Contract
1. Lavoro a termine
1.1. X. Xxxxx. 26 gennaio 2012, Xxxxxx Xxxxx v. Land Nordrhein-Westfalen, causa C-586/10 (in Adapt International Bulletin, 2012, n. 3).
Direttiva 0000/00/XX - Xxxxxxxx 5, punto 1, lett. a dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato - Ricorrenza o permanenza di necessità sostitu- tive temporanee - Ragioni obiettive - Sussistenza - Normativa nazionale che giustifica il ricorso a contratti a tempo determinato in caso di sostituzione temporanea - Valutazione in base alle circostanze del caso concreto.
La clausola 5, punto 1, lett. a, dell’accordo quadro concluso il 18 marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che l’esigenza temporanea di personale sostitutivo, prevista da una normativa nazionale come quella controversa nella causa prin- cipale, può, in linea di principio, costituire una ragione obiettiva ai sensi di detta clausola. Il solo fatto che un datore di lavoro sia obbligato a ricorrere a sostitu- zioni temporanee in modo ricorrente, se non addirittura permanente, e che si possa provvedere a tali sostituzioni anche attraverso l’assunzione di dipendenti in forza di contratti di lavoro a tempo indeterminato non comporta l’assenza di una ragione obiettiva in base alla clausola 5, punto 1, lett. a, di detto accordo quadro, né l’esistenza di un abuso ai sensi di tale clausola. Tuttavia, nella valu- tazione della questione se il rinnovo dei contratti o dei rapporti di lavoro a tem- po determinato sia giustificato da una ragione obiettiva siffatta le autorità degli Stati membri, nell’ambito delle loro rispettive competenze, devono prendere in considerazione tutte le circostanze del caso concreto, compresi il numero e la durata complessiva dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi in passato con il medesimo datore di lavoro.
Corte di giustizia: la frequenza o la permanenza dell’esigenza sostitutiva non è sintomo di abuso di contratti a termine
Sommario: 1. Premessa. – 2. Nozione di ragioni obiettive nella giurisprudenza della Corte di giustizia ed in quella italiana. – 3. La sostituzione come ragione obiettiva a fortiori se con finalità di politica sociale. – 4. L’esigenza permanente di sostitu- zione, la valutazione giudiziale dell’intento abusivo della successione di contratti a termine: il vaglio delle circostanze concrete, i criteri di durata ed il numero dei contratti stipulati.
1. Con la sentenza in esame, la Corte di giustizia ha risolto due questioni di pregiudizialità comunitaria sollevate dal Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro tedesca) nell’ambito di una controversia inerente l’impugnazione – da parte di una dipendente del Tribunale distrettuale di Colonia – di una serie
di contratti a termine, rinnovati nell’ambito temporale complessivo di undici anni, stipulati per la sostituzione di personale di volta in volta in congedo.
Nella pronuncia si individuano due punti nodali.
Innanzitutto, ed in premessa, viene ribadito che la clausola 5, punto 1, lett. a, dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE deve essere interpretata nel senso che l’esigenza temporanea di personale sostitutivo – prevista da una normativa nazionale quale causale tipica di ricorso al contratto a tempo de- terminato – può, in linea di principio, costituire una ragione obiettiva di appo- sizione del termine al contratto e di rinnovo del rapporto. La ragione obiettiva giustificante il rinnovo di contratti a termine è, in pratica, una macrocategoria generale nell’alveo della quale è ricompresa anche l’esigenza temporanea di personale sostitutivo.
In seconda battuta, la Corte di Lussemburgo afferma che la ricorrenza, per quanto frequente o anche permanente, dell’esigenza di sostituzioni tempora- nee non comporta, di per sé, l’assenza di una ragione obiettiva per l’assunzione a termine, né l’esistenza di un abuso. Non viola, quindi, l’accordo quadro la norma nazionale (o l’interpretazione di essa) che consenta la stipula di contratti a termine o il rinnovo di essi al fine di rispondere ad esi- genze di sostituzione ricorrenti e finanche permanenti del datore di lavoro, le quali potrebbero, astrattamente, determinare altresì assunzione di personale a tempo indeterminato.
Il giudice comunitario, peraltro, osserva – riprendendo un indirizzo ormai consolidato – che, nella valutazione della questione, se il rinnovo dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato sia giustificato da una ragione obiettiva siffatta, le autorità degli Stati membri, nell’ambito delle loro rispetti- ve competenze, devono prendere in considerazione tutte le circostanze del ca- so concreto, compresi il numero e la durata complessiva dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi in passato con il medesimo datore di lavoro.
