solleci- tazioni al coinvolgimento del sindacato nei processi regolativi 34
4. – Qualche cenno al dibattito dottrinale sul superamento dell’impostazione statico-gerarchica nei rapporti tra legge e contratto collettivo 38
Sezione III
Il rinvio dalla legge al contratto collettivo nella legislazione della crisi, in quel- la della flessibilità e, infine, nella legislazione tout court
1. – Il valore assoluto o relativo del principio del favor: prassi neo-corporative e legislazione sul contenimento del costo del lavoro 45
2. – Il rinvio dalla legge al contratto collettivo: note introduttive 52
3. – Il rinvio in deroga 55
4. – Il governo del mercato del lavoro «esterno all’impresa»: (a) alcune rifles-
xxxxx sui provvedimenti adottati tra i tardi anni ’70 e gli anni | ’90 | 70 |
5. – (Segue): (b) contratto collettivo e lavori flessibili nella anni duemila | legislazione | degli 77 |
6. – Qualche considerazione conclusiva | 89 |
PARTE II.
Dalla norma di rinvio alla norma sul rinvio: l’art. 8 della l. n. 148/2011 Riepilogo dei risultati raggiunti e premessa alla Parte II 92
Sezione I
L’art. 8: una «norma globale»… a rilevanza locale?
1. – Crisi dello Stato-nazione e delle sue categorie: quale futuro per il diritto del lavoro? 96
2. – Globalizzazione e diritto del lavoro. La crisi economica 99
3. – L’art. 8: una «norma globale»… a rilevanza locale? 108
Sezione II
Le risorse normative attribuite al contratto collettivo di prossimità
1. – Le specifiche intese previste dall’art. 8 114
2. – Il livello contrattuale e gli agenti negoziali 116
3. – Quale criterio maggioritario? 121
4. – L’efficacia soggettiva 127
5. – Qualche puntualizzazione per il prosieguo dell’indagine 136
6. – Finalità tipiche. Il controllo giudiziale 139
7. – Le materie e gli istituti oggetto delle specifiche intese. I limiti esterni ai quali le medesime sono soggette 145
8. – Conclusioni. Dalla norma di rinvio alla norma sul rinvio 168
Abbreviazioni delle riviste scientifiche 174
Bibliografia 175
Introduzione.
Il lavoro si propone di analizzare il mutamento in atto in seno alle fonti del diritto del lavoro, assumendo, quale criterio di osservazione, il rinvio dalla legge al contratto collettivo nella regolazione del rapporto individuale e del mercato del lavoro.
Lo studio ha preso le mosse dall’entrata in vigore dell’art. 8 del d.l. n. 138/2011, convertito con modifiche dalla l. n. 148/2011 (d’ora innanzi anche solo: «art. 8»), al centro, negli ultimi anni, di un intenso dibattito tra gli stu- diosi di diritto del lavoro (1). L’art. 8 ha conferito risorse normative inusitata- mente ampie alle parti sociali, nel predisporre uno strumento contrattual- collettivo di livello aziendale o territoriale (cd. «contrattazione collettiva di prossimità»), al quale è collegato un duplice effetto: la derogabilità della disci- plina posta dal contratto collettivo nazionale e, soprattutto, dalla legge e l’efficacia delle specifiche intese «nei confronti di tutti i lavoratori interessati».
(1) Si segnalano sin d’ora, senza pretese di esaustività, i seguenti contributi: ALES, Dal caso FIAT al caso Italia. Il diritto del lavoro di prossimità, le sue scaturigini e i suoi limiti costituzionali, DRI, 2011, 1061 ss.; CARINCI F. (a cura di), Contrattazione in deroga. Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e art. 8 del D.L. n. 138/2011, Milano, Ipsoa, 2012; CORTI-XXXXXXXX-NAPOLI-XXXXXXX, Nuove tendenze nelle fonti del Diritto del lavoro. Dagli accordi del 2009 e 2011 al decreto legge 138, Milano, Vita e Pensiero, 2012; DELFINO, Contratti collettivi di prossimità e deroga alle normative europee, DLM, 2012, 465 ss.; XXXXXXX, A proposito dell’art. 8 della legge n. 148/2011: le deroghe si fanno ma non si dicono, DLRI, 2012, 255 ss.; LECCESE, Il diritto sindacale al tempo della crisi. Intervento eteronomo e profili di legittimità costituzionale, DLRI, 2012, 479 ss.; XXXXXX, L’art. 8 della legge n. 148 del 2011: un nuovo assetto delle relazioni industriali?, RIDL, 2012, I, 109 ss.; DE XXXX XXXXXX, Il problema dell’inderogabilità delle regole a tutela del lavoro: passato e presente, DLRI, 2013, 715 ss.; XXXXXXX, La contrattazione collettiva "di prossimità": teoria, comparazione e prassi, RIDL, 2013, I, 919 ss.; RATTI, Limiti sovranazionali all’efficacia derogatoria della contrattazione collettiva di prossimità, LD, 2014, 121 ss. Nel corso del 2012 autorevoli riviste hanno ospitato dibattiti dedicati all’art. 8: tra queste, Lavoro e diritto, n. 1 del 2012 (con contributi di MAZZOTTA, DEL PUNTA, LASSANDARI); Diritto delle relazioni industriali, n. 1 del 2012 (con contributi di XXXXXXX, DE XXXX XXXXXX, XXXXXXX, DEL CONTE, MARAZZA, PESSI R., PISANI, TIRABOSCHI), Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, n. 3 del 2012 (con contributi di VENEZIANI, XXXXXXXX, XXXXXXX, ALLEVA, GARILLI, XXXXXXXXX, LASSANDARI, GOTTARDI, SANLORENZO, CARABELLI).
Tale duplice effetto è subordinato al ricorrere di alcune condizioni. In par- ticolare, il contratto collettivo di prossimità: (a) deve essere sottoscritto «da as- sociazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano na- zionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda», nel rispetto di un (non meglio precisato) «criterio maggioritario rela- tivo alle predette rappresentanze sindacali»; (b) deve «riguardare la regolazio- ne delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione», con riferimento all’ampio arco tematico descritto dal comma 2; (c) deve essere ri- volto al perseguimento di almeno una tra le finalità previste dal comma 1; (d) non deve porsi in contrasto con disposizioni o principi di rango costituziona- le, o ricavabili dal diritto europeo e dal diritto internazionale del lavoro.
Al fine di una corretta impostazione del tema è opportuno precisare sin d’ora che la dinamica relazionale tra legge e contratto collettivo è improntata da tempo, pur tra alterne vicende e fortune, «verso una flessibilità sempre più intensa ed una sostanziale intercambiabilità dei ruoli, quasi trattandosi di strumenti alternativi (o potenzialmente tali) della regolamentazione del lavo- ro» (2). Gli ambiti sui quali insiste, oggi, un fitto intreccio di legge e contratta- zione collettiva si sono ampliati al punto da divenire una congerie di materia- le normativo che, oltre a essere difficilmente accessibile – e ancor meno ordi- nabile – dall’interprete, pone problemi di non agevole soluzione, soprattutto se si tiene a mente la perdurante anomia e informalità del quadro giuridico (3).
(2) Così, XXXXXXX, Xxxxx e legislazione lavoristica, in PERSIANI (a cura di), Le fonti del diritto del lavoro, in CARINCI F.-PERSIANI (diretto da), Trattato di diritto del lavoro, Padova, Cedam, 2010, 477.
(3) Il tema dei rapporti tra legge e contratto collettivo è oggetto, soprattutto dai tardi anni ’70 del secolo scorso, di una letteratura copiosa, nella quale si distinguono contributi estremamente raffinati, talvolta assai complessi e di non agevole lettura. Nel prosieguo del lavoro si richiameranno, di volta in volta, alcuni tra tali preziosi lavori, ma sin d’ora è possibile segnalare alcuni recenti studi sul tema, la cui consultazione si è rivelata indispensabile: XXXX, Contratto e rapporto tra potere e autonomia nelle recenti riforme del diritto del lavoro, DLRI, 2004, 359 ss.; CARINCI F., Una svolta tra ideologia e tecnica: continuità e discontinuità nel diritto del lavoro di inizio secolo, in AA.VV., Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxx, Padova, Cedam, 2005, 423 ss.; CARABELLI-LECCESE, Una riflessione sul sofferto rapporto tra legge e autonomia collettiva: spunti dalla nuova disciplina dell’orario di lavoro, in AA.VV., Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxx, cit., 345 ss.; XXXXXXX, Modernizzazione del diritto del lavoro, tecniche normative e apporti dell’autonomia collettiva, in AA.VV., Diritto del lavoro: i nuovi problemi: l’omaggio dell’accademia a Xxxxxx Xxxxxxxx, I, Padova, Cedam, 2005, 469 ss.; XXXXXXX, Breve storia delle fonti nel mercato del lavoro, ADL, 2005, 137 ss.; XXXXXXXXXXX, Autonomia collettiva e mercato del lavoro: la contrattazione gestionale e di
La crisi del modello tradizionale di rapporto tra legge e contratto collettivo, basato su un’impostazione statico-gerarchica che fa leva sul «doppio binario» della gerarchia e del favor (4), non può, dunque, per lo meno in prima battuta, essere imputata all’art. 8, il quale – richiamando l’affermazione di un chiaro autore – «può molto ma non tutto» (5).
Le ragioni di tale crisi andrebbero indagate nei meandri di una legislazione, invalsa da decenni nell’ordinamento, che non lesina in rinvii, richiami e rife- rimenti alla contrattazione collettiva e ha prodotto un fitto intreccio tra fonti autonome ed eteronome (6). Andrebbero, ancora, indagate nei «vorrei ma non posso» di un «legislatore confuso» (7) che, «non riuscendo in altro modo a far fronte a quel sovraccarico funzionale che sempre più massicciamente lo af- fligge, tende a «scaricare» sulla contrattazione collettiva una parte spesso co- spicua di tali funzioni» (8).
I rapporti tra legge e contratto collettivo sono, quindi, caratterizzati da co- spicua elasticità e integrazione reciproca. Eppure, l’art. 8 – approvato di sop- piatto durante la «lunga estate calda del diritto del lavoro» (9) – ha colto di sorpresa tanto gli attori sociali quanto la comunità scientifica (10). Gli uni e gli altri si sono trovati di fronte al fatto compiuto di un intervento «a gamba tesa»
rinvio, Torino, Giappichelli, 2005; XXXXXX, Sistemi contrattuali e regolazione legislativa in Europa, DLRI, 2006, 581 ss.; XXXXXXXX, Contratti di lavoro “flessibili”, contrattazione collettiva e relazioni industriali: a proposito di ri-regolazione del mercato del lavoro, in AA.VV. Diritto e libertà: studi in memoria di Xxxxxx Xxxx’Xxxx, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2008, 81 ss.; XXXXXXXX, Le fonti del diritto del lavoro, RGL, 2008, I, 321 ss.; ROMEI, L’autonomia collettiva nella dottrina giuslavoristica: rileggendo Xxxxxxx Xxxxxxx, DLRI, 2011, 181 ss.; TURSI, L’art. 8 della legge n. 148/2011 nel prisma dei rapporti tra legge e autonomia collettiva, DRI, 2013, 958 ss.
(4) Cfr. XXXXXXX, Differenze di funzioni e di livelli fra contratti collettivi, LD, 1987, 229 ss.
(5) Il riferimento è al celebre passo di XXXXXXX, Introduzione a Costituzione e movimento operaio, Bologna, Il Mulino, 1976, 5 ss.
(6) XXXXXXX, Fonti autonome e fonti eteronome nella legislazione della flessibilità, DLRI, 1986, 667 ss.
(7) PEDRAZZOLI, Qualificazioni dell’autonomia collettiva e procedimento applicativo del giudice, LD, 1990, 396.
(8) XXXXXXX, op. cit., 259.
(9) CORTI, La lunga estate calda del diritto del lavoro: dall'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 all'art. 8, d. l. n. 138/2011, in CORTI-XXXXXXXX-NAPOLI-XXXXXXX, op. cit., 23 ss.
( 10 ) XXXXXXX, L’art. 8 della legge n. 148/2011: la complessità di una norma sovrabbondante, DRI, 2012, 1 ss.
del legislatore (11) su di un tema oltremodo sensibile di politica sindacale e del diritto: la struttura della contrattazione collettiva e l’efficacia soggettiva del contratto collettivo. L’entrata in vigore dell’art. 8 ha messo, invero, a dura prova l’assetto delle fonti della materia e la tenuta del sistema di relazioni in- dustriali, già posti sotto pressione dalle dinamiche indotte dalla globalizzazio- ne e dalla crisi economica, oltre che, di recente, dal deflagrare del «caso Fiat».
Nel corso del lavoro si proverà a individuare e soppesare gli elementi di continuità e di discontinuità rispetto al quadro pregresso, al fine di valutare se l’art. 8 si ponga nel solco di una linea di politica del diritto inaugurata con lo Statuto dei lavoratori, cresciuta e ramificatasi nelle fasi dell’emergenza e della crisi, consolidatasi nella stagione della flessibilità, assurta, infine, a dato strut- turale del sistema delle fonti con le riforme dei primi anni duemila. Oppure, se esso rappresenti una rottura rispetto ad altre, in certa misura affini, espe- rienze precedenti, e consenta di avallare, in via ormai definitiva, una piena derogabilità della legge da parte del contratto collettivo (di prossimità), una lettura «orizzontale» dei loro rapporti, e di affermare l’efficacia generale delle specifiche intese ex art. 8 (12).
Nel solco di un classico insegnamento (13), sarà, inoltre, essenziale provare a tracciare un bilancio dell’implementazione dell’art. 8 nel tessuto delle rela- zioni industriali. Ciò, al fine di verificare se le parti sociali si siano attenute al- la politica di self restraint annunciata dopo la conversione in legge del d.l. n. 138/2011 (14), oppure se, e in quali guise, abbiano dato seguito all’invito rivol-
(11) XXXXXXXXX, Rappresentatività e contrattazione tra l’accordo unitario di giugno e le discutibili ingerenze del legislatore, WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT, 127/2011, 5. ( 12 ) Propendono, tra gli altri, per un risoluto avanzamento nel processo di scardinamento del rapporto tra le fonti (specie nel rapporto tra contratto collettivo e
legge) e di «aziendalizzazione» della disciplina giuridica del lavoro ALES, op. cit., il quale denuncia il rischio del venir meno delle categorie fondanti e della comunità di riferimento del diritto del lavoro, «che la legge e il contratto collettivo di categoria avevano contribuito a creare e a tenere unita»; LECCESE, op. cit.; PERULLI-SPEZIALE, L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011, n. 148, e la “rivoluzione di Agosto” del diritto del lavoro, in CARINCI F. (a cura di), op. cit., 165 ss.; XXXX, Contributo, in CARINCI F. (a cura di), op. cit., 137 ss.; XXXXXX, L’aziendalizzazione nell’ordine giuridico-politico del lavoro, LD, 2013, 213 ss.; XXXXX, Il processo di “aziendalizzazione” della contrattazione collettiva: tra prossimità e crisi di rappresentatività sindacale, ADL, 2014, 857 ss.
(13) GIUGNI, La funzione giuridica del contratto collettivo di lavoro, in Atti del III Congresso nazionale di diritto del lavoro, Pescara-Teramo, 1-4 giugno 1967, Milano, Xxxxxxx, 1968, 11 ss.; ID., Il diritto sindacale e i suoi interlocutori, RTDPC, 1970, 369 ss.
(14) Con una postilla apposta in calce all’accordo interconfederale del 28 giugno 2011,
to loro dal legislatore a stipulare una rete di accordi, rivolti a far fronte a esi- genze di specializzazione organizzativa indotte dalle peculiarità economico- produttive del territorio e/o della singola realtà aziendale. Al riguardo, occor- re sin d’ora anticipare che l’indagine si profila affatto agevole. Alla consueta difficoltà di reperire i testi degli accordi di secondo livello, specie quelli con- clusi in ambito aziendale, si aggiunge, infatti, la tendenza manifestata dalle parti sociali a evitare, per quanto possibile, che sugli accordi in deroga si ac- cendano i riflettori del dibattito pubblico: come è stato efficacemente afferma- to «le deroghe si fanno, ma non si dicono» (15).
in sede di ratifica del medesimo nel corso del mese di settembre 2011. In particolare le xx.xx. firmatarie hanno affermato che «le materie delle relazioni industriali e della contrattazione sono affidate all’autonoma determinazione delle parti» e così stabilito che le stesse «si impegnano ad attenersi all’Accordo interconfederale del 28 giugno, applicandone compiutamente le norme e a far sì che le rispettive strutture, a tutti i livelli, si attengano a quanto concordato nel suddetto Accordo interconfederale».
(15) XXXXXXX, op. cit.; cfr. anche PERULLI, op. cit., 920. Occorre segnalare, a tale proposito, che la disposizione contenuta nel d.l. n. 76/2013, recante l’obbligo di depositare le specifiche intese di prossimità presso le D.t.l., è stata espunta dal testo del decreto in sede di conversione in legge (l. n. 99/2013).
Parte I
Una tecnica tipica di regolazione del lavoro: il rinvio dalla legge al contratto collettivo
Sezione I
Il doppio binario della gerarchia e del favor e il modello di «inte- grazione semplice» tra legge e contratto collettivo
1. Alcune notazioni sui rapporti tra legge e contratto collettivo in seno alle fonti del diritto del lavoro.
Legge e contratto collettivo sono le principali «fonti» (16) del diritto del la- voro (17). Al fine di cogliere la dinamicità della loro integrazione reciproca, è preferibile, anziché osservarle separatamente, provare a «inseguirne le traiet- torie» e «soffermarsi sulle loro intersezioni» (18), in larga misura determinate proprio dalla cospicua serie di rinvii legislativi e reciproci richiami e raccordi.
(16) L’espressione «fonti» sia intesa, per semplicità del discorso, in senso lato o a- tecnico (id est nel senso fatto proprio, in sede di trattazione del sistema delle fonti del diritto del lavoro, da MENGONI, Le fonti del diritto del lavoro in Italia, in AA. VV., Le fonti del diritto del lavoro nei paesi della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, Lussemburgo, CECA, II ed., 1962, 137), al fine di non entrare nella vexata quaestio della natura di fonte del diritto oggettivo del contratto collettivo: sul tema cfr., ZOPPOLI L., Il contratto collettivo come «fonte»: teorie e applicazioni, in XXXXXXXX- ZOPPOLI L. (a cura di), Contratto collettivo e disciplina dei rapporti di lavoro, II ed., Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2004, 3 ss.; XXXX, Contratto collettivo come fonte e contrattazione collettiva come sistema di produzione di regole, in PERSIANI (a cura di), Le fonti del diritto del lavoro, cit., 487 ss.
(17) Il rilievo è assai frequente in dottrina; per tutti, cfr. ROMAGNOLI, Autonomia collettiva e legislazione, in AA.VV., Le ragioni del diritto. Scritti in onore di Xxxxx Xxxxxxx, vol. II, Milano, Xxxxxxx, 1995, 1187.
(18) XXXXXXXX, Il diritto del lavoro e le sue fonti, RIDL, 2001, I, 231-232. Il punto è colto anche con un richiamo a XXXXXXXX, La contrattazione collettiva, Bologna, Il Mulino, 1985, 303, il quale osserva che «una determinata relazione sistemica tra legge e contrattazione come strumenti di governo della dinamica sociale si collega a una certa interazione tra norma legale e contrattuale nell’ambito della gerarchia delle fonti». La «promiscuità» delle fonti della materia emerge, inoltre, dalle considerazioni di PROSPERETTI, La funzione del diritto del lavoro nella politica economica, RTDP, 1964, 905 ss.: «per il lavoro, poi, la funzione del diritto nella politica economica ha un valore singolare, giacché introduce nel campo delle scelte dei mezzi di perseguimento dei fini stabiliti un sistema, in cui la strumentalità dell’istituto giuridico di direzione economica si immedesima con la realtà stessa del fatto economico, esprimendone quella che il Capograssi chiamava la legge dell’azione, nella figura del contratto collettivo, diretta espressione degli stessi gruppi che ne sono
Un’analisi siffatta presuppone, tuttavia, che siano svolte alcune considera- zioni preliminari circa la posizione della legge e del contratto collettivo in se- no al sistema di fonti della materia.
Nell’ordinamento corporativo, il contratto collettivo è disciplinato come at- to-fonte dalla legislazione del 1926 e in seguito dalle norme contenute nel Li- bro V (Titolo I – Capo III) del codice civile (19). Il contratto collettivo corpora- tivo assurge al rango di fonte del diritto oggettivo (artt. 1, 5, 7 prel.). La natura di fonte del diritto oggettivo non impedisce, tuttavia, la configurabilità di un rapporto di primazia della legge sul contratto collettivo: primazia che deriva dalle rispettive posizioni assunte nella piramide delle fonti e che rinveniva so- lide basi di diritto positivo, tra le altre disposizioni, negli artt. 1 e 7 prel. (20).
Dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, nel solco della ri- costruzione privatistica del fenomeno sindacale, la primazia della legge conti- nua a essere affermata dalla prevalente dottrina e giurisprudenza: non in osse- quio alle norme sulle fonti, bensì in applicazione delle regole dettate in gene- rale per il rapporto tra legge e atti di autonomia privata (21). Benché rivisitare il tema delle fonti a partire dall’elenco contenuto nell’art. 1 prel. – elenco oggi monco e allo stesso tempo incompleto ( 22 ) – equivalga di certo «ad
disciplinati».
(19) Cfr. ROMAGNOLI, Il lavoro in Italia. Un giurista racconta, Bologna, Il Mulino, 1995, 99 ss.; XXXXXXX, La fase corporativa, in PERSIANI (a cura di), Le fonti del diritto del lavoro, cit., 82 ss.
( 20 ) Peraltro, nel vigore della legislazione del 1926, autorevole dottrina aveva prospettato un superamento del rapporto di primazia della legge sul contratto collettivo corporativo: cfr., per una ricostruzione della dottrina dell’epoca, ASSANTI, Rilevanza e tipicità del contratto collettivo, Milano, Xxxxxxx, 1967.
(21) XXXXXXX, Contrattazione collettiva e sistema giuridico, Napoli, Jovene, 1984, 102 osserva che l’aver qualificato il contratto collettivo come contratto di diritto privato preclude ogni possibilità di coordinamento orizzontale con la legge, atteso che la logica della gerarchia delle fonti (obbiettive) «espulsa dalla porta, riaffiorava dalla finestra: infatti una volta qualificato come contratto di diritto privato, il contratto collettivo rimaneva pur sempre soggetto al principio di gerarchia, se non altro perché come ha dimostrato Xxxx Xxxxxx, dopo la codificazione, tutti i contratti di diritto privato possono essere considerati, dal punto di vista del diritto obbiettivo, come fonti di diritto (interprivato), gerarchicamente subordinate alla legge».
(22) L’impianto basato sull’art. 1 prel. si rivela all’osservatore contemporaneo per un verso monco, in ragione della abrogazione dell’ordinamento corporativo e della caducazione delle relative fonti del diritto, e per l’altro verso incompleto, in ragione della mancata inclusione di fonti che si pongono oggi in posizione sovraordinata rispetto alla legge, quali la Costituzione, le fonti del diritto dell’UE e internazionali. Cfr., XXXXXXXX, Unità e pluralità del diritto civile: il sistema e le fonti, RTDPC, 2004, 23
un’operazione dal vago sapore di archeologia giuridica» (23), si può osservare che la configurazione statualistica e gerarchica del modello relazionale tra legge e contratto collettivo sancita dalle preleggi è stata conservata nell’ordinamento repubblicano (24).
Il rapporto tra legge e contratto collettivo è quindi improntato al principio di gerarchia: la supremazia della fonte statale su quella negoziale è assicurata dal meccanismo dell’inderogabilità, in base al quale la legge prevale sulle pre- visioni difformi della contrattazione collettiva, in virtù di un confronto tra singole clausole (25). Gli artt. 1339 c.c. e 1419, co. 2, c.c. apprestano una tutela particolarmente energica, che combina la nullità della disposizione posta dall’autonomia privata (collettiva) e la sostituzione automatica con la regola di legge (26): una «operazione ortopedica», con la quale l’ordinamento condi-
ss.; per una trattazione complessiva del tema delle fonti cfr. per tutti PIZZORUSSO, Delle fonti del diritto: art. 1 – 0, Xxxxxxx-Xxxx, Xxxxxxxxxx-Xxxxxxx Xx. xxx Xxxx Xx., II ed., 2011.
(23) Così, XXXXXXXXX, Il sistema generale delle fonti giuslavoristiche, in PERSIANI (a cura di), Le fonti del diritto del lavoro, cit., 395.
(24) DE XXXX XXXXXX, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, Napoli, Jovene, 1976, 113 ss., ma passim.
(25) Per tutti, cfr. MENGONI, Legge e autonomia collettiva, MGL, 1980, 692 ss. Sul significato dell’espressione clausole, in ordine ai rapporti tra legge e autonomia collettiva, cfr. DE XXXX XXXXXX, op. ult. cit., 214 ss.
(26) XXXXXXXXXXX, op. cit., sostiene che l’inderogabilità e lo speciale effetto sostitutivo siano caratteri propri, in via generale o, per così dire, implicita, di tutta la legislazione lavoristica; DE XXXX XXXXXX, op. ult. cit., 113 ss., 199 ss.; PIZZORUSSO, Le fonti del diritto del lavoro, RIDL, 1990, I, 21-22; XXXXXXXXXXXX, Riserva di competenza per l’autonomia collettiva e scatti di anzianità, MGL, 2010, 7.
L’applicabilità del meccanismo nullità-sostituzione automatica ai rapporti tra legge e contratto collettivo può essere considerato un acquis consolidato della dottrina e della giurisprudenza; tuttavia, per completezza del discorso è necessario ricordare che si tratta pur sempre del punto di arrivo di un percorso interpretativo affatto scontato in partenza; infatti, nel nostro ordinamento, i rapporti tra legge e contratto collettivo (di diritto comune) – è bene ricordarlo – sono «definiti da norme implicite, ossia non testualmente stabilite, ma desunte dall’interpretazione del sistema (e presentano infatti un grado non trascurabile di oscillazione)» (in questi termini, D’ANTONA, Diritto sindacale in trasformazione, in ID. (a cura di), Letture di diritto sindacale. Le basi teoriche del diritto sindacale, Napoli, Jovene, 1990, XVIII). Non è un caso, allora, che in dottrina voci autorevoli siano giunte a conclusioni diverse e abbiano criticato l’estensione al rapporto con l’autonomia collettiva di un meccanismo ideato per regolare il conflitto tra fonte eteronoma e autonomia privata individuale, sia in ragione dei rischi di compressione della libera dinamica delle relazioni sindacali che sul piano del diritto positivo (v. infra Parte I, Sez. II, § 4).
ziona direttamente l’autonomia privata, integrandone il disposto in ossequio ai fini di interesse generale di volta in volta perseguiti (27).
D’altro canto, la rigidità del modello gerarchico discendente, che «pretende di descrivere una traiettoria che dalla legge ci conduce al contratto collettivo e da questo a quello individuale» (28), è attenuata dall’operare del principio del favor. Tale principio trova riscontro nel diritto positivo; in disposizioni, tutta- via, difficilmente estensibili per via analogica o suscettibili di applicazione ge- neralizzata (29).
Nondimeno, superando le strettoie imposte dal diritto positivo, il favor si af- ferma, in dottrina (30) e in giurisprudenza (31), alla stregua di «principio-guida» dell’intervento dello Stato in materia di lavoro, ovvero, in guise diverse nelle varie ricostruzioni, quale criterio di risoluzione di conflitti normativi, di ten- denziale ripartizione di competenze tra legge e contratto collettivo, financo quale parametro per una rivisitazione dell’ordine delle fonti ( 32 ).
(27) PROSPERETTI, op. cit., 907.
(28) Così, XXXXXXXX, op. cit., 232.
(29) Su tutte: art. 17, co. 1, r.d.l. n. 1825/1924; art. 2077, co. 2, c.c.; art. 2078, co. 1,
c.c.; art. 98 disp. att. c.c.; art. 7, co 1 e co. 3, l. n. 741/1959, art. 40, co. 2, l. n. 300/1970.
(30) È d’obbligo il riferimento alle due monografie dedicate al tema nel corso degli anni ’60 del secolo scorso: XXXXXXX, Il «favor» verso il prestatore di lavoro subordinato, Milano, Xxxxxxx, 1966 (rist. 1983); XXXX, Il favore dell’ordinamento giuridico per i lavoratori, Milano, Xxxxxxx, 1967. Contra, rispetto alla sussistenza di un generale principio di favore nei rapporti tra legge e autonomia privata collettiva, ritenuta il frutto di un equivoco che nasce dall’esigenza di ritagliare margini di azione per il sindacato nel sistema post-corporativo, RUSCIANO, Contratto collettivo e autonomia sindacale, Torino, Utet, 2003, 82 ss.
(31) Cass. 6 settembre 1980 n. 5156, GCM 1980, 9, RIDL 1982, II, 42; Cass. 9
novembre 1981 n. 5924, MGL 1982, 412; Cass. 13 marzo 1982 n. 1651, GCM 1982,
3, RIDL, 1982, II, 688; Cass. 3 aprile 1982 n. 2049, GCM 1982, 4, RIDL 1983, II,
60.
(32) Nella ricostruzione del CESSARI, op. cit., il principio del favor, pur operando alla stregua di un criterio di risoluzione di conflitti normativi, inciderebbe pure sull’ordine delle fonti, scalzando il principio di gerarchia dal ruolo di criterio ordinatore. Riprendendone la riflessione, un altro A. ha così affermato: «non esisterebbe più, in sostanza, una rigida gerarchia fra disciplina legale, disciplina collettiva e regolamento individuale degli interessi delle due parti del rapporto, mentre sarebbe proprio il favor a dirimere l’eventuale conflitto» (in questi termini, XXXXXXX, Autonomia collettiva e legge, in D’ANTONA (a cura di), Letture di diritto sindacale, cit., 84). Contra SIMI, op. cit., ID., Il contratto collettivo di lavoro, in Enciclopedia giuridica del lavoro diretta dal xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxx, Padova, Cedam, 1980, per il quale, il principio di favore non importa affatto una revisione dell’ordine delle fonti: esso sta
L’elaborazione, di certo agevolata dalla sublimazione del principio lavoristico nella Costituzione repubblicana, prende sovente le mosse dallo «spirito» (33), ovvero dalla «specialità» (34) del diritto del lavoro, per sua natura e vocazione volto alla posizione di tutele via via più vigorose a protezione di uno dei sog- getti di un rapporto tra privati (35).
La funzione della legge e, di riflesso, la sua tipica inderogabilità acquistano così connotati peculiari: se la legge si presenta come imperativa, inderogabile
– scrive Xxxxxxx Xxxx nella monografia del 1967 – giacché «diretta a far preva- lere sul principio di libertà contrattuale e di autonomia negoziale la garanzia del minimo protettivo», e tale garanzia «è tanto importante che la legge, ac- canto al carattere imperativo, acquista l’efficacia eccezionale sostitutiva», or- bene «la sostituzione del comando eteronomo a quello autonomo ha la sua ragion d’essere soltanto quando l’atto di autonomia non sia conforme ai fini che l’ordinamento giuridico intende raggiungere. Ove invece lo sia, lo Stato non può che rispettarlo e lasciarlo sopravvivere» (36).
In breve, in una ricostruzione che potrebbe definirsi «tradizionale», il rap- porto tra legge e contratto collettivo corre sul «doppio binario» della gerarchia e del favor: la fonte primaria pone le condizioni minimali inderogabili di disci- plina del rapporto di lavoro; per canto suo, la fonte contrattuale ha licenza di muoversi liberamente negli spazi non occupati dalla legge, sopravanzandola e integrandola, purché in modo più favorevole al lavoratore, conformemente, del resto, alla logica acquisitiva che per lo più caratterizzava il processo nego- ziale (37). Del resto, soprattutto nei primi decenni successivi all’entrata in vigo-
piuttosto nell’ordine «naturale» o «fisiologico» del concreto operare della legge e dell’autonomia privata (individuale o collettiva) in una materia come quella del rapporto di lavoro.
(33) XXXXXXX XXXXXXXXXX F., Spirito del diritto del lavoro, XX, 0000, I, 273 ss., ora in ID., Saggi di diritto civile, II, Napoli, Jovene, 1961, 1070 ss.
(34) SCOGNAMIGLIO, La specialità del diritto del lavoro, RGL, 1960, I, 83 ss.
( 35 ) Particolarmente calzante la definizione del principio in esame datane dal CESSARI, op. cit.: si tratterebbe di uno «strumento correttivo del principio di uniformità, in funzione di una valorizzazione della personalità del lavoratore, considerato come elemento inserito nell’organizzazione sociale, con superamento espresso e radicale del principio di protezione minima in tutela del contraente debole» (la citazione è tratta dalla introduzione alla ristampa dell’opera del 1983, IX).
(36) XXXX, Il favore dell’ordinamento giuridico per i lavoratori, cit., 96.
(37) XXXXXXXX, op. ult. cit., passim; ROMAGNOLI, Autonomia collettiva e legislazione, cit., 1191; CESTER, La norma inderogabile: fondamento e problema del diritto del lavoro, DLRI,
re della Costituzione, lo «scambio» tra legge e contrattazione si è giocato su poste piuttosto modeste (38). Oltre a definire l’area perimetrale del lavoro su- bordinato e ad approntare un livello minimale di tutela ivi applicabile, la legge si occupava, per lo più, di sostenere le fasce marginali della forza lavoro dal concreto rischio di incorrere in situazioni di sotto-protezione o, addirittura, di sfruttamento, rendendo, così, «scarsamente configurabili attriti o conflitti si- gnificativi tra i due ordinamenti» (39).
La pur assidua frequentazione tra legge e contratto collettivo (40) non pone- va, insomma, problemi insormontabili di concorrenza (o conflitto) tra fonti normative (41). Anche laddove la dialettica si faceva più serrata, nei settori in cui con più frequenza era dato riscontrare una concorrenza normativa – «ipo- tesi consentite, e talvolta incentivate, dall’assenza, nel nostro ordinamento, di particolari vincoli di competenza dell’autonomia collettiva quanto a «conte- xxxx» ed «istituti», nonché dal definitivo abbandono della tesi della «riserva as- soluta» in favore dell’autonomia sindacale» (42) – la prevalenza dell’una o dell’altra fonte era ammissibile in virtù del principio di gerarchia o di favore.
