R E P U B B L I C A I T A L I A N A
Numero 00855/2016 e data 01/04/2016
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
Consiglio di Stato
Adunanza della Commissione speciale del 21 marzo 2016
NUMERO AFFARE 00464/2016
OGGETTO:
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - Ufficio legislativo.
Schema di decreto legislativo recante “Codice degi appalti pubblici e dei contratti di concessione”, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 28 gennaio 2016, n.11;;
LA COMMISSIONE SPECIALE
Vista la relazione prot. n. 9299 del 7 marzo 2016, con la quale il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;
visto il decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 40 del 12 marzo 2016, che ha istituito la Commissione speciale per la trattazione dell’affare in questione;;
visti i contributi dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI), di Accredia, dell’Associazione Italiana Società Concessionarie Autostrade e Trafori (aiscat), dell’Alleanza delle Cooperative Italiane, dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE), dell’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici (ANIA), dell’Associazione Nazionale Imprese Edili Manufatturiere (ANIEM), della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL), della Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL), della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa (CNA), del Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori (CNAPPC), dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, della Confartigianato, della Confindustria, della Federazione Industrie e Costruzioni (FINCO), del Consiglio Geometri e Geometri Laureati, del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, dell’Associazione Rete Professioni Tecniche (RPT), dell’Unione Italiana del Lavoro (UIL), dell’Associazione Nazionale Società Organismo di Attestazione (UNIONSOA) e dell’Unione Province d’Italia (UPI), trasmessi in allegato alla richiesta di parere dal Ministero delle infrastrutture e dei rasporti con nota prot. n. 9299 del 7 marzo 2016;;
visti altresì:
il contributo di Confindustria trasmesso direttamente al Consiglio di Stato in data 18 marzo 2016;;
il contributo di UNA (Unione Nazionale Avvocati Amministrativisti) trasmesso direttamente al Consiglio di Stato in data 21 marzo 2016;
Considerato che nell’adunanza del 21 marzo 2016, presenti anche i Presidenti aggiunti Xxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx Xx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxx, la Commissione Speciale ha esaminato gli atti e udito i relatori, consiglieri Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxx Xxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxxxxx,
Xxxxx X. Xxxxxxxxx, Xxxxxxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxx e Xxxxxxxxx Xxxxxxx;;
PREMESSO E CONSIDERATO
Sommario:
I) Contesto ordinamentale
I.a) Quadro normativo nazionale alla vigilia della nuova codificazione
I.b) Le tre nuove direttive
I.c) La legge delega n. 11/2016
I.d) Il nuovo “codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione”
II) Profili di carattere generale
II.a) Il rapporto tra direttive, legge delega, decreto delegato. Il divieto di
gold plating tra competitività e altri valori costituzionali
II.b) La completezza del recepimento
II.c) La conformità del decreto delegato ai principi e criteri direttivi della delega
II.d) Il riparto di competenza legislativa tra Stato e Regioni
II.e) Codificazione, semplificazione, qualità della regolazione “formale”,
chiarezza del linguaggio normativo
II.f) Codificazione, semplificazione, qualità della regolazione
“sostanziale”;; riduzione degli oneri;; monitoraggio
II.g) L’implementazione del codice; tipologia, natura e regime giuridico dei
suoi atti attuativi
II.h) I decreti correttivi
II.i) La fase transitoria
III) Gli istituti che richiedono particolare riflessione
III.a) Ambito di applicazione del codice (art. 1, codice)
III.b) Contratti esclusi e affidamenti sotto soglia (artt. 4 e 36 codice)
III.c) Centralizzazione della committenza e qualificazione delle stazioni appaltanti (artt. 37 ss. codice)
III.d) Requisiti morali, requisiti reputazionali, rating di impresa, premialità e penalità, qualificazione degli operatori economici, soccorso istruttorio, coordinamento con la disciplina antimafia (artt. 80 e ss. codice)
III.e) Offerta economicamente più vantaggiosa (art. 95 codice)
III.f) Qualità della progettazione e separazione tra progettazione ed esecuzione (artt. 23, 24, 180, 183 codice)
III.g) Dibattito pubblico e partecipazione dei portatori di interessi (art.
22)
III.h) Appalti della protezione civile (art. 163 codice)
III.i) Appalti nei settori speciali
III.l) Concessioni e partenariati, contraente generale, infrastrutture strategiche
III.m) Affidamenti in house, procedure di scelta del socio, società pubbliche
III.n) Precontenzioso e contenzioso
IV. Esame dei singoli articoli.
I) Contesto ordinamentale
I.a) Quadro normativo nazionale alla vigilia della nuova codificazione
I.a).1. I contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture sono una voce particolarmente significativa della spesa pubblica, con una duplice implicazione:
- costituiscono una leva importante della politica economica e sociale di un Paese, e questo esige una regolamentazione flessibile che lasci spazi di discrezionalità alle stazioni appaltanti e che consenta il pronto recepimento di strumenti negoziali innovativi;;
- sono particolarmente sensibili a pratiche corruttive e fenomeni di inquinamento del mercato da parte della criminalità organizzata, e questo ha comportato in passato, e continua a comportare, l’esigenza di regole di prevenzione ex ante e di strumenti di controllo ex post.
Nell’approccio eurounitario, i contratti pubblici sono regolati nell’ottica di una adeguata tutela della concorrenza e del mercato, al fine di abbattere le barriere nazionali, e nella prospettiva dell’uso dei contratti pubblici al fine di una corretta allocazione delle risorse comunitarie e di una crescita sostenibile, mediante semplificazione e flessibilità.
Nella prospettiva nazionale, avuto riguardo alle specificità del contesto italiano, tali obiettivi vengono coniugati con quelli della prevenzione delle pratiche corruttive e delle infiltrazioni della criminalità organizzata.
I.a).2. La materia dei contratti pubblici presenta carattere di trasversalità e di incursione da un lato in altri ambiti codificati del diritto amministrativo, dall’altro lato in ambiti regolatori diversi dal diritto amministrativo in senso stretto, inserendosi e coordinandosi con ambiti del diritto civile, del diritto penale, del diritto del lavoro. Questo ha implicazioni, come si vedrà, sotto il profilo del necessario armonico inserimento del presente codice nel tessuto del vigente ordinamento, in termini di coerenza del
linguaggio e uniformità degli istituti giuridici.
I.a).3. In Italia i contratti pubblici relativi a lavori servizi e forniture sono stati finora regolati dal d.lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici) e dal d.P.R. n. 207/2010 (regolamento di esecuzione e attuazione del codice), oltre a una serie di altri atti normativi, primari o secondari, per specifici settori (appalti della difesa, nei settori della sicurezza, relativi a beni culturali;; codice del processo amministrativo quanto alla tutela giurisdizionale).
A sua volta, il codice del 2006 ha rappresentato al tempo stesso un’operazione di recepimento di due direttive comunitarie del 2004 (nn. 17 e 18), relative, rispettivamente, ai settori ordinari (comprendenti anche limitate regole per le concessioni di opere pubbliche e per le concessioni di servizi) e ai settori speciali, nonché di riordino delle previgenti disposizioni sparse in una serie numerosa di atti normativi primari e secondari.
Il codice del 2006 si è sostituito, come è noto, alla c.d. legge Merloni del 1994, plurimodificata nel corso degli anni, nata in un contesto politico connotato dalla nota vicenda “tangentopoli”, che aveva fatto ritenere necessario intervenire sugli appalti pubblici con norme di assoluto rigore, volte a limitare ogni spazio di discrezionalità delle stazioni appaltanti.
A sua volta il codice del 2006 non ha recepito tutti gli strumenti di regolamentazione flessibile consentiti dalle direttive del 2004, nella logica delle peculiarità del contesto italiano. E del resto, ancor prima che alcuni istituti flessibili da esso previsti entrassero in vigore, gli stessi furono congelati ad opera di un decreto legge e, a seguire, del primo e del secondo decreto legislativo correttivi (a cavallo degli anni 2006-2007).
I.a).4. Il codice del 2006, nonostante la clausola di “riserva di codice” in esso contenuta, è stato nell’arco di 10 anni sino ad oggi plurimodificato, non di rado con norme eccentriche contenute in altri atti normativi.
In particolare il codice è stato modificato, da 52 atti normativi (senza includere in tale numero le leggi di conversione di decreti legge, che a loro volta hanno introdotto ulteriori disposizioni);; nonché da sei regolamenti comunitari che hanno modificato le soglie economiche con effetto direttamente modificativo del codice [Si ricordano, oltre ai tre decreti legislativi correttivi (rispettivamente: d.lgs. n. 6/2007;; 113/2007;; 152/2008), i seguenti 49 provvedimenti normativi statali modificativi, per un totale di 52: d.l. n. 173/2006;; l. n. 296/2006;; d.P.R. n. 90/2007;; l. n. 123/2007;; l. n. 124/2007;; l. n. 244/2007;; d.l. n. 207/2008;; d.l. n.
78/2009;; l. n. 69/2009;; l. n. 94/2009;; l. n. 99/2009;; d.l. n. 135/2009;;
d.lgs. n. 53/2010;; d.lgs. n. 104/2010;; d.l. n. 34/2011;; d.l. n. 70/2011;; d.lgs.
n. 58/2011;; d.l. n. 95/2011;; l. n. 180/2011;; d.lgs. n. 195/2011;; d.l. n.
201/2011;; d.lgs. n. 208/2011;; d.l. n. 1/2012;; l. n. 3/2012;; d.l. n. 5/2012;;
d.l. n. 16/2012;; d.l. n. 52/2012;; d.l. n. 83/2012;; d.l. n. 95/2012;; d.lgs. n.
169/2012;; d.l. n. 179/2012;; l. n. 190/2012;; d.l. n. 35/2013;; d.l. n.
69/2013;; d.l. n. 101/2013;; d.l. n. 145/2013;; l. n. 147/2013;; d.l. n.
150/2013;; d.l. n. 47/2014;; d.l. n. 64/2014;; d.l. n. 66/2014;; d.l. n. 83/2014;;
d.l. n. 90/2014;; d.l. n. 91/2014;; d.l. n. 133/2014;; l. n. 161/2014;; d.l. n.
192/2014;; d.l. n. 210/2015;; l. n. 221/2015. Inoltre le soglie sono state modificate dai seguenti regolamenti comunitari: 1422/2007;; 1177/2009;; 1251/2011;; 1336/2013;; 2341/2015;; 2341/2015].
Di queste 52 fonti statali, solo in tre casi si è trattato dei fisiologici decreti legislativi correttivi (nell’arco del primo biennio); nel solo anno 2012 il codice è stato modificato con otto atti normativi, di cui sette decreti legge;; nell’anno 2014 è stato modificato da nove atti normativi di cui otto decreti legge.
I.a).5. La stratificazione e frammentazione normativa, in una con il difetto di un congruo periodo di riflessione e decantazione normativa, ha comportato il sovrapporsi di regimi transitori, il determinarsi di incertezza applicativa, l’aumento del contenzioso e dei costi amministrativi per le imprese, soprattutto piccole e medie.
La giurisprudenza amministrativa e l’Autorità di vigilanza sono state
chiamate a dirimere incertezze e contrasti applicativi.
La sola adunanza plenaria del Consiglio di Stato, preposta all’esercizio della funzione nomofilattica in caso di contrasti giurisprudenziali, ha reso 48 decisioni in materia di appalti, computando solo quelle rese a partire dal 2011, dopo l’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo.
I.a).6. Il quadro normativo italiano risulta pertanto, alla vigilia del recepimento delle nuove direttive, estremamente complesso;; esso conta, solo sommando codice e regolamento generale, 630 articoli e 37 allegati [In particolare il codice del 2006, nato con 257 articoli e 22 allegati, conta ora 271 articoli e 22 allegati, calcolando aggiunte e sottrazioni successive (aggiunti: artt. 6-bis;; 68-bis;; 79-bis;; 112-bis;; 160-bis;; 160-ter;; 169-bis, 199- bis;; 237-bis;; 240-bis;; 243-bis;; 245-bis;; 245-ter;; 245-quater;; 245-quinquies;; 246-bis;; 251-bis: abrogati: artt. 154, 155, 246-bis);; il regolamento consta di 359 articoli e 15 allegati].
Il complesso normativo costituito dal codice del 2006 e dal regolamento n. 207/2010 non è tuttavia nemmeno esaustivo dell’intera
materia, dovendosi tener conto anche:
a) di normative statali settoriali che danno luogo a “microsistemi”: p. es. appalti nel settore della difesa e sicurezza, d.lgs. n. 208 del 2011;; appalti dei soggetti preposti ai servizi di informazione e sicurezza;; regolamenti settoriali quali quelli per gli appalti della difesa e dei beni culturali;;
b) di molteplici norme statali sparse;;
c) e, soprattutto, delle legislazioni regionali in materia, avuto riguardo alla competenza esclusiva per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, e a quella concorrente delle altre Regioni (in limitati ambiti materiali del codice dei contratti).
Sono pertanto contemporaneamente vigenti 7 corpi legislativi organici, tanti quanti sono i Regolatori italiani aventi competenza legislativa esclusiva in materia (Stato, Regioni a statuto speciale, Province autonome). A tanto devono sommarsi gli atti legislativi di 15 Regioni ordinarie che in vario modo toccano la materia, anche non di rado sconfinando in ambiti riservati allo Stato, come comprova il nutrito contenzioso davanti alla Corte costituzionale.
I.a).7. La legislazione anteriore alla presente codificazione, oltre a presentare complessità e articolazione sul piano delle fonti, è connotata da complessità sul piano soggettivo (sono state censite oltre 32.000 stazioni appaltanti) e sul piano procedurale (per il proliferare di procedure di gara diverse dai modelli comunitari), che si traduce in incertezza delle regole e conseguente elevata mole di contenzioso, diviso tra:
- giudice amministrativo per la fase di gara;; il contenzioso degli appalti pesa per una elevata percentuale del complessivo contenzioso (v. dati AIR);;
- giudice ordinario/arbitri per la fase di esecuzione;;
- giudice contabile, quanto a controllo su e responsabilità dei soggetti pubblici che a vario titolo intervengono nella programmazione, progettazione, affidamento, esecuzione dei contratti;;
- giudice penale, in ordine all’accertamento e repressione degli illeciti penali perpetrati in fase di affidamento e esecuzione (delitti contro la pubblica amministrazione, infiltrazioni criminali nelle gare, turbative d’asta, frodi e reati ambientali nell’esecuzione contrattuale).
Le stesse regole legali di riparto della giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, non sempre di facile e chiara applicazione, determinano non di rado incertezze applicative e contrasti di soluzioni giurisprudenziali, che costituiscono fattore di rallentamento dei giudizi.
I.b) Le tre nuove direttive
I.b).1. In tale contesto, le tre nuove direttive comunitarie (23, 24 e 25 del 2014), nell’ambito della c.d. strategia Europa 2020, si pongono obiettivi ambiziosi che possono così sintetizzarsi:
- rendere più efficiente l’uso dei fondi pubblici, che, come noto, vengono ordinariamente allocati attraverso contratti pubblici;; per tale obiettivo occorrono procedure improntate a canoni di semplificazione, flessibilità, correttezza;;
- garantire la dimensione europea del mercato dei contratti pubblici di lavori servizi e forniture, assicurando la tutela della concorrenza, vietando pratiche discriminatorie, tutelando anche le piccole e medie imprese;;
- fare un uso strategico degli appalti pubblici, come strumento di politica economica e sociale, promuovendo l’innovazione tecnologica, la crescita sostenibile, la tutela ambientale, obiettivi sociali, quali la tutela dei lavoratori impiegati nell’esecuzione dei contratti pubblici e l’impiego nel lavoro dei soggetti svantaggiati;;
- promuovere la lotta alla corruzione attraverso procedure semplici e trasparenti, rimuovendo le incertezze normative.
I.b).2. Tali obiettivi vengono declinati dalle tre nuove direttive, oltre che attraverso gli strumenti e gli istituti già contenuti nelle direttive del 2004, attraverso alcune significative novità:
- una disciplina sistematica delle concessioni di beni e servizi, affidata a una specifica e autonoma direttiva;;
- strumenti di aggiudicazione innovativi e flessibili, quali il partenariato per
l’innovazione e un più ampio impiego del dialogo competitivo;
- strumenti elettronici di negoziazione e aggiudicazione;;
- utilizzo generalizzato di forme di comunicazione elettronica;;
- centralizzazione della committenza;;
- preferenza per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa;
- suddivisione in lotti;;
- appalti relativi ai servizi sociali;;
- criteri di sostenibilità ambientale nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti;;
- rafforzata tutela dei subappaltatori;;
- introduzione del documento unico europeo di gara;;
- disciplina dei conflitti di interesse;;
- risoluzione dell’appalto, anche a distanza notevole di tempo, per
stigmatizzare gravi violazioni commesse in sede di aggiudicazione.
I.c) La legge delega n. 11/2016
I.c).1. La legge delega n. 11 del 2016, persegue, sul piano dello strumento, la codificazione delle disposizioni di recepimento delle direttive e di quelle di riordino complessivo della materia, e sul piano degli obiettivi, quello della semplificazione e accelerazione delle procedure salvaguardando al contempo valori fondamentali quali la trasparenza, la prevenzione della corruzione e della infiltrazione della criminalità organizzata, la tutela ambientale e sociale.
I.c).2. La delega introduce, rispetto alle direttive, ulteriori strumenti e istituti inediti, che, se ben declinati, potranno portare effettiva trasparenza e efficienza in un mercato non immune da vischiosità burocratica e illegalità.
I.c).3. Si tratta di una delega “lunga” e puntuale, articolata in 59 distinte lettere, alcune sub-articolate in numeri, per un totale di 71 principi di delega. Ben diversa dalla sintetica delega che fu alla base del codice n. 163/2006, articolata in quattro principi (art. 25, l. n. 62/2005).
I.c).4. Sotto il profilo del recepimento delle direttive, la delega contiene criteri che ricalcano gli obiettivi delle direttive e i nuovi istituti sopra elencati.
I.c).5. Sul piano formale, la legge delega richiede l’adozione di ”un unico testo normativo”, da denominarsi “codice” (art. 1, comma 1), e impone che si tratti di un codice snello, dovendosi assicurare una “ricognizione e riordino del quadro normativo” e “una drastica riduzione e razionalizzazione del complesso delle disposizioni”, per un “più elevato livello di certezza del diritto e di semplificazione dei procedimenti” (art. 1, comma 1, lett. d), legge delega).
I.c).6. Sul piano sostanziale, la legge delega demanda al Governo di recepire le direttive nel rispetto del divieto del gold plating (vale a dire il “divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive” (art. 1, comma 1, lett. a), legge delega), e di recepire gli strumenti di regolamentazione flessibile introdotti dalle direttive (art. 1, comma 1, lett. f) legge delega) (sulla derogabilità del divieto di gold plating a opera del legislatore delegato v. par. II.a).
I principi direttivi della delega in tema di raccolta in un unico testo normativo e di divieto di oneri non essenziali, rispondono all’obiettivo della qualità della regolazione intesa in senso formale e sostanziale (v. amplius par. II.e e II.f).
In tale prospettiva di semplificazione e efficienza, la delega impone anche maggiore flessibilità per i contratti sotto la soglia comunitaria,
chiedendo di coniugare “massima semplificazione e rapidità dei procedimenti”, con la salvaguardia dei “princìpi di trasparenza e imparzialità della gara” (art. 1, comma 1, lett. g) e lett. ii) della legge delega) e impone l’implementazione di istituti flessibili e innovativi, segnatamente il partenariato pubblico privato, non solo con una “razionalizzazione” delle sue declinazioni già note quali la finanza di progetto e la locazione finanziaria, ma anche mediante una “estensione” ad altre “forme” (art. 1, comma 1, lett. ss), legge delega).
I.c).7. Tuttavia, dopo aver posto i principi di semplificazione, flessibilità, recepimento dei livelli minimi di regolazione, la legge delega opera essa stessa alcune deroghe al divieto di gold plating, introducendo alcuni principi direttivi improntati a maggior rigore (sulla legittimità di tale opzione v. par. II.a).
I.c).8. Si coglie la portata assolutamente innovativa di alcuni princìpi di delega:
a) la trasparenza, digitalizzazione e accessibilità piena agli atti (art. 1, comma 1, lett. q), n. 2, legge delega);; obiettivo coerente con le riforme in itinere del codice dell’amministrazione digitale e del “decreto trasparenza” (il
c.d. Freedom of information act italiano);;
b) la centralizzazione obbligatoria della committenza, che muove dalla specificità del contesto italiano, connotato dall’esistenza di oltre 32.000 stazioni appaltanti;; in tale obiettivo la delega prosegue in una scelta politica avviata già negli scorsi anni, senza trascurare l’esigenza di assicurare, a fronte delle grandi centrali di committenza, la tutela delle piccole e medie imprese (art. 1, comma 1, lett. dd) e cc) legge delega);;
c) la qualificazione obbligatoria per le amministrazioni che vogliono svolgere le funzioni di stazione appaltante (art. 1, comma 1, lett. bb), legge delega);;
d) la istituzione di un albo dei commissari di gara presso l’ANAC, a cui le stazioni appaltanti dovranno attingere per la istituzione delle commissioni di gara (art. 1, comma 1, lett. hh), legge delega);;
e) la separazione tendenziale tra progettazione ed esecuzione, la introduzione di istituti e strumenti volti a garantire la qualità progettuale e la corretta verifica progettuale (art. 1, comma 1, lett. oo), lett. rr), e la necessità che nelle forme di partenariato siano determinate “modalità e delle tempistiche per addivenire alla predisposizione di specifici studi di fattibilità che consentano di porre a gara progetti con accertata copertura finanziaria” (art. 1, comma 1, lett. tt), legge delega);;
f) le regole specifiche per alcune tipologie di appalti, per ragioni
(i) di tutela dell’unicità del patrimonio artistico-culturale italiano
(appalti relativi ai beni culturali;; art. 1, comma 1, lett. o), legge delega);;
(ii) di carattere sociale (servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, servizi ad alta intensità di manodopera) (art. 1, comma 1, lett. d) e art. 1, comma 1, lett. gg);;
(iii) di lotta alla corruzione (appalti della protezione civile, art. 1, comma 1, lett. l), legge delega, e contratti segretati, art. 1, comma 1, lett. m), legge delega).
g) il rating di legalità, i criteri reputazionali, il sistema di penalità e premialità per gli operatori economici (art. 1, comma 1, lett. q), n. 5) e lett. uu);;
h) i conti dedicati imposti agli operatori economici (art. 1, comma 1, lett. q), n. 4);;
i) il soccorso istruttorio (art. 1, comma 1, lett. z), in ciò proseguendosi un percorso già avviato con il d.l. n. 90/2014;;
l) le limitazioni ai poteri del contraente generale e il rafforzamento dei controlli pubblici (art. 1, comma 1, lett. ll) e mm), legge delega);;
m) il superamento della c.d. legge obiettivo (art. 1, comma 1, lett. sss), legge delega);;
n) l’introduzione di principi concorrenziali per le concessioni, anche già affidate, mediante l’obbligo di esternalizzazione di una elevata percentuale degli affidamenti e la scansione temporale per l’avvio delle gare in relazione alle concessioni in scadenza;;
o) l’introduzione del dibattito pubblico, per assicurare la partecipazione delle collettività locali alle scelte di localizzazione delle grandi opere aventi rilevante impatto sull’ambiente e sul contesto socio-economico (art.1, comma 1, lett. qqq), legge delega);;
p) una governance efficiente ed efficace attraverso la cabina di regia presso la P.C.M. e il rafforzato ruolo dell’ANAC che coniuga i compiti di autorità anticorruzione e di vigilanza e regolazione del mercato degli appalti pubblici.
I.c).9. In sintesi, la legge delega coglie il recepimento delle tre direttive come occasione e sfida per un ripensamento complessivo del sistema degli appalti pubblici in Italia, in una nuova filosofia che coniuga flessibilità e rigore, semplificazione ed efficienza con la salvaguardia di insopprimibili valori sociali e ambientali.
Si tratta di una sfida storica affidata a un delicato equilibrio in cui è assolutamente indispensabile tenere insieme “il combinato disposto” degli istituti e strumenti previsti, di cui ciascuno non può essere disgiunto
da altri, pena il fallimento degli obiettivi perseguiti.
Così, in sintesi, e come meglio si esporrà:
- un codice “snello” che lasci ampio spazio a atti attuativi, necessita che gli
atti attuativi siano chiari, conoscibili, tempestivi, coordinati tra loro;;
- la maggiore discrezionalità delle stazioni appaltanti postula che si operi con immediatezza la riduzione del loro numero, la centralizzazione della committenza, la loro qualificazione rigorosa, e che strumenti di controllo e monitoraggio siano effettivi e efficaci;;
- il combinato disposto della suddivisione in lotti con la maggior flessibilità delle regole per gli appalti sotto soglia, aumentando considerevolmente “la cifra economica” degli affidamenti sotto soglia, postula un assoluto rigore dei controlli e trasparenza delle procedure, e non consente arretramenti sul piano della tutela giurisdizionale.
I.d) Il nuovo “codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione”
I.d).1. A questa sfida storica si arriva, oggi, con il nuovo “codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione” (su tale nome si rinvia a quanto si dirà alla fine del presente paragrafo) trasmesso a questo Consiglio di Stato per il suo parere, in data 7 marzo 2016, dopo l’approvazione preliminare nel Consiglio dei Ministri del 4 marzo 2016.
La legge delega reca la data 28 gennaio 2016 ed è stata pubblicata in G.U. il 29 gennaio.
Il termine assegnato dalla delega per il recepimento delle tre direttive coincide con il termine che le direttive assegnano ai legislatori nazionali per il loro recepimento: 18 aprile 2016.
Secondo la delega, il Governo avrebbe potuto effettuare in due tempi le operazioni di recepimento delle direttive e di riordino complessivo, rispettivamente entro il 18 aprile e entro il 31 luglio 2016;; la delega ha lasciato tuttavia al Governo l’opzione di operare recepimento e riordino contestualmente, con il termine unico, in tal caso, del 18 aprile 2016 (art. 1, primo periodo, legge delega).
Meritoriamente, in una prospettiva di maggior chiarezza e semplificazione, il Governo ha optato per la seconda soluzione.
Il progetto di codice costituisce, pertanto, al contempo, recepimento delle direttive e riordino dell’intera materia.
Essendo la delega del 28 gennaio 2016 e scadendo il termine per la sua attuazione il 18 aprile 2016, è evidente la ristrettezza dei tempi entro cui il Governo è chiamato a redigere un testo complesso e articolato.
Ristretti sono anche i tempi per l’emissione dei pareri, peraltro da
rendersi contestualmente e non in consecuzione come di regola (20 giorni per i pareri del Consiglio di Stato e della Conferenza unificata, 30 giorni per i pareri delle competenti Commissioni parlamentari di Camera e Senato).
I.d).2. Il presente codice dei contratti pubblici costituisce un codice
settoriale nell’ambito del diritto amministrativo.
Si tratta del primo codice di tale natura varato nella presente legislatura.
Va guardata con assoluto favore la ripresa della “stagione dei codici” di diritto amministrativo, strumento essenziale per imprese e cittadini, per assicurare completezza e chiarezza delle regole.
Una codificazione richiede tuttavia un periodo adeguato di ricognizione delle norme e della giurisprudenza, ricostruzione, confronto con gli operatori del settore, al fine di confezionare regole chiare, univoche, ben coordinate.
Nel caso odierno, un maggior tempo avrebbe consentito di meglio supportare le sfide della delega.
Il testo del codice risente dei tempi ristretti, e presenta pertanto inevitabili incoerenze sistematiche, refusi, disposizioni non ben coordinate, imprecisioni lessicali e di recepimento, essendo mancata, verosimilmente, una pausa di ponderazione e rilettura complessiva dell’articolato.
Su tale testo si concentrano attese, e aspettative, degli operatori economici del settore e delle stazioni appaltanti.
Quanto più esso riuscirà a essere chiaro e completo, tanto più avrà raggiunto gli obiettivi di semplificazione del quadro regolatorio, di certezza delle regole, di prevenzione e riduzione del contenzioso.
