Recesso del curatore dall'affitto di azienda stipulato dal fallito e scioglimento dei contratti di lavoro pendenti
Recesso del curatore dall'affitto di azienda stipulato dal fallito e scioglimento dei contratti di lavoro pendenti
Tribunale di Milano, 5 maggio 2015. Presidente Xxxxxxx. Xxxxxxxxx X'Xxxxxx.
Fallimento - Contratto di affitto di azienda stipulato dal fallito - Scioglimento del contratto per effetto del fallimento - Esclusione - Facoltà del curatore di esercitare il diritto di recesso
L'articolo 79 L.F., in deroga al principio generale della sospensione dei contratti pendenti enunciato dall'articolo 72 L.F., stabilisce che il fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto di azienda. Da ciò consegue che l'unico mezzo a disposizione del fallimento per non sottostare agli effetti della prosecuzione del contratto è quello di esercitare il diritto di recesso, il quale è un atto unilaterale recettizio che produce effetto dalla sua comunicazione e non dalla precedente dichiarazione di fallimento, così come del resto confermato dall'ultimo periodo dell'articolo 79 il quale attribuisce il beneficio della prededuzione all'indennizzo spettante alla controparte in conseguenza del recesso.
Fallimento - Contratto di affitto di azienda - Rapporti pendenti
- Facoltà di scioglimento del curatore - Effetti
L'art. 104-bis, comma 5, l.f., nella parte in cui prevede che “ai rapporti pendenti al momento della retrocessione si applicano le disposizioni di cui alla sezione IV del Capo III del titolo II”, rende applicabile al contratto di affitto di azienda stipulato dal curatore gli effetti della disciplina dei rapporti pendenti all’atto della retrocessione dell’azienda (o dello scioglimento del contratto), consentendo al curatore di sciogliersi dai rapporti pendenti come se non fossero mai sorti a carico del fallimento, saldando l’effetto dell’irresponsabilità in capo al fallimento della maturazione dei debiti avvenuta dopo la dichiarazione di fallimento e sino all’avvenuto scioglimento. Tale norma (alla quale non si accompagna analoga norma nell’art. 79 l.f. per i contratti stipulati prima della dichiarazione di fallimento) costituisce espressione di un principio generale che, ove applicabile al disposto dell’art. 79 l.f., comporta per il contratto di affitto di azienda pre-stipulato dalla società fallita una irresponsabilità del curatore per i debiti sorti in prededuzione dalla dichiarazione di fallimento sino all’avvenuto diritto di recesso o, comunque, dei debiti nei confronti di questi vantati per effetto di contratti a prestazioni corrispettive reciprocamente ineseguiti.
Fallimento - Contratto di affitto di azienda stipulato dal fallito - Prededuzione - Rapporti contrattuali aziendali mulatti o proseguiti dall'affittuario - Prededuzione - Esclusione
In base alla disposizione di cui all'art. 79 l.f., che regola la sorte del contratto di affitto di azienda pendente al momento della dichiarazione di fallimento, gli effetti della prededucibilità ex lege riguardano il solo indennizzo a favore dell’affittuario e non i debiti conseguenti ai rapporti contrattuali aziendali stipulati o proseguiti dall’affittuario per i quali, in assenza di una specifica disposizione derogatoria, deve farsi applicazione della disciplina dei rapporti pendenti da quando il curatore rientra in possesso dell’azienda.
Fallimento - Contratto di affitto di azienda stipulato dal fallito - Prededuzione - Rapporti di lavoro pendenti - Scioglimento - Effetto retroattivo al momento della dichiarazione di fallimento
Ove il curatore abbia esercitato il diritto di recesso dal contratto di affitto di azienda stipulato dal fallito prima della dichiarazione di fallimento e abbia contestualmente o successivamente esercitato il potere di scioglimento dai relativi contratti aziendali ex art. 72 l.f., detto scioglimento opera retroattivamente dal momento in cui è intervenuto il fallimento, essendo i rapporti di lavoro tra quelli che sono sospesi all’atto della dichiarazione di fallimento.