2008, 360.
(38) XXXXXXXX, op. ult. cit., 306-307.
(39) XXXXXXXX, op. ult. cit., 306.
(40) Amplius infra § s.
(41) Problemi di concorrenza e conflitto tra legge e contratto collettivo erano, invero, presenti anche nei primi decenni di rinascita del diritto del lavoro repubblicano. Essi hanno dato luogo ad intricate vicende sindacali e giudiziarie, cui la dottrina ha appassionatamente preso parte, contribuendo a porre le basi di quella che più tardi diverrà un’ampia discussione sulla «emancipazione» del contratto collettivo dai limiti (minimali) posti dalla norma inderogabile (v. infra Parte I, Sezione II, § 4). Nella dottrina dell’epoca, per un inquadramento delle ipotesi di conflitto tra legge e contratto collettivo, GIUGNI, La disciplina legislativa del trattamento minimo di categoria, RTDPC, 1959, 890 ss., ove l’autore si confronta con l’art. 5 della l. n. 741/1959 (che così disponeva: «Le norme di cui all'art. 1 della presente legge non potranno essere in contrasto con norme imperative di legge»). Dello stesso autore, cfr. La conciliazione collettiva dei conflitti giuridici di lavoro, DE, 1959, 832 ss., ove si sottolinea il rischio di affievolimento dell’intensità dell’azione sindacale (specialmente quella
«conciliativa»), a fronte del rischio di caducazione, in sede giudiziaria, per contrarietà con norme imperative, dei negozi che abbiano posto termine a controversie collettive. Cfr. altresì PERA, Computo della maggiorazione per lavoro straordinario per i cottimisti dell’industria metalmeccanica, RDL, 1958, II, 335 ss.; MENGONI, Nuova giurisprudenza delle Sezioni Unite sulla questione del computo dell’aumento per lavoro straordinario dovuto agli operai retribuiti a cottimo o con altre forme di incentivo, DE, 1959, 79 ss.; Per un riepilogo del dibattito, cfr. DE XXXX XXXXXX, op. ult. cit., 119 ss.
(42) DE XXXX XXXXXX, op. ult. cit., 115. Com’è noto, la tesi di una riserva assoluta di
2. Antecedenti storici. Il rinvio al contratto collettivo nel codice civile e nel- la legislazione speciale dei primi decenni del dopoguerra.
La ricostruzione «tradizionale» dei rapporti tra legge e contratto collettivo poggia, dunque, sul doppio binario della gerarchia e del favor, sul quale far viaggiare in parallelo le due fonti. La solidità del modello proposto – è eviden- te – dipende dalla stabilità di tale binario rispetto al carico regolativo al quale il medesimo è sottoposto; id est del portato dell’intreccio tra le fonti. Fuor di metafora, la tenuta del modello teorico dipende dall’assenza (melius, dall’entità) dei casi di concorrenza/conflitto tra fonti e dei casi di rinvio dalla legge al contratto collettivo.
Orbene, dietro la cornice formale di un meccanismo lineare basato sulla fissazione di minimi legali inderogabili e sui progressivi scavalcamenti di una contrattazione collettiva acquisitiva, si cela, già nei primi decenni del dopo- guerra, una realtà ben più complessa, «caratterizzata da una molteplicità di interrelazioni tra le due dimensioni» (43). Nel prosieguo dell’indagine si volge- rà l’attenzione su queste interrelazioni, che si tenterà di osservare a partire dalla legislazione codicistica e speciale dell’epoca. Ciò al fine di tratteggiare una breve storia del rinvio dalla legge al contratto collettivo, che consenta a tempo debito di rimarcare analogie e differenze rispetto all’esperienza statuta- ria e post-statutaria, per arrivare, infine, all’attualità.
Un primo utilizzo della tecnica del rinvio dalla legge al contratto collettivo si rinviene, invero, nella fase in cui il lento, ma inesorabile, sgretolarsi dello Stato tardo-liberale apre la strada all’avvento del fascismo: si tratta della legi- slazione del 1923 sull’orario di lavoro, la cui longevità si pone probabilmente in relazione proprio con la flessibilità della tecnica regolativa adoperata (44).
competenza nella regolazione del rapporto di lavoro a favore dell’autonomia collettiva è stata respinta da C. Cost. 19 dicembre 1962 n. 106, FI, 1963, I, 648.
(43) Così, XXXXXXXX, op. ult. cit., 307.
(44) Si tratta dell’art. 8 comma 3 del r.d. n. 1955/1923, a norma del quale «Gli accordi fra le parti di cui al precitato articolo 4 circa la ripartizione dell'orario massimo normale sono quelli stipulati tra le associazioni di datori di lavoro e quelle di lavoratori, e, in mancanza di associazioni, tra i rappresentanti degli uni e degli altri (…)»; nonché degli artt. 5 («I periodi di tempo entro i quali, a norma dell'art. 4 del Regio decreto-legge, è consentito di superare la media delle 8 ore giornaliere o delle 48 ore settimanali, non possono superare i tre mesi all'anno. Salvo accordi diversi stipulati fra le parti, l'orario di lavoro non potrà superare le 10 ore al giorno o le 60 ore alla settimana. Gli accordi fra le parti di cui al precedente art. 4 sono quelli
Certo, le analogie rispetto alla legislazione del periodo corporativo e post- corporativo vanno guardate con cautela (45). Inoltre, l’abbraccio tra le due fon- ti denota, ancora, una reciproca diffidenza – direbbe, forse, Xxxxxxx Xxxx- gnoli – e, a quanto consta, rappresenta un caso isolato per il periodo pre- corporativo: il livello di complessità non particolarmente elevato nella regola- zione del lavoro consentiva, infatti, alla legge e al contratto collettivo di corre- re su due binari diversi. Eppure tali disposizioni rappresentano un primo esempio, in epoca non sospetta, di valorizzazione della funzione para- legislativa del contratto collettivo, in chiave di adattamento del disposto legale a situazioni contingenti o comunque non regolabili dalla legge in modo op- portuno.
Il ragionamento è superato, di lì a breve, dalla piena instaurazione del re- gime autoritario e dell’ordinamento corporativo, nel periodo che va dal 1926 al 1943, passando per la promulgazione del codice civile del 1942. In questa fase, il contratto collettivo è dettagliatamente regolato come atto e assurge al rango di fonte del diritto oggettivo. Il contratto collettivo, inoltre, è richiamato da una pluralità di norme di legge speciali e, soprattutto, del codice civile, in chiave ora di deroga ora d’integrazione e completamento «di regole di caratte- re generale e/o di contenuto generico» (46). Non ci si soffermerà oltre sul rap- porto tra legge e contratto collettivo nell’ordinamento corporativo, per rileva- re senza indugio quanto più interessa: dopo l’entrata in vigore della Costitu- zione repubblicana, la gran parte di tali rinvii e richiami è ritenuta applicabile
stipulati fra le associazioni di datori di lavoro e quelle di lavoratori e, in mancanza di associazioni, fra i rappresentanti degli uni e degli altri»), 7 («Quando, d'accordo fra datori di lavoro e prestatori d'opera si voglia superare il limite settimanale di 12 ore di lavoro straordinario, ciò potrà essere consentito per un periodo non superiore a 9 settimane consecutive, sempre che la media di lavoro straordinario nel detto periodo non superi le 12 ore settimanali»), 9 («Le organizzazioni di datori di lavoro e di lavoratori […] provvederanno a disciplinare l'orario di lavoro dei salariati addetti ai servizi di trasporto, ai lavori di stalla, al governo e alla mungitura del bestiame da latte e da produzione, alla sorveglianza e all'accompagnamento del bestiame durante il pascolo e i traslochi») del r.d. n. 1956/1923, entrambi in materia di orario di lavoro. In dottrina si è al riguardo rimarcato che proprio l’elasticità nell’articolazione dell’orario di lavoro garantita dalla legislazione del 1923 è una delle cause principali della sua longevità; cfr. XXXXXXX, op. cit., 94.
(45) ASSANTI, op. cit., 58.
(46) In questi termini, SCOGNAMIGLIO, Il codice civile e il diritto del lavoro, in AA.VV.,
Le ragioni del diritto, cit., 1253-1254.
al contratto collettivo di diritto comune dalla prevalente dottrina (47) e giuri- sprudenza (48). Xxxxxxxxx, tale affermazione è riferita non alle questioni oltre- modo controverse – che appassioneranno e divideranno la dottrina per decen- ni – dell’applicabilità al contratto collettivo di diritto comune delle disposizio- ni contenute nell’art. 2070 c.c. o nell’art. 2077 c.c., ma a quelle che realizzano uno schema di «integrazione semplice» (49) tra legge e contratto collettivo. Ci si riferisce specialmente alle seguenti disposizioni: art. 2095, co. 2, c.c., art. 2096, co. 1, c.c., art. 2097, co. 4, c.c., art. 2106 c.c., art. 2107 c.c., art. 2108,
co. 3, c.c., art. 2109, co. 2, c.c., art. 2110, co 1 e co. 2, c.c.
La ragione ultima di tale orientamento «continuista», cui mostrano di ade- rire, pur con qualche distinguo, la dottrina e la giurisprudenza, può rinvenirsi nell’evitare una paralisi del sistema regolativo del rapporto di lavoro. Ragione comune, del resto, a quella sottostante i decreti del ’43-‘44, che mantennero in vigore la produzione negoziale delle strutture corporative e non disposero l’abrogazione espressa delle norme del codice civile che operavano un rinvio al contratto collettivo (50). Non di meno, fermo il rispetto della libertà sindaca- le e l’efficacia inter partes del contratto collettivo di diritto comune, il senso
(47) ASSANTI, op. cit.; XXXX, Il contratto collettivo di lavoro, cit., 163; RUSCIANO, op. cit., 17 ss.; SCOGNAMIGLIO, op. ult. cit., 1253-1254; in senso critico, XXXXXXX, Certezza del diritto e autonomia privata nell'odierno diritto del lavoro, DE, 1956, 1223 ss., in ragione del mutato statuto del contratto collettivo nell’ordinamento repubblicano, ma nell’ambito di un ragionamento più ampio, ricomprendente anche la problematica applicazione dell’art. 2077 c.c. al contratto collettivo di diritto comune.
(48) Cass. 3 luglio 1981 n. 4331, GCM, 1981, 7; Cass. 7 settembre 1981 n. 5055, in GCM, 1981, 9; Cass. 24 febbraio 1982 n. 1179, in GCM, 1982, 2; nonché, più di recente, in materia di inquadramento contrattuale, Cass. 18 aprile 2003 n. 6338, MGI, 2003.
(49) XXXXXXXX, Le fonti del diritto del lavoro, cit., 357.
(50) Invero, com’è stato ben dimostrato in dottrina, l’argomento della non espressa abrogazione delle norme del codice civile che fanno riferimento al contratto collettivo si espone a più d’una obiezione. Una critica serrata di tale argomento è proposta, tra gli altri, da XXXXXXX, op. cit.; nonché più di recente da RUSCIANO, op. cit. Entrambi gli autori pongono in luce la stretta connessione presente tra il substrato politico-ideologico delle strutture del diritto collettivo corporativo, espressamente abrogate nel ’43-’44, e le norme regolatrici della produzione giuridica di tali strutture, che si dovrebbero, pertanto, ritenere, almeno in linea di massima, parimenti abrogate. Ciò detto, è però ancora una volta il caso di precisare che tale stretta connessione è da rimarcare soprattutto rispetto alle norme del codice civile che regolano la struttura del contratto collettivo come atto-fonte (artt. 2067-2077 c.c.) che non rispetto a quelle che operano un rinvio al contratto collettivo in chiave di integrazione o di deroga del disposto legale.
complessivo dell’operazione rimanda all’idea di una sostanziale equivalenza tra i due tipi di contratto collettivo, quantomeno ai fini dell’integrazione del disposto legale (51). Se si assume la prospettiva del rinvio dalla legge al con- tratto collettivo, quello di diritto comune «sarebbe in realtà un contratto col- lettivo che, rispetto all’omologo scomparso, si distingue soltanto in ragione del suo nanismo» (52).
Non occorre addentrarsi nella questione della natura e/o di una suddivi- sione per tipi del contratto collettivo; ciò che conta, è poter osservare una sor- ta di continuità della legislazione pre-corporativa, corporativa e post- corporativa nel fare ricorso a rinvii, richiami o meri riferimenti al contratto collettivo, in modo, per così dire, avulso rispetto alla concezione di contratto collettivo accolta nell’ordinamento. La stretta integrazione tra legge e contrat- to collettivo nella regolazione del rapporto di lavoro – ma, ben presto, pure del mercato del lavoro – pare da tempo un punto fermo, o melius una tecnica regolativa tipica della materia.
(51) L’affermazione può essere suffragata dal richiamo, in primo luogo, a una massima ripetuta in modo tralatizio nella giurisprudenza della Suprema Corte: tra le sentenze menzionate retro alla nota n. 48, cfr. Cass. n. 4331/1981: «I rinvii operati dalla legge, segnatamente dagli artt. 2106 – 2110 cod. civ. – al contratto collettivo corporativo sono estensibili anche al contratto collettivo post-corporativo, in ragione della ratio del rinvio legislativo e della funzione socio-economica che accomuna il contratto collettivo corporativo a quello stipulato dai sindacati liberi in regime di pluralismo sindacale; in ragione, in altri termini, dei caratteri tipici del contratto collettivo come figura giuridica astrattamente tipica, o come «istituto decontestualizzato» o ancora come «specie essenzialmente unitaria» sganciata da riferimenti al diritto positivo».
La dottrina prevalente si muove su binari non lontani da quelli percorsi dalla giurisprudenza. In un’analisi dedicata al tema, ASSANTI, op. cit., 80, osserva: «il contratto collettivo a efficacia soggettiva limitata ha nel nostro ordinamento la stessa attitudine di quella ad efficacia generale, salva la diversa sfera soggettiva, a regolare le condizioni di lavoro: ciò significa che si ha una equivalenza tra i due tipi anche nei riferimenti legislativi riguardanti direttamente il contratto collettivo corporativo dimostrandosi così fondato l’orientamento dottrinale [il riferimento è alla lezione della Prof. Xxxx Xxxxxxxxxxx] che ha dato lo spunto al nostro studio»; l’autrice prosegue affermando che: «il principio nuovo è quello della libertà, costituzionalmente garantito in un secondo momento: solo le norme attinenti alla organizzazione corporativa vennero a trovarsi in una posizione di inconciliabilità assoluta con la sua operatività. Per le norme che riguardano l’azione sindacale nel suo esplicarsi con la contrattazione collettiva, l’inconciliabilità è parziale e si riscontra per le disposizioni che implicano la generalità degli effetti, le quali risultano incompatibili con il pluralismo nell’azione sindacale» (97).
(52) ROMAGNOLI, Il contratto collettivo, DLRI, 2000, 234.
Non è un caso, allora, che il legislatore repubblicano sembra quasi non es- sersi avveduto della mutata natura ed efficacia (soggettiva e oggettiva) del contratto collettivo. Nella legislazione speciale del dopoguerra, infatti, si rin- vengono molteplici esempi della tecnica regolativa di cui si discorre. In tali rinvii (intesi lato sensu, poiché spesso più che di veri e propri rinvii, si tratta di richiami o generici riferimenti al contratto collettivo), talvolta pare sia data per scontata l’efficacia erga omnes del contratto collettivo di diritto comune, ta- laltra si finisce comunque per dilatarne la sfera di applicazione oppure con il
«piegare» l’autonomia collettiva a determinate finalità.
Non si ha in mente, ça va sans dire, il caso di scuola, che sarebbe forse fuor- viante considerare in questa sede, della l. n. 741/1959. Piuttosto, tra le altre, si vuole porre l’attenzione sulle seguenti disposizioni:
(i) art. 14, co. 4, l. n. 264/1949 in materia di collocamento (53);
(ii) art. 15, l. n. 860/1950 in materia di tutela delle lavoratrici madri (54);
(iii) art. 6, l. n. 264/1958 in materia di lavoro a domicilio (55);
(iv) art. 23, d.p.r. n. 128/1959 in materia di funzioni di polizia nelle minie- re e nelle cave (56);
(v) art. 4, lett. b), l. n. 628/1961 in materia di attività dei servizi ispettivi (57);
(vi) art. 3, co. 1 e 2, l. n. 1544/1962 sui limiti di orario per i lavoratori im- piegati nelle miniere (58);
(53) «L’Ufficio di collocamento, nell’atto di soddisfare la richiesta del datore di lavoro, è tenuto ad accertarsi che le condizioni offerte ai nuovi assunti siano conformi alle tariffe e ai contratti collettivi».
(54) «In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto, a norma del precedente art. 3 il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento».
(55) «I lavoratori che eseguono lavoro a domicilio dovranno essere retribuiti con tariffe di cottimo pieno risultanti da contratti collettivi di categoria o, in mancanza di questi, da pattuizioni preventive fra le parti, approvate dalle Commissioni provinciali di cui all’art. 3».
(56) «I contratti collettivi di lavoro devono informarsi al principio che i salari ad incentivo per lavori in sotterraneo siano determinati in modo da impedire che lo sforzo per conseguire eventuali maggiorazioni sia tale da indurre il lavoratore a non tenere nel massimo conto le esigenze della sicurezza collettiva ed individuale».
(57) Con il quale si attribuisce all’ispettorato il compito di vigilare «sull’esecuzione dei contratti collettivi».
(58) «Le modalità per l'attuazione delle disposizioni contenute nella presente legge potranno essere stabilite in accordi da stipularsi tra le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori del settore interessato.
In caso di mancato accordo le modalità di attuazione della presente legge saranno
(vii) ma il caso più importante, oggetto di rimessione alla neo-insediata Corte costituzionale per sospetto contrasto con l’art. 39 Cost. (59), è quello de- gli artt. 11, lett c) e 23, l. n. 25/1955, in materia di apprendistato. Su questa vicenda è opportuno svolgere qualche considerazione.
La legge n. 25/1995 imponeva agli imprenditori «di osservare le norme dei contratti collettivi di lavoro e di retribuire l’apprendista in base ai contratti stessi», a pena di sottoposizione a una sanzione penale. Il tenore letterale della norma dava, invero, adito a fondati dubbi di compatibilità con l’art. 39, co. 2 ss., Cost., nella misura in cui pareva imporre, ai datori di lavoro che avessero instaurato un rapporto di apprendistato, l’applicazione di contratti collettivi privi di efficacia erga omnes, di fatto presupponendone o disponendone l’estensione generalizzata.
Nel suo ragionamento, la Corte prese le mosse dalla genericità del riferi- mento ai contratti collettivi operato dalla legge, per poi escludere che potesse riferirsi ad alcuno dei contratti collettivi all’epoca conosciuti dall’ordinamento giuridico: non quelli corporativi, dei quali era stata conservata l’efficacia con- testualmente all’abrogazione dell’ordinamento corporativo (60); non quelli previsti dall’art. 39, co. 4, Cost., i quali, rileva la Corte, «esistono per ora solo come possibilità astratta» (61); in definitiva, «il problema della legittimità costi- tuzionale della norma impugnata avrebbe ragione di essere soltanto nel caso in cui la norma stessa riconoscesse l’efficacia obbligatoria erga omnes anche per i contratti collettivi attualmente stipulabili e comunemente qualificati come contratti collettivi di diritto privato». Ma tale presupposto non sussiste, poi- ché, prosegue la Corte, la legge «non contiene affatto una dichiarazione di ob-
disposte con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali di cui al precedente comma».
(59) C. Cost. 18 gennaio 1957 n. 10, GU, 30 gennaio 1957 n. 27, nonché in G. Cost., 1957, 72 ss., nota di XXXXXXXX. La norma aveva, peraltro, già dato adito a orientamenti contrastanti in giurisprudenza di merito, cfr. P. Roma 3 novembre 0000, XXX, 0000, XX, 000 ss., nota di SUPPIEJ.
(60) I quali, prosegue la Corte, «hanno perciò mantenuto l’impronta di diritto pubblico che avevano in sé e la loro inderogabilità per tutti gli appartenenti alle categorie a cui si riferivano».
(61) A ben vedere, peraltro, nell’ipotesi, allora considerata ancora verosimile o persino auspicabile, di attuazione della norma costituzionale, una disciplina di tal fatta sarebbe risultata superflua, poiché i contratti collettivi avrebbero acquisito ex lege efficacia erga omnes.
bligatorietà dei contratti collettivi di diritto privato per tutti gli appartenenti alle rispettive categorie dei sindacati stipulanti» e, pertanto, «lascia immutata la situazione attuale» e non dà adito ad alcun contrasto con l’art. 39 Cost.
Secondo la dottrina prevalente – che aderisce alla ricostruzione proposta dalla Corte, ritenuta l’unica compatibile con l’art. 39 Cost. – la disposizione doveva, quindi, essere interpretata come tesa a rinforzare l’efficacia oggettiva (melius, la profondità di azione) del contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro per volontà delle parti individuali, mediante un meccanismo di «per- suasione» fondato sulla sanzione di natura penale (62).
Rileggendo la vicenda a distanza di anni, Xxxxxxx Xxxxxxxxx ha osserva- to che la Corte, «non senza un fraseggio visibilmente impacciato», nel quale era in nuce uno schema di ragionamento «destinato ad affinarsi e diffondersi fino a diventare uno dei pilastri che hanno sostenuto il peso dei rapporti di cooperazione funzionale tra legge e contratto collettivo», salvò una norma dal disposto obiettivamente ambiguo e contribuì così a «coonestare la funzione para-legislativa del contratto post-corporativo» (63). L’insegnamento da trarre dalla vicenda della legge del 1955 – messo a fuoco anche da Xxxxxxx X’Xxxxxx in un passaggio della celebre rilettura dell’art. 39 (64) – sta nel non sovrapporre il piano dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo con quello della sua eventuale «rilevanza legale»: il legislatore, senza incorrere in viola-
(62) Per tutti, SUPPIEJ, Pluralismo dei contratti collettivi e significato di un rinvio legislativo, RDL, 1957, II, 212 ss., il quale osserva, da un lato, che «si deve ritenere che la legge, imponendo al datore di lavoro l’obbligo di osservare le norme dei contratti collettivi sottintenda che deve trattarsi di contratti collettivi intrinsecamente capaci di applicarsi a quel certo datore di lavoro» (219) e, dall’altro lato, che «nessuno potrebbe fondatamente sostenere in via generale che l’inadempimento di una obbligazione costituita mediante un negozio giuridico non possa essere colpito da sanzioni penali» (220). Aderisce alla citata ricostruzione, fra gli altri, PERSIANI, Saggio sull’autonomia privata collettiva, Padova, Cedam, 1972, 39.
(63) XXXXXXXXX, op. ult. cit., 236.
(64) D’ANTONA, Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione, oggi, DLRI, 1998, 678, osserva, nel contesto della celebre analisi volta ad isolare un «nucleo duro» di principi dall’art. 39 Cost. in grado di fornire una base giuridica adeguata alla legislazione di conferimento di risorse normative alla contrattazione collettiva: «rilevanza legale dei contratti collettivi «riconosciuti» ed efficacia erga omnes nei confronti della categoria sono piani distinti, anche se non certo indifferenti (la distinzione è contenuta in nuce fin nella prima sentenza della Corte costituzionale sui contratti collettivi di diritto comune, che escluse che dalla norma che prevedeva sanzioni penali per violazione dell’obbligo di applicare agli apprendisti i contratti collettivi, si dovesse desumere una estensione dell’efficacia di questi ultimi».
zione dell’art. 39 Cost., ben può associare determinate conseguenze o effetti legali all’applicazione di un contratto collettivo inquadrabile negli schemi del- la rappresentanza negoziale e, dunque, efficace solo inter volentes.
Il rapido sguardo volto alla legislazione pre-statutaria restituisce l’idea di una sensibilità a geometria variabile del legislatore repubblicano nei confronti della ritrovata libertà sindacale e della concezione privatistica dell’autonomia collettiva; più che a un disegno coerente – o almeno al dovuto rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico – l’incedere dei rapporti tra legge e con- tratto collettivo pare rispondere già allora alle finalità contingenti via via per- seguite con il singolo provvedimento. E non solo. Pur non intervenendo diret- tamente sui temi dell’efficacia soggettiva (65) e dell’inderogabilità (66) del con- tratto collettivo, non pare errato osservare, parafrasando Xxxxxxx Xxxxxxx, che nel dopoguerra lo Stato continua a predisporre una serie di «aggiustamen- ti giuridico-formali», afferenti, se si vuole, a settori periferici ma corrisponden- ti ad altrettante «aree calde» dei rapporti economico-produttivi (il lavoro nelle miniere, il rapporto di lavoro dei giovani assunti con contratto di apprendista- to, il lavoro delle donne, etc.), finalizzati a svolgere una «essenziale funzione di mediazione e pacificazione sociale» (67). Gli interventi di questa «seconda
(65) Sul quale però non può essere obliterato, da un lato, il ruolo della giurisprudenza sul combinato disposto dell’art. 36 Cost. e dell’art. 2099 c.c., che attribuisce di fatto efficacia generale ai minimi tabellari del contratto collettivo (per un riepilogo dei termini della questione cfr. XXXXXXXX, op. cit., 66 ss.); dall’altro lato, il peso della l.
n. 741/1959, la quale, come noto, oltre ad estendere l’applicazione dei contratti collettivi di diritto comune ricompresi nell’ambito della legge delega, esercitò indirettamente notevole influenza sull’incedere dei successivi rapporti negoziali, costituendo una sorta di minimo sotto il quale la contrattazione collettiva difficilmente poté spingersi, per lo meno fino a quando la giurisprudenza non riconobbe la derogabilità anche in peius dei contratti collettivi recepiti in decreto a opera di quelli successivi di diritto comune (cfr. Cass. 15 maggio 1972, n. 1469, FI, 1972, I, c. 2439 e, in dottrina, MENGONI, Legge e autonomia collettiva, cit., 298 ss.; XXXXXXX, Contrattazione collettiva e sistema giuridico, cit., 87, spec. nt. n. 121).
( 66 ) A tale riguardo è invece necessario ricordare che, pur nel dissenso della prevalente dottrina, la giurisprudenza ha ben presto riconosciuto l’applicabilità dell’art. 2077 c.c. anche ai contratti collettivi di diritto comune (in dottrina, per tutti, PERSIANI, op. ult. cit.).
(67) Le citazioni sono tratte (o meglio «adattate») da XXXXXXX, op. ult. cit., 40-41, il quale ricollega al ricorso, da parte degli Stati tardo-liberali europei, ad
«aggiustamenti giuridico-formali» sul contratto collettivo (in ordine alla sua inderogabilità in peius e alla sua efficacia soggettiva), l’alterazione delle premesse storico-politiche «che avevano inizialmente giustificato il ricorso al diritto privato come ambito di rilevanza giuridica del contratto collettivo».
fase» (seconda giacché successiva a quella corporativa) del rinvio dalla legge al contratto collettivo – pur con i rimproveri di approssimazione e scarso tec- nicismo che ieri (68) come oggi (69) sono sovente mossi al legislatore – costitui- scono altrettanti esempi di uno scostamento dalla posizione di terzietà dello Stato nei confronti delle relazioni industriali. Pare persino, in conclusione, di poter rilevare, nelle tecniche normative invalse nel periodo in esame, una sin- golare commistione tra le finalità di tutela delle classi subalterne della legisla- zione sociale di epoca tardo-liberale e il tipico interventismo del legislatore corporativo: commistione che dà luogo ad aporie e contraddizioni risolte, con qualche affanno, dalla giurisprudenza e dalla dottrina dell’epoca, per lo meno, fino al «cambio di passo» che si registra nei rapporti tra legge e contratto col- lettivo dai tardi anni ’70 del secolo scorso (70).
(68) SUPPIEJ, op. cit., 215, a proposito della legge sull’apprendistato del 1955, osserva che «in un sistema politico come l’attuale … come amaramente constatava qualche anno addietro Xxxxxxx Xxxxxxxx, una qualche dimestichezza con i principi dell’ordinamento giuridico vigente non si ritiene affatto essenziale per coloro cui è demandata la funzione di redigere le nuove leggi… ».
(69) Per tutti, PEDRAZZOLI, op. cit.
(70) V. infra Sez. s.
Sezione II
Alterazioni e complicazioni nei rapporti tra legge e contratto
collettivo
1. Qualche osservazione di metodo.
Il rinvio dalla legge al contratto collettivo è un dato che si rinviene nella le- gislazione lavoristica ben prima che, dai tardi anni ’70 del secolo scorso, co- mincino a porsi seri problemi di tenuta del sistema legale e contrattuale. Il pur fitto intreccio tra legge e contratto collettivo non ha posto, tuttavia, nei primi decenni di esperienza repubblicana, insormontabili problemi di concorrenza e/o conflitto tra fonti (71).
Focalizzando l’attenzione sul rinvio dalla legge al contratto collettivo, si è poi osservato come la chiave di lettura più adeguata fosse quella fornita dal modello di «integrazione semplice» tra fonte eteronoma e autonomia colletti- va: tanto nelle ipotesi di completamento del disposto legale a opera del con- tratto collettivo, quanto nelle (limitate) ipotesi in cui il contratto collettivo era abilitato a derogare in peius alla legge (72). La relazione dinamica tra legge e contratto collettivo era, quindi, conciliabile, senza dover ricorrere ad ardite gi-
( 71 ) Se si eccettuano limitati casi. Tra questi, è possibile annoverare, a titolo esemplificativo, la vicenda della l. n. 741/1959 e i suoi strascichi sul sistema giuridico-sindacale, che resta però, come si è avvertito, ai margini della presente riflessione: cfr. retro nt. n. 65; la problematica compatibilità con l’art. 39, II parte, Cost. della disciplina del 1955 in materia di apprendistato, risolta senza troppi giri di parole dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 10/1957; infine, le frizioni, emerse soprattutto in sede di interpretazione giurisprudenziale, tra la disciplina legale (inderogabile in peius) di taluni istituti (soprattutto straordinario, indennità di anzianità, ecc.) e i margini di manovra del sindacato nel rivedere, se del caso al ribasso, tale disciplina, al fine di ottenere dalla controparte datoriale concessioni su altri piani ritenuti preminenti, in una determinata fase, nella politica contrattuale: cfr. la dottrina citata retro alla nt. n. 41.
(72) Per es. in relazione al requisito della forma scritta del patto di prova, che il contratto collettivo è autorizzato a rivedere, o ancora in relazione alla originaria disciplina codicistica del contratto a tempo determinato, superata, di lì a breve, dalla riforma del 1962.
ravolte o escamotages politico-giudiziari, con la ricostruzione privatistica del fenomeno sindacale: tale dinamica non alterava né metteva in discussione, nei suoi termini essenziali, da un lato, lo schema della rappresentanza negoziale basata su un atto di volontà o di conferimento di poteri da parte del singolo al sindacato e, dall’altro, la sfera di efficacia soggettiva tipica del contratto collet- tivo di diritto comune (73).
Ma la quiete – per così dire – non era destinata a durare a lungo. Nel volge- re di alcuni anni, una pluralità di ragioni concorre alla rottura di «quel proces- so unidirezionale di crescita qualitativa e quantitativa dei contenuti contrat- tuali che aveva portato (…) all’affermazione di un meccanismo di continui e progressivi scavalcamenti secondo un modello di deroghe migliorative che sembrava costituire una caratteristica tipologica del contratto collettivo» (74). Una serie di prassi e di provvedimenti legislativi, diversi per tecnica redazio- nale, disposto regolativo, ambito di applicazione, finalità perseguite – in bre- ve: non riconducibili a uno schema unitario – provoca gravi distorsioni e complicazioni al modello di rapporti tra legge e contratto collettivo basato sul doppio binario della gerarchia e del favor.
Forti elementi di discontinuità si registrano, anzitutto, nell’incedere delle prassi concertative. Al coinvolgimento dei sindacati nella revisione di istituti- chiave del sistema lavoristico, financo nell’ottica di una gestione contrattata di taluni profili della politica economica del paese, fa da contraltare una secca ri- affermazione del principio di gerarchia, con l’imposizione di tetti massimi alla contrattazione collettiva ai fini del contenimento del costo del lavoro e dell’inflazione (75). A più riprese, inoltre, il contratto collettivo, spesso pur sempre nel quadro di una legislazione negoziata tra governo e parti sociali, è abilitato a porre deroghe in pejus alla disciplina posta da una norma inderoga- bile o, comunque, ad allentare «rigidità» del trattamento individuale in un’ottica di «garantismo collettivo» (76). Talvolta ciò avviene direttamente per
(73) XXXXXXX, Libertà sindacale e contratto collettivo «erga omnes», RTDPC, 1963, 570 ss.; PERSIANI, op. ult. cit.; SCOGNAMIGLIO, Autonomia sindacale ed efficacia del contratto collettivo, RDC, 1971, I, 140 ss.; per una critica del significato politico sotteso alla ricostruzione privatistica del diritto sindacale, TARELLO, Teorie e ideologie nel diritto sindacale. L’esperienza italiana dopo la Costituzione, Xxxxxx, XX xx., 0000.
(74) DE XXXX XXXXXX, L’evoluzione dei contenuti e delle tipologie della contrattazione collettiva, RIDL, 1985, I, 24.
(75) Infra Parte I, Sez. III, § 1.
(76) Infra Parte I, Sez. III, § 3 ss.
effetto del contratto collettivo (77), talaltra in uno schema complesso in cui gioca un ruolo, più o meno rilevante a seconda dei casi, un provvedimento dell’autorità amministrativa (78).
Nel prosieguo del lavoro si volgerà l’attenzione su tale linea di politica del diritto, feconda e densa di implicazioni teoriche e pratico-applicative, che ha attraversato – e tuttora attraversa – i gangli vitali del diritto del lavoro e sinda- cale. Xxxxxxxxx, non si potrà esaminare partitamente ogni ipotesi di rinvio dal- la legge al contratto collettivo. Un simile approccio si risolverebbe in uno sforzo improbo e, a ben vedere, vano: specialmente, ove si volesse procedere verso un compiuto catalogo o una tassonomia dei casi di rinvio (79). Si tenterà, piuttosto, di mettere a fuoco le problematiche giuridiche sollevate dai casi di rinvio più significativi rispetto alla linea espositiva prescelta, il cui segno di- stintivo sta in ciò, che le fattispecie considerate mettono a dura prova, da un lato, la tenuta del doppio binario della gerarchia e del favor e, dall’altro, la ri- costruzione consolidata dell’efficacia inter volentes del contratto collettivo.