I.d).3. Il Consiglio di Stato, orienterà il proprio apporto consultivo in una triplice direzione:
a) esaminerà alcune questioni di carattere generale, non al fine di una (non necessaria in questa sede) ricostruzione dogmatica, bensì con l’obbiettivo di spiegare ex ante la logica delle osservazioni puntuali sui singoli articoli, e di indicare le linee che ritiene dovranno orientare anche i futuri correttivi;;
b) indicherà per ogni singolo articolo o gruppi di articoli che danno luogo a rilievo, le questioni che sono di pronta soluzione, attraverso modifiche puntuali e chirurgiche, volte a migliorare l’impianto normativo, senza alterarne la portata complessiva;;
c) indicherà, sempre per ogni articolo o gruppi di articoli, anche profili più complessi, che non potranno che essere affidati allo strumento del decreto correttivo, da vararsi entro un anno dall’entrata in vigore del codice;
d) esprimerà anche successivamente al presente parere, ai fini della
adozione dei correttivi nonché in risposta a quesiti specifici eventualmente formulati dal Governo e dagli altri soggetti legittimati, il proprio parere con l'obiettivo di concorrere al completo conseguimento, a regime e nel più breve tempo possibile, degli obiettivi fissati dalle norme comunitarie e dalla ambiziosa riforma governativa, in modo da corrispondere a una forte attesa delle istituzioni, delle imprese e dei cittadini.
Si omette, al fine di rendere il parere più snello e sintetico, di riportare il contenuto dei singoli articoli (intendendosi operato un rinvio implicito alla relazione illustrativa che accompagna lo schema di codice), salvo che sia strettamente necessario per la comprensione delle modifiche che si suggeriscono.
I.d).4. Sin da ora questo Consiglio rileva che il “nome di battesimo” dato al codice "codice degli appalti pubblici e delle concessioni", non appare esattamente corrispondente al contenuto dell'articolato, sotto un duplice profilo.
Da un lato, l'aggettivo "pubblici" viene riferito solo agli appalti e non anche alle concessioni, laddove anche le concessioni sono pubbliche.
Dall'altro lato, nel codice non sono disciplinati solo appalti e concessioni, ma anche altri tipi contrattuali. Anche se la nozione comunitaria di appalto è molto lata e ben più ampia della nozione italiana come desunta dal codice civile, ciò nonostante nel codice in esame sono regolati tipi contrattuali che non vi rientrano. Basta solo pensare ad alcuni tipi di contratti "esclusi" quali le locazioni passive, che comunque nel codice trovano una disciplina minimale (i principi relativi ai contratti esclusi). Analogamente, le forme di partenariato pubblico-privato non sono tutte esattamente riconducibili né all'appalto né alla concessione.
Il codice, inoltre, pone alcuni principi di tutela della concorrenza nei contratti pubblici, che costituiscono un quadro di riferimento anche per i contratti “attivi” della pubblica amministrazione, allo stato non inclusi nel codice (locazioni attive, concessioni demaniali, concessioni di denaro pubblico) e che pure, in sede di futura implementazione, vi potrebbero essere inseriti.
Pertanto, il codice potrebbe più appropriatamente essere denominato o "codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture", ovvero, e preferibilmente, "codice dei contratti pubblici", tout court, nome che meglio si addice all’ambizioso progetto sotteso al codice.
Né, in parte qua, può considerarsi vincolante, per il legislatore delegato,
l’opzione sul nome operata dalla legge delega.
II) Profili di carattere generale
II.a) Il rapporto tra direttive, legge delega, decreto delegato. Il divieto di gold plating tra competitività e altri valori costituzionali II.a).1. Le tre direttive, come di consueto, contengono:
(i) disposizioni a recepimento vincolato;;
(ii) disposizioni che lasciano margini di flessibilità agli Stati membri, consentendo un recepimento o più severo o più liberale;;
(iii) disposizioni che impongono agli Stati membri di lasciare spazi di discrezionalità alle stazioni appaltanti.
II.a).2. Si è già accennato nella parte introduttiva del presente parere che la legge delega da un lato impone al Governo il divieto di gold plating e il recepimento degli strumenti di flessibilità previsti dalle direttive, dall’altro contiene essa stessa criteri di maggior rigore rispetto alle direttive.
Si tratta di una scelta politica del Parlamento, che coniuga flessibilità e rigore, e che sul piano tecnico non si espone ad alcun rilievo.
Né potrebbe sostenersi una contraddittorietà intrinseca nella delega, con un primato di una parte di essa sull’altra, dovendosi invece dare delle varie disposizioni una interpretazione armonica e sistematica.
L’obiettivo generale, posto dalla delega, di un recepimento delle direttive sfruttandone tutti gli elementi di flessibilità, ben può trovare, nella stessa delega, un temperamento a tutela di interessi e obiettivi ritenuti dal Parlamento più meritevoli, quali sono la prevenzione della corruzione e la lotta alla mafia, la trasparenza, una tutela rafforzata della concorrenza, la salvaguardia di valori ambientali e sociali.
D’altro canto, il “divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive” va rettamente interpretato in una prospettiva di riduzione della “oneri non necessari”, e non anche in una prospettiva di abbassamento del livello di quelle garanzie che salvaguardano altri valori costituzionali, in relazione ai quali le esigenze di massima semplificazione e efficienza non possono che risultare recessive. Così, in termini generali, il maggior rigore nel recepimento delle direttive deve, da un lato, ritenersi consentito nella misura in cui non si traduce in un ostacolo ingiustificato alla concorrenza; dall’altro lato ritenersi giustificato (quando non imposto) dalla salvaguardia di interessi e valori costituzionali, ovvero enunciati nell’art. 36 del TFUE (“Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e
degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri”).
Proprio in materia di appalti pubblici, la stessa Corte giust. UE ha più volte affermato che “va riconosciuto agli Stati membri un certo potere discrezionale nell’adozione delle misure destinate a garantire il rispetto del principio della parità di trattamento e dell’obbligo di trasparenza (…). Infatti, il singolo Stato membro è nella posizione migliore per individuare, alla luce di considerazioni di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli sono proprie, le situazioni favorevoli alla comparsa di comportamenti in grado di provocare violazioni del rispetto del principio e dell’obbligo summenzionati” [da ultimo X. xxxxx. UE 22.10.2015 C-425/14, proprio in tema di normativa antimafia italiana e ulteriori oneri che essa determina in ordine alle gare di appalto, dove si è affermato che “una misura quale l’obbligo di dichiarare l’accettazione di un tale protocollo di legalità appare idonea a rafforzare la parità di trattamento e la trasparenza nell’aggiudicazione di appalti. Inoltre, poiché incombe su qualsiasi candidato od offerente indistintamente, detto obbligo non viola il principio di non discriminazione. Tuttavia, conformemente al principio di proporzionalità, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, una siffatta misura non deve eccedere quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito”].
II.a).3. In modo diverso va affrontato il tema dell’ambito e portata del divieto di gold plating imposto dalla legge delega al Governo.
La questione si pone essendovi, nel decreto delegato, istituti che costituiscono un recepimento delle direttive più oneroso del “minimo comunitario”, e che non trovano immediato e diretto riscontro in criteri della legge delega. Ne sono un esempio, nel subappalto (art. 105) il limite del 30% per il subappalto delle opere superspecialistiche, e il divieto, per gli appalti relativi a beni culturali, dell’avvalimento (art. 146).
Va rilevato che l’art. 1, lett. a) della legge delega, dispone, testualmente “a) divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive, come definiti dall'articolo 14, commi 24-ter e 24-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246”.
Il richiamo del comma 24-quater dell’art. 14, l. n. 246/2005, lascia spazio, in sede di recepimento delle direttive, alla possibilità di una limitata deroga al divieto di introdurre una regolamentazione più severa, purché nell’AIR si motivino le circostanze eccezionali della deroga (“L'amministrazione dà conto delle circostanze eccezionali, valutate nell'analisi d'impatto della regolamentazione, in relazione alle quali si rende necessario il superamento del
livello minimo di regolazione comunitaria”).
Una motivazione specifica si rinviene, nell’AIR, quanto alla deroga al
divieto di gold plating nella disciplina del subappalto.
Il gold plating nella disciplina degli appalti relativi a beni culturali, laddove si vieta l’avvalimento, viene giustificata nello stesso art. 146 codice con il richiamo all’art. 36 TFUE. Si tratta di giustificazione plausibile attesa la specificità del settore, riconosciuta nello stesso art. 36 TFUE citato. Va supportata anche da adeguata motivazione nell’AIR.
In termini più generali, il Governo dovrà operare una rilettura complessiva del testo, motivando congruamente nell’AIR in ordine alle circostanze eccezionali che giustificano le regolazioni più onerose.
II.a).4. Per converso, questa Commissione speciale nell’ambito del presente parere segnalerà alcuni punti che sembrano richiedere un recepimento più rigoroso. Essi sono rimessi alla valutazione politica del Governo, con la precisazione che, sul piano strettamente tecnico-giuridico, non sembra ostativo il divieto di gold plating, rettamente interpretato.
Sin da ora si segnala, per il suo particolare rilievo, il tema dei contratti esclusi, dove, a differenza che nella (pre)vigente disciplina, non si fissa più il numero minimo dei candidati (cinque) da invitare nelle gare informali (at. 4, nuovo codice;; art. 27 vecchio codice), con il concreto rischio di una perdita di trasparenza, concorrenza e, alla lunga, efficienza e competitività. II.a).5. Come meglio si dirà nei paragrafi che seguono, il codice “snello” dovrà essere completato da atti attuativi (menzionati in circa 50 disposizioni del codice), quali decreti ministeriali e linee guida dell’ANAC. Resta inteso che il divieto di gold plating posto dalla legge delega costituirà principio vincolante anche in sede di adozione degli atti attuativi del codice.
II.b) La completezza del recepimento
II.b).1. Si segnaleranno, di volta in volta, ambiti in cui alcuni principi direttivi della delega non sembrano interamente recepiti.
Il non recepimento di una delega o di parte di essa rientra nella scelta politica del Governo, nel suo rapporto con il Parlamento.
Non compete al Consiglio di Stato esprimere un parere sul mancato recepimento, ma solo segnalarlo, affinché esso sia frutto di una scelta consapevole e ponderata.
Resta fermo che, secondo consolidato orientamento, il mancato recepimento di una parte della delega entro il termine di scadenza consuma definitivamente il relativo potere.
Il mancato esercizio non può essere recuperato in sede di adozione di decreti correttivi, nei quali sono appunto consentite solo “correzioni”, a seguito di una periodo di “sperimentazione applicativa”, relative alle parti di delega già esercitate, ma non un esercizio tardivo, per la prima volta, delle delega.
Si potrà, con i decreti correttivi, intervenire per garantire la “qualità formale” del testo, con l’eliminazione di illegittimità, refusi, difetti di coordinamento, errori tecnici, illogicità, contraddizioni, apportare, previa verifica di impatto, le correzioni e integrazioni che l’applicazione pratica renda opportune, ma non potranno rimettersi in discussione le scelte di fondo operate in sede di primo esercizio della delega [Corte cost. 26 giugno 2001 n. 206;; Cons. St., ad. gen., 6 giugno 2007 n. 1;; Cons. St., sez.
norm., 9 luglio 2007 n. 2660/07;; Id., 5 novembre 2007 n. 3838/07;; Id., 26
luglio 2011 n. 2602].
Alla luce di tali considerazioni, potrebbe essere utile un esercizio anche solo “minimale” della delega, introducendo una sia pur minima base normativa da poter successivamente integrare e ampliare in sede di correttivi.
II.b).2. Sin da ora si segnale, rinviando alla parte specifica (artt. 164 e ss.) che non sembrano recepiti alcuni punti di delega in materia di concessioni, comuni o specifici a concessioni in determinati ambiti.
II.c) La conformità del decreto delegato ai principi e criteri direttivi della delega
II.c).1. La legge delega è un testo complesso e articolato, non sempre di facile e univoca esegesi. Questo ha comportato che, in alcune disposizioni del decreto delegato, vi sia stato un recepimento non sufficientemente approfondito dei criteri di delega, e talora sembrano utilizzate espressioni linguistiche inappropriate.
Le disposizioni potrebbero prestarsi a interpretazioni nel senso del contrasto della norma delegata con la legge delega.
Il presente parere indicherà pertanto di volta in volta le opportune modifiche lessicali, per prevenire interpretazioni del testo che, in sede di applicazione e contenzioso giudiziario, potrebbero dare adito a questioni di costituzionalità per contrasto con la legge delega.
II.c).2. Sin da ora si segnala, per la sua particolare delicatezza, il tema dei contratti sotto soglia, nei quali si riduce il numero di operatori da invitare alla gara informale, dai dieci o cinque della (pre)vigente disciplina (art.
122 d.lgs. n. 163/2006) ai cinque o tre dell’attuale (art. 36). Peraltro la
delega, sebbene richieda la semplificazione degli affidamenti sotto soglia, sembra imporre un numero minimo di cinque operatori da consultare in ogni caso, a prescindere da “subsoglie nel sotto soglia” (art. 1, comma 1, lett. ii), legge delega).
II.d) Il riparto di competenza legislativa tra Stato e Regioni
II.d).1. L’analisi delle singole disposizioni contenute nello schema di decreto deve essere preceduta da una ricostruzione generale relativa alla disciplina costituzionale del riparto delle competenze legislative e regolamentari, tenendo conto dell’attuale ordinamento costituzionale e delle possibili prospettive di riforma.
In relazione alle funzioni legislative, la giurisprudenza costituzionale è costante nel ritenere che, ai fini dell’inquadramento di una determinata regolazione in uno degli ambiti materiali definiti dall’art. 117 Cost., l’“auto-qualificazione” eventualmente operata dal legislatore non assume rilevanza.
L’individuazione della materia in cui si colloca la disposizione deve essere effettuata “avendo riguardo all’oggetto o alla disciplina da essa stabilita, sulla base della sua ratio, senza tenere conto degli aspetti marginali e riflessi” [Corte cost. n. 229 del 2013;; nello stesso senso n. 235 del 2010;; n. 368 del 2008 e n. 165
del 2007].
Nel caso in cui, in ragione della complessità del rapporto disciplinato, si realizza una “concorrenza di competenze” appartenenti a diversi livelli istituzionali di governo, la Corte costituzionale risolve il conflitto applicando il “criterio della prevalenza” allo scopo di riconoscere la legittimazione legislativa ad uno soltanto dei soggetti titolari di competenza [Corte cost. n. 126 del 2014].
Se non è possibile individuare l’ambito materiale prevalente, la Corte
impone il rispetto del principio di leale cooperazione [Corte cost. n. 250 e
n. 140 del 2015], il che implica che, ad esempio, la fase di “attuazione” della legge statale dovrà avvenire garantendo adeguate forme di coinvolgimento delle autonomie regionali.
II.d).2. Nel settore in esame, lo schema di decreto, riprendendo l’impostazione delle direttive e del codice vigente, detta una disciplina generale distinta in due fasi degli appalti pubblici: la prima fase ha natura amministrativa ed è rappresentata dalle procedure di scelta del contraente che devono svolgersi nel rispetto di regole puntualmente definite;; la seconda fase ha natura negoziale ed è costituita dal momento di conclusione del contratto e attuazione del rapporto contrattuale.
La suddivisione in due fasi evoca due titoli di legittimazione legislativa esclusiva statale.
II.d).3. La prima fase di scelta del contraente rientra nella materia trasversale della tutela della concorrenza (art. 117, comma 2, lett. e), Cost.).
L’intervento europeo e nazionale è giustificato dalla finalità prevalente di assicurare la cosiddetta “concorrenza per il mercato” e dunque le libertà europee di libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali, unitamente ad altri interessi di rilevanza pubblicistica.
In questo ambito possono venire in rilievo anche competenze regionali. La prima modalità di esercizio della funzione legislativa regionale può avere valenza generale e riguardare la stessa regolazione delle procedure di scelta del contraente. La giurisprudenza costituzionale è costante nel ritenere che le Regioni, nell’esercizio delle loro competenze, possono anche disciplinare dette procedure purché gli effetti della regolamentazione siano indiretti e marginali e si tratti di normative pro- concorrenziali [Corte cost. n. 32 del 2015]. E’ questo un profilo che non viene in rilievo in questa fase di redazione del testo, in quanto l’analisi della compatibilità costituzionale con i limiti indicati dovrà essere svolta in relazione alle singole leggi regionali.
Questa Commissione si limita soltanto a porre in rilievo come la nuova impostazione delle direttive, che contemplano regole di scelta del contraente connotate da maggiore flessibilità rispetto al pregresso quadro regolatorio, rendono ancora più complesso stabilire quando una normativa regionale possa considerarsi effettivamente pro-concorrenziale. La possibile moltiplicazione dei centri di produzione legislativa, statale e regionale, sia pure nel rispetto delle condizioni indicate, in relazione alla stessa fase di regolazione, rischia, inoltre, di contraddire le esigenze di semplificazione legislativa e certezza delle regole stesse.
II.d).4. La seconda modalità di esercizio della funzione legislativa regionale può avere valenza più specifica involgendo, con riferimento a specifiche “parti” della procedura, la competenza residuale in materia di “organizzazione amministrativa”. La Corte costituzionale, con la sentenza
n. 401 del 2007, evocando questo titolo di legittimazione, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 84, commi 2, 3 e 8, del d.lgs. n. 163 del 2006, che conteneva norme relative alla composizione delle commissioni aggiudicatrici. In particolare, la Corte affermò che esse “attengono, più specificamente, all’organizzazione amministrativa degli organismi cui sia affidato il compito di procedere alla verifica del possesso dei requisiti, da parte delle imprese
concorrenti, per aggiudicarsi la gara”.
La seconda fase di conclusione ed esecuzione del contratto rientra nella materia dell’ordinamento civile, in quanto l’autorità pubblica agisce nell’esercizio di “autonomie negoziali” e non di “poteri normativi” [Xxxxx xxxx., x. 000 del 2007].
La Corte costituzionale ha escluso, pertanto, che possa configurarsi, in tale ambito, una disciplina generale di matrice regionale, ammettendo soltanto che, “in relazione a peculiari esigenze di interesse pubblico”, possano “residuare in capo alla pubblica amministrazione poteri riferibili, tra l’altro, a specifici aspetti organizzativi afferenti alla stessa fase esecutiva”.
II.d).5. Rispetto al quadro definito dal Giudice delle leggi in relazione al codice (pre)vigente, deve segnalarsi come le nuove direttive, innovando il precedente sistema, contengono, per la prima volta, disposizioni di disciplina della fase di esecuzione del contratto. La ragione non è quella di dettare regole in ambiti “privatistici” rientranti nell’autonomia procedimentale degli Stati membri, quanto quella di assicurare il rispetto del principio di concorrenza anche in questa fase. Il legislatore europeo, attraverso, in particolare, la disciplina della rinegoziazione delle condizioni contrattuali ha posto dei chiari limiti all’autonomia del legislatore statale e delle parti del contratto, al fine di evitare che un’eccessiva libertà nella modificazione degli accordi contrattuali “a valle” possa finire per eludere il rispetto delle regole di garanzia “a monte” che presiedono allo svolgimento della procedura amministrativa di scelta del contraente. In definitiva, si è prefigurata una “estensione” del titolo di competenza legislativa statale “tutela della concorrenza” anche nel momento negoziale, il che rafforza ulteriormente, in un eventuale giudizio di “prevalenza” o bilanciamento degli interessi costituzionali, le funzioni legislative statali.
II.d).6. Quanto sin qui esposto attiene al riparto di competenze riferito alla disciplina generale della formazione, conclusione ed esecuzione dei contratti pubblici. Nei casi, invece, in cui il testo del decreto contiene riferimenti a contratti ad oggetto puntuale, possono venire in rilievo anche altri titoli di competenza, statale e regionale, individuati alla luce di criteri sopra indicati.
II.d).7. Una posizione peculiare occupa la disciplina delle “opere strategiche”: in questo caso viene in rilievo una materia di competenza concorrente ai sensi del secondo comma dell’art. 117 Cost., con la conseguenza che l’intervento del legislatore statale si giustifica, per la presenza di esigenze unitarie, in applicazione del principio di sussidiarietà legislativa, che impone il rispetto del principio di leale
cooperazione con le autonomie regionali [Corte cost. n. 303 del 2003]. II.d).8. In relazione alle funzioni regolamentari, il sesto comma dell’art. 117 Cost. dispone che le relative funzioni spettano allo Stato nelle materia di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. In ogni altra materia la potestà spetta alle Regioni.
Ne consegue che le Regioni hanno competenza regolamentare non soltanto in presenza di una materia esclusiva regionale ma anche in presenza di una materia concorrente. La qualificazione degli atti di attuazione del codice come atti regolamentari o amministrativi generali di indirizzo rileva, pertanto, anche ai fini dell’individuazione del soggetto competente ad adottarli.
II.d).9. Nella prospettiva della riforma costituzionale in itinere, assume rilevo l’eliminazione delle materie di competenza concorrente, con inserimento di talune di esse, quale ad esempio, la materia delle “infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza”, nell’elenco delle materie di competenza legislativa statale esclusiva. Non sarebbe, pertanto, più necessario giustificare l’intervento statale evocando, in presenza della fattispecie sopra indicata, il principio di sussidiarietà legislativa.
La riforma in itinere prevede inoltre quale autonoma materia quella relativa a “norme generali sul procedimento amministrativo”, attribuendo la relativa competenza al legislatore statale.
Il mutamento del quadro costituzionale rafforzerà ulteriormente la competenza statale esercitata nell’adozione del presente codice.
II.d).10. Il (pre)vigente codice n. 163/2006 aveva operato una qualificazione e ricognizione dei singoli ambiti disciplinati, riconducibili alla competenza legislativa statale esclusiva, o alla competenza concorrente di Stato e Regioni.
Con una diversa tecnica legislativa, l’art. 2 del presente codice, si limita a statuire in termini generali sulle competenze legislative regionali. Siffatta tecnica è comprensibile nell’attuale contesto in cui è in itinere una riforma costituzionale che inciderà anche sul Titolo V della Costituzione, e che avrà impatto anche sul riparto di competenze nella materia dei pubblici appalti.
Peraltro, una formulazione generale appare non necessaria, operando un “regolamento di confini” che compete alla Costituzione, e non alla legge ordinaria, stabilire.
Sarebbe pertanto preferibile sopprimere del tutto l’art. 2.
Ove si opti per il suo mantenimento, lo stesso andrà riformulato, con
l’uso di una terminologia neutrale e flessibile, che lo renda compatibile sia
con il vigente art. 117 Cost., sia con quello in itinere.
Nelle osservazioni specifiche relative all’art. 2, si indicherà la
riformulazione che si suggerisce.
In relazione ai singoli articoli del codice, ove necessario, si opererà la
verifica dell’ambito di competenza legislativa statale e regionale.
II.e) Codificazione, semplificazione, qualità della regolazione
“formale”, chiarezza del linguaggio normativo
II.e).1. Il presente codice risponde al condivisibile obiettivo del riordino in un unico testo normativo della intera materia dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.
Costituisce uno strumento importante per la “qualità della regolazione” intesa in senso formale e sostanziale, in chiave di semplificazione, chiarezza, coerenza e certezza delle regole, in funzione di corretta amministrazione e prevenzione del contenzioso.
Il miglioramento della regolazione (c.d. better regulation) - tema prioritario in ambito sovranazionale e comunitario, oltre che nazionale (attraverso le leggi annuali di semplificazione e i piani di azione per la semplificazione, la cui cadenza temporale non è sempre rispettata) - costituisce un “valore” più volte ricordato dal Consiglio di Stato nell’esercizio delle sue funzioni consultive [v. da ultimo Cons. St., sez. norm., 18-24 febbraio 2016 n. 343]. II.e).2. La “codificazione” è concetto che si è evoluto rispetto alla sua concezione ottocentesca, presentandosi ora soprattutto la necessità di inserire nei codici, oltre al mero consolidamento formale, anche elementi che comportino una effettiva semplificazione sostanziale [sempre parere 18-24 febbraio 2016 n. 343].
Il miglioramento della qualità della regolazione costituisce l’obiettivo finale rispetto al quale è strumentale la semplificazione, nelle sue tipologie di semplificazione amministrativa (e, segnatamente: organizzativa e procedimentale) e di semplificazione normativa, nei suoi molteplici strumenti.
Si è fatta strada una nozione di “qualità della regolazione” riferita non solo e non tanto alla “qualità formale” dei testi normativi (che devono essere chiari, intelleggibili, accessibili), quanto e soprattutto alla “qualità sostanziale delle regole”, che devono essere delle “buone regole” nella sostanza [v. anche Cons. St., ad. gen., 25 ottobre 2004, n. 2/2004].
Una “buona legge” è:
- una legge “necessaria”, nel senso che non vi sono altre alternative
(nelle leggi già vigenti o negli strumenti amministrativi, o nella deregolamentazione e autoregolamentazione);;
- una legge chiara e comprensibile;;
- una legge completa;;
- una legge sistematica [Cons. St., sez. norm., 21 maggio 2007 n. 2024, reso sul piano di azione per la semplificazione].
II.e).3. Si esamineranno nei paragrafi che seguono i temi afferenti alla qualità della regolazione in chiave sostanziale. Nel presente si esaminerà il tema della qualità formale, non meno rilevante.
La codificazione implica e impone una tecnica di legislazione impegnativa, sul piano tecnico e politico, che guarda al futuro e non alla sola regolazione contingente.
Un codice richiede un quid pluris rispetto alla semplice raccolta in un testo unico, trattandosi di dare anche una sistemazione organica e ordinata alla materia, con una vision di riforma, una chiara enucleazione dei relativi principi, e con il consolidamento e la codificazione degli indirizzi giurisprudenziali, ove attuali e compatibili con i criteri di delega e, soprattutto, con gli obiettivi che si intende raggiungere.
II.e).4. Un codice deve essere tendenzialmente esaustivo e redatto con linguaggio snello e semplice.
La codificazione raccoglie le disposizioni già vigenti, le coordina con quelle di nuovo conio, e guarda al futuro, mirando a evitare la riproliferazione di normative extravaganti.
A tal scopo viene enunciata, tra le clausole finali o iniziali, quella di “riserva di codice”, con cui si chiede, in coerenza con l’obbiettivo dell’”autosufficienza” della codificazione, che ogni futuro intervento normativo nelle materie del codice sia fatto con esplicita modifica del codice medesimo (v. nel presente codice, art. 118).
Nell’intento del legislatore, i codici, i t.u., le leggi quadro (o di portata generale) al cui interno sono collocate clausole di salvaguardia come quella in esame, dovrebbero avere una particolare forza giuridica, tale che non è consentita la modificazione o abrogazione se non con disposizione espressa;; tuttavia tale regola non è posta da nessuna norma della Costituzione, che è l’unica fonte idonea a stabilire la gerarchia delle fonti ad essa subordinate. Sicché una legge ordinaria, ancorché di “sistema” o “generale”, ha la stessa forza e valore di una qualsiasi altra legge e non si sottrae, pertanto, alla possibilità di una abrogazione tacita secondo quanto sancito dall’art. 15 disp. prel. Sul piano formale, si rileva l’impossibilità giuridica che forme di auto rafforzamento contenute in norme
primarie, in modo esplicito o implicito, possano determinare la resistenza passiva di una disposizione rispetto all’abrogazione implicita operata da una fonte successiva equiparata.
Il principio resta perciò privo di vincolatività giuridica per il legislatore successivo, ma non per questo privo di considerevoli effetti giuridici, puntualmente illustrati dal Consiglio di Stato [Cons. St., sez. norm., 26 luglio 2011, n. 2602/11] e dalla Corte costituzionale [sentenza 22 aprile 1997, n. 111], e così sintetizzabili:
a) vincolo esegetico (per cui in caso di dubbio sulla portata abrogatrice o modificativa di una legge successiva, il principio di coerenza dell’ordinamento deve indurre a ritenere che la legge successiva non abbia abrogato o modificato tacitamente la precedente);;
b) effetto monitorio (che indirizza una sorta di messaggio affinché gli atti normativi futuri incidano con chiarezza sull’articolato e non con modificazioni o abrogazioni tacite);;
c) effetto di indirizzo (rispetto all’attività normativa futura, affinché i titolari del potere di iniziativa e coordinamento normativo assicurino – in sede di istruttoria tecnica e soprattutto di ATN, ai sensi della direttiva del Presidente del Consiglio del 1° settembre 2008 – la coerenza del sistema attraverso l’inserzione delle nuove disposizioni all’interno della legge di settore, codice o testo unico che sia, nella logica dell’impegno dei regolatori, nei confronti di cittadini e imprese, al rispetto dei canoni di better regulation).
