UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA
TESI DI LAUREA
IL PATTO DI FAMIGLIA: UN CONTRATTO "POLIEDRICO" A RATIO SPECIALE
Candidato Relatore
Xxxxxxx Xxxxxxx Prof.ssa Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx
ANNO ACCADEMICO 2013-2014
Alla mia famiglia
«Ordunque ditemi, figliole mie, poiché siamo in procinto di spogliarci da oggi d’ogni nostra potestà,
come di ogni possesso materiale e d’ogni altro interesse dello Stato, ditemi dunque quale di voi tre dovremo dire ci vuol più bene,
sì che la nostra liberalità si possa estendere in maggior misura a quella nel cui animo l’affetto naturale di figlia rivaleggia
con il merito».
X. XXXXXXXXXXX, Re Xxxx, Atto primo
«Mai in altre occasioni ho scelto di pronunciare un discorso per acquistare il vostro favore, senza essere convinto che vi fosse utile, e anche ora ho espresso il mio pensiero senza nascondere niente. Così, come so che vi è utile ascoltare le proposte miglio- ri, vorrei sapere che è vantaggioso anche per l’oratore esporle, perché starei di gran lunga meglio. Xxx, pur ignorando che co- sa mi accadrà in seguito a questo discorso, tuttavia preferisco esporre le scelte che vi arrecheranno vantaggio, ne sono con- vinto, se le attuerete. Possa vincere l’idea che risulterà utile a tutti».
XXXXXXXXX, Prima filippica, explicit
«Quando ci son fili di stelle ormai cadute che si intrecciano in
sogni».
«Quando luci appassite illuminano i sentieri della mente».
X. XXXXXXXXX XXXX, L’interpretazione. Appunti dalle lezioni di teoria generale del diritto, Milano, 1994,
incipit delle lezioni n. XVI e XIX
Indice-Sommario
pag. Indice-Sommario I
Preambolo: metodo di lavoro e considerazioni a latere V
I
UNA RICOGNIZIONE INTRODUTTIVA, TRA PROBLEMI ERMENEUTICI E BILANCIAMENTO DEI PRINCIPI
1. La novella auspicata, ma anche temuta, a opera della legge
n. 55/2006. Ricostruzione della ratio legis alla luce dei ten- tativi di riforma succedutisi nel tempo 1
2. Segue. Esplicazione del conflitto delle parti: premessa sulla costituzionalità dei valori in campo. Un mosaico di interessi richiede un necessario bilanciamento 6
3. Lettura del fenomeno nell’alveo degli strumenti di trasmis- sione della ricchezza familiare: dal principio di unità della successione alla chimera della “successione anticipata” 11
4. Problematiche di teoria generale del diritto, verso una de- scrizione affatto particolare dell’istituto. I paradigmi della specialità ed eccezionalità a confronto 17
5. La deroga al divieto dei patti successori: disamina compiuta delle tre fattispecie. Opportunità della riforma in chiave di prudenza, non eccessiva, del legislatore 24
II
ANALISI FUNZIONALE DELL’ISTITUTO: LA CAUSA
COMPLESSA E L’OGGETTO “TRIDIMENSIONALE” DEL PATTO DI FAMIGLIA
1. Le variegate ipotesi ricostruttive della causa del patto di fa- miglia: la donazione modale. Critica e spunti di riflessione verso la configurazione in termini di gratuità del rapporto tra disponente e assegnatario 31
2. Segue. La tesi del patto di famiglia quale ipotesi legale di contratto a favore di terzi. Cenni introduttivi e rinvio 41
3. Il patto di famiglia avente, unitariamente, una “causa fami- liae”. La variante sui generis, e particolarmente marginale, della c.d. “causa successoria”. Linee critiche verso la tenden- za alla sincreticità funzionale 43
4. La funzione distributivo-divisionale del patto. Sedes materia- e, affinità e riduttivismo: critica e rilievi di validità 47
5. La teoria della causa mista, i.e. il patto come negotium mi- xtum cum donatione aut solutionis causa: dissertazioni intro- duttive ed errori di prospettiva metodica 52
6. Tesi della poliedricità funzionale del patto: la causa comples- sa quale ipotesi ricostruttiva più aderente all’istituto. La transattività come chiave di volta dell’intera operazione ne- goziale: giudicato sostanziale e reciproche concessioni 58
7. Segue. Il patto di famiglia quale contratto nominato, in cui sono compresenti profili di gratuità e di onerosità: il dilemma della disciplina applicabile, con particolare riferimento al rapporto tra gli assegnatari ed i legittimari. Riqualificazione della causa, rescissione per lesione e altri fenomeni proble- matici 67
8. L’oggetto del patto di famiglia: un delicato equilibrio fra tas- satività delle possibili attribuzioni e flessibilità delle soluzioni operative. a) Il c.d. oggetto del primo rapporto: l’azienda e le partecipazioni sociali. Effettività del controllo societario e certezza dei rapporti giuridici; rinvio 77
9. b) Il c.d. oggetto del secondo rapporto ed il rilievo della com- mistione funzionale: aliquid datum, aliquid retentum ed in- tento distributivo. Una possibile scissione ideale tra oggetto mediato e oggetto immediato del contratto. Liquidazione ef- fettuata dal disponente e rilevanza della natura dei beni; rin- vio 87
III
ANALISI STRUTTURALE DELL’ISTITUTO: PLURILATE- RALITÀ E UNITARIETÀ DEL CONTRATTO
1. Le tesi strutturali dal lato soggettivo elaborate dalla dottrina. Le c.d. teorie atomistiche: contratto a favore di terzi, dona- zione modale e procedimento contrattuale. Critica 99
2. Segue. La teoria della necessaria partecipazione dei legitti- mari non assegnatari e le varie sfumature ermeneutiche. Va- riante della derogabilità condizionata alla luce dell’analogia
Indice-Sommario III
juris contemperante. Trilateralità sufficiente: significato della “minima unità effettuale” 108
3. Le caratteristiche peculiari dei soggetti coinvolti nell’operazione negoziale: il disponente, il discendente bene- ficiario ed i legittimari “virtuali”. Nozione economica di im- prenditore, comunione legale e altri aspetti controversi della disciplina 115
4. Segue. Particolarità ex latere subiectorum alla luce delle con- tingenze di fatto: capacità di agire, tutela del nascituro, rap- presentanza e conflitto d’interessi. Irrilevanza dell’indegnità a succedere e nuove nozze del coniuge 122
5. Modello legale strutturalmente complesso dal lato obiettivo: lettura del patto di famiglia in chiave procedimentale. I due versanti dell’oggettività: distinzione tra due fasi oppure colle- gamento contrattuale necessario inespresso. Critica e rilievi di validità: il patto quale contratto implicitamente – e ordina- riamente – unitario nonché a pluralità di prestazioni 127
6. Le caratteristiche peculiari del contenuto del contratto: com- patibilità con le disposizioni in materia di impresa familiare e con le differenti tipologie societarie. La presenza nel patto di famiglia delle pattuizioni accessorie: analisi sintetica alla lu- ce della ratio legis della riforma 133
7. Segue. Particolarità della normativa e dell’autonomia privata ex latere obiectorum: liquidazione immediata o differita. For- mazione progressiva del contratto in termini di collegamento contrattuale volontario espresso; il fenomeno delle presta- zioni isolate nell’ambito del patto 141
8. Ruolo del notaio nella stipula e adempimenti previsti dalla legge: la sostanza e la forma dell’atto pubblico. Importanza del momento valutativo: opportunità di una perizia giurata di stima per facilitare le operazioni contrattuali. Rilievo cen- trale della garanzia di correttezza per i legittimari 148
IV
DISCIPLINA DELLE PATOLOGIE E DELLE SOPRAVVE- NIENZE AFFERENTI AL PATTO DI FAMIGLIA
1. L’annullamento del patto per vizi del consenso: errore, vio- lenza morale e dolo; impugnabilità per incapacità delle parti. Termine prescrizionale ridotto propedeutico alla stabilità dell’operazione contrattuale; convalida del contratto e legit-
timazione ad agire. Altri rimedi possibili: nullità e rescissione per lesione; rinvio 155
2. La rilevanza dei terzi rispetto al congegno contrattuale: loro tutela e problemi interpretativi sistematici. Assimilazione dell’impugnazione prevista dal secondo comma alla risolu- zione per inadempimento 161
3. Scioglimento e modificazione del contratto: modalità e carat- teristiche previste dall’art. 768 septies. Le differenti ipotesi di un “diverso contratto” e del “recesso” a confronto con le pe- culiarità del patto di famiglia 172
4. I fattori di stabilità del patto di famiglia: esenzione dall’obbligo di collazione e dall’azione di riduzione. Previsione espressa dell’imputazione ex se e problema della riunione fit- tizia: analisi sistematica alla ricerca dei limiti alle eccezioni stabilite dalla normativa 178
5. Meccanismo conciliativo obbligatorio: confronto con le novità legislative e ratio della previsione. Possibilità di una clausola multistep; rapporti con l’arbitrato societario 188
Conclusioni: risultati dell’analisi svolta e prospettive de jure condendo 193
Bibliografia 201
Indice analitico 219
Preambolo: metodo di lavoro e considerazioni a latere
Prima di addentrarci nell’esposizione del nostro persona- le pensiero in merito all’istituto del “patto di famiglia”, ritenia- mo opportuno illustrare brevemente le linee guida del percorso che ci accingiamo ad intraprendere, ponendo in risalto le scelte effettuate e corredandole di motivazione.
Innanzitutto, il nostro elaborato tratterà esclusivamente dei profili privatistici, segnatamente statici, del patto: ciò com- porta un pregio e un difetto evidenti, purtroppo non eliminabili in questa sede. Da un lato questa decisione consente di porre in maggior evidenza i temi nodali del nuovo istituto e di affron- tarli a viso aperto, senza disperdersi eccessivamente in analisi che spesso riguardano problemi marginali; dall’altro essa im- plica una perdita in termini di ricchezza e sistematicità di ri- flessione, in quanto tralascia in gran parte i pur interessanti profili dinamici (o processuali), insieme alla trattazione di isti- tuti affini (il trust ad esempio) e di materie collegate (in partico- lare il diritto tributario ed internazionale privato). Come si può facilmente intuire, il contesto in cui si inscrive la presente ope- ra esige, istituzionalmente, una specificità di ragionamento che non sarebbe stato possibile conservare se si fosse estesa la di- samina a ulteriori tematiche: si rimedierà, se vi sarà occasione, eventualmente in futuro.
In secondo luogo, la nostra trattazione si avvarrà, per quanto attiene alla bibliografia specifica sul nostro argomento, quasi esclusivamente dei numerosi contributi dottrinali sino a oggi pubblicati nelle riviste giuridiche e nei singoli volumi sul tema: con xxxxxxxxx prendiamo atto che gli unici provvedi- menti giurisdizionali che afferiscono, nello specifico, al patto di famiglia sono soltanto due, rispettivamente in materia tributa- ria e di volontaria giurisdizione. I motivi sono riconducibili, a nostro avviso, a tre ordini di fattori. In primis, si rileva una ra- gione riguardante il modo di risoluzione delle controversie, dal momento che, da un lato, è prescritto un meccanismo concilia- tivo obbligatorio e, dall’altro, quand’anche si pervenisse a un conflitto in sede strettamente giudiziale, purtroppo i processi civili italiani, come dimostrato dagli innumerevoli studi delle organizzazioni nazionali ed internazionali, sono molto lenti, co- sicché prima di giungere a una sentenza di merito di primo
grado, per non dire di legittimità, possono trascorrere diversi anni. In secundis, un ulteriore motivo è rinvenibile nella stipu- lazione per atto pubblico e nella funzione antiprocessualistica del notaio1, la quale costituisce senza dubbio un freno nei con- fronti delle eventuali controversie delle parti. In tertiis, il patto di famiglia non è ancora un contratto particolarmente diffuso a causa sia della crisi economica che attanaglia il tessuto produt- tivo del nostro Paese sia dei dubbi, tuttora esistenti tra gli ope- ratori giuridici, in merito all’interpretazione maggiormente ade- rente alla ratio dell’istituto.
Una concisa considerazione finale per quanto riguarda il metodo di analisi dei singoli aspetti problematici che saranno affrontati nell’elaborato. Come linea guida, si cercherà di adot- tare uno schema di pensiero lineare e coerente: ove possibile si argomenteranno innanzitutto le ragioni di dissenso rispetto a teorie e valutazioni, sviluppando una c.d. pars destruens, e conseguentemente si elaborerà il pensiero ricostruttivo (talvolta del tutto originale, talaltra in accordo con i contributi curati dalla dottrina, a seconda delle circostanze) il quale sembra a noi più corretto e opportuno e che può essere definito in termi- ni di una c.d. pars construens. Per operare in questa maniera si ritiene opportuno alternare il metodo analitico a quello sinteti- co, nell’ipotesi che sia necessaria maggiore profondità valutati- va oppure sia preferibile una certa fluidità espositiva, in modo da rendere meno ostica e più piacevole la lettura dell’elaborato. Sia consentito, infine, di concludere con una citazione alquanto significativa per la sensibilità del pensiero e l’arguzia dell’intuizione, da cui pare di cogliere un’affinità con il nostro tema, in quanto le sorti dell’impresa, e in senso ampio della famiglia, sono affidate alla trasmissione del cespite per il trami- te del pubblico ufficiale, cui l’imprenditore affida la “chiave” per sciogliere i serrami dell’ordinamento a favore del discendente eletto a prosecutore della gestione aziendale: «quando […] mi sono avvicinato alla figura del notaio, mi sembrava davvero che questo familiare personaggio non dovesse presentare la più piccola ombra, e invece, dopo un poco, mi sono accorto che
1 Posta in risalto specialmente da X. XXXXXXXXXX, La figura giuridica del notaio, Rivista del notariato, 1951, di cui si ricordano le famose parole: «tanto più notaio, tanto meno giudice». Altri ancora inquadra- no la figura del notaio non nel senso “negativo” di prevenire le liti giu- diziali, bensì “positivo”, affermando che «vi è un jus dicere del notaio, non meno che del giudice, anche se naturalmente con una diversa posizione e funzione»: così X. XXXXX, Poesia e verità nella vita del nota- io, Vita notarile, 1955.
racchiude il mistero più grande di tutti. Pensate: un uomo che parla, un uomo che scrive. Nient'altro. Xxxxxx e scrittura sono le primordiali manifestazioni dello spirito: e gli albori dello spi- rito ci mostrano l'uomo che scrive davanti all'uomo che parla, l'uomo che, sapendo scrivere cioè fermare con arcani segni le parole senz'orma, è già un ministro di colui che parla»2.
Ai fini di una maggiore fruibilità del testo, si citano di seguito le modificazioni al codice civile introdotte dalla riforma ex legge n. 55/2006.
Art. 458 c.c.
Divieto di patti successori.
1. Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti, è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non an- cora aperta, o rinunzia ai medesimi.
Art. 768-bis c.c.
Nozione.
1. È patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto del- le differenti tipologie societarie, l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societa- rie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti.
Art. 768-ter c.c.
Forma.
1. A pena di nullità il contratto deve essere concluso per atto pubblico.
Art. 768-quater c.c.
Partecipazione.
1. Al contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti colo- ro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell'imprenditore.
2 X. XXXXX, op. loc. ult. cit.
2. Gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli arti- coli 536 e seguenti; i contraenti possono convenire che la liqui- dazione, in tutto o in parte, avvenga in natura.
3. I beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell'azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti; l'assegnazione può essere disposta anche con successivo con- tratto che sia espressamente dichiarato collegato al primo e purché vi intervengano i medesimi soggetti che hanno parteci- pato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti.
4. Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione.
Art. 768-quinquies c.c.
Vizi del consenso.
1. Il patto può essere impugnato dai partecipanti ai sensi degli articoli 1427 e seguenti.
2. L'azione si prescrive nel termine di un anno.
Art. 768-sexies c.c. Rapporti con i terzi.
1. All'apertura della successione dell'imprenditore, il coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato al contratto possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamen- to della somma prevista dal secondo comma dell'articolo 768- quater, aumentata degli interessi legali.
2. L'inosservanza delle disposizioni del primo comma costitui- sce motivo di impugnazione ai sensi dell'articolo 768-quinquies.
Art. 768-septies c.c.
Scioglimento.
1. Il contratto può essere sciolto o modificato dalle medesime persone che hanno concluso il patto di famiglia nei modi se- guenti:
1) mediante diverso contratto, con le medesime caratteristiche e i medesimi presupposti di cui al presente capo;
2) mediante recesso, se espressamente previsto nel contratto stesso e, necessariamente, attraverso dichiarazione agli altri contraenti certificata da un notaio.
Art. 768-octies c.c.
Controversie.
1. Le controversie derivanti dalle disposizioni di cui al presente capo sono devolute preliminarmente a uno degli organismi di conciliazione previsti dall’articolo 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n.5.
Una ricognizione introduttiva, tra problemi ermeneutici e
bilanciamento dei principi
SOMMARIO: 1. La novella auspicata, ma anche temuta, a opera della legge n. 55/2006. Ricostruzione della ratio legis alla luce dei tentativi di riforma succedutisi nel tempo. – 2. Segue. Esplicazione del conflitto delle parti: premessa sulla costituzionalità dei valori in campo. Un mosaico di interessi richiede un necessario bilanciamento. – 3. Lettu- ra del fenomeno nell’alveo degli strumenti di trasmissione della ric- chezza familiare: dal principio di unità della successione alla chimera della “successione anticipata”. – 4. Problematiche di teoria generale del diritto, verso una descrizione affatto particolare dell’istituto. I pa- radigmi della specialità ed eccezionalità a confronto. – 5. La deroga al divieto dei patti successori: disamina compiuta delle tre fattispecie. Opportunità della riforma in chiave di prudenza, non eccessiva, del legislatore.
1. Il 14 Febbraio 2006 è entrata in vigore nell’ordinamento italiano la legge numero 55, in attuazione al disegno di legge n. 3567, intitolato «Modifiche al codice civile in materia di patti di famiglia»: esso ha introdotto un capo V bis all’interno del libro II, titolo IV del codice civile, ovvero nell’ambito della “divisione”, mutando peraltro l’incipit dell’articolo 458 dello stesso codice, con le parole «Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768 bis e seguenti».
Il “patto di famiglia”, così inserito nel nostro sistema, pone gli operatori del diritto nella condizione di dover valutare, sulla base dei principi e delle regole dell’ordinamento giuridico italiano, la portata applicativa della novella; il compito non pare affatto semplice, stanti le diffuse interferenze1 della disciplina
1 Probabilmente inevitabili quando si discorre di contratti: esamina, in particolare, «i rapporti tra il contratto e le altre categorie ordinanti delle posizioni, azioni e relazioni dei privati» X. XXXXX, Il contratto, in
de qua con almeno tre macrosettori del diritto privato: le suc- cessioni mortis causa – riferimento reso palese, a tacer d’altro, da una ricostruzione “topografica”2 della riforma –, la disciplina del contratto in generale – l’art. 768 bis qualifica espressamen- te il “patto” come contratto – ed il diritto dell’impresa, quand’anche essa si esplichi nella forma societaria. Tale com- mistione di profili dà conto del problema del legislatore nel tro- vare un assetto, nei limiti del possibile, equilibrato tra le diver- se istanze, necessario, almeno secondo la dottrina più sensibile alle vicende successorie che coinvolgono le aziende, in partico- lare quelle di maggior fortuna, per scongiurare la frammenta- zione delle realtà produttive italiane, evitando, al contempo, di ledere i diritti patrimoniali dei legittimari dell’imprenditore 3 . Non si può, tuttavia, ragionevolmente inquadrare l’istituto, nel- la sua delicata complessità, senza prima aver esaminato le li- nee essenziali della storia della riforma, per cogliere i dubbi emersi e le soluzioni accolte nel corso degli anni, fondamentali nella scelta dell’angolo visuale di questa trattazione.
Il nostro excursus deve, necessariamente, prendere le mosse dalla Raccomandazione della Commissione CE n. 1069 del 1994, mediante la quale si invitavano gli Stati membri ad agevolare la successione delle piccole e medie imprese, sensibi- lizzando gli imprenditori sul punto, mettendoli in condizione di disporre di strumenti giuridici adeguati ed incoraggiandoli fi- scalmente al trasferimento aziendale per atto tra vivi; questa esigenza fu ribadita anche nelle successive Comunicazioni dello stesso organo, la 94/C 400/01 e la 98/C 93/02, le quali pro-
Trattato di diritto privato a cura di X. Xxxxxx e X. Xxxxx, Milano, 2011, pp. 51 ss.
2 L’affermazione non sia d’inganno: il patto di famiglia realizza una vi- cenda inter vivos. Sul punto vedasi, tra gli altri, X. XXXXXXXX, Il patto di famiglia, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, vol. III, Mi- lano, 2009, pag. 634; ID., Patto di famiglia e diritto delle successioni mortis causa, Famiglia, persone e successioni, 2007, pag. 390. A ciò si aggiunga, a dimostrazione della fragilità dell’argomento, che anche il contratto di donazione è inserito nel libro secondo del codice.
3 L’esigenza è messa in luce da tutti gli Autori che si sono occupati del tema in esame, seppur con alterne valutazioni di opportunità, tal- volta molto critiche. Si segnalano, inter alios, i contributi di X. XXXXX- ZO, Testamento e istituti alternativi, Padova, 2008, pp. 431 ss., specie per le dotte citazioni storiche; X. XXXX, voce Patto di famiglia, in Enci- clopedia del diritto, annali VI, Milano, 2013, pag. 634, il quale rileva una crescente tendenza a considerare il testamento inadatto a regola- re la successione d’impresa; negli stessi termini, A. PALAZZO – X. XX- XXXXXXX, voce Patto di famiglia, in Enciclopedia giuridica Treccani, Agg. XIV, Roma, 2006, pag.1.
posero vari strumenti di semplificazione a livello societario – per esempio la trasformazione meno ardua da una società di persone a una società di capitali –, tributario – segnatamente nella disciplina dell’imposta delle successioni e donazioni e nel
T.U.I.R. – e successorio, mediante una deroga, se non un’abolizione, del divieto dei patti successori4. Il vento innova- tivo europeo giunse anche in Italia: il primo segnale si rinviene nella c.d. Commissione coordinata dai proff. Xxxxxxx Xxxx e Xxxxxx Xxxxxxxx, incaricati dal C.N.R., nel 1997, di elaborare una proposta di riforma del regime successorio dei beni produt- tivi. Il risultato del gruppo di studio fu molto positivo, poiché permise di porre basi solide nell’elaborazione del nuovo istituto; si segnalano, in questa sede, alcuni nodi fondamentali risolti dalla Commissione: in primo luogo, essa ha scelto di adottare un congegno negoziale5 per assicurare la continuità aziendale, con un potenziamento delle possibilità offerte all’autonomia dei privati; in secondo luogo, si è posto in risalto il ruolo dell’imprenditore, soggetto ritenuto maggiormente adatto a va- lutare le capacità dei discendenti e a conciliare i contrapposti interessi familiari; infine, si è intrapresa la via di disciplinare separatamente i c.d. “patti di famiglia” ed i c.d. “patti d’impresa”, dispositivi, nello specifico, delle partecipazioni so- cietarie. Quest’ultimo aspetto fu accolto con poco entusiasmo dalla dottrina italiana, dal momento che, tecnicamente, il patto d’impresa assicurava la trasmissione soltanto di azioni nomi- native, tramite lo strumento del diritto di riscatto6: questa scel- ta è parsa in seguito troppo articolata e limitante per l’imprenditore, e perciò fu abbandonata nel progetto di legge decisivo per l’entrata in vigore della novella. Dal Parlamento, sull’onda del dibattito dottrinale ormai ravvivato, emerse un primo disegno di legge, il n. 2799/97, a firma, tra gli altri, dell’on. Pastore: lo spunto, per noi più interessante, ricavabile da esso è offerto dalla qualificazione del patto in termini di do- nazione7, con regime speciale rispetto a quello disciplinato dagli artt. 769 e seguenti. Come è noto, il suddetto disegno di legge
4 Per una disamina complessiva anche degli interessanti “consideran- do”, si veda il testo integrale, riportato in G. DE NOVA – F. DELFINI – X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Il patto di famiglia, Milano, 2006, pp. 139 ss.
5 Cfr. X. XXXXXXX, Il patto di famiglia, Torino, 2009, pag. 42, sulla possibilità di una soluzione diversa, sub specie di diritto di opzione ex lege a favore di uno dei coeredi.
6 Criticato in particolare da X. XXXXXXX – X. XXXXXXXXX, op. cit., pag. 1, che pongono in risalto la costruzione del patto d’impresa attorno al retratto successorio ex art. 732 c.c.
7 X. XXXXXXXX, Il patto di famiglia, Torino, 2006, pag. 283.
naufragò, così come quello, a firma degli stessi promotori, pre- sentato nel 2002 – n. 1353 –. L’elaborazione, poi culminata con l’emanazione della legge n. 55/2006, prese corpo, invece, con la proposta di legge n. 3870/20038, d’iniziativa dei deputati Bue- mi e altri, i cui tratti caratteristici devono qui essere messi in risalto: in primis, come già accennato, si è “unificato” l’istituto relativamente ai due possibili oggetti; secondariamente, il patto è stato descritto come un “nuovo negozio giuridico”, così mani- festando la grande novità insita nella riforma; da ultimo, si è inciso sul divieto dei patti successori ex art. 458 c.c.9, tramite una modificazione aggiuntiva nell’incipit della norma.
Mediante la ricostruzione dello “spirito” degli interventi enunciati possiamo ben comprendere la ratio della legge: tutti i lavori citati si segnalano per l’analogo fine di «conciliare il dirit- to dei legittimari10 con l’esigenza dell’imprenditore che intende garantire alla propria azienda (o alla propria partecipazione) una successione non aleatoria a favore di uno o più dei propri discendenti» evidenziando altresì «la necessità di garantire la dinamicità degli istituti collegati all’attività d’impresa»11. Dun- que assistiamo allo scontro di due esigenze, entrambe merite- voli di tutela; si prospetta, inoltre, una collisione con i principi generali del sistema giuridico, che merita una soluzione ragio- nevole e coerente. Sono opportune, a questo fine, alcune consi- derazioni ulteriori. Secondo la maggior parte dei commentatori, il patto di famiglia è un contratto tipico12 finalizzato a garantire la successione nei beni aziendali, per loro natura non como-
8 Trasposta in X. XXXXXXXX, op. cit., pp. 292 ss.
9 Su cui v. infra, § 5.
10 Per cui vedasi il tradizionale contributo di X. XXXXXX, Principi di di- ritto testamentario, Torino, 1957, spec. pag. 16: «la successione ne- cessaria è caratterizzata: a) “sul piano della fattispecie” dal fatto che la fattispecie, alla quale l’ordinamento ricollega questa successione, ha come elemento peculiare la “lesione della quota di legittima o di riserva”; b) “sul piano del contenuto del fenomeno successorio” dal fatto che il successore è determinato con riferimento a un numero più ristretto di situazioni familiari […]».
11 Cfr. la relazione alla Camera dei Deputati del 23 Settembre 2003 in
X. XXXXXXX, op. cit., pag. 8.
12 Unica voce fuori dal coro nel panorama dottrinale è quella di M.C. ANDRINI, Il patto di famiglia: tipo contrattuale e forma negoziale, Vita notarile, 2006, secondo la quale «il nuovo contratto non è tipico, ma nominato, nel senso che il legislatore ha istituito il nomen di patto di famiglia, disciplinando un contratto speciale di cessione dell’azienda o della governance della stessa, ma lo ha sottratto poi […] alla tipologia del contratto, conferendogli una disciplina eccezionale». Nel prossimo capitolo si tornerà sulla tematica della atipicità peculiare del patto di famiglia.
damente divisibili, e nelle partecipazioni societarie13: il legisla- tore del 2006, per assicurarsi lo scopo, ha scalfito, almeno in apparenza, il divieto ex art. 458 c.c., al punto che sembra, e- saminando il tentativo di riforma andato a buon fine, che senza una modificazione chirurgica della suddetta disposizione non si sarebbe potuta porre in essere la funzione di innovamento del sistema successorio dei beni produttivi14. La normativa in esa- me, inoltre, pare ad attenti interpreti15 inserirsi nel filone della “negozialità” dei rapporti familiari, ormai avviato da numerosi interventi legislativi – si abbia riguardo, ad esempio, all’introduzione dell’art. 2645 ter – con conseguenze illuminanti se si pensa alla scala di valori che ha ispirato il legislatore16. Il discernimento di uno strumento contrattuale per regolare que- sti rapporti, secondo alcuni17, fornirebbe molti spunti di rifles- sione non solo sulla ratio della disciplina, ma anche sull’elemento causale dell’atto, nell’esaminare il quale occorre allargare gli orizzonti ermeneutici, e misurarsi con la comples- sità dell’operazione negoziale. A queste osservazioni dev’essere aggiunta una riflessione ancora più profonda: «il futuro dell’azienda costituisce per l’imprenditore una preoccupazione costante sia riguardo alla gestione e al controllo che relativa- mente al suo assetto proprietario»18; il legislatore sembra averlo compreso, e ha perciò garantito una possibilità di immediata disposizione dei beni, con il contrappeso duplice della facoltà di recesso in capo all’imprenditore e del quid pluris degli interessi legali sulla liquidazione assicurata ai legittimari sopravvenuti. Questa miscela, rilevante anche sul piano temporale, di inte- ressi e profili si riflette nella varietà delle opinioni espresse da- gli interpreti sin dai primi giorni successivi alla riforma: l’attesa
13 Molto critico X. XXXXXXX, Il patto di famiglia non risolve le liti, Il Sole 24 Ore, 2006, il quale giudica incostituzionale l’inclusione delle par- tecipazioni sociali nella novella, per due motivi: innanzitutto, la rifor- ma del diritto societario ha, ormai, risolto il problema della succes- sione mortis causa nelle quote o azioni; inoltre, la norma de qua si presta a facili operazioni elusive.
14 Nessuno dei progetti precedenti prevedeva una modifica dell’art. 458 c.c., nemmeno l’iniziativa promossa dall’on. Pastore nel ’97, no- nostante il titolo della stessa.
15 In particolare X. XXXXXX, Lineamenti essenziali del patto di famiglia, Famiglia e diritto, 2006, pag. 409.
16 X. XXXXXX, op. loc. ult. cit., pp. 409 ss., che cita esemplarmente la parità di trattamento tra famiglia legittima e di fatto e l’egemonia della stabilità anche rispetto ad ulteriori valutazioni.
17 X. XXXXXXX, op. cit., pag. 44.
18 X. XXXXXXXX, in Patti di famiglia per l’impresa, Quaderni della fonda- zione italiana per il Notariato, Milano, 2006, pag. 17.
durata anni era, d’altronde, giunta al termine, ed idee già ela- borate erano, finalmente, pronte per uscire allo scoperto con ritrovato vigore.
2. Sin d’ora è chiaro che la pregnanza degli obiettivi esposti nel paragrafo precedente, se posta in relazione con i pi- lastri dell’ordinamento giuridico, non può condurre ad una per- fetta equivalenza – quantitativa, s’intende – di guarentigie in capo alle parti, qui, soltanto in via di sommaria ricostruzione, considerate dal punto di vista del disponente e dei legittimari non assegnatari19. È questa valutazione necessariamente am- bivalente e contrastante che ha, a nostro avviso ancor più dei problemi di redazione legislativa, ritardato a tal punto una ri- forma sollecitata a gran voce sin dal ’94: gli imprenditori la au- spicavano20, ma i legittimari, specialmente quelli meno legati affettivamente al nucleo familiare, forse a causa di dissidi e in- comprensioni, o anche soltanto per avidità personale, la teme- vano per l’impossibilità di ottenere il bene agognato e spesso costituente il più sostanzioso cespite nel patrimonio del dispo- nente. La dottrina non ha mancato di intervenire nel dibattito con argomentazioni molto variegate, interessanti soprattutto per cogliere la novità della disciplina introdotta; pacificamente, gli interpreti riscontrano la dicotomia di fondo tra le esigenze di continuità imprenditoriale21 e le ragioni di tutela dei legittima- ri22, in combinazione con i principi generali del diritto succes- sorio, enumerati da un attento Autore23 come segue: il princi-
19 Volutamente si omettono, per il momento, i discendenti assegnatari. 20 Si leggano a modo di esempio le pagine di X. XXXXXXX, op. cit., pp. 241 ss., che rileva l’impossibilità per i notai, ante riforma, di recepire in atto le esigenze di una trasmissione sicura dell’azienda.
21 Xxxxxxxx identificata in termini di “riallocazione consensuale del controllo del bene impresa”: C. DI BITONTO, Patto di famiglia: un nuovo strumento per la trasmissione dei beni d’impresa, Le società, 2006, pag. 801; talaltra estesa al concetto di “efficienza del sistema produt- tivo”, per cui v. X. XXXXXXX, in Diritto Civile a cura di Lipari e Xxxxxxxx, vol. II, Milano, 2009, pag. 363; ID., Studi di diritto successorio, Torino, 2013, pag. 334; quest’ultimo spunto sarà ripreso a breve. Con forza argomentativa in tal senso, X. XXXXXXXXX, in Trattato del contratto di- retto da X. Xxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, pag. 565, secondo cui «bisogna anzi prendere atto, senza ipocrisie, che proprio l’interesse di carattere generale, alla promozione dell’attività d’impresa, […] costituisce il vero fondamento del nuovo istituto».