In questa sezione si tenterà, anzitutto, di individuare le premesse essenziali del discorso – che si va profilando – su di una fitta integrazione tra legge e contratto collettivo. Ma è bene avvertire il lettore: si è lungi dal voler isolare una qualche sorta di rapporto causa-effetto tra talune circostanze storiche e
(77 ) Per es. art. 1, comma 4, art. 5, comma 2, l. n. 903/1977, in materia di autorizzazione allo svolgimento di lavori pesanti e di lavoro notturno per le donne lavoratrici; art. 1, comma 2, l. n. 297/1982, per la definizione di retribuzione utile per il calcolo del TFR; art. 23, l. n. 56/1987 in materia di individuazione di nuove ipotesi di apposizione del termine al contratto di lavoro.
(78) Per es. art. 1, l. n. 215/1978, che autorizza la deroga all’art. 2112 c.c. per tutelare i livelli occupazionali e garantire la mobilità dei lavoratori coinvolti in crisi aziendali, ove l’accordo sindacale si configura come un passaggio necessario per la dichiarazione di crisi aziendale da parte del Cipi; artt. 3 e 4 bis, l. n. 36/1979, ove sempre al fine di favorire la mobilità dei lavoratori in un’ottica di sostegno all’occupazione, l’accordo sindacale si pone quale premessa per un intervento della commissione regionale per l’impiego in deroga alla disciplina del collocamento; art. 1, l. n. 863/1984 in materia di contratti di solidarietà, ove, al fine di evitare in tutto o in parte un’esuberanza di personale, il contratto collettivo costituisce il presupposto del provvedimento ministeriale di ammissione al trattamento di integrazione salariale per i lavoratori oggetto di misure di riduzione dell’orario di lavoro e della retribuzione.
(79) XXXXXXX, op. ult. cit., pur confrontandosi con la dottrina che si muove in tale direzione, mette opportunamente in guardia dal proporre esaustivi cataloghi di casi di rinvio dalla legge al contratto collettivo, in ragione della eterogeneità dei medesimi.
una determinata evoluzione dell’ordinamento giuridico (melius: delle tecniche normative adoperate), secondo modi di procedere che mal si adattano allo studio dei fenomeni giuridici e politico-sociali. L’obiettivo, per contro, è di porre luce sul contesto nel quale è maturata la linea di politica del diritto che si basa su un crescente conferimento di «risorse» istituzionali, economiche e normative al contratto collettivo (80).
2. I presupposti «giuridico-istituzionali» di una fitta integrazione tra legge e contratto collettivo.
Parafrasando Xxxxxxx, potrebbe dirsi che all’alba del 1970 la società ita- liana non apparve al legislatore come agli occhi di dio apparve l’Inghilterra nel glorioso 1689 («la guardò e vide che tutto era bene») (81). Tutt’altro. Quella ita- liana, pur se con qualche anno di ritardo rispetto ai partners europei, iniziava ad assumere le sembianze di una società «complessa», caratterizzata dalle prime avvisaglie della «rivoluzione tecnologica», da crescente pluralismo so- ciale, persino lacerata da frammentazioni interne non ricomponibili con gli strumenti tipici della democrazia rappresentativa parlamentare (82). Una socie- tà – adottando il lessico luhmaniano – sempre più difficile da governare a par- tire dal centro e dal vertice (83), specie dopo l’avvio del ciclo di lotte operaie e studentesche nel biennio ’68-’69. Probabilmente, proprio l’evoluzione della dialettica delle relazioni industriali verso una conflittualità aperta e permanen- te, difficilmente controllabile dal sindacato e ancor meno – se non con metodi polizieschi e repressivi – dallo Stato, indusse ad abbandonare la posizione di
(80) È la terminologia adoperata in uno dei più attenti studi sul rapporto tra legge e contratto collettivo: LISO, Autonomia collettiva e occupazione, DLRI, 1998, 191 ss.
(81) Il passo è tratto da MENGONI, I diritti e le funzioni dei sindacati e dei rappresentanti sindacali nell’impresa, Jus, 1974, 381 ss.
(82) Cfr. XXXXXXX, Lo statuto dei lavoratori dopo le lotte operaie del 1969, PD, 1970, 57 ss.; MENGONI, La partecipazione del sindacato al potere politico dello Stato, RS, 1971, 1 ss.
(83) Come noto, si tratta di una dei passi più citati del pensiero Luhmaniano. Su tale autore, per un breve «compendio» della sua sterminata produzione scientifica, cfr. i saggi raccolti in LUHMANN, Stato di diritto e sistema sociale, prefazione di XXXXXXXXX, Napoli, Guida, 1990, spec. 63 ss. Per una rilettura in chiave sistemica della dottrina giugnana dell’ordinamento intersindacale, cfr. XXXXXXX, op. ult. cit. Nella dottrina politologica, cfr., tra gli altri, PORTINARO, La teoria politica e il dibattito sulla globalizzazione, TP, 2009, 27 ss.
«ambigua neutralità» nei confronti del conflitto industriale, tenuta ferma nei primi due decenni del regime repubblicano (84).
Giunge così a maturazione l’idea – da tempo coltivata in ambienti acca- demici e sindacali e tradotta in legge il 20 maggio 1970 – di una «legislazione di sostegno» del sindacato (85).
Una delle norme-chiave dello statuto è l’art. 19, ove sono elencati i requisiti per la costituzione delle r.s.a. Nella formulazione originaria, com’è noto, la norma faceva perno sull’adesione delle associazioni sindacali alle confedera- zioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. A una prima lettura, si sarebbe, invero, tentati dal ridimensionarne la portata innovatrice: da un la- to, infatti, quanto alla costituzione di rappresentanze sindacali sui luoghi di lavoro, il legislatore dello Statuto si è, in sostanza, limitato a recepire quanto acquisito dalle punte più avanzate dell’autonomia collettiva (86); dall’altro, il requisito della maggiore rappresentatività sindacale non era certo sconosciuto all’ordinamento giuridico del lavoro (87). Le pur evidenti interrelazioni con il
( 84 ) Per tutti, XXXXXXX, op. ult. cit.; ID., Sub art. 19, in XXXXXX-XXXXXXX- MONTUSCHI-ROMAGNOLI, Statuto dei diritti dei lavoratori, Bologna-Roma, Zanichelli- Soc. Ed. del Foro Italiano, 1972, 304.
(85) Osserva MENGONI, La partecipazione del sindacato al potere politico dello Stato, cit., 186-187, che «tra le direttive che si impongono all’azione dello Stato» al fine di governare una società pluralista vi è quella della «esigenza di una legislazione di sostegno del sindacato», giacché «un sistema, in cui il conflitto collettivo tra possessori dei mezzi di produzione e forze di lavoro organizzate sia istituzionalizzato come mezzo di integrazione e di progresso dell’ordine giuridico, può funzionare soltanto se il rapporto di forza tra le due parti sia sufficientemente bilanciato». Pertanto, «in un sistema economico capitalistico, caratterizzato dalla tendenza del potere economico a concentrarsi nei gruppi che controllano i mezzi di produzione e i posti di lavoro, la realizzazione di un regime politico-sociale di democrazia collettiva postula interventi di natura giuridico-istituzionale destinati a rafforzare l’organizzazione sindacale dei lavoratori».
(86) Per tutti, XXXXXXX, Sub art. 19, cit., 303.
(87) Il riferimento «selettivo» alle «organizzazioni professionali più rappresentative» era già presente nell’art. 389, § 3, del Trattato di Versailles con riferimento alla partecipazione alla costituenda Organizzazione Internazionale del Lavoro: cfr., tra gli altri, XXXXXXX XXXXXXXXXX G., Istituzionalizzazione della rappresentanza sindacale?, DLRI, 1989, 329 ss.; PERONE, Le fonti internazionali, in PERSIANI (a cura di), Le fonti del diritto del lavoro, cit., 217-218; ma gli antecedenti diretti del requisito del s.m.r. vanno piuttosto ricercati nella legislazione nazionale sulla partecipazione, a vario titolo e con varie funzioni, dei sindacati ad organismi pubblici: cfr. D’ANTONA, Pubblici poteri nel mercato del lavoro: amministrazione e contrattazione collettiva nella legislazione recente, RIDL, 1987, I, 226 ss.; VENEZIANI, Il sindacato dalla rappresentanza alla rappresentatività, DLRI, 1989, 373 ss. spec. 388; CARINCI F., Diritto privato e diritto
sostrato contrattuale e legale non possono, tuttavia, occultare il segno di di- scontinuità impresso nello Statuto e, in particolare, nella sua «zona promo- zionale» (88).
Quel che più interessa ai fini del discorso che si va conducendo non è ritor- nare sul «significato politico» dello Statuto – né, tantomeno, sui molteplici problemi esegetici sollevati dall’art. 19 –, quanto provare a leggerne le dispo- sizioni con le lenti dell’osservatore futuro; o più precisamente, sulla base della successiva evoluzione legislativa. Nel solco di un’accreditata dottrina, si potrà osservare, in tal guisa, che il legislatore del 1970, pur non intervenendo sulla struttura contrattuale, «mira a rinforzare alla base tutto l’insieme dell’articolato edificio delle relazioni industriali», attraverso la posizione delle basi per lo svolgimento di un più intenso ed «equilibrato rapporto dialettico tra «legislazione» e «contrattazione»» (89). La nozione di maggiore rappresen- tatività, oltre (a continuare) a esplicare la funzione selettiva per la partecipa- zione del sindacato a organismi pubblici, costituisce la porta d’ingresso ai di- ritti sindacali sanciti dal titolo III, ma anche un’indispensabile cinghia di tra- smissione tra la legge e la contrattazione collettiva, «ferma restandone la di- stinzione e senza intaccare l’autonomia di ciascuna» (90). Benché nello Statuto il ruolo di agente contrattuale del s.m.r. sia soltanto dato per presupposto, o al più considerato mediatamente (91), il massiccio – ma a-sistematico (92) – ricor-
del lavoro: uno sguardo dal ponte, WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT, 54/2007, 37.
(88) Che non per caso XXXXXXX, op. ult. cit., 304, definisce «la parte politicamente più problematica e impegnativa del provvedimento».
(89) RUSCIANO, op. cit., 116.
(90) In questi termini, RUSCIANO, op. cit., 115. Diversa è la questione, dibattuta in dottrina, se il criterio della maggiore rappresentatività di cui all’art. 19 st. lav. abbia la medesima valenza di quando esso viene impiegato ai fini della devoluzione di risorse normative alla contrattazione collettiva: Sul punto cfr. XXXXXXX XXXXXXXXXX G., op. cit.; VENEZIANI, op. cit.; D’ANTONA, Contrattazione collettiva e autonomia individuale nei rapporti di lavoro atipici, DLRI, 1990, 561.
(91) Può dirsi, ad avviso di chi scrive, che il ruolo contrattuale del s.m.r. sia dallo statuto «dato per presupposto» quale diretta conseguenza della tipica impronta non regulatory ma auxiliary di tale legislazione, che pur sostenendo l’attività sindacale ne rispetta ampiamente l’autonomia e – appunto – ne da per presupposta l’«effettività» nel sistema dato di relazioni industriali (cfr. GIUGNI, Stato sindacale, pansindacalismo, supplenza sindacale, PD, 1970, 49 ss.). Per altro verso, il ruolo contrattuale del s.m.r. è considerato «solo mediatamente», anzitutto, nelle ipotesi – emblematiche – dei processi regolativi delineati dagli artt. 4 e 6 st. lav. (che anticipano elementi ampiamente sviluppati nella legislazione successiva: l’attenuazione di profili non secondari dei garantismo individuale inerente alla «coabitazione» tra datore di lavoro
so a tale criterio invalso nella legislazione successiva, ne renderà manifesto il ruolo di presupposto «giuridico-istituzionale» per il conferimento di ingenti ri- sorse normative alla contrattazione collettiva (93).
Il criterio del s.m.r. acquista, peraltro, concretezza sul piano delle relazioni industriali pochi anni dopo la promulgazione dello Statuto. La spinta propul- siva della riforma e il mutato quadro politico-sindacale inducono, infatti, le tre storiche confederazioni sindacali a farsi portatrici di un interesse tendenzial- mente coincidente, almeno sul piano degli obiettivi dell’azione sindacale, con l’intero universo del lavoro: nel 1972, in un clima di unità che perdurerà per circa dieci anni, è stipulato il Patto federativo tra le centrali sindacali. Il Patto federativo, da un lato, apre la strada a un maggior «peso politico» del sindaca- to, che assurge al ruolo di accreditato interlocutore (lato sensu) dei pubblici po- xxxx (94); dall’altro, preconizza un collegamento più intenso con la base dei la- voratori (il consiglio dei delegati assume il ruolo di istanza sindacale di base con poteri di contrattazione sui posti di lavoro), in funzione di una maggiore democraticità del sistema contrattuale e di rappresentanza.
In definitiva, lo Statuto nel suo insieme e la valorizzazione del s.m.r. in particolare, unitamente alla ritrovata unità di azione delle tre confederazioni, posero le premesse indispensabili dell’«accreditamento politico» del sindacato e di un intenso coinvolgimento delle sue strutture nei processi regolativi del rapporto e del mercato del lavoro.
e comunità dei prestatori nell’impresa sono affidati, in prima battuta, a un accordo tra datore di lavoro e r.s.a. e, in seconda battuta, ad un intervento esterno dell’autorità amministrativa), e più in generale, ove si pensi al ruolo, anche contrattuale, assunto dalle forme di rappresentanza sindacale all’epoca più frequenti; ruolo che sarà di lì a breve confermato anche dal Patto federativo del 1972.
(92) Cfr. la tassonomia dei casi di rinvio proposta da XXXXXXXXXX, op. cit.
(93) CARINCI F., La via italiana all’istituzionalizzazione del conflitto, PD, 1983, 424 ss.; XXXXXXX, I rinvii all’autonomia collettiva: mercato del lavoro e trasferimento d’azienda, DLRI, 1992, 515; XXXXX, Questioni sulla contrattazione collettiva. Legittimazione, efficacia, dissenso, Milano, Xxxxxxx, 1994, 137.
(94) GIUGNI, op. ult. cit.
3. Crisi economica, apertura dei mercati e innovazione tecnologica: solleci- tazioni al coinvolgimento del sindacato nei processi regolativi.
Di tale accreditamento politico il sindacato avrà ben presto un urgente bi- sogno. Alla crisi sociale e politica manifestatasi a cavallo tra i decenni ’60 e ’70 si aggiunsero, di lì a breve, le ricadute di una delle più gravi crisi economi- che del XX secolo. Si tratta delle vicende seguite al primo shock petrolifero successivo alla guerra del Kippur, che investirono la gran parte delle società capitalistiche ad avanzata industrializzazione, tra cui l’Italia, da sempre espo- sta, come e più di altri paesi, alle turbolenze dell’economia internazionale (95). Tali ricadute si manifestarono, anzitutto, in un aumento del tasso di infla- zione, accompagnato – fatto inedito per le società capitalistiche – da una bru- sca frenata della produzione industriale e, più in generale, della crescita eco- nomica. Il che a sua volta portò a maggiore disoccupazione. La spirale indot- ta dal binomio inflazione/stagnazione ebbe, dunque, dirette conseguenze sul sistema economico-produttivo. Essa ispirò, nell’immediato, una reazione emergenziale. I pubblici poteri approntarono una serie di misure tampone, mobilitando le risorse (economiche e normative) necessarie a evitare un crollo dei livelli occupazionali e favorire la mobilità dei lavoratori nelle aree e nei settori maggiormente colpiti dalla crisi (96). In tal modo sostenendo, al con- tempo, le sorti di «una grande/media industria che decentra, denuncia una crescente esuberanza di manodopera, rivela una sempre maggiore difficoltà di tenuta produttiva ed occupazionale» (97). Dal canto suo, il sindacato, se non le
(95) La congenita fragilità, o leggerezza, del capitalismo italiano – pronto, più di altri, a volare alto allorché la congiuntura internazionale sia positiva, ma altrettanto pronto, prima di altri, a deprimersi nei periodi di crisi generale – è espressa bene da una icastica immagine di XXXXX, Capitani di sventura, Milano, Mondadori, 1992, 11, il quale osserva che «se negli anni settanta il capitalismo italiano era un capitalismo senza capitali, negli anni ottanta, grazie ai giochi di prestigio dei nostri capitani di sventura, si è trasformato in un capitalismo con i capitali altrui».
(96) D’ANTONA, Pubblici poteri nel mercato del lavoro, cit., 261, osserva come tra le implicazioni più deprecabili di tali modelli di intervento pubblico via sia senz’altro la
«creazione di un mercato politico dell’occupazione», nel quale fanno sentire il proprio peso ampie forze sociali ed altresì piccoli ma «astuti» gruppi di interesse, con il risultato di imporre «ai soggetti delle relazioni industriali comportamenti e regole del gioco, deprimendone la spontaneità e la capacità di autogovernare i conflitti, ciò che appunto si può definire una tendenza alla «colonizzazione» della sfera sociale da parte dello Stato».
(97) CARINCI F., Rivoluzione tecnologica e diritto del lavoro, in AA. VV., Rivoluzione
condivise, senz’altro partecipò all’implementazione di tali misure, con l’obiettivo di attutire l’impatto della crisi, «tramite una strategia che impedisca la decentralizzazione selvaggia, la drastica riduzione o chiusura di imprese, la de-industrializzazione di interi settori o aree» (98). In Italia, come nelle altre realtà europee investite dalla crisi, il coinvolgimento del sindacato rispose a sollecitazioni, invero, immediate e indifferibili: da un lato, l’articolazione del- le politiche di intervento ai vari contesti produttivi, dall’altro, il «recupero di un consenso perduto e dei lavoratori e della società più in generale» (99).
Non si può, peraltro, trascurare che nel clima politico di metà anni ’70 – per molti versi incandescente – vennero a crearsi le condizioni per un avvici- namento, durato, invero, il volgere di una breve stagione, tra aree di prim’ordine dei due principali partiti dell’epoca: la DC e il PCI. Orbene – nel solco di un’attenta dottrina (100) – non pare azzardato osservare che l’ipotesi del compromesso storico e l’appoggio del maggiore partito di sinistra ai go- verni di solidarietà nazionale contribuirono a un ripensamento nel sindacato (soprattutto in alcune aree della Cgil) circa l’atteggiamento da tenere nei rap- porti con i pubblici poteri; in particolare, per far fronte comune alle complesse problematiche sollevate dalla crisi economica.
Si avrà modo di tornare più oltre sulle manifestazioni concrete dell’intreccio tra legge e contrattazione collettiva e sull’intensificarsi dei casi di
tecnologica e diritto del lavoro. Atti dell’VIII congresso nazionale di diritto del lavoro. Napoli, 12-14 aprile 1985, Milano, Xxxxxxx, 1986, 15, che prosegue con l’osservare che una prima, «istintiva», risposta del sistema ai drammatici problemi indotti dalla crisi economica (e dal mutamento tecnologico) va nella direzione di «una maggiore rigidità, tramite una dilatazione quantitativa e qualitativa della normativa garantista- promozionale».
(98) CARINCI F., op. ult. cit., 22.
(99) VENEZIANI, Xxxxx e contrattazione: modelli di comparazione, DLRI, 1981, 630, nell’ambito di uno studio comparatistico dei rapporti tra legge e contrattazione collettiva, osserva che in tutte le più importanti realtà europee toccate dalla crisi economica, «quello che Xxxxxxxx chiama lo «scambio politico» è stato attuato con altri strumenti di coinvolgimento diretto o indiretto del sindacato. Il contratto sociale inglese, l’azione concertata tedesca, la stagione francese di Grenelle sono, sul piano politico, le tappe dello stesso lento processo di acquisizione del consenso che in Italia ha avuto la forma ed i ritmi della cadenza legislativa concordata».
(100) In tal senso, tra gli altri, RUSCIANO, op. cit., 154, il quale tuttavia qualifica come un «errore storico», in quel momento politico favorevole, l’aver trascurato (rectius aggirato) il nodo della rappresentatività delle organizzazioni sindacali, confidando nella effettiva capacità delle stesse di farsi portatrici dell’interesse dell’intera classe lavoratrice.
xxxxxx e rimandi da una fonte all’altra (101). Per il momento, occorre completa- re il quadro sinora delineato. Se la crisi economica fece volgere l’attenzione soprattutto verso il dato «quantitativo», grosso modo negli stessi anni s’impose anche una riflessione sul dato «qualitativo» del cambiamento in atto nel sistema economico-produttivo. Ci si riferisce, in particolare, agli effetti dell’integrazione dei mercati internazionali (cui è riconducibile l’emergere di un’inedita e più agguerrita concorrenza per le imprese italiane) e, soprattutto, al diffondersi di nuove tecnologie.
La «rivoluzione tecnologica» – che il sistema industriale italiano sperimen- ta in ritardo, rispetto ai paesi a più alto tasso di industrializzazione, ove tali modifiche erano «già in qualche modo sedimentate e decantate» (102) – incide a fondo sulla struttura produttiva e dell’occupazione. I suoi effetti si riparti- scono, per così dire, equamente, sulla «fabbrica» – che ne esce flessibilizzata e proiettata verso il superamento del modello fordista-taylorista – e sul «lavoro d’ufficio» – ove, superata una prima fase di alfabetizzazione informatica, gli
«impiegati» fanno i conti con una crescente automazione e informatizzazione delle attività (103).
Crisi economica, integrazione dei mercati, rivoluzione tecnologica sono al- trettanti elementi «eversivi» di un ordine legale e contrattual-collettivo costrui- to su misura di una realtà e cultura economica, sociale e politica in via di gra- duale (mica tanto) superamento (104). L’aumento della disoccupazione («da crisi» e «tecnologica») e dell’inoccupazione (specie giovanile) ne sono la prima
– immediatamente percepibile – manifestazione. Ma, sottotraccia, i cambia- menti forse più duraturi derivano dal graduale spostamento dell’occupazione dall’industria verso il terziario, dalle istanze imprenditoriali di flessibilizza- zione nell’organizzazione del lavoro, non ultimo, dall’emergere di nuove figu-
(101) Infra Sezione III.
(102) Così, XXXXXXX, Tecnica, tecnologia e ideologia della tecnica nel diritto del lavoro, PD, 1986, 76.
(103) In dottrina si è riscontrato un duplice volto della «fase della rivoluzione industriale» caratterizzata dall’implementazione di nuove tecnologie, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso: una «patologica», consistente nella esuberanza di personale (cd. disoccupazione tecnologica) ed una «fisiologica», più nascosta ma dagli effetti probabilmente più dirompenti sulla struttura produttiva « costituita da tutta una nuova articolazione dell’economia, della produzione, dell’organizzazione del lavoro, della qualificazione professionale»: cfr. CARINCI F., op. ult. cit., 44.
(104) DE XXXX XXXXXX, op. ult. cit., 24-25.
re professionali e dalle conseguenti esigenze di «redistribuzione sociale delle professionalità» (105).
Il discorso si lega, a ben guardare, a quello più ampio che si va conducen- do. Se nella legislazione di contrasto alla crisi economica il coinvolgimento del sindacato era apparso un’«ambiziosa scommessa» (106), le sollecitazioni al mutamento della struttura produttiva e dell’occupazione dovute all’apertura dei mercati, alla rivoluzione tecnologica e alla terziarizzazione dell’economia lo rendono, agli occhi dei più, un’indifferibile necessità (107). Ma il cambia- mento – si sa – è tutt’altro che indolore. L’emergere di nuovi registri nel dia- logo tra legge e contrattazione collettiva porta con sé il riaffiorare di aporie e ambiguità di fondo, che il diritto del lavoro si trascina fin dalla sua nascita. Si apre, così, una crepa profonda – forse mai più ricomposta – nel rapporto tra
«individuale» e «collettivo». Si rileva, altresì, un’alterazione in quell’equilibrio
«addizionale» tra legge e contrattazione che aveva costituito una caratteristica precipua del sistema regolativo italiano (108). Il dibattito dottrinale si focalizza, non a caso, sulla dilatazione (o, in determinati frangenti, la riduzione) delle aree di intervento della contrattazione collettiva rispetto ai due terminali tipici del modello lineare delle fonti del diritto del lavoro: la legge e il contratto in- dividuale. Fino a interessare i due problemi per eccellenza del diritto sindaca- le italiano: l’efficacia soggettiva del contratto collettivo di diritto comune e la nozione di rappresentanza sindacale; quest’ultima, sempre più spesso percepi- ta nella riflessione teorica, ma anche dalla base dei lavoratori, non solo come strumento di recupero per via collettiva della debolezza intrinseca nella posi- zione individuale, ma anche, forse soprattutto, come «mezzo di razionalizza- zione industriale» (109).
La tendenza verso una flessibilizzazione nei rapporti tra legge e contratto collettivo è, in definitiva, riconducibile, in modo neanche troppo velato, an- che al mutamento del quadro economico-produttivo indotto dalla crisi,
(105) XXXXXXX, op. ult. cit., 76; XXXXXXX F., op. ult. cit., 13-14, 23.
(106) In questi termini, CARINCI F., op. ult. cit., 15.
(107) TOSI, Contratto collettivo e rappresentanza sindacale, PD, 1985, 363 ss.
(108) XXXXXXX, op. ult. cit., 107-108; DE XXXX XXXXXX, op. ult. cit.
(109) XXXXXXX, op. ult. cit., 109. LISO, op. cit., 192, osserva che il ruolo delicato assunto dal sindacato nella gestione delle crisi occupazionali e nei processi di ristrutturazione e riconversione aziendale «talvolta finirà per farlo apparire – agli occhi di coloro che concepivano il ruolo del sindacato solo nella funzione acquisitiva forgiata dalla tradizione – nella innaturale veste di chi dispone dei diritti dei singoli».
dall’apertura dei mercati e dalla rivoluzione tecnologica: infatti – avverte Xxxxxx Xxxx nella relazione Aidlass del 1997 su Autonomia collettiva e occupa- zione – «è soprattutto a partire da quella stagione che i problemi di governo del mercato del lavoro diventano il registro dominante del diritto del lavoro e quest’ultimo comincia a subire trasformazioni rilevanti» (110).
4. Qualche cenno al dibattito dottrinale sul superamento dell’impostazione statico-gerarchica nei rapporti tra legge e contratto collettivo.
Il diritto del lavoro, per sua natura indotto a un dialogo costante con l’economia e con l’evoluzione dei processi produttivi, è attraversato nel pro- fondo dai cambiamenti cui si è fatto cenno retro, i quali hanno influito – e non poco – sul suo statuto assiologico e le sue tecniche tipiche di regolazione. A ben guardare, esso rappresenta spesso una cartina con la quale è possibile leg- xxxx in controluce le manifestazioni di epifenomeni che rinvengono la propria matrice nel divenire dei rapporti politici, economici e sociali.
Non a caso, proprio nell’epoca in cui la «lotta per il diritto» si fa più serra- ta, avvincente, palesando l’inadeguatezza del meccanismo elettivo- rappresentativo previsto dalla costituzione politica formale (111), il sistema di relazioni industriali assume un ruolo (quasi) di supplenza nel «governo della complessità» (112). Al punto da divenire una sorta di «laboratorio sociale», nel quale sperimentare, da un lato, pratiche concertative o «neo-corporative» che a vario titolo cooptano il sindacato nei gangli della produzione legislativa (113) e, dall’altro, nuovi moduli di diritto «procedimentale» o «riflessivo» (114), e in-
(110) LISO, op. cit., 192.
(111) Al punto da indurre una dottrina non certo massimalista a denunciare il rischio di un tramutarsi delle elezioni politiche «in un fatto puramente plebiscitario»: MENGONI, La partecipazione del sindacato al potere politico dello Stato, cit., 181; l’affermazione si cala nel contesto di uno studio che muove dallo «sviluppo della società in senso pluralistico» e «dall’avvento della società tecnologica di massa», per osservare (ed auspicare) un decentramento del potere politico, anche al fine di compensare la concentrazione del potere economico.
(112) Sulla nozione di «complessità», cfr. FALZEA, Xxxxxxxxxxx, ED, Xxxxxx, I, 2007.
(113) Nella vasta letteratura che si confronta con il fenomeno, XXXXXXX, Diritto del lavoro e corporativismi in Europa: ieri e oggi, Xxxxxx, Xxxxxx Xxxxxx, 0000.
(114) La chiave euristica cui fa ricorso la prevalente dottrina gius-sindacale per comprendere e descrivere i processi di arretramento della legge a favore di forme di
nestare, nel corpo di una legislazione che progressivamente – forse solo appa- rentemente (115) – si mette da parte, nuovi ruoli e funzioni per la contrattazio- ne collettiva, ai più vari livelli in cui quest’ultima si esprime.
Ictu oculi, la tradizionale ricostruzione statico-gerarchica dei rapporti tra fonte eteronoma e autonomia collettiva – imperniata sul trattamento minimo inderogabile posto dalla legge e sulla licenza del contratto collettivo di muo- versi negli spazi aperti dalla fonte primaria – mal si presta ad adattarsi ai mu- tamenti in atto. L’implementazione dei nuovi moduli regolativi invalsi nella legislazione dagli anni ’70 in avanti postula, per contro, un’impostazione di- namica, se non addirittura orizzontale, dei rapporti tra legge e contratto col- lettivo. Tuttavia, se al legislatore è sufficiente – come si suol dire – un tratto di penna per cancellare intere biblioteche, la dottrina dell’epoca si presenta ol- tremodo ricca e complessa: affatto incline, per un verso, ad assecondare senza riserve l’incedere della politica legislativa, ma di certo pronta, per l’altro, a
normazione auto-legittimantesi nel contesto sociale, è mutuata, per lo più, dalla sociologia del diritto. In particolare, da una rielaborazione della teoria sistemica proposta, oltralpe, da scrittori del calibro di XXXXXXX, fin dagli anni ’70, e TEUBNER, soprattutto dagli anni ’80. L’elaborazione del «diritto riflessivo» o – come mostra di preferire MENGONI in uno scritto del 1988 (MENGONI, La questione del diritto giusto nella società post-liberale, RI, 1988, 11, 13 ss.) – «legislazione neo- istituzionale», descrive un «nuovo tipo di self-restraint del diritto dello stato, cioè un tipo di intervento non più diretto, ma indiretto, indirizzato non a regolare con norme rigide e particolareggiate di comportamento i rapporti socio-economici, ma piuttosto a predisporre le nervature istituzionali di processi di autoregolazione sociale, a definire, correggere e ridefinire, quando occorra, istituzioni sociali funzionanti come sistemi autoregolatori» (la citazione è tratta da MENGONI, op. ult. cit.). La tematica del diritto riflessivo è stata sviscerata dalla dottrina italiana, a conferma dell’utilità di questo paradigma ai fini dello studio del fenomeno di integrazione tra legge e contratto collettivo. Al riguardo, senza pretesa di esaustività, cfr. XXXXXXX, Contrattazione collettiva e sistema giuridico, cit., ove l’autore propone una rilettura critica in chiave sistemica della teoria giugniana dell’ordinamento intersindacale; D’ANTONA, Diritto sindacale in trasformazione, cit.; PEDRAZZOLI, op. cit.; LO FARO, Teorie autopoietiche e diritto sindacale, LD, 1993, 129 ss.; XXXXXXX, Breve storia delle fonti, cit., 141, la quale osserva: «ciò che la teoria sistemica intendeva offrire, infatti, non è solo una rappresentazione fenomenologica ed un’appropriata configurazione della dialettica legge-contratto collettivo, ma una vera e propria strategia operativa per la neutralizzazione dei conflitti sociali e per la riduzione della complessità emergente nel settore economico e della produzione»; non è un caso allora, prosegue l’autrice, se «l’uso del «procedimento» si sia diffuso soprattutto nella gestione delle crisi aziendali e nella disciplina del mercato del lavoro: nelle aree, cioè, in cui si addensano i conflitti e si concentrano le pretese partecipative di una pluralità di soggetti (individuali, collettivi e pubblici)».
(115) Per tutti, XXXXXXX, Xxxxx e legislazione lavoristica, cit.
confrontarsi in campo aperto con le questioni sollevate dalla crescente inte- grazione tra legge e contratto collettivo. Incombenza, peraltro, non agevole, di fronte a una legislazione frammentaria, spesso persino contraddittoria e di formazione – secondo una formula ricorrente – «alluvionale» (116).
Si proverà a dar conto, per grandi linee, del rinnovato interesse della dot- trina lavoristica per lo studio dei rapporti tra legge e contratto collettivo. In particolare, al fine di porre in luce, più che un orientamento, una sorta di «at- teggiamento» di crescente insofferenza verso le rigidità del modello basato sul doppio binario della gerarchia e del favor, considerato, in più d’una lettura, al- la stregua di un fattore di vischiosità del sistema di relazioni industriali (117). Tale atteggiamento, peraltro, si traduce talvolta in una critica sferzante (o per- sino una polemica suscitata dal caso di turno), rivolta verso il terminale ulti- mo di applicazione delle norme: la giurisprudenza del lavoro (118).
Ma è opportuno procedere con ordine. E ricordare, anzitutto, che, in alcu- ni settori della dottrina italiana, fin dagli anni ’50 e ’60 si era revocata in dub- bio l’opportunità di una rigorosa applicazione del meccanismo di nullità- sostituzione automatica anche ai rapporti tra legge e contratto collettivo (119). O, quantomeno, si era avvertita l’esigenza di una maggiore «sensibilità giudi-
(116) GIUGNI, Il diritto del lavoro negli anni ‘80, DLRI, 1982, 373 ss.
(117) Per un quadro di sintesi della dottrina sul tema, cfr. XXXXXXX, op. cit.
