Indice
Nota illustrativa relativa all’Accordo su deleghe legislative in materia di
mercato del lavoro e orario di lavoro
Indice
Prima Parte
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- Premessa ……………..……………………………………..……………… |
pag. 1
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Norme a carattere generale
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pag. 2 pag. 2 pag. 3 pag. 4 pag. 4 pag. 5 |
Seconda Parte – Mercato del lavoro
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pag. 6 |
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pag. 9 |
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pag. 12 |
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pag. 17 |
Terza Parte – Orario di lavoro
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Innovazioni all’articolo 8 del CCNL (orario di lavoro)
Innovazioni all’articolo 30 del CCNL (lavoratori discontinui)……………… |
pag. 20 pag. 20 pag. 21 pag. 21 pag. 22 pag. 23 pag. 23
pag. 24 |
Prima parte
Premessa
Le Parti hanno ritenuto necessario condividere una premessa di tipo politico all’Accordo. Tale premessa ha l’obiettivo di esplicitare le motivazioni dei contenuti dell’Accordo e agevolare la loro coerente applicazione a livello aziendale.
In particolare l’intento delle Parti è stato quello di rendere disponibili adeguati strumenti di flessibilità, in relazione alle diversificate esigenze di imprese e lavoratori, che, attraverso la normativa del CCNL, possano consentire una regolamentazione omogenea sul territorio nazionale.
Le Parti hanno anche convenuto che gli strumenti di flessibilità:
devono essere utilizzati in maniera coerente con le loro finalità (che le Parti nazionali si sono sforzate di definire esplicitamente nelle norme dell’Accordo),
non pregiudicano e in generale sono funzionali anche a cogliere le possibilità di stabilizzazione del rapporto di lavoro individuale.
Coerentemente con tali indicazioni le Parti hanno ritenuto opportuno prevedere la realizzazione, nell’ambito dell’Osservatorio Nazionale contrattuale, di un monitoraggio sull’applicazione delle nuove norme con l’obiettivo di:
promuovere la piena operatività e la corretta applicazione dell’Accordo, mediante la preparazione di interventi sia di natura contrattuale, sia nei confronti dei soggetti (quali le Regioni) a cui è demandata la definizione di alcuni dei criteri attuativi delle norme di legge.
approfondire gli ambiti delle deleghe legislative che non sono state regolamentate dall’Accordo con l’obiettivo di realizzare in merito ulteriori intese.
Illustriamo di seguito i contenuti dell’Accordo precisando che, ove non sono previste esplicitamente diverse decorrenze, le nuove norme sono applicabili a far data dal 1° luglio 2004.
Norme a carattere generale
La prima parte della presente nota è dedicata all’analisi delle norme contrattuali a carattere trasversale applicabili in via generale a tutte le tipologie di contratto di lavoro individuale non a tempo indeterminato.
Le norme contenute in questa prima parte pur non recependo specifiche deleghe legislative, sono state convenute dalle Parti in quanto si è ritenuto opportuno procedere ad una omogeneizzazione di alcuni istituti contrattuali con l’obiettivo di semplificazione e di eliminazione di ingiustificate differenze di trattamento economico e normativo tra le varie tipologie di rapporto di lavoro a termine.
Le norme di carattere generale riguardano:
Informazioni a livello aziendale/territoriale
Previdenza complementare ed assistenza sanitaria
Decorrenza anzianità di servizio
Contrattazione di secondo livello
Periodo di prova
Malattia e infortunio
Informazioni a livello aziendale/territoriale
Semestralmente le imprese informeranno le RSU fornendo, in forma aggregata, a consuntivo, i seguenti elementi relativi ai contratti di lavoro non a tempo indeterminato instaurati:
il numero,
la tipologia (apprendistato, lavoro a termine, contratti di inserimento, ecc.),
la durata prevista,
la qualifica dei lavoratori in forza/assunti,
la finalizzazione di tali contratti e cioè i motivi/necessità tecnico-organizzativi che determinano il ricorso alle differenti tipologie contrattuali,
gli interventi formativi realizzati,
il numero di contratti trasformati.
Per quanto riguarda le modalità di informazione precisiamo che:
nel caso di gruppi industriali o imprese/unità produttive con più di 100 addetti l’informativa verrà espletata secondo le prassi consolidate a livello aziendale sulla base delle previsioni di cui alla Parte II del CCNL relativa alle relazioni industriali;
nel caso di mancanza di RSU le imprese potranno adempiere alla informativa facendo confluire i dati di cui sono in possesso presso le sezioni territoriali dell’Osservatorio Nazionale di cui alla Parte I del CCNL.
Previdenza complementare e assistenza sanitaria
Si è precisato che le norme contrattuali in materia di previdenza complementare e assistenza sanitaria sono applicabili anche a tutti i lavoratori a tempo determinato che quindi possono iscriversi a FASCHIM e FONCHIM secondo le modalità e le regole stabilite dai rispettivi statuti e regolamenti attuativi.
Sinteticamente si rammenta che possono iscriversi:
a FASCHIM tutti i lavoratori i cui contratti di lavoro siano di durata pari o superiore a 12 mesi (senza computare il periodo di prova) e purché abbiano un orario di lavoro pari o superiore a 20 ore settimanali.
a FONCHIM tutti i lavoratori, che abbiano superato il periodo di prova, con contratto di lavoro di durata superiore a 6 mesi.
Decorrenza anzianità di servizio
Con esclusivo riferimento ai contratti di apprendistato ed ai contratti di inserimento/reinserimento le Parti hanno convenuto, nel caso di trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, di computare tali periodi di prestazione nell’anzianità di servizio ai fini di tutti gli istituti previsti dalla legge e dal contratto.
Esempio
Il lavoratore assunto con contratto di apprendistato della durata di 3 anni, che al termine di tale periodo veda trasformato il proprio contratto di lavoro in un contratto a tempo indeterminato, avrà una anzianità di servizio decorrente dalla data della prima assunzione.
Con riferimento agli scatti di anzianità:
il primo scatto di anzianità decorrerà dalla data della trasformazione
il secondo scatto di anzianità decorrerà al termine del secondo biennio dalla data di prima assunzione (cioè l’anno successivo alla trasformazione)
Ricordiamo che per quanto riguarda il contratto a termine, in forza del principio di non discriminazione previsto all’articolo 6 del D.Lgs. 368/2001 trovano applicazione tutti gli istituti contrattuali e di legge relativi ai lavoratori comparabili (salvo quelli incompatibili con la natura del contratto a termine). Pertanto ai lavoratori con contratto a termine si applica l’istituto degli scatti di anzianità e, in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato senza soluzione di continuità, il riferimento per il calcolo degli scatti dovrà essere la data di assunzione.
Esempio 1
Lavoratore assunto con contratto a termine della durata di 1 anno, successivamente trasformato a tempo indeterminato senza soluzione di continuità.
Il primo scatto decorrerà al termine del primo biennio di servizio computato dalla data di assunzione a termine (e quindi considerando anche la durata del contratto a tempo determinato).
Esempio 2
Lavoratore assunto con contratto a termine della durata di 18 mesi, prorogato per successivi 12 e quindi risolto (senza trasformazione a tempo indeterminato)
Il primo (e unico) scatto decorrerà al termine del primo biennio di servizio computato dalla data della assunzione a termine.