II.e).5. L’obiettivo di chiarezza ed esaustività del codice rischia di essere tradito se:
a) la ricognizione e il riordino della normativa pregressa non sono completi e non si procede ad abrogazione espressa di tutte le norme superate dalla codificazione;;
b) il successivo legislatore interviene con norme sparse e avulse dal contesto codicistico;;
c) il linguaggio non è chiaro e univoco;;
d) l’attività attuativa del codice – mediante sia la normativa secondaria che la concreta attuazione amministrativa – introduce principi e prassi praeter legem, non recepiti dal codice e a volte anche non coerenti con esso. Quanto più tali parametri tecnici non sono rispettati, tanto più alto sarà il rischio del non pieno raggiungimento degli obiettivi di chiarezza e semplificazione.
Al riguardo, si anticipano le seguenti osservazioni.
II.e).6. Quanto alla completezza della ricognizione e riordino della
normativa pregressa, il Consiglio di Stato suggerirà, in relazione a singoli articoli, ulteriori disposizioni vigenti che possono essere riordinate nel presente codice.
Peraltro, in considerazione dei tempi stretti di attuazione della delega, il completamento del riordino delle fonti previgenti potrà anche essere effettuato in sede di successivo decreto correttivo.
Sotto tale profilo, si segnala la perdurante vigenza di disposizioni relative ai contratti pubblici contenute nella legislazione di contabilità di Stato del 1923-1924, per le quali si raccomanda che, in sede di successivo correttivo, si proceda al completo riordino nell’ambito del presente codice, con la totale, definitiva abrogazione di tale normativa, previo completo assorbimento nel predetto codice di quelle norme (ultranonuagenarie) ritenute ancora di perdurante attualità, ovvero con la loro abrogazione espressa (artt. 3- 21, r.d. 2440 del 1923;; artt. 36 - 123 r.d. 827 del 1924).
Tali disposizioni afferiscono sia ai contratti c.d. passivi (oggetto del presente codice) sia ai contratti c.d. attivi.
Si deve segnalare che la delega, pur prevedendo un riordino a vasto raggio, non ha incluso anche i contratti “attivi” della pubblica amministrazione (a titolo di esempio, locazioni, concessioni demaniali).
Né ad essi sono applicabili “in via diretta” i principi dettati dal codice per i “contratti esclusi”, atteso che l’art. 4 del codice (come già del resto l’art. 27 del (pre)vigente codice) si riferisce ai soli contratti “relativi a lavori, servizi, forniture” che siano esclusi in tutto o in parte dal codice, e non anche ad altre tipologie.
E tuttavia non sembra dubbio che i principi del codice a tutela della concorrenza siano applicabili “per analogia” anche ai contratti attivi della p.a.
È perciò auspicabile che in sede di futura implementazione del codice, vi si possa includere, con legge del Parlamento, o con decreto delegato previo principio di delega, un nucleo di principi applicabili in via diretta, e non per sola analogia, pure ai contratti attivi, quali quelli comunitari a tutela della concorrenza, o quelli sul possesso dei requisiti morali dei contraenti privati.
II.e).7. Si raccomanda, inoltre, una ulteriore ricognizione delle fonti da abrogare, atteso che si determinerebbero incertezze ove restassero in vita sparse norme pregresse.
Costituisce infatti criterio della better regulation il primato dell’abrogazione espressa rispetto a quella tacita. E, invero, è sempre preferibile e doverosa un’abrogazione espressa, rimessa alla univoca voluntas legis,
rispetto a una abrogazione tacita, rimessa all’opinabile e mutevole opera dell’interprete. Dovrà pertanto verificarsi la necessità di abrogare le oltre 50 fonti normative che nel corso degli anni hanno novellato il d.lgs. n. 163/2006 e le altre extravaganti disposizioni che hanno inciso sulla materia.
In relazione all’articolo sulle abrogazioni (art. 217) il presente parere indicherà ulteriori fonti, rispetto a quelle già elencate, che sembrano da abrogare.
II.e).8. In relazione al secondo punto (interventi normativi successivi “e[tracodice”), si esprime l’auspicio che il nuovo codice garantisca una tendenziale stabilità normativa ad un settore nel quale il legislatore, dopo la codificazione del 2006, è intervenuto in modo disorganico e vorticoso, minando la stabilità del quadro regolatorio e la certezza delle regole. Le necessarie modifiche, poi, dovranno intervenire nel rispetto della riserva di codice, e non con disposizioni a esso esterne.
In una prospettiva più generale, nella materia degli appalti pubblici non sarebbero inutili strumenti quali le leggi annuali di revisione, sessioni parlamentari dedicate, al fine di impedire interventi polverizzati e non adeguatamente ponderati.
Soprattutto, andrebbe valutato il “costo” delle continue innovazioni a carico dei privati e delle amministrazioni che hanno appena adeguato i loro processi operativi alle norme precedenti. Tale valutazione, ampiamente utilizzata dalle Autorità di regolazione, può oggi contare su una metodologia di AIR (analisi di impatto della regolamentazione) che è moderna e sistematica (d.P.C.M. 11 settembre 2008, n. 170): andrebbe soltanto utilizzata compiutamente, prima di procedere a nuovi ritocchi normativi e, quindi, a ulteriori interventi modificativi della “certezza” del quadro normativo precedente.
II.e).9. In relazione al terzo punto segnalato – la tecnica linguistica seguita dal presente codice – si raccomanda una rilettura complessiva finale del testo, per eliminare refusi, aporie, duplicazioni di norme, giustificate dal brevissimo tempo (poco più di un mese) entro cui è stato completato lo schema di codice.
Il Consiglio di Stato, in relazione ai singoli articoli, darà il suo contributo, segnalando erronei rinvii interni ed esterni, espressioni non conformi alla definizioni di cui all’art. 3, l’uso non necessario di espressioni in lingua straniera.
II.e).10. L’analisi formale verrà condotta dal Consiglio di Stato sulle singole disposizioni al fine di contribuire alla:
- coerenza interna delle singole disposizioni con le definizioni dell’art. 3. Alcune terminologie non sempre sono usate in modo appropriato, laddove l’uso di un dato termine ha precisi effetti giuridici. Sin da ora si raccomanda di verificare l’uso appropriato delle espressioni “stazione appaltante”, “amministrazione aggiudicatrice”, “ente aggiudicatore”, “soggetti aggiudicatori”, cui rispondono diversi ambiti regolatori, anche comunitariamente vincolati nel recepimento, e di verificare la corretta espressione delle soglie economiche in termini di importo “superiore a”, “pari o superiore a”, “inferiore a”, e la sua coerenza nei singoli articoli rispetto all’articolo di base (art. 35);
- coerenza dei rinvii interni ad altri articoli, titoli, capi del codice, spesso non esatti;; sul punto si raccomanda specificamente una rilettura complessiva dell’articolato, al fine di correggere i rinvii interni non corretti;;
- coerenza formale esterna con il linguaggio e le norme del restante ordinamento giuridico italiano (si segnaleranno, ad es. alcuni richiami a istituti esterni abrogati – quali la d.i.a. o il f.a.l. – o l’uso di terminologie difformi;;
- coerenza sostanziale esterna, con istituti lambiti dal codice e che hanno disciplina organica in altri testi: codice dell’amministrazione digitale, decreto trasparenza, decreto sulle società pubbliche, legge quadro sul procedimento amministrativo, testo unico delle espropriazioni, testo unico dell’edilizia, contratti della difesa e sicurezza, codice dei beni culturali e del paesaggio, codice della legislazione antimafia.
II.e).11. Non sempre le disposizioni del codice adoperano una terminologia di immediata comprensione, ma si tratta spesso dell’inevitabile tributo al recepimento puntuale delle direttive, a loro volta formulate con una tecnica linguistica tarata sull’esigenza di costruire istituti che coniugano e mediano tra le diverse tradizioni giuridiche dei Paesi membri.
Sotto tale profilo, il Consiglio di Stato, pur consapevole della non familiarità del linguaggio delle direttive, condivide la scelta, operata dal codice, di riprodurre fedelmente tale linguaggio. I vantaggi di tale tecnica sono, da un lato, la riduzione del rischio di una trasposizione infedele delle direttive e dei conseguenti contrasti esegetici (favorendo altresì il formarsi di una interpretazione uniforme a cura dei giudici nazionali e del giudice comunitario), dall’altro il rafforzamento del processo di integrazione europea.
II.e).12. Al fine di rendere meglio comprensibili disposizioni
linguisticamente complesse, cui si aggiunge l’elevato tecnicismo, è
auspicabile che i singoli articoli:
- siano ragionevolmente brevi, possibilmente rispettosi del criterio, indicato dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 2 maggio 2001, che auspica che ciascun articolo non superi i dieci commi;;
- abbiano una rubrica corrispondente al contenuto dell’articolo;
- abbiano rubriche individualizzate, e non corrispondenti a quelle di altri articoli del medesimo codice, v. ad. es.: artt. 1 e 164, entrambi rubricati “oggetto e ambito di applicazione”; artt. 59 e 123, entrambi rubricati “scelta delle procedure”; artt. 75 e 131, entrambi rubricati “Inviti ai candidati”; artt. 105 e 174, entrambi rubricati “subappalto”; artt. 99 e 139, entrambi rubricati “relazioni uniche sulle procedure di aggiudicazione degli appalti”;; artt. 150 e 196, entrambi rubricati “collaudo”);;
- evitino reiterazioni eccessive dell’elencazione mediante lettere dell’alfabeto: sotto tal profilo è emblematico l’art. 3 recante le definizioni, che reitera per quasi quattro volte le lettere dell’alfabeto italiano giungendo alla lettera vvvv), per un totale di 83 definizioni;; è in tali casi preferibile utilizzare la tecnica della numerazione progressiva.
II.e).13. Peraltro, a fini di una maggiore chiarezza del testo, è anche necessario che esso sia corredato da tabelle di comparazione con le direttive, i principi di delega e la pregressa disciplina, e da indicazione, sotto la rubrica di ogni articolo, tra parentesi, dei corrispondenti articoli delle direttive, dei principi di delega, delle fonti normative previgenti riordinate (secondo una tecnica già seguita dal (pre)vigente codice degli appalti).
Se i tempi stretti per l’approvazione del codice impediscono l’attuazione contestuale di tale prescrizione, ben sarà possibile una ripubblicazione successiva del codice in Gazzetta Ufficiale, corredato di quanto sopra indicato.
II.e).14. Andranno poi utilizzate tutte le potenzialità consentite da avvisi di rettifica e errata corrige, per eliminare refusi inevitabili in un testo di tale ampiezza, ai sensi degli artt. 8, comma 0, x.X.X. 00 xxxxxxxx 0000, x.
0000;; 14 e 15, d.P.R. 14 marzo 1986, n. 21 [sulla verifica e correzione di refusi ed errori materiali attraverso il ricorso agli istituti dell’errata corrige e dell’avviso di rettifica, v. Cons. St., sez. norm., 26 luglio 2011, n. 2602/11]. È appena il caso di ricordare che la ripubblicazione corredata di tabelle e rubriche aggiornate, gli avvisi di rettifica e gli errata corrige, avendo portata chiarificativa e non innovativa, non sottostanno alla scadenza del termine della delega.
II.f) Codificazione, semplificazione, qualità della regolazione
“sostanziale”;; riduzione degli oneri;; monitoraggio
II.f).1. La filosofia ispiratrice della presente codificazione, quale si desume dai criteri di delega, è quella di un codice chiaro e sintetico, ancorché completo ed esaustivo sul livello primario, affidando il completamento della disciplina a un sistema attuativo più snello e flessibile rispetto al modello tradizionale del regolamento unico di esecuzione e attuazione, che ha sinora avuto il duplice inconveniente di:
- recare una molteplicità di norme di dettaglio, non sempre necessarie o utili;;
- presentare una complessità contenutistica e procedimentale che ne ha comportato l’adozione con enorme ritardo rispetto alla legge primaria (il regolamento esecutivo della legge Merloni del 1994 fu varato solo nel 1999;; il regolamento di esecuzione e attuazione del codice del 2006 fu varato solo nel 2010).
Il livello di difficoltà procedurale di adozione del regolamento è stato, nella prassi recente, tale da indurre non di rado il legislatore a modificare il regolamento con legge, rivelandosi paradossalmente più veloce il procedimento legislativo di quello regolamentare, e producendosi una non corretta rilegificazione di singole disposizioni di una fonte di rango secondario.
II.f).2. L’opzione della legge delega, di abbandonare il modello del regolamento esecutivo e attuativo, va pertanto considerata una moderna e condivisibile scelta politica e culturale di “flessibilità" rispetto a un precedente modello di "iper-regolazione di dettaglio”. Tale scelta, auspicabilmente, comporterà una maggiore celerità nel completamento attuativo della riforma e nel suo aggiornamento funzionale.
Si è già osservato che delega e codice perseguono l’obiettivo della qualità della regolazione anche in chiave sostanziale, di riduzione di oneri e adempimenti non necessari.
Tale obiettivo dovrà essere assicurato anche in sede di adozione degli atti attuativi, che a loro volta dovranno rispondere ai canoni di chiarezza, coerenza e semplificazione, al divieto di gold plating e al generale onere di motivazione giustificativa della introduzione di nuovi oneri informativi e amministrativi.
Sotto quest’ultimo profilo, si ribadisce l’esistenza di un generale principio di contrarietà all’introduzione di nuovi oneri a carico dei privati, anche indipendentemente dal divieto di gold plating, cui devono attenersi il
codice e i successivi gli atti attuativi.
Tale principio deriva, in primo luogo, dalla normativa generale sul regulatory budget secondo la tecnica del one in, one out (cfr. l’art. 3 del d.l. n. 5 del 2012, che ha modificato l’art. 8 della l. n. 180 del 2011) e dalla disciplina dell’AIR (cfr. l’art. 14 della l. n. 246 del 2005 e il citato d.P.C.M. 11 settembre 2008, n. 170).
In secondo luogo, possono rinvenirsi criteri specifici di delega alla “semplificazione sostanziale” di cui alla lett. d) (laddove si riferisce alla “drastica riduzione e razionalizzazione” anche delle “disposizioni … amministrative vigenti”), alle lett. z) e aa), che impongono una riduzione degli “oneri documentali” (le cd. information obligation di matrice comunitaria) e degli “oneri economici”.
In terzo luogo, e soprattutto, la stessa delega impone innovativamente, al comma 3, che la relazione tecnica dia conto non soltanto della “neutralità finanziaria” dei decreti legislativi, ma anche dei “nuovi o maggiori oneri [non solo, quindi, quelli a carico del bilancio pubblico] da essi derivanti”.
II.f).3. Nel paragrafo che segue si esaminerà il tema della tipologia, natura e regime giuridico degli atti attuativi ipotizzati dalla legge delega e contemplati dal codice (linee guida adottate con decreto ministeriale, linee guida vincolanti dell’ANAC, linee guida non vincolanti dell’ANAC).
Ad una sommaria ricognizione degli atti attuativi, questo Consiglio ne ha censiti circa 50:
- 16 decreti del Ministro delle infrastrutture e trasporti;;
- 15 atti dell’ANAC;;
- 4 d.P.C.M.;;
- 15 decreti di altri Ministri;;
- 1 atto demandato a Consip e altre centrali di committenza.
[Si riportano in sintesi gli atti attuativi, il loro contenuto, l’articolo del codice che li prevede:
DECRETI DEL MINISTRO INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
1) art. 21 (pianificazione dei contratti pubblici)
2) art. 22 (opere soggette a dibattito pubblico)
3) art. 23 (contenuto dei livelli della progettazione)
4) art. 24 (requisiti delle forme organizzative dei progettisti)
5) art. 38 (servizio contratti pubblici)
6) art. 73 (indirizzi per la pubblicazione telematica di bandi e avvisi)
7) art. 74 (tariffa per albo e compensi dei commissari di gara)
8) art. 81 (documentazione da inserire nella banca dati nazionale degli appalti pubblici)
9) art. 84 (modalità di qualificazione alternative per i lavori pubblici)
10) art. 89 (individuazione delle opere superspecialistiche)
11) art. 102 (albo nazionale dei responsabili lavori e collaudatori nel caso di affidamento a contraente generale)
12) art. 102 (modalità tecniche del collaudo)
13) art. 111 (attività del direttore dei lavori)
14) art. 111 (attività del direttore dell’esecuzione dei contratti di servizi e forniture)
15) art. 209 (compensi degli arbitri)
16) art. 214 (struttura tecnica di missione)
LINEE GUIDA E ALTRI ANNI DELL’ANAC
1) art. 36 (procedure dei contratti sotto soglia)
2) art. 31 (compiti del RUP)
3) art. 38 (modalità attuative della qualificazione delle stazioni appaltanti)
4) art. 71 (bandi tipo)
5) art. 78 (requisiti per l’iscrizione nell’albo dei commissari di gara)
6) art. 80 (mezzi di prova delle cause di esclusione dalle gare)
7) art. 83 (qualificazione degli operatori economici negli appalti di lavori nei settori ordinari)
8) art. 83 (sistema di penalità e premialità e relative sanzioni)
9) art. 84 (rating di impresa)
10) art. 84 (sistema SOA, vigilanza sulle SOA, vigilanza sul sistema di qualificazione e controlli a campione)
11) art. 84 (revisione straordinaria delle SOA e proposte revisione sistema attuale di qualificazione)
12) art. 110 (requisiti per la partecipazione a gare e esecuzione appalti per operatori economici sottoposti a fallimento o altre procedure di soluzione crisi di impresa)
13) art. 177 (verifica rispetto percentuale di esternalizzazione affidamenti da parte dei concessionari)
14) art. 194 (criteri dell’albo stazioni appaltanti che fanno affidamenti in house)
15) art. 197 (requisiti di qualificazione del contraente generale)
DECRETI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
1) art., 25 (procedimenti semplificati di verifica preventiva dell’interesse archeologico)
2) art. 37 (centrali di committenza dei comuni non capoluogo di provincia)
3) art. 37 (requisiti delle centrali di committenza)
4) art. 212 (organizzazione della cabina di regia)
DECRETI DI ALTRI MINISTRI
1) art. 1 MINESTERI (appalti all’estero)
2) art. 24 MINGIUSTIZIA (corrispettivi per i progettisti)
3) art. 25 MIBAC (elenco soggetti qualificati)
4) art. 34 MINAMBIENTE (criteri di sostenibilità ambientale, percentuale prestazioni negli appalti)
5) art. 44 MINSemplificazionePA (digitalizzazione procedure contrattuali pubbliche)
6) art. 103 MISE (polizze tipo per garanzia di esecuzione)
7) art. 104 MISE (polizze tipo per garanzia di esecuzione per lavori di particolare valore)
8) art. 114 MINSALUTE (servizio di ristorazione ospedaliera)
9) art. 144 MISE (buoni pasto servizio sostitutivo mensa)
10) art. 146 MIBAC (qualificazione per appalti relativi a beni culturali)
11) art. 159 MINDIFESA (appalti nel settore della difesa)
12) art. 185 MEF (definizione delle garanzie per obbligazioni delle società di progetto)
13) art. 201 DPR (approvazione PGTL)
14) art. 203 MININTERNO (monitoraggio infrastrutture e insediamenti prioritari)
15) art. 215 DPR (attribuzione ulteriori compiti al Consiglio superiore lavori pubblici)
CONSIP E ALTRE CENTRALI DI COMMITTENZA
1) art. 41 (revisione accordi e convenzioni quadro)].
L’obiettivo di una regolamentazione sintetica e unitaria, chiaramente conoscibile, rischia così di perdersi nella moltiplicazione degli atti attuativi. Non solo: l’obiettivo di un tempestivo cambio delle vecchie regole rischia di essere frenato nella ritardata adozione degli atti attuativi, così nel frattempo continuando a applicarsi le vecchie regole.
Ove non ben definito l’ambito di ciascun atto attuativo, si determina il rischio di sovrapposizioni e sconfinamenti reciproci. Un rischio di tal genere appare concreto, ad esempio, in relazione alle disposizioni attuative della direzione dei lavori e dei compiti del RUP, affidate rispettivamente al Ministro delle infrastrutture e all’ANAC; direttore dei lavori e r.u.p. sono soggetti che, nella fase di esecuzione del contratto, operano in costante sinergia. Perciò occorre che i relativi compiti siano reciprocamente coordinati e definiti. Sarebbe auspicabile la disciplina dei due organi in unico contesto regolatorio.
II.f).4. È evidente che la scommessa del nuovo codice potrà essere vinta solo se la fase di adozione degli atti attuativi avverrà in modo tempestivo, ordinato e coordinato, sottoposto agli stessi canoni di better regulation illustrati al par. II.e), monitorato: indicazioni più dettagliate saranno quindi rese nei paragrafi seguenti.
Occorre una governance con una visione strategica del quomodo e quando dell’attuazione, che sembra fisiologicamente da intestare alla cabina di regia costituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Si richiede, pertanto, che alla cabina di regia sia affidato lo specifico compito di redigere un piano di azione della fase attuativa del codice, operando una ricognizione degli atti attuativi, delimitandone la sfera di competenza reciproca, coordinando i soggetti chiamati ad adottarli e monitorandone la tempestiva adozione (si rinvia sul punto a quanto si dirà in relazione all’art. 212).
Ulteriore strumento di “manutenzione” della riforma, specie nella prima fase attuativa, potrebbe essere costituito anche dalla proposizione di quesiti al Consiglio di Stato sulle concrete modalità attuative del codice. Il ricorso a tale possibilità, da sempre a disposizione delle amministrazioni competenti, potrebbe essere non solo operato in modo più organico,
ma anche esteso agli stessi destinatari delle regole (come già più ampiamente osservato dal citato parere n. 343 del 2016 della Sezione 34
per gli atti normativi).
Sarà anche indispensabile che si proceda, finché possibile, da parte di ciascuna Amministrazione o Autorità, all’adozione contestuale degli atti di propria competenza, e che comunque, ex post, ciascuna proceda ad una “testunificazione”, raccogliendo e consolidando in un unico testo le regole attuative [Cons. St., sez. norm., 26 luglio 2011, n. 2602/11].
Essenziale sarà anche l’adeguata pubblicizzazione e pubblicità degli atti
attuativi, come si dirà meglio nel paragrafo che segue.
II.f).5. Un’attività diversa, ma non meno importante, di quella attuativa è l’attività di monitoraggio e di valutazione ex post dell’impatto della regolamentazione. Tale attività è cruciale per una riforma che sia davvero “percepita” dagli operatori pubblici e privati, e “rilevata” dai dati statistici e dalle verifiche ex post, nonché punto di partenza essenziale per i successivi interventi correttivi e di fine tuning della riforma.
Anche tale attività dovrà essere posta in capo alla cabina di regia, che dovrà avvalersi appieno di tutti gli strumenti già oggi presenti nell’ordinamento (anche se utilizzati scarsamente e poco efficacemente), quali la VIR di cui al d.P.C.M. 19 novembre 2009, n. 212, di attuazione dell’art. 14 della l. 28 novembre 2005, n. 244.
II.g). L’implementazione del codice;; tipologia, natura e regime giuridico dei suoi atti attuativi
II.g).1. La rilevanza cruciale della ‘fase attuativa’ di qualsiasi processo di cambiamento ordinamentale (a maggior ragione se esso è rilevante quale quello in oggetto) è spesso ingiustamente e ingiustificatamente sottovalutata, come questo Consiglio di Stato ha avuto recentemente modo di ribadire (cfr., da ultimo, il citato parere della Sezione per gli atti normativi n. 343 del 24 febbraio 2016).
Una riforma, per quanto ben costruita, è tale solo quando raggiunge un’effettiva attuazione, che sia in grado di incidere ‘in concreto’ su cittadini e imprese, migliorandone il rapporto con il pubblico potere, semplificando l’esercizio delle attività private, modificando positivamente gli indicatori dell’economia e della qualità della vita.
Rispetto alla redazione del codice, non è di minore importanza la successiva fase di implementazione: l’esperienza internazionale (soprattutto in sede OCSE) insegna che il successo (o il fallimento) di una
riforma dipende soprattutto dalla sua attuazione successiva, tramite la normativa secondaria, la regolazione e i provvedimenti applicativi da parte delle pubbliche amministrazioni.
Tale attività, come si è appena detto (cfr. retro, alla fine del punto II.f), dovrà essere l’oggetto principale della fase di monitoraggio e di valutazione ex post dell’impatto della riforma.
II.g).2. Venendo più specificatamente all’esame degli atti attuativi previsti dalla delega e dal codice, occorre ribadire – come si è detto retro, all’inizio del punto II.f) – che la scelta del legislatore delegante di non prevedere un unico regolamento generale, ma di optare per un sistema attuativo più snello e flessile si rivela, in linea di massima, innovativa e idonea a risolvere alcuni problemi della disciplina precedente.
La stessa scelta richiede, però, che nel codice siano contenute indicazioni chiare e in grado di assicurare ‘in concreto’ il buon funzionamento del nuovo sistema attuativo, la sua efficacia nel fornire indirizzi applicativi e nel risolvere i problemi, la sua aderenza ai criteri di semplificazione e qualità della regolazione contenuti, tra l’altro, nella già citata lettera d) della delega (che richiede anche, come si è visto, una “drastica riduzione e razionalizzazione del complesso delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative vigenti” e un “più elevato livello di certezza del diritto e di semplificazione dei procedimenti”).
La legge delega prevede una varietà di strumenti attuativi, cui si fa riferimento in punti diversi: ciò richiede uno sforzo di inquadramento unitario e sistematico, che appare propedeutico alla effettiva approvazione dei circa cinquanta atti attuativi emersi a seguito della prima, sommaria ricognizione sopra elencata.
Le disposizioni da considerare per tale inquadramento sono contenute, nella delega, sia tra i principi e criteri direttivi sia nelle successive disposizioni procedurali:
- un primo criterio direttivo è enunciato all’art. 1, comma 1, lett. t), la quale pone in capo all’ANAC, accanto a vari poteri “di controllo, raccomandazione, intervento cautelare, di deterrenza e sanzionatorio”, quello di adozione di “atti di indirizzo, quali linee guida, bandi-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile”, eventualmente “dotati di efficacia vincolante”, comunque impugnabili in sede giurisdizionale amministrativa.
- la successiva lettera u) demanda poi allo schema di decreto legislativo l’individuazione dei casi in cui all’adozione degli atti di indirizzo debba seguire la trasmissione alle Camere di “apposite relazioni”;
- fuori dai criteri e principi direttivi, i commi 4 e 5 dell’art. 1 della delega, nell’ipotizzare che il decreto di riordino (che il Governo ha optato di adottare contestualmente al decreto di recepimento) abroghi il regolamento di esecuzione e attuazione del vigente codice dei contratti pubblici, prescrivono che sulla base di detto decreto sono, “altresì, emanate linee guida di carattere generale proposte dall’ANAC e approvate con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che sono trasmesse prima dell'adozione alle competenti Commissioni parlamentari per il parere”.
II.g).3. Alla stregua di tali – non contestuali – indicazioni si identificano tre diverse tipologie di atti attuativi:
a) quelli adottati con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, su proposta dell’ANAC, previo parere delle competenti commissioni parlamentari;;
b) quelli adottati con delibera dell’ANAC a carattere vincolante erga omnes, e in particolare le linee guida;;
c) quelli adottati con delibera dell’ANAC a carattere non vincolante. Appare necessario individuare in questa sede la natura giuridica di tali provvedimenti (ministeriali e dell’ANAC), nonché la loro collocazione nella gerarchia delle fonti del diritto. Ciò sia per individuare una chiara disciplina sul piano procedimentale e delle garanzie per gli stakeholders, sia per evitare inutili, anzi onerose e defatiganti incertezze applicative (che possono derivare anche dal riferimento improprio, operato dai primi commentatori, al concetto di soft regulation, estraneo all’ordinamento nazionale e comunque troppo generico, in assenza di una definizione della sua disciplina sostanziale e procedimentale).
In altri termini, la suddetta operazione interpretativa è necessaria proprio per assicurare al quadro regolatorio, che Ministero e ANAC dovranno comporre sulla base della cornice legislativa in esame, quella necessaria organicità, “razionalizzazione” e “chiarezza” richieste dallo stesso legislatore delegante, alla lett. d).
A tale scopo, la legge n. 11 del 2016 offre utili indicazioni esegetiche che si prestano a una interpretazione in chiave sistematica e ricostruttiva
Dal punto di vista sostanziale, la delega riconduce le linee guida e gli atti in questione al genere degli “atti di indirizzo” (lett. t) e li qualifica come strumenti di “regolamentazione flessibile” (termine anch’esso estraneo al nostro sistema delle fonti, di cui va qui identificata la disciplina applicabile).