2. Quanto alla nozione comunitaria di ragione obiettiva per la giustificazione del rinnovo dei contratti a tempo determinato, la giurisprudenza della Corte di giustizia ha sviluppato un indirizzo ormai consolidato. L’obiettività è da in- tendersi come criterio di verifica funzionale che si collega direttamente alle mansioni ed alle funzioni per cui il lavoratore è stato assunto su base tempo- ranea (X. Xxxxx. 22 novembre 2005, C-144/04, in RIDL, 2006, 2, 250 ss.; cfr., sul punto, X. XXXXXXXX, I contratti di lavoro a termine sono ancora un’eccezione?, in q. Rivista, 2007, 4, 1045 ss.; ivi, vedi altresì X. XXXXX XXXXXX, La normativa comunitaria sul lavoro a termine, 1052 ss.). Tale no- zione viene riaffermata nella sentenza che ci occupa, sulla falsariga di una ra- dicata tendenza della Corte di giustizia che si esprime nella massima secondo cui «la nozione di ragioni obiettive, ai sensi della clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro deve essere intesa nel senso che si riferisce a circostanze precise e concrete caratterizzanti una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare in tale particolare contesto l’utilizzazione di contratti di lavoro a
tempo determinato successivi. Tali circostanze possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali siffatti contratti sono stati conclusi e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro» (oltre al punto 27 della sentenza qui in commento, si vedano i punti 69 e 70 di X. Xxxxx. 4 luglio 2006, X-000/00, Xxxxxxxx, xx XXXX, 0000, 0, XX, 000; dello stesso tenore le sentenze X. Xxxxx. 23 aprile 2009, da C-378/07 a C-380/07, Xxxxxxxxxx, in RGL, 2009, 505 ss.; X. Xxxxx. 13 settembre 2007, C-307/05, Del Cerro Xxxxxx, punto 53, in RIDL, 2008, 2, II, 324, nonché l’ordinanza X. Xxxxx. 12 giugno 2008, X-000/00, Xxxxxxxxxx, punti 88 e 89, in GUUE, 20 marzo 2007, C 247, 12-13).
La stessa giurisprudenza italiana, nell’interpretare l’art. 1, d.lgs. n. 368/2001, ha più volte richiamato i principi di cui alle sentenze comunitarie ora citate (ex multis, cfr. Cass. 27 gennaio 2011, n. 1931, in MGC, 2011, 1, 127; Cass.
27 aprile 2010, n. 10033, in FI, 2010, I, 1755 ss.; Cass. 1º febbraio 2010, n.
2279, in FI, 2010, I, 1169 ss.).
Altrettanto radicata nella giurisprudenza della Corte di giustizia è altresì la massima, richiamata anche nella pronuncia qui in commento, secondo la quale una disposizione nazionale che si limiti ad autorizzare, in modo generale ed astratto, il ricorso a contratti di lavoro a termine successivi sarebbe illegittima in quanto non consentirebbe «di stabilire criteri oggettivi e trasparenti atti a verificare se il rinnovo di siffatti contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, se esso sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e ne- cessario a tale effetto. Una tale disposizione comporta quindi un rischio con- creto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti e, pertanto, non è compatibile con lo scopo e l’effettività dell’accordo quadro CTD» (cfr. pun- to 29 della sentenza in commento). La nozione di ragione obiettiva, come so- pra delineata, è dunque funzionale, in conformità agli obiettivi dello stesso accordo quadro, alla finalità di prevenire l’abuso dei contratti a termine, che si configura nell’uso pregiudizievole, per il lavoratore, della successione dei rapporti di lavoro a tempo determinato tra le medesime parti, con finalità elu- sive della disciplina tutelativa del contratto di lavoro a tempo indeterminato. In effetti, l’abuso si configura, più che nel primo contratto stipulato, nella suc- cessione dei contratti a termine: questa pare altresì essere la fattispecie pato- logica espressamente sanzionata dalla normativa comunitaria. La repressione della stessa è uno degli obiettivi della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro (così la sentenza Xxxxxxxxxx, cit., punto 73, la quale precisa che la clausola 5, punto 1, dell’accordo «mira ad attuare uno degli obiettivi perseguiti da tale accordo, vale a dire limitare il ricorso a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, considerato come una potenziale fonte di abuso in danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima tese ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori di- pendenti». Nello stesso senso l’ordinanza Xxxxxxxxxx, xxx., xxxxx 00; xx xxxxxx- xx qui in commento al punto n. 25, nonché la sentenza Xxxxxxxx, cit., punto
63). La questione è, invero, alquanto controversa, essendosi anche affermato, nella stessa sentenza Xxxxxxxxxx, cit., che «l’ambito disciplinato da tale accor- do non è limitato ai soli lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi, ma che, al contrario, si estende a tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un determinato rapporto di lavoro che li vincola ai rispettivi datori di lavoro, indipendentemente dal numero di contrat- ti a tempo determinato stipulati da tali lavoratori» (cfr. altresì la sentenza Del Cerro Xxxxxx, cit., punto 28. Nella giurisprudenza italiana cfr. la recente Cass. n. 1931/2011, cit.).