Esempio 3
Lavoratore assunto a termine 3 volte per la durata di 10 mesi (30 mesi totali) con intervallo di 4 mesi tra un contratto a termine e l’altro.
Non matura scatti
Contrattazione di secondo livello
Le Parti hanno convenuto che per i contratti di inserimento, apprendistato e a tempo determinato (come già espressamente previsto per il premio di partecipazione dall’articolo 18 del CCNL) la contrattazione di secondo livello troverà applicazione secondo i criteri e le modalità definiti a livello aziendale.
Periodo di prova
Sono stati confermati i periodi di prova contrattualmente previsti (articolo 2 del CCNL), precisando però che, in ogni caso, il periodo di prova non potrà superare il 40% della durata prevista dal contratto di lavoro.
Si riportano di seguito alcuni esempi di calcolo del periodo di prova riferiti al settore chimico.
Esempio 1
Contratto a termine di durata di 5 mesi: il periodo di prova non può essere superiore a 2 mesi (40% di 5 mesi = 2 mesi).
Conseguentemente i periodi di prova massimi sono:
Categoria A o B 2 mesi Categoria E 2 mesi
Categoria C o D 2 mesi Categoria F 1 mese
Esempio 2
Contratto di inserimento di durata di 12 mesi: il periodo di prova non può essere superiore a 4 mesi e 24 giorni (40% di 12 mesi = 4 mesi e 24 giorni).
Conseguentemente i periodi di prova massimi sono:
Categoria A o B 4 mesi e 24 giorni Categoria E 2 mesi
Categoria C o D 3 mesi Categoria F 1 mese
Esempio 3
Contratto a termine di durata di 12 mesi con le condizioni per l’applicazione della riduzione del periodo di prova (da sei a tre mesi o da tre a due mesi) in quanto il lavoratore ha qualifica di quadro o impiegato e, per almeno un biennio nei tre anni precedenti, ha prestato servizio con analoghe mansioni presso altre imprese che esercitano la stessa attività (cfr. comma 4 dell’articolo 2 del CCNL).
Come nell’esempio precedente, l’applicazione della nuova norma contrattuale comporta che il periodo di prova di un contratto a termine della durata di 12 mesi non possa essere superiore a 4 mesi e 24 giorni.
Conseguentemente, esclusivamente per le qualifiche di quadro e impiegato, trovano applicazione i periodi di prova ridotti sulla base del citato disposto del comma 4 dell’articolo 2 del CCNL come segue:
Categoria A o B 3 mesi Categoria E 2 mesi
Categoria C o D 2 mesi Categoria F 1 mese
Esempio 4
Contratto a termine di durata di 2 anni: si applica la tabella contrattuale (40% di 2 anni = 9 mesi e 18 giorni).
Conseguentemente i periodi di prova massimi sono i seguenti:
Categoria A o B 6 mesi Categoria E 2 mesi
Categoria C o D 3 mesi Categoria F 1 mese
Malattia e infortunio – Conservazione del posto e trattamento economico
Ferma restando la regolamentazione valida per la generalità dei lavoratori (e riportata all’articolo 40 del CCNL), sono stati individuati specifici periodi di conservazione del posto e i relativi trattamenti economici per i contratti di durata determinata (contratti a termine, di inserimento, di apprendistato).
Riportiamo di seguito lo schema riassuntivo dei periodi di conservazione del posto e dei relativi trattamenti economici evidenziando che per tutti gli altri aspetti troverà applicazione la normativa contrattuale prevista per la generalità dei lavoratori.
Durata del contratto |
Periodo di conservazione del posto |
Trattamento economico durante l’assenza |
Superiore a 2 anni e fino a 3 anni (4 per apprendistato). |
150 gg. |
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Superiore ad 1 anno e fino a 2 anni. |
120 gg. |
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Superiore a 9 mesi e fino a 1 anno. |
90 gg. |
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Fino a 9 mesi. |
60 gg. |
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La nuova regolamentazione decorre dal 1° Luglio 2004 e pertanto si applica agli eventi morbosi insorti a partire dalla stessa data. Per gli eventi morbosi in corso alla stessa data si farà riferimento alla precedente regolamentazione.
Seconda parte – Mercato del lavoro
A) Contratto a tempo determinato
Premessa
Si rammenta che le norme di legge che disciplinano il contratto di lavoro a tempo determinato sono contenute nel D.Lgs. 368/2001.
Le norme contenute nel Decreto sanciscono il principio secondo il quale non esistono limiti quantitativi ai contratti di lavoro a termine stipulati per le seguenti motivazioni:
fase di avvio di nuove attività
ragioni di carattere sostitutivo
ragioni di stagionalità
ragioni di intensificazione dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno
esecuzione di un’opera o di un servizio definiti o predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario o occasionale
così come per i contratti a termine:
di durata fino a 7 mesi
stipulati a conclusione di un periodo di tirocinio o di stage, allo scopo di facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, ovvero stipulati con lavoratori di età superiore ai 55 anni
Il Legislatore ha inoltre rinviato alla contrattazione collettiva di settore la possibilità di disciplinare alcuni aspetti di questa tipologia contrattuale.
Tra tali aspetti vi è anche la possibilità di individuare la durata delle fasi di avvio di nuove attività e di definire limiti quantitativi di utilizzo esclusivamente per esigenze non rientranti in quelle sopra elencate e quindi aggiuntive alle stesse.
Le Parti, con l’Accordo in parola, in armonia con le sopra richiamate norme di legge hanno definito:
il periodo di avvio di nuove attività nel quale non esistono limitazioni quantitative alla stipulazione di contratti a tempo determinato;
le attività per le quali sono ammessi limiti quantitativi alla stipulazione di tali contratti;
le modalità attraverso cui rendere l’informativa ai lavoratori assunti;
gli interventi formativi.
1. Periodo di avvio di nuove attività
La lett. a) del comma 7, art. 10 del D.Lgs. n. 368/2001 statuisce che sono esenti da limitazioni quantitative i contratti a tempo determinato conclusi nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro, anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici.
In attuazione della sopra citata delega legislativa le Parti hanno convenuto che per “fase di avvio di nuove attività” debba intendersi un periodo di durata non superiore a 24 mesi decorrenti, a titolo esemplificativo, dall’inizio dell’attività produttiva o di servizio di una nuova impresa o dall’entrata in funzione di una nuova linea di produzione o di servizio o di una nuova unità produttiva aziendale. Per le aziende operanti nei territori del Mezzogiorno, così come individuate dal DPR 6 marzo 1978 n. 218, tale periodo potrà avere una durata massima di 36 mesi.
Coerentemente con le previsioni legislative si è convenuto che, in relazione a specifiche caratteristiche produttive aziendali o di mercato, tali periodi di “avvio di nuove attività” (24 e 36 mesi) potranno essere prolungati attraverso accordi aziendali.
2. Esigenze aggiuntive soggette a limiti quantitativi
Il comma 7, art. 10 del decreto legislativo del 2001 prevede che i contratti collettivi possano individuare, esclusivamente per talune ipotesi, i limiti quantitativi di utilizzazione del contratto a tempo determinato.