( 118 ) Rara avis, le considerazioni di XXXXXX, L’intervento del giudice nel conflitto industriale, DLRI, 1987, 489, il quale osserva come, a fronte delle «polemiche» suscitate dal «caso di turno» (Alfa Romeo, etc.), sia inevitabile che «gli sguardi si volgano soprattutto ai giudici», ai quali tocca l’ingrato compito di «segnare l’incerta linea di demarcazione tra la correttezza di esercizio dell’autonomia contrattuale del sindacato e, invece, la manomissione di situazioni giuridiche individuali tutelate dalla legge quali altrettanti diritti soggettivi». Del resto, sebbene in periodi di forti tensioni sociali il «dibattito proceda, essenzialmente, per «casi» e per singoli problemi […] occorre, però – prosegue l’autore – «almeno in questa sede, non sopravvalutare l’episodio singolo, non disperdersi nella quotidianità; cercare invece di valutarne il significato e le conseguenze nella concatenazione dei vari avvenimenti, nell’individuazione dei capitoli problematici che essi presentano».
(119) Cfr., oltre agli autori citati alla nota n. 41, ASSANTI, op. cit., 43 ss. In proposito non può poi sottovalutarsi l’influenza esercitata dalla pubblicazione nel 1960 dell’Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva di GIUGNI sulla dottrina coeva e successiva, sul piano culturale ancor prima che metodologico: sebbene l’autore non affronti direttamente, nella sua opera più nota, il tema del contrasto/conflitto tra disposizioni di legge e di contratto collettivo, è indubbio che con tale opera egli contribuisca a porre le basi per una ricostruzione paritaria o orizzontale dei rapporti tra ordinamento statale e intersindacale e delle rispettive fonti di produzione.
ziaria» nei confronti dell’interesse collettivo, in particolare al fine di scongiu- rare ove possibile dichiarazioni di nullità di disposizioni contrattuali, tramite un’interpretazione non formalistica della legge (120). Tale dottrina muoveva spesso dallo studio della casistica giudiziaria (121), per osservare come il molti- plicarsi di rivendicazioni individuali fosse, talvolta, in grado di compromette- re il reciproco affidamento delle controparti collettive e, in definitiva, ostaco- lare il raggiungimento di intese negoziali nel complesso più favorevoli alla parte lavoratrice (122).
Le sollecitazioni provenienti da tale dottrina rimangono, invero, relegate
«in soffitta» per alcuni anni. Probabilmente, poiché durante periodi di (più o meno sostenuta) crescita economica, le frizioni cui si è fatto cenno retro non furono in grado di invertire il segno addizionale dei rapporti che generalmente si instaurano tra legge e contratto collettivo. Ma il diritto del lavoro – ha scrit- to Romagnoli qualche anno addietro (123) – è «formica giudiziosa», che non
(120) Tra gli altri, GIUGNI, La conciliazione collettiva, cit., 833, osserva che il contrasto tra norma di legge e di contratto collettivo è, talvolta, più apparente che reale e dipende proprio da una determinata opzione esegetica dell’interprete: a tal proposito,
«una più attenta considerazione dell’interesse collettivo potrebbe non di rado rivelare insussistenti, se non nella forma testuale, quanto meno nella sostanza» i contrasti tra le fonti.
(121) A titolo esemplificativo, le questioni del computo dell’indennità di mensa ai fini del calcolo della retribuzione e quella dello straordinario dei cottimisti, emerse a cavallo tra gli anni ’50 e ‘60. Cfr. per una ripresa dei termini del dibattito, DE XXXX XXXXXX, La norma inderogabile, cit., passim.
(122) Cfr. le equilibrate osservazioni di GIUGNI, op. ult. cit., 833: «tra le cause di questa mortificazione giudiziaria della autonomia sindacale ve ne è d’altronde una che discende dalla stessa logica del sistema: premesso che la cognizione delle controversie viene affrontata esclusivamente attraverso il processo individuale, ne consegue che l’opera di ricostruzione equitativa del sistema, svolta dalle corti con un paziente lavorìo di adattamento empirico di scarni e contraddittori dati legislativi, è inevitabilmente condotta a far prevalere l’equità del caso singolo su globali, ma astratte valutazioni degli interessi collettivi». Diversi anni dopo, ROMAGNOLI osserverà, su una lunghezza d’onda che non pare distante da quella di GIUGNI: «la giurisprudenza del lavoro non è che un’ulteriore espressione della coppia pubblico- individuale, più indulgente che arcigna verso i diritti del lavoratore individualmente considerato»: ROMAGNOLI, Il diritto del lavoro tra disincanto e riforme senza progetto, RTDPC, 1983, 22.
(123) XXXXXXXXX, Introduzione a BALLESTRERO-ROMAGNOLI, Art. 40 – supplemento. Legge 12 giugno 1990 n. 146: norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, Bologna-Roma, Zanichelli-Il Foro italiano, 1994. Come noto, Xxxxxxxxx faceva riferimento al regolamento di servizio, desueto strumento di disciplina rispolverato dalla l. n. 146 per coonestare le disposizioni poste dall’autonomia collettiva in materia di sciopero nei s.p.e. nel contratto individuale, obliterando
butta via niente, e al momento opportuno è in grado di riprendere le fila di un discorso che pareva interrotto (124).
Pare significativo, allora, che nel noto studio del 1976 dedicato alla norma inderogabile nel diritto del lavoro, De Xxxx Xxxxxx abbia dedicato dense pagine al tema de quo. L’autore riprende e sviluppa la riflessione degli anni ’50 e ’60. Pur arrivando alla conclusione che lo ius positum imponga l’applicazione delle norme codicistiche sulla nullità-sostituzione automatica (anche) ai rapporti tra legge e autonomia collettiva, egli si confronta con la dottrina che, a seconda delle impostazioni, depreca o auspica uno «scavalcamento a sinistra» del momento collettivo ad opera di quello giudiziario. L’autore mostra, in parti- colare, di condividere i timori di compromissione del dinamismo delle rela- zioni industriali: «una rigida soggezione della norma collettiva al precetto in- derogabile» sarebbe d’ostacolo, infatti, al raggiungimento di equilibri negozia- li complessi, in cui le parti si fanno reciproche concessioni per addivenire a un accordo (125).
La discussione è ripresa, tra gli altri, anche da Xxxxxxx, in un saggio del
1980 che rappresenta a tutt’oggi un punto fermo per ogni riflessione sui rap- porti tra legge e autonomia collettiva (126). L’autore aggiunge un tassello im- portante alla riflessione anzidetta. Egli, infatti, critica l’applicazione del mec- canismo di nullità-sostituzione automatica ai rapporti tra legge e autonomia
l’efficacia impeditiva dell’art. 39 Cost.; mutatis mutandis, l’icastica immagine offerta dallo studioso bolognese pare possa essere utilmente riadattata al discorso che si va conducendo.
(124) A onor del vero, va detto che il tema dei rapporti tra legge e contratto collettivo (e, in particolare, delle frizioni tra disposizioni legali e contrattuali, del ruolo del giudice nell’apprezzare la sussistenza di un conflitto normativo, ecc.) è una costante che periodicamente riaffiora nella discussione dottrinale, specialmente in corrispondenza dei periodi di maggiore «tensione» tra «ordinamento statale» e
«ordinamento intersindacale»: cfr. per tutti GHEZZI, Osservazioni sul metodo dell’indagine giuridica nel diritto sindacale, RTDPC, 1970, 408 ss.; GIUGNI, Il diritto sindacale e i suoi interlocutori, cit.
(125) DE XXXX XXXXXX, op. ult. cit., 124-125, osserva che «una rigorosa soggezione della norma collettiva al precetto inderogabile – consentendo ad iniziative individuali, scarsamente sensibili alla solidarietà associativa, di infrangere taluni equilibri faticosamente raggiunti in sede collettiva – rischierebbe di compromettere in modo più o meno irreparabile i rapporti di reciproco affidamento tra le controparti sociali, mal disponendo oltretutto la classe datoriale rispetto ad altre e più essenziali (almeno nella valutazione del sindacato) rivendicazioni dei lavoratori».
(126) MENGONI, Legge e autonomia collettiva, cit.
collettiva sotto un duplice profilo, de iure condito e de iure condendo (127). Sotto il primo profilo poiché, «pensato per il rapporto tra legge e atti di autonomia privata individuale», tale meccanismo si rivelerebbe «strutturalmente inadat- to» a governare i rapporti tra fonte eteronoma e atti di autonomia privata col- lettiva (128). Sotto il secondo profilo poiché, a seguito dell’abbandono, da parte dello Stato, della tradizionale posizione di neutralità nei confronti del conflit- to industriale, in favore di una promozione dell’azione sindacale sui luoghi di lavoro (e a cascata su tutto il sistema), dovrebbe ritenersi che i lavoratori, «ag- gregandosi in coalizione» acquisiscano una forza sufficiente a contrapporsi al- la controparte datoriale; con il rischio che una disciplina legale derogabile so- lo in melius da parte degli attori sindacali si traduca, non in un «sostegno» all’azione sindacale, ma in un «fardello» per il perseguimento di obiettivi ne- goziali ritenuti di volta in volta preminenti.
Ma il segnale, forse, decisivo del mutato clima culturale che si respira in ambienti accademici italiani può essere ravvisato nelle tesi di Xxxxxxx espresse nella monografia del 1981 (129), in seguito riproposte e sviluppate in un saggio
(127) XXXX, Il contratto collettivo di lavoro, cit., 183-184, sottolinea come, nel tema de quo, sia particolarmente opportuno tenere distinto il piano della riflessione de jure condito da quello della riflessione de jure condendo. Infatti, secondo l’autore, quello della possibile «emancipazione» del contratto collettivo rispetto alla legge rappresenta un problema «più politico che giuridico»: in presenza di dati incontestabili di diritto positivo, «tutte le altre argomentazioni, i richiami al pluralismo, le esigenze delle relazioni industriali sono argomenti di possibile valutazione de jure condendo, ma non possono modificare ex se l’ordinamento giuridico».
(128) Rileva MENGONI, op. ult. cit., come, al pari della legge, anche il contratto collettivo (di diritto comune) sia una fonte di integrazione del contratto individuale, in una prospettiva, peraltro, rafforzata dal legislatore del 1973 con la riforma dell’art. 2113 c.c. (sulla riconduzione dell’efficacia reale del contratto collettivo nel quadro dell’integrazione degli effetti del contratto, per tutti, GIUGNI, La funzione giuridica del contratto collettivo di lavoro, cit.; PERSIANI, op. ult. cit., 155 ss.). In tal guisa, porsi l’interrogativo se la disposizione del contratto collettivo (ritenuta) in contrasto con una norma inderogabile vada considerata nulla e sostituita di diritto con la corrispondente clausola legale, cela un errore di fondo: al più – prosegue MENGONI – ci si potrebbe porre il quesito se, in luogo della disposizione posta dal contratto collettivo, vada applicata al contratto individuale la corrispondente clausola di legge.
(129) XXXXXXX, Ordinamento, ruolo del sindacato, dinamica contrattuale di tutela, Padova, Cedam, 1981. Non rileva, invero, soffermarsi sulle tesi di Xxxxxxx, che hanno ricevuto grande attenzione dalla dottrina dell’epoca, ma in chiave per lo più critica, muovendo spesso dal presupposto che, oltre a mancare di solide basi di diritto positivo, la ricostruzione fosse, in definitiva, legata al permanere dell’unità di azione tra le tre confederazioni storiche; condizione «certificata» dal Patto federativo del 1972, ma più volte messa in discussione e di li a breve (1984: accordo separato di S.
pubblicato dal Giornale nel 1986 (130). La riflessione sul tema giunge al suo apice e l’instaurazione di rapporti orizzontali tra legge e autonomia collettiva è compiutamente teorizzata. L’autore muove da una valorizzazione del dato allora caratterizzante le relazioni industriali, id est l’unità di azione tra le tre storiche centrali sindacali, identificate «senza mezzi termini» (131) nel s.m.r., cui fa largamente rinvio la legislazione promozionale e, in seguito, dell’emergenza e della crisi. La valorizzazione del s.m.r. – riducendo all’osso una ricostruzione complessa e raffinata – si spinge fino all’identificazione dell’interesse collettivo professionale con l’interesse «riferibile ad un determi- nato soggetto storico qual è il sindacato» (132). Per poi dedurne il superamento dell’efficacia «impeditiva» ex art. 39, co. 4, Cost. (133) e la fungibilità tra legge e contratto collettivo, nei limiti stabiliti dalla Costituzione ed eventualmente dal codice civile e dalle leggi speciali.
Naturalmente, altri – altrettanto autorevoli – autori dell’epoca si confronta- rono con il problema dei rapporti tra legge e autonomia collettiva. Ma passar- ne in rassegna le posizioni sarebbe un fuor d’opera. Ciò che premeva, infatti, porre in luce – attraverso un richiamo ad alcune opere particolarmente in- fluenti – era il mutamento culturale avvertito in seno alla dottrina italiana: la quale, tutto fuorché passiva o inerte di fronte alla fervente evoluzione legisla- tiva, si confrontò con essa, financo mettendo in discussione la consolidata ri- costruzione statico-gerarchica dei rapporti tra legge e autonomia collettiva.
Xxxxxxxxx) superata «dalla storia»: XXXX, Un libro ed un dibattito sulle fonti del diritto del lavoro, MGL, 1981, 528 ss., con il consueto stile asciutto osserva «una bella costruzione, insomma, ma condizionata alle vicende politico-sindacali nella cronaca o, se si vuole, nella storia»).
(130) XXXXXXX, Fonti autonome e fonti eteronome, cit.
(131) Così, XXXXXXX, op. cit., 92.
(132) XXXXXXX, Ordinamento, cit., 131.
(133) E affermare l’efficacia tendenzialmente generale del contratto collettivo stipulato dal s.m.r.: l’efficacia soggettiva del contratto collettivo stipulato dal s.m.r. è tendenzialmente generale poiché viene fatta salva l’ipotesi di un contratto collettivo stipulato da soggetti sindacali diversi che insista sul medesimo ambito, salvando, in tal modo, la complessa ricostruzione dai rischi derivanti dalla collisione con il principio di libertà sindacale e del pluralismo.
Sezione III
Il rinvio dalla legge al contratto collettivo nella legislazione della crisi, in quella della flessibilità e, infine, nella legislazione tout court
1. Il valore assoluto o relativo del principio del favor: prassi neo-corporative e legislazione sul contenimento del costo del lavoro.
Nel corso della sezione II si è illustrato, per sommi capi, il contesto nel quale è maturata la linea di politica del diritto che fa della fitta integrazione tra legge e contratto collettivo il suo tratto distintivo. Tra le ragioni che hanno reso auspicabile – se non indifferibile – il superamento della linea divisoria tra società e Stato (134), si è provato a individuare, da un lato, taluni presupposti di ordine «giuridico-istituzionale» (la cinghia di trasmissione della maggiore rappresentatività sindacale e la ritrovata unità d’azione tra le confederazioni) e, dall’altro, talune circostanze «eversive» dell’ordine giuridico costituito, che hanno alterato la struttura produttiva e dell’occupazione (crisi economica, apertura dei mercati e innovazione tecnologica). Per poi dare conto di come il dibattito gius-sindacale degli anni ’70 e ’80 si sia mostrato terreno cultural-
(134) Tra le molte analisi sul tema, cfr. per alcune considerazioni di sintesi, TREU, Liberalismo, corporativismo, pluralismo: quale futuro per il diritto del lavoro in Italia?, in XXXXXXX (a cura di), Diritto del lavoro e corporativismi, cit., 440, ove l’autore sottolinea la fragilità della linea divisoria tra società e Stato tracciata nel periodo liberale e il suo sostanziale superamento con le prassi «neo-corporative» invalse, pur se con moduli diversi, in gran parte delle società industrialmente avanzate nel corso degli anni ’80. Invero, una separazione tra società e Stato era tracciata con nettezza nel solo stato liberale ottocentesco: nel secondo dopoguerra, infatti, il riconoscimento e la promozione dei corpi intermedi per effetto (per quanto riguarda l’Italia) dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana (spec. art. 2 e art. 39), aveva stimolato una riflessione sulla posizione di tali organizzazioni nel nuovo contesto ordinamentale. Al riguardo, oltre al classico XXXXXXX XXXXXXXXXX F., Autonomia collettiva, ED, IV, Milano, Xxxxxxx, 1959, 369 ss., si pensi a una importante serie di saggi di XXXXXX XXXXXXXX apparsi su diverse riviste scientifiche a partire dagli anni ’50: tra questi cfr. almeno Sindacati e partiti nel diritto privato, Jus, 1956, 1 ss.; Le società intermedie, Il Mulino, 1958, 3 ss.; tutti in ID., Persona e comunità. Saggi di diritto privato, Padova, Cedam, 1987.
mente fertile, ove hanno attecchito talune rielaborazioni dell’impostazione tradizionale dei rapporti tra le fonti della materia.
Dopo aver tanto tergiversato, è ora opportuno entrare in medias res. Il venir meno, o comunque l’affievolimento, della linea divisoria tra società e Stato è reso evidente, da un lato, dall’intervento dei corpi intermedi nei processi di po- licy making in guise che vanno ben al di là delle consuete forme di pressione e, dall’altro, dal conferimento ai medesimi di ingenti «risorse» normative (135).
Questi due aspetti rappresentano, per un lungo tratto, le due facce di una stessa medaglia. Tanto i provvedimenti che aprono a un «alleggerimento normativo» del patrimonio garantistico individuale attraverso il conferimento di risorse alla contrattazione collettiva, quanto quelli che mirano alla riduzio- ne del costo del lavoro attraverso il graduale superamento degli automatismi salariali sono, per lo più, oggetto di negoziazione «al vertice» tra le parti socia- li e il Governo (136). Le prassi concertative, pur non istituzionalizzandosi mai in precise «regole giuridiche formali di struttura, di competenza e di procedu- ra» (137), configurano una sorta di «camera corporativa informale», nella quale le principali organizzazioni di interessi e il Governo siedono a trattare i più spinosi problemi di politica contrattuale ed economica (138).
Tra le molte questioni sollevate dalla negoziazione triangolare, di rilievo anche costituzionale (139) e di politica sindacale (140), preme porre luce su un
(135) Cfr. TREU, op. cit., 440.
(136) Osserva, tuttavia, XXXXXXX, Fonti autonome e fonti eteronome, cit., 703, che se
«l’esecutivo ha sempre cercato di acquisire in via preventiva il consenso delle parti sociali … non vi è stata quasi mai completa coincidenza tra i risultati degli accordi bilaterali o tripartiti ed i successivi provvedimenti legislativi».
(137) In questi termini MENGONI, Diritto del lavoro e corporativismi in Europa negli anni Ottanta, in XXXXXXX (a cura di), Diritto del lavoro e corporativismi, cit., 410, il quale osserva che solo a seguito della posizione di regole siffatte possa configurarsi un vero e proprio «concetto giuridico di neocorporativismo».
(138) RUSCIANO, op. cit., 165 ss., ma spec. 168 assume che la «camera corporativa informale» abbia rappresentato, per alcuni anni, il «centro motore ombra» del potere politico. Negli anni ’80, il momento forse più alto di quello che XXXXXXXX ha definito l’effimero modello neocorporativo all’italiana è raggiunto con l’accordo sul costo del lavoro del 1983 (cd. Protocollo Xxxxxx).
(139) Basti pensare alla discussione sul superamento, reale o presunto, del modello rappresentativo-parlamentare, e alle criticità che inevitabilmente ne seguono in una società democratica contemporanea: cfr., per alcune considerazioni, MENGONI, op. ult. cit.
(140) È frequente in dottrina il rilievo che l’ingresso del sindacato nella «cabina di regia» della politica economica e il contestuale conferimento al medesimo di ingenti
aspetto preciso, concernente le ricadute dei provvedimenti di contenimento del costo del lavoro sui rapporti tra legge e contratto collettivo.
È ben noto che una delle debolezze del modello neocorporativo italiano ri- sieda nel suo collocarsi in un quadro giuridico-istituzionale informale, reso, per di più, endemicamente instabile dalla crisi di rappresentatività del sindaca- lismo confederale (141): un «gigante dai piedi d’argilla» che, a fronte di un con- tratto collettivo ancorato agli schemi privatistici, deve fare affidamento sulla legge per implementare le misure decise in sede di negoziazione triangolare, sovente impopolari e talvolta frutto di fratture interne al sindacalismo confe- derale (142).
Proprio nella fase in cui assurge al ruolo di interlocutore dei pubblici poteri (143), il sindacato – quasi per contrappasso – è costretto a subire una compres-
risorse economiche, istituzionali e normative comporti, inevitabilmente, una progressiva diminuzione del livello e dell’intensità del conflitto. E, più in generale, quasi un avvicendamento tra l’approccio tipico del «pluralismo conflittuale» – con il suo portato di pratiche e di azioni sul piano collettivo – e quella di una
«collaborazione selettiva» tra pubblici poteri ed organizzazioni di interessi ritenute particolarmente affidabili, in vista di una evoluzione graduale delle condizioni della classe lavoratrice, compatibile con il mutato quadro economico e produttivo: cfr., MENGONI, La partecipazione del sindacato, cit.; TREU, op. cit.; LISO, op. cit., spec. 196 e 248; per un’impostazione parzialmente differente, cfr. XXXXXXXX M.G., Xxxx Xxxx- Xxxxxx. Il pluralismo e il gius-sindacalismo italiano, DLRI, 1982, 37 ss., il quale conclude il breve saggio dedicato all’influenza del pensiero di XXXX-XXXXXX sugli studi di diritto sindacale italiano affermando che l’ingresso del sindacato nel cd. «mercato politico» al fine della gestione (specialmente) della politica dei redditi potrebbe non rappresentare, necessariamente, «un mutamento sostanziale, ma solo un aggiornamento dell’azione sindacale e della sua teoria conseguente al sempre più penetrante intervento dello stato nell’economia» (qui 49-50).
(141) XXXX, op. cit., 364, rileva, in particolare, la affievolita capacità del sindacato di
«esprimere credibilmente gli interessi di cui è portatore, costretto com’è, sempre più spesso, a negoziare da posizioni di debolezza in ragione della crisi e/o trasformazione produttivo-occupazionale e delle divisioni intrasindacali».
(142) RUSCIANO, op. cit., 165 ss.
(143) Accanto e oltre alle prassi concertative, si rammenti, anzitutto, la tendenza, manifestata dal sindacato già sul finire degli anni ’60, ad allargare le rivendicazioni contrattuali da quelle concernenti la regolazione del lavoro (pur in senso ampio) a quelle concernenti la politica della casa, la politica sanitaria, ecc. (per tutti, cfr. GIUGNI, Stato sindacale, pansindacalismo, supplenza sindacale, cit.; DE XXXX XXXXXX, L’evoluzione dei contenuti e delle tipologie della contrattazione collettiva, cit., 21-22), e inoltre che, a partire dalla metà degli anni ’70, con un’intensità crescente nei decenni a venire, va consolidandosi la presenza delle organizzazioni sindacali nelle sedi pubblico-amministrative ove si assumono decisioni concernenti il governo del mercato del lavoro (cfr., tra gli altri, LISO, op. cit., 248, in termini di partecipazione
sione della propria libertà e autonomia; compressione che incide, in modo inedito, sul suo nucleo più gelosamente custodito: la contrattazione di taluni profili del trattamento retributivo.
Il progressivo superamento degli automatismi salariali (144), nel contesto di una prolungata congiuntura economica negativa, rappresenta, infatti, solo un obiettivo intermedio, rispetto all’interesse generale (145) al controllo della spira- le inflattiva e al sostegno alla produttività delle imprese. In tal guisa, l’adozione di provvedimenti autoritativi di «coartazione dell’autonomia col- lettiva e di disposizione dei suoi esiti» (146) appare alla stregua di un male mi- nore, che la Corte costituzionale non esita ad avallare, in una serie di pronun- ce rese sin dai primi anni ‘80 (147). In particolare, con la sentenza n. 34/1985, oltre a dilungarsi in un obiter dictum sulla posizione assunta dalle organizza- zioni sindacali nei negoziati di vertice, la Corte costituzionale sposa una linea pragmatista. La Corte conferma, anzitutto, la giurisprudenza consolidata sull’assenza di una riserva assoluta di competenza della contrattazione collet- tiva nella determinazione del trattamento economico e normativo, precisando altresì che, finché non sarà attuato l’art. 39, II parte, Cost., non si può ipotiz- zare un contrasto tra attività legislativa del Parlamento e competenze norma-
«all’esercizio di quote di potere pubblico»).
(144) Ma il discorso non muta, nei suoi termini, essenziali, anche con riferimento al divieto di introdurre un divisore diverso da quello di 13,5, previsto dall’art. 2120 c.c. (come modificato dalla l. n. 297/1982) per il calcolo del TFR.
( 145 ) Forzando, provocatoriamente, la mano, si sarebbe tentati dal sostituire all’espressione «interesse generale» quella, di sapore vetero-corporativo, di «interesse superiore della produzione nazionale». Non si vuole, con ciò, cadere nel banale equivoco della sovrapposizione tra l’esperienza neo-corporativa degli anni ’80 e quella vissuta durante il regime fascista tra il 1926 e il 1943 (le differenze sono evidenti e ben messe in luce in dottrina: cfr., per tutti, i saggi raccolti in XXXXXXX (a cura di), Diritto del lavoro e corporativismi, cit., e in specie quelli di XXXXXXX e PERA), quanto sottolineare tutta l’ambiguità di una nozione – quella di «interesse generale» – la quale, se associata a quelle di «crisi» ed «emergenza», diviene un passe-partout per misure altrimenti indigeribili (cfr. XXXXXXX, op. ult. cit., 705) e che, rispetto alla sua omologa scomparsa di «interesse superiore della produzione nazionale» si distingue, forse, solo per la maggiore pudicizia (cfr. le osservazioni di SUPPIEJ, Riforme pericolose, PD, 1985, 451).
( 146 ) In questi termini, incisivamente, ALLEVA, Accordi di concertazione e Corte costituzionale, DLRI, 1987, 165 ss.
(147) Xxx. Xxxxx xxxx., 00 xxxxxx 0000, x. 000, XX, 1980 I, 2641; Xxxxx Xxxx. 00 xxxxxx 0000, x. 000, XX, 1981, I, 11; Xxxxx xxxx., 0 xxxxxxxx 0000, x. 00, XX, 1985 I, 975 ss.; Xxxxx Xxxx., 00 giugno 1988, n. 697, MGL, 1988, 445; Xxxxx Xxxx., 00 marzo 1991, n. 124, FI, 1991, I, 1333.
tive del sindacato (148); la Corte esclude, altresì, che gli strumenti di indicizza- zione delle retribuzioni valgano a integrare l’art. 36, co. 1, Cost.; da ultimo, stante l’inattuazione dell’ordinamento sindacale delineato dal costituente, la Corte esclude che la legislazione sui tetti massimi (149) si ponga in contrasto con l’art. 39, co. 1, Cost.: in primo luogo, in ragione della differente «colloca- zione istituzionale» degli accordi triangolari da cui prende le mosse l’intervento del legislatore rispetto alla «attività di contrattazione collettiva spettante ai sindacati» (150); in secondo luogo e soprattutto, poiché è «comun- que decisivo che il legislatore abbia inteso perseguire, ed abbia in effetti perse- guito, finalità di carattere pubblico, trascendenti l’ambito nel quale si colloca – per Costituzione – la libertà di organizzazione sindacale e la corrispondente autonomia negoziale».
Anche la dottrina prevalente, del resto, propende per la conformità della legislazione di compressione dell’autonomia collettiva rispetto al principio di libertà sindacale sancito dall’art. 39, co. 1, Cost. (151). Secondo un primo orientamento, l’inderogabilità in melius della legge è ammissibile nella misura in cui sia fondata sulla trattativa e sul previo consenso sindacale (152). Secondo altra prospettazione, per contro, più che sul (necessario) coinvolgimento del sindacato, dovrebbe porsi l’accento sulle finalità perseguite dal singolo prov- vedimento: sarebbero, in particolare, legittimi i provvedimenti volti a garanti-
(148) Si tratta, come noto, dell’orientamento tenuto fermo sin da Corte cost. 19 dicembre 1962, n. 106, cit., che all’epoca aveva composto un acceso dibattito dottrinale.
(149) Si trattava dell’art. 3, d.l. 1984 n. 70/1984 sul «taglio della scala mobile», convertito dalla l. n. 219/1984.
(150) Si trattava dell’accordo sul costo del lavoro del gennaio 1983 (cd. Protocollo Xxxxxx) e del dis-accordo di rinnovo dello stesso del febbraio 1984 (cd. Accordo di X. Xxxxxxxxx).
(151) Ciò non toglie che vi siano, in dottrina, voci maggiormente critiche e meno inclini ad avallare le soluzioni trovate dal legislatore: cfr., tra gli altri, ancora una volta, ALLEVA, op. cit.
(152) XXXXXX, Commento all’art. 39, in Commentario alla Costituzione a cura di Xxxxxxxx Xxxxxx. Rapporti Economici, I, Bologna-Roma, Zanichelli-Società editrice del Foro italiano, 1979, 282. V’è da rimarcare che l’opinione in esame è stata espressa alla luce dei provvedimenti del 1977 sull’indennità di contingenza e di anzianità (d.l. n. 15/1977 convertito con l. n. 91/1977), con i quali il legislatore aveva recepito, seppur non del tutto fedelmente, la posizione espressa unitariamente dalle organizzazioni confederali: tale opinione sarà, quindi, di lì a breve, «superata dalla storia» e difficilmente compatibile con i provvedimenti del 1984, giunti a seguito di una aspra spaccatura del fronte sindacale.
re la perequazione salariale in un’ottica di eguaglianza formale e sostanziale ex art. 3 Cost., laddove maggiori dubbi solleverebbero quelli rivolti a «mere» finalità di politica economica (153). Altri ritiene che la legittimità della legisla- zione limitativa potrebbe derivare dall’inclusione in più ampi disegni di «pro- grammazione economica» o, al di fuori di questi, potrebbe essere affermata purché si tratti di provvedimenti di carattere eccezionale, contenenti disposi- zioni di durata temporanea (154). Infine – e questa, insieme alla precedente, pa- re la posizione nella sostanza fatta propria dalla Corte costituzionale – i prov- vedimenti in esame sarebbero legittimi nella misura in cui si limitassero a por- re limiti specifici all’attività contrattuale, la quale resterebbe pur sempre libe- ra, nel suo complessivo svolgimento, di trovare i propri equilibri (155).
A ogni modo, occorre volgere l’attenzione sul fatto che l’imposizione di
«tetti massimi» alla contrattazione collettiva mette in discussione uno dei due binari sui quali corre la relazione dinamica tra legge e contratto collettivo nel- la ricostruzione tradizionale delle fonti del diritto del lavoro: il principio del favor. Elevato, per decenni, al rango di parametro guida dell’intervento dello
(153) DE XXXX XXXXXX, Leggi sul costo del lavoro e limiti all’autonomia collettiva (spunti per una valutazione di costituzionalità), in DE XXXX XXXXXX-XXXXXXX (a cura di), Il diritto del lavoro nell’emergenza: la legislazione degli anni 1977-1978, Napoli, Jovene, 1979, 161 (si noti che l’a. si esprimeva sulla legittimità costituzionale della l. n. 91/77). A tale proposito, si può, invero, obiettare che la distinzione tra finalità complessivamente perequative e di politica economica rischierebbe, da un lato, di risolversi in una mera dichiarazione autoassolutoria del legislatore (rispetto ai fini perseguiti dal provvedimento) e, dall’altro lato, che ove si volesse attribuire al giudice un potere di verifica in concreto delle finalità perseguite dal singolo provvedimento, l’incerta linea di demarcazione aprirebbe, comunque, ad una eccessiva discrezionalità dell’interprete (per una critica della posizione espressa da DE XXXX XXXXXX, cfr., per tutti, MENGONI, Legge e autonomia collettiva, cit., 295).
(154) È la sintesi della posizione espressa, in una serie di scritti apparsi a cavallo tra la fine degli anni ’70 ed i primi anni ’80, da MENGONI: tra i quali quello più volte citato Xxxxx e autonomia collettiva, cit., 295-296.
(155) DELL’OLIO, Emergenza e costituzionalità (le sentenze sulla scala mobile e il «dopo»), DLRI, 1981, spec. 22 ss. Sulla stessa linea si pongono, tra gli altri, XXXXXXX, op. ult. cit., 706; DE XXXX XXXXXX, L’evoluzione dei contenuti e delle tipologie della contrattazione collettiva, cit., 54-55 (a proposito dei provvedimenti del 1984, con un affinamento dell’opinione espressa a proposito dei provvedimenti del 1977), il quale propende per la legittimità costituzionale di una legislazione limitativa dell’autonomia collettiva, purché la stessa si collochi «in un quadro di politica economica razionale in cui questo intervento sia in qualche misura giustificato» e, soprattutto, non si pervenga
«a sterilizzare per il futuro o addirittura per sempre la possibilità per l’autonomia collettiva di ritornare sugli stessi o su altri momenti di politica salariale, anche modificando le indicazioni legislative».
Stato in materia di lavoro, oltre che a criterio per la soluzione dei conflitti tra fonti, il principio del favor si scopre, improvvisamente, privo di solide e incon- trovertibili basi di diritto positivo (melius, privo di copertura costituzionale). O, in qualche modo, se ne afferma il valore non «assoluto» ma «relativo». In tal guisa, esso si espone, da un lato, al bilanciamento con altri valori e principi tutelati dall’ordinamento giuridico e, dall’altro, a una compressione realizza- bile anche con leggi o atti aventi forza di legge ordinaria.
Il ridimensionamento della portata del principio del favor è un dato, tutta- via, che, proprio alla luce della giurisprudenza costituzionale e dell’elaborazione dottrinale, non andrebbe enfatizzato oltremisura. Le com- pressioni dell’autonomia collettiva possono, infatti, considerarsi legittime solo se e nella misura in cui siano rivolte «alla cura e alla tutela di interessi genera- li» (156) e abbiano natura «congiunturale», tale da non compromettere in modo durevole e irragionevole il libero spiegarsi della libertà sindacale (157). Per con- tro, non potrebbe essere evitato il contrasto con l’art. 39, co. 1, Cost., di prov- vedimenti che sortiscano l’effetto di «cancellare o contraddire di arbitrio la li- bertà delle scelte sindacali e gli esiti contrattuali di esse» (158).
Gli interventi perpetrati dal legislatore ai fini del contenimento del costo del lavoro, di carattere emergenziale e spesso temporaneo, spiegano effetti du- raturi, oltre che sul sistema di relazioni industriali (159), sul rapporto tra le fonti
(156) Corte Cost., n. 697/1988, cit.