22 X. XXXXXXX, Patto di famiglia e interessi familiari, Il diritto di famiglia e delle persone, 2013, pp. 1534 ss.
23 Su tutti, C. DI BITONTO, op. cit., pp. 798 ss.
pio di tipicità delle fonti di delazione, il divieto dei patti succes- sori, l’unità della successione e la rilevanza giuridica della do- nazione come “successione anticipata”24. Considerazioni inec- cepibili, che devono però essere correttamente vagliate in un’ottica di più ampio respiro, la quale consenta di separare le esigenze di armonia25 del sistema dalle valutazioni di autono- mia privata delle parti, parametrate sulla libertà e sulla conve- nienza dell’operazione negoziale 26 , non dimenticando che «a causa della potenziale illimitatezza delle “libertà” inerenti alla persona in quanto tale e della, invece, inevitabile delimitazione dell’ambito di tutela delle stesse operata da ciascun ordina- mento storicamente determinato […], le qualificazioni normati- ve nelle quali il legislatore [risolve la generica] espressione “li- bertà della persona” sono esaustive di ogni ulteriore esplicazio- ne di “libertà” che in quelle non sia già direttamente o indiret- tamente contenuta»27.
Una trattazione, che pretenda di non essere offuscata da nebbie in fase ermeneutica, deve constatare che i valori sottesi al patto di famiglia sono prettamente patrimoniali e costituzio- nalmente rilevanti; l’asserzione è tanto più evidente se, alla
24 Saranno oggetto trasversale dei prossimi paragrafi; sul discusso tema della successione anticipata, si può sin d’ora rinviare, per una panoramica, ad X. XXXXXXX, Profili sistematici della successione «antici- pata» (note sul patto di famiglia), Rivista di diritto civile, 3, II, 2007.
25 Vedansi, per la mirabile chiarezza, le considerazioni di X. XXXXXXX, voce Dogmatica giuridica, in Enciclopedia del diritto, XIII, 1964, pp. 701 ss.: «occorre […] che per esserci un ordinamento gli enti che lo costituiscono “ non siano soltanto in rapporto con il tutto (risalgano cioè ad una norma fondamentale), ma siano anche in rapporto di coe- renza tra di loro (costituiscano, cioè, una totalità ordinata)”. […] Il di- ritto è il perenne istituzionalizzarsi di “valori” che si distaccano dall’individuo e si pongono sul piano intenzionale del giuridico,, da “interessi” del singolo diventano “valori obiettivi, alienati”».
00 Xxx. X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2012, pag. 126, con riflessioni permeate di suggestioni volontaristi- che; interessanti in proposito le osservazioni di F.P. XXXXX, Diritto pro- cessuale civile, V, Milano, 2011, pag. 12, il quale tratta specificamen- te del contratto di transazione; per i delicati rapporti tra autonomia privata e tutela costituzionale della proprietà si veda M. COMPORTI, Di- ritti reali in generale, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu - Messineo, Milano, 2011, spec. pag. 165: «il contenuto essenziale della situazione reale funge da limite al regolamento dell’autonomia privata, in base al criterio dell’ordine pubblico […]».
27 La considerazione, sempre attuale e oltremodo utile ai nostri fini, è di A. LISERRE, Tutele costituzionali dell’autonomia contrattuale: profili preliminari, Milano, 1971, pag. 72.
maniera di parte della dottrina28, che qui si ritiene di condivi- dere, si estende il ragionamento a una serie di interessi indiret- tamente collegati al patto: la tutela del mercato – non solo nella specie dell’ordine pubblico economico –, la tutela del risparmio, la stabilità occupazionale dei lavoratori subordinati ed infine l’attenzione a evitare la polverizzazione dei patrimoni29. Non si può, tuttavia, tacere che lo spirito della novella è espressione anche di interessi, pure garantiti dalla nostra Carta costituzio- nale, ma insuscettibili di valutazione economica30, esemplar- mente posti in risalto dalla scelta del legislatore di consentire la continuazione del controllo aziendale o azionario soltanto all’interno del nucleo familiare. I diritti della famiglia paiono al- lora scontrarsi con le necessità del sistema economico31: come risolvere la discrasia? La tecnica legislativa adoperata, pur- troppo, non consente sempre il coordinamento dei contrapposti interessi, il quale appare in astratto soluzione più equa, indi per cui, laddove ciò non sia possibile, si dovrà percorrere una strada diversa: soccorre, a tal proposito, la tecnica del “bilan- ciamento”, elaborata dalla dottrina costituzionalistica, la quale consiste nel ponderare due principi al fine di stabilire quale dei due sia più pregnante, e di conseguenza meriti applicazione; operazione da non confondersi con il c.d. “contemperamento”, che implica la conciliazione di due principi e la formazione di
28 X. XXXXXXXXXXX, Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e va- lutazione comparativa degli interessi, in Liberalità non donative e atti- vità notarile, Quaderni della fondazione italiana per il notariato, Mila- no, 2008, pag. 122, da cui si è tratto spunto per l’intitolazione del ca- pitolo.
29 Per i rapporti, ricchi e delicatissimi, tra diritti successori, famiglia, proprietà privata e mercato in genere, si rinvia a M. SESTA, Codice del- le successioni e donazioni, Milano, 2010, pp. 3 ss.; da elogiare la luci- da (e sarcastica?) riflessione di A. LISERRE, in Trattato di diritto privato diretto da Xxxxxx Xxxxxxxx, V, Torino, 1997, pag. 27, che evidenzia, da una parte, i limiti dispositivi della proprietà privata posti in capo ai privati e, dall’altra, la previsione espressa volta ad assicurare allo Sta- to i diritti sulle eredità.
30 Non ancora in primo piano nel sistema successorio, secondo l’opinione di X. XXXXXXXXXX, Famiglia e successioni tra uguaglianza e solidarietà, Vita notarile, 2012, pp. 475 ss.
31 Si interroga sulle implicazioni del conflitto tra gli artt. 29 e 42 Cost.
X. XXXX, Patto di famiglia e «diritti della famiglia», Rivista di diritto civi- le, 2006, il quale esclude l’incostituzionalità della disciplina del patto di famiglia; similmente X. XXXXXXXX, La nuova disciplina del “patto di famiglia”, Rivista del notariato, 2006, secondo cui il c.d. “doppio bina- rio” successorio non inficia il principio di uguaglianza, perché la diffe- rente natura dei beni giustifica un diverso trattamento.
un macroprincipio che li contenga entrambi32. Quale valore, al- lora, considerare preminente? Ad avviso di chi scrive, nel caso di un contrasto che imponga un aut aut, si dovrà dar prevalen- za alle esigenze di continuità d’impresa, con un limite rinveni- bile nelle violazioni più gravi dei diritti di legittima, reputati da alcuni arcaici e antistorici33, ma pur sempre presenti. In so- stanza, è come se la novella avesse attribuito alla tutela dei le- gittimari un certo connotato di elasticità: lo si vedrà, essi non possono agire in riduzione nel caso di specie ed è altresì esclu- sa la collazione in sede di divisione ereditaria, ma la sottile li- nea di primazia imprenditoriale è comunque destinata a spez- zarsi, nel caso in cui lo strumento contrattuale sia piegato a lo- giche di mala fede34 e di approfittamento nei confronti di sog-
32 Ricostruzione operata da X. XXXXXXXX, Interpretare e argomentare, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu - Messineo, Milano, 2011, pag. 209; in generale, X. XXXXXXX, voce Bilanciamento (giustizia costi- tuzionale), in Enciclopedia del diritto, Xxxxxx XX, Milano, 2008, pp. 185 ss. Cfr. anche X. XXXXXXX, voce Principi generali dell’ordinamento, in Enciclopedia giuridica Treccani, XXIV, 1991, pag. 12: «nell’attività in- terpretativo-attuativo-integrativa, quando è possibile l’applicazione diretta stricto sensu, il bilanciamento o la comparazione non riguar- dano propriamente la definizione del contenuto essenziale o del prin- cipio in sé, bensì la deduzione delle norme applicabili dal principio». Un modo per distinguere i fenomeni del bilanciamento e del contem- peramento è di valutarli dal corretto angolo visuale: sincronico (dal lato della singola ermeneusi) il primo, diacronico (dal lato della ripeti- zione interpretativa) il secondo.
33 In questi termini, X. XXXXXXX, Xxxxxxx e spunti in tema di patto di famiglia, Giustizia civile, 2006, pag. 217; ID., Competitività e dannosi- tà della successione necessaria, Giustizia civile, 2006, pag. 3, con lin- guaggio ancor più tagliente; S. DELLE MONACHE, Abolizione della suc- cessione necessaria?, Rivista del notariato, 2007, che propone una visione in termini storici, più che sistematici, del complesso di norme a favore dei legittimari.
34 Possiamo definirli, mutuando il linguaggio della dottrina costitu- zionalistica, “controlimiti”: questi ultimi svolgeranno un ruolo fonda- mentale nell’esame della struttura e, soprattutto, delle patologie del patto di famiglia. Sulla “funzione di chiusura del sistema” della buona fede oggettiva, si veda l’ottimo U. BRECCIA, Le obbligazioni, in Trattato di diritto privato Iudica – Zatti, Milano, 1991, pag. 361: «[la buona fede oggettiva] evita di dover considerare permesso ogni comportamento non vietato e facoltativo ogni comportamento non obbligatorio» e nella stessa opera, a pag. 262, dove riferisce l’elasticità del concetto stesso al «complesso dei valori posti a fondamento del sistema vigente»; X. XXXXXX, L’attuazione del rapporto obbligatorio: il comportamento del debitore, in Trattato Cicu - Messineo, Milano, 1984, pag. 73, il quale ne attesta l’importanza in termini di una giusta soluzione del caso concreto, che «non si arresti a una valutazione puramente formalisti- ca, ma tenga anche conto della posizione sostanziale delle parti». Non sfuggirà a un attento lettore che in questo caso si discorre, oltre che di «comportamento secondo buona fede (oggettiva) quale modo di es-
getti spesso non avvezzi a valutazioni d’azienda e di partecipa- zioni societarie; si allude non soltanto alla responsabilità da il- lecito extracontrattuale, in cui si fa rientrare anche quello pre- contrattuale35 ex art. 1337 c.c., ma anche alla “spada di Damo- cle” della nullità per illiceità del motivo comune – art. 1345 c.c.
–.
Senza dubbio, riprendendo le fila dell’ermeneusi – in a- stratto – del patto, la possibilità di incidere negativamente su delicati equilibri familiari, oltre che su disponibilità patrimonia- li talvolta ingenti, impone una notevole sensibilità di fondo, che mi pare di rinvenire, con pregevole dottrina36, nella considera- zione, sempre e comunque, della “ragionevolezza” come canone guida, nella prospettiva di una custodia dell’armonia dell’ordinamento: «la ricerca della ratio legis costituisce, pertan- to, imprescindibile presupposto dell’accertamento della ragio- nevolezza della norma […]; occorrerà sia che il fine giustifichi il diverso trattamento posto dalla norma, sia la congruenza del mezzo con il fine, anche nel senso che il diverso trattamento sia proporzionato quanto ad intensità al fine che si intende rag- giungere»37. L’interprete non dovrà dimenticarlo, perché la ten- tazione di tratteggiare – con creazione interpretativa – lacune nell’ordinamento laddove non esistono, per riempirle di volta in volta mediante astrazioni concettuali, è forte, specialmente quando si esaminano le normative più recenti: si può arrivare
sere di tale comportamento», anche di «comportamento in buona fede (soggettiva), quale espressione dell’essere dell’autore della condotta», secondo la precisa qualificazione di X. XXXXXXXXX XXXX, L’interpretazione del contratto, in Commentario al codice civile coordinato da F. D. Bu- snelli, Milano, 2013, pag. 216. Cfr. X. XXXXXXX, La “ragionevolezza” nel diritto dei contratti, Padova, 2005, pag. 489: «[il] canone della buo- na fede impone alle parti, nel corso della formazione del consenso, di comportarsi lealmente e di salvaguardare l’interesse altrui entro i li- miti dell’apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio».
35 Si aderisce alla teorica contemporanea; tra i tanti, vedasi X. XXXXX, op. cit., pp. 177 ss.: non può parlarsi di responsabilità da inadempi- mento, perché i doveri di condotta, a garanzia degli interessi della vita di relazione, non sono obbligazioni in senso proprio. Per comprendere un aspetto problematico, quali le sfaccettature della quantificazione del danno precontrattuale, si legga Cass. sez. civ., sent. 24795/2008. 36 X. XXXXXX, L’interpretazione del patto di famiglia alla luce del criterio di ragionevolezza, Contratto e impresa, 2009, pp. 213 ss.
37 X. XXXXXX, op. loc. ult. cit., pag. 230. Cfr. X. XXXXX, Causa in astratto e causa in concreto, Padova, 2008, pag. 203: «il giudizio secondo ra- gionevolezza rimette ad un’operazione di bilanciamento tra gli interes- si in gioco, che riecheggia l’accezione aristotelica di ragionevolezza come saggezza pratica».
in tal modo, come già prospettato a modo di monito38, ad appa- renti intuizioni, legate, tuttavia, ai modelli di pensiero radicati nella mente del singolo giurista e giustificabili solo de jure con- dendo.
3. Le imprese familiari costituiscono un plusvalore per il tessuto economico italiano: purtroppo, da sempre, i pa- trimoni aziendali sono stati oggetto di litigiosità in sede eredita- ria, perché una valutazione cristallizzata, indispensabile per procedere alla divisione ereditaria, o anche solo per scongiurare la lesione della quota di legittima, non riesce per sua natura a dar conto della propensione dinamica alla produzione, agli scambi e in definitiva alla generazione di ricchezza. Potenzial- mente più semplice si presenta l’estimazione delle partecipa- zioni sociali, avendo riguardo, tra l’altro, alla “salute” della so- cietà e alla periodica distribuzione degli utili assicurata agli in- vestitori39; a un occhio attento, tuttavia, non sfugge che le dia- tribe, in quest’ultimo ambito, sovente causano alla compagine sociale gravi problemi, specialmente dal punto di vista ammini- strativo, potendo provocare una disgregazione negli assetti di forza stabilitisi in assemblea e un’instabilità decisionale spesso molto rilevante.
Il patto si inserisce, allora, nella scia dei congegni giuri- dici che favoriscono una trasmissione possibilmente pacifica e onesta dei cespiti produttivi tra i componenti della famiglia40, attraverso un “apporzionamento” del patrimonio durante la vita dell’imprenditore. Premesso che la disposizione inter vivos dei beni è sempre ammissibile, è d’uopo ragionare sistematicamen- te, per scorgere la novità insita nel patto: bisogna, cioè, medita- re sul fatto che prima della riforma, se era ben possibile dona-
38 X. XXXXXXX, in Xxxxx di famiglia per l’impresa, Quaderni della fonda- zione italiana per il notariato, Milano, 2006, pag. 235 e spec. nota 114, il quale parla, significativamente, di “sovrainterpretazione” per descrivere il fenomeno.
39 Si è volutamente semplificata la questione, in realtà molto articola- ta, delle valutazioni d’azienda e di quote o azioni. Sul tema cfr. X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 2007, spec. nota 221.
40 Si ponga mente ad altri istituti che concorrono a un passaggio ge- nerazionale dei beni produttivi familiari, ad esempio il trust od il family buy out, i patti parasociali (ancor più adatte sarebbero vere e proprie modifiche statutarie della società) o l’holding di famiglia.
re41 l’impresa o venderla a un figlio – vi è da chiedersi con quali garanzie di stabilità42 – oppure ancora effettuare una divisione delle sostanze mediante testamento43, era, invece, inammissibi- le una deminutio così veemente delle prerogative più forti dei legittimari, sub specie di legittimazione a esperire l’azione di ri- duzione e di obbligo ex lege – salvo dispensa – a operare la col- lazione dei beni donati. Ciò significa, in termini giuridici tradi- zionali, che il principio di unità della successione44 in tutti que- sti anni è rimasto ben saldo, posto che, qualunque scelta abbia effettuato il de cuius in vita, qualunque mole di beni sia transi- tata da un patrimonio all’altro, anche fuori del nucleo familiare, dal momento della morte scattano meccanismi precisi, e tutele invasive, a favore dei riservatari. Xxxxxxxxxxxx, a dispetto del- la rigidità del principio suddetto, si sono aperte nel corso degli anni alcune crepe, non ancora veri e propri varchi45, che hanno
41 Cfr., tra gli altri, X. XXXXXXXX GUASTALLA, Gli strumenti negoziali di trasmissione della ricchezza familiare: dalla donazione si praemoriar al patto di famiglia, Rivista di diritto civile, 2007, spec. pag. 307, dove analizza le variegate opinioni dottrinali e giurisprudenziali in punto di ammissibilità delle donazioni sotto condizione sospensiva relazionata al momento della morte.
42 Si pensi, per capire quanto il cammino sia lastricato di ostacoli, all’abitudine dei notai di richiedere la presenza dei testimoni nella stipula di compravendite tra familiari, ben coscienti del rischio che esse dissimulino negotia mixta cum donationibus, intaccabili, almeno pro parte donata, dall’esperimento dell’azione di simulazione prima, e di riduzione poi, su impulso di altri membri della famiglia.
43 Ma, volendo assegnare beni indivisibili al discendente più capace, si dovrebbero trovare, seguendo la direttrice dell’intangibilità quanti- tativa della legittima, altri beni provenienti dall’asse ereditario idonei a soddisfare tutti i riservatari; riguardo a quest’ultimo spunto si veda
X. XXXXXXX, La divisione testamentaria, Milano, 1950, pag. 188: il principio della provenienza della legittima dal de cuius risale al diritto romano, per cui «i beni assegnati devono essere “in ipsa substantia patris”».
44 Per il quale, di regola, tutto il patrimonio del defunto è soggetto alla medesima disciplina successoria: cfr. X. XXXXXXXX, in Trattato di dirit- to privato diretto da Xxxxxx Xxxxxxxx, V, Torino, 1997, pag. 461; X. XXXXXXXXXXXX, Delle successioni: disposizioni preliminari, successioni legittime, Torino, 1971, pag. 19: «le delazioni si riferiscono tutte al momento dell’apertura della successione»; X. XX XXXX, voce Succes- sioni anomale legittime, in Digesto discipline privatistiche, sezione ci- vile, XIX, 1999, pag. 182: «tutti i beni appartenenti al patrimonio ere- ditario sono soggetti a un’unica disciplina».
45 Si abbia riguardo, nonostante la novella, al granitico divieto dei patti successori, per il quale, con valutazioni esaustive, v. infra, § 5. Alcuni ritengono, tuttavia, che il muro si stia sgretolando: da ultimo
X. XXXXXXX, Coordinate ermeneutiche di Diritto civile, Torino, 2014, pag. 29, in combinazione con Xxxx. sez. civ., sent. 3345/2010. Ma l’opinione sembra valida solo de jure condendo.
costretto la dottrina a interrogarsi sulla funzionalità e utilità dello stesso: ne occorrerà una breve disamina per costruire le nostre argomentazioni e, per quel che qui ci interessa, si darà conto della visione che pare la più corretta in merito alla rela- zione tra il nuovo istituto del patto di famiglia e la categoria della successione anticipata, da alcuni elaborata in termini di specialità temporale rispetto alla successione mortis causa.
Le maggiori incrinature al principio di unitarietà succes- xxxxx sono, essenzialmente, riconducibili a due categorie: le c.d. “vocazioni anomale” ed i c.d. “acquisti jure proprio”. Le prime sono ipotesi disomogenee46 di fenomeni – che trovano fonda- mento in vari pregressi rapporti del de cuius – disciplinati dal legislatore per assicurare tutela a valori primari della persona o della società47, i quali attribuiscono ai beneficiari degli stessi il diritto di ottenere il soddisfacimento di particolari pretese, in maniera “privilegiata”48 rispetto a eventuali eredi o legatari, di- modoché si assiste a una compressione dei diritti degli ulteriori legittimari a loro vantaggio. Non ci si deve, tuttavia, confondere con le c.d. “vocazioni speciali”, che si discostano da principi di- versi rispetto all’unitarietà, e con le assegnazioni preferenziali,
«utili ad individuare quelle ipotesi in cui, intervenuto lo stato di comunione tra i coeredi, sia prevista una deroga al principio posto nell’art. 718 c.c. in ordine al diritto a conseguire beni in
46 Auspica un riordino, magari parziale e per settori, delle varie ipote- si legali, X. XXXXXXXX, Xxxxxxxx successorio e strumenti di program- mazione patrimoniale alternativi al testamento, Rivista del notariato, 2008; autorevolmente, X. XXXXXXX, Successioni per causa di morte. Parte speciale: successione necessaria, in Trattato Cicu - Messineo, Mi- lano, 2000, pag. 156, per il quale «la categoria ha perduto omogeneità concettuale e si è ridotta a una formula riassuntiva di una serie di di- ritti di varia natura».
47 X. XXXXXXXX, op. cit., pag. 461: «ci riferiamo con questa espressione ai casi in cui la legge regola con apposite norme la trasmissione mor- tis causa di particolari categorie di diritti o rapporti giuridici, appli- cando criteri diversi da quelli del diritto successorio ordinario». Si ci- tano, esemplificando, l’assegno vitalizio in favore del coniuge del de cuius separato con addebito, il regime del c.d. “maso chiuso” nella provincia di Bolzano o il diritto di abitazione immobiliare e di uso mo- biliare ex art. 540, secondo comma, c.c.; cfr. X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, Milano, 2009, pp. 653 ss. Per un’opinione particolare v. G. DE NOVA, op. loc. ult. cit., pag. 184: «quanto alle finalità, due sono i fi- loni che possono essere individuati: l’anomalia è finalizzata alla tutela di beneficiari qualificati [e in aggiunta] alla tutela della destinazione dei beni».
48 Non si tratta, ovviamente, di una causa di prelazione in senso stretto, bensì di una serie di diritti compositivi della quota di legittima del beneficiario.
natura da parte di ciascun condividente»49. Per contro, un dirit- to acquistato “jure proprio”50 è «subordinato sì alla morte di un soggetto, ma tuttavia estraneo alla sua successione, tant’è che si è soliti indicare la morte di un soggetto come una sorta di “condizione”, alla quale è subordinato sospensivamente l’acquisto del diritto»51. Che il patto di famiglia non rientri in quest’ultima ipotesi sembra incontestabile, dal momento che nel caso del patto i diritti sorgono al momento della conclusio- ne del contratto, e a esso sono legati: in definitiva l’attribuzione non avviene mortis causa52; più difficile stabilire se ricorra nel caso di specie una successione anomala, quantomeno dal lato dell’oggetto; alcuni Autori53 lo ritengono, probabilmente con un certo quantum di ragione, perché la riforma si è interessata di beni peculiari nonché di beneficiari tassativi e ha provocato un declassamento della tutela reale dei riservatari, senza possibili- tà per essi di ottenere diverso soddisfacimento. Ma non è no- stro compito indagare questi meandri ai fini del percorso d’indagine che stiamo svolgendo: le considerazioni precedenti sono state utili unicamente per cogliere quelle venature nel muro54, che hanno dato impulso per giustificare, sistematica- mente55, l’emersione della categoria della “successione antici- pata”.
«Colla successione “anticipata” si è suggerito di designa- re quei trasferimenti di ricchezza operati da chi, prefigurando gli effetti della futura devoluzione ereditaria, intende beneficia-
49 Così A.A. CARRABBA, Le vocazioni anomale nel codice civile, Rivista del notariato, 2007. Cfr. le perspicaci riflessioni di X. XXXXXXXX, Feno- meno successorio e strumenti di programmazione patrimoniale alterna- tivi al testamento, cit., secondo cui la riconduzione nell’alveo delle vo- cazioni anomale dei diritti extrapatrimoniali suscita il dilemma di po- ter far rientrare anche i suddetti nel fenomeno delle successioni legit- time, anziché in quello degli acquisti jure proprio.
50 Di solito, in via di esemplificazione, si fa riferimento all’indennità, attribuita ai superstiti della famiglia, in caso di morte del prestatore di lavoro ex art. 2122 c.c. o al diritto al risarcimento del danno “rifles- so” in capo ai prossimi congiunti della vittima.
51 X. XXXXXXX, op. cit., pag. 658. L’utilizzo del termine “condizione”,
certus an incertus quando, appare davvero calzante.
52 Con maggior accuratezza nel § 5.
53 Vedansi le considerazioni sub § 4, spec. nota 79.
54 Possibilità di succedere non iure successionis e, conseguentemente, esistenza di diritti trasmissibili mortis causa che non rientrano nell’asse ereditario; forzatura del legislatore nell’attribuzione di diritti in capo ad alcuni beneficiari e tendenziale, specifica, riduzione di co- genza delle pretese dei legittimari.
55 La valutazione, nonostante sia originale, pare coerente rispetto al sistema ordina mentale delle successioni mortis causa.
re in vita coloro che saranno i propri eredi. L’elemento destina- to a legare atti dispositivi strutturalmente e funzionalmente e- terogenei […] si risolverebbe, quindi, nell’intento negoziale di anticipare la trasmissione del diritto rispetto all’apertura della successione, al fine di operare attribuzioni preferenziali imme- diate a favore di taluni eredi»56. Come già anticipato, a nostro parere, potrebbe – il condizionale è d’obbligo – aver senso ai nostri giorni57 prospettare la categoria de qua tramite la com- binazione delle caratteristiche delle vocazioni anomale e degli acquisti jure proprio: da un lato, la straordinaria estraneità del- le attribuzioni, pur donative, rispetto all’asse ereditario, rectius l’esclusione della collazione dei beni donati col patto di famiglia dal de cuius; dall’altro, l’inconsueto appassimento delle prero- gative dei legittimari, le cui ragioni sono state degradate fino al- la mera corresponsione di un credito pecuniario, ove si consi- derino il congelamento dell’azione di riduzione e l’obbligo di- sposto dalla legge di liquidare i non assegnatari, salvo rinunzia da questi proveniente. Sono, però, necessarie alcune osserva- zioni in merito: innanzitutto, il donante, anche ante riforma, poteva 58 dispensare il donatario dalla collazione; sussisteva, tuttavia, il problema dell’eventuale lesione della quota di legit- tima in sede di apertura della successione, per cui, a contem- peramento delle opposte istanze, l’art. 737 c.c. al secondo comma prevedeva – e prevede ancor’oggi – che «la dispensa da collazione non produce effetto se non nei limiti della quota di- sponibile». Inoltre, l’azione di riduzione, inderogabilmente im- brigliata, in astratto potrebbe indurre la giurisprudenza a in- terrogarsi sulla costituzionalità dell’art. 768 quater, in punto di combinazione dell’art. 24 con l’art. 3 Cost.59; in concreto, invita a riflettere sulla cristallizzazione dei valori stabiliti nel patto,
56 Così X. XXXXXXX, op. cit., pag. 284. Con opinione sostanzialmente conforme, riguardo all’applicazione della categoria al patto di famiglia, anche X. XXXXXX, Patto di famiglia e funzione divisionale, in Xxxxx di famiglia per l’impresa, cit., ed X. XXXXXXX, in Diritto civile, cit., spec. pag. 367.
57 Tralasciando volutamente considerazioni storiche, per le quali ven- dansi le ben curate note dello stesso X. XXXXXXX, op. cit., ibidem.
58 Ora invece, con previsione alquanto innovativa, si introduce un ef- fetto legale funzionale allo scopo.
59 Perché, potrebbe obiettarsi, ammettere la riduzione in caso di do- nazioni semplici e negarla nel caso di un contratto che attribuisce in maniera gratuita (considerando il rapporto disponente - assegnatario) particolari e cospicui beni? È sufficiente, per dissipare i dubbi di ra- gionevolezza, rispondere che situazioni differenti devono essere tratta- te in modo diverso? Per un’opinione in merito v. retro, § 2.
non più riferiti al momento dell’apertura della successione60. Si potrebbe ravvisare in ciò una scalfitura al principio di relatività del contratto61, ma secondo l’art. 1372 c.c. la legge può ben prevedere deroghe in tal senso; eppure si ha la sensazione che sia sbagliato il punto di partenza di questi ragionamenti: biso- gna prima ricostruire la causa del patto di famiglia, e verificare in concreto se vi è incompatibilità del principio suddetto con la disciplina applicabile – accettando così la deroga ex lege – op- pure inquadrare il fenomeno nell’ambito di ordinarietà delle conseguenze62. Una prima risposta la si può comunque abboz- zare. Questi dati problematici dimostrano che vi è qualcosa di strano e di nuovo nell’istituto che stiamo esaminando, ricondu- cibile, se non ci inganniamo, a due punti fondamentali: si veri- fica una devoluzione anticipata e stabile, fuori dell’asse eredita- rio e prima dell’apertura della successione63, ed il valore dei ce- spiti è definitivamente congelato al momento della stipula. Questo è sufficiente ad ammettere che si debba parlare di “suc- cessione anticipata”? Non a nostro avviso, poiché questa intui- zione è certamente utile per cogliere la tonalità causale 64 dell’istituto, ma soltanto in senso descrittivo, ponendo mente al fatto che non si può ammettere che «la volontà negoziale di co-
60 Così X. XXXXXXX, Ipotesi sul patto di famiglia, Rivista di diritto civile, 2006, pag. 468: «il valore delle quote deve ritenersi indipendente dalla futura e irrilevante successione dell’imprenditore»; X. XXXXXXXXX, Patti di famiglia e impresa, Rivista del notariato, 2007; sottolinea corretta- mente X. XXXXXXX, Appunti e spunti […], cit., che una contraria inter- pretazione violerebbe la ratio della normativa, che vuole evitare liti tra gli eredi, facilmente immaginabili in caso di ricalcolo, magari dopo molto tempo, del valore dei cespiti al momento della morte dell’imprenditore. Ulteriore problema per far capire i margini di incer- tezza: imputare gli aumenti di valore all’avviamento oggettivo o a quello soggettivo (con la difficoltà di stabilire quanto dipende dalla “storia” del precedente titolare e quanto dalle capacità del discenden- te)? Per l’analisi di questi spinosi profili, soprattutto nell’ambito delle imprese familiari, si segnala X. XXXXXXXX, La valutazione dell’azienda, Milano, 2006, pp. 33 ss.
61 Secondo cui «res inter alios acta tertiis neque prodest neque nocet». 62 Lo richiede anche X. XXXXXXXXX, Patto di famiglia e principio di rela- tività del contratto, Rivista di diritto civile, 2007, spec. pag. 302. L’operazione sarà svolta trattando della funzione del patto: anticipan- do alcune conclusioni, si può rinviare, per la peculiarità effettuale della transazione rispetto ai terzi, al contributo di X. XXXXXXXXX, Giuo- co e scommessa. Transazione, in Trattato Cicu - Messineo, Milano, 1954, spec. pag. 325.
63 Secondo X. XXXXXXX, op. cit., pag. 289, «è come se in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore»; trattando- si di fictio iuris non si può parlare in senso tecnico di vocazione, tan- tomeno anomala.
64 Cfr. X. XXXXXXX, op. cit., che vi associa una funzione divisoria.
loro che sarebbero chiamati quali legittimari [equivalga a una] vocazione dettata dalla legge […] dando luogo a una delazione a titolo particolare»65.
In definitiva, il trasferimento liberale non ha funzione successoria semplicemente perché non esistono nel diritto ita- liano deroghe al divieto dei patti successori: l’unico atto mortis causa è il testamento66. La categoria della “successione antici- pata” costituisce un’illusione ottica, suggestiva e ammaliante, elaborata da dottrina stanca di trattare di tesi consolidate e as- setata di novità67, come un viandante del deserto che scorge un’oasi in lontananza, ma si ritrova prigioniero di un miraggio.
4. Gli studiosi italiani del diritto civile, che si sono occupati dell’argomento di cui stiamo trattando, sembrano ave- re opinioni discordanti riguardo a un tema estremamente deli- cato, quale quello del rapporto tra il patto di famiglia e la teoria generale del diritto – in particolare la natura ed i caratteri delle norme –, affidandosi ai contributi più tradizionali dell’esperienza dottrinale68: in ogni caso, essi concordano sul fatto che la soluzione dell’inquadramento della nuova normati- va entro il sistema dovrebbe scorgersi nella contrapposizione
65 Così invece X. XXXXXXX, op. cit., pag. 290, fervente sostenitore della teoria; contra, giustamente, X. XXXXXXXX, Il patto di famiglia: fra nego- zio e procedimento, Giustizia civile, 2010, per il quale l’ostacolo più grande alla teoria è ravvisabile nella natura di atto inter vivos del pat- to. I due elementi richiamati nella trattazione, inoltre, sono per l’Autore da ricondurre al collegamento procedimentale insito nell’istituto, piuttosto che al contratto in senso stretto.