La previsione legislativa, come già precisato, sancisce il principio secondo il quale non esistono limiti quantitativi alla stipulazione di contratti a tempo determinato ad esclusione degli specifici casi liberamente individuati dalla contrattazione collettiva nazionale. Pertanto, ferma restando la generalizzata possibilità di stipulare contratti a tempo determinato senza limiti quantitativi, le Parti hanno sancito che esclusivamente per le tre ipotesi sotto indicate, non rientranti nei casi già previsti dalle norme di legge, il numero di lavoratori con contratto a tempo determinato non possa superare il 18% in media annua dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato occupati nell’impresa alla data del 31 dicembre dell’anno precedente (il 30% in media annua per le imprese del Mezzogiorno così come individuate dal DPR n. 218/78).
Le tre ipotesi individuate sono le seguenti:
esecuzione di più commesse concomitanti nella stessa unità produttiva;
operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria di impianti;
copertura di posizioni di lavoro non ancora stabilizzate in conseguenza di modifiche dell’organizzazione dell’impresa.
L’Accordo dà facoltà alle Parti aziendali di definire congiuntamente anche percentuali più ampie in relazione alle specifiche esigenze dell’impresa.
Nell’Accordo, inoltre, si è precisato che:
nel caso in cui il rapporto percentuale del 18% di cui sopra dia luogo ad un numero inferiore a 10, le imprese potranno stipulare fino a 10 contratti a tempo determinato;
l’eventuale frazione di unità derivante da tale rapporto percentuale deve essere arrotondata all’unità intera superiore.
Esempio
Impresa A: 40 lavoratori a tempo indeterminato al 31/12/2004; 18% di 40 = 7,2.
Impresa B: 145 lavoratori a tempo indeterminato al 31/12/2004; 18% di 145 = 26,1.
Laddove nel corso del 2005 si dovessero verificare una o più delle tre ipotesi di cui alle sopra citate lettere a), b) e c):
l’impresa A potrebbe stipulare (esclusivamente per tali attività) fino a 10 contratti a tempo determinato nella media annua,
l’impresa B potrebbe stipulare (esclusivamente per tali attività) fino a 27 contratti a tempo determinato nella media annua,
3. Modalità attraverso cui rendere l’informativa ai lavoratori assunti
L’art. 9 del D.Lgs. 368/2001 ha stabilito che la contrattazione collettiva definisce le modalità e i contenuti delle informazioni da rendere ai lavoratori a tempo determinato circa i posti vacanti che si rendessero disponibili presso l’impresa
Le Parti hanno convenuto che l’impresa dovrà fornire ai lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo determinato, secondo la prassi in atto e con gli strumenti di comunicazione normalmente in uso nell’impresa, informazioni circa i posti vacanti a tempo indeterminato che si rendessero disponibili nell’impresa. Il diritto all’informativa non configura in capo al lavoratore assunto con contratto a termine un diritto di precedenza nella assunzione presso l’impresa in cui presta la propria attività lavorativa.
4. Interventi formativi
L’art. 7 del decreto in parola ha stabilito che:
il lavoratore debba ricevere una formazione sufficiente ed adeguata alle caratteristiche delle mansioni che dovrà svolgere al fine di prevenire i rischi connessi alla esecuzione del lavoro,
i contratti collettivi possono prevedere modalità e strumenti per agevolare l’accesso dei lavoratori assunti a tempo determinato ad opportunità di formazione adeguata per aumentarne la qualificazione, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale.
Al fine di garantire ai lavoratori con contratto a tempo determinato interventi formativi/informativi:
adeguati riguardo ai temi della sicurezza ed al processo lavorativo;
coerenti con l’esperienza lavorativa del soggetto e con il tipo di attività che lo stesso sarà chiamato a svolgere;
che non duplichino inutilmente interventi formativi di cui il lavoratore sia già stato oggetto;
le Parti hanno convenuto che per i lavoratori al primo contratto nell’impresa debba essere impartita una formazione non inferiore a 8 ore.
B) Lavoro a tempo parziale
Il X.Xxx. 276/2003 ha apportato diverse innovazioni alle norme legislative che regolano il lavoro a tempo parziale (D.Lgs. 61/2000). Le innovazioni legislative che hanno comportato modifiche alle norme contrattuali sono le seguenti:
(art. 46, comma 1, lett. m D.Lgs. 276/03) è stata abrogata la disposizione che disciplinava il cosiddetto diritto di ripensamento con il quale il lavoratore, nel corso di svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale, poteva rendere non operative le clausole elastiche o flessibili definite nel suo contratto di lavoro;
(art. 46, comma 1, lett. k D.Lgs. 276/03) il termine di preavviso che spetta al prestatore di lavoro - nel caso in cui il datore di lavoro eserciti il potere di variare in aumento la sua prestazione lavorativa (clausola elastica), o di modificare la collocazione temporale della prestazione stessa (clausola flessibile) - è diminuito da 10 giorni ad almeno 2 giorni lavorativi (fatte salve diverse intese tra le parti);
(art. 46, comma 1, lett. e X.Xxx. 276/03) la nuova norma di legge ha semplificato la precedente norma che prevedeva la necessità per la contrattazione collettiva di individuare il numero massimo di ore supplementari effettuabili sia nella singola giornata sia nell’anno. La nuova norma di legge prevede esclusivamente che i contratti collettivi “stabiliscono il numero massimo delle ore di lavoro supplementari effettuabili”;
(art. 46, comma 1, lett. i D.Lgs. 276/03) sono state abrogate le norme di legge che prevedevano per il lavoratore il diritto al consolidamento delle ore di lavoro supplementare svolte.
Le Parti, nell’intento di:
armonizzare le norme contrattuali contenute nell’art. 3, lett. E del CCNL alla nuova disciplina sul part time, novellata dal D.Lgs. 276/2003,
rendere il rapporto di lavoro part time più confacente alle esigenze delle imprese e dei lavoratori,
agevolare le imprese nell’applicazione delle nuove norme limitando allo stretto necessario gli interventi,
hanno convenuto le seguenti modifiche all’articolo in parola:
Al punto 1 è stata individuata la data del 1° Luglio 2004 a partire dalla quale le nuove norme diverranno operative.
Il punto 3 relativo a clausole elastiche e flessibili è stato interamente modificato.
Recependo le indicazioni contenute nella normativa vigente la nuova disposizione contrattuale rimanda ad un accordo tra impresa e lavoratore la possibilità di inserire nel contratto individuale clausole di flessibilità ed elasticità.
Ricordiamo che:
le clausole di flessibilità riguardano la possibilità di modificare esclusivamente la collocazione temporale della prestazione e sono applicabili ad ogni tipologia di part time,
le clausole di elasticità consentono di variare in aumento la prestazione stabilita e sono applicabili solo per il part time verticale o misto.
Esempi
Flessibilità:
part time con orario di lavoro dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 12.00,
la clausola flessibile permette al datore di lavoro di spostare la prestazione lavorativa, definitivamente o per un certo periodo di tempo, in un’altra fascia oraria, ad esempio, dalle 15.00 alle 18.00 sempre dal lunedì al venerdì.