( 157 ) Corte cost., n. 124/1991, cit. La giurisprudenza di legittimità ha fatto applicazione dei medesimi principi, anche in pronunce recenti, allorché si è confrontata con la l. n. 38/1986 che ha introdotto il sistema del punto percentuale in materia di indennità di contingenza: infatti, il meccanismo ha «valore di limite massimo solo nei confronti dei contratti collettivi vigenti, mentre per il futuro esso costituisce una disciplina standard, applicabile in mancanza di pattuizione collettiva diversa, eventualmente più favorevole ai lavoratori. Ne consegue la validità delle clausole contrattuali collettive stipulate successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 38 del 1986 (26 febbraio 1986) dirette e riconoscere le variazioni dell'indennità di contingenza sulla misura dell'indennità di presenza» (cfr. Cass. 18 novembre 2010, n. 23315, GCM, 2010, 1469). In ordine al diverso problema della
«reviviscenza», per effetto della sentenza della Corte cost. n. 124/1991, delle clausole della contrattazione collettiva dichiarate nulle per contrasto con le disposizioni del d.l. n. 12/1977 conv. l. n. 91/1977, cfr. Cass. 14 giugno 2007, n. 13879, ADL, 2008, 177 ss.
(158) Corte cost. n. 34/1985, cit.
(159) Con il passaggio da «finalità meramente inflazionistiche» ad una «logica più ampia di politica dei redditi», specie negli anni ’90: cfr. ZOLI, Retribuzione (impiego privato), DDP, 1996.
del diritto del lavoro: alla eterogenesi dei fini della norma inderogabile – la cui funzione muta da «tutelare» in «dirigistica» (160) – consegue, infatti, un rove- sciamento del principio del favor.
2. Il rinvio dalla legge al contratto collettivo: note introduttive.
Premessi tali cenni alle prassi di concertazione e alle ricadute sul principio del favor, occorre richiamare l’attenzione sul tema del rinvio dalla legge al contratto collettivo in senso proprio (161). Si volgerà l’attenzione verso taluni istituti la cui disciplina si caratterizza per una fitta integrazione tra legge e contratto collettivo.
Xxxxxxx, anzitutto, richiamare e dare per acquisito il contesto nel quale è maturato il conferimento di risorse economiche, istituzionali e normative alla contrattazione collettiva. Con la precisazione che il consolidarsi dei processi di globalizzazione e integrazione europea (in specie con i Trattati di Maastri- cht e di Amsterdam e, negli anni duemila, di Nizza e di Lisbona) ha reso vieppiù influenti sulle dinamiche di governo del mercato del lavoro fattori quali il controllo del quadro economico-finanziario, l’internazionalizzazione dei mercati, la terziarizzazione dell’economia, la diffusione di nuove tecnolo- gie, etc. (162).
Si è già rilevato, inoltre, che la cifra della linea di politica del diritto di cui si discorre possa essere individuata nella tendenza verso un «alleggerimento della funzione regolativa diretta» e una «maggiore elasticità del mercato del lavoro», da perseguire non con una deregolazione o riregolazione del rapporto di lavoro, quanto mediante uno «spiccato decentramento o devoluzione delle fonti normative» (163). Il rilievo non è di poco momento. Occorre sgombrare il
(160) D’ANTONA, L’Autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro, DLRI, 1991, 455 ss.
(161) RUSCIANO, op. cit., 183-184, osserva che, tramontata la prospettiva «macro» di una concertazione trilaterale centralizzata, il modello concertativo trova comunque terreno fertile a livello «meso» (di categoria) e «micro» (territoriale o di impresa).
(162) Non è un caso che due tra le monografie che, pur con impostazioni diverse, negli ultimi anni si sono occupate del tema de quo, hanno preso le mosse proprio da una disamina dei processi di globalizzazione: XXXXXXXXXXX, op. cit., capitolo I; BAVARO, Azienda, contratto e sindacato, Bari, Cacucci, 2012, capitolo I.
(163) GIUGNI, Giuridificazione e deregolazione nel diritto del lavoro italiano, DLRI, 1986,
campo da una «comoda» sovrapposizione tra i processi di «delegificazione»
(164) invalsi nell’ordinamento e i timori di un ritorno puro e semplice al con- tratto individuale: si tratta, piuttosto, di una «flessibilizzazione del processo normativo esterno ad esso» (165), ovvero di una graduale sostituzione dei vin- coli diretti alla libertà contrattuale «con vincoli indiretti e preventivi generati da forme di controllo amministrativo e soprattutto sindacale» (166).
S’invera, così, negli spazi aperti dalla crisi del normativismo (167), l’ipotesi epistemologica del diritto «riflessivo» o «procedurale», mediante il quale «più che regolare, attraverso la imposizione di un assetto di interessi inderogabile ai privati, lo Stato organizza la regolazione, che viene lasciata ad altri soggetti o si- stemi sociali» (168).
329, 331.
(164) Una definizione del termine «delegificazione» è offerta, tra gli altri, da TURSI, Autonomia contrattuale e contratto collettivo di lavoro, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 1996, 55: «il fenomeno della delegificazione andrebbe interpretato non tanto come «intitolazione» di interessi generali a soggetti portatori di interessi privato-collettivi, quanto come rinuncia a predefinire l’interesse generale, facendo affidamento sui risultati dell’autoregolazione sociale, anche sul piano generale, ed apprestando, comunque, xxxxxxxxxx e rimedi «ex post», o sistemi di «monitoraggio» affidati a soggetti terzi («authorities», garanti, commissioni di garanzia)».
(165) GIUGNI, op. ult. cit., 331.
(166) D’ANTONA, op. ult. cit., 119. Non è men vero, per altro, verso, che i processi di delegificazione sono indirizzati a un sostanziale smantellamento dell’apparato garantistico tradizionale del diritto del lavoro, e che il coinvolgimento del sindacato ha consentito di aggirare le resistente sociali prodotte da tali processi, aggregare maggiore consenso e, in definitiva, dissimulare la natura liberistica delle riforme: in questi termini, XXXXXXX, op. ult. cit., 695-696.
(167) La letteratura sulla «crisi del normativismo» è vastissima: cfr. per un affresco sul tema, cfr. MENGONI, Il «diritto giusto», cit.
(168) La citazione è tratta da D’XXXXXX, op. ult. cit., 136. Nella riflessione sul diritto
«riflessivo» o «procedurale» ha influito l’opera di illustri scrittori d’oltralpe e italiani: cfr. oltre agli autori citati retro nt. n. 114, per una voce critica rispetto ad un uso (quasi) disinvolto delle elaborazioni del diritto autopoietico o riflessivo, PERULLI, op. ult. cit., 574, dal quale si riporta un passaggio significativo: «ci si avvede, peraltro, dell’ineffabile quanto fascinosa inanità delle prospettive ricostruttive che si muovono, da un punto di vista epistemologico, lungo i percorsi cognitivi della più avanzata teoria dei sistemi. Se i moduli del rinvio, infatti, possono essere facilmente descritti con le formule autopoietiche del diritto post-strumentale (la «regolazione della regolazione»), sono piuttosto le ineliminabili questioni della soggettività, della teleonomia e del senso che, proiettate sul piano giuridico, disorientano la valenza prescrittivo-normativa dei processi autoreferenziali in esame. Come dire che la differenziazione sistemica evolutiva, tipica della legislazione delegante, rischia di produrre inevitabili cortocircuiti innescati, a monte, dalla debole
Le traiettorie tracciate dal legislatore rispondono, invero, a un approccio per lo più congiunturale, o persino episodico. In tal guisa, non è agevole indi- viduare distinti moduli di integrazione tra fonti e, ancor meno, associarli ai singoli provvedimenti (169). Al più, è identificabile un avvicendamento tra una logica di integrazione addizionale tra legge e contratto collettivo e una logica improntata a una progressiva riduzione e flessibilizzazione delle tutele indivi- duali per via contrattuale: attraverso, soprattutto, la gestione concertata dei processi di crisi, riconversione e riorganizzazione aziendale e la diversifica- zione delle forme contrattuali utilizzabili dalle parti individuali (170). Il comu- ne convitato di pietra di tali processi regolativi è il dogma della tutela e/o del- la promozione dei livelli occupazionali: obiettivo di interesse generale nel perse- guimento del quale è essenziale il coinvolgimento del sindacato, al fine di ampliare il consenso intorno a riforme spesso impopolari e di calibrare gli in- terventi in relazione allo specifico ambito di intervento e alla sua evoluzione (171). Coinvolgimento del sindacato – è indubbio – e innesto, nel corpo delle qualità regolative ascrivibili in via immediata all’art. 39, co. 1, Cost., di ingen- ti risorse normative. Ma che tale coinvolgimento risponda a finalità di soste- gno o promozione del sindacato è bensì dubbio: a tratti pare si tratti piuttosto
selezione/legittimazione dei soggetti che veicolano la riflessività normativa: cosicché il ricorso a forze di legislazione procedurale o neoistituzionale esprime una razionalità topica, debole e limitata, che non risolve – ed anzi tematizza – la struttura dilemmatica di questo tipo di giuridificazione».
(169) Proposte di ricostruzione sistematica dei casi di rinvio dalla legge al contratto collettivo sono state avanzate in alcuni tra i più pregevoli contributi pubblicati sul tema de quo: cfr., tra gli altri, GIUGNI, op. ult. cit.; XXXXXXX, op. ult. cit.; PEDRAZZOLI, op. cit.; XXXXXXX, op. ult. cit.; LISO, op. cit. Tali cataloghi o tassonomie sono stati, in certa misura, superati, atteso che «l’ambito variabile ed eterogeneo della legislazione delegante, con la sua logica occasionale e episodica … consigliava una rinuncia ad ordinare una realtà troppo complessa, evitando così di forzarla» (XXXXXXX, Breve storia delle fonti, cit., 139).
( 170 ) DE XXXX XXXXXX, op. ult. cit., 24. Si rileva, inoltre, un corrispondente avvicendamento tra la tipica funzione del contratto collettivo di composizione del conflitto tra capitale e lavoro e una funzione di gestione e controllo delle «modalità di accesso al mercato del lavoro flessibile»: cfr. RUSCIANO, op. cit., 188. Ciò non toglie, peraltro, che la dottrina gius-sindacale italiana si fosse da lungi interrogata sulla pluralità di funzioni svolte dal contratto collettivo: cfr., per tutti, GIUGNI, La funzione giuridica del contratto collettivo di lavoro, cit. e, più di recente, PERSIANI, Contratti collettivi normativi e contratti collettivi gestionali, ADL, 1999, 1 ss.
(171) VALLEBONA, Autonomia collettiva e occupazione: l’efficacia soggettiva del contratto collettivo, DLRI, 1997, 392-393.
di un dono dei Danai, che cela, per il contratto collettivo, il rischio di essere tra- scinato nella crisi regolativa della legge (172).
3. Il rinvio in deroga.
Giova a questo punto aggiungere un tassello all’analisi del rinvio dalla leg- ge al contratto collettivo. Si volgerà l’attenzione su alcuni casi in cui la legge rinvia al contratto collettivo in chiave di deroga rispetto al precedente tratta- mento goduto dal lavoratore. L’apertura è ampia e richiede d’essere subito precisata. Il fuoco dell’indagine sarà posto su alcuni dispositivi di legge che
«espressamente autorizzi[no] la contrattazione collettiva a ridurre in vario modo le tutele legali per i lavoratori subordinati» (173). Ciò, al fine di provare a misurare le alterazioni che ne derivano sul rapporto tra legge e contratto col- lettivo e, in seconda battuta, verificare se tali rinvii attribuiscano al contratto collettivo – sic et simpliciter oppure nell’ambito di un procedimento complesso
– un’efficacia diversa da quella che gli è propria, dando luogo a un regime giuridico differente da quello di diritto comune.
Corre, ancora una volta, l’obbligo di avvertire che i dispositivi legali presi in considerazione non sono inquadrabili in un filone normativo coerente quanto a tecnica di «delegificazione», obiettivi perseguiti, modo e intensità della «cooptazione» della contrattazione collettiva nei gangli del diritto stata- le, etc.
È tempo di fornire qualche esempio concreto sul quale poi provare a ragio- nare.
(172) Cfr., per tutti, XXXXXXX, Differenze di funzioni e di livelli, cit. Tra gli altri, anche D’XXXXXX, Diritto sindacale in trasformazione, cit., XXXVII, pone in luce la differente considerazione del sindacato nel passaggio tra legislazione promozionale e legislazione neo-istituzionale: nella prima, «il sindacato maggiormente rappresentativo viene selettivamente tutelato per la sua capacità di articolare a livello di impresa il conflitto industriale in forme autonome»; al contrario, la seconda mira ad incorporare la contrattazione collettiva «come procedura istituzionalizzata di decisione consensuale tra grandi organizzazioni di interessi che agiscono in qualità di
«governi privati» entro i confini segnati dai processi di decentramento dello stato».
(173) Fornisce, in questi termini, una definizione di «contrattazione in deroga in senso proprio»: CESTER, La norma inderogabile, cit., 361.
(i) Gli artt. 1, co. 4, e 5, co. 2, l. n. 903/1977 sulla parità uomo-donna: tali disposizioni abilita[va]no la contrattazione collettiva a rimodulare o rimuove- re il divieto di svolgimento di lavori pesanti e di lavoro notturno per le donne lavoratrici (174) (175).
(ii) L’art. 47, co. 4 e co. 5, l. n. 428/1990 (ma già l’art. 1, co. 3, l. n. 215/1978): allorché il trasferimento di un’attività economica organizzata sia disposto nel contesto di una crisi aziendale («ai sensi dell’articolo 2, quinto comma, lettera c), della legge 12 agosto 1977, n. 675») oppure di una delle procedure concorsuali di cui all’art. 47, co. 4, lettere b), b-bis), b-ter), o co. 5,
«nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione, l’articolo 2112 del codice civile trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo» (176).
(iii) L’art. 2120, co. 2, c.c., come modificato dalla l. n. 297/1982, attribui- sce ai «contratti collettivi» ampi margini d’intervento in deroga: con riferimen- to, in particolare, alla retribuzione utile per il calcolo del TFR (177).
(174) Come noto, le disposizioni della legge del 1977 sono state superate, anche in ragione dell’intervento della Corte di giustizia UE (sentenza 4 dicembre 1997 Causa C-207/96, v. la in RGL, 1998, II, 318 ss.), con il d.lgs. n. 532/1999; il quadro normativo di riferimento è ora contenuto nel d. lgs. n. 198/2006. Per una ricostruzione dell’evoluzione normativa, cfr. TOPO, La tutela del lavoro femminile, in CESTER (a cura di), Il rapporto di lavoro subordinato. Costituzione e svolgimento, in Diritto del lavoro. Commentario diretto da Xxxxxx Xxxxxxx, tomo 2, Torino, Utet, 2007, 539 ss., spec. 542-546.
(175) La legge n. 903/1977 non individua[va] il livello della contrattazione collettiva al quale rinvia, né opera una selezione tra gli agenti negoziali ai fini della stipulazione del contratto collettivo.
(176) La disposizione non individua il livello della contrattazione collettiva al quale si rinvia, né opera una selezione tra gli agenti negoziali ai fini della stipulazione del contratto collettivo. Tali dati possono comunque essere ricavati, ove si tenga presente che gli accordi in questione si collocano nel contesto di una procedura di informazione e consultazione e che, pertanto, gli agenti negoziali saranno, in tutto o in parte, quelli ai quali è stata trasmessa la comunicazione iniziale: si tratta, delle r.s.u., delle r.s.a. ex art. 19, l. n. 300/1970, nonché dei «sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate dal trasferimento»; in mancanza di rappresentanze aziendali, la legge precisa che «resta fermo l’obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi».
(177) La legge non individua il livello della contrattazione collettiva al quale rinvia, né opera una selezione tra gli agenti negoziali ai fini della stipula del contratto collettivo.
(iv) La l. n. 863/1984 – approvata sulla scia dell’accordo sul costo del lavo- ro del gennaio 1983 – apre, agli artt. 1 e 2, a una riduzione dell’orario di lavo- ro e della retribuzione di un gruppo di lavoratori, al fine di «difendere» o
«espandere» i livelli occupazionali di un complesso produttivo. In particolare, i contratti di solidarietà difensivi – che sono l’ipotesi più rilevante, in punto a implicazioni teoriche e ricadute pratiche – si caratterizzano per una combina- zione tra autonomia collettiva e intervento dell’autorità amministrativa: la concessione del trattamento di integrazione salariale (e con essa la riduzione dell’orario di lavoro e della retribuzione) è posta sotto la condizione di aver stipulato «contratti collettivi aziendali, con i sindacati aderenti alle confedera- zioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale».
(v) La l. n. 190/1985 sul «riconoscimento giuridico dei quadri», all’art. 2, co. 2, assegna alla contrattazione collettiva il compito di individuare i requisiti di appartenenza alla categoria dei quadri; all’art. 6 consente di derogare all’art. 2103 c.c. in punto ad acquisizione della qualifica per svolgimento di mansioni superiori (178).
(vi) Si rammenti, ancora, la cospicua delegificazione della disciplina in ma- teria di rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri di cui al r.d. n. 148/1931, realizzata con la l. n. 270/1988: ai sensi dell’art. 1, co. 2, «le disposizioni con- tenute nel regolamento allegato A al regio decreto 8 gennaio 1931, 148 (…) possono essere derogate dalla contrattazione nazionale di categoria».
(vii) L’accordo collettivo stipulabile durante la procedura di mobilità ex art. 4, co. 11, l. n. 223/1991 può prevedere una deroga all’art. 2103 c.c., in punto ad adibizione dei lavoratori in esubero a mansioni inferiori, al fine del riassor- bimento totale o parziale dell’occupazione (179) (180).
(178) La legge non individua il livello della contrattazione collettiva al quale si fa rinvio, né opera una selezione tra gli agenti negoziali ai fini della stipula del contratto collettivo.
(179) Dovrebbe escludersi, invece, che i contratti collettivi ex art. 5, l. n. 223/1991 sui criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità possano essere annoverati tra i
«contratti collettivi in deroga»: come è noto, la Corte costituzionale (sentenza 30 giugno 1994, n. 268, FI, 1994, I, 2307) ha escluso che la lettera della legge preveda un’ipotesi di deroga a norme imperative di legge, in quanto essa «sostituisce alla determinazione unilaterale dei criteri di scelta, originariamente spettante all'imprenditore nell’esercizio del suo potere organizzativo, una determinazione concordata con i sindacati maggiormente rappresentativi; essa tende a “procedimentalizzare” l’esercizio di un potere imprenditoriale. Solo in mancanza di accordo vengono in applicazione i criteri indicati nella seconda parte della
(viii) La disciplina dell’orario di lavoro, di cui al d.lgs. n. 66/2003, si carat- terizza per un fitto intreccio tra legge e contratto collettivo. Tra i rinvii previsti dalla legge, una parte cospicua può essere ricompresa nell’elenco di contratta- zione in deroga che si viene formando (181).
(ix) Si consideri, altresì, la disciplina in materia di obbligazione solidale tra committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori prevista dall’art. 29, co. 2, d.lgs. n. 276/2003, che può essere derogata dai «contratti collettivi naziona- li sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparati- vamente più rappresentative del settore».
disposizione, la quale, sotto questo aspetto, ha natura di norma suppletiva».
(180) L’accordo sindacale è stipulabile con i soggetti destinatari della comunicazione preventiva che introduce la procedura di mobilità: le r.s.a. ex art. 19, l. n. 300/1970 e
«rispettive associazioni di categoria»; la legge precisa che «in mancanza delle predette rappresentanze la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale».
(181) Si tratta delle seguenti disposizioni: (a) l’art. 3, co. 2, prevede la possibilità, per i contratti collettivi (leggi: «contratti collettivi stipulati da organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative» ex art. 1, co. 2, lett. m)) di riferire l’orario normale di lavoro su un periodo più ampio della settimana, ma non superiore all’anno; (b) l’art. 4, co. 4, abilita i contratti collettivi a prevedere che la durata massima dell’orario di lavoro sia calcolata su un periodo più ampio di quello di quattro mesi previsto dal co. 3, «a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all'organizzazione del lavoro»; (c) l’art. 5, co. 3, in punto a lavoro straordinario, abilita i contratti collettivi a superare il vincolo del previo accordo tra le parti e il tetto massimo annuale delle 250 ore, laddove il co. 4 abilita i contratti collettivi ad aumentare il novero delle ipotesi in cui il ricorso al lavoro straordinario è comunque legittimo; (d) l’art. 9, co. 2, lett. d), in punto a riposo settimanale, ove i contratti collettivi possono stabilire modalità diverse da quelle di cui al co. 1, pur nel rispetto dell’art. 17, co. 4; (e) l’art. 10, co. 3, in materia di durata e modalità di godimento delle ferie, abilita i contratti collettivi a introdurre una disciplina diversa da quella di cui al comma 1, nel caso in cui sia vigente un orario multiperiodale; (f) l’art. 13, co. 1, abilita i contratti collettivi a prevedere una base di calcolo media più ampia di quella di 24 ore per il calcolo del limite di 8 ore di lavoro notturno; (g) l’art. 17, co. 1, che amplia ulteriormente i margini di intervento in deroga per la contrattazione collettiva, nel prevedere la derogabilità della disciplina in materia di riposo giornaliero (art. 7), pause (art. 8), modalità organizzative (art. 12) e durata (art. 13) del lavoro notturno, «mediante contratti collettivi stipulati a livello nazionale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative»; precisando che «per il settore privato, in assenza di specifiche disposizioni nei contratti collettivi nazionali le deroghe possono essere stabilite nei contratti collettivi territoriali o aziendali stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale»; (h) l’art. 18, co. 2, in punto a durata media di 48 ore settimanali dell’orario di lavoro per i lavoratori impiegati su navi da pesca , apre a diverse disposizioni contenute nei «contratti collettivi nazionali di categoria».
(x) L’art. 11, co. 2, d.lgs. n. 276/2003 abilita i «contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamen- te più rappresentative a livello nazionale o territoriale» a derogare al principio di gratuità per i lavoratori per lo svolgimento di attività di intermediazione, ma solo per «specifiche categorie di lavoratori altamente professionalizzati o per specifici servizi offerti dai soggetti autorizzati o accreditati».
(xi) La normativa sulle tipologie contrattuali flessibili, infine, consta di nu- merosi rinvii in deroga. Per stare ai casi più rilevanti in cui il contratto collet- tivo può modificare in peius il trattamento legale, si rammentino: il divieto di assumere presso unità produttive nelle quali si sia proceduto nei sei mesi pre- cedenti a un licenziamento collettivo (182); il consenso allo svolgimento di la- voro supplementare per il part-timer orizzontale (183); in materia di contratto a termine: il termine di dieci o venti giorni dalla scadenza del precedente con- tratto per riassumere a termine, il limite di trentasei mesi per la durata com- plessiva del rapporto e il diritto di precedenza (184); il divieto di apposizione di clausole limitative della facoltà dell’utilizzatore di assumere il lavoratore al termine della missione (185); l’obbligo di stabilizzazione di una certa percen- tuale di apprendisti (186).
Un avvertimento s’impone. L’elenco di casi di contrattazione collettiva in deroga, per quanto ampio, non è esaustivo: allargarlo oltre avrebbe però appe- santito l’esposizione. Tanto chiarito, si proverà a riprendere il filo del discorso introdotto in apertura di paragrafo, prendendo le mosse da una questione che pare ineludibile e che può riassumersi nel seguente quesito: il sistema delle fonti del diritto del lavoro, basato anzitutto sul principio di primazia della fon- te statale su quella autonoma, ammette la derogabilità in peius della legge da parte del contratto collettivo, in una serie talmente ampia di situazioni da ri- comprendere parte cospicua della materia?
(182) Contratto a termine: art. 3, co. 1, lett. b), d.lgs. n. 368/2001; somministrazione di lavoro: art. 20, co. 5, lett. b), d.lgs. n. 276/2003; lavoro intermittente: art. 34, co. 3, lett. b).
(183) Art. 3, co. 3, d.lgs. n. 61/2000.
(184) Rispettivamente: art. 5, co. 3; art. 5, comma 4-bis; art. 5, comma 4-quater, d.lgs. n. 368/2001.
(185) Art. 23, co. 9, d.lgs. n. 276/2003.
(186) Art. 2, co. 3-bis, d.lgs. n. 167/2011.
La risposta al quesito – che sarà riproposto allorché si affronterà il nodo dell’art. 8, l. n. 148/2011 (187) – non può essere data in termini risolutivi, o comunque univoci. Entrano in gioco, infatti, principi di rilievo costituzionale, per loro natura aperti a molteplici chiavi di lettura. Ad avviso di chi scrive, tra le disposizioni costituzionali rileva prima fra tutte l’art. 35 Cost., che impone alla Repubblica la tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni. Il principio di protezione di cui all’art. 35 Cost., specie se letto congiuntamente al principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost., potrebbe rendere illegitti- ma un’accentuata diversificazione dei regimi di tutela del lavoro, pur se rea- lizzata mediante uno strumento con il quale il lavoratore singolo, aggregan- dosi in coalizione, recupera in parte la propria debolezza contrattuale nei con- fronti della controparte datoriale.
Benché la risposta al detto quesito possa (debba) variare secondo la sensibi- lità dell’interprete, si deve ricordare la posizione assunta dalla Corte costitu- zionale. Anche se in contesti diversi da quello del rinvio dalla legge al contrat- to collettivo, la Corte ha in più d’una occasione manifestato l’intendimento che «il legislatore ordinario è libero di modulare la tipologia e l’intensità della tutela, nelle forme ritenute più opportune, anche in relazione a diversi orien- tamenti di politica del diritto» (188). Ma v’è di più: l’orientamento generale di cui è espressione la massima or ora citata, si pone in sintonia con la posizione assunta dalla Corte costituzionale in merito a disposizioni che autorizzano il contratto collettivo a introdurre una deroga in peius al trattamento legale. Si consideri la pronuncia resa nel 1980 in materia di deroga all’art. 2112 c.c. in caso di azienda in crisi: la Corte ha escluso che l’art. 2112 c.c. costituisca «un tipo di norma di ordine rafforzato (se non costituzionale) di fronte al quale dovrebbe soccombere la normativa che ha per oggetto le crisi aziendali e la mobilità dei lavoratori» (189).
Come a dire, in definitiva, che sul piano dell’abilitazione legale del contrat- to collettivo oggetto di rinvio a operare in deroga alla legge non si ravvisano ostacoli insormontabili: qui – adottando la grammatica del diritto riflessivo –
(187) Nel corso della Parte II della tesi.
(188) Corte cost. 7 febbraio 2000, n. 49, FI, 2000, I, 698.
(189) Corte cost. 30 luglio 1980, n. 143, GI, 1981, I, 1, 677, che respinse la censura di legittimità costituzionale dell’art. 1 d.l. 30 marzo 1978 n. 80, commi 1 e 3, convertito con modificazioni nella legge 26 maggio 1978 n. 215, sollevata con riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, comma 1, 35, 36, comma 1, 41, comma 2, Cost.
è la fonte eteronoma che volontariamente si ritrae per lasciare spazio alla fon- te autonoma, rimettendosi agli equilibri liberamente raggiunti sul piano nego- ziale (190).
Ciò non toglie, per altro verso, che pur in assenza di espliciti interventi sulle fonti, l’affastellarsi di casi di deroga alla legge mediante contratto collettivo, abbia comunque alterato l’ordine interno e i rapporti tra le fonti. Ove si tenga presente che nel diritto del lavoro le ragioni dell’inderogabilità – e ciò dovreb- be valere in linea di principio tanto nei confronti dell’autonomia individuale quanto dell’autonomia collettiva – «sono le stesse che inducono il legislatore a intervenire», è gioco forza rilevare che il problema dell’inderogabilità è «stret- tamente connesso con il ruolo che si vuole riservare alle fonti di regolazione del rapporto» (191). Si può così osservare, con Xxxxx Xxxxxx, che «l’istanza di attenuazione dell’inderogabilità è un’istanza di superamento dell’assetto delle fonti» (192): in altri termini, pare innegabile che la «flessibilità sempre più in- tensa» e la «sostanziale interscambiabilità dei ruoli» tra legge e contratto col- lettivo abbia determinato «un’alterazione del significato sistematico della rela- zione tra fonti e sistemi normativi» (193).
Tra le questioni sollevate dal tema de quo, v’è poi quella del regime giuridi- co del contratto collettivo in deroga; in particolare, sulla scorta della dottrina che più se n’è occupata, con riferimento al problema dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo.
(190) In altri termini, riprendendo le parole di XXXXXX, La norma inderogabile, cit., 362,
«in questi casi la deroga è giustificata da una specifica esigenza di diversificazione, in funzione della prevalente tutela di un interesse differente rispetto a quello della tutela del singolo lavoratore protetto dalla norma inderogabile … interesse spesso coniugato ad esigenze più ampie di flessibilizzazione dei processi produttivi e di auspicato rilancio dell’occupazione».
(191) NAPOLI, Introduzione. Interrogativi sull’inderogabilità, RGL, 2008, I, 158.
(192) NAPOLI, op. cit., 158. DE XXXX XXXXXX, Il problema dell’inderogabilità delle regole a tutela del lavoro, cit. 716, osserva: «per quanto dal punto di vista concettuale la spinta neo riformistica volta ad incidere sulle tutele del lavoro non comporti di per sé un ridimensionamento del dispositivo dell’inderogabilità, ben potendo la prima esaurirsi in modificazioni dei soli “contenuti” normativi, sta di fatto – e la storia ce lo insegna
– che riforme in peius delle discipline del rapporto procedono in genere di pari passo con l’attacco alla loro inderogabilità. Quasi a confermare che l’inderogabilità delle norme è, sì, una “tecnica” normativa, ma presenta, almeno in linea tendenziale, una precisa connotazione assiologica, se non altro in quanto schermo nei confronti di alterazioni dei trattamenti normativi ed economici dei singoli lavoratori operati da fonti sottostanti rispetto a quelle che tali trattamenti attribuiscono» (716).
(193) XXXXXXX, op. ult. cit., 160.
È opportuno, al riguardo, prendere le mosse dallo «smisurato divario» tra le funzioni (in senso lato) assunte dal sindacato e dalla contrattazione colletti- va nella regolazione del rapporto e del mercato del lavoro «e la totale assenza di regolazione legislativa degli stessi soggetti ed oggetti» (194). L’incedere cao- tico del legislatore (quanto ad ampiezza della deroga, livello della contratta- zione al quale si fa rinvio, agente negoziale abilitato alla stipulazione) pare quasi fare da pendant all’informalità del quadro giuridico – o per dirla con D’Antona: alla limitata e obliqua giuridificazione dell’ordinamento sindacale (195). Il contratto collettivo oggetto di rinvio in deroga (forse ancor più del con- tratto collettivo «sans phrase») si colloca, per forza di cose, in un quadro che «è notoriamente il prodotto della sedimentazione di orientamenti giurispruden- ziali e dottrinali depositati intorno ai principali topoi del contenzioso giuridico e sociale» (196).
Pare di poterne trarre una prima, preziosa, indicazione: lo studio delle ri- percussioni del rinvio legale sul regime giuridico del contratto collettivo mal si presta a essere compreso all’interno di letture «unitarie» del fenomeno; ove per letture «unitarie» s’intendono talune raffinate intuizioni e/o ricostruzioni avanzate in dottrina, che si potrebbe, forse, definire alla stregua di «teorizza- zioni olistiche» del rinvio dalla legge al contratto collettivo.
Il riferimento, in primo luogo, è alla tesi che fa discendere la fungibilità tra legge e contratto collettivo e l’efficacia erga omnes di quest’ultimo dalle qualità rappresentative del soggetto negoziale; id est la tesi che traspone il problema dell’efficacia dall’atto ai soggetti dell’atto (197). Questa lettura del fenomeno, oltre a essere stata «superata dalla storia» e aver riscosso – grande attenzione, ma – scarso seguito in dottrina (198), non è stata accolta dalla giurisprudenza (199); essa sconta, inoltre, l’asimmetria con la quale il legislatore fa ricorso al
(194) In questi termini, ROMAGNOLI, Il contratto collettivo, cit., 279.
(195) D’ANTONA, L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro, cit., 123.
(196) Così, D’ANTONA, op. ult. cit., 123.
(197) XXXXXXX, Fonti autonome e fonti eteronome, cit.
(198) Cfr. XXXX, op. ult. cit.; XXXXXX, Il problema della «maggiore rappresentatività» sindacale davanti alla Corte costituzionale (nella questione dei sinquadri), RIDL, 1989, I, 159-160; BALLESTRERO, Riflessioni in tema di inderogabilità dei contratti collettivi, XXXX, 0000, I, 357 ss.
(199) Per tutte Cass. 24 febbraio 1990, n. 1403, FI, 1991, I, 877 nota di ROMEI.
requisito della rappresentatività, maggiore o comparata, nell’effettuare il rin- vio al contratto collettivo.
Pare, parimenti, provare troppo la dottrina che propone una lettura del rin- vio dalla legge al contratto collettivo in termini di «devoluzione diretta di fun- zioni normative alla contrattazione collettiva»: specie, ove da tale premessa si deduca che la «devoluzione di funzioni normative» avrebbe senso, e potrebbe concretamente funzionare, «solo ove la legge devolvente attribuisca ai contrat- ti collettivi delegati la stessa efficacia normativa e generale che è propria della legge devolvente» (200).
Benché, infatti, si possa convenire che «la logica in cui il rinvio viene ope- rato (…) è proprio quella di un’efficacia generalizzata della regolazione dispo- sta dall’autonomia collettiva» (201), è poi affatto scontato che, sul piano del di- ritto positivo, tale efficacia possa essere conseguita. Si è anzi opportunamente rilevato come l’eterogeneità dei casi di rinvio e delle tecniche d’intervento adoperate dal legislatore escludano «una omogeneità degli effetti prodotti», in primis con riferimento all’efficacia soggettiva del contratto collettivo: tale omogeneizzazione finirebbe, infatti, con l’appiattire «la grande ricchezza delle fattispecie di collegamento tra fonte legale e previsioni contrattuali, in una sorta di surrettizia riedizione dei decreti del 1959» (202).