Dal punto di vista procedimentale, la delega non reca alcuna disciplina, né rinvia ad atti-fonte del Ministero o della stessa ANAC. L’unica disposizione specifica al riguardo è quella (lett. u) che prevede la trasmissione alle Camere di apposite relazioni nei casi individuati dal codice, oltre a quella prevista dal citato comma 5 dell’art. 1 della legge delega per le linee guida “ministeriali”. L’art. 213, comma 2, secondo periodo dello schema di codice identifica (non senza genericità) gli atti da trasmettere in quelli “ritenuti maggiormente rilevanti in termini di impatto della regolamentazione”.
II.g).4. Alla stregua di quanto esposto, questo Consiglio di Stato ritiene che le linee guida e gli altri decreti ‘ministeriali’ (ad esempio, in tema di requisiti di progettisti delle amministrazioni aggiudicatrici: art. 24, comma 2; e direzione dei lavori: art. 111, commi 2 e 3) o ‘interministeriali’ (art. 144, comma 5, relativo ai servizi di ristorazione) abbiano una chiara efficacia innovativa nell’ordinamento, che si accompagna ai caratteri di generalità e astrattezza delle disposizioni ivi previste.
Pertanto, anche indipendentemente dal nomen juris fornito dalla delega e dallo stesso codice (che potrà comunque precisarlo in sede di approvazione definitiva, nei singoli articoli di riferimento), tali atti devono essere considerati quali ‘regolamenti ministeriali’ ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con tutte le conseguenze in termini di:
- forza e valore dell’atto (tra l’altro: resistenza all’abrogazione da parte di fonti sotto-ordinate, disapplicabilità entro i limiti fissati dalla giurisprudenza amministrativa in sede giurisdizionale);;
- forma e disciplina procedimentale stabilite dallo stesso comma 3 (ad esempio: comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri prima della loro emanazione) e dal successivo comma 4 della legge da ultimo citata;;
- implicazioni sulla potestà regolamentare costituzionalmente riconosciuta a favore delle Regioni (art. 117, sesto comma, Cost.), tenuto conto dell’esistenza nella materia dei contratti pubblici di titoli di competenza di queste ultime (cfr. Corte Cost., sentenza 23 novembre 2007, n. 401);;
- rispetto alle regole codificate nell’art. 17, comma 3, della legge n. 400 del
1988 per i regolamenti ministeriali, la legge delega “rafforza” il
procedimento, prescrivendo in aggiunta – nell’evidente considerazione dell’importanza e delicatezza della materia – il parere delle competenti commissioni parlamentari.
II.g).5. Diverso discorso deve farsi per le linee guida dell’ANAC.
Mentre quelle a carattere “non vincolante” appaiono pacificamente inquadrabili come ordinari atti amministrativi, qualche considerazione in più richiedono le linee guida a carattere “vincolante” (ad esempio: art. 83, comma 2, in materia di sistemi di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici;; art. 84, comma 2, recente la disciplina degli organismi di attestazione SOA;; art. 110, comma 5, lett. b), concernente i requisiti partecipativi in caso di fallimento;; art. 197, comma 4, relativo ai requisiti di qualificazione del contraente generale), e gli altri atti innominati aventi il medesimo carattere (art. 31, comma 5, relativo ai requisiti e ai compiti del
r.u.p. per i lavori di maggiore complessità;; art. 197, comma 3, di definizione delle classifiche di qualificazione del contraente generale) e comunque riconducibili all’espressione “altri atti di regolamentazione flessibile”. Il riconoscimento per tali provvedimenti di una vera e propria natura normativa extra ordinem – pure proposta da taluno – suscita non poche perplessità di tipo sistematico e ordinamentale, soprattutto in assenza di un fondamento chiaro per un’innovazione così diretta del nostro sistema delle fonti.
Questo Consiglio di Stato ritiene, invece, preferibile l’opzione interpretativa che combina la valenza certamente generale dei provvedimenti in questione con la natura del soggetto emanante (l’ANAC), la quale si configura a tutti gli effetti come un’Autorità amministrativa indipendente, con funzioni (anche) di regolazione. Pertanto, appare logico ricondurre le linee guida (e gli atti a esse assimilati) dell’ANAC alla categoria degli atti di regolazione delle Autorità indipendenti, che non sono regolamenti in senso proprio ma atti amministrativi generali e, appunto, ‘di regolazione’.
Tale ricostruzione consente di chiarire e di risolvere una serie di problemi sul piano applicativo.
In primo luogo, essa non pregiudica, ma anzi riconferma, gli effetti vincolanti ed erga omnes di tali atti dell’ANAC, come disposto dalla delega (in particolare dalla lett. t), che come si è detto parla di “strumenti di regolamentazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolante”.
In secondo luogo, tale assimilazione consente di assicurare anche per questi provvedimenti dell’ANAC tutte le garanzie procedimentali e di qualità della regolazione già oggi pacificamente vigenti per le Autorità
indipendenti, in considerazione della natura ‘non politica’, ma tecnica e amministrativa, di tali organismi, e della esigenza di compensare la maggiore flessibilità del ‘principio di legalità sostanziale’ con un più forte rispetto di criteri di ‘legalità procedimentale’. Tra queste, se ne segnalano in particolare tre:
- l’obbligo di sottoporre le delibere di regolazione ad una preventiva fase di ‘consultazione’, che costituisce ormai una forma necessaria, strutturata e trasparente di partecipazione al decision making process dei soggetti interessati e che ha anche l’ulteriore funzione di fornire ulteriori elementi istruttori/motivazionali rilevanti per la definizione finale dell’intervento regolatorio;;
- l’esigenza di dotarsi – per gli interventi di impatto significativo – di strumenti quali l’analisi di impatto della regolazione-AIR e la verifica ex post dell’impatto della regolazione-VIR, strumenti per i quali occorrerà sviluppare modelli ad hoc per l’ANAC, sulla scorta di quanto già attualmente fanno le Autorità di regolazione (e secondo quanto già prevedeva l’art. 8, comma 1, d.lgs. n. 163/2006 per l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici);;
- la necessità di adottare tecniche di codificazione delle delibere di regolazione tramite la concentrazione in “testi unici integrati” di quelle sulla medesima materia (best practice ormai diffusa presso le principali Autorità di regolazione, in primis quella per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico): tale strumento appare significativamente necessario per il settore degli appalti allo scopo di evitare il rischio di proliferazione delle fonti che si volevano ridurre e di perdita di sistematicità ed organicità dell’ordinamento di settore, violando in sede attuativa il vincolo a una “drastica riduzione” dello stock normativo imposto dalla lett. d) della delega. In terzo luogo, tale ricostruzione consente anche la realizzazione, per gli “atti di regolazione” dell’ANAC, di forme di adeguata pubblicità: certamente sul sito della stessa Autorità, che andrà appositamente strutturato, ma anche per una pubblicità sulla Gazzetta Ufficiale, non richiesta per le autorità amministrative indipendenti ma altamente opportuna, ad avviso di questo Consiglio di Stato, in ragione della trasversalità della materia dei contratti pubblici e della latitudine dell’ambito applicativo dei provvedimenti de quibus. Una chiara previsione sulla pubblicità di tali delibere – da inserire, nel caso, all’art. 213 dello schema – rende meno delicata (e comunque lascia impregiudicata) la questione se debba o meno essere disposta la successiva comunicazione alle Camere (come pure sarebbe preferibile ai fini della
conoscibilità del quadro regolatorio da parte degli operatori del settore), che in base allo schema di decreto sussiste solo in virtù di un requisito sostanziale di tipo rinforzato (rilevante impatto regolatorio), ancorché privo di una definizione oggettiva.
In quarto luogo, pur in assenza del parere obbligatorio del Consiglio di Stato ex art. 17 della l. n. 400 del 1988, si rileva che tale sostegno consultivo resta pur sempre possibile in via facoltativa, sotto forma di quesito, sia in ragione della generalità delle questioni e dell’impatto erga omnes dei provvedimenti, sia per analogia con l‘art. 17, comma 25, della l. 15 maggio 1997, n. 127, che prevede il parere obbligatorio del Consiglio sugli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni dei Ministeri. Per ultimo, ma non da ultimo, resta confermata la piena giustiziabilità delle linee guida dell’ANAC di fronte al giudice amministrativo, peraltro affermata chiaramente già dalla legge delega (lett. t).
In conclusione, la esposta ricostruzione appare compatibile, oltre che con il dettato della delega e con il sistema delle fonti, anche con l’esigenza inderogabile di un riformato contesto di ‘qualità’ e ‘certezza regolatoria’, con valenza erga omnes (che le Authorities di regolazione già oggi garantiscono, nei loro settori, quando si attengono agli indicati principi di better regulation).
II.g).6. Un ultimo rilievo preliminare va compiuto in ordine alla perimetrazione delle due tipologie di linee guida (ministeriali e ANAC).
Alla stregua delle suesposte considerazioni relative alla natura giuridica di tali provvedimenti (rispettivamente, regolamentare e regolatoria), si demanda al Governo l’opportunità di (ri)valutare l’attribuzione all’una o all’altra tipologia di atto la disciplina di alcune materie (cfr., in particolare, gli artt. 83 e 84).
II.h) I decreti correttivi
II.h).1. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del codice, il Governo potrà adottare disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi e della procedura dettati dalla delega per il codice (art. 1, comma 8, legge delega).
La ristrettezza dei tempi di esercizio della delega (meno di tre mesi dalla data di entrata in vigore di quest’ultimo), imporrà un supplemento di riflessione su alcuni istituti innovativi.
Sicché, se ordinariamente i decreti correttivi intervengono dopo un congruo periodo di applicazione pratica di codici e testi unici, al fine
di emendare difetti emersi, nel caso specifico è prevedibile che già all’indomani della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del codice, si dovrà essere pronti a lavorare a un affinamento delle sue disposizioni al fine, ove necessario, di rapide correzioni.
Del resto la legge delega non pone limiti al numero di decreti correttivi,
nell’ambito del periodo temporale massimo consentito.
Anche in questo caso, si confida che la Cabina di regia possa assumere un
ruolo di coordinamento nell’opera emendativa.
II.h).2. Si deve sotto altro profilo rilevare che i correttivi conseguono un effetto utile se intervengono dopo un ragionevole periodo di applicazione pratica, necessario per una compiuta verifica di impatto della regolamentazione. Nel caso di codificazioni settoriali, specie se, come in questo caso, vi sono numerosi regimi transitori, un periodo ragionevole di osservazione è almeno biennale.
Sicché, l’obiettivo del correttivo rischia di essere vanificato se viene previsto un periodo troppo breve.
Sotto tale profilo, questo Consiglio esprime l’auspicio che il Governo possa sensibilizzare il Parlamento in ordine a un allungamento da uno a due anni del termine per i correttivi.
II.h).3. Una volta completata la fase di prima “messa a punto” della disciplina, si ribadisce l’esigenza che i successivi decreti correttivi muovano da una effettiva rilevazione, “in concreto”, delle disfunzioni della normativa vigente, ovvero del mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati. Tale rilevazione è oggi perseguibile con corrette tecniche di VIR (cfr. retro, il punto II.f).5). Senza tale analisi preventiva, anche i correttivi rischiano di trasformarsi in un ulteriore intervento poco efficace, se non oneroso e controproducente.
II.i) La fase transitoria
II.i).1. La legge delega impone, tra i suoi criteri, anche che siano garantiti “in ogni caso l'effettivo coordinamento e l'ordinata transizione tra la previgente e la nuova disciplina” (art. 1, comma 1, lett. b), legge delega).
Questo Consiglio ha operato, e ne darà conto in relazione all’art. 216, una disposizione dei regimi transitori dettati dal codice: in parte nell’art. 216 citato, in parte in altri articoli del codice. Sembrano tuttavia emergere ambiti regolatori rimessi a futuri atti attuativi, per i quali non sono stabiliti regimi transitori, a fronte di una immediata abrogazione integrale della precedente disciplina, segnatamente il d.lgs. n. 163/2006 e il d.P.R. n.
207/2010.
Si segnala, peraltro, che la precedente disciplina resta da un lato integralmente applicabile non solo ai contratti per i quali i bandi siano già stati pubblicati, ma anche ai nuovi affidamenti, per quegli ambiti per i quali gli atti attuativi nuovi non siano ancora varati, e finché non vengano varati.
Si può quindi determinare un periodo di confusione e incertezza applicativa, non rispettoso del principio di delega che chiede una “ordinata transizione” tra il vecchio e il nuovo.
II.i).2. In questa prospettiva, si suggerisce di affidarsi a una tecnica normativa già sperimentata e tipica del meccanismo di delegificazione di cui all’art. 17, comma 2, della l. n. 400 del 1988 (su cui cfr. la vasta e consolidata giurisprudenza consultiva di questo Consiglio di Stato). Secondo tale modello di cd. “cedevolezza” delle disposizioni abrogate, resta in capo al codice l’effetto abrogante del d.P.R. n. 207/2010, ma il concreto venir meno delle singole normative previgenti è differito temporalmente al momento dell’entrata in vigore dei singoli atti sostitutivi di attuazione del nuovo codice, quale che sia la loro natura giuridica (linee guida ministeriali, atti ANAC, etc.).
A questi ultimi viene altresì assegnato dal codice anche il compito di recare una esplicita ricognizione delle disposizioni che vengono sostituite e che pertanto cessano di avere efficacia (si rinvia alle più dettagliate considerazioni sub artt. 216 e 217).
Certo, tale meccanismo ha come controindicazione il dilatarsi dei tempi di effettiva scomparsa della precedente normativa, ma questa circostanza appare comunque preferibile ai dubbi e alle incertezze del vuoto normativo. Peraltro, questo rischio può essere considerevolmente ridotto da una efficace e sistematica attività di monitoraggio da parte della cabina di regia.
Appare, comunque, opportuno inserire anche una disposizione abrogativa di chiusura, secondo la tecnica del guillottine system, che preveda comunque la definitiva scomparsa del regolamento dopo un congruo termine e che sarà dettagliata infra, tra le osservazioni all’art. 217.
III) Gli istituti che richiedono particolare riflessione
Per esigenze di chiarezza e sintesi si formuleranno osservazioni articolo per articolo.
Nel presente paragrafo, in modo riassuntivo, si sintetizzano i temi che richiedono particolare riflessione;; in sede di esame dei singoli articoli, ove possibile, si suggeriranno interventi diretti, diversamente si
forniranno spunti per il futuro decreto correttivo.
III.a) Ambito di applicazione del codice (art. 1, codice)
L’art. 1, ultimo comma, sembra ridimensionare la portata generale e unificante del codice, facendo salve tutte le speciali disposizioni vigenti per non meglio definite “amministrazioni, organismi e organi dello Stato dotati di autonomia finanziaria e contabile”.
Trattasi di una generalizzata sottrazione al codice che non sembra trovare appigli nelle direttive, né nella delega, né nella relazione illustrativa e nell’AIR.
Diversa questione è quella posta e risolta dalla legge delega, con norma immediatamente precettiva, in ordine agli organi costituzionali che “stabiliscono nei propri ordinamenti modalità attuative dei princìpi e criteri direttivi previsti dalla presente legge nell'ambito delle prerogative costituzionalmente riconosciute” (art. 1, comma 7, legge delega) (si rinvia a quanto si dirà sub art. 1, codice).
III.b) Contratti esclusi e affidamenti sotto soglia (artt. 4 e 36 codice) Si auspica una prudenza del codice, quanto meno iniziale, nel tasso di semplificazione delle procedure degli affidamenti sotto soglia. Semplificazione che può tradursi in una perdita di concorrenza e partecipazione, atteso anche, in virtù del “combinato disposto” della divisione in lotti, l’elevato valore complessivo delle commesse sotto soglia rispetto al totale degli appalti aggiudicati in Italia.
III.c) Centralizzazione della committenza e qualificazione delle stazioni appaltanti (artt. 37 ss. codice)
E’ già da qualche anno in corso una riflessione sull’esigenza di ridurre il
numero delle stazioni appaltanti italiane (censite in oltre 32.000).
Già la legislazione d’urgenza del 2014 ha avviato un concreto processo di riduzione e centralizzazione degli affidamenti: l’art. 9, d.l. n. 66/2014 ha istituito presso l’ANAC l’elenco di soggetti aggregatori, in numero non superiore a 35; l’elenco è stato in prosieguo istituito con delibera ANAC del 23 luglio 2015 e aggiornato con delibera ANAC 10 febbraio 2016, n. 125 e contempla allo stato 33 soggetti aggregatori, ivi comprese le centrali di committenza per ciascuna Regione, o Provincia autonoma.
Le nuove direttive comunitarie offrono un ampio ventaglio di modelli di centralizzazione, anche attraverso centrali di committenza transfrontaliere.
Il codice, portando a ulteriore sviluppo la riflessione già avviata, da un lato sfrutta tutte le potenzialità offerte dalle direttive in tema di centralizzazione degli affidamenti, dall’altro fissa regole puntuali che obbligano le amministrazioni ad avvalersi di centrali di committenza.
L’ambito entro cui ciascuna amministrazione può svolgere funzioni di stazione appaltante viene circoscritto sul piano soggettivo, imponendosi alle amministrazioni un onere di conseguire la qualificazione e circoscrivendosi a importi limitati gli appalti che possono essere affidati da amministrazioni non qualificate.
Sono state operate scelte innovative in una prospettiva di efficienza, semplificazione, maggiore efficacia dei controlli.
Invero, le nuove procedure e criteri di affidamento, particolarmente innovativi – si pensi al dialogo competitivo, al partenariato per l’innovazione, alla offerta economicamente più vantaggiosa - richiedono stazioni appaltanti competenti e specializzate, che padroneggino gli strumenti e siano in grado di governare le procedure.
Tali livelli di efficienza possono raggiungersi solo in capo a amministrazioni di adeguate dimensioni, con un corpo di dipendenti specificamente dedicato, formato e costantemente aggiornato.
Sicché, la sfida di competitività affidata alle nuove procedure, necessita che rapidamente si proceda alla riduzione del numero e qualificazione delle stazioni appaltanti.
Avuto riguardo ai criteri di qualificazione fissati dal codice per le stazioni appaltanti e che saranno in dettaglio declinati dalle linee guida dell’ANAC, è verosimile che le amministrazioni dovranno procedere a processi di riorganizzazione interna: è auspicabile che in ciascuna amministrazione le funzioni di stazione appaltante siano concentrate in un unico ufficio/direzione, anziché, come oggi sovente accade, in una pluralità di uffici tecnico-amministrativi collocati in diverse direzioni o dipartimenti.
Si osserva, infine, che, se è importante ridurre le stazioni appaltanti per specializzarle, da un lato è necessario un rigoroso sistema di controlli e vigilanza sulle grandi stazioni appaltanti e grandi centrali di committenza, e dall’altro, occorre evitare che un oligopolio sul versante della domanda possa penalizzare, su quello dell’offerta, le PMI. Sotto tale profilo il principio di delega che esige misure di tutela delle PMI nei confronti della grande committenza va soddisfatto ponendo nel codice chiari confini ai poteri demandati agli atti attuativi di Xxxxxx e altre centrali di committenza.
III.d) Requisiti morali, requisiti reputazionali, rating di impresa, premialità e penalità, qualificazione degli operatori economici, soccorso istruttorio, coordinamento con la disciplina antimafia (artt. 80 e ss. codice)
La materia dei requisiti morali e di capacità tecnica e economica ha sinora avuto una disciplina complessa, che ha statisticamente costituito una importante percentuale del contenzioso sugli appalti pubblici.
Il nuovo codice segna anche in questo ambito un significativo cambio di passo, avviando un’evoluzione da un sistema “statico” di requisiti formali verso un sistema “dinamico” di requisiti sostanziali, di tipo reputazionale, e ponendo le premesse per una revisione del sistema di qualificazione incentrato sulle SOA.
Tuttavia le cause di esclusione per difetto di requisiti morali necessitano verosimilmente di una formulazione più chiara e fruibile da parte delle stazioni appaltanti, nonché di un migliore coordinamento con il codice penale e la legislazione antimafia. Potrebbe inoltre essere opportuno non rinunciare a alcuni criteri moralizzatori di maggior rigore della disciplina italiana, contenuti nel (pre)vigente art. 38, d.lgs. n. 163/2006.
La giusta esigenza di requisiti reputazionali non potrà andare a scapito dell’insopprimibile diritto costituzionale di azione in giudizio (art. 24 Cost.), potendosi e dovendosi piuttosto stigmatizzare gli abusi del processo perpetrati con liti emulative e condotte processuali dilatorie (v. art. 84, comma 4, lett. d), codice).
Sul sistema di qualificazione degli operatori economici dovranno rispettarsi i tempi ipotizzati per una revisione straordinaria e una successiva riflessione sul mantenimento o modifica del modello SOA.
Sul soccorso istruttorio occorre un’attenta valutazione dell’evoluzione giurisprudenziale su un istituto di nascita recente e non adeguatamente inserito nel tessuto dei nuovi istituti codicistici (tra cui il documento di gara unico europeo).
Quanto alla disciplina antimafia, la stessa risulta richiamata in più articoli del codice (vedi: art. 47, commi 17 e 18;; art. 80, comma 2, art. 89, comma
5;; art. 108, comma 2, lett. b);; art. 110;; art. 194, commi 8 e 10).
Xxxxx, tuttavia, una clausola generale di salvezza di quanto disposto nella vigente normativa antimafia, contenuta, invece, nell’abrogando codice appalti del 2006 (art. 247).
Una siffatta clausola potrebbe essere utile nelle more di una più approfondito coordinamento del nuovo codice con il d.lgs. n.
159/2011 a sua volta oggetto di continui aggiornamenti normativi,
coordinamento da operarsi in sede di decreto correttivo del codice.
III.e) Offerta economicamente più vantaggiosa (art. 95 codice)
La manifesta preferenza delle direttive e della legge delega per tale criterio ne impone una declinazione chiara volta a renderne l’applicazione effettiva, limitandone l’ambito solo nello stretto necessario imposto dai principi di delega, evitando elusioni e fughe nel più semplice, ma più “controverso”, metodo del prezzo più basso.
Il monitoraggio nei primi anni di applicazione sarà essenziale per
comprenderne l’effettiva applicazione e portata.
III.f) Qualità della progettazione e separazione tra progettazione ed esecuzione (artt. 23, 24, 95, 180, 183 codice)
La centralità e la qualità della progettazione sono declinate dalla delega e dal codice attraverso vari istituti: i livelli della progettazione, la verifica dei progetti, la qualificazione dei soggetti ammessi agli appalti di servizi di progettazione e concorsi di progettazione, il concorso di idee, la regola della ordinaria separazione tra affidamento della progettazione e affidamento dell’esecuzione, il divieto di utilizzo del criterio del prezzo più basso per affidare servizi di progettazione;; le specifiche regole per la progettazione negli appalti relativi a beni culturali.
Tali principi esigono puntuale e celere adozione delle discipline attuative, in particolare in tema di livelli della progettazione e requisiti dei progettisti.
La delega, poi, vieta l’utilizzo del criterio del prezzo più basso nell’affidamento di servizi afferenti all’ingegneria e all’architettura e dei servizi di natura tecnica (art. 1, comma 1, lett. oo). Di tale principio si indicheranno quelle che sembrano le più corrette modalità applicative, in sede di esame dell’art. 95.
Dovrà anche esservi un monitoraggio volto a verificare che negli affidamenti di servizi e concorsi di progettazione, e concorsi di idee, non vi siano interpretazioni elusive dell’art. 95 e fughe nel criterio del prezzo più basso, che non garantirebbe la qualità progettuale.
Il principio di tendenziale separazione tra progettazione ed esecuzione orienterà le indicazioni da parte di questo Consiglio su singoli articoli nei quali residua un margine di ambiguità.
III.g) Dibattito pubblico e partecipazione dei portatori di interessi (art. 22)
Il nuovo (per la legislazione statale) istituto del dibattito pubblico, già peraltro introdotto da molte leggi regionali e diffuso in ordinamenti stranieri, è uno strumento essenziale di coinvolgimento delle collettività locali nelle scelte di localizzazione e realizzazione di grandi opere aventi rilevante impatto ambientale, economico e sociale sul territorio coinvolto. Uno strumento di partecipazione democratica che in prospettiva assicura una maggiore accettazione sociale dell’opera, previene contenzioso, accelera la realizzazione dell’opera stessa.
Una disciplina puntuale, effettiva, efficace, che assicuri al contempo partecipazione senza un eccesso di polverizzazione della stessa, costituisce un impegno difficile ma anche una sfida non rinviabile.
Anche su tale istituto si raccomanda un’attenta attività di monitoraggio,
anche al fine di eventuali disposizioni correttive.
III.h) Appalti della protezione civile (art. 163 codice)
Si chiede particolare riflessione nel recepimento dei criteri di delega relativi agli appalti della protezione civile.
La legge delega dispone “l) previsione di disposizioni concernenti le procedure di acquisizione di servizi, forniture e lavori da applicare in occasione di emergenze di protezione civile, che coniughino la necessaria tempestività d'azione con adeguati meccanismi di controllo e pubblicità successiva, con conseguente espresso divieto di affidamento di contratti attraverso procedure derogatorie rispetto a quelle ordinarie, ad eccezione di singole fattispecie connesse a particolari esigenze collegate alle situazioni emergenziali”.
Il codice a sua volta li disciplina negli artt. 63 e 163, rispettivamente quale ipotesi nominata di quella “estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili” (che secondo le direttive comunitarie giustifica il ricorso alla procedura negoziata senza bando, purché “nella misura strettamente necessaria”), e tra i casi di utilizzo dell’affidamento diretto di somma urgenza.
Peraltro, da un lato, non è necessaria una menzione espressa degli eventi di protezione civile tra i casi di estrema urgenza che giustificano l’utilizzo della procedura negoziata senza bando, atteso che la menzione potrebbe avere solo portata esemplificativa e mai riduttiva del rigore delle prescrizioni comunitarie.
Dall’altro lato nell’art. 163, che àncora le procedure derogatorie al verificarsi degli “eventi” o alla “previsione del loro imminente verificarsi”, e che non fissa limiti di importo, dovrà usarsi una terminologia univoca al fine di delimitare i presupposti della deroga alle procedure ordinarie, quanto a:
- tipologia degli eventi (solo quelli della lett. c) dell’art. 2, l. n. 225/1992);;
- ambito della “previsione dell’imminente verificarsi degli eventi”, che deve essere - una previsione ragionevole, ancorata a parametri oggettivi e scientifici, e riferita ad una rilevante probabilità del verificarsi degli eventi;;
- misura strettamente necessaria della deroga;;
- limiti di importo, comunque inferiori alle soglie comunitarie.
Dovrà inoltre esserci un supplemento di riflessione in ordine alla mancata abrogazione espressa di vigenti norme extravaganti che attualmente consentono deroghe in materia di affidamenti di appalti della protezione civile, norme di cui si potrebbe giustificare l’abrogazione espressa o perché è superata l’esigenza che ne costituiva il presupposto applicativo, o perché il regime derogatorio non è più in linea con la nuova disciplina (v. a titolo di esempio art. 2, comma 9, d.l. n. 39/2009;; art. 4, comma 3-ter, d.l. n. 74/2012).
III.i) Appalti nei settori speciali (artt. 114, 122, 123)
In relazione agli appalti nei settori speciali si impone una osservazione di carattere generale, che costituirà la chiave di lettura dei rilievi puntuali.
Il (pre)vigente codice appalti ha optato per un recepimento unitario delle dure direttive del 2004, nn. 17 e 18, relative ai settori speciali e ordinari. A tal fine, dopo aver dettato la disciplina per gli appalti nei settori ordinari, ha individuato quali di queste disposizioni fossero applicabili nei settori speciali, con una disposizione-elenco (art. 206 previgente) e poi ha dettato le norme autonome e specifiche.
Anche il presente codice opta per un recepimento unitario delle direttive, e dopo aver dettato disposizioni comuni e disposizioni per i settori ordinari, individua, per i settori speciali, la disciplina applicabile con una triplice tecnica:
- la inclusione, già nella parte generale, di disposizioni specifiche per i settori speciali;;
- la ricognizione delle disposizioni applicabili, dettate per i settori ordinari;;
- le disposizioni specifiche.
Tuttavia, la individuazione delle disposizioni dei settori ordinari applicabili nei settori speciali non avviene in un unico articolo ricognitivo (come fa il (pre)vigente art. 206), ma con una serie di rinvii plurimi e tra loro non sempre coordinati.
Norme di rinvio alla disciplina dei settori ordinari sono contenute negli artt. 114, 122, 127, 133 tutti e quattro articoli nel cui corpo si richiamano in blocco gruppi di articoli della disciplina dei settori
ordinai;; ulteriori rinvii puntuali alla disciplina dei settori ordinari sono contenuti negli artt. 123 124, 125, 126, 127, 130, 132 (che rinviano, rispettivamente: alla disciplina ordinaria per dialogo competitivo e partenariato per l’innovazione; all’art. 91 sulla forcella; all’art. 80 sui requisiti morali;; ad alcune previsioni degli artt. 52 e 53;; agli artt. 73 e 74;; all’art. 73;; agli artt. 76 e ss.).