Elasticità:
part time con orario di lavoro dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 18.00 dal lunedì al mercoledì,
la clausola elastica prevede che il datore di lavoro possa incrementare la prestazione richiesta al lavoratore, definitivamente o per un periodo determinato, definendo un nuovo orario, ad esempio dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 18.00 dal lunedì al giovedì.
Evidenziamo inoltre che:
la disciplina relativa al cosiddetto “diritto di denuncia o di ripensamento”, abrogata dalle nuove norme di legge, è stata stralciata dalla norma contrattuale,
la legge prevede che le clausole in parola debbano essere accettate dal lavoratore attraverso un apposito patto scritto (Cfr. art. 3, comma 9 D.Lgs. 61/2000),
il lavoratore, laddove lo ritenga necessario, può farsi assistere da un rappresentante sindacale all’atto della stipulazione del patto,
il rifiuto di stipulare il patto scritto non integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento,
le clausole elastiche e flessibili possono essere inserite anche nei contratti di lavoro part time a termine nel rispetto, naturalmente, delle modalità sopra riportate.
Al Punto 8 è stato modificato il termine di preavviso con il quale l’impresa deve informare il lavoratore circa la modificazione temporale della sua prestazione lavorativa (in virtù di clausole elastiche o flessibili). Tale termine di preavviso, che precedentemente era di 10 giorni, è stato ridotto a 7.
Il nuovo termine può essere ulteriormente ridotto con accordo tra le parti. Si consiglia alle imprese, comunque, di fornire sempre al lavoratore un preavviso di almeno un giorno. Infatti, la circolare del Ministero del lavoro n. 9 del 18 marzo 2004 ha precisato che il termine di preavviso minimo di legge (2 giorni) può essere ridotto ma non può essere eliminato completamente.
E’ rimasta, invece, invariata la misura del trattamento economico che deve essere corrisposto al lavoratore nel caso in cui gli venga fornito un preavviso inferiore a 7 giorni (il 20% della retribuzione percepita dal lavoratore comprensiva dell’incidenza degli istituti retributivi contrattuali e legali, indiretti e differiti per il numero di giorni pari alla differenza tra il preavviso effettivamente dato dall’impresa ed il normale preavviso di 7 giorni).
Al punto 10 in armonia con le nuove norme di legge:
è stato abolito il limite giornaliero di lavoro supplementare effettuabile da parte dei lavoratori part time,
è stato confermato il limite annuale di ore di lavoro supplementare.
Sono rimaste invariate tutte le altre norme che regolamentano il lavoro supplementare dei lavoratori part time comprese quindi le maggiorazioni e le motivazioni che giustificano il ricorso allo stesso (Cfr. punti 9 e 11, articolo 3, lettera E, del CCNL).
Il punto 12, relativo al diritto al consolidamento, è stato eliminato in quanto le corrispondenti norme di legge sono state abrogate.
I punti non commentati non hanno subito alcuna modifica.
Per un’analisi completa della nuova disciplina sul part time, si rinvia ad una prossima circolare di commento alla citata circolare ministeriale n. 9 del 18 marzo 2004 che contiene anche alcuni chiarimenti sulle norme del D.Lgs. n. 276/2003 e sulla quale sono in corso approfondimenti a livello confederale.
C) Contratto di apprendistato
Premessa
Il quadro normativo di tale istituto è tutt’altro che completo; manca, tra l’altro, la regolamentazione relativa ai profili professionali relativi ai vari tipi di apprendistato la cui definizione ricordiamo è di esclusiva competenza delle Regioni.
Le nuove figure di apprendistato sono disciplinate dagli articoli 47 e seguenti del D.Lgs. 276/2003.
Le norme contenute in tali articoli tra l’altro prevedono che i profili formativi:
dell’apprendistato per l’espletamento del diritto dovere di istruzione e formazione sono regolamentate dalle Regioni sentite le Associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (art. 48);
dell’apprendistato professionalizzante sono definiti dalle Regioni, d’intesa con le Associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale, nel rispetto dei criteri e dei principi direttivi definiti nei contratti collettivi stipulati a livello nazionale (art. 49);
dell’apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per corsi di alta formazione sono definiti dalle Regioni in accordo con le Associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei lavoratori e con le Università e con le altre Istituzioni formative (art. 50).
Dalla norma sopra riportata si evince che le Parti sociali dovranno fornire un parere alle Istituzioni competenti sui temi della formazione.
In tale scenario di riferimento le Parti hanno ritenuto opportuno condividere alcuni principi che possano svolgere una funzione di indirizzo per le Regioni nel momento in cui procederanno a redigere la regolamentazione delle materie di loro competenza.
Evidenziamo che finché il quadro normativo non sarà completo, e quindi il nuovo apprendistato totalmente operativo, continuano a trovare applicazione (in xxx xxxxxxxxxxx) xx xxxxx contrattuali di cui all’articolo 3 lettera A del CCNL 12 febbraio 2002.
Fanno eccezione le norme relative al trattamento per malattia, già descritte nella parte prima della presente circolare, che saranno operative dal 1° luglio 2004.
1. Finalità
Le Parti hanno convenuto che lo strumento dell’apprendistato è rivolto a soddisfare le esigenze di qualificazione e formazione di personale che non disponga di una professionalità già adeguata alle mansioni e al ruolo che dovrà svolgere nell’impresa.
2. Formazione
La cosiddetta formazione formale
Le Parti hanno condiviso l’opportunità di valorizzare il più possibile la formazione interna alle imprese individuando sia le tematiche della formazione da demandare prioritariamente alla formazione interna (sicurezza e misure di protezione e prevenzione individuale, norme contrattuali, previdenza obbligatoria e complementare, natura e scopi dell’impresa, conoscenza dei prodotti e dei cicli produttivi ecc.), sia le tematiche che potrebbero essere demandate alla formazione esterna laddove l’impresa non avesse una “capacità formativa interna” (lingue straniere, nozioni di applicazioni informatiche, problematiche economiche settoriali ecc.).
Le Parti hanno inoltre convenuto che per formazione formale debba intendersi la formazione certificata. Per definire, tuttavia, la modalità attraverso la quale le imprese dovranno procedere alla certificazione sarà necessario che le Regioni completino il quadro normativo di riferimento.
L'impresa formativa
Le Parti hanno definito come impresa formativa quell’impresa che, in relazione alle proprie risorse, sia in grado di esprimere una capacità formativa e cioè sia in grado di trasferire competenze.
A tal fine le Parti ritengono necessario valorizzare la figura del tutor con formazione e competenze adeguate che possa essere di riferimento e supporto per l’apprendista.
Il Tutor
Le Parti hanno convenuto che la figura del tutor, scelto e nominato dalla Direzione aziendale, è fondamentale per la formazione dell’apprendista. A tale figura, oltre alle funzioni di supporto e guida già menzionate, spetta il compito, su richiesta dell’apprendista, di formalizzare lo stato di avanzamento del progetto formativo, di certificare l’erogazione della formazione ed il grado di apprendimento del lavoratore. Una figura chiave che dovrà quindi essere messa nelle condizioni di trasferire competenze. A tale proposito le Parti hanno ritenuto opportuno che il tutor aziendale partecipi a corsi formativi mirati, della durata di 8 ore, che gli consentano di espletare la propria attività in maniera coerente ed adeguata.