00 X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, op. cit., pag. 223, per il quale la sola strut- tura adeguata alla funzione primaria che deve assolvere è quella dell’atto unilaterale: «[è] una regola senza eccezioni, e perciò è appro- priata nel nostro ordinamento la contrapposizione [con i] negozi inter vivos, dei quali nessuno è a causa di morte»; A. PALAZZO, Xxxxxx trans mortem e donazioni indirette nella dottrina civilistica del secondo dopo- guerra, in Scritti in onore di Xxxxxx Xxxxxx, Milano, 1991, pag. 679, che evidenzia l’esistenza di altri atti mortis causa leciti, ma non attri- butivi (ad es. l’atto con cui si nomina l’amministratore del patrimonio familiare).
67 Si apprezza senz’altro lo sforzo di guardare, con occhio vivo e critico, oltre l’ostacolo, ma non la tendenza, per rimanere in metafora, a get- tarvi il cuore.
68 A titolo di esempio, per soffermarsi sulle opere più recenti, X. XXXX
– X. XXXXXXXXXX – V. VILLA, Filosofia del diritto. Introduzione critica al pensiero giuridico e al diritto positivo, Torino, 2013, pp. 144 ss.; X. XXXXXXXX, op. cit., pp. 117 ss.; X. XXXXXX, Studi per una teoria generale del diritto, Torino, 2012, pp. 79 ss.
tra specialità ed eccezionalità69 delle norme, categorie sempi- terne della dogmatica giuridica e cariche di implicazioni in sede applicativa. La questione, si è capito, non è di poco momento, in quanto dalle scelte effettuate in quest’ambito è possibile ca- pire fino a che punto sia estensibile l’istituto70 e se sia ancora utile ragionare in questi termini oppure convenga abbandonare rigidi schematismi e intraprendere una via più ardita. Tale premessa, xxxxx affermarlo, deve essere sviluppata in concreto, evidenziando, a fortiori nella logica delle nostre ricerche, le sfumature presenti in ogni ricostruzione elaborata.
Parte significativa e prevalente della dottrina rinviene un connotato di eccezionalità nelle norme in esame: la normativa del patto non sarebbe perciò suscettibile di applicazione analo- gica, in ossequio al disposto dell’art. 14 delle disposizioni pre- liminari al codice civile. Alcune di queste argomentazioni fanno leva sul dato letterale dell’art. 45871, nella parte modificata dal-
69 Meritano estesa menzione le splendide pagine di X. XXXX, L’età della decodificazione, Milano, 1999, pp. 57 ss. Riguardo alla specialità, «il criterio di individuazione può così enunciarsi: che le note della norma generale devono ritrovarsi nella norma speciale, e che questa vi ag- giunge una nota ulteriore»; viceversa, per ciò che concerne l’eccezionalità, «la scelta delle due norme, tra cui si svolge il giudizio di comparazione, è guidata dal criterio dell’elemento comune: le note, che compongono la fattispecie della norma regolare, devono ritrovarsi nella fattispecie della norma eccezionale»; ma l’Autore non si ferma alla protasi, bensì sviluppa considerazioni anche, se non soprattutto, sul piano effettuale.
70 Si tratta di estensione dal punto di vista propriamente analogico. In proposito, cfr. X. XXXXXXXXXX, voce Analogia (teoria generale), in Enci- clopedia giuridica Treccani, II, 1988, pag. 16: «l’effetto complessivo e immediato del principio generale analogico, prima ancora che le sin- gole questioni arrivino davanti al giudice, è quello di attribuire forza normativa generale alle finalità che ispirano la legislazione o la deci- sione, finalità che pertanto diventano una parte di quelli che si dicono inespressi principi del diritto»; X. XXXXXXX, voce Dogmatica giuridica, in Enciclopedia giuridica Treccani, XII, 1989, pag. 7: «il campo dell’ermeneutica giuridica non si esaurisce nell’interpretazione dei te- sti normativi, ma xxxxxxx anche la funzione di sviluppo del diritto ai fini dell’integrazione delle lacune, una volta riconosciuto che tale fun- zione può essere concepita come autointegrazione del sistema me- diante pure operazioni assiomatico-deduttive. In questo campo i con- cetti dogmatici non rappresentano premesse di decisioni indiscutibili, ma semplici punti di riferimento […] per la formulazione di ipotesi di soluzione».
71 Ex multis, S. DELLE MONACHE, Spunti ricostruttivi e qualche spigola- tura in tema di patto di famiglia, Rivista del notariato, 2006, il quale, però, nega l’eccezionalità rispetto al principio di esclusività del testa- mento; contra X. XXXXXXXXX, op. cit., Rivista del notariato, 2007, che lo considera un dettato «non particolarmente rilevante, salvo il contri-
la legge 55/2006; l’inciso «[f]atto salvo quanto disposto dagli ar- ticoli […]» parrebbe davvero, seguendo questa linea di pensiero, lasciar spazio a pochi dubbi; ma gli studiosi più solerti72 ten- dono a effettuare una valutazione complessiva del sistema, e- lencando minuziosamente i principi derogati, e vagliando il ri- sultato dell’analisi con una lettura costituzionalmente orienta- ta73. Questa stessa dottrina tenta di abbandonare visioni dog- matiche e poco utili per l’interprete, in quanto tendenzialmente descrittive, per fissare alcuni punti pacifici che corroborino le proprie tesi: «una disciplina, pur in contrasto con il diritto co- mune […] è comunque pur sempre speciale e non eccezionale quando realizza un principio costituzionale [… e] una disciplina, non attuativa di un principio costituzionale, è sicuramente ec- cezionale quando diverge rispetto a molti principi di diritto co- mune e (controprova) se dilatata nella sua applicazione, com- promette ulteriori principi di diritto comune e addirittura prin- cipi costituzionali». Alla stregua di tali assunti l’Autore opta per l’eccezionalità della normativa, ragionando sulla rilevanza e la possibile compromissione della tutela dei legittimari, aggancia- ta agli articoli 2, 29 e 42 della Costituzione: una scelta che ha riflessi notevoli sulla ricostruzione strutturale dell’istituto, po- nendo mente al fatto che, per esempio, «se si ritiene che il mo- do apposto a donazione sia non soggetto a riduzione, in caso di lesione di legittima, ma inefficace ex art. 549 c.c., vi saranno buoni argomenti per negare che il patto integri una donazione
buto recato all'ormai acquisita consapevolezza che tali norme non tratteggino più inibizioni dall'ineluttabile sapore dogmatico»; A. TOR- RONI, Il patto di famiglia: aspetti di interesse notarile, Rivista del nota- riato, 2008, vi ravvisa una funzione di chiarimento in termini di ecce- zionalità e di consiglio verso gli operatori del diritto a non estendere la portata applicativa oltre il perimetro stabilito dal legislatore. Tale as- serzione non può condividersi, se non nel generico e labile riferimento a un invito alla prudenza.
72 X. XXXX, Il patto di famiglia, in Trattato breve di diritto delle succes- sioni e donazioni a cura di Xxxx e Xxxxxxxx, Padova, 2010, pag. 334; X. XXXXXX, Patto di famiglia e funzione divisionale, Rivista del notariato, 2006, per cui «l’opzione assiologica di fondo consiste nel riconosci- mento normativo di un’eccezionale anticipata rilevanza di interessi che, anteriormente alla riforma, dovevano ritenersi ad essa sottratti sino al tempo della morte»; X. XXXXXXXXXX, in Xxxxx di famiglia per l’impresa, cit., pag. 26; da ultimo, importanti le osservazioni, sull’eccezionalità in rapporto alla libertà delle forme, di X. XXXXX, Pat- to di famiglia, in Commentario al codice civile coordinato da F.D. Bu- snelli, Milano, 2012, pp. 119 ss.
73 Pregevolissimi i rilievi di X. XXXXXXX, op. cit., pp. 222 ss.
modale»74. Gli esiti dei precedenti ragionamenti implicherebbe- ro, per utilizzare una terminologia cara all’Autore75, un “micro- sistema” in sé conchiuso, non suscettibile di analogia, che vol- ge all’estrazione della «regola non dal caso anomalo, [ma] dalle “regolarità” assunte dalla norma»76. Questa linea di pensiero è da lodarsi per il tentativo di superare la complessità dell’istituto e ricondurla su un piano accessibile a tutti gli ope- ratori del diritto; essa, tuttavia, ha anche il difetto di tralasciare l’esame dei singoli articoli introdotti dalla novella. A una lettura più attenta si comprende, tale è il nostro convincimento, come si debba ragionare con maggior fondatezza di singole, isolate, fattispecie “chiuse”, come ad esempio la paralisi dell’azione di riduzione od i termini prescrizionali ridotti per correggere le pa- tologie del patto: ma, lo si ribadisce per non incorrere in un vi- zio di pensiero, dall’eccezione non si può desumere la regola.
Altra parte, a dire il vero minoritaria, della dottrina non concorda con le assunzioni svolte sinora, e sceglie di coprire le norme col velo della specialità: a chi in quest’ambito, probabil- mente per ampliare l’inquadratura interpretativa, discorre di un “regime giuridico speciale”77 , si aggiunge una teoria78 ispi- rata alla realtà quotidiana dei rapporti giuridici, che rileva co- me il patto di famiglia configuri una disciplina speciale ex latere subiecti, in quanto costruita specificamente attorno alla figura dell’imprenditore, e anomala ex latere obiecti, poiché attiene a ogni tipo di azienda, anche quella agricola, da tempo ormai ca- ratterizzata da una vocazione alla specialità successoria79. Per
74 Gli ultimi due virgolettati sono citazioni di X. XXXXXXX, op. cit., pp. 222 e 223. Per un’analisi compiuta e critica si rinvia ai prossimi capi- toli.
75 Presente, oltre che nell’opera già citata, in X. XXXXXXX, La pubblicità
immobiliare tra specialità ed eccezionalità, Milano, 2010, pag. 11.
76 X. XXXXXXX, in Xxxxx di famiglia per l’impresa, cit., pag. 224.
77 X. XXXXXXX, op. cit., pag. 293; X. XXXX, Circolazione e successione mortis causa, Rivista del notariato, 2012, nota 43, che effettua un pa- rallelismo tra il regime patrimoniale ex lege dei coniugi e le conven- zioni matrimoniali.
78 X. XXXXXXX, op. cit., pp. 447 ss.
79 Sono le ipotesi descritte nel paragrafo precedente in punto di “voca- zioni anomale”: cfr. X. XXXXXXX, op. cit., pag. 453, che, citando l’ipotesi particolare del c.d. “maso chiuso” della provincia di Bolzano, elogia la ritrovata unitarietà della successione aziendale; G. PALERMO, op. cit., pag. 25, il quale cita le leggi 203/1982 e 97/1994, criticando il legi- slatore di allora, reo di aver favorito unilateralmente l’erede (affittua- rio ex lege) coltivatore di fondi rustici; da ultimo X. XXXXXXXX, Il su- bentro generazionale nell’impresa agricola alla luce della legge 14 Feb- braio 2006, n. 55, Rivista di diritto agrario, 2008, pp. 405 ss., che leg-
capire fino a che punto queste tesi siano fondate, dobbiamo guardare la sponda opposta del fiume, cioè la categoria, l’istituto, la norma generale. Nella prima teoria esposta si ha ri- guardo principalmente al rapporto tra patto di famiglia e, gene- ricamente, gli strumenti negoziali di trasmissione della ricchez- za familiare o, specificamente, la già esaminata categoria della “successione anticipata”: nel primo ambito sicuramente il patto può rientrare, ma, ancora una volta, non si coglie l’utilità prati- ca di questa ricostruzione, perciò da scartare, impalpabili es- sendo i riferimenti sviscerabili da essa80. Più ostico immettere il patto nel secondo contenitore: come già sostenuto, la “succes- sione anticipata” cattura singoli aspetti critici del sistema, ma non sferra un attacco decisivo all’impianto complessivo; ne e- merge uno schema poco organico e in disarmonia con l’ordinamento, che non può assurgere a modello generale, e di conseguenza non può presentare deroghe al proprio interno; per dissipare ogni dubbio in proposito, d’altronde, si è già e- spresso il nostro scetticismo in merito alla riconduzione del patto entro questa categoria. Nella seconda tesi una certa spe- cialità si evidenzia soltanto in direzione soggettiva, mentre dal lato dell’oggetto si riscontra un’irregolarità basata sulle disor- ganiche ipotesi di vocazione anomala: bisogna constatare che la prima prospettazione è ragionevole, perché circoscrive il patto a categorie determinate e tecnicamente definite81 – in particolare l’imprenditore –; l’anormalità oggettiva, invece e purtroppo, convince solo parzialmente, perché, pur evidenziando, non a torto, che il patto può avere a oggetto anche beni produttivi a- gricoli, amplia il ragionamento a fenomeni chiaramente estra- nei al nostro istituto82. Con rammarico dobbiamo ammettere che, quantunque questa seconda tesi appaia più corretta, essa ha anche meno pretese della prima, e se da un canto non crea ulteriori problemi, dall’altro neppure aiuta a risolvere la mag-
ge, giustamente, il fenomeno in esame con le “lenti del giurista”, per scorgere l’armonia degli interventi legislativi succedutisi nel tempo.
80 Forse il dibattito sulle prospettive de jure condendo della succes- sione necessaria e per contratto, forse l’opportunità di attribuire i co- sti ed i benefici dell’operazione dispositiva in capo a un membro della famiglia anziché a un altro? Per questi riferimenti v. X. XXXXXXXX GUA- STALLA, op. cit., pp. 315 ss.
81 Non ogni soggetto quindi, pur capace di agire (o incapace ma legit- timamente rappresentato), può stipulare il patto di famiglia.
82 Riprendendo le fila della nota 53, le “vocazioni anomale” si riferi- scono a ipotesi che trovano causa nella morte del de cuius, e non è sufficiente far notare che nella novella si parla di “coloro che sarebbe- ro legittimari” per fingere una delazione anticipata: i fenomeni inter vivos rimangono tali.
gior parte degli enigmi che permeano il patto. In definitiva, si concorda in questa sede con chi ritiene che la dinamicità delle norme speciali sia «fedele interprete di una società pulviscolare, che non si riconosce in una comune tavola di valori e si scom- pone nella varietà dei gruppi e delle categorie economiche»83: verrebbe da chiedersi, allora, se si possa trovare un comune denominatore, in senso assoluto, tra ragioni dell’imprenditore e ragioni degli eredi, dato che le normative rispecchiano i valori del tempo84.
Confrontate con mente critica, le due opinioni espresse dalla dottrina – eccezionalità e specialità dell’istituto – non per- suadono: esse costituiscono, agli occhi di chi scrive, un tentati- vo, pur articolato e con margini di validità, di ingabbiare la nuova disciplina all’interno di formule che non le si attagliano; si riscontra, amaramente, quel vizio di fondo di volersi riparare nei concetti consolidati, anche a costo di forzature interpretati- ve85. Si propongono, qui e ora, almeno due ordini di ragioni a sostegno di un superamento dei problemi analizzati: in primo luogo, appare davvero difficile immaginare non solo la necessità, ma anche l’utilità pratica, in questo specifico caso, del ricorso all’analogia legis 86 , posto che lacune normative nel sistema successorio dei beni d’impresa non sembrano tuttora prospet- tabili; l’unico strumento negoziale, lato sensu successorio, che realmente assicuri la stabilità delle attribuzioni è il patto di fa- miglia, mediante la disattivazione dei meccanismi di collazione e riduzione: la normativa introdotta pare fortemente improntata a garantire questa esigenza, delineando un istituto sui generis sotto il profilo strutturale e funzionale, senza dimenticare le re- gole ad hoc in tema di regime delle patologie e delle sopravve- nienze al patto; ciò non toglie che vi siano strumenti giuridici con ratio similis, ma questo non è sufficiente, poiché, per giu- stificare il ricorso all’analogia, essa deve essere, per insegna-
83 N. IRTI, op. cit., pag. 95, che non nasconde un certo scetticismo.
84 Per un’applicazione del ragionamento all’art. 41 Cost., si veda X. XXXXXXX, op. cit., pag. 72: «anche la libertà economica dei cittadini […] va intesa secondo le strutture e secondo lo spirito del sistema politico, economico e sociale in cui si inserisce».
85 Se ne parlerà con maggiore carico di argomentazioni a proposito dell’analisi della funzione del patto. Nel senso qui accolto, X. XXXXXXX, op. cit., pp. 103 e 243.
86 Cfr. l’insegnamento di X. XXXXXXXXXX, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, pag.87, per il quale l’interprete si adopera per «trovare il principio, con il quale il caso non previsto coincide, ossia un comando più generale, nel quale con il caso previsto anche il caso non previsto rientra; allora […] la dottrina parla di analogia legis».
mento comune, eadem 87 . Discorso sostanzialmente identico può effettuarsi relativamente all’analogia juris88: la novella, qui si ritiene, più che sviluppare principi, si preoccupa di introdur- re norme secondarie in senso assiologico-funzionale 89. Pertanto, piuttosto che con l’analogia, le fatiche degli interpreti dovranno misurarsi maggiormente con l’interpretazione estensiva, senz’altro ammessa anche nel caso di tassatività della discipli- na civilistica90. In secondo luogo, e ampliando le ultime consi- derazioni, la natura sin qui prospettata del patto di famiglia, seppur con sinora sommario approfondimento, mostra la ne- cessità di innovare la forma mentis del giurista, rinnegando e- quilibrismi argomentativi, poiché gli stilemi interpretativi tradi- zionali conducono, purtroppo, in questa materia, a esiti talora in contrasto con la lettera della legge, o, ancor peggio, assurdi sul piano logico. Si ritiene, pertanto, che l’opzione più ragione- vole e accorta sia quella di «intraprendere una sfida, la quale, tra l’altro, impone all’interprete di recuperare la razionalità in un quadro legislativo articolato e complesso e, nel contempo, impone di non adagiarsi pigramente nell’alveo di una disciplina rigida, quanto, piuttosto, deve indurre a sfruttare le potenziali- tà di una disciplina aperta, più che asistematica»91. Tutto ciò appare, del resto, inevitabile, considerando che «il pluralismo sociale e la tutela degli interessi in concreto sembrano deter-
87 In ossequio al brocardo «ubi eadem ratio, ibi eadem dispositio».
88 X. XXXXXXXXXX, op. cit., pag. 90: «man mano che si procede dai co- mandi espressi ai principi inespressi e dai principi meno generali ai principi più generali o, come suol dirsi, dalla analogia legis alla ana- logia iuris […]»; X. XXXXXXX, op. cit., pag. 9: «[riguardo all’analogia iu- ris] la soggettività dell’opzione intuitiva è compensata dalla generalità del riconoscimento».
89 Cfr. X. XXXXXX, op. cit., pag. 149; X. XXXXXXXX, op. cit., pag. 169. La soluzione opposta non sembra giovare all’interprete: se anche si vo- lesse forzare la natura delle norme, egli si troverebbe pur sempre op- presso dal «dubbio sulla maggior consonanza […] della diretta utiliz- zazione dei principi nella soluzione del caso concreto, in luogo dell’applicazione delle regole, quand’anche conformi ai principi o ade- guati ai medesimi in via interpretativa»: cfr. X. XXXXXXXXXX, Comples- sità dell’argomentazione per principi nel sistema attuale delle fonti di diritto privato, Rivista di diritto civile, 2001, pag. 780.
90 Xxxxxx X. XXXXXX, Art. 10-15 disp. prel. Applicazione della legge in generale, in Commentario del codice civile Scialoja – Branca, Bologna, 1974, spec. pag. 306, il quale critica la tendenza della giurisprudenza ad applicare estensivamente le norme senza che sia chiaro il distacco dall’analogia.
91 X. XXXXX XXXXXX, Il patto di famiglia: una monade nel sistema?, No- tariato, 2008, pag. 444. L’Autrice testimonia, con un’ espressione di matrice filosofica, di aver lucidamente colto la singolarità del patto nell’ordinamento.
minare una mutazione genetica: la necessità di prendere atto della complessità, la quale impone di dare contenuto concreto alla pluralità delle ipotesi e, di conseguenza, comporta il supe- ramento dei concetti unificanti e semplificanti»92.
5. Si è già anticipato93 che la novella ha modificato l’art. 458 del codice civile, ma non si è ancora avuto modo di “scavare” la norma, significativamente rubricata «Divieto di pat- ti successori»94, per farne affiorare le fondamenta: l’operazione sarà svolta qui e ora. Emerge prima facie la suddivisione dell’articolo in due periodi: «[…] è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione» il primo, «[è] del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o ri- nunzia ai medesimi» il secondo; si esamineranno, singolarmen- te, i due periodi, e dalla fusione delle conclusioni parziali po- tranno trarsi le dovute conseguenze sulla ratio e l’attualità del divieto da un lato, e sul rapporto della norma in questione con la novella ex legge 55/2006 dall’altro.
La prima parte dell’articolo in esame disciplina i «patti successori istitutivi», così definiti dalla dottrina civilistica, che ha tradizionalmente inquadrato la fattispecie nell’ambito degli atti mortis causa; id est, quegli atti in cui l’entità dell’attribuzione possa definirsi soltanto al momento della mor- te del disponente95, in cui, altresì, il beneficiario sopravviva al disponente96 e l’“evento morte” sia dedotto in quanto afferente all’elemento causale, e non quale termine iniziale di efficacia dell’atto97. Il patto successorio istitutivo è un contratto succes-
92 X. XXXXX XXXXXX, op. cit., pag. 435; sulla scia delle nostre considera- zioni, EAD., op. cit., pag. 436, dove enuncia l’impossibilità del ricorso ai consueti canoni dell’eccezionalità e della specialità, a causa della frantumazione dell’unità del sistema che impedisce una comparazio- ne. A onor del vero, tuttavia, la natura di “monade”, nel senso leibni- ziano, non implica ex necesse una disgregazione, ma soltanto un’assenza di relazioni con l’esterno.
93 V. retro § 1.
94 Per un quadro d’insieme si rinvia, oltre alla tradizionale manuali- stica, a M.V. DE XXXXXX, voce Patto successorio, in Enciclopedia del di- ritto, XXXII, Milano, 1982, pp. 533 ss.
95 X. XXXXXXX, op. cit., pag. 53; X. XXXXXXXXXXX, voce Atto «mortis cau- sa», in Enciclopedia del diritto, IV, Milano, 1959, pag. 233.
96 X. XXXXXXXXXXX, op. cit., ibidem.
97 Ci si riferisce agli atti post mortem e trans mortem. Per la loro quali- ficazione si rinvia a un contributo abbastanza recente di F. PENE VI-
sorio stipulato, almeno di norma, tra futuro xxxxx causa e fu- turo erede – o legatario –, mediante il quale si realizza una vera e propria istituzione di erede – o legatario –, il quale, senza il divieto dell’art. 458 c.c., sarebbe in astratto valido alla stregua di un comune testamento, ma comporterebbe, a differenza di quest’ultimo, l’irrevocabilità della pattuizione, in mancanza del consenso del beneficiario98. Una lettura poco marcata99 della norma suggerisce che il fondamento dei patti successori istitu- tivi, sul piano tecnico-giuridico, si debba riscontrare nell’ i- nammissibilità di una terza causa di delazione, al di là della legge e del testamento, segno, al contempo, di continuità del codice del ’42 con la tradizione romanistica e di distacco rispet- to alle esperienze francesi e tedesche, che ammettono la suc- cessione ex contractu100, pur con ragionevoli limiti101. Ad avviso di chi scrive, nonostante la verità di fondo del precedente as- sunto, la disposizione si fonda anche su una considerazione più pragmatica, ovvero quella di garantire la libera revocabilità
DARI, Xxxxx successori e contratti post mortem, Rivista di diritto civile, 2001, pag. 251: «si considerano post mortem le attribuzioni in cui l’evento morte non diviene elemento causale, ma semplice modalità accessoria»; a differenza di questi, gli atti trans mortem si caratteriz- zano, particolarmente, per il requisito della revocabilità dell’attribuzione; negli stessi termini A. MUSTO, Il profilo identitario degli strumenti alternativi al testamento: l'unità assiologica nella varia- bilità strutturale degli atti inter vivos con funzione successoria vietata, Diritto di famiglia, 2010, pp. 1158 ss.
98 X. XXXXXXX, op. cit., pag. 41; interessante Cass. sez. civ., sent. 24813/2008, che esclude la ricorrenza di un patto successorio istitu- tivo nel caso di comunicazione verbale, agli eredi, delle intenzioni te- stamentarie.
99 Ciò si evince, pacificamente, dalle opere di tutti gli Autori che han- no trattato l’argomento.
100 Si tratta del c.d. “Erbvertrag”, tipizzato dal sistema giuridico tede- sco, e della “donation de biens à venir” di matrice francese. Per una rassegna dei precedenti storici del patto, si veda X. XXXXXX, Il patto di famiglia, Padova, 2006, pp. 18 ss.; cfr. anche X. XXXXXXX, Testamento e istituti alternativi, cit., pp. 447 ss.
101 L’analisi di X. XXXXXXX, I contratti gratuiti, in Trattato dei contratti a cura di Xxxxxxxx e Gabrielli, Torino, 2008, pp. 304 ss. si presenta molto accurata, sebbene concisa; ai nostri fini è sufficiente notare che questi ultimi sono istituti molto diversi rispetto al patto di famiglia: così X. XX XXXXX, Osservazioni sul patto di famiglia (brogliaccio per una lettura disincantata), Il diritto di famiglia e delle persone, 2007; a sco- po di esempio si rimanda ad X. XXXXXXX, op. cit., pag. 287, che rileva un dato significativo: «l’Erbvertrag non fa sorgere “keine Obligation” e, pertanto, il promittente rimane nella facoltà di disporre integralmente del proprio patrimonio», ma, aggiunge X. XXXXXXXX, Il patto di famiglia compie cinque anni: spunti di riflessione sul nuovo tipo contrattuale, Diritto di famiglia, 2011, «[disponendo dei beni] non vi deve essere il preciso intento di danneggiare l’erede contrattuale».
delle disposizioni mortis causa ad opera del de cuius102 o, forse più correttamente, l’esclusività della libertà di disporre dei beni ereditari, evitando una determinazione bilaterale del contenu- to 103 . Con opinione unanime, gli interpreti segnalano l’impossibilità di ricondurre il patto di famiglia nella prima par- te dell’art. 458: a sostegno si adduce che la natura inter vivos del patto non può essere messa in discussione, dal momento che l’effetto traslativo dei beni è immediato, l’oggetto della pat- tuizione è determinato con riferimento alla stipula e l’individuazione del beneficiario è immediata e cristallizzata104. Vengono così a diramarsi le nubi che, forzando l’architettura del divieto, considerano il patto deroga esclusiva dei patti suc- cessori istitutivi, poiché l’aggiunta è stata posta soltanto nel primo periodo della norma.
Il secondo periodo dell’articolo 458 così recita: «[è] del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o ri- nunzia ai medesimi». A fini espositivi, si rende necessaria un’ulteriore suddivisione, in quanto vengono qui disciplinate due diverse tipologie di patto successorio: i patti dispositivi – nella prima parte –, ed i patti rinunziativi – nell’ultimo inciso –. Procediamo con ordine ed esaminiamo i patti dispositivi. Il fon-
102 X. XXXXXXX, op. cit., pag. 40; X. XXXXXXXXXXXX, in Commentario al codice civile, Torino, 1978, pag. 22, secondo il quale il fondamento dei xxxxx risiederebbe sempre nella garanzia di libertà del testatore, e al- tre spiegazioni sarebbero, pertanto, solo aggiuntive e mai sostitutive. 103 Si ritiene, in questa sede, di non esaminare gli Autori che interpre- tano i patti successori esclusivamente nell’ottica di evitare il c.d. vo- tum captandae mortis, cioè la propensione del beneficiario ad augu- rarsi la morte del disponente, in quanto frutto, a nostro modo di ve- dere, sia se riferito al primo periodo della norma, sia al secondo, di suggestioni superate dall’evoluzione della scienza giuridica: cfr. A. CI- CU, Il testamento, Milano, 1951, pag. 21, che ricorda la contrarietà ai bonos mores, per il diritto romano, di una delazione collegata a un negozio diverso dal testamento; sorprendentemente, C.M. XXXXXX, Di- ritto civile, vol. 2, Milano, 2005, pag. 559, che fa riferimento, riguardo ai patti dispositivi e rinunciativi, alla «radicata ripugnanza sociale verso tutti gli atti di speculazione sull’eredità di persona ancora viven- te»; cfr. X. XXXXX, Disposizioni generali sulle successioni, in Commenta- rio del codice civile Scialoja – Branca, Roma, 1997, pag. 104, riguardo specificamente ai patti dispositivi.
104 Riflessioni svolte, tra gli altri, da X. XXXXXXXXXX, op. cit., pag. 19;
X. XXXXXX, Profili funzionali del patto di famiglia, Rivista di diritto civi- le, 2007, critico verso la paventata possibilità di equiparare il patto istitutivo a un patto di famiglia sottoposto a termine o condizione; specifica, giustamente, X. XXXXXXXX, op. cit., che «il patto successorio istitutivo ha per oggetto l’id quod superest al momento dell’apertura della successione»; X. XXXXXX, op. loc. ult. cit., pag. 66.
damento di questi ultimi, qualificabili quali atti inter vivos che hanno a oggetto beni futuri – al pari dei rinunziativi di cui si scriverà a breve –, è probabilmente105 improntato alla tutela del futuro erede o legatario: non sarebbe ammissibile una disposi- zione di beni futuri, destinati a confluire nell’asse ereditario, di cui non si abbia chiara contezza sotto il profilo economico, con il rischio che soggetti inesperti dilapidino anzitempo le ricchez- ze successorie. Sulla scorta di questa ragion d’essere, il discor- so deve a questo punto addentrarsi nelle dinamiche del patto di famiglia per consentire la comprensione della tematica in esa- me: il meccanismo negoziale, introdotto dagli artt. 768 bis e se- guenti, prevede che l’imprenditore trasferisca l’azienda a un di- scendente – si cita solo un caso a modo di esempio –, e nel con- tempo quest’ultimo soddisfi le ragioni di coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio del disponente; calcolato il valore del cespite azien- dale, essi otterranno, in denaro, la quota di legittima parame- trata sull’entità del complesso ceduto, e non potranno più, una volta conseguita la liquidazione, agire in riduzione e pretendere la collazione in sede divisoria. Parte maggioritaria della dottri- na106 ritiene che l’accettazione della liquidazione da parte dei non assegnatari configuri un patto dispositivo, sul presupposto della disposizione dei diritti di legittima astrattamente spettanti su una successione non ancora aperta. L’argomento non per- suade: oggetto del patto è un diritto attuale alla liquidazione della quota di legittima, pertanto i ragionamenti di cui sopra appaiono in controtendenza rispetto alla figura che si sta esa- minando, non disponendo i legittimari di alcunché in riferimen- to alla futura successione dell’imprenditore107. Volgiamo ora lo
105 Il dubbio nasce dal fatto che, come evidenziato da X. XXXXXXX, op. cit., pag. 40, la dottrina non ha ancora trovato un sicuro ancoraggio interpretativo per gli ultimi due tipi di xxxxx. Interessante notare che in X. XXXXXX – X. XXXXXXX, Le successioni: parte generale, in Trattato di diritto civile italiano diretto da Xxxxxxxx, Torino, 1977, pag. 98, si fugge dal problema, evitando di parlarne; addirittura secondo M.V. DE XXXXXX, op. cit., pag. 533, «nessuna ragione tecnica soccorre a spiegarne il divieto».
106 Su tutti, X. XXXXXX, op. loc. ult. cit., pag. 47; X. XXXXXXXX, op. cit., secondo cui la chiave di volta del ragionamento risiede nell’esenzione da collazione e azione di riduzione; X. XXXXXXXX – X. XXXXXX, Il patto di famiglia: l’imprenditore sceglie il proprio successore, Corriere giuri- dico, 2006, pag. 718.
107 In questa direzione anche X. XXXXXXX, op. loc. ult. cit.; S. DELLE MONACHE, Tradizione e modernità del diritto successorio, Padova, 2007, pag. 324; X. XXXXXXXXXXX, op. cit., nota 76; U. LA PORTA, Il patto di fa- miglia, Torino, 2007, pp. 57 ss., con osservazioni basate sulla pecu-
sguardo ai patti rinunziativi, mediante i quali il futuro erede o legatario rinuncia a diritti che potrebbero spettargli al momen- to della morte del disponente imprenditore; per le considera- zioni sulla ragion d’essere del divieto di cui si discorre, si può rinviare a quanto si è detto sul patto dispositivo, essendo ana- loga la ratio sottesa. In sede di raffronto, la questione appare più problematica, stante la possibilità per i legittimari di rinun- ciare alla liquidazione della quota, come espressamente previ- sto dall’art. 768 quater, secondo comma: in particolare, alcuni, anche per dare un valore alla novella dell’art. 458, altrimenti, a loro modo di vedere, incomprensibile, ravvisano in ciò un patto successorio rinunciativo108; altri, invece, «la assimilano a una mera rinunzia al credito, ed in particolare a un atto dismissivo del diritto di credito alla liquidazione»109. Ancora una volta la riconduzione al terreno dei patti successori sembra da esclude- re, se si segue coerentemente la rotta fin qui tracciata: i non assegnatari rinunciano a un diritto di credito attuale, non futu- ro; inoltre, aggiungiamo che, a fortiori, non può parlarsi di ri- nuncia nemmeno se reputassimo i diritti dei legittimari raffor- zati, come sostiene particolare dottrina110, anziché indeboliti.