(200) Il passo è tratto da BALLESTRERO, op. cit., 364. Sulla stessa lunghezza d’onda pare collocarsi PERA, Il trentanovismo è nelle cose, PD, 1985, spec. 507-508, che del pari trae l’efficacia generale del contratto collettivo dal rinvio legale e dall’operare di un principio maggioritario nella stipulazione del contratto collettivo: altrimenti – sostiene l’autore – «resteremmo bloccati per sempre innanzi alle esigenze sociali»; con specifico riferimento ai contratti di solidarietà, cfr. PESSI R., Funzione e disciplina dei contratti di solidarietà, DLRI, 1985, 347; di recente, ROMEI, L’autonomia collettiva nella dottrina giuslavoristica, cit., 214-215, il quale giunge alla medesima conclusione, pur precisando che «il contratto non muta natura, è il contesto che muta e che determina quasi un’illusione ottica, per cui è il contratto collettivo ad assumere una efficacia generale, tipica della norma di legge». Contra, con diverse argomentazioni tese a confutare che il rinvio legale possa sic et simpliciter attribuire efficacia generale al contratto collettivo, cfr. PEDRAZZOLI, op. cit., 581 ss.; D’ANTONA, Contrattazione collettiva e autonomia individuale, cit., 559; XXXXX, op. cit., 95; BELLOCCHI, Libertà e pluralismo sindacale, Padova, Cedam, 1998, 213; PERSIANI, op ult. cit., 810; LASSANDARI, Il contratto collettivo aziendale e decentrato, Milano, Xxxxxxx, 2001, 250-
251 ma passim; CARABELLI-LECCESE, Una riflessione sul sofferto rapporto tra legge e
autonomia collettiva, cit., 382 ss.
(201) XXXX, op. cit., 265.
(202) XXXXXXXXXX, op. cit., 250-251.
L’approccio più opportuno al problema dell’efficacia soggettiva è, a som- messo avviso di chi scrive, quello che si propone di analizzare partitamente le singole fattispecie considerate, al fine di misurare gli effetti via via prodotti dall’interazione tra legge e contratto collettivo. Cosi procedendo – pare – il detto problema ne dovrebbe uscire in larga misura sdrammatizzato: una rapi- da rassegna dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale dovrebbe, in altri termini, scongiurare il timore che dal mancato conseguimento dell’efficacia erga omnes del contratto collettivo oggetto di rinvio scaturisca l’inanità dello strumento regolativo predisposto dal legislatore.
Com’è ben noto, le situazioni più delicate, ove difficilmente si può rinun- ciare a che il contratto collettivo spieghi i propri effetti sull’intera comunità di lavoratori, sono quelle attinenti l’intervento del sindacato nelle vicende di crisi e/o riorganizzazione aziendale. In tali vicende, il mantenimento parziale o integrale dell’occupazione può giustificare la riduzione di alcune garanzie in- dividuali, in processi che contemplano spesso la stipulazione di un contratto collettivo.
È, peraltro, evidente come il problema dell’efficacia soggettiva subisca qui un rovesciamento di prospettiva. L’attenzione, infatti, è tradizionalmente ri- volta alla posizione del datore di lavoro. E più in particolare, al dato dell’iscrizione all’associazione stipulante (o del rinvio contenuto nel contratto individuale o nella lettera di assunzione o, ancora, dell’applicazione del con- tratto collettivo per facta concludentia), dal quale dedurre l’applicabilità nei con- fronti di tutto il personale occupato, in virtù di tutta una serie di argomenta- zioni (203). Per contro, il punto di caduta della contrattazione «ablativa» o «in perdita» finisce per essere quello dell’iscrizione dei singoli lavoratori ai sinda- cati stipulanti o, comunque, di un esplicito o implicito atto di adesione al con- tratto collettivo. Perciò, il dissenso in grado di minare la tenuta dell’equilibrio raggiunto non è quello del datore di lavoro (tanto più che nelle vicende in esame il datore si presenta spesso in veste di diretto contraente o comunque di interessato a che il contratto sia applicato), ma quello espresso dal singolo la- voratore, da gruppi di lavoratori, o da sindacati dissenzienti (204).
(203) XXXXXXXXXX, op. cit., 246 ss. In giurisprudenza xxx. xx xx. Xxxx. 0 xxxxxx 0000, x. 0000, XX, 1978, I, 2431.
(204) SCIARRA, Pars pro totum, totum pro parte. Diritti individuali e interesse collettivo, LD, 1987, 465 ss.
È frequente in dottrina il rilievo che, in presenza di una contrattazione ten- denzialmente acquisitiva e, più in generale, di una relazione addizionale tra legge e contratto collettivo, al sindacato non sia richiesta una speciale legitti- mazione negoziale, «data l’utilità del risultato per tutti e la libertà di ciascuno di migliorarlo» (205). In tali situazioni si può identificare, senza eccessivi pate- mi, l’interesse coagulato nell’azione contrattuale del sindacato con quello dell’intera comunità di lavoratori compresi nell’ambito negoziale (206).
L’emergere di una logica ablativa nella contrattazione, soprattutto azienda- le, pone invece, con urgenza, il problema del dissenso, non solo tra sindacati in dissidio sulla linea da tenere, ma anche tra gruppi di lavoratori in conflitto sulla distribuzione dei sacrifici richiesti per fronteggiare la «crisi di turno» (207). Affiora così il problema del «chi rappresenta chi come, in base a quale man- dato e con quale responsabilità» (208). È quasi superfluo aggiungere che il legi- slatore, da un lato, non esita a valorizzare il ruolo del sindacato, ma dall’altro, si astiene sistematicamente dall’intervenire sui temi dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo e della regolazione degli agenti negoziali. Al più, il le- gislatore si limita a selezionare l’agente negoziale abilitato a contrarre – o il
(205) D’ANTONA, L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro, cit., 124.
(206) Il dato comune – lo si ritrova spesso nella riflessione dottrinale a margine di pronunce della magistratura o in interventi di più ampio respiro – è la frantumazione dell’interesse collettivo in una intricata serie di micro-interessi e micro-conflitti: un capovolgimento, dunque, del rapporto interesse collettivo-diritti individuali. O, che dir si voglia, il superamento della logica unificante che faceva perno sull’azione contrattuale del sindacato, quale soggetto in grado di aggregare e sintetizzare gli interessi particolari in quello comprensivo dei bisogni di una (più o meno ampia) collettività, per affermare la vincolatività generalizzata degli accordi sottoscritti: cfr. SCIARRA, op. cit., 477. Altri settori della dottrina invitano, per contro, a non enfatizzare il dato della «frantumazione» dell’interesse collettivo: il quale resterebbe pur sempre «un interesse indivisibile, sintesi e non somma dei loro interessi individuali»; anche in presenza di una contrattazione di marca non acquisitiva, esso resta comunque unitario nella misura in cui persegue anche «la funzione di comporre un conflitto di interessi tra lavoratori, ovvero tra lavoratori, datori di lavoro e utenti dei pubblici servizi essenziali». Del resto, «anche in tradizionali contratti collettivi
«acquisitivi», perseguendo un interesse collettivo, non necessariamente perseguono
l’interesse di ciascuno dei lavoratori, tant’è che la loro inderogabilità segna la prevalenza dell’interesse indivisibile del gruppo su quello dei suoi singoli componenti» (le citazioni sono tratte da PERSIANI, op. ult. cit., 20).
(207) DE XXXX XXXXXX, L’evoluzione dei contenuti delle tipologie della contrattazione collettiva, cit., 26-27.
(208) D’ANTONA, L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro, cit., 124, 143- 144.
contratto collettivo al quale si rinvia, secondo le varie ricostruzioni – in base alle qualità rappresentative, lasciando all’interprete il delicato compito di de- lineare i confini della fattispecie (209).
In tal guisa, se il proliferare di una logica concessiva negli accordi collettivi a ridosso della crisi d’impresa reca un’inevitabile eterogenesi «dell’interesse fi- nale da astrattamente indivisibile in concretamente divisibile» (210), l’assenza di un quadro giuridico-istituzionale ben definito si traduce, altrettanto inevitabil- mente, nel rischio del proliferare di azioni individuali in grado, potenzialmen- te, di minare la tenuta degli accordi (211).
Il problema dell’efficacia soggettiva degli accordi a ridosso di vicende di crisi o riorganizzazione aziendale è stato, tuttavia, sensibilmente ridimensio- nato. La giurisprudenza, anche costituzionale, si è infatti mostrata incline ad assecondare – con soluzioni, invero, non sempre coerenti ed esenti da critiche
(212) – l’operato di un legislatore che non solo non è intenzionato a dare attua- zione all’art. 39 Cost., ma tende costantemente a obliterarne il disposto (213). Più che di una definitiva soluzione al problema dell’efficacia soggettiva e al nodo degli agenti negoziali e della rappresentanza – che richiederebbero un intervento del legislatore (214) – si tratta del ricorso a veri e propri «espedienti», comunque in grado, per lo più, di garantire la tenuta degli accordi (215).
V’è da menzionare, in relazione agli accordi conclusi nell’ambito di una procedura di mobilità, la dottrina della «procedimentalizzazione» dei poteri
( 209 ) Cfr., per tutti, CAMPANELLA, Rappresentatività sindacale: fattispecie ed effetti, Milano, Xxxxxxx, 2000; XXXXXXXXXXX, Contratto collettivo, rappresentanza, rappresentatività sindacale: spunti per un dibattito, DLRI, 2009, 551 ss.
(210) SCIARRA, op. cit., 478.
(211) Scorrendo i fascicoli delle riviste di settore non è arduo reperire esempi del moltiplicarsi di intricate vicende contrattuali, talvolta seguite da lunghi strascichi giudiziari (il caso dell’accordo Alfa Romeo del 9 marzo 1982 su tutti), in cui la tenuta degli accordi sindacali (sui criteri di scelta dei lavoratori da porre in cig, oppure su una riduzione concordata dell’orario di lavoro e della retribuzione, ma anche sull’adibizione a «lavori pesanti» o «lavoro notturno» per le lavoratrici) è messa a dura prova dalle frizioni emerse tra gruppi di lavoratori e/o tra organizzazioni sindacali.
(212) Cfr., per impostazioni diverse, VALLEBONA, op. cit., passim; XXXXXXXXXX, op. cit., spec. 249 ss. Per una ricostruzione delle posizioni dottrinali e degli orientamenti giurisprudenziali, XXXXXXXXXXX, op. cit., 89 ss.
(213) MENGONI, Legge e autonomia collettiva, cit., 697.
(214) Tra i molti in questo senso, DE XXXX XXXXXX, op. ult. cit.
(215) RUSCIANO, op. cit., 193, ma passim.
datoriali (216), recepita, in buona sostanza, dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 268/1994 (217). Questa dottrina ha contribuito a ridurre la rilevan- za pratica della questione e a stigmatizzare il problema del dissenso (218).
In materia di contratti di solidarietà difensivi, benché in dottrina non vi sia accordo sul regime giuridico del contratto collettivo (219), occorre prendere at- to che, secondo una consolidata giurisprudenza della Cassazione, «la riduzio- ne di orario e di retribuzione, prevista dalla legge, opera erga omnes non in vir- tù di una efficacia generale del contratto di solidarietà, ma in virtù del prov- vedimento amministrativo di ammissione all’integrazione salariale, rispetto al quale il contratto vale solo come presupposto» (220).
In dottrina e in giurisprudenza non si è mancato, inoltre, di valorizzare il comportamento concludente del singolo lavoratore, in termini di implicita ac- cettazione o espressa ratifica di accordi «distributivi di sacrifici» conclusi da un sindacato al quale gli stessi non erano iscritti o non avevano conferito al- cun mandato (221).
Si tratta, tuttavia, di «espedienti» (222), che, in quanto tali, si rivelano di mi- nore impatto allorché non sia configurabile un intreccio tra autonomia collet-
(216) Cfr. LISO, op. cit.
(217) X. xxxx x. 000.
(218) Un ragionamento non dissimile è valso, inoltre, per spiegare l’efficacia dei contratti collettivi ex artt. 4 e 6, l. n. 300/1970, i quali, sebbene non dismissivi di diritti individuali (o in deroga in senso stretto), si caratterizzano comunque per una stretta interazione tra legge, autonomia collettiva ed (eventualmente) un provvedimento dell’autorità amministrativa.
(219) Cfr. per diverse impostazioni PESSI R., op. cit., 347; D’ANTONA, Pubblici poteri nel mercato del lavoro, cit., 234.
(220) Ex pl. cfr. Cass. 28 novembre 2007, n. 24706. La soluzione, peraltro, non è lontana da quella che la giurisprudenza fornisce in materia di CIG.
(221) In dottrina, cfr. VALLEBONA, op. cit., passim; LECCESE, op. cit., 490, dopo aver richiamato i «fragili escamotages di volta in volta elaborati da giurisprudenza e dottrina», osserva che nella via per la generalizzazione degli effetti dei contratti collettivi abilitati dal rinvio ad operare in deroga alla legge, «un eccellente meccanismo di imputazione degli effetti sui singoli rapporti di lavoro sarà rappresentato dall’accettazione da parte del lavoratore della disciplina negoziale derogatoria».
( 222 ) Nella letteratura di settore, l’espressione «espedienti», si badi, fa peraltro riferimento, oltre che alla giurisprudenza sugli accordi conclusi nell’ambito della procedura di mobilità, anche alla giurisprudenza in materia di contratti collettivi xx xxx. 0, x. x. 000/0000 (X. cost. 18 ottobre 1996, n. 344, FI, 1997, I, 381) e in materia di contratti collettivi nel pubblico impiego (Corte cost. 16 ottobre 1997, n. 309, RIDL, 1998, II, 33 ss.).
tiva e atto amministrativo, oppure sia più arduo ricondurre gli effetti del con- tratto collettivo sul rapporto individuale all’esercizio di un potere datoriale, o infine non sia ravvisabile un comportamento concludente del lavoratore.
In mancanza di soluzioni estensibili alla generalità dei casi di rinvio al con- tratto collettivo (in deroga, ma non solo), la posizione più prudente è di nega- re che il rinvio legale produca una mutazione del regime giuridico del contrat- to collettivo e, in particolare, un’estensione erga omnes dei suoi effetti (223). Ove non sia possibile il ricorso ai detti espedienti non stupisce che, a fronte del proliferare di accordi in deroga, la giurisprudenza tenda piuttosto al recupero di un’impostazione marcatamente privatistica.
Si può richiamare, a sostegno di tale affermazione, la giurisprudenza in materia di contratti collettivi ex l. n. 903/1977: il contratto collettivo abilitato a rimuovere o rimodulare il divieto legale spiega[va] la propria efficacia soltan- to nei confronti delle lavoratrici iscritte al sindacato stipulante, o che abbiano altrimenti aderito all’accordo (224). Si può richiamare, altresì, la giurispruden- za in materia di trasferimento di azienda in crisi: ove è tenuto distinto il piano dell’abilitazione a operare in deroga a una norma imperativa (art. 2112 c.c.), che «si giustifica con lo scopo di conservare i livelli occupazionali» (225), da quello dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo. Al contratto collettivo ex art. 47, l. n. 428/1990 la giurisprudenza riconosce «efficacia vincolante nei confronti dei lavoratori iscritti alle associazioni stipulanti o che abbiano suc- cessivamente aderito all’accordo» (226). Del resto, anche nei casi in cui la con- trattazione collettiva ablativa operi, per così dire, al di fuori di un’investitura
(223) Cfr. XXXX, op. cit., passim; D’ANTONA, Pubblici poteri nel mercato del lavoro, cit., 234, 258 (ma per una evoluzione e una diversa impostazione nel pensiero dell’autore cfr. Il quarto comma dell’art. 39, cit.); SCIARRA, op. cit.; GRANDI, op. cit., 163; XXXXX, op. cit., 95; VALLEBONA, op. cit., passim; CARABELLI-LECCESE, op. cit., 382 ss.; XXXXXXXX M.G., Per una teoria giuridica del contratto collettivo: qualche osservazione di metodo, DLRI, 2011, 532-533; SANTONI, Contrattazione collettiva e principio di maggioranza, RIDL, 2013, I, 93, 96.
(224) Cass. 24 aprile 1993, n. 4802, GI, 1994, c. 749 ss., nota di XXXXXXXXXX; MGL, 1993, 352, nota di XXXXXXXXX, In dottrina, per una ripresa dei termini del dibattito giurisprudenziale cfr. BELLOCCHI, Diritto sindacale giurisprudenziale, in D’ANTONA (a cura di), Letture di diritto sindacale, cit., 539 ss.
(225) Ex pl. Cass. 4 novembre 2014, n. 23473.
(226) Ex pl. Cass. 13 novembre 2001, n. 14098, NGL, 2002, 113; Cass. 19 maggio 1990, n. 4543, MGI, 1990, con riferimento alla disciplina precedente la l. n. 428/1990.
legale, la giurisprudenza di legittimità è ferma nell’affermare che l’efficacia tendenzialmente generale (del contratto aziendale) si arresta di fronte al prin- cipio di libertà sindacale e, in specie, al dissenso manifestato dai lavoratori aderenti a sindacati diversi da quello stipulante, o non sindacalizzati (227).
La ricostruzione tesa ad affermare l’efficacia erga omnes del contratto collet- tivo oggetto di rinvio è, in definitiva, poco convincente. Oltre a essere sfornita di solide basi di diritto positivo, «essa si avvale di argomenti induttivi e di ratio tutt’altro che probanti» (228), che la rendono un’argomentazione circolare, che pare di poter riassumere così: il contratto collettivo deve avere efficacia erga omnes e pertanto spiega efficacia erga omnes (229). Per di più, in attesa di Godot (rectius, di una legislazione sulla rappresentanza sindacale) la tesi dell’erga omnes si rileva persino «pericolosa», specie se si tiene a mente il monito di Xxxxxxx Xxxxxx a «stare attenti» alle «conseguenze che si possono trarre dall’offuscarsi dei principi che formano l’architettura di base del diritto comu- ne, quando frettolosamente li si considerino sorpassati, in nome di quell’insieme di sottosistemi legislativi che compongono il x.x. «xxxxxxx xxx xx- xxxx xxxxx xxxxx»» (230).
(227) Cass. n. 1403/1990, citata retro a nota n. 199; Cass. 28 maggio 2004, n. 10353, RIDL, 2005, II, 312 ss., nota di XXXXXXX. In dottrina cfr. oltre agli autori citati retro a nt. n. 223, GRAGNOLI, La tutela della libertà individuale e lo spazio del gruppo organizzato, RGL, I, 315 ss.; XXXXXXXXXX, Il contratto collettivo aziendale, in XXXXX (a cura di), Organizzazione sindacale e contrattazione collettiva, in CARINCI F.-PERSIANI, Trattato di diritto del lavoro, cit., 717 ss.
(228) Così, GRANDI, op. cit., 159.
(229) XXXXX, op. cit., 202, efficacemente osserva: la tesi che afferma l’efficacia generale del contratto collettivo oggetto di rinvio muovendo dalla «perdita [in caso contrario] di efficienza o addirittura di senso del rinvio da parte della legge», finisce per evidenziare «tutta la carica di strumentalità della costruzione che sembra avere il sapore di un espediente per risolvere un problema di carattere pratico» (nt. 103).
(230) XXXXXX, L’intervento del giudice nel conflitto industriale, cit., 498, il quale prosegue osservando che « l’emergenza, come è noto, tende poi a trasformarsi in stabilità d’un nuovo diritto, che però coesiste – ed, appunto, nelle ipotesi previste – con il vecchio, e su di esso si stratifica».
4. Il governo del mercato del lavoro «esterno all’impresa»: (a) alcune rifles- sioni sui provvedimenti adottati tra i tardi anni ’70 e gli anni ’90.
Un altro dei terreni elettivi per il rinvio dalla legge al contratto collettivo è quello del governo del mercato del lavoro «esterno all’impresa». L’espressione allude all’allentamento, per xxx xxxxxxxxx, xx xxxxxx xxxxxxx legali connessi all’instaurazione e/o allo svolgimento del rapporto di lavoro. Prende forma, con una serie di provvedimenti adottati a partire dai tardi anni ’70, una diver- sificazione dei modi di utilizzo della manodopera rispetto a quella standard del lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato e, più in generale, una rimodulazione dell’apparato garantistico associato al contratto di lavoro su- bordinato: con l’obiettivo, per lo più, di assecondare le istanze di flessibilità avanzate dalle imprese e, al contempo, incrementare l’occupabilità di fasce della forza lavoro tradizionalmente poste ai margini del mercato, o rese diffi- cilmente ricollocabili a seguito del coinvolgimento in vicende di crisi, riorga- nizzazione o ristrutturazione aziendale.
In questo paragrafo si prenderanno in considerazione provvedimenti ap- provati nel periodo che va dai tardi anni ’70 alla fine degli anni ’90, laddove nel prossimo paragrafo si coprirà il periodo che va dai primi anni duemila all’oggi. Benché gli ambiti di regolazione siano il più delle volte sovrapponibi- li, è dato rilevare una certa difformità nei modi in cui è operato il rinvio al contratto collettivo – o, persino, una diversa sensibilità del legislatore nei con- fronti dell’autonomia collettiva – che suggerisce di tenere, per quanto possibi- le, separati i piani del discorso.
Si considerino, senza pretese di completezza (231), i dispositivi legali previsti nell’ambito dei seguenti ambiti di regolazione.
(i) I contratti collettivi previsti dagli artt. 1, co. 4, e 5, co. 2, l. n. 903/1977, in materia di parità uomo-donna, ai quali si è fatto cenno retro.
(ii) Il settore nel quale il legislatore interviene con maggiore insistenza è quello dei «lavori flessibili». In un primo momento, con un’apertura a ipotesi extra-legali di apposizione del termine al contratto di lavoro «per le punte sta-
( 231 ) Un catalogo più completo, sebbene naturalmente aggiornato alla data di pubblicazione, di dispositivi legali di rinvio al contratto collettivo per il governo del mercato del lavoro «esterno all’impresa» in BELLOCCHI, Libertà e pluralismo sindacale, cit., 217 in nota; nonché in LASSANDARI, Il contratto collettivo aziendale e decentrato, cit. 177 ss. Da ultimo cfr. XXXXXXXXXXX, op. cit., 551 ss.
gionali», previo accertamento dell’Ispettorato del lavoro e «sentite le organiz- zazioni sindacali provinciali di categoria, maggiormente rappresentative» (art. 1 d.l. n. 876/1978, conv. l. n. 18/1978) (232). L’intervento più importante, in materia, è realizzato con l’art. 23, l. n. 56/1987. La contrattazione collettiva è qui destinataria di una vera e propria «delega in bianco», condizionata soltan- to all’introduzione di limiti quantitativi (233): l’individuazione di ipotesi extra- legali di legittima stipulazione di contratti a termine è rimessa direttamente ai
«contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderen- ti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale».
(iii) In materia di contratti di formazione e lavoro, l’art. 3, co. 3, l. n. 863/1984 esonera dall’approvazione della Commissione regionale per l’impiego i progetti conformi «alle regolamentazioni del contratto di forma- zione e lavoro concordate tra le organizzazioni sindacali nazionali dei datori di lavoro e dei lavoratori aderenti alle confederazioni maggiormente rappre- sentative, recepite dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale».
(iv) In materia di lavoro part-time, l’art. 5 della l. n. 863/1984 affida ai «con- tratti collettivi, anche aziendali» la determinazione di taluni profili di discipli- na del rapporto (mansioni, modalità temporali di svolgimento della prestazio- ne, lavoro supplementare, limiti quantitativi) (234).
(v) Dopo aver generalizzato la richiesta di assunzione nominativa e intro- dotto una certa percentuale di riserva di assunzione a favore di determinate categorie di lavoratori, la l. n. 223/1991 prevede all’art. 25, co. 2 che i «con- tratti collettivi di categoria» possano escludere talune «qualifiche apposita- mente individuate» dall’obbligo di riserva di assunzione (235).
(vi) La medesima tecnica sperimentata con l’art. 23, l. n. 56/1987 è utiliz- zata in materia di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo: l’art. 1, co. 2,
(232) Il provvedimento, originariamente a termine e limitato ai settori del commercio e del turismo, viene successivamente prorogato ed esteso anche agli altri settori economici (art 0 xxx x.x. x. 00/0000 xxxx. l. n. 79/1983).
(233) Come affermato dalla Cassazione, in una serie di pronunce con le quali ha riconosciuto la legittimità di ipotesi di apposizione del termine riferite a causali oggettive e soggettive: per una ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali cfr. XXXXXXXX, Il lavoro a tempo determinato, in CESTER (a cura di), Il rapporto di lavoro subordinato, cit., 1213 ss., spec. 1222 ss.
( 234 ) La legge non opera alcuna selezione degli agenti negoziali ai fini della stipulazione del contratto collettivo oggetto di rinvio.
( 235 ) La legge non opera alcuna selezione degli agenti negoziali ai fini della stipulazione del contratto collettivo oggetto di rinvio.
lett. a), l. n. 196/1997 rimette l’individuazione dei casi di ricorso alla nuova figura contrattuale ai «contratti collettivi nazionali della categoria di apparte- nenza dell’impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi». È affidata, altresì, alla contrattazione collettiva la regolazio- ne di taluni profili della disciplina del rapporto, tra i quali spiccano la previ- sione di limiti quantitativi (art. 1, comma 8), il concorso nella determinazione del trattamento retributivo (art. 4, comma 2) e l’indennità di disponibilità (art. 4, comma 3).
I provvedimenti menzionati determinano un arricchimento dei contenuti, oltre che delle funzioni (ma il punto è controverso), della contrattazione col- lettiva, alla quale è rimessa, in sostanza, la ricerca di un punto di equilibrio tra occupazione stabile e occupazione flessibile (236): alle parti sociali è attribuito, in guise diverse nei vari ambiti considerati, il delicato compito di valutare l’an, il quomodo e il quantum delle «dosi» di flessibilità da immettere nel mercato del lavoro (237).
Non sfugge, peraltro, come nei casi in esame non sia agevole ricondurre l’attività contrattuale del sindacato alla «mera» rappresentanza degli interessi collettivo-professionali dei lavoratori iscritti (238). Con tutta evidenza, l’azione contrattuale si pone in una prospettiva di più ampio respiro, qual è quella di
«organizzazione del mercato del lavoro», ove il sindacato è chiamato a svol- xxxx una selezione – o una sintesi – di interessi eterogenei: eterogenei, eppure non necessariamente confliggenti tra loro, specie ove si tenga presente che le finalità occupazionali, benché sovente perseguite attraverso una diminuzione del livello di tutela individuale, vanno spesso incontro tanto alle esigenze dell’impresa quanto a quelle del lavoro. È calzante, allora, il rilievo che «il sindacato negozi nell’interesse di soggetti formalmente non occupati» (239) o, con precipuo riguardo alla contrattazione aziendale, che negozi nell’interesse
«di persone esterne al contesto aziendale» (240). Nel filone normativo in esame,
(236) D’ANTONA, Pubblici poteri nel mercato del lavoro, cit., 262-264, in termini di
«moderazione ed anche di orientamento sulla domanda di manodopera per impieghi flessibili».
(237) D’ANTONA, Contrattazione collettiva e autonomia individuale, cit.
(238) DE XXXX XXXXXX, op. ult. cit., 27; XXXXXXX XXXXXXXXXX G., op. cit.
(239) XXXXXXXXX, op. ult. cit., 218.
(240) XXXXXXXXXX, op. ult. cit., 197.
il legislatore fa ampio uso del criterio della rappresentatività sindacale (241), in un primo momento «maggiore» e, a partire dalla metà degli anni ’90, «compa- rata» (242). L’uso di tale criterio, nelle sue due estrinsecazioni principali, non dà adito tuttavia a particolari perplessità (243), atteso che non si vengono a creare aspri conflitti di interesse tra sindacato e lavoratori e tra gruppi di lavo- ratori – diversamente da quanto accade sovente con la contrattazione in dero- ga o ablativa. La selezione dell’agente negoziale risponde all’esigenza di inve- stire di un compito sì delicato un soggetto «particolarmente affidabile», in grado di «specificare particolari situazioni, mutevoli a seconda dei vari ambiti, che la rigidità dello strumento legislativo non sarebbe in grado di cogliere» (244).
Il governo contrattato del mercato del lavoro esterno all’impresa non do- vrebbe sollevare particolari perplessità con riguardo alla natura e all’efficacia soggettiva del contratto collettivo. Sotto il primo profilo, la dottrina prevalente conferma la ricostruzione del contratto collettivo alla stregua di atto negoziale (245), pur se destinato a costituire «un elemento di integrazione di una fattispe- cie alternativa della norma legale» (246). Infatti, secondo un’impostazione lar- gamente condivisa, il rinvio legale assume il contratto collettivo nella sua tipi- cità sociale, in funzione di specificazione, integrazione o deroga del precetto legale.
(241) Se si eccettuano i casi della l. n. 903/1977 sulla parità uomo-donna e dell’art. 5,
l. n. 863/1984 in materia di lavoro part-time: peraltro, secondo XXXXXXX, op. ult. cit., il mancato riferimento al criterio selettivo del s.m.r. si spiega con la scarsa rappresentatività del sindacalismo confederale in tali contesti socio-produttivi.
(242) Il criterio della maggiore rappresentatività comparata fa la sua comparsa con l’art. 2, comma 25, l. n. 549/1995, di interpretazione autentica dell’art. 1, d.l. n. 338/1989, in materia di calcolo della base retributiva per i contributi previdenziali, al fine di arginare il fenomeno dei «contratti pirata»: cfr., tra gli altri, XXXXXXXXXX, Pluralità di contratti collettivi per la medesima categoria, LD, 1997, 261 ss.
(243) In questi termini BELLOCCHI, op. ult. cit., 221.
(244) LISO, op. cit., 262.
( 245 ) Cfr., con impostazioni diverse, XXXXXXXX, op. ult. cit., 176; D’ANTONA, L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro, cit., 148 (per un’impostazione in parte diversa del medesimo autore, cfr. Il quarto comma dell’art. 39, cit., ove si prende in considerazione la tesi della natura di fonte extra-ordinem del contratto collettivo oggetto di rinvio legale); XXXXXXXXX, op. ult. cit., 154, 216 ss.; PERSIANI, Contratti collettivi normativi e contratti collettivi gestionali, cit.; DELL’OLIO, Il diritto del lavoro italiano e le sue fonti, DLRI, 2002, 518 ss.; LECCESE, op. cit., 496.
(246) In questi termini, MENGONI, Legge e autonomia collettiva, cit., 305.
Sotto il secondo profilo, il discorso si rivela, invero, più complesso e la dot- trina più sfaccettata (247). Pare, a ogni modo, di poter convenire che, in mate- ria di governo del mercato del lavoro esterno all’impresa, quello dell’efficacia soggettiva sia un «falso problema» (248). Non è necessario, a ben vedere, inse- guire a tutti i costi l’erga omnes (249), atteso che, nel solco della ricostruzione più accreditata, la legittimazione a contrarre attribuita alle parti individuali è ri- conducibile a un effetto legale «terzo» o «costitutivo»: un effetto diverso da quelli – normativo e obbligatorio – tradizionalmente riconducibili alla stipula- zione del contratto collettivo. L’effetto terzo di per sé «non implica una disci- plina del contratto collettivo come fonte, e neppure ne altera la natura negozia- le, limitandosi a collegare al contratto collettivo come fatto costitutivo, l’effetto di legittimare una attività contrattuale futura dei singoli lavoratori e datori di lavoro» (250). Il tratto distintivo dell’effetto legale – particolarmente evidente in materia di accesso ai lavori flessibili – risiede in una legittimazione a contrarre attribuita alle parti del rapporto individuale: la stipulazione del con- tratto collettivo, eventualmente combinandosi con un atto amministrativo, consente la rimozione di vincoli di origine legale, legittimando il datore e il lavoratore ad avvalersi di moduli diversi da quello standard del lavoro a tem- po pieno e indeterminato o, comunque, a rimodularne le tutele.
(247) Per una ricostruzione del dibattito sul punto, cfr. XXXXXXXX, Contratti collettivi e lavori flessibili, in XXXXXXXX-ZOPPOLI (a cura di), Contratto collettivo e disciplina dei rapporti di lavoro, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2004, II ed., 175 ss.
(248) D’ANTONA, Contrattazione collettiva e autonomia individuale, cit., 557.
( 249 ) In materia di contrattazione collettiva delegata e lavori flessibili, la giurisprudenza si è occupata, invero, raramente del profilo dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo; la qual cosa, detto per inciso, conferma indirettamente che si tratti di un «falso problema». Il contenzioso si è focalizzato su altri aspetti, ad esempio (stando all’ipotesi più rilevante, quella del contratto a termine) l’ampiezza del potere delegato alle parti sociali (la configurabilità di una «delega in bianco» nell’individuazione delle ipotesi di legittima apposizione del termine) e le conseguenze della mancata previsione e/o della violazione dei limiti quantitativi. In uno dei pochi precedenti editi, a quanto consta, della Suprema Corte ove si afferma l’efficacia generale del contratto collettivo delegato xx xxx. 00, x. x. 00/0000 (Xxxx. 11 dicembre 2002, n. 17674, FI, 2003, I, 443), pare sia rilevabile un errore di prospettiva. Infatti, il contratto collettivo, nel caso di specie, era pacificamente applicabile al datore di lavoro in virtù dei consueti meccanismi della rappresentanza, e il problema si poneva semmai con riferimento alla posizione del solo lavoratore: al riguardo, come ben rilevato in dottrina (XXXXXXXX, Contratti a termine, in CARINCI
F. (a cura di), Contrattazione in deroga, cit., 436-437), l’adesione al contratto collettivo
era in realtà palesata dalla stipula del contratto individuale.
(250) D’ANTONA, L’autonomia individuale nelle fonti del diritto del lavoro, cit., 148.
Se poi si tiene separata, come pare opportuno, la posizione del datore di lavoro da quella del lavoratore si potrà effettuare qualche precisazione.