Fallimento - Cessione o affitto d'azienda anteriori alla dichiarazione di fallimento - Trattamento del TFR maturato fino al trasferimento dell'azienda - Ammissione al passivo - Ratei maturati successivamente al trasferimento - Debito a carico del cessionario o affittuario
Nell'ipotesi di fallimento del titolare dell'azienda, nel caso questa sia stata ceduta o affittata prima della dichiarazione di fallimento, il TFR maturato fino al momento del trasferimento dell'azienda potrà essere ammesso al passivo del fallimento, mentre dei ratei di TFR maturati successivamente a detto trasferimento risponderà il cessionario o affittuario dell'azienda, posto che l'inopponibilità del credito del lavoratore opera esclusivamente a favore del fallimento del concedente o affittante, mentre per il cessionario o affittuario il credito matura sino alla dichiarazione di recesso del concedente.
Fallimento - Licenziamento - Mancato rispetto del termine per il preavviso - Indennità di preavviso
Nel caso in cui il datore di lavoro (e il curatore per essa) abbia intimato il licenziamento senza il rispetto del termine per il
preavviso durante il periodo di CIGS o (a fortiori) al termine della stessa, spetta l’erogazione in favore del lavoratore dell’indennità di preavviso.
Premesso in fatto
M. V. ha proposto opposizione al decreto di esecutività dello stato passivo del Fallimento O. M. F.LLI B. S.r.l. (O.M.B.), società affittante un ramo di azienda di cui l’affittuario è stato (sino alla retrocessione al fallimento dell’azienda) O.M.B. S.M.P. S.r.l. nella parte in cui è stato escluso il proprio credito per retribuzioni e spettanze di fine rapporto maturati per prestazioni effettuate a favore dell’affittuario, durante la pendenza del suddetto contratto di affitto “in quanto ai sensi dell’art. 104 bis u.c. L.F. la procedura fallimentare non risponde dei debiti maturati fino alla retrocessione dell’azienda; i rapporti di lavoro pendenti al momento della retrocessione sono rimasti sospesi ex art. 72 L.F. e sono stati sciolti dal curatore, senza che vi sia stato subentro del fallimento né prestazione di lavoro da parte del ricorrente, con la collocazione dei lavoratori in mobilità”. L’opponente propone opposizione anche relativamente al mancato riconoscimento dell’indennità sostitutiva del preavviso avendo il
G.D. escluso tale indennità perché “non è cumulabile con quella di mobilità”.
Deduce parte opponente che in data 01.10.2012 è stato sottoscritto, tra la società fallita e la società O.M.B. S.M.P. S.r.l., un contratto di affitto di ramo d’azienda, con prosecuzione del rapporto di lavoro in capo all’affittuario e che all’atto della dichiarazione di fallimento dell’affittante, il contratto di affitto di azienda è proseguito sino a che il curatore si è sciolto dal contratto. L’odierno opponente deduce, pertanto, l’applicazione del disposto di cui all’art. 2112 c.c., con conseguente ammissione al passivo delle somme maturate in costanza di affitto di azienda, poi retrocessa al fallimento. Deduce l’inapplicabilità, alla fattispecie in esame, dell’art. 104-bis l.f. (come ha invece diversamente ritenuto il giudice delegato), ritenendo applicabile tale disposizione ai soli casi di affitto di azienda sottoscritti dal curatore fallimentare e non anche al contratto di affitto di azienda stipulato precedentemente dalla società in bonis, poi successivamente dichiarata fallita. Deduce l’opponente che il trattamento di fine rapporto costituisce credito che sorge al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Essendo, nella specie, intervenuta la successione nel rapporto di lavoro de quo in capo alla società fallita (il lavoratore è stato licenziato dal Curatore, al termine del periodo di mobilità), il suddetto credito, calcolato sino alla data di cessazione del rapporto di lavoro, deve ricomprendere anche la quota maturata in costanza del rapporto con la società affittuaria e sino al momento della retrocessione del rapporto di lavoro al Fallimento.