La Corte di Lussemburgo ha peraltro dato una definizione di successione di contratti a termine specificando che non è sufficiente, per evitare che si verifi- chi la successione, il rispetto – prima del rinnovo – di un determinato dies a quem fissato dalla legge (cfr. la sentenza Xxxxxxxx, cit.; X. Xxxxx. 7 settembre 2006, C-53/04, Marrosu x. Xxxxxxx, in RIDL, 2006, 4, II, 733 ss.), in quanto una simile restrizione data dalla normativa nazionale di uno Stato membro comporterebbe, quale esito patologico, la possibilità di eludere la disciplina del rapporto di lavoro a tempo indeterminato semplicemente lasciando decor- rere il termine legale.
La direttiva, a tal fine, sospinge il legislatore degli Stati membri all’adozione di almeno una delle tre misure alternative annoverate dalla clausola medesi- ma, ossia le ragioni obiettive di cui sopra, la durata massima totale dei con- tratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, nonché il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti. Il legislatore italiano ha dato attuazione alla direttiva dapprima prevedendo, nel d.lgs. n. 368/2001, il menzionato obbligo di specificare per iscritto le ragioni obiettive giustificative dell’apposizione del termine e, successivamente, introducendo, con le modifiche apportate dal- la l. 24 dicembre 2007, n. 247, un limite massimo di durata del rapporto di la- voro a termine, tra lo stesso datore ed il lavoratore, di 36 mesi (sulla disciplina della successione dei contratti cfr. X. XXXXXXXXXX, La nuova disciplina della successione dei contratti a termine: il regime transitorio e il potere derogato- rio della contrattazione collettiva, in ID. (a cura di), La riforma del lavoro pubblico e privato e il nuovo welfare, Xxxxxxx, Milano, 2008, 37 ss.; X. XXXXX, Le modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determi- nato, in X. XXXXXXXX, X. XXXXX (a cura di), La nuova disciplina del welfare, Cedam, Padova, 2008).
3. Precisata la nozione comunitaria di ragione obiettiva di apposizione del termine, di uso abusivo di tale fattispecie e di successione di contratti a tempo determinato, possiamo ora affrontare l’ulteriore aspetto, inerente la possibilità di configurare, tra le ragioni obiettive suddette, l’esigenza di sostituzione lato sensu intesa.
La giurisprudenza della Corte di giustizia appare pacifica nel ritenere l’esigenza temporanea di personale in sostituzione come ragione obiettiva di apposizione del termine contrattuale, a maggior ragione nel caso in cui la fina- lità della sostituzione consista nel rendere effettivo il raggiungimento di obiet-
tivi di politica sociale (punto 32, sentenza in commento), come il permettere ai lavoratori occupati a tempo indeterminato di fruire di congedi per malattia, maternità, parentali o di altro tipo.
Nell’ordinamento italiano tale causale, come sopra anticipato, viene annovera- ta espressamente nel d.lgs. n. 368/2001, art. 1, tra quelle legittimanti la clauso- la di durata, come avveniva peraltro già nella disciplina previgente. Semmai nel nostro ordinamento si è sviluppata la nota contesa in ordine alla necessità di indicazione per iscritto dei nominativi dei lavoratori sostituiti e della speci- fica ragione della sostituzione.