Per quanto riguarda il datore di lavoro, è preferibile l’opinione per la quale l’effetto legale non si produce solo nei confronti degli aderenti alle associazio- ni stipulanti, o «parti in senso stretto» del contratto collettivo (251), bensì anche nei confronti di coloro che, a seguito di un atto di volontà esplicito o manife- stato per facta concludentia, comunque applichino il contratto collettivo (252); in un’ottica quindi premiale, o di incentivo all’estensione del sistema contrattua- le (253). L’estensione erga omnes degli effetti del contratto collettivo, oltre a es- sere sfornita, ancora una volta, di solide basi di diritto positivo, si porrebbe quindi in contrasto con la ratio dell’intervento legislativo in materia di lavori flessibili. L’estensione della legittimazione a contrarre anche ai datori di lavo- ro non iscritti alle associazioni stipulanti (o che abbiano, in altre forme, aderi- to al contratto) avrebbe, infatti, impedito al sindacato di esercitare un minimo controllo sulla ri-organizzazione del mercato del lavoro, id est sulla diffusione di moduli contrattuali flessibili, comportandone, di fatto, una piena liberaliz- zazione, che il legislatore degli anni ’80 e ’90 si era invece guardato bene dal realizzare (254).
(251) Come pure aveva sostenuto D’XXXXXX, Pubblici poteri nel mercato del lavoro, cit., 266; ID., Contrattazione collettiva, cit., 557.
(252) Nella sua interezza, come pare preferibile (RUSCIANO, op. cit., 189), oppure, secondo altra ricostruzione, limitandosi alle sole norme regolatrici del tipo negoziale (BELLOCCHI, op. ult. cit., 222-223).
(253) Per tutti, XXXXXXXX, op. cit., 189; LECCESE, op. cit., 499 spec. nota n. 90; contra LISO, op. cit., 261 ss., per il quale in tal modo «il rinvio assumerebbe il significato di un inaccettabile privilegio attribuito alle organizzazioni datoriali firmatarie», con il rischio di una lesione del principio di libertà sindacale. La ratio del rinvio, secondo Xxxx, non sarebbe dunque promozionale o premiale (o lato sensu politica), bensì rinvenibile nell’esigenza, di carattere generale e perseguita dai sindacati in veste di
«pubblici poteri», a che sia l’autonomia collettiva «a specificare situazioni, mutevoli a seconda dei vari ambiti, che la rigidità dello strumento legislativo non sarebbe in grado di cogliere» (262).
(254) Per la considerazione che i processi di delegificazione non siano ascrivibili ad una politica schiettamente liberistica di ritorno al mercato, ma siano volti ad una progressiva liberalizzazione del mercato del lavoro, cfr. per tutti GIUGNI, Giuridificazione e deregolazione, cit. Conferma ne sia, del resto, che quando si è voluto procedere con una progressiva liberalizzazione di tali forme contrattuali – si è voluto cioè renderle accessibili a tutti i datori di lavoro e i lavoratori – il legislatore, non potendo contare su una contrattazione collettiva ad efficacia soggettiva limitata, è intervenuto direttamente sulla fattispecie senza il filtro del controllo sindacale (d. lgs.
n. 368/2001 per il contratto a termine e d. lgs. n. 276/2003 per la somministrazione
Non dovrebbero, infine, sorgere particolari perplessità, allorché ci si ponga dal lato del lavoratore: di più, se nella prospettiva del datore quello dell’efficacia soggettiva è un «falso problema», assumendo il punto di vista del lavoratore il problema, il più delle volte, non sarebbe «neanche concettual- mente configurabile» (255). Se si tiene a mente che la contrattazione collettiva di autorizzazione insiste, sovente, su di un momento pre-contrattuale, il pro- blema del dissenso del singolo (iscritto a un sindacato diverso da quello stipu- lante o non sindacalizzato) ne esce largamente sdrammatizzato: il fatto che le condizioni di assunzione siano conformi a quelle previste dal contratto collet- tivo – rectius, che la lettera di assunzione o il contratto individuale vi facciano espressamente richiamo – «rende irrilevante la posizione del singolo (aspiran- te) lavoratore rispetto al contratto collettivo» (256).
Il fatto che il contratto collettivo oggetto di rinvio spieghi la consueta effi- cacia inter partes emerge, in modo vieppiù evidente, se si volge l’attenzione al caso della l. n. 903/1977. La legge n. 903/1977 abilita[va] il sindacato a ri- muovere o rimodulare il divieto di adibizione delle lavoratrici a lavoro not- turno o a lavori pesanti. Si badi come in questo caso sia più arduo (o non pos- sa darsi per scontato di potere) ricondurre il contratto collettivo a un «momen- to pre-contrattuale», atteso che esso potrebbe ben intervenire in un momento successivo all’assunzione della lavoratrice: il che rende di minore utilità il meccanismo del richiamo del contratto collettivo nel contratto individuale. Inoltre, la stipulazione del contratto collettivo in tale ambito potrebbe dare adito a conflitti di interessi tra gruppi di lavoratrici e a una discrasia tra legit- timazione dell’agente negoziale e posizione dei singoli: il che pare indiretta- mente dimostrato dalla presenza di contenzioso sull’ambito di efficacia sog- gettiva del contratto collettivo, il quale, per contro, è per lo più assente in ma- teria di lavori flessibili (come rilevato retro in nota n. 249). Insomma, non è un caso che secondo l’orientamento fatto proprio dalla giurisprudenza di legitti- mità, il contratto collettivo delegato ex l. n. 903/1977 spieghi i propri effetti
di lavoro).
(255) In questi termini, BELLOCCHI, op. ult. cit., 217.
(256) Così, testualmente, D’ANTONA, Contrattazione collettiva e autonomia individuale, cit., 558. Ma sul punto conformi, tra gli altri, SCIARRA, op. cit., 489; VALLEBONA, op. cit., 420; XXXXXXXXX, op. ult. cit., 217-218.
solo nei confronti delle lavoratrici iscritte al sindacato stipulante o che abbia- no altrimenti aderito all’accordo (257).
5. (Segue): (b) contratto collettivo e lavori flessibili nella legislazione degli anni duemila.
Mantenendo il fuoco dell’indagine sul governo del mercato del lavoro, è possibile fornire un elenco (scevro da pretese di esaustività) di disposizioni emanate negli anni duemila. Giova, ancora una volta, avvertire che, coeren- temente alla linea espositiva fin qui adottata, non si darà conto nel dettaglio della disciplina dei vari istituti che saranno presi in considerazione: il che sa- rebbe un fuor d’opera, non fosse altro perché si tratta di istituti più volte no- vellati negli ultimi anni (basti pensare al lavoro part-time, al lavoro a tempo de- terminato, alla somministrazione di lavoro, all’apprendistato). Si proverà, piuttosto, a seguire le direttrici d’intervento del legislatore, con l’obiettivo di verificare se sia ravvisabile, per così dire, un cambio di passo nell’utilizzo del- la tecnica del rinvio e nel coinvolgimento dell’autonomia collettiva.
(i) Con il d.lgs. n. 61/2000 (attuativo della dir. n. 97/81/CE relativa all’accordo quadro del 6 giugno 1997), dopo una quindicinale esperienza ap- plicativa basata sulle disposizioni dell’art. 5, l. n. 863/1984, il legislatore è tornato sulla disciplina del lavoro part-time. In base al testo consolidato del d.lgs. n. 61/2000, la contrattazione collettiva è destinataria di quello che po- trebbe essere definito un «rinvio aperto»: con tale espressione intendendosi una delega ampia, generica, che investe, in sostanza, i principali profili del rapporto di lavoro (258). Il «rinvio aperto» è integrato dalle disposizioni che
(257) Cass. 24 aprile 1993, n. 4802, GI, 1994, c. 749 ss., nota di XXXXXXXXXX. Affermano l’efficacia inter partes del contratto collettivo delegato ex l. n. 903/1977, tra gli altri, TOSI, op. cit.; D’ANTONA, L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro, cit., 125; nello stesso senso, anche se con accenti critici rispetto all’indirizzo giurisprudenziale, XXXXX, Questioni sulla contrattazione collettiva, cit., 27.
(258) Ai sensi dell’art. 1, co. 3, «i contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da
associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui all’articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie possono determinare condizioni e modalità della prestazione lavorativa del rapporto di lavoro di cui al comma 2. I contratti collettivi nazionali possono, altresì, prevedere per specifiche
rinviano al contratto collettivo per richiamarne espressamente la facoltà di migliorare (259), completare (260) o derogare (261) il trattamento legale.
(ii) Si tenga presente la disciplina del contratto a tempo determinato, di cui al d.lgs. n. 368/2001 (approvato sulla scia dell’accordo quadro del 18 marzo 1999 e della dir. n. 99/70/CE), più volte modificato dal legislatore negli ulti- mi anni. Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 368/2001, v’è una svolta nell’utilizzo della tecnica del rinvio dalla legge al contratto collettivo: se l’art. 23, l. n. 56/1987 aveva conferito una delega in bianco alla contrattazione col- lettiva, con la riforma del 2001 le parti sociali vengono, per così dire, espro- priate del principale strumento di controllo nell’accesso al mercato del lavoro flessibile. La valutazione esce confermata dalle recenti riforme, che hanno ri- mosso, entro certi limiti, l’obbligo di indicare una «causale» che giustifichi l’apposizione del termine al contratto di lavoro. In particolare, la l. n. 78/2014 (di conversione, con modifiche, del d.l. n. 34/2014) ha invertito una tendenza consolidata: l’individuazione di limiti quantitativi di utilizzazione dell’istituto, tradizionale presidio dell’autonomia collettiva, è ora compiuta direttamente dalla legge (art. 1, co. 1, d.lgs. n. 368/2001: nella misura del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato); salvo, in aggiunta, attribui- re «ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparati- vamente più rappresentativi», l’individuazione «anche in misura non unifor-
figure o livelli professionali modalità particolari di attuazione delle discipline rimesse alla contrattazione collettiva ai sensi del presente decreto».
(259) Art. 2, co. 1: informativa alle RSA; art. 3, co. 4: maggiorazione retributiva per lo svolgimento di lavoro supplementare e incidenza sugli istituti retributivi indiretti e differiti nel lavoro part-time orizzontale; art. 4, co. 2, lett. b): determinazione del trattamento retributivo rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili in senso più che proporzionale.
(260) Art. 3, co. 2: in merito a numero massimo delle ore di lavoro supplementare, relative causali, conseguenze del superamento dei limiti; art. 3, co. 5: disciplina del lavoro straordinario nel lavoro part-time verticale o misto; art. 3, co. 7: disciplina delle clausole elastiche e flessibili, in particolare, in relazione alle condizioni e modalità per modificare la collocazione temporale della prestazione (n. 1) e per variare in aumento la durata della prestazione (n. 2), limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione (n. 3), condizioni e modalità per l’esercizio del diritto di ripensamento del lavoratore 8n. 4); art. 4, co. 1: individuazione del lavoratore comparabile ai fini della determinazione del trattamento del lavoratore part-time.
( 261 ) Art. 3, co. 3: non necessarietà del consenso del lavoratore ai fini dello svolgimento di lavoro supplementare.
me» dei detti limiti quantitativi. Nell’impianto del d.lgs. n. 368/2001 sono poi presenti altri – rilevanti – rinvii alla contrattazione collettiva (262).
(iii) In materia di somministrazione di lavoro, di cui al d.lgs. n. 276/2003, art. 20 ss., l’evoluzione della disciplina è stata per molti versi speculare a quel- la del contratto a termine. V’è da segnalare, infatti, la riduzione degli spazi di intervento delle parti sociali aperti dalla l. n. 196/1997: il legislatore del 2003 ha revocato la delega all’autonomia collettiva, per dettare una disciplina spe- cifica per la somministrazione di lavoro a tempo determinato e indeterminato. Nel primo caso, era imposta alle parti del rapporto di somministrazione l’indicazione della «causale» (progressivamente superata con l’art. 9, l. n. 92/2012 e con l’art. 1, d.l. n. 34/2014, conv. l. n. 78/2014); nel secondo caso, la legge detta un elenco di casi in cui è ammesso il ricorso alla somministra-
(262) Art. 3, co. 1, lett. b): in punto a deroga mediante «accordi sindacali» al divieto di assunzione a termine presso unità produttive ove si sia proceduto ad un licenziamento collettivo nei sei mesi precedenti; art. 5, co. 3: deroga, nelle «ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale», al divieto di riassumere il lavoratore con contratto a termine
«entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi»; art. 5, comma 4-bis: deroga, al limite dei trentasei mesi di durata complessiva del rapporto di lavoro a termine «per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti», nelle ipotesi individuate da «contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale»; art. 5, comma 4-quater: deroga al diritto di precedenza in caso di assunzioni a tempo indeterminato di cui gode il lavoratore che, «nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi», nelle ipotesi individuate da «contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale»; art. 6: individuazione dei «lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili» ai fini del godimento per il lavoratore a termine del diritto alle ferie, alla gratifica natalizia, alla tredicesima mensilità, al trattamento di fine rapporto e ad ogni altro trattamento in atto nell’impresa, «in proporzione al periodo lavorativo prestato sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine»; art. 7, co. 2: individuazione, ad opera dei «contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi», di modalità e strumenti utili ai fini dell’espletamento del diritto alla formazione per i lavoratori a termine; art. 9, co. 1 e 2: in punto a modalità che il datore di lavoro è tenuto a osservare nel fornire informazioni ai lavoratori a termine «circa i posti vacanti che si rendessero disponibili nell’impresa» e alle rappresentanze dei lavoratori «in merito al lavoro a tempo determinato nelle aziende».
zione a tempo indeterminato, completato dall’apertura a «tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali, territoriali o aziendali stipu- lati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative». L’individuazione, «anche in misura non uniforme», di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione (a termine), è rimessa «ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi» (art. 20, co. 4, d.lgs. n. 276/2003). La disciplina consta di numerosi altri rinvii alla contrattazione collettiva (263).
(iv) In materia di lavoro intermittente (di cui al d.lgs. n. 276/2003, art. 33 ss.), è rimessa, in prima battuta, ai «contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale», l’individuazione di esigenze che giustifichino l’instaurazione di un rapporto «per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente» (art. 34, co. 1). Il legislatore rispolvera, quindi, la tecnica adoperata con l’art. 23, l. n. 56/1987. Senonché, fermo restando che il contratto può «in ogni caso» essere stipulato con soggetti rientranti nei requisi- ti di età (ex art. 34, co. 2), la funzione autorizzatoria della contrattazione col- lettiva è svilita dall’operare della «clausola di salvaguardia» prevista dall’art. 40: ai sensi del quale, in caso d’inerzia delle parti sociali, il Ministro del Lavo- ro avrebbe potuto adottare – ha, in effetti, adottato (264) – un decreto con il quale individuare «in xxx xxxxxxxxxxx» x xxxx «in cui è ammissibile il ricorso al
(263) Art. 20, co. 5, lett. b): in punto a deroga mediante «accordi sindacali» al divieto di assunzione con contratto di somministrazione a tempo determinato presso unità produttive ove si sia proceduto ad un licenziamento collettivo nei sei mesi precedenti; art. 21, co. 2: nell’osservare gli obblighi di forma del contratto di somministrazione di manodopera, le parti sono tenute a «recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi»; art. 22, co. 3: determinazione dell’indennità mensile di disponibilità per i lavoratori assunti con contratto di somministrazione a tempo indeterminato; art. 23, co. 4: ai sensi del quale «I contratti collettivi applicati dall'utilizzatore stabiliscono modalità e criteri per la determinazione e corresponsione delle erogazioni economiche correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi concordati tra le parti o collegati all'andamento economico dell'impresa»; art. 23, co. 9: deroga al divieto di apposizione di clausole limitative della facoltà dell’utilizzatore di assumere il lavoratore al termine della missione, a condizione che «al lavoratore sia corrisposta una adeguata indennità, secondo quanto stabilito dal contratto collettivo applicabile al somministratore»; art. 25, co. 3: modalità di esercizio del diritto di riunione.
(264) Si tratta del decreto ministeriale del 23 ottobre 2004, con il quale si ammette la
«stipulazione di contratti di lavoro intermittente con riferimento alle tipologie di attività indicate nella tabella allegata al regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657».
lavoro intermittente». La disciplina consta di altri rinvii alla contrattazione collettiva (265).
(v) Anche la disciplina del rapporto di lavoro di apprendistato, di cui al d.lgs. n. 167/2011, si caratterizza, in ognuna delle tre tipologie disponibili alle parti individuali, per una fitta integrazione tra legge e contratto collettivo. In ragione, anzitutto, del «rinvio aperto» di cui all’art. 2, co. 1, d.lgs. 167/2011, ai sensi del quale, nel rispetto dei principi di legge, «la disciplina del contratto di apprendistato è rimessa ad appositi accordi interconfederali ovvero ai con- tratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazio- nale». La disciplina consta poi di altri rinvii alla contrattazione collettiva (266).
(265) Art. 34, co. 3, lett. b): in punto a deroga mediante «accordi sindacali» al divieto di assunzione con contratto di lavoro intermittente presso unità produttive ove si sia proceduto ad un licenziamento collettivo nei sei mesi precedenti; art. 35, co. 2: nell’osservare gli obblighi di forma del contratto di lavoro intermittente, le parti sono tenute a «recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi»; art. 35, co. 3: l’obbligo del datore di lavoro di fornire alle RSA, con cadenza annuale, informazioni concernenti l’utilizzo del lavoro intermittente, può essere oggetto di «previsioni più favorevoli dei contratti collettivi»; art. 36, co. 1: la misura dell’indennità di disponibilità per i periodi in cui il lavoratore garantisce disponibilità in attesa di utilizzazione (con obbligo di risposta alla chiamata) «è stabilita dai contratti collettivi»; art. 36, co. 6: misura del «congruo risarcimento del danno» cagionato dal lavoratore che sia obbligato per contratto a rispondere alla chiamata, in caso di
«rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata».
(266) Art. 2, co. 1, lett. a): in punto a forma (scritta) del contratto individuale, il quale deve contenere il piano formativo individuale, predisposto anche sulla base di
«moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali»; art. 2, co. 1, lett. c): in punto a individuazione dei «lavoratori corrispondenti» ai fini dell’inquadramento dell’apprendista «fino a due livelli inferiori rispetto alla categoria spettante»; art. 2, co. 3-bis: deroga, ad opera dei «contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale», all’obbligo di stabilizzazione di una certa percentuale di apprendisti; art. 3, co. 2, lett. c): in punto a «rinvio ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative per la determinazione» delle modalità di erogazione della formazione aziendale nell’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale; art. 3, co. 2-bis: in merito alla durata massima del rapporto di lavoro, individuata dalla «contrattazione collettiva», in caso di successione tra apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale e professionalizzante; art. 3, co. 2-ter: determinazione della retribuzione dell’apprendista per conseguimento della qualifica e del diploma professionale, in cui è «fatta salva l'autonomia della contrattazione collettiva» rispetto alla misura direttamente individuata dalla legge; art. 4, co. 2: in punto a durata e modalità di erogazione della formazione e durata del rapporto per l’apprendistato professionalizzante, ove si rinvia alla disposizioni
Con il riferimento ai detti ambiti regolativi, si è voluto fornire uno spaccato dello stato della legislazione in materia di tipologie contrattuali flessibili. La legislazione consta di un fitto intreccio tra legge e contrattazione collettiva, che insiste su aspetti salienti della regolazione del rapporto individuale e del mercato del lavoro. Fin qui, forse, nulla di nuovo, se non nel volume dei rin- vii, cresciuti esponenzialmente nella legislazione degli anni duemila (267).
Tuttavia, come ha osservato uno dei primi commentatori del d.lgs. n. 276/2003, «quantità non è sempre sinonimo di qualità» (268). Questa constata- zione offre alcuni spunti sui quali è opportuno riflettere, nella misura in cui pone in luce una sorta di strabismo nell’utilizzo della tecnica del rinvio: da un lato, il legislatore affida alla contrattazione collettiva la regolazione di aspetti di prim’ordine della disciplina lavoristica; dall’altro lato, v’è la sensazione di una sostanziale diminuzione delle poste che il sindacato è in grado di scam- biare al tavolo negoziale (269). Invero, nella stagione che si suole introdotta dal d.lgs. n. 368/2001, si è progressivamente attenuato il «peso specifico» della contrattazione collettiva nel governo del mercato del lavoro flessibile. Ciò è dovuto al graduale accantonamento del «simbolo» della politica di delegifica- zione attuata negli anni ’80 e ’90: la competenza delle parti sociali ad attribui- re alle parti individuali del rapporto la speciale legittimazione a contrarre una delle tipologie contrattuali flessibili o, più in generale, alleggerire il livello di tutela legale (270).
La legittimazione delle parti individuali a stipulare un contratto di lavoro afferente alle dette tipologie, oggi, è per lo più prevista direttamente dalla leg-
contenute negli «accordi interconfederali e [ne]i contratti collettivi»; art. 5, co. 2: in punto a modalità di erogazione della formazione nell’apprendistato di alta formazione e ricerca è prevista che la Regione operi in «accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le università, gli istituti tecnici e professionali e altre istituzioni formative o di ricerca (…) »; art. 6, co. 2: è previsto che gli «standard professionali di riferimento» ai fini della «verifica dei percorsi formativi in apprendistato professionalizzante e in apprendistato di ricerca» sono «quelli definiti nei contratti collettivi nazionali di categoria».
(267) Il rilievo, di per sé evidente, è ampiamente presente in letteratura: cfr. per tutti ZOLI, Contratto e rapporto tra potere e autonomia, cit.
(268) Così, CARINCI F., op. ult. cit.
(269) Per tutti, XXXXXXX, op. ult. cit., 156.
(270) Tra i primi a rilevare, in senso critico, la «revoca della delega normativa alla contrattazione collettiva»: MONTUSCHI, ancora nuove regole per il lavoro a termine, ADL, 2002, 41 ss.
ge. Ciò emerge, con evidenza, dalla disciplina del lavoro a termine e in som- ministrazione, così come dall’avvicendamento, nel lavoro privato, tra il c.f.l. (caratterizzato da un ruolo di filtro dell’autonomia collettiva) e il contratto di apprendistato (ove all’autonomia è rimesso un ruolo ampio, ma per lo più di tipo «regolatorio»). Che le parti sociali siano state, in parte, private del delica- to compito di dosare la flessibilità del mercato del lavoro si evince, altresì, dal venir meno del principio della «doppia chiave di accesso» nella regolazione di alcuni aspetti del lavoro part-time, con le modifiche al d.lgs. n. 61/2000 attuate con il d.lgs. n. 276/2003, art. 46, sostanzialmente confermate, con qualche oscillazione, dalle novelle successive. Peraltro, anche laddove, come nel lavo- ro intermittente, è attribuita alle parti sociali una funzione autorizzatoria, la stessa è poi contraddetta, o comunque dimidiata nel suo farsi posta da scam- biare al tavolo negoziale, dal potere di surroga attribuito al Ministro del Lavo- ro. Di più, nella somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, la fun- zione autorizzatoria della contrattazione è soltanto residuale, o «ancillare» (271), atteso che la legge provvede a dettare un elenco, assai ampio, di casi in cui è ammesso il ricorso a tale tipologia contrattuale. Il che, a tacer d’altro, non incentiva certo le parti sociali ad addivenire a un accordo sul punto: per- ché mai, del resto, una delegazione datoriale dovrebbe fare concessioni nego- ziali al sindacato per consentire agli imprenditori di ottenere un risultato che, direttamente o indirettamente, è garantito dalla legge? (272). Pare conveniente osservare che l’ingente conferimento di risorse normative, a ben guardare, celi tra le righe un «antidoto contro i rischi del pluralismo» o, melius, dello «stallo pluralistico» (273): il rischio, cioè, che le parti sociali non implementino, o in
(271) Cfr., XXXXXXXX, op. cit.
(272) XXXXXXX, op. ult. cit., spec. 162, in termini di «condizionamento o [la] pressione a dir poco «anomala» sulle relazioni sindacali». Sulla stessa linea, XXXXXXX, op. cit., 484, si chiede se «la possibilità dei soggetti collettivi di essere surrogati nell’azione di completamento della disciplina legale finirà per deresponsabilizzarli, inducendoli, per un calcolo d’interesse o per non volere assumere la responsabilità della mediazione collettiva, a lasciare spazio all’accordo individuale o all’adozione di un provvedimento amministrativo?». Infine, efficacemente, XXXXXXXXXXX, op. cit., 193 osserva che se «prima era la parte datoriale ad aver interesse a ricercare un accordo con il sindacato» ai fini del ricorso ad un determinato istituto, «l’interesse della ricerca del consenso sembra spostarsi in misura maggiore sui sindacati dei lavoratori, giacché, altrimenti, l’istituto opera comunque al di fuori di ogni mediazione e regolamentazione collettiva».
(273) Così XXXXXXX, op. ult. cit., 162-163. Cfr. anche ROMEI, op. cit., 198.
qualche modo limitino, l’utilizzo di tipologie contrattuali predisposte dal legi- slatore, compromettendo le finalità occupazionali perseguite dal… «treno del- le riforme».
Si assiste, in tal guisa, a una sorta di passaggio di consegne tra i «vecchi» rinvii di autorizzazione o flessibilizzazione tipologica e il «nuovo che avanza» dei rinvii caratterizzati da un ruolo di tipo «regolatorio», o «di controllo», dell’autonomia collettiva (274): id est dalla facoltà delle parti sociali di introdur- re – o re-introdurre –, ove i rapporti di forza lo consentano, alcuni argini alla diffusione di tipologie contrattuali flessibili (275).
Un altro indice rivelatore, nella stagione in corso, di una diversa – minore? È xxxxxx chiedersi – sensibilità del legislatore nei confronti dell’autonomia col- lettiva, deriva dallo scivolamento semantico del rinvio ai contratti collettivi stipulati «dalle» oo. ss. comparativamente più rappresentative, verso il rinvio ai contratti collettivi stipulati «da» oo. ss. comparativamente più rappresenta- tive. La sostituzione della preposizione articolata con la preposizione sempli- ce – un dato inaugurato dal d.lgs. n. 276/2003 e di lì in avanti costantemente riproposto, con alcune limitate eccezioni (276) – risponde al medesimo disegno di politica legislativa, volto a stigmatizzare ogni possibile «stallo pluralistico». Per la dottrina prevalente non sarebbero ravvisabili particolari conseguenze nel mutamento di criterio selettivo, atteso che l’uso della preposizione artico- lata «dalle» non avrebbe, comunque, reso configurabile un onere di stipulare all’unanimità (dei s.c.r.) il contratto collettivo oggetto di rinvio (277). Ciò non
(274) ZOLI, op. ult. cit., 374.
(275) È quanto tipicamente avviene attraverso la previsione dei limiti quantitativi contemplati dalle cd. clausole di contingentamento, nel lavoro a termine e nella somministrazione di lavoro a termine; o ancora, ad esempio, attraverso la reintroduzione del consenso del lavoratore o la previsione di un numero massimo di ore di lavoro supplementare nel part-time di tipo orizzontale.
(276) Il legislatore utilizza la preposizione articolata «dalle» in punto a selezione dei soggetti negoziali abilitati a stipulare i contratti collettivi che istituiscano e regolino i fondi bilaterali per la formazione e l’integrazione del reddito dei lavoratori assunti con contratto di lavoro in somministrazione a tempo determinato (art. 12, co. 3, d.lgs. n. 276/2003); una formulazione maggiormente inclusiva è anche quella adoperata dall’art. 2, co. 1, lett. g), d.lgs. n. 25/2007 in materia di diritti di informazione e consultazione, ove per «contratto collettivo» s’intende «il contratto collettivo di lavoro stipulato tra le organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».
(277) Per tutti, NAPOLI, Autonomia individuale e autonomia collettiva nelle più recenti riforme, DLRI, 2004, 581 ss.; contra, XXXXXXXXXXX, op. cit., 590, per il quale «gli
toglie che vi si possa leggere, piuttosto chiaramente, la volontà di «accreditare e rafforzare la validità […] di eventuali «accordi separati» e superare il dissen- so di rappresentanze qualificate» (278).
Occorre dar conto, altresì, del proliferare, nella legislazione recente, di un
«tipo» di rinvio al contratto collettivo che la dottrina ha prontamente qualifi- cato alla stregua di «rinvio improprio» (279). Con l’espressione in parola s’intende il rinvio con il quale la legge «nulla toglie e nulla aggiunge alla sfera di autonomia di cui i soggetti privati già godono» (280). Si tratta di un rinvio in- tegrativo sui generis, con il quale il legislatore rivolge una sollecitazione alle parti sociali a incrementare il livello minimo di tutela previsto dalla legge (281). Il rinvio «improprio» si pone, per così dire, nel solco del più tradizionale degli uffici del contratto collettivo: il miglioramento del trattamento economi- co-normativo dei lavoratori rispetto al diritto comune dei contratti e alla di- sciplina speciale del rapporto di lavoro. A ben guardare, tuttavia, esso potreb- be rappresentare una spia non solo – e non tanto – della diversa sensibilità del legislatore nell’utilizzo della tecnica del rinvio, ma, soprattutto, di una radica- le inversione dei rapporti tra legge e contratto collettivo. Per lo meno, ove si acceda a una dottrina che, muovendo dalle finalità occupazionali perseguite dal legislatore europeo e nazionale nel dettare la disciplina del mercato del la-
effetti legalmente tipici – voluti dal legislatore – potranno sortire solo dalla contrattazione stipulata, unitariamente, dai sindacati comparativamente più rappresentativi». Opportunamente, BELLAVISTA, Le prospettive dell’autonomia collettiva dopo il d.lgs. n. 276/2003, RGL, I, 189 ss., osserva come, allorché non sia raggiungibile l’unanimità dei s.c.r. nella stipulazione del contratto collettivo oggetto di rinvio legale, resti comunque necessario il rispetto di un criterio maggioritario relativo all’ambito negoziale considerato. La posizione espressa da Bellavista pare, peraltro, avvalorata alla luce dei recenti accordi sulla rappresentanza stipulati dalle parti sociali, ove, accanto all’individuazione di criteri finalizzati alla misurazione della rappresentatività delle xx.xx., emerge una chiara opzione in favore del principio maggioritario ai fini della stipulazione dei contratti collettivi: in tal senso, cfr. LISO, Brevi note sul Protocollo Confindustria, CGIL, CISL, UIL del maggio 2013, RGL, 2013, I, 848; XXXXXXXXXXX, Il modello del sindacato comparativamente più rappresentativo nell’evoluzione delle relazioni sindacali, DRI, 2014, 388.
(278) Così, TULLINI, op. ult. cit., 157.
(279) XXXXX, Lavoro part-time e mediazione sindacale: la devoluzione di funzioni normative al contratto collettivo, DLRI, 2002, 275 ss.; la terminologia è poi ripresa largamente dalla dottrina successiva.
(280) Così, XXXXXXXX M.G., op. ult. cit., 531.
(281) Cfr. X. XXXXXXX, op. ult. cit.
voro (282), giunge ad affermare l’inderogabilità bilaterale della legge nei con- fronti del contratto collettivo (283).
La «premura» di specificare espressamente le situazioni nelle quali la con- trattazione collettiva è autorizzata a migliorare il trattamento del lavoratore circoscriverebbe, per converso, proprio a tali situazioni l’operare del principio del favor nei rapporti tra legge e contratto collettivo. Si pone, in buona sostan- za, il problema della validità di clausole dei contratti collettivi che sortiscano l’effetto di limitare l’utilizzo di talune figure contrattuali o, più in generale, che reintroducano nel mercato del lavoro talune «rigidità» rimosse o non pre- viste dal legislatore (ad es., in punto a stipulazione di clausole elastiche o fles- sibili nel part-time, reintroduzione della «causale» nel contratto a termine, etc.). Questa dottrina sostiene la configurabilità di «tetti massimi impliciti» al- la contrattazione collettiva, alla quale sarebbe così interdetta, al di fuori dei rinvii espressi, la ricerca di un equilibrio tra flessibilità e tutela difforme da quello legale.
Questa impostazione non convince. Benché, certo, una critica puntuale non possa muovere che dalla formulazione della singola disposizione legale che si assuma bilateralmente inderogabile (284), nel contesto dell’istituto nel quale la stessa si collochi, è opportuno svolgere alcune considerazioni di ca- rattere generale, atteso che il discorso finisce per investire il piano, qui esplo- rato, dei rapporti tra legge e contratto collettivo e dell’operare del principio del favor.
Ad avviso di chi scrive, tale revisione dei rapporti tra legge e contratto col- lettivo (perché di questo, in sostanza, si tratta) si pone nel solco di un’autorevole dottrina che, fin dagli anni ’60 del secolo scorso, ha individuato
(282) Come è ben noto, tutti i più importanti interventi del legislatore degli ultimi anni, sulla scia di una tecnica invalsa nei provvedimenti adottati in seno all’Unione Europea, esplicitano le finalità di volta in volta perseguite. Finalità che, per quanto qui interessa, si identificano per lo più nella promozione dell’occupazione e della qualità dei contratti di lavoro, nella creazione di un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, et similia: xxx. xxx. 0, xx. 0, x.xxx. x. 000/0000; art. 1, co. 1, l. n. 92/2012, la premessa al d.l. n. 34/2014, etc.
(283) Per tutti, XXXXXXX, op. cit., spec. 481 ss., ed ivi ulteriori riferimenti bibliografici; sul punto cfr. anche ROMEI, op. cit., 198.
(284) Così, XXXXXXX, op. cit., 482: l’autore distingue poi tra clausole contrattuali interdittive e riabilitative, ove le prime sono quelle che «contrastano l’operatività di una norma legale vigente» e le seconde quelle che «contrattualizzano ciò che il legislatore ha abrogato».
il fondamento del principio del favor nella ratio legis che pervade l’intervento dello Stato in materia di lavoro (285). La ratio legis era allora individuata nella protezione del lavoratore nel rapporto attraverso la previsione di un trattamen- to inderogabile, se non in melius, dalla contrattazione collettiva: in tale ottica, una contrattazione additiva del trattamento legale sarebbe conforme ai fini che l’ordinamento giuridico intende raggiungere (286). Così ragionando, effet- tivamente, si rivelerebbero fondati i timori – o gli auspici – di quella parte del- la dottrina che afferma l’inderogabilità bilaterale dei recenti interventi del legi- slatore sul mercato del lavoro. Si osserva, infatti, sovente, che il senso e gli obiettivi dell’intervento dello Stato non siano più, o non solo, riconducibili al- la posizione di un trattamento minimo di tutela del lavoratore. Essi sarebbero, invece, per lo più, rivolti al perseguimento di ampie esigenze di governo della
«complessità» emergente dal mercato del lavoro, attraverso la definizione di un equilibrio tra flessibilità e tutela, le quali – si assume – solo apparentemen- te sono contrapposte (287). In tal guisa, la stipulazione di clausole contrattuali di natura interdittiva o riabilitativa – riprendendo la terminologia di Xxxxxxx – rischierebbe di pregiudicare il perseguimento delle finalità occupazionali di interesse generale, esponendosi a una declaratoria giudiziale di nullità per contrasto con una norma imperativa.