L’opinione qui espressa induce a una riflessione sull’intento del legislatore, quale si è già esaminato nel primo paragrafo: se, come si è ritenuto nelle pagine precedenti, il pat- to di famiglia non inficia il secolare divieto dei patti successori, non si riesce a comprendere cosa possa aver mosso il Parla-
liare natura bilaterale, ma a favore di terzo, del patto; X. XXXXXXXXX, in Patti di famiglia per l’impresa, cit., pag. 45.
108 Tra questi, X. XXXXXXXX, op. cit.; X. XXXXXXXXXX, op. cit., pag. 20, il quale prospetta, inoltre, un patto rinunciativo implicito nella possibi- lità che i legittimari non accettino gli altri beni «assegnati dal dispo- nente» ex art. 768 quater, terzo comma; più genericamente X. XXXXXX, op. loc. ult. cit., pag. 47.
109 Citato da X. XXXXX, op. cit., pag. 17, nota 29. Così ritengono, tra gli altri, X. XXXXXXX, op. loc. ult. cit.; X. XXXXXXX, op. cit., pp. 463 ss.; X. XX XXXXX, op. cit., che definisce la ricostruzione opposta «claudicante in punto di oggetto», nel contrasto tra attualità a futurità dello stesso; contra X. XXXXXXXX, op. cit., pag. 70, secondo il quale i legittimari rinun- zierebbero all’azione di riduzione, e non alla quota di riserva: lo spun- to è interessante, ma si può obiettare che la legge 80/2005 ha “attua- lizzato” anche l’esercizio dell’azione di riduzione, introducendo la pos- sibilità di esperirla prima della morte del donante, per usufruire dei vantaggi previsti dagli artt. 561 e 563 c.c. Per la differenza, sottesa al tema, tra remissione del debito e rinuncia al credito si rinvia alla sin- tesi di X. XXXXXXXX, L’estinzione dell’obbligazione senza adempimento, Torino, 2010, pag. 125; U. BRECCIA, op. cit., pag. 709.
110 X. XXXXXXXXX, op. cit., pag. 45, per il quale la forza risiede nel fatto che il diritto di legittima venga reso immediatamente esercitabile.
mento nella scrittura della norma. Si medita ora di tralasciare impostazioni disfattiste111, che criticano aspramente le nuove riforme, accusando i rappresentanti del popolo di scarso rigore elaborativo, incurante degli esiti cui sono giunti gli operatori del diritto nell’interpretazione dei vari istituti. È forse possibile che non si sia ricostruito adeguatamente il sistema successorio, o forse che non vi sia stata attenzione alle impostazioni dottri- nali112, ma ciò non può esimere da tentativi di dare un senso alla riforma: si fa notare, a nostro personale parere, che i dubbi sull’introduzione della novella sono stati molti e di forte colori- tura dogmatica; il timore di una paralisi, in sede pratica, dell’istituto deve aver attraversato la mente di tutti i soggetti coinvolti – non solo i promotori delle varie proposte di legge – essendo rilevante il rischio di indurre i notai, professionisti di- rettamente coinvolti nell’operazione negoziale, a porre veti, limi- tazioni e altri ostacoli, in sede di stipula, innanzi a un impren- ditore frustrato, in molti casi rassegnato all’inevitabile disgre- gazione dell’impresa. Si giudica, quindi, in maniera favorevole l’inciso all’inizio dell’art. 458, il quale appone un confine preci- so tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, anche se, a ricostru- zione compiuta, esso non sarebbe stato necessario: si è voluto così, saggiamente, salvare il patto a fronte di ogni possibile in- terpretazione successiva e, risvolto ancor più importante, ga- rantire il più ampio utilizzo del nuovo strumento contrattuale, attribuendo ai giuristi un valido supporto incentivante all’applicazione113.
111 Se ne danno esempi in G. PALERMO, op. cit., pag. 59.
112 Così, con visione non condivisibile, X. XXXXXXXXX, op. cit., pag. 45. 113 In questi termini anche X. XX XXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXX- CHIO, Il patto di famiglia, Milano, 2006, pag. 19. Da elogiare, sulla scorta delle nostre riflessioni, l’opinione di X. XXXXXXX, op. cit., pag. 467: «la preoccupazione principale è stata di assicurare all’effetto [at- tributivo] un’elevata misura di stabilità». Rimane forte, nonostante tutto, il carattere oscuro della disposizione sinora esaminata, al pun- to che non rimangono per gli interpreti altre soluzioni, per nulla edifi- canti, se non di ritenere l’inciso come una disposizione senza norma oppure addirittura priva di contenuto precettivo, ovvero meramente indicativa.
II
Analisi funzionale dell’istituto: la causa complessa e l’oggetto “tridimensionale” del patto di famiglia
SOMMARIO: 1. Le variegate ipotesi ricostruttive della causa del patto di famiglia: la donazione modale. Critica e spunti di riflessione verso la configurazione in termini di gratuità del rapporto tra disponente e as- segnatario. – 2. Segue. La tesi del patto di famiglia quale ipotesi legale di contratto a favore di terzi. Cenni introduttivi e rinvio. – 3. Il patto di famiglia avente, unitariamente, una “causa familiae”. La variante sui generis, e particolarmente marginale, della c.d. “causa successoria”. Linee critiche verso la tendenza alla sincreticità funzionale. – 4. La funzione distributivo-divisionale del patto. Sedes materiae, affinità e riduttivismo: critica e rilievi di validità. – 5. La teoria della causa mi- sta, i.e. il patto come negotium mixtum cum donatione aut solutionis causa: dissertazioni introduttive ed errori di prospettiva metodica. – 6. Tesi della poliedricità funzionale del patto: la causa complessa quale ipotesi ricostruttiva più aderente all’istituto. La transattività come chiave di volta dell’intera operazione negoziale: giudicato sostanziale e reciproche concessioni. – 7. Segue. Il patto di famiglia quale contratto nominato, in cui sono compresenti profili di gratuità e di onerosità: il dilemma della disciplina applicabile, con particolare riferimento al rapporto tra gli assegnatari ed i legittimari. Riqualificazione della cau- sa, rescissione per lesione e altri fenomeni problematici. – 8. L’oggetto del patto di famiglia: un delicato equilibrio fra tassatività delle possi- bili attribuzioni e flessibilità delle soluzioni operative. a) Il c.d. oggetto del primo rapporto: l’azienda e le partecipazioni sociali. Effettività del controllo societario e certezza dei rapporti giuridici; rinvio. – 9. b) Il
c.d. oggetto del secondo rapporto ed il rilievo della commistione fun- zionale: aliquid datum, aliquid retentum ed intento distributivo. Una possibile scissione ideale tra oggetto mediato e oggetto immediato del contratto. Liquidazione effettuata dal disponente e rilevanza della na- tura dei beni; rinvio.
1. Come si è detto nel capitolo I, sin dai primi giorni successivi alla novella la dottrina si è adoperata per trovare una soluzione consona ai problemi funzionali del nuovo istituto.
È necessario considerare, in quest’ottica, che la varietà di in- terpretazioni elaborate in quest’ambito, se da un lato denota fervente spirito critico ed ingegnosità, dall’altro ostacola – è d’uopo sottolinearlo – un’attuazione ad ampio raggio e senza remore dell’istituto del patto di famiglia; da quest’angolo visua- le, la “mannaia” del controllo di legalità ex art. 28 della legge notarile1 ha costituito, per molti notai, uno straordinario freno, a causa del timore della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione – da sei mesi a un anno2 –. Ad- dentrandoci nella problematica, è opportuno manifestare in maniera chiara il nostro pensiero, esprimendo preliminarmente una considerazione riunita a modo di premessa e di avvertenza: le opinioni in tema di causa del patto sono piuttosto numerose e al proprio interno presentano costantemente una miriade di sfaccettature. Si cercherà allora in questa sede, per quanto possibile, di dipingere il panorama ermeneutico, catturando i giudizi più rilevanti, e di fornire l’interpretazione che si ritiene più appropriata e ragionevole, con l’auspicio che gli operatori del diritto possano giovarsene. Al fine di enunciare il nostro personale pensiero, non si potrà prescindere da una disamina delle varie teorie funzionali sinora elaborate dalla dottrina. Uno schema di massima in merito può essere tracciato con linearità, giacché gli interpreti sono tendenzialmente divisi, in quest’ambito, tra una ricostruzione unitaria – liberale, “familia- re” o divisoria – e una mista, con la sfumatura della complessi- tà causale: seguendo questa direttrice, inizieremo a trattare, dunque, delle opinioni di coloro che ritengono unitaria la causa del patto di famiglia, cominciando dalla teoria liberale.
Una ricostruzione dottrinale molto dibattuta è quella che rinviene la causa del patto di famiglia nell’ambito della liberali- tà donativa, in particolare configurando il contratto alla stregua di una donazione modale3. È necessaria una breve analisi pre-
1 Segnatamente con riferimento al numero 1 dello stesso articolo. Per un quadro generale in materia si veda il recentissimo contributo di X. XXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXXXXX, Codice della legge notarile, To- rino, 2013, pp. 126 ss. Si analizzeranno, nel prosieguo della tratta- zione, alcuni aspetti problematici anche ai fini del ricevimento dell’atto.
2 Art. 138, secondo xxxxx, legge notarile.
3 Questa opinione è stata molto apprezzata nei primi commenti alla legge 55/2006, ma non ha poi trovato altrettanto seguito nelle opere di epoca successiva. Si segnalano, inter alios, i contributi di C. CAC- XXXXXX, op. cit., pp. 48 ss.; pur con rilievi critici, X. XXXXX, Appunti sul patto di famiglia, Le società, 2007, pp. 947 ss; X. XXXX, op. cit., pag. 444; considera l’atto, per certi versi, somigliante a una donazione
liminare in tema di modo: la natura giuridica dell’onere nella donazione è stata, certamente, molto discussa da parte degli interpreti, ma sembra si possa affermare, con un certo grado di certezza, che la teoria preferibile sia quella che delinea il modus come atto autonomo rispetto al contratto cui inerisce4. Specifi- camente, questa tesi trae vigore dall’analisi del diritto di accre- scimento ex artt. 674 ss. c.c., esteso alla donazione mediante la norma di cui all’art. 773, secondo comma, con la previsione di una clausola volontaria da apporre all’atto: orbene, «in tal caso […] non si ha un’unica donazione ma tante proposte di dona- zione quanti sono i donatari […;] qualora il donante proponga di donare cum onere a Xxxxx e a Xxxx un determinato bene con clausola di accrescimento, se Xxxxx rifiuta e Xxxx accetta, quest’ultimo dovrà adempiere l’intero onere»5. In questo caso, inoltre, bisogna tener conto del fatto che i beneficiari sono de- terminati dall’art. 768 quater, per cui, seguendo la via tracciata dai dibattiti interpretativi, si dovrebbe stabilire se l’intera ope- razione negoziale si profili come un contratto a favore di terzi o come un procedimento complesso, costituito da due donazioni, una semplice e una indiretta per il tramite del donatario6. Tut- tavia i suddetti sono aspetti che rilevano maggiormente in rela- zione alla teoria che esamineremo nel prossimo paragrafo; di conseguenza, evitiamo di approfondire il discorso in questa se- de se non per quanto attiene a due ulteriori specificazioni. Inte- ressante risulta lo spunto offerto da alcuni Autori per quanto concerne la natura del modus in relazione all’intera operazione negoziale: da una parte, si fa notare che «dal contratto non na- sce necessariamente un’obbligazione dell’assegnatario nei con- fronti dei legittimari», sia nel senso che «l’attribuzione a favore
modale M.C. XXXXXXX, Le assegnazioni dell’imprenditore o del titolare di partecipazioni sociali nei patti di famiglia, Le società, 2007, pag. 149. Da segnalare un recente pronunciato giurisprudenziale (Commissione trib. II grado Trentino – Alto Adige Bolzano, sent. n. 11/2013) che ha deciso un caso particolare, in cui il notaio rogante ha utilizzato, nella redazione del patto di famiglia, termini lessicali tipici del contratto di donazione.
4 Su tutti, X. XXXXXXX, op. cit., pag. 1586; cfr. tra gli altri, per l’opposta tesi del modus quale elemento accessorio del contratto di donazione,
X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, op. cit., pag. 195: «nel negozio modale in senso stretto o sub modo […] può distinguersi dalla volontà principale, diret- ta alla produzione degli effetti tipici, una volontà subordinata, quella istitutiva del modus».
5 X. XXXXXXX, op. cit., ibidem.
6 Vedansi le considerazioni del paragrafo seguente.
dei legittimari può essere immediata»7, sia nel senso che può essere un soggetto diverso a liquidare le ragioni dei non asse- gnatari, mediante una donazione indiretta a favore del discen- dente “preferito”; dall’altra, forse in maniera eccessivamente formalistica, si rileva che la liquidazione dei legittimari, in que- sto istituto, è disposta dalla legge, mentre il modo è un elemen- to accidentale del contratto, che trova fondamento nella volontà delle parti8. Infine, è necessario esporre una teoria peculiare9, che rinviene nella dinamica negoziale un duplice onere a carico dell’ assegnatario: oltre a corrispondere la liquidazione pecu- niaria, egli dovrebbe, infatti, continuare l’impresa in maniera efficiente, pena la risoluzione del contratto per inadempimento del modo10; secondo l’ Autore di questa tesi, per giunta, in caso di cessazione dell’attività imprenditoriale, sarebbe necessario applicare ai beni oggetto del patto il regime della successione ordinaria, conseguenza che, se pure non appare opportuna in termini di certezza dei rapporti giuridici, sembra però corretta dal punto di vista formale, dal momento che, una volta risolto il contratto, i beni – o almeno il loro valore monetizzato – dovreb- bero rientrare nella titolarità del disponente11.
Ci accingiamo ad enunciare in maniera sintetica gli ar- gomenti avanzati da parte della dottrina a sostegno della teoria
7 Questa tesi è elaborata da X. XXXXXXXX, op. cit. Sua è anche la cita- zione precedente.
8 M.C. XXXXXXX, op. cit., pag. 149; X. XXXXXXXXXXX, op. cit., pag. 123; X.
XXXXXX, Il patto di famiglia, cit., pag. 52; X. XXXXXXXX, op. cit., il quale specifica il fatto che necessarietà e accidentalità sono termini utilizza- ti dagli interpreti al fine della qualificazione tipologica del negozio.
9 Elaborata da X. XXXXXXX, Testamento e istituti alternativi, cit., pag. 438.
10 Questa tesi potrebbe sembrare affascinante specialmente in un ot- tica diversa da quella della donazione modale, cioè configurando la prestazione di facere – continuazione efficiente d’impresa – come cor- rispettivo della dazione del complesso produttivo, forse attribuendo un carattere sinallagmatico anche al rapporto tra disponente e asse- gnatario. Come giustamente rileva X. XXXXXXXXX, voce Modo, in Enci- clopedia del diritto, XXVI, cit., 1976, pag. 694, riguardo alla risolu- zione della donazione modale il discorso appare molto complesso,
«poiché [vi] interferiscono i principi della corrispettività, che tradizio- nalmente si ritiene del tutto estranea alla figura in esame»; ID., La do- nazione modale, Milano, 1969, pag.185: «si tratta di accertare se una controprestazione, che in astratto sarebbe sufficiente ad escludere l’idea e la forma della donazione, lo sia anche in concreto».
11 Fatti salvi gli effetti dell’eventuale trascrizione di domande giudiziali e la deroga ai principi «resoluto iure dantis, resolvitur et ius accipientis» e «nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse habet»: v. in proposito, per tutti, F.P. XXXXX, Diritto processuale civile, I, cit., pp. 400 ss.
del patto quale ipotesi legale di donazione modale12: in primo luogo, si rileva la mancanza di riferimenti a un corrispettivo per la cessione d’azienda o di partecipazioni sociali; secondaria- mente, si evidenzia la previsione dell’imputazione ex se dei beni attribuiti ai legittimari non assegnatari, a norma dell’art. 768 quater, terzo comma; in terzo luogo, si adduce la sottrazione delle attribuzioni del patto dai meccanismi della collazione e dell’azione di riduzione; infine, si richiama il progetto di legge
c.d. “Pastore” del 1997, che qualificava l’atto come donazione13. Prima di discutere in maniera critica le precedenti osservazioni, esponiamo il nostro pensiero in merito alla natura del contratto, o perlomeno di quella parte di esso che concerne il trasferimen- to del cespite produttivo: in particolare, riteniamo che le moti- vazioni formulate dalla dottrina sulla natura liberale del patto di famiglia non siano persuasive e che sia errato nello specifico proprio il nocciolo del ragionamento di questi Autori, dal mo- mento che una parte dell’intera operazione negoziale sembra caratterizzata peculiarmente da gratuità14, anziché da liberalità.
12 Si prende a riferimento la trattazione, parsa esaustiva, di X. XXXXX, op. cit., pag. 947. Riguardo alla complessità del riferimento al modus, cfr. X. XXXXXXXXX, voce Modo, cit., pag. 686: «il termine modo ha un duplice riferimento: esso designa sia la clausola apposta al negozio gratuito, sia l’obbligazione che da tale clausola deriva in capo all’onerato»; X. XXXXXXXXX XXXX – U. BRECCIA – F. D. BUSNELLI – U. NATO-
LI, Diritto civile, I, t. 2, Torino, 1987, pag. 777: «[il modo è] una clauso- la accessoria che comporta il sorgere di un obbligo in funzione di limi- te rispetto al vantaggio ricevuto dal beneficiario di una liberalità o di una attribuzione gratuita».
13 Se ne è discusso nel cap.1, §1.
14 Qualificabile a nostro avviso non in termini di motivo, bensì di ele- mento idoneo a fondare la causa di un contratto: come ricorda X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, Napoli, 2011, pag. 833, l’interesse patrimoniale anche mediato di chi si obbliga o trasferisce «non si si- tua a livello di semplice motivo dell’attribuzione gratuita e può essere anche modale». Si veda a proposito X. XXXXXXX XXXXX XXXXX, Gratui- tà, liberalità e solidarietà, Milano, 1998, pag. 80, nota 101: «occorre, quindi, svolgere un’indagine tesa alla ricostruzione della realtà so- stanziale dell’affare, la quale, “in quanto espressione di una pluralità di interessi, va ricercata in quell’insieme di situazioni e di risultati che consentono di cogliere l’essenza dell’affare stesso, volgendo l’indagine alla considerazione dell’operazione economica nella sua in- terezza”»; cfr. X. XXXXXXX – X. XXXXXXXXX, Il principio di gratuità, Mila- no, 2008, pp. 35 ss., dove viene significativamente indicata la gratuità, alla stregua della liberalità, come criterio di qualificazione dell’autonomia privata, pur rilevando, con nota critica, una certa commistione di profili tra eticità e giuridicità delle attribuzioni, tale per cui si risale all’affermazione secondo la quale «la donazione aleg- gia su più istituti». In realtà la riconduzione nell’alveo della donazione sembra piuttosto afferente al tema della c.d. “acausalità” della stessa:
A sostegno si possono addurre diversi motivi i quali sono con- frontabili con gli argomenti enunciati dai sostenitori della tesi liberale. 1) La prima asserzione enunciata in precedenza – as- senza di corrispettività come elemento strutturale della dona- zione e mancanza di un connotato sinallagmatico nel patto di famiglia – sembra controvertibile, in specie riguardo ad alcuni profili argomentativi: pacificamente la dottrina ritiene che l’assenza di un corrispettivo sia peculiare del genus dei contrat- ti gratuiti, senza che per questo debba venire in considerazione un connotato liberale15; in ogni caso, il semplice elemento og- gettivo non è sufficiente a qualificare la donazione, ma occorre- rebbe un ulteriore fattore, quello soggettivo, costituito in modo congiunto, secondo l’orientamento consolidato della Cassazio- ne16, dalla spontaneità dell’attribuzione e dall’interesse non pa- trimoniale del donante: quest’ultimo carattere non è di certo presente nel patto di famiglia, poiché l’intento dell’imprenditore è proiettato maggiormente verso il passaggio generazionale dei cespiti, piuttosto che verso l’arricchimento dell’assegnatario, ed è proprio codesto connotato che illumina la via della ricostru- zione in termini di gratuità, poiché l’interesse del disponente è, nello specifico, patrimoniale17, cioè economicamente rilevante.
in questi termini la forma solenne fungerebbe da surrogato di una causa inafferrabile. Tale concezione risale al pensiero di X. XXXXX, Il contratto, I, Milano, 1955, pp. 94 ss.: «nella moderna civil law la fun- zione della forma notarile nelle donazioni non è più quella della pub- blicità […] né quella o quella soltanto di indice sicuro dell’intento di vincolare giuridicamente»; «questa forma speciale sta in stretta rela- zione col contenuto tipico […] del negozio». Per una valutazione molto critica in tema di donazione quale negozio astratto si veda X. XXXXXX- TE, La donazione, in Trattato Cicu – Messineo, cit., 2006, pp. 212 ss. 15 Così X. XXXXXXXX, op. cit., che ritiene il dato ormai acquisito nella dottrina e giurisprudenza italiane. Un utile riscontro giunge dall’opera ormai risalente di X. XXXX, Adempimento e liberalità, Milano, 1947, pag. 33: «al fondo di molti errori che si sono commessi nella valuta- zione dei nostri istituti [(afferenti alle liberalità)] stanno spesso equi- voci inveterati su problemi di ordine generale, come la confusione tra causa e motivo, lo spostamento dei concetti di onerosità e gratuità dal terreno della prima a quello del secondo, l’equivoco sul concetto di “e- quivalente” in ordine alla definizione di un atto come oneroso».
16 Si confronti, per tutte, Xxxx. sez. civ., sent. 2001/1996.
17 La differenza tra atto gratuito e liberalità è quindi da ricercarsi nell’ottica soggettiva e specificamente nella natura dell’interesse sot- teso all’atto, rispettivamente patrimoniale e non patrimoniale. Questo modo di intendere la problematica è posto in evidenza da X. XXXXXXX- NI, Regolamento contrattuale e interessi delle parti (intorno alla nozione di causa), Rivista di diritto civile, 1991, pag. 255, il quale altresì ritie- ne che «per potersi parlare di contratto gratuito atipico occorre che la struttura del meccanismo contrattuale non si identifichi con quella che caratterizza un contratto [tipico] e che l’interesse di quella parte
In aggiunta si può sottolineare che, se da un canto, nel rappor- to tra disponente e discendente cui vengono trasmessi i beni, manca senza dubbio corrispettività delle attribuzioni, dall’altro sembra che non si possa dire lo stesso avendo riguardo al rap- porto tra assegnatario e altri legittimari18. Pertanto questo pri- mo argomento pare non soltanto riduttivo, sia dal lato della donazione qualificata in chiave esclusivamente oggettiva sia da quello della considerazione di uno solo tra i possibili rapporti scaturenti dal patto, ma soprattutto fuorviante, poiché non considera che il passaggio dei beni avviene nell’ottica della con- tinuazione dell’impresa. 2) Xxxxxxx adesso esaminare il secon- do punto della teoria, ovvero la previsione dell’imputazione ex se a carico dei legittimari non assegnatari; la medesima è di- sciplinata dall’art. 564 c.c., secondo comma: «In ogni caso il le- gittimario, che domanda la riduzione di donazione o di disposi- zioni testamentarie, deve imputare alla sua porzione legittima le donazioni e i legati a lui fatti, salvo che ne sia stato espres- samente dispensato»; dunque essa costituisce, testualmente, una condizione per l’esercizio dell’azione di riduzione e, in sede contabile, un meccanismo che consente un giusto calcolo delle quote di legittima a ciascuno spettanti. Per una migliore com-
che si assume un obbligo senza corrispettivo non si identifichi […] con lo spirito di liberalità che caratterizza la donazione obbligatoria». La dottrina ha in seguito elaborato ulteriori osservazioni per una più precisa distinzione: i contributi più rilevanti appaiono quelli di P. MO- ROZZO DELLA ROCCA, op. cit., spec. pp. 74 ss.; X. XXXXXXX, Atto gratuito, atto liberale. Ai limiti della donazione, Milano, 2002, spec. pag. 146, il quale sottolinea che l’interesse economicamente rilevante, escludendo la donazione, rende superflua la forma dell’atto pubblico ai fini dell’efficacia del contratto; da ultimo v. X. XXXXXXXXXX, in Commenta- rio del codice civile diretto da X. Xxxxxxxxx, vol. I: artt. 1321 – 1349 x.x., Xxxxxx, 0000, pp. 634 ss., la quale esclude anche l’interesse solidari- stico dall’area della liberalità, in quanto ivi si possono identificare «in- teressi che, pur non economicamente apprezzabili, presentano quella autonomia oggettiva che consente loro di supportare, quali presuppo- sti causali, la funzione di atti a titolo gratuito senza subire l’effetto at- trattivo della donazione». Si veda invece X. XXXXXXXX, op. cit., pag. 32, per una ricostruzione della distinzione tra liberalità e gratuità in ter- mini puramente oggettivi: nel primo caso l’attribuzione avrebbe a og- getto un diritto reale, nel secondo qualsiasi diritto. La liberalità, se- condo questa opinione, avrebbe effetti reali, l’atto a titolo gratuito ef- fetti obbligatori. Cfr., in merito al patto di famiglia, X. XXXXXXXX, op. cit., pp. 62 ss. il quale aderisce alla tesi della gratuità, «per la sostanziale assenza dell’animus donandi» e per la natura patrimoniale dell’interesse imprenditoriale; negli stessi termini, M.C. ANDRINI, op. cit.; si veda, con le medesime argomentazioni, anche X. XXXXXXXXX, I negozi successori anticipatori, Rivista del notariato, 2012.
18 Aderisce a questa opinione anche X. XXXXXXXXXX, Xxxxx e terzi nel patto di famiglia, Rivista di diritto civile, 2008, pag. 181.
prensione del problema, è utile valutare la fondatezza dell’argomento assieme alla previsione dell’esenzione da colla- zione e riduzione. Xxxxxx, a prima vista potrebbe sembrare non solo che le espresse menzioni contenute nella novella consen- tano di qualificare con ragionevole certezza il patto in termini di donazione, ma anche che la teoria del patto a titolo gratuito e non liberale risulti infondata, specialmente avendo riguardo al rapporto tra disponente e assegnatario: i dubbi sono, tuttavia, destinati a sciogliersi a fronte dell’autorevole opinione della dot- trina19, la quale ritiene che rientrino nel calcolo della legittima, a certe condizioni, non soltanto le donazioni pure e semplici, bensì anche i contratti tipici gratuiti diversi dalla donazione e persino quelli atipici, tra i quali parrebbe lecito annoverare il nostro istituto: dunque, in definitiva, sarebbero soggetti al campo di applicazione di questi istituti anche gli atti a titolo gratuito come si è ritenuto di qualificare il patto di famiglia da un versante. Qualche perplessità, guardando il lato opposto del contratto, ovvero il rapporto tra assegnatari e non, potrebbe sorgere – ritenendo che l’esenzione da collazione e riduzione operi non soltanto in funzione del primo, ma anche del secondo rapporto – ove si ponga mente al fatto che le attribuzioni non sono effettuate dal de cuius e ciò potrebbe comportare un difet- to di coordinamento della disposizione in esame con la discipli- na del libro secondo: ciononostante, si può rinvenire una solu- zione ragionevole, ritenendo che la liquidazione effettuata dagli
19 Cfr. X. XXXXXXX, Successioni per causa di morte. Parte speciale: suc- cessione necessaria, cit., pag. 202, secondo cui gli atti gratuiti sareb- bero analogicamente soggetti alla disciplina della collazione e riduzio- ne quando «per l’entità dell’oggetto […] il rapporto esorbiti dai limiti della cortesia o delle convenienze sociali». Questa visione può essere letta, dal punto di vista dell’Autore, come un accostamento degli atti gratuiti alla species delle donazioni indirette. In tal senso si esprime- vano già X. XXXXX, Onerosità e gratuità degli atti giuridici, Milano, 1942, pp. 307 ss., e X. XXXXXXX, Il comodato, il mutuo, in Trattato di diritto civile italiano diretto da X. Xxxxxxxx, cit., 1957, pag. 26 ss. In effetti, il confine tra atto gratuito e liberale, in punto di caratteri es- senziali e conseguentemente di disciplina applicabile, è apparso per molto tempo alquanto labile: una dimostrazione è offerta da X. XXXXX- LA, op. loc. ult. cit., pag. 31, secondo cui era radicata nella dottrina più risalente l’opinione giusta la quale «quando la promessa ha ad oggetto un dare […] salvo il caso eccezionale di quelle promesse che hanno acquisito un certo carattere tipico nella vita degli affari […] l’interesse patrimoniale perseguito dal disponente [è confinato] fra i motivi irrile- vanti dell’atto e pertanto non lo reputano sufficiente ad escludere l’applicabilità dello schema della donazione e la relativa disciplina di quest’ultima». In seguito, tuttavia, la dottrina sembra aver trovato una soluzione ragionevole allo spinoso problema, come si evince dalle considerazioni delle note precedenti.
assegnatari si configuri come una liberalità indiretta provenien- te dal disponente, oppure considerando il caso di adempimento direttamente da parte dell’imprenditore o addirittura di un ter- zo estraneo al contratto, sempre mediante liberalità indiretta, ma questa volta a favore degli assegnatari20. 3) L’ultimo punto, che fa leva sulle prime elaborazioni preparatorie, sembra poco apprezzabile soprattutto per il fatto che la qualificazione dona- tiva espressa del patto è stata abbandonata nei tentativi suc- cessivi di riforma. È opportuno evidenziare, infine, che un’ulteriore obiezione, effettivamente molto forte, giunge dal versante della struttura del contratto, la quale sarebbe, secon- do l’opinione dominante, necessariamente plurilaterale, a fron- te della bilateralità della donazione21.
All’esito dei nostri ragionamenti, una valutazione appare limpida e probabilmente inconfutabile: qualificare il patto di famiglia come una donazione modale significa comprimere ol- tremodo le caratteristiche dell’istituto e negare un dato che ap- pare incontestabile alla luce della ragion d’essere della discipli- na ex artt. 768 bis e seguenti, ovvero la natura patrimoniale dell’interesse del disponente, il quale sembra tendenzialmente mosso da un intento economicamente rilevante in funzione del- la continuazione dell’impresa. Un altro fattore di problematicità risulta dalla considerazione secondo cui la bilateralità struttu- rale della donazione costringerebbe a valutare la partecipazione dei legittimari non assegnatari come un qualcosa di deteriore rispetto alla nozione di “parte” contrattuale, dovendo essi esse- re sempre considerati alla stregua di terzi: tutto ciò contraste- rebbe, in primo luogo, con la ratio di tutela dei successori ne- cessari, e da ultimo, secondo opinioni da non sottovalutare, con il procedimento formale di stipulazione di fronte a un nota- io22. Per ricondurre a coerenza il procedimento stipulativo, si
20 Quest’ultimo caso è prefigurato da X. XXXXXXXX, op. cit., secondo cui il meccanismo per attuare quest’operazione sarebbe quello delegatorio, con un duplice requisito: in primis, si dovrebbe indicare che la dazio- ne è effettuata per conto dell’imprenditore; in secundis, i legittimari dovrebbero rinunciare a ottenere la liquidazione dagli assegnatari. L’eventualità di un adempimento da parte dell’imprenditore in luogo dei discendenti, invece, sembra sostanzialmente pacifica, specialmen- te alla luce del criterio della ragionevolezza, indicato come faro della nostra trattazione.