Tale tecnica comporta l’effetto pratico che in molti casi si rendono applicabili ai settori speciali le più severe disposizioni previste dal diritto comunitario per i settori ordinari (ad. es. in tema di presupposti per dialogo competitivo e partenariato per l’innovazione), ovvero disposizioni di maggior rigore dettate dal legislatore nazionale per i settori ordinari e finora non applicabili nei settori speciali (nell’impianto del d.lgs. n. 163/2006).
La legge delega pone per i settori speciali i principi della “puntuale indicazione… delle disposizioni ad essi applicabili”, “anche al fine di favorire la trasparenza nel settore e la piena apertura e contendibilità dei relativi mercati”;; per gli affidamenti sotto soglia, si prevede la facoltà per le imprese pubbliche dei settori speciali di applicare la disciplina stabilita nei rispettivi regolamenti nel rispetto dei principi del TFUE a tutela della concorrenza (lett. hh) e lett. ii) legge delega).
Questa Commissione speciale ritiene che i principi di delega che impongono nei settori speciali la trasparenza e l’apertura dei mercati supportino la scelta del codice di estendere ai settori speciali disposizioni di maggior rigore in tema di trasparenza e pubblicità (artt. 29 e 79 codice), e quelle in materia di dibattito pubblico (art. 22): non si tratta di oneri amministrativi non necessari, ma di regole proconcorrenziali, nel primo caso, ovvero, nel secondo caso, di strumenti di partecipazione democratica delle collettività locali alle scelte di localizzazione delle opere pubbliche, ivi comprese quelle dei settori speciali quali reti ferroviarie, porti, aeroporti.
L’obiettivo della trasparenza e apertura dei mercati fa ritenere corretta anche l’ulteriore opzione del codice di estendere ai settori speciali le disposizioni in tema di albo dei commissari di gara gestito dall’ANAC;; estensione peraltro limitata ai casi di appalti indetti da amministrazioni aggiudicatrici sopra soglia, e dunque con la non obbligatorietà dell’utilizzo di tale albo:
a) per gli appalti sopra soglia degli enti aggiudicatori che non sono amministrazioni aggiudicatrici (art. 77, comma 13);;
b) per gli appalti sotto soglia sia delle amministrazioni aggiudicatrici
(art. 77, comma 3), sia delle imprese pubbliche che utilizzano propri regolamenti (art. 36, comma 8, coerente con il criterio specifico di delega della lett. ii) e con il (pre)vigente art. 238, comma 7).
Si richiede, invece, un supplemento di riflessione in ordine alla compatibilità con le peculiarità dei settori speciali dell’estensione di discipline quali quelle relative agli atti di programmazione dei contratti pubblici (art. 21), alle garanzie dell’offerta e dell’esecuzione (artt. 93 e 103), ai criteri di determinazione della soglia di anomalia delle offerte (art. 97), ai presupposti del dialogo competitivo e del partenariato per l’innovazione, all’esecuzione del contratto, quanto meno nei casi in cui gli enti aggiudicatori non siano amministrazioni aggiudicatrici ma imprese.
Ove l’estensione ai settori speciali di regole dettate per i settori ordinari sia ritenuta necessaria oltre i limiti derivanti dai principi prescritti dalla legge delega (trasparenza e apertura dei mercati), occorrerà darne conto con adeguata motivazione nell’AIR, come già osservato in tema di deroghe al divieto di gold plating.
Si segnala altresì, allo stato, che, a causa verosimilmente dell’erronea o incompleta individuazione delle disposizioni applicabili ai settori speciali (v. in particolare art. 114 comma 8), manca del tutto una disciplina dell’esecuzione, sia pure limitatamente alle poche disposizioni dettate dalla direttiva 25 (subappalto, varianti, risoluzione). Ove si ritengano applicabili le corrispondenti disposizioni dettate per subappalto, risoluzione, varianti, dettate per i settori ordinari (ma che sembrano costituire recepimento anche delle disposizioni pertinenti della direttiva 25), andrebbe meglio esplicitato.
III.l) Concessioni e partenariati, contraente generale, infrastrutture strategiche (artt. 164, 168, 177, 178, 180, 194, 200)
Le Parti III, IV e V contengono gli istituti di maggiore rilevanza economica e su cui si è maggiormente concentrata l’attenzione mediatica degli ultimi mesi (concessioni, partenariato, contraente generale, finanza di progetto, infrastrutture strategiche).
E’ essenziale una corretta definizione del rischio trasferito al partner
privato, quale elemento che differenzia una concessione da un appalto.
La durata massima del rapporto, il rinnovo, gli obblighi di esternalizzazione, l’ambito della progettazione affidata al partner privato, sono punti cardine della legge delega, che richiedono norme di recepimento puntuali e univoche.
Sia in relazione al tema degli affidamenti a soggetti in house, sia in tema
di concessioni di servizi, che possono in ipotesi avere ad oggetto servizi economici di interesse generale (essendo esclusi dall’ambito della direttiva
23 e conseguentemente del codice solo i servizi non economici di interesse generale), andrà verificata dal legislatore delegato la coerenza, disciplinatoria e terminologica, tra il presente codice e i decreti legislativi in corso di approvazione, relativi alle società pubbliche e ai servizi pubblici locali di interesse economico generale.
III.m) Affidamenti in house, procedure di scelta del socio, società pubbliche (artt. 1, 5, 30, 192)
Si richiama l’attenzione sul tema, affrontato trasversalmente in plurime disposizioni del codice, degli affidamenti in house, delle società pubbliche, delle procedure di scelta del socio.
Quanto agli affidamenti in house, il codice stabilisce a quali condizioni è legittimo un affidamento diretto a soggetto in house, senza ricorso al mercato. Non affronta le condizioni in presenza delle quali le pubbliche amministrazioni possono dare vita a un soggetto in house.
Sotto tale profilo, occorre che il codice sia raccordato con la nuova disciplina delle società pubbliche, in corso di approvazione, rilevandosi alcune incoerenze tra l’art. 5, comma 1, lett. c), le corrispondenti previsioni delle direttive 23, 24, 25 (rispettivamente art. 17, par. 1, lett. c);;
art. 12, par. 1, lett. c), art. 28, par. 1, lett. c), e l’art. 16 dell’approvando decreto legislativo sulle società pubbliche (si rinvia alle osservazioni sub art. 5).
Quanto alla costituzione di società miste (con partecipazione pubblica e privata), ove essa sia consentita dalla citata nuova disciplina delle società pubbliche, andrà esplicitato che trova applicazione il presente codice quanto alle procedure di evidenza pubblica di scelta del socio privato, in ossequio a consolidata giurisprudenza comunitaria e nazionale (recepita nel (pre)vigente codice, con regola allo stato non riprodotta nel presente codice), e secondo quanto espressamente affermato pure nell’art. 7, comma 5, dell’approvando decreto legislativo sulle società pubbliche (si rinvia alle osservazioni sub artt. 1 e 30).
Quanto agli affidamenti di lavori, servizi e forniture da parte di società miste, sottoposto al codice (art. 1, comma 2, lett. d) occorrerà riflettere se non integri gold plating l’imposizione del rispetto integrale delle regole del presente codice, senza alcuna eccezione (si rinvia alle osservazioni sub art. 1).
III.n) Precontenzioso e contenzioso (artt. 204, 211)
Il codice appresta un corpo normativo cui è sottesa l’esigenza della
riduzione dei contenziosi e della definizione veloce delle liti.
Questo obiettivo è anzitutto affidato, in via preventiva, alle buone regole e alla buona amministrazione, nonché ai nuovi criteri reputazionali di selezione degli operatori, volti a creare una nuova cultura e responsabilità etica dei partecipanti alle gare.
Quando tuttavia il contenzioso sia inevitabile, occorre trovare un ragionevole punto di equilibrio tra la giusta esigenza di rapida definizione delle liti e il valore, costituzionale e sovranazionale, dell’effettività della difesa. La tutela giurisdizionale, proprio nel settore degli appalti pubblici, secondo i principi comunitari non può essere ostacolata, resa eccessivamente difficile, mutilata della tutela cautelare. Il sistema eurounitario si spinge ad apprestare una tutela cautelare ex lege ai concorrenti: il c.d. standstill.
Le nuove disposizioni processuali impongono l’immediata impugnazione di ammissioni e esclusioni, al condivisibile fine di deflazionare il successivo contenzioso sull’aggiudicazione, nella prassi complicato ed esasperato dai ricorsi incidentali che rimettono in discussione la fase di ammissione. Tuttavia tale onere di immediata impugnazione, che grava le parti con tempi stretti e ulteriori costi processuali, dovrà essere compensato da una tempestiva accessibilità degli atti di gara inerenti ammissioni ed esclusioni, e, in prospettiva, e fatte le pertinenti verifiche di compatibilità finanziaria, con una rimodulazione del contributo unificato. La Corte di giustizia dell’Unione europea è già intervenuta sulla misura del contributo unificato per i pubblici appalti, come previsto dalla legge italiana, riconoscendone la legittimità comunitaria “a condizione”di una interpretazione caso per caso ispirata al criterio della proporzionalità (dovendo il giudice nazionale valutare che non è dovuta una duplicazione del contributo se i motivi proposti separatamente contro atti diversi sono identici o sostanzialmente tali o comunque non costituiscono un ampliamento considerevole della materia del contendere) [X. xxxxx. UE 6.10.2015 C-61].
Gli strumenti precontenziosi apprestati dal codice (parere vincolante dell’ANAC sull’accordo delle parti; raccomandazione dell’ANAC alle stazioni appaltanti a rimuovere atti in autotutela), se non ben definiti nei presupposti, procedimento, ed effetti, potrebbero sortire l’effetto di generare ulteriore contenzioso, con una eterogenesi dei fini che l’intervento legislativo si prefigge.
A sua volta, il nuovo rito processuale che onera della impugnazione immediata delle ammissioni in gara, se depotenzia la tattica dei ricorsi incidentali strumentali, deve tuttavia coordinarsi con le regole sulla piena conoscibilità degli atti di gara. Dovrà anche valutarsi una riflessione sulla misura del contributo unificato, al fine di non rendere la tutela giudiziaria (articolata in struttura bifasica, con la doppia impugnazione degli atti di ammissione/esclusione e della successiva aggiudicazione) troppo complessa e costosa.
IV. ESAME DEI SINGOLI ARTICOLI
ARTICOLO 1 (OGGETTO E AMBITO DI APPLICAZIONE)
L’art. 1 dello schema di decreto, nel definire l’ambito di applicazione della nuova normativa, riprende il contenuto di alcune disposizioni contenute nelle direttive (artt. 1, 13 e 23 della direttiva 2014/24/UE, nonché 1 e 27 della direttiva 2014/23/UE).
Articolo 1, comma 2, lettera d)
L’art. 1, comma 2, lett. d), dispone che il codice si applica anche ai “d) lavori, servizi e forniture affidati dalle società con capitale pubblico, anche non maggioritario, che non sono organismi di diritto pubblico, che hanno ad oggetto della loro attività la realizzazione di lavori o opere, ovvero la produzione di beni o servizi, non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza, ivi comprese le società di cui agli articoli 113, 113-bis, 115 e 116 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, fatto salvo quanto previsto all’articolo 192”.
La qualificazione come soggetto tenuto al rispetto delle regole di scelta del contraente anche delle società appartenenti alla tipologia descritta (che non sono né organismi di diritto pubblico ne soggetti in house) non è imposta dal diritto europeo. La norma riprende il contenuto dell’art. 32, comma 1, lett. c), dell’abrogando d.lgs. n. 163 del 2016.
Il mantenimento di tale disposizione potrebbe presentare problemi di compatibilità con il riordino delle società pubbliche in corso di definizione in attuazione della legge n. 124 del 2015, nel cui ambito tale tipologia societaria non sembra collocarsi in modo sistematicamente coerente. Si segnala, inoltre, che la norma in esame rinvia a disposizioni contenute nel d.lgs. n. 267 del 2000, che saranno “superate” dal nuovo testo unico sui servizi pubblici locali. Se si decidesse di mantenere il testo in esame, si segnala l’opportunità di riprodurre nel codice anche quanto previsto
dal terzo comma del citato art. 32, il quale dispone che dette società
“non sono tenute ad applicare le disposizioni del presente codice limitatamente alla realizzazione dell'opera pubblica o alla gestione del servizio per i quali sono state specificamente costituite, se ricorrono le seguenti condizioni: 1) la scelta del socio privato è avvenuta nel rispetto di procedure di evidenza pubblica;; 2) il socio privato ha i requisiti di qualificazione previsti dal presente codice in relazione alla prestazione per cui la società è stata costituita”.
E’ inoltre opportuno, alla luce dei vincoli comunitari, ribadire la previsione dell’obbligo di indire una procedura di evidenza pubblica per la scelta del socio privato delle società miste (art. 1, comma 2 del (pre)vigente codice dei contratti pubblici), secondo quanto dispone pure l’art. 7, comma 5, dell’emanando d.lgs. sulle società pubbliche.
Articolo 1, comma 7
L’art. 1, comma 7, prevede che: “Il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale adotta, d’intesa con l’ANAC, direttive generali per disciplinare le procedure di scelta del contraente e l’esecuzione del contratto da svolgersi all’estero, tenuto conto dei principi fondamentali del presente codice e delle procedure applicate dall’Unione europea e dalle organizzazioni internazionali di cui l’Italia è parte. Resta ferma l’applicazione del presente codice alle procedure di affidamento svolte in Italia”.
La questione involge la tematica più generale del ruolo dell’ANAC. Nella specie, la formulazione “d’intesa” con l’ANAC è eccessivamente generica, non venendo chiarito se si tratta di un mero parere ovvero di un “accordo” vero e proprio.
Articolo 1 comma 9
L’art. 1, comma 9, fa salve tutte le speciali disposizioni vigenti in materia di contratti pubblici per le amministrazioni, gli organismi e gli organi dello Stato dotati di autonomia finanziaria e contabile.
E’ una limitazione non prevista né nel (pre)vigente codice, né nelle direttive.
La legge delega, all’art. 1, comma 7, dispone, con previsione che non ha contenuto di principio di delega, ma è immediatamente precettiva, che “gli organi costituzionali stabiliscono nei propri ordinamenti modalità attuative dei principi e criteri direttivi previsti dalla presente legge nell’ambito delle prerogative
costituzionalmente riconosciute”. Quello di “organi costituzionali” è un ambito ben più ristretto di quello di “organi dello Stato dotati di autonomia finanziaria e contabile”.
Inoltre, gli organi costituzionali devono comunque adeguarsi ai principi e criteri direttivi della legge delega secondo il citato comma 7, e non rientrano tra le esclusioni prescritte dalle direttive comunitarie.
Pertanto, il comma 9 dell’art. 1 del codice va espunto e sostituito, se del caso, con una salvezza di quanto disposto dall’art. 1, comma 7, legge n. 11/2016 (disposizione di per sé precettiva senza necessità di recepimento nel decreto delegato) formulata come segue: “(’ fatto salvo quanto disposto dall’articolo 1, comma 7, della legge 28 gennaio 2016, n. 11”.
In relazione al drafting dell’art. 1 si osserva:
- al comma 2, sostituire le parole “Le disposizioni di cui al presente codice” con “Le disposizioni del presente codice”;
- al comma 2, lett. a), n. 2, sopprimere la parola “amministrative”, perché le direttive comunitarie riguardano i lavori riguardanti edifici destinati a funzioni pubbliche tout court, non solo amministrative (ma anche giudiziarie o legislative);;
- al comma 2, lett. f), primo periodo sostituire le parole “o altri titoli abilitativi” con “o un altro titolo abilitativo”, nonché sostituire le parole “dette opere” con le parole “le relative opere”;
- al comma 5 sostituire la parola “norme” con “disposizioni”.
ARTICOLO 2 (COMPETENZE LEGISLATIVE DI STATO E REGIONI)
L’art. 2 dispone che: “Le Regioni esercitano le funzioni di propria competenza nelle materie di cui al presente codice nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento europeo e delle disposizioni di legge statale”.
Nel rinviare a quanto esposto nella parte generale del presente parere sul riparto di competenza legislativa tra Stato e Regioni, ci si limita qui a rilevare che lo schema di decreto non ha inteso introdurre, con norma generale, prescrizioni vincolanti relative al riparto di competenze, limitandosi a dettare una disposizione di mera “auto-qualificazione”, che in quanto tale, alla luce delle considerazioni generali già svolte, non ha alcuna valenza vincolante negli eventuali giudizi di costituzionalità.
La proposta è, pertanto, quella di non riprodurla nel testo definitivo. Se si intende riprodurla si segnala la seguente criticità.
In primo luogo, l’attuale formulazione sembra riconoscere uno spazio
generale di intervento alle Regioni che la giurisprudenza costituzionale
riconosce soltanto nei limiti già indicati nella parte generale di questo parere.
In secondo luogo, la norma pone quale vincolo all’esercizio delle funzioni legislative regionali il rispetto di “disposizioni di legge statale”. La dizione è eccessivamente generica in quanto non si comprende quali siano le “disposizioni” che possono venire in rilievo. Il riferimento dovrebbe essere alle sole “disposizioni”, relative al settore dei contratti pubblici, che sono adottate dal legislatore statale nell’esercizio di una funzione legislativa in una materia di propria competenza costituzionale, non senza rilevare che nelle materie di competenza concorrente il vincolo per le Regioni deriva dai soli “principi” e non da tutte le “disposizioni” della legge statale.
Si propone, in alternativa alla eliminazione della norma, la seguente formulazione.
“1. Le disposizioni contenute nel presente codice sono adottate nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, ordinamento civile, nonché nelle altre materie cui è riconducibile lo specifico contratto.
2. Le Regioni a statuto ordinario esercitano le proprie funzioni nelle materie di
competenza ragionale ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione.
3. Le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione.”
ARTICOLO 3 (DEFINIZIONI)
L’art. 3 contiene richiami alle singole definizioni mediante un sistema di duplicazione delle lettere che rende di difficile lettura il testo.
La lett f) dell’art. 3 reca la definizione di “soggetti aggiudicatori” ai soli fini della Parte III, e di “altri soggetti aggiudicatori” intesi come soggetti privati tenuti all’osservanza del codice. Si segnala che la parte III riguarda le concessioni e in essa non compare la figura dei soggetti aggiudicatori, che è invece propria degli istituti della finanza di progetto, del partenariato, del contraente generale e infrastrutture strategiche (v. anche il (pre)vigente codice appalti d.lgs. n. 163/2006, art. 3, comma 32). Pertanto, il corretto riferimento è alla parte IV, e non III, del codice. Inoltre, si segnala che l’espressione soggetto aggiudicatore compare anche negli articoli 27 e 104, che non sono contenuti nella parte IV (né nella parte III). Al fine di evitare confusioni definitorie e applicative si suggerisce di rivedere e chiarire la terminologia utilizzata negli articoli
27 e 104.
La lett. eee) dell’art. 3 reca una definizione di partenariato pubblico privato che fa riferimento alle sole “opere fredde” e manca qualsiasi riferimento alle concessioni e al partenariato istituzionale, presenti invece nel d.lgs. 163/2006 all’art. 3, comma 15-ter. Inoltre, lo stesso istituto trova una definizione anche nell’art. 180 (partenariato pubblico-privato), dove si riscontra una definizione più corretta di partenariato che considera anche le “opere calde”. La presenza di due definizioni, peraltro non univoche, per lo stesso oggetto può creare rischi interpretativi;; pertanto sarebbe opportuno riportare nell’art. 3 la definizione contenuta nel citato art. 180, limitandosi in quest’ultimo a operare un rinvio all’art. 3.
Nella lett. uu) dell’art. 3, nella definizione delle concessioni, è opportuno sostituire le parole “gestire i lavori” e “gestione dei lavori”, rispettivamente con “gestire le opere” e “gestione delle opere”. Infatti ciò che si gestisce nella concessione sono le opere, non i lavori, come del resto si evince dalla versione francese delle direttive, che distinguono tra ouvrage e travaux.
La lett. vvv) dell’art. 3 reca la definizione del dialogo competitivo, prevedendo come presupposto di ammissibilità che si tratti di appalti “particolarmente complessi”. Si propone di eliminare l’inciso “in caso di appalti particolarmente complessi” che è mutuato dalla definizione del dialogo competitivo contenuta nell’art. 3 dell’abrogando d.lgs. n. 163/2006, ma che era ritagliata sulla direttiva 18/2004, che circoscriveva il dialogo competitivo agli appalti “particolarmente complessi”. Gli artt. 26, par. 4 e 30 direttiva 24, facendo riferimento ai diversi requisiti dell’innovatività, della negoziazione e dell’esistenza di soluzioni disponibili, non contengono tale presupposto, né lo contengono gli artt. 59 comma 2 e 64 del codice. Perciò la definizione non è in linea con il recepimento del dialogo competitivo, né con la direttiva, né con la legge delega che pone il generale divieto di gold plating.
Sul piano del drafting, infine, si osserva che l’uso delle lettere per elencare le 83 definizioni contenute nell’art. 3 è molto pesante e sacrifica la leggibilità della disposizione. Si suggerisce, pertanto di usare i numeri per ordinare le definizioni ovvero, in conformità al metodo adoperato nell’art. 3 del (pre)vigente codice, di creare tanti commi quante sono le definizioni. Sul piano del drafting dell’art. 3 si osserva quanto segue:
- nella lett. t), n. 3, sostituire le parole “hanno il diritto di nominare” con le parole “possono designare”, più corretta e coerente con l’art. 4, par. 2, direttiva 25;;
- nella lett. zz), apporre una virgola dopo le parole “<<rischio operativo>>”;;
- nella lett. eee), primo periodo, sostituire le parole “in virtù del” con “in base al”;
- nella lett. fff), sostituire la parola “durata” con “efficacia”;
- nella lett. lll), aggiungere una virgola dopo la parola “Trattati”;
- nella lett. zzz), dopo le parole “<<sistema telematico>>,”, aggiungere la
parola “un”;
- nella lett. bbbb), dopo le parole “<<mercato elettronico>>,” aggiungere la parola “uno”.
ARTICOLO 4 (PRINCIPI RELATIVI ALL’AFFIDAMENTO DEI
CONTRATTI ESCLUSI)
L’art. 4 dispone che: “L'affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità”.
La norma riprende il contenuto del (pre)vigente art. 27 del d.lgs. n. 163 del 2006.
Rispetto al (pre)vigente art. 27, si registra una maggiore ampiezza, in quanto non si impone l’onere di consultare almeno cinque operatori economici prima dell’affidamento.
Sarebbe tuttavia preferibile – anche in coerenza con il criterio di delega di cui alla lettera ii), in materia di contratti sottosoglia, e in funzione di prevenzione di possibili comportamenti illeciti e anticompetitivi - onerare le stazioni appaltanti, se compatibile con l’oggetto del contratto, della consultazione di un numero minimo di operatori economici, prima dell’affidamento, trattandosi di contratti che possono essere di importo rilevante.
Non si tratterebbe, come rilevato nella parte generale, di un ingiustificato e burocratico gold plating, ma di disposizione proconcorrenziale e di maggiore trasparenza anche in funzione di prevenzione della corruzione.
ARTICOLO 5 (PRINCIPI COMUNI PER CONCESSIONI, APPALTI E ACCORDI)
La disciplina degli affidamenti in house è contenuta negli artt. 5 e 192 dello schema qui in esame.
L’art. 5, che trova la propria collocazione nel titolo II della parte I, dedicato ai Contratti esclusi in tutto o in parte dall’ambito di applicazione del codice, enuncia i principî comuni in materia di esclusione per concessioni, appalti pubblici e accordi tra enti e amministrazioni aggiudicatrici nell’ambito del settore pubblico, ed attua le generali previsioni dall’art. 17 della direttiva 2014/23/UE sulle concessioni, dall’art. 12 della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici nei settori ordinari e dall’art. 28 della direttiva 2014/25/UE sugli appalti pubblici nei settori speciali, disposizioni di eguale tenore e finalità, recanti una disciplina di principio che tratteggia solo nelle sue linee essenziali le caratteristiche salienti e, per così dire, il minimo comun denominatore del vasto e complesso fenomeno dell’in house, ben noto, pur al di là della molteplicità ed eterogeneità dei singoli tipi, all’esperienza giuridica di numerosi ordinamenti nazionali in ambito europeo.
L’art. 192, invece, costituisce specifica attuazione di ulteriori criteri contenuti nella legge delega.
Come meglio si dirà in sede di osservazioni sull’art. 192, il contenuto di quest’ultimo ha portata generale e andrebbe accorpato con quello dell’art. 5, dentro l’art. 5.
Le disposizioni in esame devono essere raccordate con la disciplina generale delle società pubbliche affidata all’attuazione della specifica delega di cui all’art. 18 della l. 124/2015 mediante apposito decreto legislativo, il cui schema recante “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica” è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 20.1.2016.
In particolare l’art. 4, dello schema di decreto legislativo citato, nell’elencare le finalità che giustificano la costituzione o partecipazione a società da parte di amministrazioni pubbliche, indica anche “l’autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente o agli enti pubblici partecipanti, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento” (art. 4, comma 1, lett. d) dello schema.
Si rileva, nell’art. 5, comma 1, lett. c), a proposito delle forme di partecipazione del capitale privato alla società in house, una incoerenza tra il recepimento nazionale e le corrispondenti previsioni delle direttive, nonché con l’art. 16, comma 1, dell’approvando decreto legislativo sulle società pubbliche.
In particolare, gli artt. 12, par. 1, lett. c), direttiva 24, 17, par. 1, lett. c),
direttiva 23, 28, par. 1, lett. c), direttiva 25, con identica formulazione dispongono che: “nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata”.
Da tale formulazione si evince che spetta ai legislatori nazionali fissare le forme di partecipazione del capitale privato, nel rispetto dei parametri comunitari.
A sua volta, l’art. 16, comma 1, dell’emanando d.lgs. sulle società pubbliche, dispone che nelle società in house affidatarie in via diretta di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, “non vi è partecipazione di capitali privati, ad eccezione di quella prevista da norme di legge”.
Invece, l’art. 5, comma 1, lett. c), si limita a consentire, in via di eccezione, “forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto e che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata”. Manca, dunque il riferimento al limite della partecipazione di soci privati fissato dalla legge nazionale.
E’ auspicabile che tale limite vada inserito, in coerenza con l’art. 16 dell’approvando d.lgs. sulle società pubbliche, e al fine di lasciare alla legge il compito di delimitare le forme partecipazione di capitale privato alle società sottoposte a controllo pubblico.
Pertanto, nell’art. 5, comma 1, lett. c), dopo le parole “potere di veto” aggiungere le parole “, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati,”.
Nel comma 1 dell’art. 5, alla lett. a) le parole “un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore” vanno sostituite con le parole “l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore”.
Il rilievo ha carattere sia formale che sostanziale.
E, invero, anche le direttive 23 e 24 usano l’articolo determinativo e non quello indeterminativo, trattandosi di un rapporto bilaterale tra una data stazione appaltante e le sue società in house, e non di un rapporto tra una qualsiasi stazione appaltante e una società in house facente capo ad un altro soggetto.
Sul piano del drafting, nell’art. 5, comma 1, dopo le parole “di diritto privato”
aggiungere una virgola.
ARTICOLO 6 (JOINT VENTURE)
Nella rubrica dell’art. 6 occorre sostituire la parola “Appalti” con le parole “Appalti nei settori speciali”, essendo questo il corretto ambito come si desume dalle direttive 23 e 25 (rispettivamente articoli 14 e 30, e non essendovi tale esclusione nella direttiva 24 per i settori ordinari) e dal contenuto dell’articolo.
La formulazione dell’art. 6, comma 1, primo periodo, raffrontata con i corrispondenti art. 14 della direttiva 23 e art. 30 della direttiva 25, evidenzia un errore di recepimento, in quanto si fa riferimento ad appalti aggiudicati “a una joint venture”, laddove invece si tratta, nella lett. a) dell’articolo, di appalti aggiudicati “da una joint venture”.