Xxxxxx, come si è detto, questa lettura non convince. Essa indurrebbe una compressione dell’autonomia collettiva ben più pregnante di quella che la Corte costituzionale ha, in più d’una occasione, ritenuto compatibile con il principio di libertà sindacale sancito dall’art. 39, co. 1, Cost. (288). La giuri-
(285) XXXX, Il favore dell’ordinamento giuridico, cit.; ID., Il contratto collettivo di lavoro, cit., 185 ss.
(286) Scrive Xxxx: «la sostituzione del comando eteronomo a quello autonomo ha la sua ragion d’essere soltanto quando l’atto di autonomia non sia conforme ai fini che l’ordinamento giuridico intende raggiungere. Ove invece lo sia, lo Stato non può che rispettarlo e lasciarlo sopravvivere»: Il favore dell’ordinamento giuridico, cit., 96.
(287) Cfr., per un’impostazione di ampio respiro, i saggi di XXXXXXX, Il diritto del lavoro e le sue categorie: valori e tecniche nel diritto del lavoro, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2006; DEL PUNTA, Epistemologia breve del diritto del lavoro, LD, 2013, 37 ss.
(288) Cfr., oltre alle sentenze citate nel xxxxx xxx § 0 xxxxx xxxxxxxx Sezione, spec. nt. n. 147, anche la più recente Corte cost. 23 aprile 1998, n. 143, FI, 1998, I, 2058; RGL, 1999, II, 728 nota di XXXXXXX; ove la Corte ha affermato che la contrattazione collettiva ben può estendere la tutela reale avverso il licenziamento illegittimo anche alle imprese che, per il numero di dipendenti occupati, non rientrino nell’ambito di applicazione dell’art. 18, l. n. 300/1970.
sprudenza costituzionale ha, infatti, fissato alcuni paletti a presidio del libero svolgimento della contrattazione collettiva, che pare di poter riassumere nella ragionevolezza e temporaneità dei provvedimenti coercitivi e nel persegui- mento di interessi superiori e generali. D’altra parte, anche la dottrina che si è occupata dei rapporti tra legge e contratto collettivo ha sovente rimarcato che l’art. 39, co. 1, Cost., «nel sancire il principio della libertà sindacale, garanti- sce, implicitamente ma inscindibilmente, la libertà dei contenuti, degli svol- gimenti e dei livelli di svolgimento dell’autonomia collettiva che, nel testo co- stituzionale come nella prassi delle relazioni industriali, assume la configura- zione di un potere sociale non predeterminato nei fini e negli oggetti» (289).
Xxxxxxx, quindi, «sganciare» il principio del favor dalla volubile discontinui- tà della ratio legis perseguita dal legislatore secondo le fasi e la linea di politica del diritto di volta in volta prevalente. Il principio del favor va riportato nel grembo dell’art. 39, co. 1, Cost., ove i sindacati sono considerati quale mezzo di autotutela dei lavoratori e contropotere collettivo, ma anche come forza or- ganizzata rivolta alla stabilizzazione dei meccanismi di mercato: a un tempo, cioè, limite e sostegno dei processi di un’economia liberistica, ove «la deter- minazione della misura dei trattamenti dei lavoratori, fermi i minimi legali, è rimessa ai meccanismi del mercato» (290) e, dunque, agli equilibri liberamente trovati dalle parti nel sistema di relazioni industriali (291). Insomma, benché sia assodato, da più d’una stagione, il valore relativo e non assoluto del prin- cipio del favor, non si può avallare una lettura tendente a svilire del tutto il ruolo di questo tradizionale criterio di risoluzione di conflitti normativi e di tendenziale ripartizione delle competenze regolative (292). La previsione di tetti
(289) Così, DE XXXX XXXXXX, op. ult. cit. Nella letteratura di settore è assai diffusa la tendenza a (ri)valorizzare il principio di libertà sindacale in funzione della salvaguardia dell’autonomia contrattuale, anche e soprattutto a fronte delle reciproche invasioni di campo tra fonti autonome e fonti eteronome: v. per tutti, PEDRAZZOLI, op. cit.; in altra impostazione, si è descritto il sistema dell’art. 39 Cost. facendo ricorso alla metafora dei cerchi concentrici, il più ampio dei quali è
«l’autonomia collettiva riconosciuta e garantita dal primo comma»: all’interno del cerchio maggiore è possibile realizzare diversi modelli di «legificazione» dell’autonomia collettiva, purché non si «valichi i limiti del cerchio maggiore» (TURSI, op. ult. cit., 38).
(290) MENGONI, Legge e autonomia collettiva, cit.
(291) GIUGNI, Commento all’art. 39, cit.
(292) MENGONI, op. ult. cit., 294.
xxxxxxx – espliciti o impliciti – alla contrattazione collettiva non può diventa- re la regola: deve restare l’eccezione (293).
6. Qualche considerazione conclusiva.
Per riassumere in poche battute il percorso fin qui compiuto, si potrebbe osservare che la tecnica regolativa del rinvio dalla legge al contratto collettivo, utilizzata, sporadicamente, già nel periodo pre-corporativo, era ben presente al legislatore del codice civile del 1942, il quale delinea una complessa trama di rinvii e richiami tra fonte legale e fonte corporativa. Una trama che, nei suoi punti nevralgici, non solo sopravvive al cambio di regime, ma costituisce, soprattutto, una solida base, sulla quale il legislatore repubblicano continua, indefesso, a operare, affidando all’autonomia collettiva compiti via via più de- licati. Il che, a tacer d’altro, accentua – e non poco – il divario tra il ruolo di prim’ordine svolto dall’autonomia collettiva e il regime giuridico del contratto collettivo, pur sempre, quantomeno formalmente, ancorato al diritto comune dei contratti.
Negli anni duemila, la tecnica de qua si consolida ulteriormente, fino ad as- surgere, come ha osservato Rusciano, a «meccanismo tipico di funzionamento delle fonti del diritto del lavoro» (294). Gli ambiti nei quali rileva, oggi, un fitto intreccio tra legge e contratto collettivo si sono ampliati al punto da dare luo- go a una congerie di materiale normativo che, oltre a essere difficilmente ac- cessibile – e ancor meno ordinabile – dall’interprete, pone problemi di non
(293) Non si può sottovalutare che «l’art. 39 (…) sottende una visione pluralistica, che si manifesta nel riconoscimento alle categorie professionali organizzate di un potere di autodisciplina. La norma significa che lo Stato rinunzia a conservare l’azione di tutela dei lavoratori esclusivamente nella sfera politica: il centro di gravità di questa azione, destinata a definire la posizione giuridica del lavoratore come parte del contratto di lavoro, si sposta nella sfera sociale, viene a imperniarsi non più sulla legislazione statale, bensì sull’autonomia collettiva»: così MENGONI, La partecipazione del sindacato, cit., 184.
(294) Così, RUSCIANO, op. cit., 185. Cfr. anche DE XXXX XXXXXX, Il problema dell’inderogabilità delle regole a tutela del lavoro, cit., 725, in termini di «una tecnica normativa oggi più che mai indispensabile per affrontare il rapporto tra il sociale e l’economico». Per valutazioni dello stesso tenore, del resto largamente condivise in dottrina: XXXXXX-LO FARO, Contratto collettivo di lavoro (voce per un dizionario), WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT, 97/2010.
agevole soluzione: soprattutto, se si tiene a mente la perdurante anomia e in- formalità del quadro giuridico e il ritrovato vigore riformatore manifestato dal legislatore negli anni di crisi economica, anche per dare seguito a impegni as- sunti in consessi sovranazionali. È sufficiente, in effetti, sfogliare le pagine di alcuni tra i più diffusi Manuali di Diritto del lavoro, per rendersi conto della misura in cui la legge, nella disciplina del rapporto individuale e del mercato del lavoro, si sia ritratta, facendosi sempre più «cornice normativa» e cedendo spazi d’intervento al contratto collettivo, in chiave di integrazione, completa- mento o deroga del precetto legale (295).
D’altro canto, si osserva, di recente, accanto a una diminuzione del «peso specifico» della contrattazione collettiva nel governo del mercato del lavoro, anche un progressivo spostamento del baricentro regolativo dal contratto col- lettivo nazionale al contratto collettivo territoriale e/o aziendale. Proprio quest’ultima diviene la sede privilegiata alla quale fare rinvio: in ossequio al principio di sussidiarietà, infatti, la sede più adatta a operare la sintesi tra inte- ressi contrapposti tipica della logica negoziale sarebbe, sovente, quella più prossima al luogo in cui la regola deve operare (296). Con il rischio, tuttavia, specie ove il rinvio sia indirizzato in via esclusiva al contratto aziendale, che il sindacato sia privo della forza contrattuale necessaria ad addivenire a un ac- cordo, se non favorevole agli interessi dei lavoratori, quantomeno equilibrato (297).
(295) Il proliferare di rinvii dalla legge al contratto collettivo, specie se si tiene a mente quanto detto sul rapporto tra inderogabilità e fonti della materia («l’istanza di attenuazione dell’inderogabilità è un’istanza di superamento dell’assetto delle fonti»: NAPOLI, Introduzione, cit. 158), è, quindi, una circostanza gravida di conseguenze sull’assetto delle fonti.
(296) Diversi autori si soffermano sul progressivo spostamento dal contratto collettivo nazionale al contratto collettivo territoriale o aziendale quale sede privilegiata del rinvio: cfr., tra gli altri, XXXXXXX, op. cit., 474 ss.; TULLINI, op. ult. cit., spec. 159, che esclude per ciò solo un rischio di destrutturazione della struttura della contrattazione collettiva; più critici, a tal proposito XXXX, Struttura della contrattazione e rapporti tra contratti di diverso livello, in RUSCIANO-ZOLI-ZOPPOLI L., Istituzioni e regole del lavoro flessibile, Napoli, Editoriale Scientifica, 2006, 309 ss., che rileva un rischio di destrutturazione strisciante, ma osserva anche come la contrattazione collettiva sia riuscita a ricondurre le novità legislative agli assetti contrattuali consolidati; XXXXXXXX, op. cit., che auspica in particolare un maggior controllo della contrattazione di livello nazionale.
( 297 ) Sulla disparità di potere tra le parti del contratto collettivo aziendale, specialmente in periodi di congiuntura economica negativa: ZOLI, Contributo, cit., 154.
Parte II
Dalla norma di rinvio alla norma sul rinvio: l’art. 8 della l. n. 148/2011
Riepilogo dei risultati raggiunti e premessa alla Parte II
Nella Parte I della tesi è stato esaminato il tema dei rapporti tra le due principali fonti del diritto del lavoro. Al fine di dare l’idea del dinamismo che contraddistingue tale impianto di fonti, si è assunta la prospettiva dei rinvii che con frequenza crescente la legge indirizza al contratto collettivo. Ne è ve- nuto fuori un quadro complesso, sfaccettato, che mal si presta a essere ricon- dotto a una sintesi. Non è un caso, del resto, che giurisprudenza e dottrina giungano spesso a soluzioni esegetiche difformi e che neanche in seno alla dottrina vi sia un ubi consistam sulle questioni più delicate poste dalla fitta rete di rapporti tra legge e contratto collettivo.
Eppure, alla luce dell’analisi sin qui condotta qualche punto fermo può es- sere posto.
Il rapporto tra legge e contratto collettivo ruota, anzitutto, attorno a un as- se – lo si è definito della tradizione – che sulle orme di un’accreditata dottrina può essere descritto alla stregua di un doppio binario, incardinato sui principi di gerarchia e di favore. Tale asse, benché reso instabile dalla crescente inte- grazione tra le fonti, non è mai venuto meno. Non si registra, infatti, alcuna esplicita innovazione nel sistema delle fonti – la qual cosa sarebbe, a tacer d’altro, ben difficile, a causa del perdurante stato di informalità del quadro giuridico. Negli ambiti regolativi in cui la legge non conferisce espressamente al contratto collettivo una facoltà di deroga in peius, si deve senz’altro afferma- re la primazia della fonte statuale: primazia che si invera nell’operare del meccanismo di nullità e sostituzione automatica della clausola pattizia dif- forme e che risulta confermato anche da recenti rassegne di giurisprudenza (298). Per altro verso, ove non siano posti limiti espliciti allo svolgimento
(298) In dottrina, per tutti, DE XXXX XXXXXX, op. ult. cit., spec. 721, 725. L’asserzione trova conferma nelle rassegne di giurisprudenza della Corte di Cassazione pubblicate dalle principali riviste di settore. Si pensi, ad esempio, al cospicuo contenzioso sorto attorno alle clausole dei contratti collettivi che prevedevano una distribuzione delle mansioni spesso non reputata conforme ai principi di equivalenza e di tutela della professionalità espressi dall’art. 2103 c.c. (cfr. XXXXXXX, Principio di equivalenza delle mansioni e ruolo della contrattazione collettiva: verso nuovi spazi di flessibilità?, ADL, 2007, 660 ss., in nota a Xxxx. S.U., 24 novembre 2006, n. 25033); oppure alle clausole dei contratti collettivi che prevedevano le dimissioni per facta concludentia quale
dell’autonomia collettiva, non dovrebbe dubitarsi della facoltà, per la contrat- tazione, di muoversi liberamente negli spazi aperti dalla legge, al fine di in- trodurre un trattamento migliorativo di quello legale: non dovrebbe dubitarsi, in altri termini, della perdurante attualità del principio del favor (299).
Il secondo asse attorno al quale ruota il rapporto tra legge e contratto col- lettivo, complementare rispetto a quello della tradizione, si è venuto a formare per successive stratificazioni normative. Si allude alla linea di politica del di- ritto neo-istituzionale inaugurata con la legislazione promozionale e sviluppa- tasi nelle stagioni successive, con l’attribuzione, a ritmi incalzanti, di risorse normative alla contrattazione collettiva. In assenza di espliciti interventi sulle fonti, è emersa con chiarezza un’«alterazione del significato sistematico della relazione tra fonti e sistemi normativi» (300). Quello che è stato per lungo tem- po un «diritto senza norme, o con frammenti, relitti, progetti, simulacri di norme, [ma che] ha anche saputo essere un diritto senza lacune», rischia oggi di ritrovarsi persino «senza fonti», ma con un «complesso di esperienze» da gestire, «ognuna con le sue regole e la sua capacità di esprimerne, che a sua volta può assumersi come dato comune e identificante» (301).
È parso, allora, di poter rinvenire nel principio di sussidiarietà una chiave di comprensione dei rapporti tra le fonti. Nella sua duplice variante verticale e orizzontale, esso consentirebbe una più compiuta espressione del pluralismo e della complessità dei rapporti sociali. Secondo una lettura accolta da settori importanti della dottrina giuslavoristica, in ossequio al principio di sussidia- rietà converrebbe, in linea di massima, assegnare prevalenza alle regole pro- dotte in prossimità del loro ambito di applicazione, in guisa da «abbandonare
conseguenza dell’assenza dal lavoro per un certo numero di giorni, reputate per lo più illegittime per contrasto con l’art. 2118 c.c., l’art. 6 della l. n. 604/1966 e l’art. 18 della l. n. 300/1970 e, di riflesso, con l’art. 1418 c.c. (sia consentito rinviare a CENTAMORE, Ancora sulle clausole del contratto collettivo di dimissioni per facta concludentia, ADL, 2014, 167 ss., in nota a Xxxx. 2 luglio 2013, n. 16507); o ancora, alla questione del diritto agli scatti di anzianità per i lavoratori il cui contratto di formazione e lavoro sia stato convertito in un ordinario contratto di lavoro subordinato (cfr. IANNIRUBERTO, Riserva di competenza per l’autonomia collettiva, cit.).
(299) Cfr., in giurisprudenza, Corte cost. n. 143/1998, citata retro a nota n. 288.
(300) TULLINI, op. ult. cit., 160.
(301) DELL’OLIO, op. ult. cit., 518.
il condizionamento della visione piramidale delle fonti, tipica della tradizione giuridica, ed ispirarsi ad un modello a rete» (302).
Ecco descritto per sommi capi il panorama in cui, nella «lunga estate cal- da» del 2011, sopraggiunge «il fatto nuovo del diritto sindacale» (303): l’art. 8 della l. n. 148/2011 appare, in effetti, «il più incisivo caso di sovrapposizione della sfera dell’eteronomia a quella dell’autonomia mai attuato dai pubblici poteri nel periodo post-costituzionale» (304). Un intervento deciso – o addirit- tura «a gamba tesa» (305) – del legislatore, che investe tanto il contratto collet- tivo come «fonte», quanto la contrattazione collettiva come «sistema di pro- duzione di regole» (306).
L’art. 8 è una norma «divisiva»: dalla quale i vertici confederali prendono, pur con qualche distinguo, le distanze e che provoca, nel volgere di alcuni giorni (307), un terremoto dottrinale. Non senza un filo d’ironia un noto stu-
(302) NAPOLI, Le fonti del diritto del lavoro e il principio di sussidiarietà, DLRI, 2002, 91.
(303) Così, LECCESE, op. cit., 479.
(304) Ibidem.
(305) XXXXXXXXX, Rappresentatività e contrattazione tra l’accordo unitario di giugno e le discutibili ingerenze del legislatore, cit., 5. Anche DEL PUNTA, Cronache da una transizione confusa (su art. 8, l. n. 148/2011, e dintorni), LD, 2012, 34, pur nel quadro di un giudizio complessivamente positivo della novella, osserva che il legislatore «si è ingerito con la delicatezza di un elefante nei delicati compromessi politico-sindacali che avevano reso possibile l’Accordo di neppure due mesi prima»; XXXXXXX, Il contratto collettivo dopo l’art. 8 del d.l. n. 138/2011, WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT, 129/2011, 20, in termini di «furore iconoclastico» del legislatore. Di segno radicalmente diverso la valutazione di TIRABOSCHI, L’articolo 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138: una prima attuazione dello “Statuto dei lavori” di Xxxxx Xxxxx, DRI, 2012, spec. 90, per il quale non si tratta di un «intervento drastico e autoritario … piuttosto un rinvio pieno e convinto a relazioni industriali libere e responsabili, che affida, caso per caso, alla contrattazione collettiva di prossimità, aziendale o territoriale, la possibilità di scambi negoziali virtuosi …».
(306) Investe, pertanto, in pieno, il sistema delle fonti del diritto sindacale, come descritto solo un anno prima dell’entrata in vigore dell’art. 8 da ZOLI, nel volume curato da PERSIANI, più volte citato.
(307) Com’è ormai d’abitudine in occasione delle riforme più rilevanti o controverse, ancora prima che nelle sedi proprie del dibattito scientifico (le riviste di settore), la dottrina si è espressa – e si è divisa – sui siti e le piattaforme internet che sono soliti ospitare dibattiti sul diritto del lavoro: commenti a caldo all’art. 8 sono apparsi, in particolare, a stretto giro, dopo l’approvazione del d.l. n. 138/2011, sui siti: xxx.xxxxxxxxxxxx.xx, xxx.xxxxxxxxx.xxx (ove si segnala il commento di ROMEI) xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx (ove si segnala il commento di ROMAGNOLI), xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx (ove si segnala il commento di XXXXXXXX), xxx.xxxxxx.xxxx (ove si segnala il commento di BOERI, ); xxx.xxxxxxxxxxxx.xx (con commenti, tra gli altri, di XXXXXXX, TIRABOSCHI, VALLEBONA).
xxxxx ha messo a fuoco, più che un orientamento, una duplice attitudine con la quale è possibile avvicinarsi alla riforma: quella da «apocalittici» e quella da
«integrati» (308), alle quali chi scrive sarebbe tentato di aggiungere quella da
«entusiasti». Alla veemente denuncia degli apocalittici – per i quali, «si sa, la catastrofe è imminente e inevitabile» (309) – del rischio di una de-strutturazione dell’ordine delle fonti e balcanizzazione dell’apparato di tutele, fa eco la voce ferma, ma pacata, dell’integrato, il quale, «inguaribile ottimista, confida che le risorse del sistema siano sufficienti a devitalizzare l’esplosività della riforma» (310). A entrambi si contrappone il clamore dell’entusiasta, che saluta la rifor- ma come una novella attesa a lungo, in grado di dimidiare il tasso di rigidità della legislazione lavorista e consentire un migliore funzionamento del merca- to del lavoro.
Per parte sua, il giovane studioso deve, anzitutto, guardarsi bene dal prova- re ad associare le singole voci dottrinali ai formanti antropologici degli apoca- littici, degli integrati e degli entusiasti: oltre che poco prudente, questo modo di procedere appiattirebbe il dibattito su una sterile contrapposizione tra ar- gomenti pro e contro l’art. 8. È invece opportuno, trascorsi quattro anni dall’entrata in vigore della riforma, provare a tracciarne un bilancio operativo, sulla scorta degli autori che se ne sono occupati (infra: Sezione II). Si volgerà l’attenzione, in sede di esegesi della disposizione, verso le questioni più dibat- tute in dottrina e, in sede di osservazione empirica, verso alcune esperienze di contrattazione di livello aziendale e territoriale ritenute significative.
Prima di muovere in questa direzione di ricerca, tuttavia, giova illustrare il quadro in cui si inserisce l’art. 8 (infra: Sezione I). Infatti, così come gli accor- di triangolari e la legislazione neo-istituzionale degli anni ’80 e ’90 del secolo scorso si comprendevano meglio alla luce della crisi economica, dei processi di apertura dei mercati e di innovazione tecnologica, l’art. 8 può essere consi- derato, in certa misura, il «portato normativo» di processi riconducibili alla globalizzazione e alla crisi economica mondiale iniziata nel 2007-2008 e tut- tora in corso.
(308) XXXXXXXX, «Apocalittici» e «integrati» alle prese con l’art. 8 della legge n. 148 del 2011: il problema della disponibilità del tipo, LD, 2012, 19 ss.
(309) XXXXXXXX, op. ult. cit., 19.
(310) XXXXXXXX, op. ult. cit., 19.
Sezione I
L’art. 8: una «norma globale»… a rilevanza locale?
1. Crisi dello Stato-nazione e delle sue categorie: quale futuro per il diritto del lavoro?
In un fortunato saggio di qualche anno addietro, Xxxxx Xxxx osservava:
«ciò che noi chiamiamo «lavoro» è un’invenzione della modernità» e la «for- ma in cui lo conosciamo, lo pratichiamo e poniamo al centro della vita indi- viduale e sociale, è stata inventata e successivamente generalizzata con l’industrialismo» (311).
Quello del lavoro è quindi un – forse il – diritto moderno (312): un diritto concepito per coniugare la razionalizzazione nell’impiego di manodopera e la legittimazione del potere unilaterale dell’imprenditore con la protezione delle persone che, non più per vincolo di status bensì in esercizio di libertà contrat- tuale, si ponevano alle altrui dipendenze (313). Fin dalle origini, il diritto del
(311) XXXX, Metamorfosi del lavoro. Critica della ragione economica, Torino, Bollati Boringhieri, 1992, 21. Per alcune considerazioni sul rapporto tra l’avvento e lo sviluppo della «società industriale» e l’evoluzione del diritto del lavoro, cfr. GRANDI, Diritto del lavoro e società industriale, RDL, 1977, I, 3 ss.; PEDRAZZOLI, Alle origini del dibattito giuridico-istituzionale sulla democrazia industriale: il caso italiano, in AA. VV., Studi in onore di Xxxx Xxxxxxxxx, Milano, Xxxxxxx, vol. I, 1983, 795 ss.; si rammentino, inoltre, le parole elevate di Xxxxxx Xxxxxxxxx, il quale, in un noto saggio del 1955, osservava: la produzione industriale di massa appare alla stregua di «fatto fondamentale della società moderna» e in tal guisa è la «comune premessa di tutti i dialoghi politici ed economici della civiltà attuale quali che ne siano le diverse tendenze, ora di rimpianto per un’epoca che la lontananza fa ritenere gentile e beata, ora di desiderio per lo sviluppo e l’incremento dell’industrializzazione e di accettazione delle trasformazioni che questa implica nelle nostre abitudini, nei nostri rapporti sociali, nelle nostre valutazioni…»; la citazione è tratta da XXXXXXXXX, Xxxxx xxxxxxxxx e realtà sociale, DE, 1955, II, 1192, ora in ID., Problemi giuridici, I, Milano, Xxxxxxx, 1959.
(312) ROMAGNOLI, Diritto del lavoro, ED, Xxxxxx, XX, 0000.
(313) La presenza di una «doppia anima» nel diritto del lavoro, strumento ad un tempo garantistico e di razionalizzazione e disciplinamento della forza lavoro, è messa in luce, con acume, da XXXXXXX, Tecnica, tecnologia e ideologia della tecnica,
lavoro serve così almeno un duplice fine: la preservazione dei meccanismi di accumulazione capitalistica e il mantenimento dell’ordine sociale e delle basi di legittimità dello Stato (314). Esso rappresenta parte della soluzione a un pro- blema «vecchio come il capitalismo», quello di «sfruttare la funzione allocati- va e innovativa intrinseca all’autoregolazione del mercato, senza dovere per questo pagare disparità e costi sociali che sono inconciliabili con i requisiti d’integrazione di una società liberale e democratica» (315). Il diritto del lavoro è coessenziale alla realizzazione del più ambizioso disegno politico e giuridico della modernità: lo Stato-nazione, del quale ha rappresentato (tuttora di certo rappresenta) un formidabile strumento di regolazione del conflitto sociale all’interno dei propri confini (316).
Nel modello westfaliano tradizionale – che della realtà storica costituisce, invero, solo un’approssimazione (317) ed è stato risolutamente modificato dalla Carta delle Nazioni Unite (318) – lo Stato-nazione si pone, all’interno come
cit., 85, 112. La considerazione pare attanagliarsi particolarmente alla legislazione sociale delle origini, che offrì protezione e promosse una timida, parziale, emancipazione dei gruppi subalterni sottoprotetti (quale rimedio correttivo degli eccessi dell’individualismo liberal-borghese) ma, dall’altro, funse senz’altro da
«calmiere sociale» (quale risposta giuridico-politica alle tensioni provocate dall’avvento della rivoluzione industriale); cfr., tra gli altri, GRANDI, op. ult. cit., spec. 7-8, ROMAGNOLI, Il lavoro in Italia, cit., cap. I, il quale offre l’immagine di un diritto che concede al lavoro la parola ed allo stesso tempo gli impedisce di alzare troppo la voce.
(314) D’XXXXXX, Diritto del lavoro di fine secolo: una crisi di identità?, RGL, 1998, I, 311 ss. Sul tema cfr. anche SUPIOT, Homo juridicus. Saggio sulla funzione antropologica del diritto, Milano, Mondadori, 2006, spec. 182 ss.
(315) HABERMAS, La costellazione postnazionale. Mercato globale, nazioni, democrazia, Milano, Feltrinelli, 2000, 18.
(316) D’XXXXXX, op. ult. cit.; XXXXXXXX, Diritto del lavoro (voce per un’enciclopedia), DRI, 2005, 1027 ss.
(317) Se non nel Leviatano di Xxxxxx Xxxxxx, o più in generale nella letteratura specialistica, coeva e successiva, «lo Stato non ha mai goduto di una posizione di onnipotenza, né il legislatore si è mai trovato nella situazione di onniscienza»: OST, Dalla piramide alla rete: un nuovo paradigma per la scienza giuridica?, in VOGLIOTTI (a cura di), Il tramonto della modernità giuridica. Un percorso interdisciplinare, Torino, Giappichelli, 2008, 29 ss.
(318) Si suole far risalire la genesi dello Stato-nazione alla pace di Westfalia del 1648, secondo un processo che si snoda e acquista compiutezza in Europa nei secoli successivi per essere, infine, consacrato dalla carta delle Nazioni Unite nel 1945, la quale sancisce, agli artt. 1 e 2, i principii del rispetto della sovranità degli Stati membri e del divieto di ingerenza negli affari interni di altri Stati; la Carta impone, per altro verso, una svolta al modello westfaliano, al fine del mantenimento della
all’esterno, quale soggetto superiorem non reconoscens di un ordine fondato sul rispetto della sovranità e delle frontiere e sul divieto d’ingerenza negli affari interni ad altri Stati (319). La forma-stato moderna si caratterizza per una netta distinzione tra un dentro e un fuori (320), il cui presupposto è dato dall’esistenza e disponibilità di un territorio dai confini certi: un territorio rispetto al quale lo Stato, nella regolazione dei rapporti sociali, politici ed economici, «tendeva a svolgere la funzione di una cornice rispetto allo spazio» (321).
Ma se le vicende del «più nazional popolare dei diritti» (322) sono legate a doppio filo a quelle dello Stato-nazione, la crisi di quest’ultimo e delle sue ca- tegorie – leggi: sovranità, territorio, confini, etc. – connessa al processo di glo- balizzazione, non poteva non riverberarsi anche sul diritto del lavoro.
Certo, il problema della crisi dello Stato non può essere ricondotto alla sola globalizzazione. Esso attraversa, per contro, tutto il dibattito politico e giuri- dico del XX secolo (323). Eppure, come dimostra la recente rifioritura della let- teratura sul tema (324), pare che la globalizzazione stia portando a compimento un processo che, tra battute d’arresto e brusche accelerazioni, ha accompagna- to tutto il «secolo breve», fino alla svolta del millennio. Parafrasando Xxxx, si
pace tra gli Stati: a tal proposito, si riportano le osservazioni espresse da autorevole dottrina: «pur salvaguardandosi, almeno nominalmente, il principio dell’eguale indipendenza e sovranità di tutti gli Stati, sono divenute possibili forme di collegamento tra essi le quali hanno consentito interferenze, fra gli Stati e tra le culture, non prive di riflessi, anche sui sistemi delle fonti, realizzate mediante raccordi fra i diversi ordinamenti», PIZZORUSSO, Delle fonti del diritto: art. 1-9, cit., 751.
(319) Cfr., tra gli altri, ZAGREBELSKY, Il diritto mite. Legge diritti giustizia, Torino, Einaudi, 1992, 5 ss.
(320) XXXXXXXX, Passaggio a occidente. Filosofia e globalizzazione, II ed., Torino, Bollati Boringhieri, 2009, 53, ma passim.
(321) FERRARESE, La globalizzazione del diritto: dalla “teologia politica” al diritto “utile”, in VOGLIOTTI (a cura di), Il tramonto della modernità giuridica, cit., 53.
(322) ROMAGNOLI, Il diritto del lavoro nell’età della globalizzazione, LD, 2003, 573.
(323) Si rammenti, a tal proposito, la prolusione pisana di Xxxxx Xxxxxx del 1909, ove il celebre giurista denunciava l’eclissi dello Stato di fronte al crescente pluralismo sociale e politico, indotto dall’attivismo delle associazioni professionali: X. XXXXXX, Lo Stato moderno e la sua crisi: discorso per l’inaugurazione dell’anno accademico 1909-1910 nella R. Università di Pisa, in ID., Xxxxxxx minori, a cura di ZANOBINI, vol. I, Milano, Xxxxxxx, 1950. Sulla prolusione romaniana v. le riflessioni di GROSSI, Lo Stato moderno e la sua crisi (a cento anni dalla prolusione pisana di Xxxxx Xxxxxx), RTDP, 2011, 1 ss. Sul tema cfr. altresì XXXXXXX, Sulla crisi del diritto, RTDPC, 1954, 738 ss.
(324) Cfr. fra gli altri, XXXXXXXX, op. cit.; X. XXXXXXXX, op. cit.; XXXXXXXXX, op. cit.
potrebbe dire che se il lavoro è un’invenzione della modernità, la globalizza- zione sta re-inventando il lavoro e le sue forme di giuridificazione.
2. Globalizzazione e diritto del lavoro. La crisi economica.
Che cosa deve intendersi per globalizzazione? Non è facile precisare il si- gnificato da attribuire a questo vocabolo polisenso, del quale in letteratura non si rinviene una definizione univoca e condivisa (325). Ciò non deve stupi- re. Tale vocabolo, infatti, non descrive uno stato finale ma un processo in di- venire, caratterizzato dall’intensificarsi «dei rapporti di traffico, comunicazio- ne e scambio al di là delle frontiere nazionali» (326). Par certo, a ogni modo, che a onta della (o forse proprio grazie alla) sua indeterminatezza, esso sia en- trato a far parte del lessico comune e scientifico. Si è osservato, al riguardo, che «in assenza di concorrenza il concetto occupa un posto legittimo: defini- sce la nostra epoca» (327).
La globalizzazione è un fenomeno «totale», che investe le dimensioni della politica, della società, dell’economia, del diritto, della cultura, della salute, etc. Il relativo dibattito è troppo complesso perché sia affrontato in poche bat- tute: si finirebbe ben presto col perdere la bussola, nel tentativo di districarsi tra «apologeti» e «critici» (328), di risalire alla genesi della trasformazione in at- to passando in rassegna posizioni «continuiste» e «discontinuiste» (329), di in-
(325) Per una ricostruzione del dibattito x. XXXX, Xxxxxxxxxxxxxxx, XXX, 0000.
(326) In questi termini, XXXXXXXX, op. cit., 38. Si tratta, come efficacemente si è scritto, di un processo di progressiva «omologazione delle vicissitudini umane sempre più incalzante, che l’innovazione scientifica e tecnologica spinge su territori sino a ieri inesplorati costringendo l’uomo a riconsiderare l’estensione del mondo, le dinamiche tra le culture, i movimenti di persone, di popoli, di merci, nonché le trasformazioni delle società umane nel loro complesso di acquisizioni storiche»: DI MICCO, Globalizzazione del diritto (voce), DDP, 2013.
(327) PORTINARO, op. cit., 30.
(328) Per una sintetica ricostruzione delle ragioni degli uni e degli altri, x. XXXX, op. cit.
(329) Secondo la tesi «continuista», quella in corso sarebbe solo l’ultima di una serie di globalizzazioni che hanno segnato il cammino millenario di avvicinamento e integrazione tra le civiltà umane, ed in particolare, sarebbe poi la logica prosecuzione del processo di internazionalizzazione del commercio innescato, tra il XVIII e il XIX secolo, dal progresso tecnico e dalla rivoluzione industriale. Secondo l’opposta tesi