In tale diatriba si scontrava la tendenza di chi affermava e chi negava un onere di allegazione in tal senso, trovando altresì spazio pure l’intermedia posizione della necessità della sola indicazione dei nominativi (si vedano, tra le altre: Trib. Firenze 23 aprile 2004 e Trib. Milano 4 maggio 2004, entrambe in Boll. Adapt, 2005, n. 20. Per una panoramica sugli orientamenti della giurispruden- za italiana, cfr. I. SENATORI, Gli orientamenti della giurisprudenza di merito in materia di lavoro a termine, in q. Rivista, 2006, I, 143 ss.; nonché ID., Con- tratto a termine: gli orientamenti della giurisprudenza, in X. XXXXXXXXXX (a cura di), La riforma del lavoro pubblico e privato, cit., 55 ss.). Il dibattito, come noto, è stato risolto (ma non in maniera definitiva, come si dirà), in sede di giurisdizione di legittimità costituzionale, dalla Corte costituzionale con la sentenza 14 luglio 2009, n. 214, in Boll. Adapt, 2009, n. 22, sulla quale cfr. X. XXXXXXX, La disciplina del lavoro a termine di fronte alla Corte costituziona- le, in q. Rivista, 2009, 3, 736, ove si afferma la nullità della clausola di durata, con correlata conversione del contratto a termine in contratto a tempo inde- terminato, laddove si ometta l’indicazione del nome del lavoratore da sostitui- re e la causale di sostituzione, unica modalità per assicurare e certificare la ve- ridicità della causa di apposizione del termine e favorire l’immodificabilità della stessa in corso di rapporto. Tale massima è stata poi ripresa nella pro- nuncia “gemella” della C. Cost. 4 dicembre 2009, ordinanza n. 325, in GCost, 2009, 6, 4888, la quale recita: «la corretta esegesi dell’art. 1 del d.lgs. 368/2001 induce a ritenere che, tutte le volte in cui l’assunzione a tempo de- terminato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, siano indica- te le ragioni della sostituzione di uno o più lavoratori, il che implica necessa- riamente anche l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori da sostituire. In- fatti, soltanto in questa maniera è assicurata la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto».
Le citate sentenze della Consulta non hanno tuttavia posto la parola fine alla questione della necessità di indicazione del lavoratore o dei lavoratori da so- stituire; a riguardo si veda, in senso affermativo, Trib. Trani 4 ottobre 2010, in FI, 2010, 12, I, 3552, ma, contra, Cass. 26 gennaio 2010, n. 1577, in FI, 2010, 4, I, 1169 che, pur richiamando la suddetta pronuncia della Corte costituziona- le, ritiene non sempre necessaria l’indicazione dei nominativi del lavoratori sostituiti, salvo l’onere datoriale di integrazione della mera indicazione della
ragione obiettiva di sostituzione con l’allegazione di elementi ulteriori – quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro – che permettano comunque l’identificazione dei medesi- mi.
4. L’elemento forse più rilevante della pronuncia in questione è la previsione della legittimità comunitaria dell’apposizione di un termine al contratto per rispondere ad esigenze di sostituzione ricorrenti e finanche permanenti del da- tore di lavoro, le quali potrebbero, astrattamente, determinare altresì assunzio- ne di personale a tempo indeterminato.
Il principio enunciato dalla sentenza in esame scardina, a parere di chi scrive, il dogma della necessaria temporaneità o eccezionalità della ragione obiettiva (sul punto, in particolare, X. XXXXXXXXXX, La recente evoluzione della disci- plina in materia di lavoro a termine: osservazioni sul caso italiano in una prospettiva europea e comparata, nonché ID., Apposizione del termine, en- trambi in X. XXXXX, Il nuovo lavoro a termine. Commentario al decreto legi- slativo 6 settembre 2001, n. 368, Xxxxxxx, Milano, 2002, 41 ss. e 87 ss. Si veda anche X. XXXXXXXXX, Il contratto a termine e la liberalizzazione negata, in q. Rivista, 2006, n. 1, 109 ed X. XXXXXXXX, L’apposizione del termine al con- tratto di lavoro: questioni interpretative sulla temporaneità delle esigenze da- toriali, in ADL, 2005, 615) che, secondo l’indirizzo prevalente, sebbene non assoluto della giurisprudenza nazionale, dovrebbe fondare la clausola apposi- tiva del termine (cfr. X. XXXXXXXXXX, L’apposizione del termine al contratto di lavoro: il nuovo quadro legale, in ID. (a cura di), La riforma del lavoro pubblico e privato, cit., 3 ss. ed I. SENATORI, Contratto a termine: gli orien- tamenti della giurisprudenza, cit. 55-62. Nella prassi amministrativa, l’indirizzo contrario è stato affermato da circ. Min. lav. n. 42/2002, in GU, 13 agosto 2002, n. 189).