L’Organismo Bilaterale Chimico
In considerazione del ruolo contrattualmente affidato all’Organismo Bilaterale per la formazione, si è ritenuto opportuno conferirgli i seguenti compiti:
definire le linee guida per la formazione sia interna che esterna all’impresa e i profili formativi delle varie tipologie di apprendistato da sottoporre alle Regioni per gli adempimenti previsti dalle norme di legge;
curare la predisposizione di corsi formativi della durata di 8 ore per i tutor aziendali differenziati in relazione alla tipologia di apprendista che dovrà seguire.
Segnaliamo che i tutor formati attraverso i corsi tenuti in ambito OBC potranno trasferire le competenze acquisite formando a loro volta altri tutor aziendali.
Si rammenta ancora una volta che la funzione che può essere esercitata dalle Parti e dallo stesso OBC è meramente di indirizzo e che il citato parere che verrà reso alle Regioni non ha carattere vincolante e quindi le Regioni, o alcune di esse, potrebbero disattendere le previsioni contrattuali.
Naturalmente Federchimica, sia unilateralmente, sia di concerto con le rappresentanze sindacali eserciterà una azione di sensibilizzazione verso le Istituzioni affinché tengano in debito conto la posizione comune raggiunta dal presente Accordo.
CONTRATTO DI APPRENDISTATO PROFESSIONALIZZANTE
Come noto la riforma Xxxxx ha introdotto tre diverse fattispecie di apprendistato disciplinate dagli articoli 47 e seguenti del D.Lgs. 276/2003:
qualificante (per l’espletamento del diritto/dovere di istruzione e formazione),
professionalizzante,
per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione,
Le Parti hanno ritenuto opportuno regolamentare, in questa prima fase, l’apprendistato professionalizzante in quanto concordemente considerato il più confacente alle esigenze delle imprese.
Denominazione contrattuale
Le Parti hanno ritenuto di individuare una nuova denominazione contrattuale, differenziata in ragione della qualifica che l’apprendista è destinato a raggiungere, al fine di rendere più attrattiva per i lavoratori tale contratto di lavoro.
I contratti stipulati con apprendisti destinati a raggiungere le categorie B e C di cui all’art. 4 del vigente CCNL (e i livelli A, B, C, D per i Settori lubrificanti e GPL) saranno denominati:
“Contratti (di apprendistato) specialistico/gestionali”.
I contratti di apprendistato stipulati con apprendisti destinati a raggiungere le categorie D ed E di cui all’art. 4 del vigente CCNL (e i livelli E, F, G, H, I per i Settori lubrificanti e GPL) dovranno essere denominati:
“Contratti (di apprendistato) tecnico/operativi”
b) Durata
L’art. 49, comma 3, del D.Lgs. 276/2003 stabilisce che la durata del contratto di apprendistato professionalizzante, che non può in ogni caso essere inferiore a 2 anni e superiore a 6, deve essere definita dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni dei datori e prestatori di lavoro più rappresentative sul piano nazionale o regionale.
Al fine di utilizzare in maniera coerente tale tipologia contrattuale ricordiamo che:
si rivolge a soggetti di età compresa tra 18 e 29 anni,
deve essere finalizzata al conseguimento di una qualificazione professionale attraverso una formazione sul lavoro.
Le Parti, in considerazione del differente grado di preparazione dei lavoratori, hanno ritenuto opportuno differenziare la durata del contratto in relazione al titolo di studio di cui il soggetto è in possesso come da tabella di seguito riportata.
Alla base della impostazione adottata vi è la volontà di rendere attrattivo, per tutte le figure professionali, il nuovo contratto di apprendistato in considerazione del fatto che tale strumento (che gode di significativi sgravi contributivi) sostituirà i contratti di Formazione e Lavoro, non più operativi.
Durata |
Titolo di studio |
2 anni |
Xxxxxxxx in possesso di laurea coerente con la professionalità da conseguire |
Fino a 3 anni |
Xxxxxxxx in possesso di laurea non coerente con la professionalità da conseguire |
Fino a 3 anni |
Soggetti in possesso di diploma di scuola media superiore (quinquennale) coerente con la professionalità da conseguire |
Fino a 4 anni |
Soggetti in possesso di diploma di scuola media inferiore o superiore, non coerente con la professionalità da conseguire |
Con riferimento alla durata dell’apprendistato si precisa che:
è competenza esclusiva delle imprese esprimere il giudizio sulla coerenza del titolo di studio con la professionalità da conseguire,
i diplomi universitari o lauree brevi sono equiparate ai corsi di laurea normali.
Articolazione della formazione
L’art. 49, comma 5, del D.Lgs. 276/2003 ha stabilito che nella regolamentazione dei profili formativi dell’apprendistato professionalizzante le Regioni debbano seguire, tra l’altro, i principi direttivi contenuti nei contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale per quanto attiene alla determinazione delle modalità di erogazione ed alla articolazione della formazione interna ed esterna alle imprese.
Coerentemente con la previsione normativa le Parti hanno definito gli aspetti relativi alla articolazione ed alla erogazione della formazione precisando che:
per formazione formale deve intendersi la formazione, anche on the job e in affiancamento, prevista da un programma definito preventivamente accompagnata da una registrazione/documentazione di quanto effettuato a cura del tutor
le imprese con adeguata capacità formativa o nelle quali sono presenti tutor formati nell’ambito dei corsi formativi predisposti dall’OBC possono erogare la formazione interamente al loro interno
le 120 ore totali annue di formazione (che può essere svolta sia internamente sia esternamente all’impresa) previste dal comma 5, lett. a dell’art. 49 del D.Lgs. 276/03 devono intendersi come annue medie e quindi possono essere distribuite in maniera non omogenea durante tutta la durata del contratto
al raggiungimento dei primi 24 mesi di durata dell’apprendistato, su richiesta del lavoratore, il tutor effettuerà una verifica sullo stato di avanzamento del progetto formativo. Tale verifica sarà formalizzata per iscritto da parte del tutor e consegnata al lavoratore, riportando sinteticamente gli elementi fondamentali della formazione effettuata (per esempio: le ore di formazione effettuate, il tipo di corsi seguito, il grado di apprendimento raggiunto dal lavoratore). Consigliamo alle imprese di formalizzare l’avvenuta consegna del documento al lavoratore e di conservarne copia.
Inquadramento e trattamento retributivo
L’art. 53, comma 1 del D.Lgs. 276/2003 ha stabilito che la categoria di inquadramento del lavoratore non potrà essere inferiore per più di due livelli alla categoria spettante a lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è finalizzato il contratto.
Considerati:
i requisiti soggettivi dei lavoratori che potranno essere assunti (soggetti fino a 29 anni anche con titoli di studio elevati)
le caratteristiche del nostro sistema di inquadramento che prevede un ristretto numero di categorie
la necessità di valorizzare questa forma contrattuale che ricordiamo consentirà anche in futuro elevati risparmi contributivi
si è ritenuto che i lavoratori assunti con contratto di apprendistato specialistico/gestionale o tecnico/operativo potranno essere inquadrati nella categoria inferiore rispetto a quella relativa alla professionalità da acquisire e, limitatamente alla durata del contratto di apprendistato, agli stessi non sarà corrisposta alcuna indennità di posizione organizzativa.