L’opponente ritiene, inoltre, dovuta la corresponsione dell’indennità sostitutiva di preavviso. Deduce l’erroneità dell’assunto del fallimento, secondo cui non sarebbe dovuta l’indennità di preavviso per concorrenza con il trattamento CIGS, posto che il licenziamento è stato comunicato dalla curatela al lavoratore alla scadenza del periodo di CIGS, ma senza il rispetto dei termini di preavviso.
Si è costituito in giudizio il fallimento opposto, chiedendo il rigetto dell’opposizione. Deduce preliminarmente il fallimento opposto l’operatività, nel caso di specie, dell’art. 104-bis l.f., richiamandosi il
fallimento a una recente pronuncia di merito che ha ritenuto applicabile detta disposizione normativa anche al rapporto di affitto preesistente alla dichiarazione di fallimento dal quale il fallimento dell’affittante sia receduto.
Deduce, inoltre, il fallimento opposto che il trattamento di fine rapporto matura progressivamente in ragione dell’accantonamento annuale, laddove è la sola esigibilità del credito che viene rinviata al momento della cessazione del rapporto di lavoro, per cui il credito dovuto al lavoratore è quello maturato sino alla data della stipulazione dell’affitto di azienda. Contesta, infine, il riconoscimento del pagamento dell’indennità sostitutiva, avendo il Curatore esercitato il diritto potestativo ad esso attribuito a norma dell’art. 72 l.f. essendo tale indennità ontologicamente incompatibile con il regime previsto dalla suddetta disposizione normativa.
E’ stato disposto lo scambio di note conclusive.
Considerato in diritto
1 – Il credito dell’opponente è stato pacificamente ammesso al passivo per il periodo precedente il contratto di affitto di azienda del 01.10.2012 ed è stato escluso per le spettanze maturate in costanza di affitto di azienda (quota di T.F.R. per Euro 2.885,54), nonché per l’indennità sostitutiva del preavviso contrattuale (Euro 5.196,83), importi di cui è stata richiesta in questa sede come in sede di stato passivo la collocazione privilegiata ex art. 2751-bis n. 1, c.c. quali crediti concorsuali.
La prima questione sottoposta ad esame è se, in caso di contratto di affitto di ramo di azienda stipulato dalla società in bonis e proseguito medio tempore dalla curatela (nel quale, quindi, la curatela sia subentrata anche solo temporaneamente), contratto dal quale successivamente il curatore sia receduto in applicazione dell’art. 79 l.f. (con conseguente retrocessione del ramo di azienda), il curatore –che nelle more abbia esercitato il potere di scioglimento anche dai contratti di lavoro inerenti il rami di azienda retrocesso a termini dell’art. 72 l.f.- debba ammettere al passivo il lavoratore “retrocesso” anche per il periodo di trattamento di fine rapporto maturato tra il momento del passaggio alle dipendenze dell’affittuario e il momento successivo. Momento successivo che può essere individuato nell’avvenuta retrocessione dell’azienda (all’atto della comunicazione del diritto di recesso, che sia stato effettuato nel rispetto o meno dell’art. 79 l.f.), nella dichiarazione di fallimento (ove tale retrocessione e il successivo recesso del curatore dal rapporto di lavoro ex art. 72 l.f. abbia efficacia retroattiva), ovvero nell’esercizio di per sé del diritto di recesso. Secondo la prospettazione del fallimento opposto, nulla sarebbe dovuto al lavoratore per il periodo medio tempore maturato, dovendosi fare applicazione estensiva al caso del contratto di affitto stipulato precedentemente alla dichiarazione di fallimento del disposto dell’art. 104-bis l.f., nella parte in cui prevede che “la retrocessione al fallimento di aziende, o rami di aziende, non comporta la responsabilità della procedura per i debiti maturati sino alla retrocessione, in deroga a quanto previsto dagli articoli 2112 e 2560 del codice civile”, sulla scorta di un precedente di merito (Trib. Monza, 19 novembre 2013).