La disposizione del comma 1, quanto al periodo che precede il segno dei due punti, va riformulata come segue:
“In deroga all’articolo 5, a condizione che la joint venture sia stata costituita per le attività oggetto dell’appalto o della concessione per un periodo di almeno tre anni e che l’atto costitutivo preveda che gli enti aggiudicatori che la compongono ne faranno parte almeno per un periodo di pari durata, il codice non si applica agli appalti nei settori speciali e alle concessioni aggiudicate da:”
ARTICOLO 7 APPALTI E CONCESSIONI AGGIUDICATI AD
UN’IMPRESA COLLEGATA)
Nell’art. 7, comma 3, dopo la parola “dimostrare” va apposta una virgola.
ARTICOLO 8 (ESCLUSIONE DI ATTIVITA’ DIRETTAMENTE
ESPOSTE A CONCORRENZA)
L’art. 8, dedicato all’esclusione dagli obblighi di gara delle attività esposte direttamente a concorrenza, disciplina i presupposti generali che devono sussistere affinché gli enti aggiudicatori nei settori speciali non siano più obbligati a seguire le procedure di evidenza pubblica. In particolare, la condizione fattuale è rappresentata dall’apertura del settore alla libera concorrenza che viene accertata esistente all’esito di un procedimento di competenza della Commissione europea.
La direttiva demanda alla discrezionalità degli Stati membri di decidere se attribuire la legittimazione ad investire della questione la Commissione anche a “l’ente aggiudicatore”, che è quello che ha maggiore interesse a dimostrare la liberalizzazione del settore.
L’art. 35, comma 2, della direttiva n. 25 del 2014 dispone che, quando la domanda alla Commissione è proposta direttamente dall’ente aggiudicatore, la Commissione non deve effettuare alcuna comunicazione allo Stato membro ai fini del suo coinvolgimento se tale domanda è “accompagnata da una posizione motivata e giustifica adottata da una amministrazione nazionale indipendente”.
L’art. 8 del codice ha ammesso l’estensione della legittimazione prevedendo, al comma 6, che: “gli enti aggiudicatori possono chiedere alla Commissione europea di stabilire l’applicabilità del comma 1 ad una determinata attività. A seguito dell’informazione data dalla Commissione in ordine alla richiesta, l’Autorità di cui al comma 5 (“Il Presidente del Consiglio dei ministri”) comunica alla Commissione le circostanze indicate nel predetto comma”. Non è stata dunque prevista la possibilità che l’ente aggiudicatore proponga la domanda unitamente ad una relazione contenente la posizione motivata e giustificata dell’Autorità amministrativa indipendente di settore. Tale aggiunta riveste particolare rilevanza in quanto soltanto in questi casi la procedura può seguire un iter accelerato senza necessità di un comunicazione che la Commissione deve effettuare allo Stato.
Si chiede pertanto di valutare se si tratti di omissione consapevole o dovuta a imperfezione nel recepimento.
Sul piano formale, si osserva:
- al comma 2, le parole “si ricorre a” vanno sostituire con “si tiene conto di”;
- al comma 8, dopo le parole “commi 5 e 6” va eliminata la virgola.
ARTICOLO 9 (CONTRATTI DI SERVIZI AGGIUDICATI IN BASE AD UN DIRITTO ESCLUSIVO)
Nell’art. 9, comma 2, vi sono due rinvii interni erronei:
- il rinvio alla cabina di regia “di cui all’articolo 214” deve intendersi come “di cui all’articolo 212”;
- vi è poi un rinvio a un inesistente art. 224, che va corretto, verificando se
il corretto rinvio sia all’art. 29 (principi in materia di trasparenza).
ARTICOLO 10 (CONTRATTI NEL SETTORE DELL’ACQUA, DELL’ENERGIA, DEI TRASPORTI E DEI SERVIZI POSTALI)
Nell’art. 10, comma 1, quarto rigo si segnala un refuso, sostituire le parole
“di tali attività agli appalti” con le parole “di tali attività, né agli appalti”.
ARTICOLO 11 (APPALTI AGGIUDICATI DA PARTICOLARI ENTI AGGIUDICATORI)
L’art. 11 delinea un’ esclusione dall’ambito di applicazione delle norme sui settori speciali dettate dal codice per gli appalti aggiudicati da particolari enti aggiudicatori. Nell’art. 11, comma 1, vanno espunte le parole “relative ai settori speciali”. L’attuale formulazione, infatti, è equivoca: dalla sua lettura sembra siano inapplicabili solo le disposizioni dei settori speciali e che resterebbero applicabili le disposizioni dettare per concessioni o settori ordinari. L’esclusione è, invece, totale, da tutte le disposizioni del codice (come si desume dall’art. 7, direttiva 24 e dalla direttiva 25).
ARTICOLO 12 (ESCLUSIONI SPECIALI NEL SETTORE IDRICO)
L’art. 12 pone un problema di coordinamento con l’ art. 117 dello stesso
codice e di corretto recepimento del punto hhh) della delega
La legge delega prescrive la “disciplina organica della materia dei contratti di concessione mediante l'armonizzazione e la semplificazione delle disposizioni vigenti, nonché la previsione di criteri per le concessioni indicate nella sezione II del capo I del titolo I della direttiva 2014/23/UE, nel rispetto dell'esito del referendum abrogativo del 12-13 giugno 2011 per le concessioni nel settore idrico”. Non sembra che si sia recepito il punto di delega che richiama proprio al rispetto dell’esito del referendum abrogativo del 12-13 giugno 2011 per le concessioni nel settore idrico. Il Consiglio di Stato si limita a segnalarlo, trattandosi di questione di merito politico in ordine all’an e al quomodo del recepimento, anche in considerazione della pendenza di altro disegno di legge sull’acqua pubblica.
ARTICOLO 13 (APPALTI AGGIUDICATI A SCOPO DI RIVENDITA O LOCAZIONE A TERZI)
L’art. 13 riguarda una esclusione specifica per i settori speciali. Secondo l’art. 7, direttiva 24, le disposizioni dettate per i settori ordinari non si applicano né agli appalti dei settori speciali regolati dalla direttiva 25, né agli appalti che sono esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva 25.
In sintesi, un appalto che in astratto ricade nei settori speciali ed è escluso dall’applicazione della direttiva 25, non è regolato neppure dalla direttiva 24.
Ciò premesso, l’art. 13 dispone che “le disposizioni del presente codice relative ai settori speciali non si applicano agli appalti aggiudicati a scopo di rivendita o locazione a terzi”. Così come è formulata, la previsione si presta all’equivoco interpretativo che sono inapplicabili solo le disposizioni del codice relative ai settori speciali, mentre restano applicabili le restanti disposizioni del codice.
La disposizione va perciò riformulata come segue: “Le disposizioni del presente codice non si applicano agli appalti aggiudicati nei settori speciali a scopo di rivendita o di locazione a terzi”.
Inoltre sin dalla rubrica va chiarito l’ambito applicativo della disposizione, e pertanto dopo la parola “Appalti” vanno aggiunte le parole “nei settori speciali”.
ARTICOLO 14 (APPALTI E CONCORSI DI PROGETTAZIONE AGGIUDICATI O ORGANIZZATI PER FINI DIVERSI DAL PERSEGUIMENTI DUI UN’ATTIVITA’ INTERESSATA O PER L’ESERCIZIO DI UN’ATTIVITA’ NEI PAESI TERZI)
In relazione all’art. 14, che riguarda una esclusione specifica nei settori speciali, nel richiamare, per le motivazioni, quanto esposto in relazione all’art. 13, si osserva che nel comma 3 vanno espunte le parole “relative ai settori speciali”.
ARTICOLO 15 (ESCLUSIONI NEL SETTORE DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE)
Nell’art. 15, si suggerisce di sostituire le parole “Ai fini del presente articolo, i termini “rete pubblica di comunicazioni” e “servizio di comunicazione elettronica” hanno lo stesso significato che hanno nel decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259
e successive modificazioni” con le parole “Ai fini del presente articolo si
applicano le definizioni di “rete pubblica di comunicazioni” e “servizio di comunicazione elettronica” contenute nell’articolo 1 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 e successive modificazioni”.
ARTICOLO 16 (CONTRATTI E CONCORSI DI PROGETTAZIONE GGIUDICATI O ORGANIZZATI IN BASE A NORME INTERNAZIONALI)
L’art. 16 si presta a limitati rilievi di carattere formale:
- al comma 2, dopo le parole “istituzione finanziaria internazionale” va apposta una virgola;;
- al comma 3, dopo le parole “i commi 1 e 2” va invece tolta la virgola.
ARTICOLO 18 (ESCLUSIONI SPECIFICHE PER CONTRATTI DI CONCESSIONI)
L’art. 18 reca alcune esclusioni specifiche per i contratti di concessione, facendo riferimento alla inapplicabilità delle “disposizioni del presente codice relative alle concessioni”. Vanno soppresse le parole “relative alle concessioni”, altrimenti si potrebbe ritenere che a contrario si applicano le altre disposizioni del codice. Invece l’esclusione è totale.
ARTICOLO 19 (CONTRATTI DI SPONSORIZZAZIONE)
Nell’art. 19 viene in parte riprodotto l’art. 26 dell’abrogando d.lgs. n. 163/2006. Quest’ultimo considerava una sola ipotesi di sponsorizzazione, mediante esecuzione diretta lavori, etc., che viene riprodotta nel comma 2 del presente articolo. Peraltro, il presente articolo prevede anche, nel comma 1, la sponsorizzazione mediante dazione di denaro o accollo di debito. Questa ipotesi è libera, salvo avviso e possibilità di partecipazione. Tuttavia anche per la sola dazione di denaro andrebbe verificata l’affidabilità del contraente privato, e comunque i suoi requisiti di moralità. Si ritiene che debba essere fatto quanto meno salvo il rispetto dell’art. 80 del codice sui requisiti di ordine morale (che a sua volta implica anche il rispetto della normativa antimafia), non potendosi consentire che un accordo di sponsorizzazione sia stipulato con soggetto che non ha i requisiti morali per contrarre con la pubblica amministrazione.
La sponsorizzazione in relazione ai beni culturali è regolata, oltre che
nell’art. 120 d.lgs. n. 42 del 2004, dall’art. 151 del codice.
La sponsorizzazione può anche essere vista come una forma di partenariato, come si desume anche dalla rubrica dell’art. 151 del codice. In tale prospettiva, si demanda al Governo di valutare di
riassettare nel codice, con conseguente abrogazione, le ipotesi di sponsorizzazione previste dall’art. 43 della l. n. 449/1997, tuttora in vigore (sponsorizzazione di aree verdi pubbliche). A tal proposito si segnala che l’art. 43 l. n. 449/1997 prevede anche un regolamento attuativo da parte del Ministero dell’ambiente, di - recente trasmesso al Consiglio di Stato per il parere, ma restituito all’Amministrazione proponente [Cons. St., sez. affari normativi, 11-26 febbraio 2016 n. 558].
Il riassetto potrebbe avvenire nel presente articolo ovvero nell’art. 190 (rubricato: baratto amministrativo e interventi di sussidiarietà orizzontale). L’art. 19 si presta inoltre ai seguenti rilievi di carattere formale:
- al comma 1, poiché ridondante, si può eliminare l’incipit e, in particolare, le parole “Al fine di assicurare il rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità”. Si tratta infatti di una formulazione ripetitiva dell’art. 4;
- al comma 2, le parole “e/o” vanno sostituite con “o” sia nel primo che
nel secondo periodo.
ARTICOLO 20 (OPERA REALIZZATA A SPESE DEL PRIVATO)
L’art. 20 sottrae all’ambito di applicazione del codice l’ipotesi di opera pubblica o di lotto o parte di essa realizzata a cura e spese di un privato. Xxxxxxxx quanto meno fatta salva l’applicazione delle disposizioni del codice sui requisiti morali (art. 80, che implica anche l’osservanza della normativa antimafia) e di qualificazione richiesti per realizzare un’opera pubblica. La circostanza che l’opera sia realizzata a cura e spese del privato non toglie, infatti, che si tratta di opera pubblica e che sussista il cogente interesse della pubblica amministrazione alla sua corretta realizzazione da parte di un soggetto qualificato professionalmente e dotato dei requisiti morali. Non senza considerare che fattispecie di tal fatta (assunzione di opere pubbliche a cura e spese dei privati), non necessariamente sono connotate da liberalità o gratuità, essendovi ipotesi in cui l’accollo dell’opera pubblica costituisce la controprestazione del privato a fronte dello scomputo di oneri economici di urbanizzazione e costruzione di opere private. La norma, in ogni caso, si appalesa eccessivamente generica e non chiarisce la finalità e le modalità attuative della stessa.
Sul piano formale, nel comma 3 va posta una virgola dopo la parola
“inadempimento”.
ARTICOLO 21 (PROGRAMMA DELLE ACQUISIZIONI DELLE STAZIONI APPALTANTI)
L’art. 21, nell’attuare il criterio direttivo della legge delega previsto dall’art. 1, comma 1, lett. bb), di razionalizzazione delle procedure di spesa delle stazioni appaltanti secondo criteri di razionalizzazione ed efficienza definisce gli strumenti del programma triennale dei lavori pubblici, già previsto dal codice dei contratti pubblici (art. 128), e il programma degli acquisti di beni e servizi, finora facoltativo. L’obbligo di dotarsi degli strumenti programmatori è applicabile agli enti aggiudicatori e non solo alle amministrazioni aggiudicatrici, come nel codice (pre)vigente. Saranno dunque soggetti ad esso anche enti formalmente privati [imprese pubbliche ed altri enti ex art. 3, comma 1, lett. e), dello schema di decreto], tenuti solo in alcuni casi al rispetto delle regole di evidenza pubblica, e per il resto operanti in regime di concorrenza [Cons. St., ad. plen., 1 agosto 2011, n. 16].
Sotto questo profilo è quindi necessario valutare se questa estensione sia conforme ai principi costituzionali di libertà di impresa e con gli obiettivi fondamentali dell’evidenza pubblica comunitaria di imporre il rispetto degli obblighi di trasparenza, imparzialità e parità di trattamento tipici dell’agire amministrativo ad una sfera organizzativa interna e antecedente rispetto alla fase procedimentalizzata di scelta del contraente nei settori regolati dal codice. In definitiva tale obbligo (tra l’altro esteso anche ai lavori) risulta di problematica conciliabilità con l’attività di un’impresa che opera in un mercato competitivo e che per tale ragione dovrebbe poter modificare le proprie strategie d’impresa ed i propri piani di investimento in tempi e secondo modalità che non sarebbero compatibili con i vincoli procedurali stabiliti dalla disciplina in commento.
Si segnala inoltre l’opportunità di aggiungere nel comma 3, ultimo periodo, prima della parola “superiore”, le parole “pari o”, al fine di armonizzare la soglia di valore dei lavori ai fini dell’obbligo di allegazione del progetto di fattibilità dei lavori (€ 1.000.000) con quella minima per l’inserimento nel programma triennale (€ 100.000), precedentemente enunciata nel medesimo comma.
Sul piano formale, nel comma 9, primo periodo, le parole “restano
validi” e “in vigore” vanno sostituire, rispettivamente, con le parole “si applicano” e “efficaci”.
ARTICOLO 22 (TRASPARENZA NELLA PARTECIPAZIONE DI PORTATORI DI INTERESSI E DIBATTITO PUBBLICO)
L’art. 22 disciplina il dibattito pubblico nella pianificazione e programmazione di lavori di rilevanza sociale e di impatto territoriale e sulle popolazioni ivi insediate. Si tratta di uno dei punti qualificanti del nuovo codice, con il quale si dà attuazione ai criteri direttivi di trasparenza e partecipazione previsti alle lettere ppp) e qqq) dell’art. 1, comma 1, della legge delega.
A tal fine, il primo comma della disposizione in esame enuncia l’obbligo di pubblicazione per i progetti aventi le descritte caratteristiche, mentre il successivo comma demanda ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti l’individuazione delle tipologie e delle soglie dimensionali di opere per le quali il dibattito pubblico è obbligatorio.
Il comma 3 disciplina la procedura in questione, incentrata sulla conferenza indetta dal soggetto proponente, da concludersi entro quattro mesi e con potestà di autodisciplinare le modalità di svolgimento del dibattito, alla quale partecipano non solo gli enti e le amministrazioni interessati, ma anche gli altri portatori di interessi, con formula che riecheggia l’art. 9 l. n. 241 del 1990, e tra questi i comitati cittadini “i quali abbiano già segnalato agli enti locali territoriali il loro interesse”. Si prevede quindi che il progetto di fattibilità, le osservazioni dei soggetti partecipanti e gli esiti del dibattito siano pubblicati on line.
Infine, il comma 4 obbliga la conferenza di servizi chiamata ad approvare il progetto a svolgere una specifica discussione sulle risultanze del dibattito (comma 4).
La normativa in esame sembra lacunosa e non chiara su profili che potrebbero avere rilevanti ricadute pratiche e costituire fonte di contenzioso, in una fase in cui si seleziona la platea dei portatori di interessi collettivi connessi all’opera.
Dal punto di visto oggettivo, la delega pone come obbligatorio il dibattito pubblico per tutti i “grandi progetti infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale aventi impatto sull’ambiente, la città o l’assetto del
territorio”.
Invece, l’art. 22, sembra operare una distinzione tra dibattito pubblico facoltativo e obbligatorio, individuando solo alcune categorie specifiche per le quali il dibattito è obbligatorio, e in particolare per le ipotesi di cui al comma 2: “le grandi opere infrastrutturali aventi impatto rilevante sull’ambiente, sulle città e sull’assetto del territorio, individuate per tipologia e soglie dimensionali con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti”. Si tratta di una categoria più ristretta di quella di cui al comma 1 del medesimo articolo, che ricalca tutte le ipotesi enunciate nella delega. Peraltro, non è previsto alcun termine per l’adozione di tale decreto (a differenza che per altri decreti ministeriali previsti dal codice), né è stabilito un regime transitorio, con il rischio che la procedura di dibattito pubblico resti facoltativa sine die.
L’intento della delega è stato quello di rendere il dibattito pubblico obbligatorio per le tipologie di opere indicate nella delega medesima, senza che si possa operare, al loro interno, una sottodistinzione tra dibattito facoltativo e obbligatorio. Resta ovviamente fermo, in base ai principi generali sul procedimento amministrativo, che gli enti pubblici possono sottoporre a dibattito pubblico delle comunità locali altre tipologie di opere, facoltativamente. Ma non occorreva una espressa disciplina legislativa per regolare il dibattito pubblico facoltativo. Occorre pertanto omogeneizzare i commi 1 e 2, dando una definizione uniforme dell’ambito oggettivo del dibattito pubblico, anche demandando a un successivo d.m. la individuazione delle opere soggette a dibattito, a fini di semplificazione e chiarezza. Ma il d.m. deve avere carattere dichiarativo e non costitutivo dell’obbligo di dibattito pubblico, che discende direttamente dalla legge.
Si suggerisce la seguente riformulazione dei commi 1 e 2: “1. Le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori pubblicano, nel proprio profilo del committente, i progetti di fattibilità relativi alle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull’ambiente, sulle città e sull’assetto del territorio, nonché gli esiti della consultazione pubblica comprensivi dei resoconti degli incontri e dei dibattiti con i portatori di interesse. I contributi e i resoconti sono pubblicati, con pari evidenza, unitamente ai documenti predisposti dall’amministrazione e relativi agli stessi lavori.
2. Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, su proposta del Consiglio superiore dei lavori pubblici, possono essere individuate le opere di cui al comma 1, per tipologia e soglie dimensionali.”
Per l’ipotesi in cui non si intenda modificare in tal senso le
disposizioni, e il decreto ministeriale resti a valenza costitutiva dell’obbligo di dibattito pubblico, è necessario fissare un termine stringente per l’adozione di tale decreto, e prevedere comunque l’obbligatorietà del dibattito pubblico nel caso di decorso infruttuoso del termine di adozione del decreto ministeriale.
Inoltre, non sono regolati i tempi e le modalità con cui i portatori di interessi e i comitati di cittadini dovranno manifestare l’interesse a partecipare. La disposizione sembra in particolare consentire la formazione di comitati ad hoc e dunque appare porsi in una prospettiva di superamento dei principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa in materia, secondo cui la rappresentatività ed effettività degli organismi esponenziali di interessi collettivi va apprezzata ex ante, in base agli obiettivi statutariamente previsti ed all’effettivo svolgimento delle attività di cura di tali interessi. I rischi sono quelli di polverizzazione del dibattito e di ingestibilità dei lavori della conferenza, che la previsione di requisiti di effettività e rappresentatività potrebbe evitare.
Per altro verso, il comma 3 appare inoltre costituire una ripetizione degli obblighi di pubblicità informatica rispetto al comma 1. La medesima disposizione contiene la previsione aggiuntiva in base alla quale devono essere pubblicate anche “osservazioni inviate on-line” (lett. b) e dunque – come sembra doversi evincere – anche da singoli cittadini non ammessi al dibattito. Il profilo andrebbe valutato in sede di approvazione definitiva dello schema di decreto, tenuto conto delle ricadute degli esiti del dibattito pubblico sulla successiva fase di approvazione del progetto, e dunque della possibilità che sotto questo profilo si aprano ulteriori fronti di contenzioso.
Occorrerà in ogni caso verificare, anche mediante apposite analisi e ricerche, l’impatto concreto della presente disposizione e procedere, in sede di decreto correttivo, alle eventuali correzioni. Si suggerisce al Governo di valutare l’introduzione di una norma che, in sede di prima applicazione, demandi alla Cabina di regia di cui all’art. 212, nell’ambito dei suoi compiti di cui al comma 1, lett. a) ( “effettuare una ricognizione sullo stato di attuazione del presente codice e sulle difficoltà riscontrate dalle stazioni appaltanti nella fase di applicazione anche al fine di proporre eventuali soluzioni correttive e di miglioramento”) di operare un monitoraggio sull’impatto di tale disposizione e di presentare una relazione al Governo e al Parlamento dopo i primi nove mesi di applicazione della disposizione, con le proposte di eventuali correttivi.
Sul piano formale, si rileva, infine, nel comma 2 un richiamo al
successivo comma 5, in realtà non presente nell’articolato.
ARTICOLO 23 (LIVELLI DELLA PROGETTAZIONE PER GLI APPALTI, LE CONCESSIONI DI LAVORI NONCHE’ PER I SERVIZI)
L’art. 23 definisce i livelli della progettazione dei lavori pubblici, con la sostituzione della progettazione “di fattibilità” a quella preliminare, connotata da un maggior grado di dettaglio ed una analisi comparativa delle diverse soluzioni in termini di costi e benefici per la collettività e della qualità ed efficienza energetica dell’opera. La disposizione in esame richiede, al comma 1, lett. e), che siano tra l’altro rispettati i vincoli idro- geologici, sismici e forestali.
Il corrispondente art. 93 d.lgs. n. 163/2006 afferma più genericamente che la progettazione assicura il rispetto dei vincoli esistenti. Trattasi di norma più generale e astratta, da preferire. Infatti con l’enunciazione puntuale di tre soli vincoli potrebbero esserne trascurati altri, che pure vanno rispettati (p. es. vincoli militari, fasce di rispetto ferroviarie e cimiteriali). Si suggerisce pertanto, di aggiungere, alla fine della lett. e), le parole “nonché degli altri vincoli esistenti”.
Costituisce un’innovazione rispetto alla disciplina abroganda la possibilità di fare gravare i costi della progettazione sulla procedura di gara cui questa accede (comma 11). La disposizione non è chiara e sembra alludere alla possibilità di accollare gli oneri in questione all’aggiudicatario dei lavori, sotto forma di riduzione del corrispettivo. E’ pertanto opportuna una valutazione dei possibili effetti della norma ed una ulteriore specificazione della stessa.
Sul piano formale, l’art. 23 si presta ai seguenti rilievi:
- al comma 4, primo periodo, va apposta una virgola dopo le parole
“dell’intervento”;
- al comma 8, ultimo periodo, vanno eliminate in quanto ridondanti le parole “, il cui contenuto garantisce la rispondenza dell’opera ai requisiti di qualità predeterminati e, nel contempo, dà certezza al rispetto dei tempi e dei costi previsti”, trattandosi non di disposizione precettiva, ma di proposizione esplicativa della ratio legis della regola di porre a base di gara, di norma, il progetto esecutivo;;
- al comma 9, va apposta una virgola dopo le parole “dell’opera”;;
- al comma 10, primo periodo, le parole “è autorizzato ai sensi dell’articolo” vanno sostituite con le parole “è soggetto all’autorizzazione di cui all’articolo”; nel secondo periodo del comma 10, le parole
“L’autorizzazione di cui al predetto articolo 15” vanno sostituite con le parole
“La medesima autorizzazione”;
- al comma 12, primo periodo, la parola “processo” va sostituita con
“procedimento”;
- al comma 12, secondo periodo, va soppresso l’inciso “, come di norma, “;;
- al comma 14 primo periodo va soppresso perché generico, superfluo e fonte di equivoci esegetici l’inciso “di regola”: (i) superfluo perché l’eccezione alla regola del primo periodo è già contenuta nel secondo periodo;; (ii) fonte di equivoci esegetici perché ove si intendano prevedere altre deroghe, occorre esplicitarle nella norma primaria, o se del caso autorizzare un atto secondario a prevederle.
ARTICOLO 24 (PROGETTAZIONE INTERNA ED ESTERNA ALLE AMMINISTRAZIONI AGGIUDICATRICI IN MATERIA DI LAVORI PUBBLICI)
L’art. 24 contiene la disciplina generale della progettazione delle amministrazioni aggiudicatrici e gli incarichi di direzione lavori e di supporto, ivi compresa la responsabilità del procedimento e di direzione della programmazione.
Rispetto alla normativa abroganda non è più prevista la preferenza per i progettisti interni. La previsione richiede un’attenta valutazione e una rigorosa verifica ex post circa possibili fenomeni di infedeltà da parte dei pubblici funzionari o per i relativi effetti finanziari.
Sul piano formale, il comma 5 rinvia alle “linee guida di cui al comma 2” per la disciplina del “giovane progettista”, ma nella disposizione richiamata si prevede un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per cui occorre armonizzare la terminologia dei due commi.
Infine, il comma 7 riproduce le incompatibilità per i progettisti previste dall’art. 90, comma 8, codice appalti, ma non riproduce anche l’art. 90, comma 8-bis, inserito della legge europea 2013-bis (l. 30 ottobre 2014, n. 161), a tenore del quale i divieti per gli affidatari di incarichi di progettazione di ricevere in affidamento degli appalti o concessioni di lavori ad essi relativi “non si applicano laddove i soggetti ivi indicati dimostrino che l'esperienza acquisita nell'espletamento degli incarichi di progettazione non è tale da determinare un vantaggio che possa falsare la concorrenza con gli altri operatori”. La disposizione ora richiamata era stata introdotta a fronte di una procedura di infrazione comunitaria [Eu Pilot 4860/13/MARKT].
Inoltre, l’art. 57, comma 4, lett. e), della direttiva 2014/24/UE prevede che non si faccia luogo all’esclusione dell’operatore economico dalla gara quando la situazione di conflitto di interessi in cui versa può essere risolta “efficacemente con altre misure meno intrusive” rispetto alla sanzione espulsiva. Pertanto, anche per ragioni di corretto adempimento degli obblighi discendenti dalla normativa europea da recepire appare necessario riprodurre nella disposizione in esame anche quella ora richiamata.
L’art. 24 si presta infine al seguente rilievo formale:
- al comma 5, primo periodo, le parole “del soggetto affidatario dell’incarico, lo stesso deve essere” vanno sostituite con le parole “ del soggetto affidatario, l’incarico è”.
ARTICOLO 25 (VERIFICA PREVENTIVA DELL’INTERESSE
ARCHEOLOGICO)
L’art. 25 disciplina la verifica preventiva dell’interesse archeologico. Tale disciplina si caratterizza per una significativa riduzione, rispetto alla disciplina abroganda, del termine per la relativa dichiarazione da parte del competente soprintendente, oggi contenuta nell’art. 95 cod. contratti pubblici, e cioè da 90 a 30 giorni dal ricevimento del progetto di fattibilità, salvo l’effetto sospensivo derivante dalla richiesta di integrazioni.
Pur comprendendosi le ragioni acceleratorie, il nuovo termine può risultare in concreto troppo breve avuto riguardo alla capacità operativa attuale delle Soprintendenze alle belle arti, e al pregio del patrimonio archeologico italiano. Si suggerisce pertanto di valutare una soluzione di mediazione, con termine di 45-60 giorni, tanto più che è di imminente adozione il regolamento previsto dall’art. 4, l. 7 agosto 2015, n. 124 (“Deleghe al governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”), per la semplificazione ed accelerazione dei procedimenti amministrativi ivi specificamente individuati (compresi quelli di competenza delle amministrazioni preposte alla tutela paesaggistico- territoriale, del patrimonio storico-artistico), relativi, tra l’altro, a opere di interesse generale.