Per i Settori Lubrificanti e GPL (che applicano un differente sistema classificatorio) i lavoratori apprendisti potranno essere inquadrati fino a due livelli inferiori a quello di destinazione.
D) Contratto di inserimento
Un ulteriore strumento di flessibilità che la riforma Xxxxx ha messo a disposizione delle imprese è il contratto di inserimento. Le norme di riferimento che disciplinano il contratto di inserimento e le relative deleghe alla contrattazione collettiva sono contenute negli artt. 54 e seguenti del D.Lgs. 276/03. Si rammenta, inoltre, che lo scorso 11 febbraio 2004 è intervenuto un accordo interconfederale che ha dettato ulteriori disposizioni integrative rispetto a quelle contenute nella normativa.
A tale proposito, prima di procedere alla disamina delle norme contrattuali che disciplinano tale contratto, pare necessario effettuare un breve excursus normativo.
Secondo quanto disposto all’art. 54 del D.Lgs. 276/2003 il contratto di inserimento può essere stipulato con le seguenti categorie di persone:
soggetti di età compresa tra i 18 ed i 29 anni;
disoccupati di lunga durata da 29 fino a 32 anni (cioè soggetti che, dopo aver perso un posto di lavoro, o cessato un’attività di lavoro autonomo, siano alla ricerca di nuova occupazione da più di 12 mesi - Cfr. accordo interconfederale punto 2);
lavoratori con più di 50 anni di età privi di un posto di lavoro;
lavoratori che desiderino riprendere un’attività lavorativa e che non abbiano lavorato per almeno 2 anni;
donne di qualsiasi età residenti in una area geografica in cui il tasso di occupazione femminile sia inferiore almeno al 20% di quello maschile o in cui il tasso di disoccupazione femminile superi il 10% di quello maschile (tali aree geografiche dovranno essere individuate attraverso un apposito decreto del Ministero del lavoro che, ad oggi, non è ancora stato promulgato);
persone riconosciute affette, ai sensi della normativa vigente, da un grave handicap fisico, mentale o psichico.
Al riguardo si rammenta che, secondo quanto stabilito all’art. 59, comma 3, D.Lgs. 276/03, in attesa della riforma del sistema degli incentivi alla occupazione, gli incentivi economici previsti dalla disciplina vigente, in materia di contratti di formazione e lavoro, saranno applicabili solo ed esclusivamente ai soggetti di cui alle lettere b), c), d), e) ed f) sopra indicate, le cosiddette “fasce deboli”.
Il decreto legislativo, al terzo comma dell’art.54 e agli artt., 57 e 59, ha stabilito inoltre che:
il contratto di inserimento deve avere una durata non inferiore a 9 mesi e non superiore a 18
per poter assumere mediante contratti di inserimento l’impresa deve aver mantenuto in servizio almeno il 60% dei lavoratori il cui contratto di inserimento sia venuto a scadere nei 18 mesi precedenti
durante il rapporto di inserimento, la categoria di inquadramento del lavoratore non può essere inferiore, per più di 2 livelli, alla categoria spettante ai lavoratori addetti a mansioni equivalenti.
Alla contrattazione collettiva, infine, il legislatore ha demandato la possibilità di definire le modalità di attuazione dei piani individuali di inserimento (art. 55, comma 2).
L’Accordo Interconfederale del 11 febbraio 2004, tra l’altro, ha stabilito che:
in sede di contrattazione collettiva dovrà essere affrontato il tema dell’attribuzione del livello di inquadramento del lavoratore inserito in correlazione alle peculiarità settoriali e/o a specifiche condizioni professionali del lavoratore
il progetto formativo del contratto di inserimento deve prevedere una formazione teorica non inferiore a 16 ore ripartita tra apprendimento di nozioni di prevenzione antinfortunistica (che dovrà essere impartita nella fase iniziale del rapporto) e di disciplina del rapporto di lavoro ed organizzazione aziendale, accompagnate da congrue fasi di addestramento specifico
i lavoratori con contratto di inserimento dovranno godere dei servizi aziendali, quali mensa e trasporti, ovvero delle relative indennità sostitutive eventualmente corrisposte al personale con rapporto di lavoro subordinato, nonché di tutte le maggiorazioni connesse alle specifiche caratteristiche dell’effettiva prestazione lavorativa prevista dal contratto collettivo
nei casi in cui il contratto di inserimento/reinserimento venga trasformato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il periodo di inserimento/reinserimento debba essere computato nell’anzianità di servizio ai fini degli istituti previsti dalla legge e dal contratto, con esclusione tra l’altro degli aumenti periodici di anzianità.
1. Finalità
Le Parti, in sintonia con le disposizioni di legge e con l’accordo interconfederale del 11 febbraio 2004, hanno convenuto che tale contratto deve essere finalizzato a realizzare un adattamento delle competenze professionali del lavoratore alla realtà lavorativa nella quale svolgerà la sua attività.
2. Inquadramento e trattamento retributivo
I lavoratori assunti con contratto di inserimento godono del medesimo inquadramento e trattamento economico precedentemente previsto per i contratti di formazione e lavoro (ora non più operativi).
Pertanto, all’atto dell’assunzione, sono inquadrati nella stessa categoria relativa alla professionalità da acquisire e, limitatamente alla durata del contratto, non sarà loro corrisposta alcuna indennità di posizione organizzativa.
Per i Settori Lubrificanti e GPL (che applicano un differente sistema classificatorio) i lavoratori in contratto di inserimento potranno essere inquadrati in un livello inferiore a quello di destinazione.
3. Durata
Le Parti hanno condiviso che la durata del contratto di inserimento, da determinarsi in relazione al tipo di professionalità da acquisire, dovrà essere compresa tra un minimo di 12 fino ad un massimo di 18 mesi (36 per i lavoratori affetti da grave handicap fisico, psichico o mentale).
4. Elementi caratterizzanti il contratto
Al fine di agevolare l’utilizzo di questa tipologia di rapporto di lavoro, le Parti hanno fornito puntuali indicazioni, di seguito elencate, sugli elementi da inserire nel contratto individuale che dovrà essere redatto per iscritto:
la durata del contratto;
la durata del periodo di prova secondo quanto stabilito dalle vigenti norme contrattuali (Cfr. norme di carattere generale della presente circolare, pag. 3)
l’orario di lavoro, in funzione della tipologia del contratto a tempo pieno o a tempo parziale;
la categoria di inquadramento del lavoratore e la posizione organizzativa di destinazione;
la descrizione dell’attività che il lavoratore sarà chiamato a svolgere;
la sede di lavoro;
il trattamento economico e normativo;
il progetto individuale di inserimento ivi specificando la durata della formazione, la sua tipologia (se si tratta di formazione interna o esterna), i contenuti formativi, le modalità di erogazione della formazione, il luogo di svolgimento della formazione.
Si precisa che in mancanza della forma scritta il contratto si considera nullo ed il lavoratore si intende assunto a tempo indeterminato.