21 Tali aspetti saranno affrontati all’inizio del prossimo capitolo.
22 È vero che il termine “partecipare” può sembrare insolito nel lin- guaggio legislativo in materia contrattuale, ma a quale altro titolo, se non di contraenti, i legittimari dovrebbero presentarsi di fronte al pubblico ufficiale per la stipula dell’atto? Di certo non sarebbero né
potrebbe equiparare, forse, la posizione dei non assegnatari a quella del coniuge, in regime di comunione legale dei beni, il quale partecipi, per accordare il consenso, all’acquisto di un bene effettuato dall’altro; anche se, in realtà, la questione par- rebbe spinosa, dato che la giurisprudenza di legittimità23 si è espressa qualificando il coniuge non acquirente come “parte” e non quale mero assistente passivo all’atto. La presa di posizio- ne è alquanto controversa24, perciò non sembra opportuno, ai nostri fini, sbilanciarsi in interpretazioni elaborate. Tuttavia non bisogna lasciarsi sconfortare: da questo ginepraio apparen- temente inestricabile si possono, a nostro avviso, cogliere alcu- ni spunti notevoli. Il patto di famiglia sicuramente non ha un connotato di liberalità, bensì è un contratto caratterizzato da gratuità, specificamente, nel rapporto intercorrente tra il di- sponente e il discendente assegnatario: l’interesse dell’imprenditore alla trasmissione dei cespiti è prettamente pa- trimoniale, e la menzione espressa di istituti, quali la collazione, la riduzione e l’imputazione ex se, non può essere considerata un ostacolo per le ragioni esposte in precedenza. Abbiamo po- sto dunque un primo tassello nella ricostruzione funzionale dell’istituto, ma occorre considerare che la soluzione della na- tura causale del patto di famiglia è intricata e richiede un coor- dinamento del tutto particolare tra i due rapporti, quello tra di- sponente e assegnatario e quello tra quest’ultimo e gli altri le- gittimari: per ottenere una certa armonia all’interno del cuore funzionale del contratto soccorre, a nostro avviso, una afferma- zione di notevole pregio, secondo la quale da una lettura siste- matica delle varie disposizioni del codice civile si può desumere
«una generale equiparazione dell’atto gratuito interessato
testimoni né fidefacienti, ma, noi riteniamo, nemmeno aderenti ester- ni al contratto. Per una particolare opinione in proposito cfr. C. CAC- XXXXXX, op. cit., pp. 52 ss., secondo cui i non assegnatari interverreb- bero soltanto in funzione della liquidazione della quota di competenza e della riscossione della relativa somma; la soluzione, tuttavia, non convince xxxxxxx, neanche ritenendo la fattispecie simile a quella del coniuge non acquirente, su cui v. in questa stessa pagina, od ipotiz- zando la “presenza muta” dei terzi intervenienti, come nel caso della divisione ex art. 1113, terzo comma, c.c. Sulla medesima scia erme- neutica sopra enunciata v. anche U. LA PORTA, Il patto di famiglia, cit., pp. 23 ss.
23 Cfr. Cass. sezioni unite, sent. 22755/2009.
24 La dottrina è talmente variegata, riguardo al ruolo e alla necessa- rietà della partecipazione del coniuge, che non è possibile, in questa sede, enunciare tutte le teorie espresse: si rinvia quindi, per un ri- scontro in merito, a X. XXXX – X. XXXX – X. XXXXXXXXX, Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, 1992.
all’atto oneroso. La promessa gratuita dettata da un interesse economico del promittente vincola all’esecuzione di quanto in essa previsto. La forma dell’atto pubblico è superflua. La man- cata o non corretta esecuzione della prestazione promessa gra- tuitamente ma al fine di assicurarsi un vantaggio economico futuro integra un inadempimento contrattuale per il quale non vale l’attenuazione di responsabilità prevista per il disponente liberale» 25 . Da questo nesso prospettabile in funzione della commistione tra gratuità e onerosità all’interno del medesimo congegno negoziale potremo, dunque, prendere spunto per le nostre future osservazioni.
2. Una parte della dottrina, a onor del vero rimasta xxxxxxx00, ricollega il patto di famiglia alla figura del contratto a favore di terzi, ossia al meccanismo negoziale previsto dagli artt. 1411 e seguenti, mediante il quale lo stipulante – imprenditore
– si accorda con il promittente – discendente assegnatario – per favorire terze persone – gli altri legittimari –, in tal caso attra- verso la corresponsione di un quantum pecuniario. Xxxxxxx, a questo punto, tornare con la mente al paragrafo precedente, quando si disse che l’onere donativo a favore di beneficiari de- terminati potrebbe configurarsi come stipulazione a favore di terzi; ebbene, la suddetta tesi non sembrerebbe d’aiuto in que- sta sede, dal momento che qui non si discorre di un onere, evi- dentemente assente una volta negata la tesi della donazione modale. Allora in che senso può tornare utile quel rilievo? A nostro avviso, esso ci induce a riflettere su un aspetto molto dibattuto della civilistica italiana, ovvero se la donazione moda- le a favore di beneficiari determinati sia un contratto a favore di terzi oppure no27: è chiaro che se optassimo per la prima solu-
25 X. XXXXXXX, op. loc. ult. cit., pag. 188. Per ulteriori osservazioni si veda infra, § 7.
26 L’opinione è unicamente ascrivibile a U. LA PORTA, op. loc. ult. cit.; ID., in Xxxxx di famiglia per l’impresa, cit., pp. 299 ss. Cfr. X. XXXXXXXXX, op. cit., secondo cui «il problema della causa del contratto a favore di terzo si risolve soltanto considerando l'ambito degli interessi condivisi dalle parti» e, in quest’ottica, potrebbe associarsi l’istituto al patto di famiglia dato che «lo stipulante intende effettuare una liberalità sia al promittente che al terzo; il promittente, dal canto suo, condivide l'in- teresse non patrimoniale dello stipulante».
27 Autorevole sostenitore della prima tesi è X. XXXXXXXXX, La donazio- ne modale, cit., pag. 18: «il nuovo codice […] si è limitato a sancire la validità della stipulazione a favore di terzi in ogni caso, purché lo sti- pulante vi abbia interesse. Si può pertanto affermare che la relativa
zione i nostri attuali ragionamenti sarebbero del tutto inutili; bisogna perciò, affinché la nostra disamina abbia un senso, ri- tenere – almeno in astratto – accettabile la diversa opinione che sostiene l’inconciliabilità delle due fattispecie in esame. Tutto ciò è posto in luce, a tacer d’altro, dall’affermazione dell’unico Autore che aderisce alla tesi del “patto a favore di terzi”: «Intui- sce bene Caccavale28 quando dice che “è una donazione modale perché è un contratto a favore di terzo”. Io dissento da questa opinione perché personalmente ritengo che la donazione moda- le non può [(sic!)] essere un contratto a favore di terzi ma colgo l’intuizione che ravvisa soltanto nel 1411 lo strumento per giu- stificare il nuovo istituto»29. Non sarà motivo di sorpresa se il presente paragrafo non si sviluppa ulteriormente: vero è che inquadrare il patto nella stipulazione a favore del terzo compor- ta, come illustrato, riflessioni e suggestioni che trascendono il mero dato strutturale del contratto, ma è altrettanto evidente che i problemi suscitati da questa tesi si irradiano maggior- mente sul terreno delle singole prestazioni, dell’efficacia e della posizione delle parti nel meccanismo negoziale30. Sia consentito,
disciplina dovrà trovare applicazione tutte le volte in cui un contratto sia destinato a produrre, per intenzione delle parti, effetti nella sfera giuridica di un terzo consistenti nell’acquisto di un diritto di credito: ivi compresa la donazione modale». Contra, tra gli altri, X. XXXXXXXXXX, L’obbligazione: la parte generale delle obbligazioni, Milano, 1968, pag. 65: «in ciò si pone la differenza tra il contratto a favore di terzo e la donazione modale a favore del terzo. Anche in quest’ultima si può dire che il donante stipuli a vantaggio del terzo. Tuttavia, qui la legge fa sorgere un rapporto obbligatorio, oltre che tra il donatario e il terzo, anche e principalmente tra il donante e il donatario (arg. art. 793 cpv. 2 c.c.). Può avvenire che nel contratto a favore di terzo gli effetti ven- gano invece a ripercuotersi in capo allo stipulante».
28 X. XXXXXXXXX, op. loc. ult. cit., ibidem.
29 U. LA PORTA, op. loc. ult. cit., pag 304; ID., Patto di famiglia, cit., pp. 12 ss. Si potrebbe ritenere, senza negare il connotato liberale, che il patto di famiglia, da questa prospettiva, risulti quale contratto mag- giormente teso alla dinamica solutoria dei non assegnatari, piuttosto che al trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni sociali. In que- sto senso v. infra § 5.
30 Cfr. in merito alla commistione tra profili funzionali e strutturali nel contratto a favore di terzo, L. V. XXXXXXXXX, Il contratto a favore di terzi, in Commentario al codice civile coordinato da F. D. Xxxxxxxx, cit., 2012, pag. 111, dove si raffronta l’istituto in esame con la donazione indiretta: «la nozione di contratto a favore di terzi, che coglie il profilo strutturale della fattispecie, implica l’applicazione della relativa disci- plina, la nozione di donazione indiretta, volta a individuare il risultato economico, [coinvolge] l’assoggettamento a un certo corredo di regole considerato inscindibile […] dal fenomeno della liberalità»; X. XXXXXX- XX, Contratto a favore di xxxxx, in Commentario del codice civile Scialo- ja – Branca, cit., 2004, pag. 43, per il quale il contratto a favore di
pertanto, rinviare al prossimo capitolo per una compiuta anali- si delle conseguenze di questa qualificazione.
3. Una parte non trascurabile dei commentatori del- la legge 55/2006 considera il patto come un atto avente «natu- ra giuridica autonoma, quale contratto sui generis idoneo a produrre effetti suoi propri, non assimilabili a quelli dei men- zionati contigui istituti»31. Questa linea di pensiero si innesta su un filone dottrinale, ormai avallato anche dalla giurispru- denza di legittimità32, che propugna l’autonoma rilevanza entro determinati rapporti, segnatamente gli accordi in sede di sepa- razione e divorzio, di una causa definibile come “separandi”, o, in senso ampio, familiare: le parti, dunque, attraverso il conge- gno negoziale ex artt. 768 bis e seguenti, intenderebbero rego- lamentare i futuri assetti successori in ordine a determinati ce- spiti, proprio come accade nel caso di disgregazione familiare in esito a separazione o divorzio. Prima di addentrarci nell’esame della presente teoria, occorre tracciare una linea di discrimine tra due varianti della stessa: si può, cioè, separare una versio- ne più prudente e, in definitiva, meramente cognitiva, rispetto a una ricostruzione più audace e carica di conseguenze a livello applicativo o sistematico. Procedendo con ordine dalla prima tesi, il problema iniziale che si pone di fronte all’interprete, an- cor prima di saggiarne la validità argomentativa sostanziale, è
xxxxx «sarebbe un contratto causale, la cui causa è costituita da quella del contratto (tipico o atipico) concluso tra lo stipulante ed il promit- tente, al quale accede una clausola accessoria che appunto attribui- sce al terzo beneficiario la prestazione del promittente, xxxxxxxx che tuttavia non sarebbe idonea ad influenzare la causa del contratto a favore di terzi».
31 X. XXXXXXXXX, in Patti di famiglia per l’impresa, cit., pag. 166; altri Autori sottolineano la medesima peculiarità causale: si xxxxxx X. XXXXX, I patti di famiglia. Analisi dei contratti per il trasferimento dell’azienda e per il trasferimento di azioni societarie, Padova, 2006, spec. pag. 8, secondo il quale rientra nella sfera funzionale anche quella di regolamentare preventivamente i rapporti successori dell’imprenditore, posizione in parte assimilabile a quella esposta nel prossimo paragrafo; X. XXXXXXX, Ipotesi sul patto di famiglia, cit., pag. 448; X. XXXXXXXXX, in Xxxxx di famiglia per l’impresa, cit., pag. 119; con opinione molto particolare M.C. ANDRINI, Il patto di famiglia: tipo con- trattuale e forma negoziale, cit.
32 Cfr. Cass. sez. civ., sent. 3940/1984, secondo cui «ciascuno dei co- niugi ha il diritto di condizionare il proprio consenso alla separazione personale a un soddisfacente assetto dei propri interessi economici, sempre che in tal modo non si realizzi una lesione di diritti inderoga- bili».
quello di comprendere fino a che punto vi sia unitarietà di cau- sa: la sensazione è che gli Autori che sostengono la presente teoria mascherino una commistione indecifrabile anche sul versante delle conseguenze attraverso un telo che tutto copre, senza che possa stabilirsi fino a che punto una certa disciplina sia applicabile o meno. Due valutazioni, su tutte, possono scio- gliere alcuni nodi al riguardo; in primis, secondo alcuni inter- preti33, il patto di famiglia avrebbe natura liberale, secondo al- tri34, invece, a questa si aggiungerebbe un connotato divisorio, cosicché la pretesa unità funzionale sembra sin d’ora una valu- tazione poco lineare; in secundis, appaiono evidenti le sfumatu- re scettiche del pensiero di alcuni esponenti della dottrina, per esempio laddove si afferma, a nostro avviso con margini di xxxx- xxxx, che il legislatore «non è arrivato [… ad attribuire all’istituto] una causa unitaria, stante la funzione di regola- mentare il futuro assetto successorio dell’azienda o della gover- xxxxx, utilizzando quella causa familiae da tempo individuata dalla dottrina», e ciò costituisce un formidabile freno, poiché
«solo nell’ottica della causa familiae era ipotizzabile l’inserimento della nuova normativa del patto di famiglia tra gli strumenti a disposizione del testatore per realizzare un’assegnazione preferenziale dei beni o delle partecipazioni societarie oggetto di attività produttiva»35: allora – potrebbe o- biettarsi – si giungerebbe al caso limite, a nostro modo di vede- re assolutamente non rispondente all’istituto in esame, di “di- sposizioni senza norme”, cioè il cui «contenuto normativo, se mai sussiste, è tuttavia incomprensibile, non è suscettibile di identificazione in sede interpretativa»36. Abbandonando questo sentiero spinoso ed impervio, segnaliamo che la teoria della quale stiamo discorrendo appare talmente generica da non po- ter fungere da utile supporto per gli operatori giuridici: essa appare, agli occhi di chi scrive, come una sorta di logica prose- cuzione dei ragionamenti attorno agli strumenti di trasmissione della ricchezza familiare, forse in linea di assimilazione al trust, ovvero nell’ottica di una separazione patrimoniale, piuttosto che di un regolamento di interessi non più condivisi. In questo
33 Si veda, tra gli altri, X. XXXXXXXXX, op. cit., ibidem.
34 Su tutti X. XXXXX, op. cit., ibidem.
35 Così M.C. ANDRINI, op. cit., la quale aggiunge: «la causa familiae a- vrebbe potuto consentire perfino che [il conguaglio], che l’art. 768 - quater prevede possa esser fatto, convenzionalmente, anche in natura, fosse operato dallo stesso imprenditore o dal coniuge, con beni propri, superando così la problematica fiscale delle masse plurime, in virtù di una sistemazione contrattuale generale degli assetti familiari».
36 X. XXXXXXXX, Interpretare e argomentare, cit., pag. 69.
senso la tesi è accettabile, ma non si può dire altrettanto per quanto concerne il risvolto funzionale dei ragionamenti dei vari Autori: essi si soffermano sulle ombre, anziché sulle luci “cara- vaggesche” del patto, tendendo a mescolare i colori della causa, cosicché alla fine dell’operazione non rimane altro che una fi- gura sfocata, di cui si percepiscono in nuce caratteri peculiari, purtroppo ormai indistinguibili.
Rivolgiamo lo sguardo all’opposta sponda della teoria in esame, id est al versante maggiormente pregno di riflessi pratici. Ebbene, parte alquanto minoritaria della dottrina sostiene con vigore una teoria particolare, ovvero che il patto di famiglia sia un contratto con causa di successione37: questa teorica – lo si comprende – poggia le proprie fondamenta su una soluzione dei problemi di teoria generale dell’istituto totalmente differente rispetto a quella assunta nel primo capitolo di questa trattazio- ne. L’aspetto più evidente è il seguente: all’esito delle nostre analisi si era giunti alla conclusione che il patto non rientrasse nell’alveo dei patti successori, mentre questa tesi lo afferma a viva voce, o per meglio dire trae da questo assunto la propria vitalità. Conveniamo in questa sede di segmentare la presente teoria in due filoni che presentano molti caratteri comuni e al- cuni distinti: un primo ramo38 c.d. forte dal lato applicativo, ma debole da quello sistematico; un secondo ramo39, invece, debole dal lato applicativo, ma sistematicamente forte40. Il dato di fon- do di entrambe le prospettazioni è reso palese da questa affer- mazione: il patto è «funzionalmente destinato a regolare la suc- cessione nell’azienda o nelle partecipazioni senza incorrere nel divieto posto altrimenti dall’art. 458 c.c.»41. Prima facie questa asserzione non sembra irragionevole, in particolar modo se si espunge il riferimento alla funzione e lo si sostituisce con un più opportuno richiamo alla ratio legis. Ciononostante le due tesi presentano un connotato diverso, che qui si è cercato di manifestare attraverso la scissione di due elementi, a nostro
37 Ancorché sia da codesti Autori riconosciuta la natura di atto inter vivos del patto di famiglia, non si rinviene contraddizione se si pone mente al fatto che solo il patto successorio istitutivo, a differenza de- gli altri due, è un atto a causa di morte: v. retro cap. I, § 5.
38 Riconducibile a X. XXXXXXXXX, La causa del patto di famiglia, Con- tratto e impresa, 2006, pp. 1261 ss.
39 Si veda X. XXXXXXX, in Xxxxx di famiglia per l’impresa, cit., pp. 270 ss.
40 La nostra ricostruzione pare utile in senso descrittivo, anche se presenta il limite intrinseco di separare la dirompenza applicativa dell’istituto dall’armonia del sistema civilistico. Ovviamente, si speci- fica, essa non ha pretese di innovazione dogmatica.
41 X. XXXXXXXXX, op. cit., pag. 1266.
parere focali, di entrambe; la prima teoria porta alle estreme conseguenze il profilo funzionale del patto, valutato così pecu- liarmente, giungendo financo a teorizzare la diretta applicabili- tà al nostro istituto della disciplina del libro secondo del codice:
«sicuramente il patto di famiglia non è soggetto alle regole for- mali del testamento, ma ciò non significa che, appunto verten- dosi in tema di successioni sia pure regolate per contratto, non trovino applicazione le relative regole»42 . A livello sistematico questa interpretazione non presenta risvolti dirompenti, dal momento che essa sfrutta le categorie ormai consolidate della civilistica italiana e non intende stravolgerle. Il secondo filone di pensiero mostra caratteri invertiti: da un lato, infatti, esso si rifugia in sede di applicazione – e quindi di redazione materiale dell’atto –, probabilmente in maniera camaleontica, nella strut- tura divisionale43 dell’istituto, e per questo motivo si è convenu- to di definirlo “debole”; dall’altro lato, esso esibisce una certa forza entro gli ingranaggi del sistema successorio, poiché fa le- va sulla ricostruzione del patto di famiglia quale fenomeno a- scrivibile alla categoria della “successione anticipata”, già am- piamente criticata nel primo capitolo44, la quale pretende di e- spandere i confini della successione mortis causa, soprattutto sul versante temporale.
Questa variante della causa familiare del patto mostra i propri limiti con tutta evidenza, non apparendo utile ai fini ap- plicativi e pretendendo, talora, di introdurre nel panorama dot- trinale nuove concezioni, che riteniamo essere frutto di forzatu- re ingiustificate. Sorge a questo punto una domanda: codesta opinione ermeneutica deve essere scartata in maniera definiti-
42 X. XXXXXXXXX, op. cit., ibidem. Questa presa di posizione non sem- bra molto chiara: in effetti, all’interno della disciplina del capo V-bis si accenna a istituti tipici del libro secondo del codice ma, preso atto di questo aspetto, la conclusione non sequitur, poiché cercare di co- gliere la natura ontologica del patto da singole, ed isolate, parti dello stesso appare, francamente, operazione mistificante, a meno che con questa affermazione non si voglia invitare, genericamente, a tener presente che vi sono indubbie interferenze tra le varie regioni del co- dice civile.
43 Cfr. X. XXXXXXX, op. cit., pag. 275, secondo il quale «sul piano causa- le, il patto di famiglia realizza un trasferimento in funzione successo- ria avente struttura divisionale, ciò che giustifica la collocazione topo- grafica nel codice». Questa affermazione si è definita camaleontica, perché tende a effettuare una commistione della struttura divisoria con la funzione successoria, così rendendo indistinguibili i singoli componenti: emerge, in tal modo, una differenziazione rispetto alla pura unitarietà funzionale dell’opposta versione.
44 Cfr. il § 3 dello stesso per le argomentazioni in merito.
va? A nostro avviso questa concezione ha il merito di manife- stare un dubbio, ossia se il legislatore abbia avuto l’intenzione di riformare interamente il sistema successorio italiano, oppure abbia posto in essere un congegno – che possiamo definire con- servatore – mediante il quale raccogliere le istanze di trasmis- sione, senza sovvertimento del diritto ereditario: una volta op- tato per la seconda soluzione, non rimane che concordare sul fatto che, sebbene il patto di famiglia non presenti una causa successoria come da alcuni prospettata, la ratio legis appare improntata sicuramente a raffigurare profili posti in discussio- ne soltanto al momento dell’apertura della successione, come evidenziato dalla disciplina espressa di alcuni istituti tipici del libro secondo del codice45. Giunti al termine dell’analisi di que- sta ricostruzione funzionale, bisogna osservare che la volontà di ricondurre il patto entro uno schema causale sintetico – con suggestione filosofica si direbbe “sincretico” – mostra palesi se- gni di cedimento alle proprie basi, tendendo a deviare i ragio- namenti verso aspetti diversi, probabilmente perché – e questo dato non può essere negato – i vari Autori esaminati intendono soltanto segnalare una particolarità di fondo dell’istituto, ade- rendo, tuttavia, a prospettazioni talvolta semplici, talaltra miste del patto.
4. La maggior parte dei commentatori della xxxxxxx00 sembra orientata verso una valutazione diversa della funzione del nostro congegno negoziale: essi ritengono che il patto di fa-
45 Sembra aderire a questo pensiero anche X. XXXXXXXX, op. cit., sep- pur con argomentazioni dalle quali non è facile evincere un’idea defi- nitiva sul tema.
46 Si segnalano, inter alios, X. XXXXXXXX, Patto di famiglia e diritto delle
successioni mortis causa, cit.; X. XXXXXXX, Xxxxxxx e spunti in tema di patto di famiglia, cit.; X. XXXXXX, Patto di famiglia e funzione divisiona- le, cit.; X. XXXXXXX, Il patto di famiglia: aspetti di interesse notarile, cit.; S. DELLE MONACHE, Divisione e patto di famiglia, Rivista di diritto civile, 2012; X. XXXX, in Trattato breve delle successioni e donazioni, cit., pag. 344, secondo cui il contratto genera una «successione sepa- rata anticipata su una massa composta esclusivamente di “beni pro- duttivi”»; X. XX XXXXX, I necessari partecipanti al patto di famiglia, Famiglia, persone e successioni, 2006, pp. 538 ss. La stessa soluzio- ne pare avallata anche dal decreto del giudice tutelare di Reggio Emi- lia, n. 257/2012, che applica al patto di famiglia l’art. 375, numero 3, il quale attiene alle divisioni, anziché l’art. 320 c.c., riguardo all’ ac- cettazione di donazioni da parte dei genitori dell’incapace. Sul punto si tornerà nell’ambito della partecipazione al patto di soggetti incapaci di agire.
miglia sia un contratto a causa divisoria, in cui le attribuzioni sono dirette sia verso il discendente preferito sia verso i legitti- mari non assegnatari. Orbene, questa teorica affonda le radici su un terreno ricco di spunti per le nostre riflessioni: ad avalla- re tale asserzione, un primo dato a sostegno dell’idea divisoria può essere colto nelle considerazioni storiche svolte, in partico- lare, da alcuni Autori, i quali sottolineano la linea di continuità che attraversa i due codici civili italiani, con richiami al diritto romano: essi riscontrano, effettivamente, una certa somiglianza con la romanistica divisio inter liberos e con la sua trasposizio- ne moderna, rinvenibile nel c.c. del 1865 col nome di “divisione d’ascendente”; di fatto, «in base a tale [istituto], il padre, la ma- dre e gli altri ascendenti potevano dividere e distribuire i loro beni tra i figli e i discendenti non solo per testamento, come ancora oggi previsto dall’art. 734 c.c., ma anche per atto inter vivos»47. Sicuramente le valutazioni storiche possono ricoprire un ruolo non trascurabile nella analisi del patto, ma si ritiene opportuno agganciare il ragionamento ad indici maggiormente tangibili per gli operatori giuridici. Seguendo questa linea di pensiero, potremmo, ad esempio, considerare la rilevanza, nel quadro complessivo dell’operazione negoziale, degli «apporzio- namenti in senso tecnico, legati da quel “nesso di reciproca su- bordinazione funzionale”48 nel quale già cinquant'anni or sono Xxxxx Xxxxxxx individuava l'indice minimo di riconoscimento dei fenomeni funzionalmente divisorii»49: in particolare, si evi- denzia, non a torto, che il meccanismo di liquidazione dei non assegnatari sarebbe molto simile a quello previsto dall’art. 720
47 Così X. XXXXXX, op. cit., pp. 18 ss. Evidenziano affinità tendenziali con la divisione d’ascendente, tra gli altri, anche X. XX XXXXX, op. cit., pag. 539 e M.C. XXXXXXX, op. cit., pag. 145, anche se soltanto in senso descrittivo.
48 Come evidenzia S. DELLE MONACHE, op. cit., il passaggio dalla con- siderazione strutturale a quella funzionale, per definire un fenomeno divisorio, nasce dalla crepa prodotta dal mutamento di pensiero in merito alla c.d. “divisione fatta dal testatore”: come immaginare una divisione senza una, almeno momentanea, situazione di contitolarità? Per approfondimenti v. infra in questo paragrafo.
49Cfr. X. XXXXXXX, La divisione testamentaria, cit., pag. 81; X. XXXXXX, op. loc. ult. cit., il quale aderisce all’opinione circa l’ammissibilità della categoria della successione anticipata. Vedasi anche X. XXXXXXX, op. loc. ult. cit., secondo cui l’accordo liquidativo dà luogo ad una serie di attribuzioni collegate in vista di una distribuzione del valore della massa, proporzionale ad altrettante quote.
c.c. per la divisione di beni immobili non comodamente divisibi- li50.
Una valutazione ulteriore può sorgere dalla “topografia” del patto, cioè dall’affermazione secondo cui il legislatore deve aver necessariamente indirizzato il nostro istituto all’interno dei fenomeni divisori, disciplinandolo nel titolo IV dedicato alla di- visione: conformemente, è molto apprezzato tra gli interpreti il nesso tra la divisione operata dal testatore51 ed il patto di fami- glia, specialmente a cagione dei problemi applicativi comuni a cui danno vita entrambi gli istituti. In proposito, sorgono spon- tanee alcune domande: possiamo realmente affermare che il patto di famiglia sia analogo all’istituto della divisione fatta dal testatore ex art. 734? Inoltre, affinché possa parlarsi tecnica- mente di divisione è forse necessario un precedente stato di comunione da sciogliere? I due quesiti, anche se prima facie non sembrerebbe, sono direttamente collegati: in primo luogo, è innegabile che l’art. 734 presenti molti punti in comune con il nostro istituto, peculiarmente se si considera che anche la par- te non disponibile dell’eredità può rientrare nelle valutazioni divisorie; in secondo luogo, pacificamente la dottrina52 ritiene
50 Si vedano in proposito X. XXXXXX, op. loc. ult. cit.; X. XXXXXXX, op. loc. ult. cit.
51 Risultano illuminanti due affermazioni di X. XXXXXXX, op. loc. ult. cit., pag. 80: «la funzione distributiva che coordina, nella divisione del testatore, i vari atti di disposizione, non è semplicemente la somma dei momenti causali di questi, bensì assorge a causa negoziale tipica che non è più quella o soltanto quella delle singole assegnazioni. L’unità di funzione si riflette, sotto il profilo strutturale della fattispe- cie, in unità di negozio»; pag. 84: «la disciplina della divisione testa- mentaria deve elaborarsi sulla base della natura attributiva dell’istituto, mentre i principi della divisione, richiamati dalla funzio- ne distributiva, entrano a costituire un limite alle conseguenze che, di per sé, sarebbero logicamente deducibili da quella natura». Trattasi, pertanto, di fenomeno sostanzialmente divisorio.
52 Cfr. X. XXXXXXX, voce Divisione ereditaria (dir. priv.), in Enciclopedia del diritto, XIII, cit., 1964, pag. 435, il quale, in aggiunta, sottolinea che «i caratteri specifici di codesta divisione non ne consentono la perfetta equiparazione alla divisione amichevole o a quella giudiziale»;
X. XXXX, Successioni per causa di morte. Parte generale: delazione e acquisto dell’eredità, in Trattato Cicu – Messineo, cit., 1965, pag. 460, intuisce che «perché la divisione fatta dal testatore possa essere rav- vicinata alla divisione operata dai coeredi, è sufficiente che vi sia an- che nel primo caso un rapporto tra i coeredi. Questo rapporto è dato dall’idea di quota che presuppone l’idea del tutto, l’una e l’altra carat- teristiche del titolo di erede»; X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Xxxxx xxxx- xxxxx, in Commentario del codice civile Scialoja – Branca, cit., 2000, pag. 311: «se il significato ordinario di divisione è quello di sciogli- mento di una comunione, può tuttavia aversi un autentico e non me-
che la divisione ex art. 734 impedisca il sorgere di uno stato di comunione ereditaria, indi per cui si assiste, in questo caso, a una separazione di profili che nei fenomeni divisionali tradizio- nali sono congiuntamente imprescindibili. Una considerazione, invece, fortemente controversa – e che differenzia il patto ri- spetto alla divisione testamentaria – è quella che si impernia sulla necessaria partecipazione al patto di tutti coloro che sa- rebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la succes- sione nel patrimonio dell’imprenditore: questa opinione ha, a nostro avviso, il vizio di considerare indefettibile nei fenomeni divisori la presenza di tutti i soggetti coinvolti nelle operazioni di stralcio, id est presenta il difetto di estendere la nullità ex art. 735 – prevista nell’ambito della divisione testamentaria per la preterizione di legittimari – alle altre ipotesi divisorie, quando in realtà la ratio della disciplina della nullità per preterizione è af- fatto peculiare ed è precisamente quella di tutelare soggetti lesi da una volontà ormai immodificabile a causa della sopraggiun- ta morte del testatore53; questa norma sembra, pertanto, essere stata elaborata ponendo mente ai fenomeni mortis causa, piut- tosto che a quelli inter vivos. Probabilmente, riguardo alla par- tecipazione dei non assegnatari alla stipula, si può trovare una soluzione equa e ragionevole, ma questi ultimi appaiono feno- meni decisamente afferenti alla struttura del contratto, indi per cui si rinvia al prossimo capitolo per una proposta ricostruttiva in merito. Per completare la trattazione degli argomenti a favore, con ampio respiro ermeneutico, si riscontra, nella liquidazione dell’ideale quota ereditaria spettante ai legittimari a fronte dell’assegnazione del cespite a un discendente, un aspetto tipi- co delle vicende divisorie tout court, ovvero la «conversione
no reale processo divisorio anche quando una massa di beni viene ri- partita dall’unico proprietario in due o più porzioni a diversi soggetti. Ciò che conta è insomma il risultato distributivo».
53 Una conferma della validità dell’assunto proviene dalle parole di X. XXXXXXX, op. cit., pag. 126, secondo cui «sembrerebbe avvalorare la ricostruzione proposta l’interpretazione giusta la quale l’eventuale nullità della divisione testamentaria per preterizione del legittimario non si estenderebbe alla istituzione degli eredi operata dal testatore, di guisa che la nuova divisione (contrattuale o giudiziale) debba inter- venire “tra tutti gli istituiti e secondo le quote fissate dal testatore”»; cfr., per un’opinione parzialmente difforme, X. XXXXXXX, La divisione ereditaria, in Trattato di diritto civile italiano diretto da X. Xxxxxxxx, Torino, 1980, pag. 261, secondo il quale «non si può concepire una qualsiasi divisione ereditaria alla quale non partecipino in qualche maniera tutti gli aventi diritto alla medesima […] in quanto funzione della divisione è la distribuzione ad essi per quote del patrimonio ere- ditario».
dell’ideale quota riservata a ciascuno dei condividenti con l’attribuzione di beni o diritti il cui valore è corrispondente al valore della quota medesima»54.