Viene quindi disciplinata la procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico, imperniata su tempi certi per la sua definizione (comma 9). Tuttavia la norma non è formulata in modo chiaro, perché dispone che la
procedura xxxxx concludersi in un termine “predeterminato in relazione all’estensione dell’area”. Viene dunque impiegato un parametro elastico ed inoltre non è specificato chi debba predeterminare il termine.
Analoghe perplessità suscita la successiva disposizione finalizzata a garantire una definizione rapida della procedura di verifica dell’interesse archeologico (comma 15). E’ previsto che, in caso di “ritenuta eccessiva durata”, la stazione appaltante possa “avvalersi” delle procedure di cui al regolamento di attuazione del citato art. 4 della legge 7 agosto 2015, n.
124. Non è tuttavia chiaro se questo “avvalimento” della procedura (espressione impropria dal punto di vista giuridico) alluda al ricorso ai poteri sostitutivi del Presidente del Consiglio dei ministri o di un suo delegato previsti dalla norma richiamata. Del pari non sono chiari i rapporti con il comma 13 della disposizione in esame, la quale demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di “individuare” procedimenti semplificati, che bilancino la tutela dell’interesse archeologico con quello sotteso alla realizzazione dell’opera. Inoltre, posto che l’eccessiva durata non può verificarsi in pendenza del termine, di legge o regolamento previsti, la qualificazione soggettiva “ritenuta” andrebbe sostituita con il riferimento al superamento del termine medesimo.
Infine, dal punto di vista formale occorre sostituire: al comma 14 le parole “dell’amministrazione procedente” con “della stazione appaltante”, per esigenze di armonizzazione con l’ambito soggettivo di applicabilità della disposizione, quale derivante dai precedenti riferimenti in esso contenuti;; ed al comma 16 dopo le parole “Le Regioni” aggiungere “e le Province autonome di Trento e di Bolzano”, atteso il pari rango costituzionale di questi enti rispetto ai primi.
L’art. 25 si presta, inoltre, ai seguenti rilievi formali:
- al comma 7, primo periodo, sostituire le parole “previsti dal predetto codice “
con “ivi previsti”;;
- sempre al comma 7, primo periodo, sostituire le parole “compresa la facoltà di prescrivere” con “compreso il potere di ordinare”;
- al comma 7, secondo periodo, va messa una virgola tra le parole
“paesaggio” e “nonché”;
- al comma 10 le parole “d’intesa” vanno sostituite con le parole “previo accordo”;;
- al comma 11 le parole “detta le prescrizioni necessarie” vanno sostituire con le parole “determina le misure necessarie”.
ARTICOLO 26 (VERIFICA PREVENTIVA DELLA PROGETTAZIONE)
L’art. 26 disciplina la verifica dei progetti, in attuazione dei criteri direttivi di revisione e semplificazione enunciati dalle lettere rr) dell’art. 1, comma 1, della legge delega. Il comma 1 prevede che la stazione appaltante verifichi la “rispondenza” degli elaborati progettuali e la loro conformità alla normativa vigente. Sarebbe tuttavia più corretto dal punto di vista lessicale riferirsi alla “conformità” tra i diversi livelli progettuali e di questi rispetto alla normativa vigente.
Sul piano formale, nel comma 3, lett. i), sostituire “richiesto” con “richiesta”.
ARTICOLO 27 (PROCEDURE DI APPROVAZIONE DEI PROGETTI RELATIVI AI LAVORI)
L’art. 27 regola il procedimento di approvazione dei progetti di lavori pubblici da parte delle “amministrazioni”, per il quale, come l’abrogando art. 97 cod. contratti pubblici, è operato un rinvio alle norme della legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990 ed in particolare alla conferenza di servizi disciplinata dalla medesima legge.
Il secondo comma si riferisce alle amministrazioni aggiudicatrici ed agli gli enti aggiudicatori, i quali vengono facultizzati a sottoporre al procedimento di approvazione in esame livelli progettuali di maggior dettaglio rispetto a quello di fattibilità, al fine di ottenere i necessari assensi amministrativi già in sede di conferenza preliminare ex art. 14-bis l. 7 agosto 1990, n. 241, con riduzione dei tempi del procedimento ed evitare la duplicazione oggi invece prevista. Questa disposizione andrebbe quindi coordinata con quella contenuta nel primo comma, il quale si riferisce alle sole amministrazioni, al fine di chiarire l’effettivo ambito di applicazione soggettivo della norma.
Inoltre, stante il riferimento agli enti aggiudicatori, devono essere richiamate le considerazioni svolte a proposito degli strumenti di programmazione di cui agli artt. 21 e 22 dello schema di decreto, circa l’estensione degli obblighi organizzativi e procedimentali tipici dell’azione amministrativa a soggetti formalmente privati.
Una rilevante novità è rappresentata dall’obbligo degli enti gestori delle interferenze di collaborare non solo in sede di conferenza, come già rilevato, ma anche di sviluppare le conseguenti modifiche progettuali (comma 4). L’obbligo è quindi rafforzato con la previsione di un regime di “responsabilità patrimoniale” nei confronti della stazione appaltante. L’aggettivo è tuttavia ultroneo ed andrebbe sostituito con l’espressione “per i danni subiti”, così da essere chiaramente qualificabile come un’ipotesi di responsabilità civile. Non è inoltre chiaro se la responsabilità in questione sia da inadempimento (da obbligo ex lege) o sia riconducibile al paradigma generale dell’art. 2043 cod. civ., con rilevanza della colpa e onere probatorio a carico della stazione appaltante in questa seconda evenienza.
L’art. 27 si presta inoltre ai seguenti rilievi di ordine formale:
- al comma 2, primo periodo, sostituire le parole “hanno facoltà di” con la parola “possono”;;
- sempre al comma 2, primo periodo, la parola “omesse” va sostituita con “non effettuate”, di carattere più neutrale, laddove l’espressione “omesse” può evocare un inadempimento e dunque una illegittimità, in luogo di una consapevole e legittima riduzione dei livelli della progettazione;;
- al comma 3, primo periodo, le parole “il tracciato” vanno sostituite con
“sul tracciato”;
- al comma 3, secondo periodo, va eliminata la parola “predetta” prima di
“conferenza” apparendo chiaro a quale conferenza ci si riferisce;;
- sempre al comma 3, secondo periodo, ultimo inciso, va completata la locuzione “a meno del ritiro” indicando l’oggetto del ritiro;
- al comma 4, primo periodo, va apposta una virgola dopo le parole
“comma 3”;
- sempre al comma 4, primo periodo, la parola “insediamento” va sostituita con le parole “dell’insediamento”;
- al comma 7 le parole “norme vigenti” vanno sostituite con “disposizioni vigenti”.
ARTICOLO 28 (CONTRATTI MISTI)
L’art. 28 disciplina svariate ipotesi di contratti misti di appalto.
Il comma 1 si riferisce a “ i contratti nei settori ordinari e nei settori speciali, aventi ad oggetto due o più tipi di appalto contemplati nel presente codice”
Non è chiaro l’ambito di riferimento. Dal raffronto con le direttive, si evince che si vuole far riferimento al solo contratto misto all’interno di ciascun settore (v. 3, par. 1 e 2, direttiva 24/2014;; art. 5, par. 1 e 2 direttiva 25/2014). Per maggior chiarezza si suggerisce di sostituire il periodo sopra virgolettato come segue: “I contratti, nei settori ordinari o nei settori speciali, o le concessioni, che hanno, in ciascun rispettivo ambito, ad oggetto due o più tipi di prestazioni (lavori, servizi, forniture), “
L’art. 28 si presta inoltre ai seguenti rilievi formali:
- al comma 4 sostituite le parole “Se parte” con “Se una parte”.
- ai commi 11 e 12 la parola “norme” va sostituita con “disposizioni”.
ARTICOLO 29 (PRINCIPI IN MATERIA DI TRASPARENZA)
L’art. 29, comma 1, secondo periodo, detta una essenziale disposizione di raccordo con il nuovo rito processuale in materia di impugnazione immediata di esclusioni e ammissioni, prevedendo la pubblicazione sul profilo di committente dell’elenco dei soggetti ammessi e esclusi.
La previsione è corretta, tuttavia ai fini della tutela in giudizio occorre che i concorrenti siano messi in grado di conoscere non solo la lista di ammessi ed esclusi ma anche le relative motivazioni.
La “lista” deve dunque avere una chiara e specifica valenza provvedimentale, anche considerato che è immediatamente impugnabile, e deve altresì essere chiarito che si tratta delle sole ammissioni ed esclusioni disposte all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico- finanziari e tecnico-professionali, e non anche delle esclusioni eventualmente disposte dopo l’apertura delle offerte, per carenze o anomalie di queste ultime.
Inoltre ai concorrenti deve essere assicurata una specifica conoscibilità, anche mediante avviso individuale: la sede propria per tale inserimento è l’art. 76 relativo alle comunicazioni individuali, e non l’art. 29 che riguarda più in generale la trasparenza.
Ciò nonostante, anche l’art. 29 richiede un intervento, sia per specificare la suddetta natura provvedimentale dell’elenco da pubblicare, sia per differenziare l’oggetto della pubblicità erga omnes (il solo provvedimento di ammissione ed esclusione) da quello dell’accesso dei concorrenti (tutta la relativa documentazione), rendendo così inutile, nell’art. 29, la necessità di selezionare “la documentazione non considerata riservata” oggi prevista dallo schema.
Si suggeriscono perciò alcune integrazioni sia al presente articolo che
all’art. 76.
Si rinvia altresì a quanto si osserva sull’art. 204.
Nell’art. 29, comma 1, secondo periodo, le parole: “gli elenchi dei concorrenti esclusi dalla procedura e di quelli ammessi, e relativamente a quest’ultimi, la documentazione non considerata riservata.” vanno sostituite con le seguenti: “il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico- finanziari e tecnico-professionali.”.
ARTICOLO 30 (PRINCIPI PER L’AGGIUDICAZIONE E L’ESECUZIONE DI APPALTI E CONCESSIONI)
Nell’art. 30, dedicato ai principi per l’aggiudicazione degli appalti, andrebbe opportunamente prevista, come anticipato a commento dell’art.
1) la disciplina sulla scelta, con gara, del socio privato di società miste costituite per la realizzazione e/o gestione di un’opera pubblica o di un servizio, così come attualmente contemplata nell’art. 1, comma 2, del d.lgs. 163/2006, e come previsto pure dall’art. 7, comma 5, dell’emanando d.lgs. sulle società pubbliche.
Sul piano formale, nel comma 6, secondo periodo, dopo la parola
“arretrate”, inserire una virgola.
ARTICOLO 31 (RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO)
L’art. 31 reca la disciplina del RUP (responsabile unico del procedimento). Il comma 4 ne elenca i compiti, con l’incipit “In particolare, il RUP:”.
Tuttavia l’elenco fornito non è esaustivo dei compiti del RUP. Mancano, ad es., i compiti, previsti dalla stessa legge delega, di validazione dei progetti e di autorizzazione varianti. Pertanto va premessa una norma di chiusura, del tipo, “Oltre ai compiti specificamente previsti da altre disposizioni del codice”.
Sul piano formale si rileva:
- al comma 10, la congiunzione “e” apposta tra le parole “pubbliche amministrazioni “ e “enti pubblici” va sostituita con la congiunzione “o”;
- al comma 11 le parole “o soggetto aggiudicatore” vanno sostituite con “o ad un soggetto aggiudicatore”.
ARTICOLO 32 (FASI DELLE PROCEDURE DI AFFIDAMENTO)
L’art. 32 corrisponde, con alcune modifiche sostanziali, all’art. 11, d.lgs. n.
163/2006.
Dalla lettura del comma 8 si evince che viene ampliato l’ambito entro cui è consentita l’esecuzione di urgenza, prima della stipula del contratto. Infatti, rispetto all’art. 11, d.lgs. n. 163/2006, scompare (come si evince dalla lettura del comma 8 del presente articolo) il divieto espresso (oggi recato dall’art. 11, comma 9, d.lgs. n. 163/2006) di esecuzione d’urgenza durante il periodo di c.d. stand-still (termine dilatorio per la stipula del contratto) e durante il periodo di sospensione ex lege della possibilità di stipulare il contratto a seguito di proposizione di ricorso giurisdizionale contro l’aggiudicazione e nelle more della pronuncia cautelare del giudice. Né tale soppressione è compensata dalla previsione del comma 9, a tenore della quale il contratto non può “comunque” essere stipulato durante il termine di stand-still, trattandosi di un divieto di ambito diverso (divieto di stipulazione) rispetto al divieto di cui al comma 8 (divieto di esecuzione d’urgenza in pendenza del termine per la stipulazione).
Si suggerisce di valutare con attenzione siffatta soppressione, atteso che un generalizzato ricorso all’esecuzione d’urgenza in pendenza del termine dilatorio e del termine sospensivo (termini imposti dal diritto comunitario, direttiva 2007/66), potrebbe dare luogo a una elusione dell’applicazione del diritto comunitario. Si potrebbe anche operare con una soluzione mediana, che fissi un termine dilatorio più breve (nei limiti consentiti dalla direttiva 2007/66), rispetto a quello di 35 giorni (ad. es. di 10-15 giorni, corrispondente al minimo previsto dalla citata direttiva), nei casi in cui ricorrono i presupposti oggettivi per l’esecuzione d’urgenza, e con esonero dall’osservanza pure del termine dilatorio minimo in cui vi sia una in dilazionabilità oggettiva e assoluta.
Il comma 10 dell’art. 32 in commento amplia, rispetto all’abrogando art. 11, comma 10-bis, d.lgs. n. 163/2006, i casi di deroga allo standstill (ossia i casi in cui è consentito stipulare immediatamente il contratto, senza attendere il decorso del termine dilatorio di 35 giorni). Si aggiunge infatti “il caso di acquisti di importo inferiore alle soglie di cui
all’articolo 35 affidati ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lettere a) e b)”. L’espressione “acquisti” induce a ritenere che si sia inteso fare riferimento alle sole “forniture” sotto soglia comunitaria (v. art. 3, lett. tt) sulla definizione dell’appalto di forniture), anche se il rinvio all’art. 36, comma 2, lett. a) e b) (che contemplano anche servizi e forniture), potrebbe portare a una interpretazione più estesa, comprensiva dei lavori fino a
150.000 euro e dei servizi sotto soglia.
E’ preferibile sostituire l’espressione “acquisti” con quella “forniture” al
fine di fugare ogni dubbio interpretativo.
La nuova deroga al termine dilatorio non contrasta con la direttiva 2007/66, trattandosi di affidamenti sotto soglia, ed è in astratto coerente con la legge delega, che impone il divieto di gold plating e il principio di semplificazione degli appalti sotto soglia.
Tuttavia, il termine di stand-still ha un effetto immediato e diretto sulla possibilità di tutela giurisdizionale, e pertanto una deroga generalizzata per le forniture sotto soglia rischia di creare una disparita di trattamento sul piano della tutela giurisdizionale. Il legislatore italiano ha sinora optato per una soluzione normativa uniforme, quando si tratta di tutela giurisdizionale, a prescindere dall’essere l’appalto sopra o sotto soglia.
Altro tema meritevole di approfondimento è l’istituto dell’aggiudicazione
provvisoria, disciplinato dagli articoli 32 e 33.
La natura anfibia del concetto stesso di aggiudicazione provvisoria (un atto infraprocedimentale, forzosamente equiparato a un provvedimento) e le conseguenti problematiche interpretative emerse in sede di contenzioso (impugnabilità immediata, risarcibilità del danno da revoca, tutela dell’affidamento) rendono opportuno il superamento dell’istituto. Si suggerisce quindi la sostituzione, negli articoli in esame e nelle norme connesse, dell’”aggiudicazione provvisoria” con la “proposta di aggiudicazione”. In via consequenziale l’ “aggiudicazione definitiva” deve diventare tout court “aggiudicazione”.
Va dà sé che questa nuova più appropriata soluzione terminologica implica la sostituzione delle parole “aggiudicazione provvisoria” e “aggiudicazione definitiva” con le parole “proposta di aggiudicazione” e “aggiudicazione” in tutte le disposizioni che le contengono (aggiudicazione provvisoria compare nei seguenti articoli: 32, comma 5;; 33, comma 1, tre volte;; 204;; aggiudicazione definitiva compare nei seguenti articoli: 32, commi 5, 6, 7, 8, 9, 11;; 53, comma 2, lettera c) e lettera d);; 76, comma 4,
lettera a);; 183, comma 16).
Sul piano formale, nel comma 10, lett. a) sostituire la parola “inoltro”
con “dell’inoltro”.
ARTICOLO 33 (CONTROLLI SUGLI ATTI DELLE PROCEDURE DI AFFIDAMENTO)
L’art. 33 si presta ai seguenti rilievi di ordine formale:
- al comma 1 primo periodo, primo inciso, è ripetuta due volte la parola
“previsti”;
- al comma 1, ultimo periodo, sostituire “i suddetti” con “tali”;
- al comma 2, secondo periodo, eliminare, perché generica e superflua,
l’espressione “, anche al fine di prevenzione di illeciti penali”.
ARTICOLO 34 (CRITERI DI SOSTENIBILITA’ ENERGETICA
E AMBIENTALE)
Nell’art. 34, comma 1, si segnala un refuso, dove vi sono le parole “di cui al attraverso”. O vanno soppresse le parole “di cui al”, o si completa il senso dell’espressione “di cui al” con un appropriato rinvio.
ARTICOLO 35 (SOGLIE DI RILEVANZA COMUNITARIA E METODI DI CALCOLO DEL VALORE STIMATO DEGLI APPALTI)
L’art. 35 recepisce le disposizioni delle direttive 2014/23, 2014/24, 2014/25 che – nel fissare le soglie di rilevanza comunitaria – hanno previsto un loro meccanismo di fissazione, per il quale esse non restano fisse, ma sono adeguate con cadenza biennale con provvedimento della Commissione europea.
Pertanto, le soglie indicate nell’art. 35 sono quelle conseguenti al relativo adeguamento (e non corrispondono a quelle contenute nelle citate direttive), poiché nelle more del loro recepimento sono entrati in vigore i regolamenti 24 novembre 2015, n. 2015/2170/UE, 24 novembre 2015, n.
2015/2171/UE, 24 novembre 2015, n. 2015/2172/UE.
Va formulato in questa sede un rilievo di carattere generale: le soglie di rilevanza comunitaria vengono definite dal presente articolo e dai corrispondenti articoli delle tre direttive comunitarie in termini di importo “pari o superiore a”.
In molte disposizioni del codice tale prescrizione non è rispettata,
parlandosi di importo “superiore a”.
Va pertanto effettuata una ricognizione di tutte le disposizioni del codice, per renderle coerenti con l’art. 35 (v. a titolo di esempio, gli articoli 99, comma 1, 102, comma 7, lett. a), 102, comma 7, lett. b), 105, comma 6,
128, comma 3).
Analogamente, quando vengono fissate autonomamente altre soglie (ad esempio, intermedie nell’ambito dei contratti sotto soglia), si deve verificare la coerenza delle formulazioni.
L’articolo in esame ha inteso recepire anche le disposizioni delle direttive sull’esigenza che vi sia un ‘frazionamento artificioso’, tale da eludere l’applicazione della disciplina europea.
Al riguardo, però, va segnalato che non vi è stato il necessario coordinamento con l’art. 5, par. 2, della direttiva 2014/24, per il quale “In deroga al primo comma, se un’unità operativa distinta è responsabile in modo indipendente del proprio appalto o di determinate categorie di quest’ultimo, i valori possono essere stimati al livello dell’unità in questione”.
Si suggerisce, quindi, ai fini di una corretta trasposizione, di modificare l’ultimo periodo del comma 5 dell’art. 35 (per il quale “il valore dell’appalto può essere stimato con riferimento al valore attribuito all’unità operativa distinta”), sostituendolo con “il valore dell’appalto può essere stimato con riferimento al valore attribuito dall’unità operativa distinta”, poiché il valore non può che essere attribuito all’appalto e non all’unità operativa.
Si segnala infine che l’incipit del comma 9, “Per i contratti relativi a servizi:” non traspone puntualmente le direttive e va sostituito con “Per i contratti relativi a lavori e servizi:” (v. infatti la direttiva 24 art. 5, par. 8;; la direttiva 25, art. 16, par. 8;; la direttiva 23, art. 8, par. 5 e 6;; e la stessa lett. a) del comma 9 dell’art. 35, che richiama pure le opere).
Sul piano formale l’art. 35 si presta ai seguenti rilievi:
- al comma 7, la parola “valido” va sostituita con “quantificato”;;
- al comma 12, la parola “assunto” va sostituita con “posto”;;
- al comma 14, la parola “assumere” va sostituita con “porre”.
ARTICOLO 36 (CONTRATTI SOTTO SOGLIA)
L’art. 36 prevede disposizioni sostitutive di quelle contenute negli artt. 121-125, del d.lgs. n. 163/2006, tra cui va segnalato l’art. 121, comma 1, che specifica puntualmente quali articoli del codice si applicano in via diretta agli appalti sotto soglia
L’art. 36 non risulta coerente con il criterio direttivo contenuto nella lett.
g) dell’art. 1 della legge delega, poiché impone il solo rispetto dei principi di cui all’art. 4, limitandosi a prevedere:
a) il tipo di procedura utilizzabile a seconda dell’ammontare del valore dell’appalto o della circostanza che si tratti di lavori aventi ad oggetto opere di urbanizzazione;;
b) l’obbligo di verificare per contratti di servizi e forniture, nonché per i lavori di importo inferiore a 150.000,00 euro, i requisiti generali mediante consultazione della banda dati nazionale degli operatori economici;;
c) l’obbligo di verifica dei requisiti tecnici e finanziari richiesti nella lettera
di invito o nel bando di gara;;
d) l’obbligo di verifica dei requisiti in caso di procedura negoziata solo per l’aggiudicatario, con facoltà di estendere la verifica anche agli altri partecipanti;;
e) la facoltà per le stazioni appaltanti di utilizzare il mercato elettronico. Per il resto, l’art. 36 rinvia l’individuazione delle ‘modalità di dettaglio’ alle linee guida dell’ANAC.
Fermo restando quanto rilevato da questa Commissione speciale in ordine all’art. 213, sulla natura giuridica delle linee guida, si segnala che l’art. 36 comporta un rinvio ad un altro testo ed una sostanziale moltiplicazione delle fonti normative, non attenendosi al criterio contenuto nella lett. e) dell’art. 1 della legge delega, che ha imposto una “semplificazione e riordino del quadro normativo vigente”.
In tal modo, si prevede un passaggio da una disciplina unitaria, applicabile a tutte le stazioni appaltanti in coerenza con i principi di trasparenza e di buon andamento, ad un assetto normativo nel quale gli appalti sottosoglia sarebbero disciplinati da alcune norme di rango primario e dalle linee guida che, in quanto volte a ‘supportare’ le stazioni appaltanti, in assenza di uno stringente quadro normativo porterebbe a loro possibili scelte eterogenee, anche limitative della concorrenza.
Una possibile soluzione potrebbe essere rinvenuta nel conferire all’ANAC il potere di adottare linee guida vincolanti, previa fissazione di chiari criteri direttivi, tesi ad ottenere un corpus snello, organico e chiaro di norme applicabili agli appalti sottosoglia.
Quanto alla disposizione del comma 7 che mira a prevedere un regime transitorio, innanzitutto occorre evitare che il medesimo comma contenga sia norme ‘a regime’ che norme transitorie: occorre dunque
inserire le norme transitorie in materia nell’apposito articolato che, alla fine del testo, si riferirà alle disposizioni transitorie, prima di quelle concernenti le abrogazioni.
Quanto al contenuto sostanziale del regime transitorio (in attesa delle linee guida), va segnalato come il comma 7 consenta di non applicare la disciplina ora vigente, prevedendo che stazioni appaltanti dovranno: a) rispettare i principi di cui all’art. 4 e il principio di rotazione; b) utilizzare indagini di mercato, previo avviso pubblicato, con la specificazione dei requisiti minimi che debbono essere posseduti dai soggetti che si intendono invitare a presentare l’offerta.
Occorre dunque determinare un termine massimo entro il quale l’ANAC sia tenuta ad adottare le linee guida, specificando che nel frattempo trovano comunque applicazione almeno le disposizioni contenute nello stesso art. 36 e, se del caso, quelle contenute nella (pre)vigente disciplina degli appalti sotto soglia.
Infine, la lettera b) del comma 2 dell’art. 36 - nella parte in cui fa riferimento al coinvolgimento di ‘tre’ operatori nel corso della procedura negoziata – deve essere resa coerente con i criteri contenuti nelle lett. g), ff), ii), dell’art. 1 della legge delega, che non prevede tale possibilità, disponendo che – per la necessaria valutazione comparativa –siano invitati a presentare offerta almeno cinque operatori economici. Pertanto la parola “tre” va sostituita con la parola “cinque”.
ARTICOLO 37 (AGGREGAZIONI E CENTRALIZZAZIONE DELLE COMMITTENZE)
L’art. 37, comma 13, indica in che limiti le stazioni appaltanti italiane possono ricorrere a centrali di committenza ubicate in altri Paesi UE, ponendo un limite soggettivo e uno oggettivo.
Sotto il profilo oggettivo, tale ricorso è possibile “solo per le attività di centralizzazione delle committenze svolte nella forma di acquisizione centralizzata di forniture e/o servizi a stazioni appaltanti”.
Sul piano soggettivo, viene fatto rinvio ai casi di cui al comma 10, ossia che vi siano due o più stazioni appaltanti italiane.
Questa limitazione soggettiva non risulta conforme alla direttiva 24, e in particolare al combinato disposto dei suoi artt. 39, par. 2 e 2 par. 1 punto
14) lett. a) e b).
Il rinvio al comma 10 riduce l’ambito consentito dalla direttiva. Il principio generale, fissato dall’art. 39 par. 2, direttiva 24 è che “uno stato membro non vieta alle sue amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere ad
attività di centralizzazione della committenza offerta da centrali di committenza di altro Stato membro”. L’unica deroga prevista dalla direttiva è quella che consente agli Stati membri di scegliere di specificare che le proprie amministrazioni aggiudicatrici possono ricorrere unicamente alle attività di centralizzazione della committenza di cui all’art. 2, par. 1, punto 14, lett. a) o b).
Nell’art. 37 si attua la scelta di limitare il ricorso delle stazioni appaltanti italiane a centrali di committenza di altri Paesi UE per la sola ipotesi dell’art. 2, par. 14, lett. a), direttiva 24.
Tuttavia il comma 13 in esame pone un ulteriore limite soggettivo con il rinvio al comma 10 (limite soggettivo secondo il quale le stazioni appaltanti devono essere almeno due).
Per il corretto recepimento della direttiva in parte qua, occorre eliminare dal
comma 13 le parole “Nei casi di cui al comma 10”.
Si segnala, inoltre, quello che sembra un difetto di coordinamento con l’art. 43, comma 1, che consente il ricorso senza limiti, né soggettivo, né oggettivo, a centrali di committenza di altri Paesi UE.
Poiché si tratta di una scelta politica rimessa agli Stati membri, l’opzione tra il ricorso senza limiti a centrali di committenza di altri Paesi UE, e il ricorso con una limitazione oggettiva ai sensi dell’art. 39, par. 2, direttiva 24, occorre che il Governo scelga quale delle due disposizioni mantenere tra l’art. 37, comma 13 e l’art. 43, comma 1.
Sul piano formale, l’art. 37 si presta al rilievo che va evitato il richiamo atecnico alla parola “ricorso”, contenuto nel commi 1, 2, 6, 12. Pertanto:
- al comma 1 primo periodo le parole “ricorso agli” vanno sostituite con
“utilizzo degli”;
- al comma 2 primo periodo la parola “ricorso” va sostituita con “utilizzo”;
- al comma 2, secondo periodo, le parole ”ricorrono alle modalità di cui al comma 3“ vanno sostituite con “operano ai sensi del comma 3”;
- al comma 6 le parole “ricorso ad” vanno sostituite con “impiego di”;
- al comma 12 le parole “ricorso agli” vanno sostituite con “utilizzo degli”.
ARTICOLO 38 (QUALIFICAZIONE DELLE STAZIONI APPALTANTI E CENTRALI DI COMMITTENZA)
Nell’art. 38, sul piano formale si rileva:
- al comma 1, terzo periodo, la parola “iscritte” va sostituita con “iscritti”;
- al comma 2 , primo periodo le parole “presente decreto” vanno sostituite con “ presente codice”.