La seconda questione investe, invece, la spettanza del diritto di preavviso, ancorché il lavoratore avesse fatto ricorso precedentemente alla CIGS e il
curatore abbia comunicato la scadenza del periodo di CIGS senza il rispetto dei termini per il preavviso.
1.1 - I fatti sono appena tratteggiati negli atti di parte. Il fallimento opposto è stato dichiarato nel corso dell’anno 2013 (Fall. N. 753/13). All’atto della dichiarazione di fallimento era in corso il contratto di affitto di azienda in data 01.10.2012 con l’affittuario O.M.B. S.M.P. S.r.l., contratto relativamente al quale il curatore non ha esercitato tempestivamente il diritto di recesso ex art. 79 l.f. Solo a seguito di sequestro preventivo in data 10.01.2014 delle quote dell’affittuario (oltre che di altra società affittuaria), il curatore si è sciolto dal contratto di lavoro con il M.M in data 28.02.2014 all’atto della scadenza della procedura di mobilità (scaduta il 28.02.2014) a termini dell’art. 4 l. 223/91 con decorrenza 28.02.2014 (doc. fasc. opponente).
Con riferimento alla prima questione deve preliminarmente accertarsi se nel caso di specie sia stato esercitato da parte del curatore (oltre alla facoltà di scioglimento dai contratti di lavoro trasferiti all’affittuario anche) il diritto di recesso dal contratti di affitto di azienda ex art. 79 l.f. La circostanza non emerge chiaramente dagli atti e dai documenti di causa, ma è stata ritenuta pacifica nel corso del procedimento (v. verbale udienza del 20 gennaio 2015). In ogni caso tale circostanza discende logicamente dal fatto che il curatore ha esercitato il diritto di scioglimento dai rapporti di lavoro ex art. 72 l.f. Il recesso del curatore dai rapporti di lavoro già in capo all’affittuario presuppone logicamente che il fallimento dell’affittante possa disporre di tali rapporti di lavoro e, pertanto, presuppone che si sia verificata la circolazione inversa (retrocessione dell’azienda), proprio quale effetto dell’esercizio del diritto di recesso del curatore ex art. 79 l.f.
A questo punto si pone una ulteriore questione, ossia da quando decorra per il fallimento l’effetto della retrocessione dell’azienda. Come tratteggiato supra, la retrocessione dell’azienda può operare ex nunc dal momento della comunicazione del diritto di recesso (di tal che vi sarebbe prosecuzione del rapporto di affitto sino alla comunicazione del recesso quale atto recettizio), o ex tunc (retroattivamente) dal momento della dichiarazione di fallimento. La soluzione che vuole lo scioglimento dal contratto di affitto ex tunc dal momento del fallimento apparirebbe più semplice nel caso di specie, perché vi sarebbe un completo allineamento tra gli effetti del recesso dal contratto di affitto di azienda e dello scioglimento ex art. 72 l.f. dai relativi contratti di lavoro (il cui effetto è pacificamente retroattivo, trattandosi di rapporto sospeso), in quanto entrambi gli effetti (recesso dal contratto di affitto di azienda e scioglimento dai relativi contratti di lavoro) si verificherebbero retroattivamente all’atto della dichiarazione di fallimento.