Pur essendo minuziosamente argomentata, questa linea di pensiero non convince tutti gli interpreti: secondo alcuni, af- finché possa trattarsi di istituto improntato alla divisione, rec- tius alla distribuzione con stralcio dei beni dalla massa patri- moniale dell’imprenditore, la liquidazione dei legittimari do- vrebbe provenire direttamente – ed ex necesse – dal disponente, mentre tale ipotesi parrebbe delinearsi come residuale, non es- sendo contemplata dalle norme in esame, o essendo addirittura esclusa dal dettato dell’art. 768 quater secondo una lettura me- ramente letterale; l’imprenditore – si fa notare – si ritroverebbe in «una situazione di vantaggio rispetto a qualsiasi altro sogget- to, assolutamente ingiustificata anche invocando le “ragioni dell’impresa”» 55 . L’opinione non sembra sostenibile: sebbene non sia prevista espressamente, è difficile negare la possibilità di un adempimento proveniente dall’imprenditore, spesso unico soggetto dotato di ricchezza adeguata a tacitare le ragioni dei non assegnatari; altrimenti, senza dubbio, si vanificherebbero le esigenze di trasmissione familiare e, in definitiva, di applica- zione dell’istituto. Nonostante questi ultimi rilievi, si può, a no- stro avviso, convenire su almeno un punto utile a definire il patto all’interno dei fenomeni divisionali, cioè, specificamente, la proporzionalità delle attribuzioni connaturata al nostro isti- tuto, stante il riferimento alle rispettive quote degli eredi neces- sari: perciò si concorda, quantunque soltanto in linea tenden- ziale, con chi afferma che «la qualificazione del patto di famiglia come negozio divisorio non è che il riflesso […] di un intendi- mento della divisione quale categoria a forte impronta funzio- nale: l’interesse alla distribuzione proporzionale di una deter- minata massa di beni – si ripete – sta al centro del fenomeno divisorio e lo qualifica causalmente, giustificando l’attribuzione in proprietà esclusiva dei cespiti oggetto delle singole assegna- zioni»56. Tutto ciò, ovviamente, non vale a sminuire l’innegabile
54 Cfr. X. XXXXXXX, op. cit., pag. 1456; X. XXXXXX, Profili funzionali del patto di famiglia, cit., pag. 358, secondo cui il tentativo di appellarsi a fenomenologie causali differenti risulta sterile, in quanto o generico od insufficiente a cogliere l’intera operazione anche sotto il profilo de- gli interessi coinvolti.
55 In tal senso U. LA PORTA, Il patto di famiglia, cit., pag. 82.
56 S. DELLE MONACHE, op. cit.; cfr. anche X. XXXXXX, Patto di famiglia e funzione divisionale, cit., il quale collega direttamente la divisione proporzionale al concetto di “apporzionamento”, il quale è alimentato
propensione attributiva 57 del patto di famiglia, riscontrabile nella previsione dell’esenzione da collazione di quanto ricevuto dai contraenti, bensì la arricchisce, poiché il fulcro dell’operazione negoziale viene innestato attorno alla valutazio- ne patrimoniale dei cespiti, da cui discende l’apporzionamento, ovvero l’individuazione del valore delle quote di riserva58 con re- lativo soddisfacimento. Quest’ultima considerazione risulta de- cisiva. È limpida agli occhi dell’interprete l’impossibilità di ri- durre a unità la funzione del patto, dal momento che una tale interpretazione tende a sminuire la portata innovativa della ri- forma – negando una commistione di profili ormai palesata dal- le nostre riflessioni – e forza talvolta la ratio, talaltra l’applicazione della disciplina in sede di rogito59: questo dato è comune a tutte le teorie c.d. unitarie, che riteniamo, perciò, di non condividere, ma di cui accogliamo alcuni aspetti – prece- dentemente specificati – essenzialmente corretti dal punto di vista sistematico.
5. Terminata l’esposizione delle teorie unitarie, oc- corre adesso intraprendere un percorso argomentativo diverso: intendiamo sottoporre all’attenzione dei lettori una teorica che meglio riesce a cogliere la particolarità funzionale del patto di famiglia, anche se a nostro avviso non in maniera del tutto cor- retta – il motivo di codesta nostra avversione sarà comprensibi- le solo alla fine delle nostre valutazioni –. Preliminarmente, è opportuno tracciare un itinerario di massima, iniziando con al- cune definizioni che – sembra di comprendere – paiono risoluti- ve di molti problemi che ci siamo posti in precedenza. Quando una causa contrattuale può dirsi mista? Un contratto misto è analogo a un contratto complesso? Quali sono i risvolti applica-
da due linee guida: un determinato effetto (attribuzione esclusiva) e un parametro di congruità quantitativa dell’attribuzione (proporziona- lità). Secondo l’Autore, condivisibilmente, questo tono funzionale in- duce a ripensare a una divisione con strutture realizzative variabili.
57 Posta in luce, tra gli altri, da X. XXXXXXX, in Diritto civile, II, cit., pag. 366; X. XXXX, voce Patto di famiglia, in Enciclopedia del diritto, cit., pag. 644.
58 X. XXXXXXX, op. cit.; non si condivide la scelta del legislatore di aver trascurato il momento valutativo dei beni nella disciplina del patto di famiglia: a nostro avviso sarebbe stato opportuno, quantomeno, inse- rire l’obbligatorietà di una perizia giurata di stima. Su tali valutazioni si tornerà nel prosieguo della trattazione.
59 Si pensi alla necessaria partecipazione di tutti i legittimari a pena di nullità, talmente stringente nella sua perentorietà da minare deli- cati equilibri costruiti, magari con fatica, dall’imprenditore.
tivi a seconda che si inquadri l’istituto in un modo o nell’altro? Possiamo tentare di rispondere almeno alle prime due domande, riservando la terza per le prossime pagine. Xxxxxx, un contrat- to ha, pacificamente, causa mista quando quest’ultima è com- penetrata da vari schemi funzionali tipicamente previsti dall’ordinamento, cosicché «alla fine del procedimento, gli ele- menti di ciascun negozio diventano gli elementi propri di un nuovo negozio (misto), avente una propria causa»60: «la fusione delle cause fa sì che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengano assunti quali elementi di un negozio unico»61. Stabilire la differenza rispetto a un contratto complesso è difficile, stante la mutevolezza degli orientamenti sia dottrinali sia giurispru- denziali; in ogni caso, un buon punto di partenza è rappresen- tato da un contributo autorevole del panorama civilistico, se- condo cui, nel caso di complessità causale, «alla fusione delle volontà fa riscontro la loro interdipendenza nonché il fine uni- tario perseguibile attraverso di essi», poiché in questo contratto ha luogo la «giusta posizione ed il coordinamento, nel contenu- to precettivo di un unico negozio, di più elementi ciascuno dei quali, isolatamente considerato, formerebbe il contenuto di un distinto negozio giuridico, nominato o innominato»62. La pre- sente distinzione, rileva l’Autore, è sfumata nel corso degli anni a causa dei plurimi e discordanti interventi giurisprudenziali, al punto che è sembrato, con rammarico della dottrina, impos- sibile disegnare una linea di confine tra i due fenomeni, almeno sino a un intervento risolutore, abbastanza recente, della Su- prema Corte di Cassazione a sezioni unite63. In effetti, il pro-
60 X. XXXX, Il contratto, Milano, 2012, pag. 679, il quale cita come e- sempi, tra gli altri, il contratto di portierato, il contratto di ormeggio e di parcheggio; cfr. X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, op. cit., pag. 173, il quale associa la commistione causale esclusivamente ai contratti innomina- ti ex art. 1322 c.c.
61 X. XXXXXXXXX, Il contratto con causa mista, Padova, 1995, pag. 41.
62 X. XXXXXXXXX, op. loc. ult. cit., pag. 44.
63 Cfr. Cass. sezioni unite, sent. 7930/2008, secondo cui «nei contratti misti, si ha un solo schema negoziale, al quale vengono apportate al- cune variazioni mediante l’inserimento di clausole assunte da uno o più dei diversi schemi, mentre, in quelli complessi, si ha la conver- genza di tutti gli elementi costitutivi tratti da più schemi negoziali ti- pici nella regolamentazione dell’unico negozio risultantene. Nell’una come nell’altra ipotesi la disciplina è unitaria, come unitaria ne è la causa». La suddetta sentenza critica la teoria della combinazione, dal momento che, applicandola, non si potrebbe distinguere un contratto complesso da un contratto collegato; malgrado ciò, come rileva X. XXXXXXXXX, op. loc. ult. cit., pag. 263, «l’accertamento della pluralità o unicità delle strutture non può che procedere dall’esame dell’operazione in concreto realizzata e dall’atteggiarsi della volontà
blema appare poco visibile, quasi nascosto tra le pieghe dogma- tiche, ma ha grandi riflessi applicativi che possono, peraltro, essere molto utili nel nostro percorso argomentativo: distingue- re un contratto misto da uno complesso significa teorizzare una differenza nella disciplina applicabile a queste due tipologie di contratti, e precisamente una distinzione tra il criterio della prevalenza – i.e. dell’assorbimento – ed il criterio della combi- nazione64. Purtroppo, queste due ultime tesi applicative presen- tano un pregio e un difetto evidenti: la prima facilita notevol- mente il compito degli operatori giuridici, per i quali permane l’unica difficoltà, di solito facilmente sormontabile, di stabilire quale schema funzionale sia prevalente; ciononostante essa presenta anche il vizio di ridurre la complessità, pur sempre espressione di autonomia privata, a una sorta di “guscio vuoto”, mera descrizione di un contratto che in nulla si discosterebbe, portando ai limiti estremi la tesi, da uno strumento negoziale semplice. La seconda teoria ha il merito di essere più aderente alla volontà delle parti, poiché non intende sacrificare nessun profilo causale, quand’anche fosse marginale; un elemento di debolezza è riscontrabile, tuttavia, nella difficoltà di stabilire quale sia la disciplina applicabile al contratto misto, potendosi giungere al paradosso di minare le convinzioni delle parti stes- se, le quali in ipotesi potrebbero credere di aver posto in essere il contratto x, mentre il giudice, qualificandolo come y, ledereb- be le esigenze di certezza dei traffici giuridici. Probabilmente per tutte queste ragioni la giurisprudenza è apparsa, nel corso degli anni, particolarmente oscillante, ma sembra si possa af- fermare che, a fronte di un orientamento risalente che propen- deva per la combinazione65, essa si sia assestata sulla tendenza
delle parti nella sua creazione», essendo fuorviante una valutazione astratta e aprioristica in merito.
64 Il significato è intuibile, ma è opportuno specificarlo comunque: in base alla teoria della prevalenza, un contratto misto (limitiamoci a questo caso) è soggetto alla disciplina dello schema causale prepon- derante (ad es. in una divisione transattiva si dovranno applicare le norme della divisione, tralasciando quelle della transazione); secondo la tesi della combinazione, invece, gli interpreti dovranno tener conto di tutti gli elementi insiti nel contratto, così da non eliminare ogni barlume di complessità voluta dalle parti (rimanendo in esempio, do- vranno applicarsi sia le norme della divisione sia quelle della transa- zione, sempre tenendo presenti gli eventuali profili di incompatibilità). 65 Cfr. su tutte Xxxx. sez. civ., sent. 884/1960 e Cass. sez. civ., sent. 1538/1975, entrambe in tema di concessione di vendita.
all’assorbimento dei profili causali insiti nel negozio misto 66 . Questa visione è stata giudicata irragionevole da parte della dottrina67 proprio a causa delle incongruenze in precedenza e- splicitate, in particolare riconducibili al contrasto con l’autonomia contrattuale, il quale potrebbe manifestarsi addi- rittura nella modifica del contratto – rectius nel suo snatura- mento – per opera del giudice68. Infine, a porre ordine nel pano- rama ordinamentale, sono intervenute le sezioni unite della Cassazione69, con una sentenza che, tuttavia, sembra voler co- ordinare tutte le interpretazioni possibili, in un terreno dove è alquanto difficile realizzare un tale intendimento; difatti il sud- detto pronunciato non pare prendere posizione nel dibattito, limitandosi a una commistione delle opinioni succedutesi nel tempo, con affermazioni spesso ritenute non condivisibili: la Corte ritiene, in sostanza, di poter trovare un punto d’incontro nella necessità di non escludere ogni rilevanza agli elementi del contratto non prevalente che pur sono voluti dalle parti. Queste considerazioni sono per noi fonte di spunti consistenti: se, co- me riteniamo70, esiste un confine tra i contratti misti e quelli complessi, esso è riscontrabile non tanto dal lato della struttu- ra, quanto dal punto di vista applicativo, nella sfera degli effetti e della patologia. Riteniamo opportuno schierarci a favore di un’opinione peculiare: a nostro avviso è possibile prospettare una soluzione equilibrata della vexata quaestio71, in particolare
66 Cass. sez. civ., sent. 3578/1999, sulla linea di discrimine tra la vendita (prevalenza del dare) e l’appalto (preminenza del facere); Cass. sez. civ., sent. 28233/2005 in ambito di assicurazione fideiussoria.
67 Vedansi le considerazioni di C.M. BIANCA, Diritto civile, III, Milano, 2000, spec. pag. 453: «ricercare l’effettiva funzione pratica del con- tratto vuol dire, precisamente, ricercare l’interesse concretamente perseguito».
68 X. XXXX, op. cit., pag. 684.
69 Cass. sez. unite, sent. 11656/2008. Questa affermazione non con- vince: quando alla considerazione dell’elemento preminente si ag- giunge la disciplina degli altri fattori si ha sempre combinazione; la Cassazione, invece, forse per non stravolgere il granitico orientamento formatosi in merito, continua a discorrere di prevalenza, sebbene in qualche misura limitata.
70 Nonostante le perplessità della dottrina più risalente, come risulta da X. XXXXXXXXX, op. cit., pag. 40.
71 La presente soluzione costituisce, indubbiamente, un compromes- so; ancor migliore, anche se più rischiosa, sarebbe la tesi secondo cui il criterio dell’assorbimento sarebbe sempre inattuabile in quanto «in- dice che, rispetto ad un determinato tipo contrattuale, la deroga alla disciplina legale avviene in forza di una pattuizione inidonea a modifi- carne la struttura; l’elasticità del modello, cioè, attrae e disciplina – per quanto possibile – la deroga nell’ambito del tipo, senza venirne modificato»: così X. XXXXXXXXX, op. cit., pag. 284.
utilizzando il criterio della prevalenza nell’ambito dei contratti misti – che, come enunciato dalla Suprema Corte, sono caratte- rizzati da un unico schema negoziale modificato in singole clausole – e nella sfera dei contratti complessi impiegare la tesi combinatoria – maggiormente adatta in meccanismi nei quali convergono tutti gli elementi costitutivi dei vari schemi causali
–.
Portato a compimento il nostro doveroso excursus, non rimane che esaminare due tesi sostenute con vigore da alcuni interpreti, secondo le quali il patto di famiglia sarebbe un nego- tium mixtum cum donatione 72 oppure un contratto misto con causa solutoria73: usufruiremo, per l’esame di codeste teorie, delle considerazioni sinora svolte in ambito di contratti misti e valuteremo se esse siano fondate o meno. Procedendo con or- dine, ricostruire il patto quale negozio misto a donazione signi- fica innanzitutto accedere, almeno in senso ampio, alla tesi del patto di famiglia avente causa liberale, con la particolarità di rigettare il carattere tipicamente donativo e aderire, piuttosto, a una visione in termini di liberalità indiretta ex art. 809 c.c., con applicazione di alcune norme fondamentali dei contratti di do- nazione quali la revocazione per ingratitudine o sopravvenienza di figli insieme alla riduzione per integrare le quote di legitti-
72 Per comune insegnamento, un contratto (solitamente una compra- vendita) in cui si rinviene un concorso della causa gratuita con una causa onerosa, con soggezione alle regole concernenti le attribuzioni liberali e quelle onerose: cfr. X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, op. cit., pag. 226;
X. XXXXXXXXXXXX, Xxxxxxxxx. Xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, pag. 292: «il ne- gozio è unico e lo scopo di liberalità è secondario rispetto all’altro, che è quello di compiere uno scambio attraverso un negozio oneroso, sic- ché lo scopo della liberalità va collocato nel campo dei motivi e si rea- lizza indirettamente»; X. XXXXXXXX, La donazione, cit., 2006, pag. 51:
«[nel negotium mixtum] il fine di scambio rappresenta l’effetto normale del congegno contrattuale e si rapporta alla causa, [mentre] il fine ul- teriore di liberalità viene raggiunto […] piegando, in definitiva, il nego- zio al raggiungimento di un obiettivo concreto, estraneo alla sua fun- zione». Come rileva la dottrina più sensibile alle tematiche contrattua- li, questa figura deve essere tenuta distinta dalla vendita a prezzo ir- risorio o vile, nulla per mancanza di causa o di oggetto.
73 Xxxxxx X. XXXXXXX, op. cit., pag. 1457, secondo cui la causa soluto- ria non ha una propria autonomia funzionale, bensì è sempre consi- derata dai sostenitori della teoria come accessoria, o perlomeno con- finante, rispetto ad altri schemi causali. Si potrebbe obiettare, tutta- via, che, nel caso di configurazione del patto quale contratto a favore di terzi, lo scopo solutorio risulterebbe preponderante, in quanto at- tuazione della deviazione degli effetti negoziali rispetto ai contraenti: v.
M.C. ANDRINI, op. cit.
ma74. La presente teorica ha il pregio di focalizzare l’attenzione su un connotato molto particolare del patto di famiglia, che ri- teniamo possa costituire un valido indice ermeneutico: orbene, il patto, così ricostruito, sarebbe un contratto a titolo gratuito per il disponente, ma a titolo oneroso per l’accipiens, dal mo- mento che, secondo le disposizioni del capo V bis, l’assegnatario deve liquidare le quote di legittima spettanti ai riservatari75. Inquadrata da questo punto di vista, la tesi pre- senta affinità con l’altra già citata, secondo la quale, tuttavia, la liquidazione operata dagli assegnatari sarebbe finalizzata «a consentire che la cessione dell’azienda (o delle partecipazioni societarie) non possa essere in futuro messa in discussione»76. Ambedue le teorie illuminano il cammino verso una definizione meno adombrata della funzione del patto: la prima chiarisce l’innegabile pluralità di profili causali all’interno del nostro isti- tuto e specifica, correttamente, che la causa liberale non equi- vale alla donazione pura e semplice, bensì ha un carattere strutturale multiforme. Purtuttavia, essa non può essere accol- ta nell’alveo del patto di famiglia con causa mista, poiché, in primo luogo, la giurisprudenza di legittimità ormai concorda
74 Così X. XXXXXXXX, op. cit., il quale precisa l’opportunità di dichiarare esplicitamente la causa liberale ed il valore della parte di attribuzioni effettuate con animus donandi; X. XXXXXXXXX, Patti di famiglia e im- presa, cit., il quale scinde giustamente l’ipotesi del contratto misto da quella del contratto indiretto, su cui v. infra nel presente paragrafo; S. DELLE MONACHE, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, cit., che valorizza l’ipotesi in quanto «l'accordo circa la realizzazione della liberalità penetra nel contenuto del contratto perfezionato dalle parti, venendosi così contemporaneamente ad attu- are sia la funzione di scambio sia quella donativa»; M.C. XXXXXXX, op. cit., pag. 149.
75 M.C. ANDRINI, op. cit., la quale sottolinea l’eccessiva onerosità fisca- le di una simile ricostruzione, dal momento che la liquidazione ver- rebbe tassata come cessione di diritti a titolo oneroso, non potendo godere dei benefici riservati agli atti a titolo gratuito; negli stessi ter- mini, X. XXXXXXXXX, in Patti di famiglia per l’impresa, cit., pag. 187; dubbioso X. XXXXXX, in Xxxxx di famiglia per l’impresa, cit., pag. 95, che ipotizza una duplice possibilità per conferire maggiore stabilità all’assetto tipico previsto dalla novella: effettuare una cessione onero- sa oppure un negotium mixtum cum donatione.
76 Così X. XXXXXX, op. cit., pag. 53, che rigetta, giustamente, una vi- sione in termini di liberalità, poiché nell’assegnatario non è possibile rinvenire l’ animus donandi; X. XXXXXXXX, op. cit., per il quale, con vi- sione specifica, l’assegnazione di beni in natura (operata in luogo del- la liquidazione monetaria) sarebbe un «atto traslativo gratuito con funzione solutoria»; X. XXXXXXXX, Il patto di famiglia: fra negozio e pro- cedimento, cit., il quale sottolinea che il rapporto, finalizzato all’adempimento dell’obbligo liquidatorio, è rivolto alla corretta e par- tecipata determinazione dei valori.
nel ritenere il negotium mixtum piuttosto un contratto indiretto, cioè un meccanismo negoziale «la cui principale caratteristica risiede nella utilizzazione di un negozio tipico in vista della rea- lizzazione di uno scopo ulteriore o diverso rispetto a quello del negozio realmente posto in essere»77; in secondo luogo, come si evince dalle nostre considerazioni passate, l’interesse dell’imprenditore qualifica il patto con un’impronta fortemente patrimonialistica, tale da escludere ogni possibile riferimento alla liberalità quale elemento funzionale necessario del nostro istituto. Dall’opposto versante, ovvero quello della causa solu- toria, giungono segnali significativi in direzione della complessi- tà e della possibile segmentazione di profili apparentemente di- stanti, ma proiettati alla realizzazione di uno scopo comune; un interprete attento non potrà, però, non cogliere una notevole genericità di fondo della stessa teoria: seguendo questa via, sembra ragionevole inquadrare un atto di adempimento differi- to dell’obbligazione pecuniaria, all’interno del congegno con- trattuale, come avente causa solutoria, ma ipotizzare che un intero rapporto sia prefigurato in veste soltanto della liquida- zione ex lege delle quote dovute ai non assegnatari pare, dal nostro punto di vista, non in linea con la ratio dell’istituto, sen- za considerare che la stessa teoria si segnala per un certo ri- duttivismo di fondo, non essendo idonea a spiegare per quale motivo vi debba essere esenzione da riduzione e collazione, quando una funzione attributivo-traslativa, a titolo gratuito, appare innegabile. Le due tesi prese in considerazione in que- sto paragrafo sono, per tutte le motivazioni sopra esposte, da rigettare non in senso assoluto, bensì da riformulare in termini più ricchi e complessi: esse paiono lacunose a causa di vari er- rori prospettici nel metodo di analisi, anche se, entrando nel merito dei ragionamenti, colgono talune peculiarità molto inte- ressanti e fruibili per i commentatori.
6. È finalmente giunto il momento di esporre la no- stra personale opinione in merito alla funzione dell’istituto: a nostro avviso, il patto di famiglia presenta una causa “poliedri- ca”78. La metafora qui delineata ha un proprio senso preciso,
77 Cass. sez. civ., sent. 23215/2010, con richiami anche a precedenti e conformi sentenze di legittimità: le n. 13524/2006 e 19099/2009.
78 Interessanti a modo di precisazione sono le osservazioni di X. XXXXX, Causa in astratto e causa in concreto, cit., pag. 82: «il riferimento alla causa in concreto piuttosto che alla causa concreta del contratto pare più consono alla esigenza che il controllo abbia a oggetto l’effettiva re-
dal momento che riteniamo che il patto presenti tre facce di- stinte ed inseparabili per portare a compimento l’intera opera- zione negoziale. Due facce corrispondono ai due rapporti prin- cipali stabiliti dagli artt. 768 bis e seguenti, ovvero quello tra disponente e assegnatario (di tono gratuito) e quello tra quest’ultimo e gli altri legittimari (di tono transattivo). Il terzo settore funzionale (di colore divisorio) ha carattere generale e funge da collante per attribuire unitarietà all’istituto, collegan- do il disponente agli assegnatari per il tramite del discendente “preferito”. Il patto di famiglia – lo si è compreso dalle disserta- zioni del paragrafo precedente – ha a nostro modo di vedere la natura di contratto complesso, cui riteniamo di applicare i sin- goli schemi causali secondo la teoria della combinazione, sal- vaguardando la singolarità dei diversi rapporti e sfruttando gli innumerevoli spazi di applicazione compatibile della pluralità di funzioni qui prefigurate. Ci soffermiamo brevemente sui due aspetti già esaminati nei precedenti paragrafi, al fine di ribadire alcuni concetti: l’attribuzione del cespite produttivo all’assegnatario ha, senza dubbio, un connotato di gratuità, specificamente a causa della patrimonialità dell’interesse dell’imprenditore al trasferimento; sarebbe errato, perciò dissi- piamo ogni dubbio in merito, configurare questo rapporto come una specie di contratto sinallagmatico, in cui la continuazione efficiente dell’impresa fungerebbe da corrispettivo per la corre- sponsione del bene79. Il carattere divisorio, invece, emerge come un baluardo della complessità funzionale del contratto, ponen- do in risalto la dinamica distributiva proporzionale dell’istituto80, all’interno della quale tutti i soggetti coinvolti ri-
alizzazione della funzione oggettiva del contratto piuttosto che degli interessi delle parti – che spesso solamente con forzature possono es- sere fatti rientrare nello schema causale –»; nell’ottica della comples- sità valutativa del fenomeno funzionale segnaliamo le autorevolissime parole di X. XXXXXXXXXX, voce Causa, in Enciclopedia del diritto, VI, 1960, pag. 560: «quando la prestazione si inserisce in un contratto che abbia una propria funzione, il problema della causa di questo si confonde con quello della sua funzione, nel senso che il giudizio effet- tuato dall’ordinamento sulla rispondenza della combinazione di pre- stazione ad “interessi meritevoli di tutela” soddisfa contemporanea- mente la esigenza di “giustificazione” (ratio) della combinazione stes- sa».
79 Come si è detto nel § 1 di questo capitolo. Inoltre non sarebbe cor- retto nemmeno ipotizzare una sorta di transattività all’interno di que- sto rapporto: è evidente che manca una situazione di conflitto, anche potenziale, tra le due parti, requisito indispensabile del contratto di transazione.
80 La proporzionalità delle attribuzioni è problema non trascurabile nel patto di famiglia: sebbene la littera legis consideri soltanto l’ipotesi
sultano soddisfatti, anche se per ragioni differenti. Xxxxxxx ora mente al nuovo elemento emerso in questo paragrafo, ovvero al fatto che il patto abbia in sé una connotazione transattiva: a onor del vero, questa tesi è già stata prospettata in dottrina81, ma soltanto in senso ampio, non portando alle estreme conse- guenze il ragionamento. Bisogna ragionare in termini precisi e rispondere alla domanda: quando è configurabile una transa- zione? La risposta ci è fornita dagli artt. 1965 e seguenti del c.c.: 1) innanzitutto, è necessario uno stato litigioso tra le parti, già in essere oppure pronosticabile; 2) in secondo luogo, a que- sto specifico stato deve porsi termine mediante reciproche con- cessioni – con linguaggio arcaico si direbbe attraverso un ali- quid datum, aliquid retentum –; 3) in terzo luogo, i diritti che formano oggetto della lite devono essere disponibili da parte dei contraenti. Questi tre profili si possono certamente riscontrare anche nel nostro rapporto: la lite potenziale82 tra i vari eredi è ben prevedibile e la ratio dell’istituto sembra veramente im- prontata a garantire la stabilità delle attribuzioni avverso il ri- schio di contenziosi posteriori all’apertura della successione; le reciproche concessioni sono costituite dalla liquidazione – l’assegnatario ottiene il bene con stabilità ma si depaupera di un certo quantitativo di danaro – e dalla rinuncia 83 all’esperimento della riduzione e all’obbligo della collazione in sede di divisione ereditaria – i legittimari ottengono ciò che spetterebbe loro ove in quel momento si aprisse la successione
di una liquidazione parametrata alle quote di legittima, taluni consi- derano, probabilmente non a torto, che essa rappresenti il minimo af- finché l’istituto rientri nella costituzionalità dei rapporti successori, ma non è da escludere il caso che un legittimario subordini il consen- so a una dazione supplementare, in danaro o in natura. Per questi problemi, v. la nostra opinione sul rapporto tra assegnatari e altri le- gittimari. La teoria della funzione divisoria in senso ampio entro un’ottica di complessità del patto è sostenuta anche da X. XXXXXXXXX, Il patto di famiglia per l’impresa e la tutela dei legittimari, Giurispruden- za commerciale, 2006, pp. 819 ss.
81 Cfr. X. XXXXXXX, op. cit., pp. 126 ss.
82 Vedansi le perplessità di L. V. XXXXXXXXX – X. XXXXX, voce Transa- zione (diritto civile), in Enciclopedia giuridica Treccani, XXXI, 1994, pag. 2: «[contrasto che può sorgere delinea preferibilmente] una lite già delineatasi come conflitto giuridico e semplicemente non ancora dedotta in un processo»; sembra da prediligere, a nostro avviso, una estensione del concetto a una lite meramente potenziale, configuran- do il negozio come atto a prevenire un teorico conflitto futuro.
83 Si potrebbe obiettare che le parti non rinunciano, bensì l’esenzione è stabilita dalla legge; questo è vero, ma è altrettanto evidente che, non partecipando i legittimari alla stipulazione, la fattispecie non si completa, pertanto un certo connotato volontaristico è a nostro avviso riscontrabile.
nel patrimonio dell’imprenditore e rinunciano agli strumenti di difesa contro le liberalità poste in essere, in vita, dal de cuius –; infine, la disponibilità dei diritti in gioco, in particolare quelli da ultimo citati, è assicurata dall’art. 768 quater, che attribui- sce elasticità alle prerogative dei riservatari, potendo essi otte- nere soltanto una liquidazione (oltre all’ipotesi peculiare dell’assegnazione di beni in natura), peraltro rinunziabile. A nostro avviso una ricostruzione siffatta è non soltanto oppor- tuna84 ma anche necessaria per comprendere il significato della riforma: l’esigenza di trasmissione della ricchezza è garantita – oramai possiamo affermarlo – essenzialmente da un fattore al- quanto complesso, ovvero dall’efficacia di giudicato sostanziale della transazione, che parte della dottrina processualcivilistica, scontrandosi con la civilistica maggioritaria, considera un dato incontrovertibile del contratto di composizione delle liti tra pri- vati 85 . Il giudicato sostanziale, come è noto, è disciplinato
84 Cfr. la legge 80/2005 che ha consentito l’opposizione stragiudiziale alla donazione, soggetta a pubblicità dichiarativa, così attualizzando i diritti degli eredi necessari specialmente avverso gli aventi causa dai donatari: se ne parlerà anche al termine del paragrafo. Vedasi, in proposito, la lucida esposizione di X. XXXXXXXX, Tecniche di tutela de- gli interessi nella circolazione delle provenienze donative: la fideiussio- ne del donante e del legittimario, Diritto di famiglia, 2012, secondo cui
«la possibilità di rinunciare [all’opposizione stragiudiziale] è indice della disponibilità della particolare tutela preventiva concessa al legit- timario nei confronti dei terzi titolari di diritti sull'immobile donato».
85 Bisogna ben intendersi: la forza di giudicato si misura sin dall’antichità sull’insensibilità allo ius superveniens retroattivo. In tal senso si esprimevano sia la Novella giustinianea XIX, Xxxxxxxxx, in cui si afferma che la legge retroattiva opera su tutti i rapporti giuridici,
«exceptis illis causis, quas aut iudicialis sententia aut transactio termi- navit», sia un rescritto di Xxxxxxxxxxx, CI. 2.4.20, che così si pronun- cia: «non minorem auctoritatem transactionum quam rerum iudicata- rum esse recta ratione placuit». Il principio è in seguito giunto, attra- verso il Code Napoléon, sino al c.c. italiano del 1865, nel quale, all’art. 1772, si prevedeva che le transazioni hanno fra le parti l’autorità di una sentenza irrevocabile. Una autorevole osservazione critica giunge da X. XXXXXXXXX, Scritti giuridici, III, Milano, 2010, pag. 17, secondo cui la norma ex art. 1772 c.c. abr. avrebbe avuto la mera funzione de- scrittiva di terminare una “causa” (come la definisce Xxxxxxxxxxx), la quale sarebbe stata semplicemente insita nella natura di atto di com- posizione delle liti. Questa considerazione suscita suggestioni pro- blematiche non facilmente solubili dato il loro radicamento nella dot- trina più risalente nel tempo: a riguardo si sono scontrate tra ‘800 e ‘900 due concezioni fondamentali, per una rassegna delle quali v. da ultimo X. XXXXXXXXX, La transazione, Milano, 2012, pp. 65 ss. Secon- do la prima, che si è soliti definire dichiarativa ed è stata sostenuta prevalentemente sotto il vigore del codice del 1865 da giuristi del cali- bro di X. Xxxxxxx e, seppur con alcune distinzioni, X. Xxxxxxxxxx, la transazione avrebbe una preminente efficacia di accertamento, con la
dall’art. 2909 c.c., secondo cui l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato – formale – fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa. Questo effetto proprio della sentenza, ed estensibile al particolare contratto di transa- zione 86 , costituisce, a nostro modo di vedere, la chiave per
conseguenza della retroattività degli effetti al momento della stipula- zione del contratto controverso; la seconda, invece, definibile costitu- tiva e risultata vincitrice, secondo la civilistica contemporanea, al termine della tenzone, grazie soprattutto alle valutazioni di X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, asserisce che «la transazione è idonea a modificare la si- tuazione preesistente, ma non ha questa funzione; ha la funzione di superare la lite mediante le reciproche concessioni, sostituendo una situazione non litigiosa alla situazione litigiosa: la modificazione è una semplice conseguenza eventuale»; per un’analisi ancor più appro- fondita si segnalano gli ottimi contributi di G. GITTI, L’oggetto della transazione, Milano, 1999, pp. 1 ss., e di X. XXXXXXX, Gli atti con fun- zione transattiva, Milano, 2002, pp. 356 ss. Xxxxxx, il problema a noi sembra posto in termini non del tutto corretti: come rileva F.P. XXXXX, Giustizia alternativa o alternativa alla giustizia?, Il giusto processo ci- vile, 2011, pp. 325 ss., la dottrina costitutivistica, di gran lunga pre- valente, ha negato l’accertamento negoziale intendendolo non come risultato, ma come «giudizio, come ricognizione dell’esistente, in ulti- ma analisi come operazione», sicuramente estranea al contratto, dal momento che, si sottolinea, le parti possono prescinderne, essendo esse in grado di effettuare un accertamento prescrittivo del sollen che tralasci l’accertamento descrittivo del sein (a differenza dei provvedi- menti giurisdizionali). Nonostante questo carattere differenziale, gli indici della vicinanza della transazione alla sentenza non appaiono, in questa sede, facilmente confutabili e sembrano essere, essenzialmen- te, due: in primis, il contratto di transazione recide il «“nesso di condi- zionalità fra fattispecie concreta ed effetto giuridico previsto dalla norma astratta di legge” sostituendo conseguentemente quest’ultimo con il precetto dell’autonomia privata»; in secundis, «talune ipotesi speciali di annullabilità della transazione, previste dagli artt. 1973, 1974 e 1975 c.c., […] chiaramente inapplicabili ai contratti che non hanno [lo scopo di risolvere controversie], fanno eccezione alla disci- plina generale dei vizi del contratto prevista dall’art. 1429 c.c. (poiché non si tratta di errore essenziale) e coincidono singolarmente con i motivi di revocazione della sentenza», i quali costituiscono sintomi di “ingiustizia” del provvedimento giurisdizionale (il duplice polo della “certezza” e della “giustizia” è segnalato anche da X. XXXXX, op. cit., pag. 118).