ARTICOLO 40 (OBBLIGO DI USO DEI MEZZI DI COMUNICAZIONE ELETTRONICA NELLO SVOLGIMENTO DI PROCEDURE DI AGGIUDICAZIONE)
In relazione all’art. 40, sul piano formale si rileva che il comma 2 andrebbe
spostato nell’art. 216 tra le disposizioni transitorie.
ARTICOLO 41 (MISURE DI SEMPLIFICAZIONE DELLE PROCEDURE DI GARA SVOLTE DA CENTRALI DI COMMITTENZA)
Nell’art. 41 viene data attuazione al principio di delega che prevede la “(“revisione ed efficientamento delle procedure di appalto degli accordi quadro, delle convenzioni e in genere delle procedure utilizzabili dalla società CONSIP Spa, dai soggetti aggregatori e dalle centrali di committenza, finalizzati a migliorare la qualità degli approvvigionamenti e a ridurre i costi e i tempi di espletamento delle gare promuovendo anche un sistema di reti di committenza volto a determinare un più ampio ricorso alle gare e agli affidamenti di tipo telematico, al fine di garantire l'effettiva partecipazione delle micro, piccole e medie imprese”).
Nel recepimento di tale principio di delega, l’art. 41 si limita a demandare alla CONSIP, alle centrali di committenza ed ai soggetti aggregatori tale revisione e il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla legge delega.
In tal modo, non si consente al Parlamento, in sede di parere sul decreto legislativo, di verificare adeguatamente se sia rispettato il principio di delega.
E’ dunque auspicabile che nel testo siano inserite le disposizioni attuative
del principio di delega, se del caso implementando il contenuto del
d.P.C.M. previsto dal comma 5 dell’art. 37 (anche dopo la consultazione con la CONSIP e le altre centrali di committenza), o che quanto meno vi sia un controllo – governativo o ministeriale - sull’attività di revisione assegnata alla CONSIP, prevedendosi una approvazione con d.P.C.M. degli atti che ogni centrale di committenza adotti in attuazione del presente articolo.
In caso contrario, l’art. 41, che mira a far perseguire importanti obiettivi di natura politico-economica alle centrali di committenza, in assenza di un controllo politico sul raggiungimento di tali obiettivi, rischia di restare privo di concreta attuazione.
ARTICOLO 42 (CONFLITTO DI INTERESSI)
L’art. 42 recepisce l’art. 24 della direttiva 2014/24, l’art. 42 della direttiva 2014/24 e l’art. 35 della direttiva 2014/23.
Va premesso che tali articoli prevedono una ‘regolazione minima’ per contrastare la presenza di conflitti di interesse nelle svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni: essi contengono tutti la seguente locuzione: “Il concetto di conflitti di interesse copre almeno i casi”.
Nel sistema (pre)vigente, l’art. 84 d.lgs. n. 163/2006 contiene disposizioni sul conflitto di interessi, con riferimento alle ipotesi di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
L’art. 42 prevede dunque disposizioni che vanno valutate con favore: esso mira a una applicazione più estesa delle regole di incompatibilità, perché si riferisce in generale al “personale” della stazione appaltante, e quindi, non solo ai membri della commissione giudicatrice.
Si segnala però la necessità di specificare la nozione di conflitto di interessi, in coerenza con il criterio direttivo contenuto nell’art. 1 lett. a), della legge delega e con il considerando n. 16 della direttiva 2014/24/CEE (per il quale “Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero avvalersi di tutti i possibili mezzi a loro disposizione ai sensi del diritto nazionale per prevenire le distorsioni derivanti da conflitti di interesse nelle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Tra questi potrebbero rientrare le procedure per individuare, prevenire e porre rimedio a conflitti di interesse”.
D’altra parte, la necessità di fare riferimento, sia pure per rinvio, a condotte tipizzate emerge anche dal principio di tassatività: poiché la violazione delle regole comporta una specifica ipotesi di responsabilità disciplinare, occorre tener conto dei principi generali cui si ispira la materia disciplinare e, dunque, determinare le fattispecie sanzionabili, imputabili ai dipendenti.
Sarebbe dunque opportuno quanto meno formulare un rinvio simile a quello già previsto dall’art. 54 del d.lgs. 165 del 2001, che ha rinviato al codice di comportamento ed in particolare - quanto all’obbligo di astensione - all’art. 7 del d.P.R. n. 62 del 2013.
Sul piano formale, nel comma 5 va soppressa la parola “procedente”.
ARTICOLO 43 (APPALTI CHE COINVOLGONO AMMINISTRAZIONI AGGIUDICATRICI E ENTI AGGIUDICATORI DI STATI MEMBRI DIVERSI)
Nell’art. 43 si segnala quello che sembra un difetto di coordinamento del comma 1, che consente il ricorso senza limiti, né soggettivo, né oggettivo, a centrali di committenza di altri Paesi UE e l’art. 37, comma 13, che pone un limite oggettivo (consentito dall’art. 39, direttiva 24) e un limite soggettivo (non consentito, come si esprime sub art. 37). Poiché si tratta di una scelta politica rimessa agli Stati membri, l’opzione tra il ricorso senza limiti a centrali di committenza di altri Paesi UE, e il ricorso con una limitazione oggettiva ai sensi dell’art. 39, par. 2, direttiva 24, occorre che il Governo scelga quale delle due disposizioni mantenere tra l’art. 37, comma 13 e l’art. 43, comma 1. Si rinvia al riguardo a quanto esposto in relazione all’art. 37.
ARTICOLO 44 (DIGITALIZZAZIONE DELLE PROCEDURE)
In relazione all’art. 44, valuterà il Governo l’opportunità di acquisire, sull’emanando decreto ministeriale per la digitalizzazione delle procedure, oltre che il parere dell’AGID, anche quello del Garante nazionale della privacy per i profili di competenza.
ARTICOLO 45 (OPERATORI ECONOMICI)
In relazione all’art. 45, sul piano formale, si osserva che:
- al comma 1, ultimo periodo, vanno espunte le parole “delle norme”;
- al comma 4, le parole “persone incaricate” vanno sostituite con “persone
fisiche incaricate”.
ARTICOLO 46 (OPERATORI ECONOMICI PER L’AFFIDAMENTO DEI SERVIZI DI ARCHITETTURA E INGEGNERIA)
Nell’art. 46, comma 1, nell’incipit delle lett. d), e), f), va sostituita la parola
“da” con “i”.
ARTICOLO 48 (RAGGRUPPAMENTI TEMPORANEI E CONSORZI ORDINARI DI OPERATORI ECONOMICI)
L’art. 48 mira sostituisce l’art. 37 del d.lgs. n. 163 del 2006, del quale
non riporta alcune disposizioni.
In particolare, l’art. 48 non contiene le disposizioni contenute nel comma 11 dell’art. 37, che prevedeva una specifica ipotesi di divieto di subappalto per opere per le quali fossero necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica.
Si deve pertanto ritenere che anche per questi lavori rilevi la disciplina
generale contenuta nell’art. 105.
Il comma 19 poi contiene una previsione di derivazione giurisprudenziale [Cons. St., ad. plen., 4 maggio 2012, n. 8], chiarendo che le modificazioni soggettive al raggruppamento possono consistere nel recesso di una o più imprese e che esse sono ammesse solo se le imprese rimanenti posseggano i necessari requisiti di qualificazione per eseguire le prestazioni residue.
La nuova disposizione lascia, quindi, intendere che una simile modificazione sia ammissibile, sempre che ciò non sia finalizzato ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara, sia nel caso in cui le imprese rimanenti abbiano anche i requisiti per eseguire le prestazioni prima in carico delle imprese che operano il recesso, sia nel caso in cui siano già state eseguite le prestazioni per le quali le imprese rimanenti non siano in possesso dei requisiti.
Sul piano formale, nel comma 12 la parola “esse” va sostituita con “essi”.
ARTICOLO 50 (CLAUSOLE SOCIALI DEL BANDO DI GARA E DEGLI AVVISI)
L’art. 50 disciplina le “clausole sociali del bando di gara e degli avvisi”.
Al comma 1, si prevede che i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti “possano prevedere” le clausole sociali.
Al riguardo, per prevenire un possibile contenzioso, si rileva l’opportunità
che siano precisati i casi in cui vi sia tale possibilità, ovvero – in alternativa
– che si preveda la necessità che il bando preveda le clausole sociali. Sul piano formale:
- al comma 1 le parole “riguardo a quelli ad alta intensità di manodopera” vanno sostituite con le parole “riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera”. Non sono infatti i bandi e gli avvisi di gara, a cui si riferisce nel comma la parola “quelli” ad essere ad alta intensità di manodopera, bensì le prestazioni contrattuali contemplate dai bandi.
- al comma 2 vi è una definizione dei servizi ad alta intensità di manodopera che ripete quella recata al comma 1. Occorre perciò sopprimere l’ultimo periodo del comma 2, e, sempre al comma 2,
primo periodo, dopo le parole “quelli ad alta intensità di manodopera” aggiungere “come definiti al comma 1”.
ARTICOLO 52 (REGOLE APPLICABILI ALLE COMUNICAZIONI)
I commi da 10 a 12 dell’art. 52 contengono le regole applicabili alle comunicazioni nelle concessioni.
Il comma 12 è ripetitivo del comma 5 e non è chiaro se riguardi le concessioni. Può essere fatto un mero rinvio al comma 5 per le concessioni, sostituendo il comma 12 come segue: “Alle concessioni si applica il comma 5”.
ARTICOLO 53 (ACCESSO AGLI ATTI E RISERVATEZZA)
L’art. 53 riproduce il testo dell’art. 13, d.lgs. 163/2006, ad esclusione del comma 7 e 7-bis relativi all’accesso alle specifiche tecniche. Una significativa novità è quella che prevede la possibilità per le amministrazione aggiudicatrici e per gli enti aggiudicatori di imporre agli operatori economici condizioni a tutela della riservatezza delle informazioni rese disponibili dalle amministrazioni aggiudicatrici.
Si segnala l’opportunità di estendere l’ambito soggettivo delle disposizioni, sostituendo il riferimento alle amministrazione aggiudicatrici ed agli enti aggiudicatori con quello alle stazioni appaltanti.
ARTICOLO 55 (SISTEMI DINAMICI DI ACQUISIZIONE)
In relazione all’art. 55 si rileva, sul piano formale, che nel comma 1, secondo periodo, la parola “processo” va sostituita con “procedimento”, e la parola “validità” va sostituita con “efficacia”.
CAPO II
PROCEDURE DI SCELTA PER IL CONTRAENTE PER I SETTORI ORDINARI
Preliminarmente, si suggerisce, per una migliore leggibilità del titolo del Capo II, di sostituire le parole “procedure di scelta per il contraente” con le parole “procedure di scelta del contraente”.
ARTICOLO 59 (SCELTA DELLE PROCEDURE)
L’art. 59, comma 1, indica le tipologie delle procedure utilizzabili per la scelta del contraente e distingue quelle che le stazioni appaltanti possono scegliere discrezionalmente, in quanto non postulano la
sussistenza di condizioni legittimanti, da quelle che, al contrario, esigono - per la loro indizione, che resta facoltativa - la sussistenza dei loro presupposti.
Vengono classificate nella prima tipologia le procedure aperte, quelle ristrette e i partenariati per l’innovazione previa pubblicazione, mentre sono catalogati nella seconda categoria la procedura competitiva con negoziazione, il dialogo competitivo e la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara.
Si segnala come tale classificazione non risulti chiara e determinata, quanto ai presupposti legittimanti e al carattere facoltativo delle procedure ‘speciali’.
Risulta, quindi, indispensabile apportare al testo alcune modifiche, per rendere più chiare le distinzioni e per renderle conformi alle corrispondenti previsioni della direttiva 2014/24/.
Al comma 1, il primo periodo va sostituito dal seguente: “Nell’aggiudicazione di appalti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici utilizzano le procedure aperte o ristrette, previa pubblicazione di un bando o avviso di indizione di gara”.
Il secondo periodo va sostituito dal seguente: “Esse possono altresì utilizzare il partenariato per l’innovazione quando sussistono i presupposti previsti dall’articolo 65, la procedura competitiva con negoziazione e il dialogo competitivo quando sussistono i presupposti previsti dal comma 2 e la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara quando sussistono i presupposti tassativamente previsti dall’articolo 63”.
Va conseguentemente soppresso il comma 6.
Al terzo periodo del comma 1, vanno soppresse le parole “di regola”, in quanto idonee ad ingenerare incertezza sull’ambito di operatività del precetto relativo all’obbligo generale di porre il progetto esecutivo a base di gara.
Qualora si intendano prevedere deroghe a tale obbligo, queste dovrebbero essere indicate espressamente all’inizio del periodo: in tal caso, il comma potrebbe prevedere che “Tranne i casi previsti dagli articoli….., gli appalti relativi ai lavori”.
Al medesimo periodo le parole da “garantisce” fino alla fine vanno sostituite dalle seguenti: “garantisce la rispondenza dell’opera ai requisiti di qualità predeterminati e il rispetto dei tempi e dei costi previsti”, per una maggiore chiarezza della disposizione.
Al comma 2, lett. a), numero 1) la parola “adattare” va sostituita dalla parola “adottare”.
ARTICOLO 60 (PROCEDURA APERTA)
L’art. 60 non prevede il recepimento dell’art. 27, comma 4, della direttiva 2014/24, che consente alle amministrazioni aggiudicatrici di ridurre di cinque giorni il termine per la ricezione delle offerte, se viene accertata la presentazione delle offerte per via elettronica.
Qualora la mancanza di tale recepimento non sia voluta, la disposizione va integrata.
Qualora invece si tratti di una specifica scelta, poiché si tratta di un caso di gold plating, occorre che di essa si dia conto nella relazione AIR, ai sensi dell’art. 14, comma 24-quater, della legge n. 246 del 2005.
ARTICOLO 63 (USO DELLA PROCEDURA NEGOZIATA SENZA PREVIA PUBBLICAZIONE)
L’art. 63 disciplina la procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando, precisando opportunamente, al comma 1, che si tratta di una procedura giustificata dalla sussistenza dei presupposti espressamente indicati nella disposizione ed imponendo all’amministrazione aggiudicatrice un relativo obbligo di motivazione.
Appare, nondimeno, utile una riformulazione del comma 1 che precisi il contenuto della motivazione.
A tal fine le parole “dandone conto con adeguata motivazione nel primo atto della procedura” vanno sostituite con le seguenti: “dando conto con adeguata motivazione, nel primo atto della procedura, della sussistenza dei relativi presupposti”.. Per una migliore descrizione della fattispecie, risulta inoltre utile aggiungere, sia nella rubrica sia nel primo comma, le parole “di un bando di gara” dopo “previa pubblicazione”.
Al comma 2, lett. c), sono state aggiunte, rispetto ai presupposti tassativamente indicati all’art. 32 della direttiva 2014/24 e riferite alle ragioni di estrema urgenza, le situazioni relative alle emergenze di protezione civile e ai casi di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati, quali casi che consentono la procedura negoziata ivi disciplinata.
Sennonché, tale aggiunta, ancorché testualmente formulata come una specificazione del genus delle situazioni di estrema urgenza che impediscono il rispetto dei termini delle procedure ordinarie, risulta confliggente con l’art. 26, comma 6, della direttiva 2014/24 (che vieta
agli Stati membri di permettere la procedura in questione in casi diversi da quelli di cui all’art. 32), e con il criterio della lett. q), n. 1), della legge delega, il quale ha configurato come eccezionale la procedura negoziata senza precedente pubblicazione di un bando di gara.
Conseguentemente, vanno eliminate, al comma 2, lett. c), le parole da “ivi comprese” fino a “normativa ambientale”, fermo restando che si può seguire tale procedura per gli appalti finalizzati a fronteggiare le emergenze di protezione civile o quelle ambientali, quando sussistano effettivamente situazioni di attuale ed estrema urgenza.
Al comma 3, lett. a), è previsto che la procedura in questione è consentita qualora i prodotti oggetto dell’appalto siano fabbricati esclusivamente a scopo di ricerca, di sperimentazione, di studio o di sviluppo, con l’eccezione, conforme alla previsione di cui all’art. 32, comma 3, lett. a) della direttiva 2014/24, della “produzione in quantità volta ad accertare la redditività commerciale del prodotto o ad ammortizzare i costi di ricerca e di sviluppo”.
Sennonché, tale eccezione è introdotta con l’espressione, lessicalmente errata, di “salvo che non”, che non assume il significato della deroga contemplata nella direttiva: per restituire alla previsione il significato dell’eccezione, occorre eliminare la parola “non”.
Al comma 6, l’espressione “ove possibile” va soppressa, perché comporterebbe incertezze sull’ambito di applicazione delle regole e una negativa incidenza sul rispetto dei principi di trasparenza e di concorrenza.
ARTICOLO 64 (DIALOGO COMPETITIVO)
In relazione all’art. 64, preliminarmente si segnala che nella definizione del dialogo competitivo contenuta all’art. 3 vanno soppresse le parole “appalti particolarmente complessi”, poiché nella direttiva 2014/24 tale carattere non ha rilevanza (mentre era previsto nella precedente direttiva 18).
Si osserva, ancora, che non risulta recepita la previsione, formulata in termini vincolanti, dell’obbligatorietà dell’aggiudicazione dell’appalto sulla base del criterio del miglior rapporto qualità/prezzo, indicato come l’unico utilizzabile dall’art. 30, par.1, ultimo periodo, della direttiva 2014/24.
L’ultimo periodo del comma 4, sull’obbligo di indicazione nel bando di gara o nell’avviso di indizione della gara dei criteri di aggiudicazione scelti, comporta anch’esso che non vi è conformità al citato paragrafo della direttiva, poiché rimette all’amministrazione aggiudicatrice la scelta discrezionale sul criterio di aggiudicazione, mentre la direttiva prevede
quale unico criterio utilizzabile quello del miglior rapporto qualità/prezzo. Ne consegue che va espressamente riprodotta, alla fine del comma 1, con un periodo separato, la specifica previsione della direttiva sopra indicata.
Si segnalano ‘errori di battitura’ al comma 5 (“necessitàà”) e al comma 6 (“paritàà).
Al comma 12, le parole “a condizione che” vanno sostituite con
“qualora”.
ARTICOLO 65 (PARTENARIATO PER L’INNOVAZIONE)
Si segnala che i commi 1 e 3 dell’art. 65 ripetono, in parte, lo stesso precetto, relativo ai presupposti che consentono la scelta del partenariato per l’innovazione.
Il comma 3 va, quindi, corretto mediante l’eliminazione delle parole da “manifestano” a “sul mercato”;; la parola “fissa” va sostituita con “fissano” e il comma deve diventare il secondo, per una più razionale e comprensibile sequenza logica della disposizione.
L’attuale comma 2 diventa, quindi, comma 3.
ARTICOLO 66 (CONSULTAZIONI PRELIMINARI DI MERCATO)
Nell’art. 66, al primo periodo del secondo comma la parola “decreto”
sostituita con la parola “codice”.
ARTICOLO 67 (PARTECIPAZIONE PRECEDENTE DI CANDIDATI OD OFFERENTI)
Nell’art. 67 il comma 1 non indica quali possano essere le “misure adeguate” per garantire che la concorrenza non sia falsata.
E’ necessario che tali misure – anche per prevenire l’altrimenti inevitabile contenzioso - siano espressamente determinate dalla normativa primaria, ovvero con un successivo regolamento.
ARTICOLO 68 (SPECIFICHE TECNICHE)
Nell’art. 68, comma 5, l’espressione “, purché compatibili con la normativa
dell’Unione europea,” va soppressa, poiché superflua.
ARTICOLO 70 (AVVISI DI PREINFORMAZIONE)
Nell’art. 70, comma 1, le parole “di norma” vanno soppresse, dovendosi precisare quali siano le conseguenze del superamento del termine del
31 dicembre.
ARTICOLO 71 (BANDI DI GARA)
Nell’art. 71, sul piano formale, nel terzo periodo dell’unico comma va messo il soggetto “(ssi” prima della parola “contengono”.
ARTICOLO 72 (REDAZIONE E MODALITÀ DI PUBBLICAZIONE DEI BANDI E DEGLI AVVISI)
Nell’art. 72, il secondo periodo del comma 2 dispone che sono a carico
della Unione Europea le spese ivi indicate.
Poiché una disposizione nazionale non può avere una tale portata normativa, il testo va modificato, ad esempio disponendo, dopo la parola “trasmissione”, “, salve le disposizioni sulla loro pubblicazione da parte dell’Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea”.
Analogo rilievo si farà in relazione all’art. 130.
ARTICOLO 73 (PUBBLICAZIONE A LIVELLO NAZIONALE)
In relazione all’art. 73, per una migliore chiarezza della disposizione, si suggerisce di cambiare l’ordine dei commi nel modo che segue: i commi 1, 2 e 3 diventano 4, 5 e 6 (e, ovviamente, viceversa).
All’ultimo periodo dell’attuale comma 1 (che dovrebbe diventare il comma 4), le parole “del predetto codice”, che non hanno uno specifico significato, vanno sostituite con le parole “del predetto decreto” (riferendosi il testo al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previsto al periodo precedente).
Al comma 3, il refuso “comma 1i” va sostituito con “comma 1, i”.
Al comma 4, sia nel primo che nel secondo periodo, le parole “a livello”
vanno sostituite con “in ambito”.
ARTICOLO 74 (DISPONIBILITA’ ELETTRONICA DEI
DOCUMENTI DI GARA)
Nell’art. 74, sul piano formale, nel comma 3 va apposta una virgola dopo
le parole “comma 2”.
ARTICOLO 76 (INFORMAZIONE DEI CANDIDATI E DEGLI OFFERENTI)
L’art. 76 contiene le regole sulle informazioni da fornire a candidati ed offerenti, al fine della tempestiva e completa conoscibilità degli atti, anche in funzione acceleratoria dell’eventuale contenzioso.
Esso necessita, come si evidenzierà in relazione all’art. 204, di un congruo coordinamento con il nuovo rito processuale contro gli atti di ammissione e di esclusione.
A tal fine, ai commi 2 e 4 l’avverbio “tempestivamente”, va sostituito con la parola “immediatamente”, ferma restando l’ulteriore previsione secondo cui non si può comunque superare il termine massimo ivi previsto.
Va inserita una disposizione di raccordo con la tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti di esclusione e ammissione, da collocare dopo l’attuale comma 2, con rinumerazione dei commi successivi, così formulata alla stregua di quanto già proposto sull’art. 29:
“Fermo quanto previsto nell’articolo 29, comma 1, secondo e terzo periodo, contestualmente alla pubblicazione ivi prevista è dato avviso ai concorrenti, mediante PEC, del provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico- finanziari e tecnico-professionali, indicando l’ufficio o il collegamento informatico ad accesso riservato dove sono disponibili i relativi atti”.
Si rinvia alle osservazioni formulate relativamente all’art. 204 per le
relative motivazioni.
Sul piano formale si osserva che:
- al comma 2, primo periodo, le parole “od offerente” vanno sostituite con
“o dell’offerente”;;
- al comma 3, la parola “taluna” va sostituita con “le”;;
- al comma 5, vanno soppresse le parole “di norma”.
ARTICOLO 77 (COMMISSIONE DI AGGIUDICAZIONE)
L’art. 77 individua le modalità di composizione della commissione di aggiudicazione per le ipotesi in cui gli appalti debbano essere aggiudicati in base al criterio del miglior rapporto qualità/prezzo.
Esso recepisce la lett. hh) legge delega, e costituisce uno dei punti innovativi della riforma degli appalti pubblici, sottraendosi la scelta dei commissari di gara alle stazioni appaltanti, in funzione delle esigenze di trasparenza, imparzialità, competenza professionale dei commissari di gara. Si tratta di un indubbio strumento che si aggiunge agli altri che l’ordinamento appronta per la prevenzione e la lotta alla corruzione e
alla infiltrazione criminale nella gestione delle gare pubbliche. Rispondendo la norma a finalità di trasparenza e prevenzione di illeciti penali, la stessa può essere ricondotta sia all’ordine pubblico che alla tutela della concorrenza e non può dirsi afferente a profili strettamente organizzativi, che come tali, a legislazione costituzionale oggi vigente, rientrerebbero nella competenza legislativa regionale (come ha a suo tempo affermato la Corte cost. 19-23 novembre 2007, n. 401 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 84, commi 2, 3, e 8, d.lgs. n. 163/2006 relativi alla composizione e nomina delle commissioni di gara, “nella parte in cui, per i contratti inerenti a settori di competenza regionale, non prevedono che le norme in essi contenute abbiano carattere suppletivo e cedevole”).
A maggior ragione quando l’art. 117 vigente alla data odierna, verrà sostituito dal nuovo art. 117, dovrebbe essere fugato ogni dubbio in ordine alla riconducibilità della disciplina delle commissioni di gara alla competenza legislativa statale esclusiva.
Per quanto riguarda il comma 3 (che disciplina le modalità di individuazione del commitssari attraverso il metodo del pubblico sorteggio) il testo va adeguato al criterio di delega hh.2), che richiama il “rispetto del principio di rotazione”.
A tal fine, alla fine del secondo periodo, si suggerisce di inserire le parole
“e comunque nel rispetto del principio di rotazione”.
Analogo rilievo va svolto sulla possibilità di nominare componenti interni, che deve essere comunque subordinata al rispetto del principio di rotazione.
Pertanto, valuterà il Governo se la previsione di cui al quarto periodo (possibilità, per gli appalti cc.dd. ‘sotto-soglia’ e per quelli di non particolare complessità di nominare commissari propri dipendenti) sia effettivamente compatibile con il criterio di delega hh.2), che non prevede espressamente tale possibilità.
In particolare occorrerà valutare se la richiamata previsione risulti nel complesso giustificata sulla base degli obiettivi di semplificazione e rapidità dei procedimenti di cui al criterio di delega della lett. g).
Il comma 11 stabilisce che, in caso di rinnovo del procedimento di gara, a seguito di annullamento dell’aggiudicazione o di annullamento dell’esclusione di taluno dei concorrenti, deve essere riconvocata la stessa commissione.
Tale comma va integrato o modificato, specificando che l’obbligo di riconvocare la medesima commissione a seguito dell’annullamento
degli atti della procedura non sussiste qualora il vizio che ha comportato l’annullamento sia derivato proprio da un vizio nella composizione della commissione.
A tal fine, alla fine del comma vanno aggiunte le seguenti parole: “, fatto salvo il caso in cui l’annullamento sia derivato da un vizio nella composizione della commissione”.
Risulta inoltre opportuno integrare la disciplina in tema di cause di incompatibilità dei commissari introducendo una disposizione di contenuto analogo a quella di cui all’art. 84, comma 6 del previgente codice, secondo cui “sono esclusi da successivi incarichi di commissario coloro che, in qualità di membri delle commissioni giudicatrici, abbiano concorso, con dolo o colpa grave accertati in sede giurisdizionale con sentenza non sospesa, all'approvazione di atti dichiarati illegittimi”.
Analogamente, risulta opportuno estendere anche ai commissari la
disciplina prevista per il conflitto di interessi di cui all’art. 42.
ARTICOLO 78 (ALBO DEI COMPONENTI DELLE COMMISSIONI GIUDICATRICI)
L’art. 78 prevede l’istituzione di uno specifico albo dei componenti delle
commissioni giudicatrici, di cui al precedente art. 77.
Esso recepisce il criterio hh.3) della legge di delega che, tuttavia, ha demandato all’ANAC il solo compito di “adott[are] con propria determinazione la disciplina generale per la tenuta dell’albo, comprensiva dei criteri per il suo aggiornamento”.
L’articolo presenta una criticità relativa all’estensione dell’ambito
disciplinato.
Secondo la legge delega, infatti, le determinazioni dell’ANAC possano disciplinare i soli aspetti – per così dire – ‘endorganizzativi’ per ciò che attiene le modalità gestionali di tenuta dell’Albo.
La legge delega non ha invece attribuito all’ANAC il potere di disciplinare i presupposti e requisiti per l’iscrizione, ivi compresi gli specifici requisiti di professionalità e moralità di cui al richiamato criterio di delega.
Si tratta, infatti, di una regolamentazione costitutiva o modificativa di
status soggettivi eccedente il richiamato criterio di delega.
L’articolo in questione, quindi, dovrebbe essere riformulato in modo da prevedere già nella disposizione primaria i presupposti e le condizioni per l’iscrizione nell’albo e demandando alle determinazioni dell’ANAC la sola disciplina relativa alla sua tenuta e al suo aggiornamento.