5. Progetto individuale di inserimento/formazione
In relazione al sopra riportato punto 8 le Parti hanno specificato che il progetto individuale di inserimento:
è definito con il consenso del lavoratore;
dovrà essere finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore al contesto lavorativo;
dovrà prevedere almeno 32 ore di formazione. Tale formazione dovrà essere dedicata, in relazione all’attività che il lavoratore sarà chiamato a svolgere, prevalentemente alle tematiche della sicurezza.
6. Condizioni per la stipulazione di nuovi contratti di inserimento
Le Parti hanno convenuto che per poter assumere mediante contratti di inserimento le imprese devono aver mantenuto in servizio almeno il 65% dei lavoratori il cui contratto di inserimento sia venuto a scadere nei 18 mesi precedenti.
A tal fine, secondo quanto stabilito dalle norme di legge (Cfr. art. 54, comma 3 D.Lgs. n. 276/2003), non si computano:
i lavoratori che si siano dimessi;
i lavoratori licenziati per giusta causa;
i lavoratori che alla scadenza del contratto abbiano rifiutato la proposta di rimanere in servizio;
i lavoratori il cui contratto sia stato risolto in costanza o al termine del periodo di prova;
i primi 4 contratti non trasformati in rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
Si ricorda, infine, che la previsione contrattuale in parola non si applica nel caso in cui nei 18 mesi precedenti alla assunzione del lavoratore sia venuto a scadere un solo contratto di inserimento.
Terza parte – Orario di lavoro
In materia di orario di lavoro riportiamo di seguito esclusivamente le innovazioni convenute con l’Accordo in parola, fermo restando che le norme contrattuali non citate rimangono invariate.
Con specifico riferimento alle pause (materia non compresa nell’Accordo) evidenziamo che l’articolo 8 del D.Lgs. 66/2003 prevede un intervallo di pausa dal lavoro nel caso in cui l’orario giornaliero superi il limite di 6 ore e demanda alla contrattazione collettiva la definizione delle relative modalità e durata prevedendo comunque che in difetto di contrattazione collettiva il lavoratore goda di una pausa, anche sul luogo di lavoro, di durata non inferiore a 10 minuti.
In considerazione di quanto sopra ricordiamo alle imprese che allo stato non prevedano le pause in argomento, oppure non ne regolamentino la fruizione, a provvedere alla relativa formale regolamentazione come da noi già raccomandato nella nostra precedente circolare RAS n. 157/03.
Innovazioni apportate all’articolo 8 del CCNL (orario di lavoro)
1. Durata dell’orario di lavoro settimanale
L’Articolo 3 del D.Lgs. 66/2003 fissa la durata dell’orario normale di lavoro in 40 ore settimanali
Al fine di armonizzare la norma contrattuale alla nuova disposizione legislativa nel primo alinea della “Premessa” dell’articolo 8 del CCNL si è sostituito il termine “massima” con “normale”.
2. Computo dell’orario e segnalazione alla Direzione provinciale del lavoro
L’Articolo 4 del D.Lgs. 66/2003 prevede tra l’altro:
la durata massima dell’orario di lavoro (comprese le ore di lavoro straordinario) di 48 ore settimanali medie calcolate nell’ambito di un periodo di 4 mesi,
la possibilità per i contratti collettivi di ampliare tale periodo fino ad un massimo di 12 mesi,
l’obbligo per le imprese di segnalare alla Direzione provinciale del lavoro il superamento delle 48 ore settimanali alla scadenza dei quattro mesi o del periodo più ampio previsto dalla contrattazione collettiva.
Sempre nella premessa dell’articolo 8 è stato aggiunto un alinea in cui viene definito il periodo di riferimento per il computo della durata massima dell’orario di lavoro.
Le Parti, infatti, ritenendo opportuno limitare per quanto possibile gli adempimenti burocratici a carico delle imprese, hanno convenuto in 12 mesi il periodo sul quale calcolare l’orario massimo medio di 48 ore settimanali.
Conseguentemente, ai fini degli obblighi di comunicazione di cui al citato articolo 4 del D.Lgs. 66/2003, l’adempimento dell’obbligo di segnalazione di superamento del limite delle 48 ore settimanali sarà effettuato annualmente.
Evidenziamo che il periodo di 12 mesi preso a riferimento per il calcolo dell’orario massimo medio può coincidere con l’anno solare o con un qualunque altro periodo di uguale durata definito a livello aziendale.
3. Prestazioni eccedenti l’orario di lavoro e prestazioni straordinarie
Nonostante le norme previste alla lettera E) dell’articolo 8 del CCNL non abbiano subito innovazioni in quanto già coerenti con le nuove norme di legge, le Parti hanno ritenuto opportuno precisare che le norme contrattuali sono state definite secondo quanto previsto dal D.Lgs. 66/2003.
Ricordiamo in particolare che le norme contrattuali settoriali, in quanto disciplinano in maniera completa il ricorso a prestazioni straordinarie, consentono di superare le limitazioni al lavoro straordinario previste dalla legge e di seguito ricordate.
L’Articolo 5 del D.Lgs. 66/2003 prevede tra l’altro che in mancanza di una specifica disciplina contrattuale il ricorso a prestazioni straordinarie è ammesso (tranne che in specifiche situazioni di forza maggiore di eventi eccezionali o di cause particolari) esclusivamente:
previo accordo col lavoratore,
entro il limite massimo di 250 ore annue.
4. Introduzione del lavoro notturno
L’Articolo 12 del D.Lgs. 66/2003 prevede:
in caso di introduzione del lavoro notturno la preventiva consultazione delle rappresentanze sindacali secondo i criteri e le modalità previste dai contratti collettivi,
in caso di effettuazione di lavoro notturno continuativo, l’informazione annuale alla Direzione provinciale del lavoro e alle organizzazioni sindacali salvo che lo stesso sia disposto dal contratto collettivo.
L’Accordo ha introdotto una norma dopo il punto 1 della lettera H) dell’articolo 8 del CCNL (nuovo punto 2), in cui è stata disciplinata una semplice procedura sindacale che, senza particolari oneri per l’impresa ed entro un ristretto arco temporale di 15 giorni, consente di introdurre nell’organizzazione aziendale il lavoro notturno.
Rimandiamo all’Accordo stesso per i contenuti di carattere generale della procedura limitandoci ad evidenziare che:
nessuna procedura è prevista per quelle imprese che stanno già compiendo in maniera continuativa il lavoro notturno,
le Parti aziendali hanno 15 giorni di tempo per raggiungere un’intesa sull’introduzione del lavoro notturno. Allo scadere di tale periodo le decisioni aziendali potranno diventare comunque operative,
qualora l’effettuazione di lavoro notturno sia disposta da un accordo sindacale (normalmente raggiunto nell’ambito della citata procedura) le imprese godranno di un ulteriore alleggerimento dagli impegni burocratici non dovendo inviare la relativa informativa annuale alla Direzione provinciale del lavoro.
per le imprese senza RSU la durata della procedura (che viene attivata con comunicazione al livello territoriale) è di 10 giorni.