Tuttavia tale soluzione non appare percorribile. Il contratto di affitto di azienda non rientra tra i rapporti negoziali che si considerano sospesi all’atto della dichiarazione di fallimento, ma tra quelli che proseguono in costanza di fallimento e dai quali il curatore può recedere, a differenza dei contratti che, a termini dell’art. 72 l.f., sono sospesi all’atto della dichiarazione di fallimento. Tale conclusione è resa palese dalla differente formulazione delle due norme (l’art. 72 e il successivo art. 79). L’art. 72 l.f. parla di facoltà di scioglimento, che è una facoltà attribuita al curatore per sterilizzare ex tunc gli effetti della sussistenza all’atto della dichiarazione di fallimento di un contratto a prestazioni corrispettive parzialmente ineseguito del quale il curatore non intende avvalersi
(Cass., Sez. I, 24 luglio 2009, n. 17405), contratto che deve ritenersi medio tempore sospeso (“se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito (...) l'esecuzione del contratto (...) rimane sospesa” e che diviene definitivamente inopponibile alla massa per effetto della dichiarazione di scioglimento (“fino a quando il curatore (...) dichiara di (...) sciogliersi dal medesimo”).
La formulazione dell’art. 79 l.f. è invece opposta. Il fallimento “non è causa di scioglimento del contratto di affitto d'azienda”, il che comporta come corollario che lo stesso prosegua. La prosecuzione è resa evidente dal fatto che lo strumento attribuito al curatore per non sottostare alla protrazione degli effetti della prosecuzione del contratto è il diritto di recesso, atto unilaterale recettizio che produce effetto dalla sua comunicazione e non dalla precedente dichiarazione di fallimento. Irretroattività confermata dal fatto che l’indennizzo dovuto alla controparte per effetto della comunicazione del diritto di recesso è credito prededucibile ex lege (“l'indennizzo dovuto dalla curatela è regolato dall'articolo 111, n. 1”), a comprova che il credito, in quanto prededucibile, sorge in costanza di fallimento e, quindi, consegue al verificarsi degli effetti del recesso in costanza di fallimento e non retroattivamente. Pertanto è dal momento della comunicazione del diritto di recesso che il curatore torna in possesso dell’azienda affittata.
Corollario di tale impostazione è che, ove il curatore che ha esercitato il diritto di recesso dal contratto di affitto non esercitasse il diritto di recesso dai rapporti di lavoro relativi al ramo di azienda ceduto, egli dovrebbe corrispondere ai lavoratori in forze le retribuzioni e all’occorrenza anche il T.F.R. in prededuzione, in quanto crediti sorti dopo la sentenza dichiarativa di fallimento.
1.2 – Nel caso di specie si è fatta applicazione da parte della curatela (una volta avvenuto il diritto di recesso dal contratto di affitto di azienda) della facoltà di scioglimento dal contratto di lavoro ex art. 72 l.f., ricomprendendosi il contratto di lavoro tra quelli oggetto di sospensione ex art. 72 l.f. (Cass., Sez. Lav., 14 maggio 2012, n. 7473). L’applicazione dell’art. 72 l.f. opera un disallineamento tra il momento in cui vengono meno per il fallimento gli effetti del contratto di affitto di azienda (dal momento della comunicazione del diritto di recesso) e il momento in cui vengono meno gli effetti del contratto di lavoro aziendale. Se, difatti, l’esercizio del diritto di recesso dal contratto di lavoro decorresse dal momento in cui il curatore è formalmente rientrato in possesso dell’azienda (comunicazione del diritto di recesso), il fallimento (come si è visto supra) sarebbe sempre e in ogni caso esposto al pagamento dei debiti dei lavoratori sino a tale data, debiti che sarebbero prededucibili in danno del fallimento in quanto maturati in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento.