86 Cfr. A. PALAZZO, Transazione, in Trattato di diritto privato diretto da
X. Xxxxxxxx, cit., pag. 317: «l’equivoco che sta alla base [della distin- zione sopra menzionata] consiste nello scambiare l’equivalenza degli effetti della transazione e del giudicato con le diversità di struttura e di funzione che caratterizzano il processo da una parte e la transazio- ne dall’altra». Contra X. XXXXXXXXX, op. cit., pag. 230, secondo cui, ri- guardo alla differenza tra sentenza e transazione, «la prima redditur in invitum, la seconda consensu constat». Inoltre, secondo l’Autore, vi sa- rebbero ulteriori distinzioni attinenti all’efficacia esecutiva, alla costi- tuzione di ipoteca giudiziale e al regime delle impugnative. Analoga- mente, X. XXX XXXXX, voce Transazione (diritto privato), in Enciclope-
scardinare la riforma, id est il nucleo attorno al quale costruire ogni altra considerazione funzionale: per capirlo, bisogna calar- si nella realtà concreta dei rapporti giuridici e abbandonare per un attimo la “visione dall’alto” che ha contraddistinto sinora la presente trattazione. Ricostruiamo la vicenda come è tipica- mente immaginata dalla novella: di fronte al notaio siedono l’imprenditore (Xxxxx), il primo figlio (Xxxx) – designato come as- segnatario in quanto reputato maggiormente adatto a continu- are l’attività produttiva – ed il coniuge del disponente (Mevia). Introduciamo un elemento di conflittualità e potenziale appas- simento delle garanzie assicurate dal patto di famiglia: imma- giniamo, cioè, che esista un secondo figlio (Xxxxxxxxx) il quale non abbia a cuore la continuazione dell’impresa e, magari a causa di dissidi acuitisi in passato, desideri ostacolare la con- clusione del patto non partecipando alla stipulazione. Come si intuisce, queste dinamiche coinvolgono anche considerazioni strutturali che saranno esaminate nel prossimo capitolo; per- tanto ci limitiamo a fornire una visione piana del suddetto pro- blema, riservandoci di analizzarlo con maggior parsimonia in seguito. Xxxxxx, nel caso ipotizzato dovremmo concludere, ade- rendo alla tesi secondo cui i non assegnatari – nessuno escluso
dia del diritto, XLIV, 1992, pag. 816: «la sentenza è giudizio, dove per- tanto il valore del dispositivo si fonda sull’accertamento del fatto e del diritto risultante dalla motivazione; la transazione è invece mera di- sposizione il cui supporto giustificativo risiede nella composizione del contrasto», e pag. 829, dove riporta una tesi che fonda la differenza tra dichiaratività e costitutività sul fatto che «la situazione creata coincida con la situazione preesistente o da essa diverga: producendo, così, un effetto tipicamente preclusivo». Sembra da preferire, in ac- cordo con l’opinione già espressa nella nota precedente, l’opinione di
X. XXXXXX, voce Accertamento (teoria generale), in Enciclopedia del di- ritto, I, 1958, pag. 212: «la messa fuori contestazione, la sostituzione della situazione giuridica incerta con la situazione giuridica accertata, null’altro possono significare nella loro versione scientificamente cor- retta se non precisamente la preclusione di qualsiasi indagine sulla situazione giuridica antecedente al fatto di accertamento e pertanto la irrilevanza di ogni contestazione relativa al contenuto della situazione giuridica accertata sulla base della sua validità storico-giuridica. Do- po il fatto di accertamento una ulteriore contestazione non tanto è vietata quanto è resa irrilevante e perciò è privata della sua forza pa- ralizzatrice della realizzazione del valore giuridico». Si può dunque af- fermare che la res iudicata applicata alla transazione produca, in so- stanza, l’effetto sancito dal brocardo «ne bis in idem transactum». Con- tra X. XXXXXX, La definizione dei rapporti incerti. Delle transazioni, To- rino, 1933, pag. 72, secondo il quale «l’exceptio litis per transactionem finitae non può opporsi, se non quando concorrano i tre requisiti dell’eadem causa, eadem quaestio, inter easdem personas», altrimenti si incorrerebbe, a detta dell’Autore, in un errore di logica.
– devono partecipare a pena di nullità alla stipulazione87, che il notaio dovrebbe rifiutarsi di ricevere il patto di famiglia e, con cautela, consigliare altri strumenti giuridici utilizzabili ma non altrettanto stabili, segnatamente una donazione modale. La presente ipotesi è, secondo la nostra ricostruzione, aggirabile con una semplice valutazione degli effetti della transazione: se il notaio considerasse, come noi riteniamo preferibile, che l’efficacia di giudicato sia connaturata al contratto di transa- zione, potrebbe far stipulare senza remore il patto di famiglia; Xxxx e Mevia concludono una transazione, rectius un atto con funzione transattiva, con soddisfazione di entrambi ed il valore del cespite nonché l’intero congegno negoziale acquistano sta- bilità. Quando l’imprenditore morirà, Xxxxxxxxx non potrà pre- tendere alcunché, se non la liquidazione prevista dalla legge, in quanto il contratto ex art. 1965 fa stato non solo tra le parti, ma anche tra gli eredi88. Sorge a prima vista un dilemma com-
87 Si vedrà che la nostra teoria, invece, consente di ritenere superflua la partecipazione totalitaria dei legittimari: per le argomentazioni in merito, con una tesi innovativa sulla struttura soggettiva, si rinvia al prossimo capitolo. Tale opinione sembra avallata anche dal pensiero di X. XXXXXXXX, La transazione, Padova, 2001, pag. 212: «vi sono sog- getti che non hanno partecipato alla stesura dell’atto i quali, tuttavia, si devono considerare alla stessa stregua delle parti», ovvero i succes- sori universali ed i rappresentati. Dubbiosi L. V. MOSCARINI – N. COR- BO, op. cit., pag. 7: «l’idoneità del componimento transattivo a produr- re effetti rispetto a terzi dipende dalla volontà delle parti e non dalla sola stipulazione in coerenza con il principio di autonomia negoziale, anche se vi è contrasto sulle modalità del suo esercizio», argomentan- do dall’art. 1304 in tema di transazione nei rapporti obbligatori soli- dali.
88 Non bisogna dimenticare l’arguta riflessione di X. XXXXXXXX, Degli effetti del contratto, I, in Commentario al codice civile coordinato da F.
D. Xxxxxxxx, cit., 2013, pag. 195: «esaminando il contratto nei rappor- ti con il terzo, è bene impiegare la terminologia che lo definisce come atto o fatto giuridico, anziché quella derivata da coloro che distinguo- no tra effetti diretti ed effetti riflessi», poiché «nel considerare il con- tratto come fatto giuridico si sposta l’attenzione del negozio alla circo- lazione giuridica dei beni e dei diritti e da questa si muove per com- prendere la natura e la portata dell’efficacia degli atti». La diatriba cir- ca l’efficacia esterna della transazione trova un punto di approdo, come già accennato, nella dibattuta retroattività della stessa: in pro- posito, secondo X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, La transazione, Napoli, 1963, pag. 31, accertamento e retroattività sono termini incompatibili, giac- ché «la situazione accertata preesiste all’atto di accertamento». Il pre- sunto equivoco si fa risalire alle riflessioni di X. XXXXXX, Teoria del ne- gozio giuridico, Padova, 1947, pag. 58: «[i negozi dichiarativi] hanno effetto da un momento anteriore alla loro formazione, sicché finiscono per accertare che il mutamento è avvenuto in precedenza». Cfr. X. XXXXXXX, La transazione, in Trattato di diritto civile italiano diretto da
X. Xxxxxxxx, Torino, 1966, pp. 98 ss.: «quando noi qualifichiamo un at-
plicato: l’imprenditore, si è detto, non pone in essere una tran- sazione, bensì un atto a titolo gratuito, attribuendo il cespite a un discendente: come è possibile, dunque, che la transazione irradi i propri effetti in direzione dell’erede, quando non li dire- ziona verso il de cuius? La soluzione di un siffatto quesito può provenire dalle nostre precedenti valutazioni in tema di com- plessità della causa del patto di famiglia; si disse, in quella se- de, che nei contratti a causa complessa «alla fusione delle vo- lontà fa riscontro la loro interdipendenza nonché il fine unitario perseguibile attraverso di essi»: una tale mistione di profili cau- sali, a fronte dell’unitarietà strutturale del contratto, giustifica, a nostro modo di vedere, la scelta del criterio della combinazio- ne con conseguente applicazione delle disposizioni dei vari schemi funzionali, pur con vaglio di compatibilità. Questa dis- sertazione dovrebbe dimostrare – ci limitiamo a proporre una soluzione, lasciando aperta la soglia per chi nutra ancora dub- bi – che tutti i contraenti partecipano di ogni singola funzione del contratto complesso: così la gratuità attributiva si diffonde dall’imprenditore in direzione dei non assegnatari e la transa- zione in senso opposto; ciò significa, in definitiva, che l’efficacia di giudicato può valicare i confini del meccanismo negoziale non solo verso gli eredi e aventi causa dal lato degli assegnatari e degli altri legittimari, ma anche verso quelli del disponente89. Una volta che sia stata accolta questa interpretazione, potrebbe pur sempre permanere una valutazione critica nei confronti del legislatore, circa la necessità dell’espressa previsione dell’esenzione da collazione e riduzione: se una parte delle reci- proche concessioni non può che consistere in questo elemento, potrebbe obiettarsi che si tratti di una disposizione pleonastica.
to come “dichiarativo”, intendiamo con ciò porre in evidenza la fun- zione che quest’atto esplica, che è quella di accertare con efficacia vincolante per le parti, i loro eredi e aventi causa, la situazione pree- sistente controversa»; «tanto la transazione quanto il contratto d’accertamento operano […] sulla res litigiosa senza eliminarla e sen- za assorbirla, sibbene dando vita a un nuovo comando che si pone accanto a quello originario».
89 Per un richiamo alla dottrina processualcivilistica vedasi, oltre alla manualistica tradizionale, X. XXXXXXXX, Il giudicato civile, Torino, 1988, pag. 142: «se è vero che il diritto del terzo va garantito in tutti i casi di efficacia del giudicato ultra partes […] è altresì vero che dev’essere evi- tata una sopravvalutazione del principio del contraddittorio, del quale va inteso l’effettivo valore. […] Il rispetto del principio del contraddit- torio impone, piuttosto, di ritenere illegittima ogni estensione a terzi degli effetti di un provvedimento giurisdizionale, “a meno che essa non sia giustificabile sulla base di altri e prevalenti interessi protetti oppure non derivi dal modo di essere della situazione sostanziale del terzo”».
Pur riconoscendo un certo grado di ragione a queste osserva- zioni, bisogna convenire sul fatto che l’efficacia di giudicato verso gli eredi – da noi prospettata nell’ambito del patto di fa- miglia – è destinata a operare esclusivamente al momento dell’apertura della successione: come è noto, la riforma ex legge 80/2005 ha, invece, attualizzato – in senso ampio, si intende – le istanze di riduzione delle liberalità effettuate in vita dal de cuius attraverso un atto stragiudiziale di opposizione alle stesse, idoneo a sospendere il decorso dei termini prescrizionali previ- sti dagli artt. 561 e 563. L’intendimento di vietare la riduzione non solo inter partes, bensì erga omnes – e quindi anche verso i terzi – appare, pertanto, in linea con le nuove norme del libro secondo; rimane il dubbio della prassi che si sarebbe potuta formare, in assenza dell’ultimo comma dell’art. 768 quater, in merito alla legittimità di atti di opposizione alle attribuzioni in- site nel patto, ma, purtroppo, non possiamo fornire una rispo- sta adeguata in questa sede – se non ragionando con pure con- getture –, perciò evitiamo di addentrarci in questo meandro. Un altro decisivo argomento a sostegno della necessarietà di una previsione espressa in materia di riduzione e collazione è forni- to dalla considerazione secondo cui, ante riforma, detti istituti apparivano indisponibili alla volontà delle parti o quantomeno solo limitatamente derogabili90: in particolare, l’indisponibilità del diritto avrebbe minato la stabilità dell’intera operazione, impedendo il formarsi di una transazione in merito. Alla luce di tutti questi motivi, non pare ragionevolmente sostenibile la su- perfluità della suddetta esenzione.
Giunti al termine dell’esposizione della nostra tesi, pos- siamo affermare che attribuire funzione transattiva al patto di famiglia significa, in ultima analisi, assestare un fendente alle teorie che propugnano per le liquidazioni dovute ai legittimari un connotato di solutorietà. Da questo punto di vista non si coglie la particolarità maggiore dell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria, cioè che esso si inserisce in uno schema più ricco, caratterizzato da corrispettività, ovvero alla stregua di un aliquid datum, in funzione di un aliquid reten- tum91. Si potrebbe concludere con un’immagine suggestiva, af-
90 Nel primo senso l’azione di riduzione; nel secondo l’obbligo ex lege
di collazione, salvo dispensa proveniente dal donante.
91 Vedasi, in proposito, X. XXXXXXX, voce Transazione, in Digesto di- scipline privatistiche, sezione civile, XIX, Torino, 1999, pag. 389: «so- no […] le reciproche concessioni, e non la semplice contrapposizione di interessi, riscontrabile pure quale presupposto di altri istituti, il mezzo essenziale per lo svolgimento della causa del negozio transatti-
fermando che la poliedricità, la quale abbiamo inquadrato in termini di complessità causale, mostra una qualità ulteriore, ovvero una specularità intrinseca nella quale ogni faccia del “solido” riverbera la luce verso quella opposta: tutto questo è possibile solo teorizzando un prisma trasparente che, per pas- sare dalla metafora all’applicazione concreta, manifesta pecu- liarità strutturale, duttilità operativa e mistione di tonalità cau- sali.
7. Le riflessioni svolte nei paragrafi precedenti ci in- ducono a meditare su un carattere particolare dei contratti a causa complessa, ovvero la loro atipicità, posta in luce dalla maggioranza degli Autori che si sono occupati di questi profili92. Tuttavia, la dottrina pressoché unanime ritiene che il patto di famiglia sia un contratto tipico. È opportuno sciogliere il nodo problematico: il patto è caratterizzato da tipicità o meno? Or- bene, riteniamo, in accordo con la civilistica tradizionale e una visione dottrinale specifica, purtroppo alquanto minoritaria93,
vo. Esse consistono in sacrifici reciproci, di cui non è rilevante l’equivalenza, essendo soltanto richiesto l’abbandono della pretesa e della contestazione originaria che vengono sacrificate per venire alla determinazione di un diverso assetto di interessi».
92 Cfr. tuttavia le obiezioni di X. XXXXXXXXX, op. loc. ult. cit., pag. 300, secondo cui «nel caso di contratto atipico […] si potrà a tutto concede- re parlare di causa mista solo in senso descrittivo, riferendosi cioè al- le analogie funzionali che questo dimostri rispetto ai modelli legali ma così come il contratto atipico non risulta per definizione coincidente con il modello legale, del pari nemmeno la sua causa potrà essere ti- pica, non consistendo nella fusione di più cause tipiche»; vedasi, in merito, X. XXXXXXX, Trattato di diritto civile, II, Padova, 2010, pag. 217, per il quale «anche contratti tipici, d’altra parte, possono risultare dalla sintesi di altri contratti tipici». A ben vedere, anche aderendo al- la tesi secondo cui i contratti misti sono sempre atipici, si tratterebbe di una atipicità peculiare in quanto vi confluiscono schemi causali ti- pici diretti alla realizzazione di una funzione nuova e diversa.
93 Si vedano le riflessioni di M.C. ANDRINI, op. cit. e le valutazioni svol- te nel primo capitolo. Cfr. X. XX XXXXXX – X. XXXXXX, Gli effetti della mancata partecipazione di un legittimario al patto di famiglia, Notaria- to, 2006, pag. 708: «vista l’assenza nel nuovo istituto di un rinvio ad un disciplina di uno specifico contratto tipico o ad un particolare schema negoziale o causale, l’individuazione della natura giuridica pare possa rivestire una notevole importanza relativamente alla pro- blematica in esame in quanto, come detto, posta una base giuridica di riferimento, questa potrebbe spiegare effetti di disciplina residuale, con evidenti benefici nelle ipotesi di lacune legislative o possibili con- trasti tra norme». Propende per la nominatività anche X. XXXXXXX, op.
che il contratto in esame sia non tipico, bensì nominato, in quanto il legislatore ha istituito il nomen iuris del patto di fami- glia senza disciplinare minuziosamente l’istituto, ovvero la- sciando aperta la possibilità di una pluralità di prospettazioni in termini di disciplina applicabile94: l’ordinamento, cioè, dimo-
cit., pag. 1457, anche se non inserisce argomentazioni per rigettare la tipicità del patto.
94 Cfr. U. BRECCIA – X. XXXXXXXXXX – F. D. XXXXXXXX (et al.), Diritto pri-
vato, I, Torino, 2009, pag. 214. In tali termini anche X. XXXXXXXX, voce Contratti innominati, in Enciclopedia giuridica Treccani, IX, cit., 1988, pag. 1, il quale critica l’assimilazione della nominatività alla tipicità:
«ancor prima di prevedere una organica e specifica disciplina legisla- tiva di quel determinato contratto (prima quindi che divenga tipico), il legislatore spesso lo nomina soltanto o lo definisce nei suoi caratteri essenziali (ad es. la locazione finanziaria o leasing), quasi a voler si- gnificare un generico riconoscimento della sua liceità: in tal caso, al- lora, il contratto può dirsi nominato ma ancora atipico». La liceità renderebbe irrilevante il giudizio di meritevolezza del contratto atipi- co: come evidenzia infatti X. XXXXXXXX, Il contratto atipico, Milano, 1982, pag. 40, «il giudizio di xxxxxxxxxxxxx non tende a stabilire la congruità tra due regole, sibbene a valutare se ad un fatto, o meglio ad un atto, può essere dato l’attributo di giuridico». Purtroppo la dot- trina utilizza spesso tipicità e nominatività come sinonimi: si veda ad esempio X. XXXXXXXX, voce Contratto innominato, Enciclopedia del di- ritto, X, cit., 1962, pag. 98; cfr. anche il risalente X. XXXXXXX FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1948, pag. 200, secondo cui non è da escludere l’ipotesi che un negozio sia disciplina- to in modo particolare, pur non avendo un nome a sé. Sulla stessa linea di pensiero, allora, dovrebbe ritenersi possibile un contratto do- tato di un proprio nomen, il quale però non sia disciplinato esausti- vamente; precisamente un contratto nominato in cui particolare rilie- vo assume il compito dell’interprete in senso integrativo, rectius no- mopoietico o di “costruzione giuridica”. Riguardo al patto di famiglia, quindi, è posta in risalto l’esigenza di colmare le lacune normative e assiologiche per rendere operante l’istituto. Molto interessante l’opinione di X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., pag. 813, se- condo cui la tendenza a una dilagante tipizzazione preclude il ricono- scimento delle peculiarità di contenuto del singolo contratto. Sul pro- blema della tipicità negoziale vedasi anche il tradizionale contributo di G.B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, spec. pp. 249 ss., in termini molto critici: «la tipicità, lungi dall’esprimere un sicuro e vincolante criterio di meritevolezza, non fa altro che esserne al più un sintomo e non sempre sicuro. La valuta- zione dell’atto negoziale si sposta, allora, dal riscontro dell’esistenza o meno di schemi tipici, alla natura dell’interesse che le parti perse- guono, il che permette anche di chiarire il rompicapo del problema della illiceità della causa del negozio tipico, senza ricorrere alle finezze o alle cautele cui è stata ben spiegabilmente costretta la dottrina an- cor di recente» e pag. 402, in cui ammette che per i contratti misti il problema è «essenzialmente di tipicità e cioè di disciplina; non un problema di funzione e cioè di causa». Cfr. l’opinione di X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., pag. 173, secondo il quale «dove il negozio è la risultante di un conflitto d’interessi patri-
stra di accogliere la tipologia nominata di patto di famiglia, ma la regola solo parzialmente, in particolare nella misura in cui pone un’eccezione rispetto ai principi generali, così da lasciare all’interprete il compito di riempire lo schema contrattuale95. In ogni caso, non sono ammesse valutazioni aprioristiche da parte dei commentatori: infatti, anche laddove si considerasse il pat- to di famiglia quale contratto tipico, sorgerebbero problemi rile- vanti in sede di “riconduzione al tipo”; in effetti «l’incertezza di confini del tipo è al tempo stesso la sua debolezza e la sua for- za: la sua debolezza, dato che non è possibile definire con esat- tezza fino a che punto il caso concreto debba realizzare le ca- ratteristiche del tipo perché la sua appartenenza ad esso non venga meno; ma anche la sua forza, visto che ne consente l’operatività anche di fronte ad una realtà complessa e sfuggen- te, là dove il concetto astratto fallisce»96. Ciononostante, la par- ticolarità del nostro istituto non si limita al profilo della nomi- natività; il patto di famiglia presenta un’ulteriore caratteristica peculiare, id est si tratta di un contratto al tempo stesso gratui- to e oneroso: precisamente, è a titolo gratuito per quanto con- cerne il rapporto tra disponente e assegnatario, dominato dalla traslatività attributiva nell’ottica di un interesse economica- mente rilevante, e a titolo oneroso nell’altro versante – sinal- lagmatico – del contratto, il quale assume, a nostro avviso, la dimensione di una transazione improntata alla distribuzione pacifica dei beni, cui si ritiene di applicare la disciplina della divisione transattiva o, in casi particolari, della transazione di- visoria. Il patto di famiglia, dunque, è non soltanto, come è evi- dente, un contratto a effetti reali, ma anche a efficacia obbliga-
moniali, ivi la legge ritiene che basti questa funzione generica per ammettere l’autonomia privata, quale sia poi la concreta disciplina dettata per dirimere il conflitto, col solo limite che gli interessi […] sembrino, dal punto di vista sociale, meritevoli di tutela».
95 Queste considerazioni sono operate, seppur in senso parzialmente diverso, anche da A. PIRAINO LETO, I contratti atipici e innominati, Tori- no, 1974, pag. 4.
00 X. XX XXXX, Xx tipo contrattuale, Padova, 1974, pag. 128. L’insieme delle caratteristiche del tipo, pur elastico, non risulta comunque suf- ficiente a garantire la riconduzione del patto nell’alveo dei contratti tipici: osta a una simile interpretazione soprattutto la valutazione del- la molteplicità di interessi sottesi all’atto che possono essere esternate non soltanto con gli essentialia negotii ma anche mediante le pattui- zioni accessorie e le variabili soggettive e oggettive. La causa non in- cide invece propriamente sul tipo, anche se è fuor di dubbio che la dottrina ha sempre considerato i contratti a causa complessa quali atti atipici: la scissione tra causa e tipo è ormai un dato acquisito da parte della civilistica italiana. Pertanto la sede delle nostre riflessioni non deve ingannare sulla possibile commistione di profili ben distinti.
toria97, specialmente per quanto concerne la liquidazione dei legittimari a fronte delle loro rinunzie; inoltre esso, – altro dato caratteristico del contratto in esame – come risulta dalle rico- struzioni sinora operate, appare senza dubbio caratterizzato dalla pluralità di prestazioni98. Per completare il quadro di trat- tazione della funzione del patto, si ritiene opportuno illustrare i rimanenti profili problematici dal versante della disciplina ap- plicabile, in particolare, anche se non esclusivamente, per quanto attiene al secondo rapporto.
Come si è detto in precedenza, la dottrina che si è occu- pata del nostro istituto ha qualificato l’attribuzione proveniente dall’imprenditore in termini di liberalità: ciò ha prodotto note- voli equivoci, inducendo gli interpreti ad applicare la disciplina della donazione, pur con vaglio di compatibilità 99 . In questo senso un errore di prospettiva particolarmente interessante è quello che concerne la c.d. riqualificazione causale del contrat- to, tema affrontato da alcuni interpreti, in particolar modo no- tai100. Il terreno su cui stiamo camminando, come sottolinea la dottrina più sensibile a riguardo101, è assai sconnesso e tortuo- so, stante la possibilità di equivocare termini molto spesso as- similati: principalmente, la “ripetizione” – da intendersi quale reiterazione non modificativa del contratto102 –, la “rinnovazione”
97 Non sfuggirà, tuttavia, a un attento lettore che i contratti a effetti reali «realizzano, con la legittima manifestazione del consenso, l’immediato effetto traslativo, […] oltre ad eventuali effetti obbligatori, che possono essere sia corrispettivi rispetto all’effetto traslativo […] sia accessori rispetto [allo stesso]»: in questi termini U. BRECCIA – X. XXXXXXXXXX (et al), op. cit., I, pag. 227.
98 A partire dal prossimo paragrafo si esamineranno nel dettaglio. Non bisogna, tuttavia, confondersi con i contratti a prestazioni continuati- ve o periodiche: il patto di famiglia è, infatti, un contratto istantaneo. 99 Per capirsi, soltanto a modo di esempio, ci si è interrogati, da un lato e in senso ampio, sulla previsione dell’art. 768 septies in tema di recesso in combinazione alla possibilità di apporre alla donazione un condizione di riversibilità ex artt. 791 e 792, e dall’altro lato sulla di- sciplina dell’impugnazione per vizi del consenso dettata dall’art. 768 quinquies alla luce degli artt. 787 e 788 in materia di errore sul moti- vo e di illiceità dello stesso.
100 Si veda per esempio l’esposizione di X. XXXXXXX, op. cit., pp. 233 ss. 101 Cfr. il magistrale contributo di X. XXXXXX, Attribuzioni liberali e «ri- qualificazione della causa», Rivista di diritto civile, 2013, pp. 491 ss.
102 Cfr. X. XXXXXXXX, voce Riproduzione (e rinnovazione) del negozio giuridico, in Enciclopedia del diritto, XL, 1989, pag. 1061: «esatta ri- petizione della dichiarazione […] è da intendere […] come ripetizione del medesimo contenuto»; N. IRTI, La ripetizione del negozio giuridico, Milano, 1970, pag. 151: «se il primo negozio resta come è, e svolge i- nalterato i propri effetti, siamo nel campo dei negozi ripetuti, [vicever-
– da un lato implicante l’estinzione e sostituzione della fonte regolativa originaria, dall’altro diretta a collegare una nuova di- sciplina alla vecchia fonte – ed infine la “modificazione pura” – possibile soltanto in caso di unicità del tipo negoziale e di iden- tità soggettiva delle parti103 –. Il caso di specie che ha indotto i commentatori ad interrogarsi sulla suddetta ipotesi è quello – si potrebbe dire abbastanza prevedibile – di un imprenditore che, ante riforma, abbia donato l’azienda o le partecipazioni a uno dei propri discendenti e che desideri usufruire della mag- giore stabilità garantita dal patto di famiglia. La domanda si può porre in questi termini: è ammissibile una riqualificazione causale della donazione per ricondurla nell’alveo del nuovo isti- tuto? Il suddetto fenomeno è estraneo al patto di famiglia per diversi motivi. In primo luogo, una ripetizione del contratto nel nostro caso servirebbe davvero a poco, non essendo utile ai fini della riconduzione della donazione entro la nuova disciplina; in secondo luogo, la rinnovazione sarebbe impedita sia dalla sus- sistenza di un accordo liquidativo – rectius transattivo – il quale non è in grado di produrre una sostituzione della fonte regola- tiva originaria, sia dalla natura dell’interesse dell’imprenditore, il quale vale a escludere dal contratto qualsiasi riferimento alla liberalità; infine, a una modificazione pura osta la circostanza per la quale non si riscontra né unicità del tipo negoziale né i- dentità soggettiva tra la precedente donazione ed il patto di fa- miglia. In definitiva «la modificazione che si intende apportare all’assetto d’interessi, realizzato dalla donazione pregressa, ri- sponde all’esigenza di regolare interessi diversi (oggettivamente
sa] se le parti prendono posizione contro il primo negozio e ne cancel- lano gli effetti, siamo nel campo dei negozi rinnovati», id est in quest’ultimo caso «le parti si pongono contro il primo negozio, ne eli- minano gli effetti e, in un momento logico successivo, ne reiterano lo schema».
103 X. XXXXXXX, voce Ripetizione del negozio giuridico, in Enciclopedia giuridica Treccani, cit., XXVII, 1991, pag. 5: «la ripetizione modificati- va o accertativa presuppone il negozio originario, con il quale “coesi- ste”; conseguentemente, non si può presumere […] che la ripetizione modificativa abbia funzione di novazione estintiva delle obbligazioni precedenti o di conferma o convalida del negozio originario o di rico- gnizione di esso a fini probatori; […] il negozio accertativo ha effetto retroattivo sui rapporti che regolamenta; il negozio modificativo, in li- nea di principio e salvo prova contraria, non ha effetto retroattivo»; pag. 6: «la (apparente) uguaglianza delle dichiarazioni non esclude la funzione di interpretazione autentica o di accertamento della seconda, […] che è propria di una dichiarazione costitutiva». L’Autore opera ri- flessioni nell’ottica particolare di un accordo stragiudiziale conse- guente a un’eccezione opposta all’adempimento del contratto da parte del convenuto in giudizio.
e soggettivamente), potenzialmente interferenti con quell’assetto, e dei quali non sarebbe stato possibile disporre, in quanto irrilevanti (per valutazione normativa) al tempo della donazione. E ciò si realizza dettando una regola nuova (volta a risolvere l’interferenza), che ha fonte diversa [l’accordo liquida- tivo (nell’ambito della transazione)], diversi autori (gli altri legit- timari) e contenuto ulteriore (la disciplina della liquidazione)»104. La presente teoria rivela, quindi, a uno sguardo più attento, in- crinature difficilmente riparabili da codesto peculiare angolo vi- suale: non solo e non tanto dal versante oggettivo, quanto da quello soggettivo, in particolare con riguardo all’animus dell’attribuzione. Seguendo questa linea di pensiero, risulte- rebbe impossibile attuare l’intento pratico di «muovere dall’effetto attributivo […] per disapplicare […] la disciplina or- dinaria delle liberalità: in particolare per farne venir meno la normale rilevanza successoria»105; pertanto, non pare condivi- sibile teorizzare una possibile riqualificazione del contratto, o- stacolata ex latere subiecti e, aggiungiamo noi, anche dalla complessità funzionale che si riverbera ex latere obiecti106 . Il problema della disciplina applicabile ai contratti gratuiti eco- nomicamente interessati, a ben vedere, tende in generale a dis- solversi in un’attrazione, pur con il doveroso vaglio di compati- bilità, al contratto oneroso corrispondente107, in questo caso –
104 Così X. XXXXXX, op. loc. ult. cit., pag. 507.
105 X. XXXXXX, in Xxxxx di famiglia per l’impresa, cit., pp. 79 ss; in sen- so dubitativo riguardo all’applicazione della riqualificazione al patto di famiglia, X. XXXXXXX, op. cit., pag. 235. Cfr. X. XXXXXX, op. cit., pag. 141, secondo cui la riqualificazione è possibile facendo leva sulla “re- golazione” consentita all’autonomia privata dall’art. 1321: questa vi- sione, tuttavia, si basa sulla premessa che il patto abbia in sé un connotato liberale, tesi da noi scartata.
106 Una diversa interpretazione è prospettata da molti notai, tra i qua- li, in particolare, si ritiene di citare X. XXXXXX, in Patti di famiglia per l’impresa, cit., pp. 390 ss., che argomenta a fortiori la legittimità dell’ipotesi dal possibile esercizio di un recesso “riqualificativo”, per ricondurre le liberalità poste in essere con il patto di famiglia nell’alveo della disciplina delle donazioni, id est in senso inverso ri- spetto al caso che stiamo trattando. La tesi, pur suggestiva, si scontra ancora una volta con la natura causale complessa del patto.