5. Inidoneità sopravvenuta a compiere prestazioni di lavoro notturno
L’Articolo 15 del D.Lgs. 66/2003 prevede che nel caso di inidoneità sopravvenuta a compiere prestazioni di lavoro notturno:
il lavoratore verrà adibito ad altre mansioni equivalenti se esistenti e disponibili,
la contrattazione collettiva definisce le modalità di applicazione del principio di cui sopra e le soluzioni da adottare in caso di impossibilità di tale applicazione.
Le Parti, viste le disposizioni normative, attraverso l’accordo hanno aggiunto alla lettera H), dell’articolo 8 del CCNL, un nuovo punto 3, nel quale si prevede esplicitamente che, in caso di inidoneità sopravvenuta a compiere prestazioni di lavoro notturno, devono essere applicate le vigenti norme contrattuali in materia di mobilità e passaggio di mansioni (articoli 5 e 6 del CCNL).
Tali articoli, come noto, disciplinano la possibilità di inquadramento dei lavoratori in altre mansioni appartenenti alla medesima categoria ma corrispondenti anche a posizioni organizzative inferiori (oltre che pari o superiori) a quella occupata.
Qualora tali flessibilità di inquadramento non fossero sufficienti, in quanto non risultano esistenti e disponibili nell’impresa mansioni appartenenti alla categoria di inquadramento del lavoratore, le Parti hanno anche previsto la possibilità di demansionare il lavoratore procedendo ad un nuovo inquadramento in categorie inferiori, qualora nell’ambito delle stesse siano esistenti e disponibili posizioni di lavoro. Tale ultima soluzione ha lo scopo di evitare la risoluzione del rapporto di lavoro e deve essere applicata col consenso del lavoratore stesso.
In caso di passaggio ad una categoria di inquadramento inferiore:
al lavoratore sarà erogato il trattamento contrattuale mensile previsto per la nuova categoria e posizione organizzativa di inquadramento. La differenza tra il nuovo trattamento retributivo mensile e quello di provenienza sarà attribuito a superminimo non assorbibile tranne che nel caso di successivo passaggio a categoria o posizione organizzativa superiore.
i successivi incrementi del trattamento contrattuale erogati al lavoratore demansionato saranno quelli relativi alla nuova categoria e posizione organizzativa di inquadramento.
6. Deroghe all’obbligo di riposo giornaliero
Il D.Lgs. 66/2003 prevede:
all’articolo 7 il diritto per i lavoratori a 11 ore di riposo giornaliero consecutivo nelle 24 ore,
all’articolo 17 la possibilità (con accordo concluso a livello nazionale o ad altro livello ma secondo le regole fissate a livello nazionale) di derogare a tale obbligo di riposo giornaliero, a condizione che ai lavoratori siano accordati equivalenti periodi di riposo o, nel caso ciò non fosse possibile, a condizione che agli stessi sia accordata una protezione appropriata.
In considerazione delle possibilità conferite alla contrattazione collettiva di derogare ad alcune previsioni normative sono stati aggiunti due commi al vecchio punto 3 della lettera H) dell’articolo 8 di cui si tratta (diventato in funzione degli inserimenti sopra menzionati, nella nuova norma contrattuale, punto 5).
In tali commi si prevede la possibilità di derogare all’obbligo di riposo di 11 ore consecutive nelle 24 nelle due seguenti fattispecie di:
lavoro a turni a fronte di situazioni eccezionali (e quindi giustificate da obiettive necessità indifferibili, imprescindibili e di durata temporanea) che comportino il cambio di squadra del lavoratore,
reperibilità per emergenze (prevedendo periodi equivalenti di riposo compensativo nel rispetto di quanto previsto dalle norme di legge).
In questa seconda fattispecie in considerazione della particolare varietà di situazioni riscontrabili in concreto è necessario che a livello aziendale vengano definiti, laddove ciò non fosse già disciplinato, dei criteri per l’individuazione delle situazioni di emergenza.
Le Parti, in relazione alla norma commentata, hanno anche espressamente previsto che la possibilità di deroga alle 11 ore di riposo giornaliero non modifica le prassi di rapporto tra la Direzione aziendale e le RSU in atto.
7. Lavoratori esterni
Il D.Lgs. 66/2003 prevede:
all’articolo 16 che i commessi viaggiatori e piazzisti sono esclusi dalla disciplina di legge in materia di durata settimanale normale dell’orario di lavoro (art. 3 del D.Lgs 66/2003),
all’articolo 17 che a quei lavoratori la cui durata dell’orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell’attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi (fermo restando i principi generali di tutela della salute) non si applicano gli articoli 3, 4, 5, 7, 8, 12, 13 del D.Lgs. 66/2003 che riguardano tra l’altro la durata normale e massima dell’orario di lavoro, il riposo giornaliero, le pause, le modalità di organizzazione del lavoro notturno, la sua durata e gli obblighi di comunicazione.
Le Parti, allo scopo di limitare gli adempimenti burocratici per le imprese, hanno riconosciuto la particolare specificità di quei lavoratori “esterni” che in relazione alle mansioni svolte esplicano la loro opera normalmente al di fuori dei locali dell’impresa senza essere sottoposti a particolari vincoli di controllo dell’orario di lavoro.
A tale riguardo è stato aggiunto un punto 7 tra i “chiarimenti a verbale” dell’articolo 8 del CCNL, in cui si specifica che i lavoratori “esterni”, esclusivamente per quanto riguarda il trattamento normativo in materia di orario di lavoro e le comunicazioni connesse agli uffici preposti, sono assimilabili “ai viaggiatori e piazzisti” e “ai dirigenti, al personale direttivo” e pertanto (fermo restando il rispetto delle norme generali in materia di protezione, sicurezza e salute dei lavoratori) agli stessi non si applicano le disposizioni di legge relative tra l’altro:
alle limitazioni di orario settimanale normale/massimo e alle connesse comunicazioni alla Direzione provinciale del lavoro,
all’obbligo di riposo giornaliero,
alle limitazioni in materia di lavoro notturno e connesse comunicazioni alla Direzione provinciale del lavoro.
Evidenziamo che le norma contrattuale descritta non intende modificare eventuali specifici accordi raggiunti a livello aziendale in materia di orario di lavoro per i lavoratori esterni (relativi per esempio alle modalità attuative dell’orario di lavoro e del connesso godimento dei riposi e delle riduzioni di orario).
Innovazioni apportate all’articolo 30 del CCNL (lavoratori discontinui)
L’articolo 16 del D.Lgs. 66/2003 con riferimento ai lavoratori che adempiono mansioni di tipo discontinuo di semplice attesa e custodia prevede esclusivamente la deroga al limite di 40 ore in materia di orario di lavoro settimanale normale.
Dalla norma sopra riportata si evince che per i lavoratori discontinui:
sia possibile prevedere orari normali medi superiori alle 40 ore settimanali,
non sia possibile prevedere orari massimi superiori nella media a 48 ore.
Conseguentemente (come già segnalato a suo tempo nella circolare RAS n. 157/03) è stato necessario ridurre l’orario di lavoro normale contrattuale per i lavoratori discontinui da 50 a 48 ore settimanali.
Tale riduzione di orario comporta evidentemente per il lavoratore una riduzione della retribuzione (2 ore settimanali maggiorate del 10%) a fronte di una diminuzione della prestazione lavorativa effettuata.
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