Ed in effetti, se – come si è più volte rilevato – lo scopo della norma comuni- taria (e, di riflesso, di quella nazione) è scongiurare condotte abusive e fraudo- lente, ciò che si richiede è unicamente che sussista una ragione obiettiva, qua- le – ad esempio – quella sostitutiva, che sia palesata ex ante in sede di reda- zione del contratto e, quindi, verificabile ex post in sede di eventuale conten- zioso. Mentre la ripetitività, la frequenza o addirittura la permanenza costante di ragioni tecniche – tra cui quella sostitutiva – non sono, di per sé, sintomo di una prassi fraudolenta di ricorso al lavoro temporaneo. In altri termini, con- sentire la stipulazione di contratti a termine per l’esecuzione di prestazioni che non abbiano il carattere della “temporaneità” (ad esempio: perché la datrice di lavoro, magari con un numero elevato di dipendenti, si trova spesso a dover fronteggiare la concreta necessità di sostituire lavoratori assenti) non implica, di per sé, che le ragioni giustificatrici non si debbano palesare come oggettive, verificabili e, soprattutto, non elusive dell’intento perseguito dal legislatore volto ad evitare qualsiasi volontà discriminatoria o fraudolenta.
In questi casi, d’altra parte, non si può imporre al datore di lavoro – come sot- tolinea anche la Corte di giustizia nella pronuncia in commento – di far fronte alla pur perdurante necessità sostitutiva con assunzioni a tempo indeterminato. Sul punto, la sentenza in commento pare alquanto innovativa rispetto alla giu- risprudenza comunitaria (sentenze Angelidaki, cit., punto 103, ed Xxxxxxxx, cit., punto 61), ma soprattutto rispetto alla giurisprudenza nazionale, ove an- cora si legge che «la reiterata assunzione con contratto di lavoro a tempo de- terminato di un insegnante, per soddisfare, quale supplente, esigenze perma- nenti e durevoli di attività didattica, contrasta con il d.lgs. 368 del 2001 e con la direttiva n. 1999/70/CE» (Trib. Siena 13 dicembre 2010, n. 263, in RIDL, 2011, 2, II, 360, la quale giunge peraltro a ritenere che «l’art. 36 comma 5 d.lgs. 165 del 2001, nel vietare la trasformazione del rapporto di lavoro a tem- po indeterminato e nel prevedere esclusivamente la sanzione del risarcimento del danno, non consente di sanzionare adeguatamente l’abuso perpetrato e di prevenirne la reiterazione. Pertanto, la norma deve essere disapplicata e, in attuazione della tutela in forma specifica, il contratto deve ritenersi convertito a tempo indeterminato, con le ordinarie conseguenze risarcitorie e ripristinato- rie»).
Il principio non pare nemmeno stemperato dall’ulteriore affermazione della Corte, secondo cui, nella valutazione della questione, se il rinnovo dei contrat- ti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato sia giustificato da una ragione obiettiva, le autorità degli Stati membri, nell’ambito delle loro rispettive com- petenze, devono prendere in considerazione tutte le circostanze del caso con- creto, compresi il numero e la durata complessiva dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi in passato con il medesimo datore di lavoro.
Il richiamo, generico, alle «autorità degli Stati membri, nell’ambito delle ri- spettive competenze» pare rivolgersi sia al legislatore che – pur non tenuto dal principio di cui alla clausola 5, punto 1, lett. a dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (cfr. X. XXXXX, Le modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, cit., 94) – ben può fissare, ritenendo tale misu- ra idonea alla prevenzione di abusi e prassi fraudolente, un tetto massimo al numero ed alla durata complessiva dei contratti a termine (come, ad esempio, è stabilito nel nostro ordinamento dall’art. 5, d.lgs. n. 368/2011 come riforma- to dalla richiamata l. n. 247/2007), sia all’autorità giudiziaria cui, d’altra parte, spetta il compito di considerare «tutte le circostanze del caso concreto» onde valutare se il ricorso al lavoro a tempo determinato risponda o meno alla effet- tiva esigenza indicata nel contratto.
Xxxxxxxxxx Xxxxxxx Avvocato – Foro di Bergamo