107 Cfr. X. XXXXXXX, voce Atto gratuito non liberale, in Digesto discipline privatistiche, sezione civile, Agg. V, 2010, pp. 49 ss., secondo cui un problema specifico risiede nell’interpretazione del contratto ex art. 1371 c.c. In tal caso, ad avviso della dottrina maggioritaria, l’atto gra- tuito economicamente interessato deve essere interpretato nel senso meno gravoso per il promittente. Sono escluse, in linea generale, le regole della donazione: come evidenzia X. XXXXXXXXXX, op. loc. ult. cit., pp. 834 ss., «l’area dell’atto atipico gratuito con una funzione dipen- dente da un interesse economicamente apprezzabile è la sola che rie-
riteniamo – con poche problematiche se non per quanto riguar- da l’individuazione specifica dello stesso schema xxxxxx000. Bi- sogna comunque considerare, in quest’ottica, che la gratuità del patto di famiglia è pur sempre strumentale a uno scambio d’interessi, il quale si estrinseca in via immediata nella dazione del bene all’assegnatario ed in via mediata nell’interesse speci- fico di chi compie l’attribuzione che nel nostro caso è sicura- mente orientato alla stabilità nel futuro e quindi a un beneficio soddisfacente per i non assegnatari109. Il primo rapporto non dà, quindi, luogo a problematiche di rilievo dal punto di vista della disciplina applicabile: come si è evidenziato in dottrina, «il vero problema del contratto gratuito atipico riguarda piuttosto la sua “utilità” sul piano pratico-operativo»110.
Esaminiamo adesso il versante opposto del contratto. Il secondo schema causale che abbiamo individuato nell’istituto ex artt. 768 bis e seguenti è quello distributivo-divisionale, con carattere che si è definito più generale rispetto agli altri, in quanto anello di congiunzione tra gli interessi in gioco e le ri- spettive posizioni contrattuali. Riguardo alla struttura necessa- riamente plurilaterale del patto abbiamo già discusso e lo fare- mo ancora nel prossimo capitolo, indi per cui si opera in questa sede un rinvio. Scorrendo le disposizioni del titolo dedicato alla divisione, manifestano sicuro interesse le norme del capo V che tratta delle patologie dell’istituto: per esempio, l’art. 761 cita soltanto la violenza ed il dolo, ma sembra che il riferimento non possa valere per il patto di famiglia, dovendosi ritenere preva- lente il disposto dell’art. 768 quinquies che contempla anche l’errore quale vizio del consenso. La rescissione per lesione ul- tra quartum ex artt. 763 e 764 è, invece, da analizzare con
sca a sottrarsi all’attrazione del modello donativo nella prospettiva di chi fa coincidere la causa donandi tout court con lo spirito di liberali- tà».
108 Si può pensare alla compravendita oppure a una divisione onero- sa: quest’ultima soluzione faciliterebbe di molto il compito degli inter- preti dato che porrebbe in risalto ancora una volta la commistione tra divisione e transazione, anche se obiettivamente l’attribuzione gratui- ta, considerata isolatamente, ha poco a che vedere con un’operazione divisoria tipicamente intesa.
109 X. XXXXXXX, Contratti gratuiti, cit., pp. 32 ss., il quale parla signifi- cativamente di una “corrispettività indiretta”; a ben vedere, tale feno- meno parrebbe rinvenibile anche nel patto di famiglia.
110 X. XXXXX, Alla ricerca del contratto gratuito atipico, Rivista di diritto civile, 2004, pag. 234. Rilevano U. BRECCIA – X. XXXXXXXXX XXXX (et al.), Diritto civile, I, t. 2, pag. 507, che nel caso dei contratti atipici, oltre all’utilità, occorre valutare se siano lese le aspettative dei soggetti coinvolti, non solo mediante una frode alla legge.
maggiore cautela, potendo ingenerare riflessioni a prima vista poco corrette: la ricostruzione causale da noi operata, a nostro avviso, ci permette di ragionare in termini razionali e fruibili per gli operatori, sfruttando la commistione del profilo divisorio con quello transattivo. Per comune opinione dottrinale111, aval- lata dalla giurisprudenza di legittimità, la differenza tra la divi- sione transattiva – rescindibile – e la transazione divisoria – non rescindibile – risiede nell’esistenza, nella prima ma non nella seconda, della proporzionalità tra le attribuzioni patrimo- niali e le quote di ciascuno dei partecipanti alla comunione112. Nel patto di famiglia non si discorre certamente di una situa- zione di contitolarità da eliminare, ma la disciplina introdotta prevede un parametro di liquidazione nelle quote di riserva a- strattamente spettanti a ciascun legittimario: in tal senso si in- travede proporzionalità nelle attribuzioni di regola dovute, ma non è da escludere che vi siano trattamenti differenziati, nel caso in cui un erede necessario pretenda un quid pluris rispetto
111 Vedasi, inter alios, X. XXXXXXX, voce Divisione, in Enciclopedia giu- ridica Treccani, cit., 1989, pag. 6: «è solo facendo capo al principio della proporzionalità delle quote che è possibile stabilire un punto fermo per la ricostruzione della categoria [degli atti equiparati alla di- visione]; […] in questa prospettiva sono “estranei” più che diversi dal- la divisione tutti quegli atti che […] non danno luogo ad alcuna attri- buzione di valori proporzionali alla quota»; riguardo alla compatibilità della rescissione con un atto con funzione transattiva si veda G. BE- NEDETTI, La rescissione, in Trattato di diritto privato diretto da X. Xxxxxxx, Torino, 2007, pag. 99: «la questione deve essere risolta po- nendo mente a uno snodo fondamentale della dottrina della transa- zione, esattamente quello che distingue il caput controversum dal ca- put non controversum. Il caput controversum è costituito dalle questio- ni che sono state oggetto di controversia tra le parti, […] risolte con l’accordo transattivo».
112Cfr., tra le altre, Cass. sez. civ., sentt. 13942/2012 e 20256/2009. Secondo X. XXXXXXX, Donazione reciproca conflittuale, Giustizia civile, 2013, pp. 702 ss., «la divisione transattiva coltiva la proporzionalità dell'apporzionamento, non assumendo il tratto di aleatorietà che vice- versa connota la transazione divisoria, nella quale ultima i transigenti, appunto, pur di dividere, prescindono dalla proporzionalità». Si po- trebbe obiettare che il criterio della proporzionalità tende a sfumare molto nel caso di prevedibili conguagli in sede divisoria, per cui sa- rebbe stato, forse, più opportuno indicare un elemento di discrimine anche nell’intento di prevenire o risolvere una controversia tra le par- ti: in questi termini A. MORA, La divisione, in Commentario al codice civile coordinato da F. D. Xxxxxxxx, cit., 2014, pag. 171: «il discrimen tra transazione divisoria e negozio divisorio va piuttosto individuato nella sussistenza di una controversia giuridica in senso tecnico». Con- tra X. XXXXXXX, op. loc. ult. cit., pag. 241, il quale propugna una con- cezione fondata sul criterio cronologico: solo la transazione intervenu- ta nel corso del procedimento che si chiude con la divisione sarebbe atto ad essa equiparato».
a un altro, anche se la proporzionalità dovrebbe essere ristabi- lita in seguito alla pronosticabile e speculare richiesta di mag- giorazione da parte degli altri partecipanti. Dobbiamo riscon- trare, in questo campo, un conflitto tra istituti: se qualificassi- mo, come stiamo facendo, il patto di famiglia alla stregua di un atto equiparato alla divisione ex art. 764 c.c., dovremmo ritene- re che nel caso di prevalenza, limitata al profilo della propor- zionalità attributiva, del connotato divisorio sopra quello tran- sattivo si debba ammettere l’applicazione della disciplina re- scissoria; viceversa, dovremmo negare la rescissione per lesione ultra quartum, come previsto dall’art. 764, ultimo comma. Il conflitto in senso stretto, tuttavia, sorge principalmente ponen- do mente al fatto che l’art. 1970, in maniera perentoria, esclu- de la rescissione per lesione in caso di transazioni: cionono- stante, la nostra interpretazione del patto dovrebbe dimostrare che la mescolanza di cause sia più forte di una delle stesse iso- latamente considerata, per cui appare ragionevole applicare piuttosto l’art. 764 c.c., il quale, peraltro, consente maggiore elasticità operativa e certezza in capo alle parti che dovrebbero potersi rendere conto della proporzionalità o meno delle attri- buzioni.
Quest’ultima considerazione ci induce a riflettere sul ruolo delle norme disciplinate dagli artt. 1965 ss. in ambito di patto di famiglia. I primi due articoli costituiscono l’ossatura dogmatica del contratto di composizione delle liti, il terzo, inve- ce, disciplina allo stesso tempo il profilo formale e quello proba- torio: quest’ultima disposizione, lo affermiamo con una certa sicurezza, non crea alcun problema dal momento che la forma scritta è già prescritta ad substantiam – per atto pubblico – nel caso del patto di famiglia, ed essa risulta idonea ad assolvere il compito probatorio in sede giudiziaria. Tre norme suscitano particolare interesse nel nostro ramo: la prima è l’art. 1969 che vieta l’annullamento per errore di diritto della transazione, di- sposizione applicabile senza troppi dubbi al patto, stante la presenza del notaio, il cui compito è anche quello di indirizzare le parti verso scelte consone all’ordinamento ed illustrare loro gli effetti degli atti compiuti113. Un secondo piano applicativo
113 Profilo che pare un riflesso della funzione di adeguamento la quale pone il notaio come custode della volontà delle parti e al tempo stesso garante della legalità in veste di pubblico ufficiale: pregevoli in tal senso le riflessioni di G. CASU – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXXXXX, op. cit., pp. 10 ss. In merito all’irrilevanza dell’errore di diritto nella transa- zione v. X. XXXXXXX, voce Transazione, cit., pag. 401: «è […] stabilita la salvezza della transazione stipulata per errore di diritto attinente alle
potrebbe essere colto nel combinato disposto degli artt. 1973 e 1975, i quali disciplinano l’annullabilità del contratto per falsi- tà e scoperta di documenti dolosamente occultati dall’altra par- te: bisogna ritenere si tratti, affinché l’applicazione sia possibile, di documenti contabili idonei ad influenzare la valutazione dei cespiti. L’ipotesi è suggestiva ma presenta un forte limite nel fatto che la legittimazione ad agire spetti esclusivamente a colo- ro che siano stati parti: nel caso dell’esempio citato nelle pagine precedenti, laddove vi fosse un accordo fraudolento tra il co- niuge – madre poco interessata al denaro – e l’assegnatario per sottostimare i beni attribuiti, il secondo figlio non potrebbe e- sperire l’azione di annullamento, anche se quest’ultimo non rimarrebbe privo di tutele, potendosi prospettare, oltre al risar- cimento del danno, l’eventualità della nullità del contratto per motivo comune illecito. L’ultimo spunto proviene dall’art. 1976 in tema di risoluzione per inadempimento, disposizione la quale sembra disciplinata specificamente per il caso della risoluzione della lite e non per la sua prevenzione, come invece è ipotizza- bile nel patto di famiglia. Ordunque, la previsione della risolu- zione induce a pensare a due fenomeni distinti: in primo luogo, alla possibilità di un inadempimento dell’assegnatario nei con- fronti dei legittimari partecipanti al patto114 e, secondariamente, al disposto dell’art. 768 sexies, ultimo comma, dove si stabili- sce che, in caso di mancata liquidazione a favore di coloro che non hanno partecipato al patto, una volta aperta la successio- ne nel patrimonio del disponente, costoro potrebbero impugna- re il contratto a norma dell’articolo immediatamente preceden- te 115 . Un ulteriore argomento su cui desideriamo porre
questioni che sono oggetto di controversia tra le parti, perché è sottin- tesa l’eguale ignoranza delle questioni giuridiche attinenti alla lite da comporre quale oggetto del negozio transattivo».
114 Una volta perfezionato il contratto mediante lo scambio dei con- sensi (essendo il patto pacificamente un contratto consensuale), il di- scendente non liquida le quote o lo fa in misura minore rispetto a quella stabilita: è ipotizzabile un’estensione dell’art. 1455 in tema di importanza dell’inadempimento avuto riguardo all’interesse dell’altra parte? Per l’esame di questi profili si rinvia al capitolo IV.
115 Due osservazioni in merito. La prima: l’articolo 768 quinquies di- sciplina un’ ipotesi di annullamento (rimedio per vizi genetici), mentre la fattispecie sembra piuttosto attinente alla risoluzione per inadem- pimento (rimedio per vizi funzionali); come risolvere la discrasia? Se- conda considerazione: in questo caso potrebbero essere inadempienti anche i legittimari, ove si consideri la sopravvenienza al patto di un riservatario, magari nato posteriormente alla stipula; poiché, pacifi- camente, in tale ipotesi dovrebbero essere i legittimari a redistribuire fra di loro le quote in modo da rispettare le disposizioni degli artt. 536 ss., è giusto subordinare la stabilità del patto alla volontà dei non as-
l’accento, ma solo a modo di riflessione introduttiva, senza pre- tese di esaustività in quanto affronta problemi alquanto margi- nali rispetto alla nostra trattazione, è quello riferito alla norma- tiva europea in materia di antiriciclaggio, recepita dal legislato- re italiano con la legge 248/2006 e da ultimo con il decreto le- gislativo 231/2007: la questione è relazionata all’obbligo delle parti, in sede di cessione immobiliare con corrispettivo, di «ren- dere apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà re- cante l’indicazione analitica delle modalità del pagamento del corrispettivo»116. Due osservazioni a mio avviso possono essere risolutive: la causa transattiva introduce nello schema negozia- le un connotato non solo di onerosità, ma anche di corrispetti- vità; secondariamente, la dichiarazione antiriciclaggio è previ- sta in caso di cessione di immobili, ipotizzabile nel caso di as- segnazione d’azienda da parte del disponente. Alla luce di que- ste considerazioni, mettendo da parte per un istante eccessivi tuziorismi, pare non necessaria la suddetta menzione nel caso in cui il patto abbia a oggetto un’azienda con relativo bene im- mobile, dal momento che non vi è corrispettività nel rapporto tra imprenditore e assegnatario117 – a differenza dell’altro lato del contratto –.
Ritenendo plausibili le nostre argomentazioni, bisogna ammettere che le soluzioni accolte permettono uno sviluppo operativo notevole a favore della certezza dei rapporti giuridici e dell’equo contemperamento degli interessi, in linea con le no- stre riflessioni in merito alla costituzionalità dei valori sottesi al patto di famiglia. Questo paragrafo deve essere inteso – lo si rammenta – come generale introduzione al problema della di- sciplina applicabile, motivo per il quale rinnoviamo il rinvio alle pagine precedenti e a quelle successive per ulteriori spunti e osservazioni.
8. È giunto il momento di trattare del secondo ma- croargomento del presente capitolo, ovvero dell’oggetto del pat-
segnatari, i quali potrebbero anche avere interesse a far crollare l’intera operazione per motivi non apprezzabili? Per le dovute valuta- zioni si rinvia al capitolo IV.
116 Così dispone l’art. 35, comma 22, del d.l. 223/2006, convertito nella legge 248/2006.
117 Tale lettura è avallata dalla mancata considerazione del patto di famiglia nello Studio CNN in tema di interferenze tra il d.lgs. 231/2007 e la normativa antievasione/antielusione – casistica in ma- teria di antiriciclaggio.
to di famiglia. Occorre, innanzitutto, considerare che, essendo l’oggetto legato strettamente al profilo funzionale del contratto, oltre che a quello strutturale, per una disamina puntuale non si può prescindere dalle nostre ricostruzioni in tema di causa del patto: laonde per cui, seguendo la rotta tracciata negli scor- si paragrafi, è necessario scindere due filoni fondamentali dell’operazione negoziale afferente al patto di famiglia. Da un lato esamineremo il primo rapporto – quello fra disponente e assegnatario – caratterizzato dall’attribuzione a titolo gratuito di azienda o di partecipazioni sociali; dall’altro lato affrontere- mo il secondo centro nevralgico del contratto, id est la transa- zione tra l’assegnatario e gli altri legittimari, operando ulteriori distinzioni al suo interno, le quali, in questa sede, non si ritie- ne opportuno anticipare. Quale ultima considerazione prelimi- nare, conveniamo di inquadrare in maniera onnicomprensiva le tematiche sottese alle varie attribuzioni, settore in cui si riscon- tra una sfumatura di confini con la struttura del contratto: per- tanto la scelta più soddisfacente pare quella di riservare per il prossimo capitolo la trattazione dei profili di carattere affatto particolare, sui quali la dottrina ha avuto maggiori dubbi, ovve- ro segnatamente la compatibilità con le disposizioni in materia di impresa familiare e le differenti tipologie societarie. Detto questo possiamo procedere.
A norma dell’art. 768 bis, il patto di famiglia è il «contrat- to con cui […] l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda ed il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote a uno o più discendenti». L’oggetto dell’attribuzione gratuita è, quindi, tassativamente previsto dalla novella, la quale evidentemente considera legit- tima una trasmissione stabile, in deroga alle norme della suc- cessione necessaria, soltanto di certe tipologie di beni, preci- puamente improntati alla produzione di ricchezza118. Il nostro percorso si trova di fronte a un bivio: da un lato viene in consi- derazione l’azienda, rectius il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa 119 , specialmente
118 Per un panorama complessivo delle varie teorie in merito al profilo obiettivo del patto si veda X. XXXXXXXX, Possibili oggetti del patto di famiglia: l’azienda e le partecipazioni sociali, Il nuovo diritto delle so- cietà, 2007.
119 A riguardo è opportuno segnalare che la dottrina da tempo si scontra sulla natura giuridica dell’azienda: a una prima tesi, c.d. uni- taria, che considera l’azienda quale universalità di beni, bene unico o addirittura immateriale (costituito dall’organizzazione stessa), si op- pone una seconda tesi, c.d. atomistica, la quale evidenzia la pluralità
quella familiare120; dall’altro lato rilevano le partecipazioni so- ciali, anche se sarà nostro compito indagare fino a che punto e con quali limiti. Le due strade non sono parallele: esse sono destinate ad incontrarsi, avendo riguardo alla circostanza che si tratta di profili vicendevolmente connessi. In definitiva, l’impresa può essere esercitata in maniera individuale, familia- re o societaria e affinché vi sia impresa deve esservi necessa- riamente anche azienda121. Grazie a queste considerazioni pos- siamo cogliere un dato fondamentale: rilevando sempre e co- munque un complesso di beni diretti alla produzione122, le no- stre analisi dovranno orientarsi in primo luogo su questi e in seconda istanza sulle differenti modalità soggettive di esercizio dell’impresa. Nell’intento di inquadrare ex latere obiecti l’attribuzione, torna alla mente, in prima battuta, la riflessione svolta nel primo capitolo, quando si disse che l’oggetto del patto di famiglia appare dotato di un carattere in senso ampio spe- ciale, potendo includere anche l’azienda agricola. In effetti, l’elemento maggiormente degno di considerazione da questo punto di vista sembra la possibilità di una trasmissione sicura non solo dei fondi rustici, ma anche delle aziende che da questi ultimi traggono ragione di esistenza e conseguente produttivi-
dei vari beni, funzionalmente collegati, su cui l’imprenditore può van- tare diritti diversi. Rinviando alla manualistica tradizionale per i do- vuti ragguagli, sembra da condividere l’opinione di G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, I, Torino, 2011, pag. 144, che aderisce alla teoria atomistica ma riconosce, giustamente, che diverse norme del codice paiono improntate alla rilevanza della funzione unitaria dei vari beni, profilo che può fungere da criterio guida per la risoluzione di eventua- li problemi interpretativi.
120 Non si dimentichi, tuttavia, come evidenzia X. XXXXXXX, op. cit., che
«ciò che conta è che l'impresa sia in attività e non sia dunque cessata, mentre la struttura familiare e la dimensione medio-piccola non è ri- chiesta, pur essendo essa, con tutta evidenza, il presupposto di fatto per la migliore applicazione della legge, in punto di effettiva utilità e quindi di utilizzazione».
121 Vedasi, tra gli altri, X. XXXXXXXX, voce Azienda, in Digesto disci- pline privatistiche, sezione commerciale, Torino, 1987, pag. 88: «alie- nazione di azienda è passaggio di azienda e, al tempo stesso, di im- presa».
122 Si concorda con G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, II, Torino, 2011, pp. 34 ss., secondo il quale le società di mero godimento, costi- tuite esclusivamente allo scopo di conferirvi denaro, immobili e stru- menti finanziari, senza rilevanza alcuna dell’elemento aziendale, co- stituirebbero un abuso dell’istituto societario e un abuso a danno dei creditori personali dei comproprietari; si devono considerare vietate anche le c.d. società immobiliari di comodo, istituite principalmente per ragioni di evasione fiscale, le quali si limitano a concedere in go- dimento immobili conferiti nelle stesse, senza alcun servizio collatera- le.
tà123. Sempre rimanendo in tema di rapporti agrari si può dis- sipare abbastanza facilmente il dubbio circa l’applicabilità al patto di famiglia delle disposizioni in materia di prelazione a- graria a norma della legge 817/1971: quest’ultima normativa, infatti, disciplina la prelazione a favore dei coltivatori diretti dei fondi contigui a quelli trasferiti a titolo oneroso o concessi in enfiteusi, mentre nel caso del patto di famiglia, come già affer- mato in precedenza, l’assegnazione dell’azienda, la quale inclu- de il fondo, avviene a titolo gratuito, per cui la prelazione legale non dovrebbe trovare applicazione124. Un secondo fattore di in- dagine, inoltre, può essere approfondito ragionando sulla pos- sibilità di porre in essere un patto di famiglia in presenza di un affitto d’azienda o di un comodato, in corso al momento della stipula, a favore dello stesso assegnatario – ipotesi che pare, ad avviso della dottrina, preferibilmente da ammettere125 –, a fron- te di una diversa soluzione votata all’attaccamento alla propria impresa, che prefiguri una clausola di riserva di usufrutto a fa- vore del disponente126. Quest’ultima ipotesi, pur accolta con fa- vore dalla dottrina prevalente 127 , probabilmente consapevole dell’estrema difficoltà di convincere l’imprenditore a lasciare lo “scettro” in mano ai discendenti, potrebbe suscitare più di un dubbio di compatibilità rispetto alla ratio dell’intera normativa.
123 Così X. XXXXXXXX, op. cit., pag. 415.
124 Sulla stessa linea di pensiero X. XXXXXXXX, op. cit., pag. 201; G. PI- SCIOTTA, Politica europea per le piccole e medie imprese: un'occasione mancata per l'ammodernamento del diritto successorio interno, Europa e diritto privato, 2007, spec. nota 199.
125 In questo senso X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXXX, Dell’azienda, Milano, 2006, pag. 360. La soluzione è da condividere dal momento che, at- traverso strumenti giuridici temporanei, l’imprenditore può rendersi effettivamente conto di quanto sia abile dal punto di vista manageria- le il proprio discendente.
126 Si è citato il caso più frequente, ma non è da escludere, come sot- tolinea X. XXXXXXXX, op. cit., che l’imprenditore trasferisca la nuda proprietà a un nipote ex xxxxx e l’usufrutto al proprio figlio, in modo da assicurare la continuazione dell’azienda per più generazioni. In merito all’usufrutto d’azienda si segnala il pregevole contributo di X. XXXXXXX- ZI GERI, Usufrutto, uso e abitazione, in Trattato Cicu – Messineo, cit., 1979, pag. 232, la quale risolve l’applicabilità delle norme dell’usufrutto, anche laddove abbia a oggetto un’azienda, in termini di opportunità del riferimento al diritto d’impresa, piuttosto che ai diritti reali capeggiati dal diritto di proprietà. Cfr. X. XXXXXXXXX, L’azienda, in Trattato di diritto commerciale diretto da X. Xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, pag. 292: «l’art. 981 riconosce all’usufruttuario il “diritto” di godere della cosa, rispettandone la destinazione economica, l’art. 2561, secondo comma, impone l’“obbligo” di gestire l’azienda senza modificarne la destinazione».
127 Cfr., tra gli altri, X. XXXXXXX, op. cit., pag. 460; X. XXXXXXXX, op. cit.;
X. XXXXXXXX, Il punto sul patto di famiglia, Rivista del notariato, 2008.
Pur concordando sul fatto che la questione non sia pacifica, è opportuno segnalare l’opinione espressa dal Consiglio Naziona- le del Notariato128 secondo cui la compatibilità della riserva di usufrutto dovrebbe essere assicurata da due elementi: innanzi- tutto, «il trapasso generazionale dell’impresa viene garantito dal fatto che il beneficiario, ricevendo la nuda proprietà, acquista un diritto reale idoneo a riespandersi nella piena proprietà al momento dell’estinzione dell’usufrutto»; inoltre «non sembra essenziale ai fini della validità del patto di famiglia l’esercizio immediato dell’attività di impresa da parte del beneficiario e, quindi, appare consentito all’autonomia privata il differimento nel tempo degli effetti del contratto». Il maggior fattore di flessi- bilità, tuttavia, emerge ponendo mente alla possibilità di scin- dere l’azienda in più rami autonomi da assegnare a diversi sog- getti, previsione che risulta vantaggiosa per un’armoniosa con- clusione del contratto ma potenzialmente dannosa per la conti- nuità dell’azienda, a causa dell’eventuale diminuzione di potere dell’impresa di fatto segmentata – proprio ciò che con la riforma si voleva evitare –, anche se non dissolta; per questo motivo una soluzione adeguata alla ragion d’essere della novella do- vrebbe mirare alla salvaguardia dell’unità aziendale, potendo al più l’imprenditore destinare a uno dei discendenti un ramo già distaccato, purché dotato di autonomia organizzativa e gestio- nale rispetto all’intero complesso aziendale129. A ogni buon con- to segnaliamo che, essendo pur sempre il patto di famiglia un contratto di trasferimento d’azienda, il notaio dovrà inserire nell’atto non solo una compiuta descrizione dei singoli elementi costitutivi della stessa, quali ad esempio avviamento, ditta ed insegna, ma anche le menzioni necessarie per l’adempimento degli obblighi professionali, come le dichiarazioni e allegazioni in caso di cessione di beni immobili e l’eventuale descrizione di
128 Vedasi X. XXXXXXXX, la quale ha risposto al quesito CNN n. 102- 2009/I.
129 In proposito cfr. X. XXXXXXXX, op. cit.; C. BOLOGNESI, La continuità generazionale dell’impresa: la codificazione del patto di famiglia. Ma non sarà una deroga al divieto dei patti successori?, Impresa, 2006; X. XXXXXXX, op. cit., che consiglia cautela, considerando «a dir poco an- tieconomica una frammentazione irrazionale dell’unità aziendale». Ri- guardo alla tematica del trasferimento di rami aziendali vedasi X. XXXXXXXXX, op. cit., pag. 61: «il trasferimento del ramo d’azienda [di- versamente da quello di una quota della stessa] contempla una quota reale dell’insieme, atta ad attribuire all’acquirente una posizione di titolarità esclusiva su un insieme quantitativamente ridotto rispetto all’insieme del complesso aziendale, ma qualitativamente simile come insieme di beni organizzati».
marchi al fine di procedere alle conseguenti volture130. Siamo giunti al termine del primo percorso intrapreso: per la tratta- zione dell’impresa familiare si rinvia, infatti, al prossimo capito- lo, dal momento che i problemi da essa suscitati, specialmente dal versante della struttura dell’istituto, sono affatto peculiari e meritevoli di particolare attenzione.
Come già sottolineato, oltre all’azienda, il patto di fami- glia può avere ad oggetto anche le partecipazioni sociali. A ri- guardo è d’uopo segnalare sin da subito che i maggiori proble- mi da trattare in questo paragrafo sono essenzialmente due, ovvero bisogna chiedersi se l’istituto attenga soltanto alle quote di società di persone o anche alle partecipazioni di società di capitali e se sia trasmissibile un pacchetto di quote di mino- ranza131 , magari soltanto con funzione di pura remunerazio- ne132, oppure esclusivamente una partecipazione che consenta un controllo effettivo sulla società133. Il primo dilemma parreb- be di semplice soluzione, in quanto poggia le basi su una lettu- ra meramente testuale dell’art. 768 bis, a norma del quale il ti- tolare di partecipazioni trasferisce le proprie “quote”: come è ben noto, le quote sono le partecipazioni tipiche delle società di
130 Esaustivamente X. XXXXX, op. cit., pp. 66 ss., il quale rileva, non a torto, che la ditta e l’insegna seguono di diritto la cessione dell’azienda, mentre l’avviamento non solo può essere l’unico elemen- to costitutivo della stessa (nel caso di beni di proprietà di terzi e man- cata successione nei relativi contratti di godimento), ma può anche, al limite, essere assente, come riconosciuto dalla giurisprudenza.
131 Cfr. X. XXXXXXX, Le società in genere, le società di persone, in Trat- tato Cicu – Messineo, cit., 1982, pag. 124: «chi, pur essendo azionista, non appartiene al gruppo di comando della società è collocato, giuri- dicamente, in una posizione non molto dissimile da coloro che forni- scono capitali alla società dall’esterno […]; per la minoranza la parte- cipazione alla direzione dell’impresa si converte […] in controllo, ed in controllo essenzialmente giuridico».
132 Si pensi alle azioni di risparmio, prive del diritto di voto nell’assemblea dei soci ma con dividendo maggiorato rispetto a quello spettante ai detentori di azioni ordinarie.
133 A ragion veduta bisognerebbe prospettare, stante l’evoluzione degli strumenti giuridici a disposizione dei privati, non soltanto una situa- zione semplice di maggioranza di quote in capo a una persona fisica, ma anche un controllo per il tramite di altre società, segnatamente di diritto, di fatto e contrattuale: vedasi in merito G. F. CAMPOBASSO, op. loc. ult. cit., pag. 293. Da segnalare l’eccellente contributo di X. XXXX, La nozione di “partecipazioni societarie” nella disciplina dei patti di fa- miglia, Rivista di diritto societario, 2008, pp. 767 ss., che propone una selezione di compatibilità con la disciplina del patto di famiglia in base alla dimensione della quota trasferita e al contenuto dei poteri insiti nella stessa.
persone e della particolare società di capitali nota come s.r.l.134, ovvero società in cui il rilievo personale dei soci è decisamente più marcato rispetto al caso della società per azioni e in acco- mandita per azioni; orbene, secondo una ricostruzione decisa- mente formalistica potrebbero essere assegnate con patto di famiglia soltanto quote e non azioni, dal momento che la novel- la non accenna a queste ultime. La teoria deve essere rigettata con forza: è vero che le Raccomandazioni CE ed i lavori prepa- ratori hanno focalizzato la propria attenzione maggiormente sulle piccole e medie imprese, di norma estranee al fenomeno delle società per azioni, ma sembra irragionevole negare la rile- vanza delle partecipazioni azionarie, specialmente nel caso e- sprimano un’influenza sulla gestione della società135. Il secondo punto nodale si avviluppa, anch’esso, attorno alla ratio legis della novella: in sostanza, ci si chiede se si possano trasferire partecipazioni sociali minoritarie, le quali non garantiscano un controllo gestionale della società; inoltre – e di conseguenza – si cerca di capire se si possa operare una frammentazione delle varie partecipazioni in capo a più discendenti, cosicché, se va- lutate come divise, siano minoritarie ma, una volta considerate unitariamente, garantiscano effettivo potere decisionale. La ra- gion d’essere della riforma, come già accennato, è importante per sciogliere il dubbio, in quanto occorre comprendere sino a che punto sia legittimo, forse anche dal punto di vista costitu- zionale, scavalcare le norme a tutela dei legittimari per trasferi- re soltanto un misero pacchetto azionario dotato di poca rile- vanza all’interno della società o addirittura privo del diritto di voto in assemblea. Premesso che le c.d. azioni di risparmio sembrano pacificamente esulare dalla disciplina del patto di famiglia, non potendo garantire continuità della gestione socie- taria, si potrebbe dire che manchi un tassello al nostro ragio- namento, ovvero la considerazione del momento solenne della
134 Omettiamo volutamente la citazione delle società cooperative, in forma sia di s.r.l. sia di s.p.a., dato che il suddetto fenomeno appare decisamente marginale, per non dire estraneo, rispetto alla riforma del 2006. Per una panoramica della differenza tra azioni e quote v. X. XXXXX, Le azioni, in Trattato delle società per azioni diretto da G. E. Colombo e G. B. Portale, vol. 2, t. 1, Torino, 1991, pp. 5 ss. Interes- santi anche le considerazioni di X. XXXXXXXX, Titoli di credito e strumen- ti finanziari, Milano, 1999, pp. 156 ss., in ambito di significati plurimi del termine giuscommercialistico “azione”.
135 In questo senso anche X. XXXXXXXX, op. cit.; con sentimento dubita- tivo C. BOLOGNESI, op. cit., il quale, tuttavia, rileva che, in mancanza di una chiara distinzione nella norma, non si può escludere la sus- sunzione di partecipazioni che riguardino società molto ampie che sfuggano a un connotato familiare.