La responsabilità del curatore per i rapporti di lavoro proseguiti in capo all’affittuario sino al recesso dal contratto di affitto di azienda appare, peraltro, contraria allo spirito e alla lettera dell’art. 72 l.f., che predica la irresponsabilità del fallimento per i contratti a prestazioni corrispettive parzialmente ineseguiti da entrambe le parti e di cui il fallimento può avere responsabilità solo a decorrere dalla retrocessione dell’azienda (salva la questione della maturazione del T.F.R. di cui infra). E non è un caso che lo stesso opponente non prospetta una maturazione endoconcorsuale del proprio credito (ossia sorto successivamente alla dichiarazione di fallimento), limitandosi a invocare un credito
concorsuale (maturato, quindi, ante fallimento). In questo senso appare condivisibile l’impostazione seguita dal
Tribunale di Monza nel richiamato arresto, ove fa applicazione estensiva dell’art. 104-bis, comma 5, l.f., nella parte in cui prevede che “ai rapporti pendenti al momento della retrocessione si applicano le disposizioni di cui alla sezione IV del Capo III del titolo II”. Tale norma rende applicabile al contratto di affitto di azienda stipulato dal curatore gli effetti della disciplina dei rapporti pendenti all’atto della retrocessione dell’azienda (o dello scioglimento del contratto), consentendo al curatore di sciogliersi dai rapporti pendenti come se non fossero mai sorti a carico del fallimento, saldando l’effetto dell’irresponsabilità in capo al fallimento della maturazione dei debiti avvenuta dopo la dichiarazione di fallimento e sino all’avvenuto scioglimento. Tale norma (alla quale non si accompagna analoga norma nell’art. 79 l.f. per i contratti stipulati prima della dichiarazione di fallimento) costituisce espressione di un principio generale che, ove applicabile al disposto dell’art. 79 l.f., comporta per il contratto di affitto di azienda prestipulato dalla società fallita una irresponsabilità del curatore per i debiti sorti in prededuzione dalla dichiarazione di fallimento all’avvenuto diritto di recesso o, comunque, dei debiti nei confronti di questi vantati per effetto di contratti a prestazioni corrispettive reciprocamente ineseguiti. L’applicazione della disciplina dei rapporti pendenti, secondo questa interpretazione, avverrebbe in caso di recesso dal contratto di affitto di azienda per i contratti aziendali ove il curatore receda da tali contratti, rendendo inopponibili quanto meno gli effetti di tali contratti per il periodo successivo alla dichiarazione di fallimento.
Principio applicato, peraltro, in ogni caso di prosecuzione dell’attività aziendale in sede concorsuale, come nel caso dell’esercizio provvisorio (alla cessazione del quale si applica la disciplina dei rapporti pendenti: art. 104, ultimo comma l.f.), ma anche in sede di amministrazione straordinaria (art. 51 d. lg. 270/99).
Del resto appare evidente dalla disposizione dell’art. 79, comma 2, l.f. che gli effetti della prededucibilità ex lege riguardano il solo indennizzo a favore dell’affittuario e non i debiti conseguenti ai rapporti contrattuali aziendali stipulati o proseguiti dall’affittuario per i quali, in assenza di una specifica disposizione derogatoria, deve farsi applicazione della disciplina dei rapporti pendenti da quando il curatore rientra in possesso dell’azienda.
Il che comporta che, ove il curatore abbia esercitato il diritto di recesso dal contratto di affitto di azienda e abbia contestualmente o successivamente esercitato il potere di scioglimento dai relativi contratti aziendali ex art. 72 l.f. (salvi gli effetti a favore dell’affittuario ex art. 79, comma 2, l.f.), il recesso opera retroattivamente dal momento in cui è intervenuto il fallimento, essendo i rapporti di lavoro tra quelli che sono sospesi all’atto della dichiarazione di fallimento o, come nel caso di specie, all’atto dell’esercizio del diritto di recesso ex art. 79 l.f. Il recesso dal rapporto di lavoro ex art. 72 l.f. (come dagli altri rapporti aziendali a prestazioni corrispettive reciprocamente ineseguite) riporta sostanzialmente le lancette del rapporto tra fallimento dell’affittante e lavoratore già in forze all’affittuario (come per gli altri contraenti a prestazioni corrispettive parzialmente ineseguite da entrambe le parti) alla sentenza dichiarativa di fallimento (una sorta di zero hour rule), a differenza del recesso dal contratto di affitto di azienda in relazione al
rapporto di affitto pendente con l’affittuario. Il che significa che l’esercizio del diritto di recesso sterilizza per la massa dei creditori gli effetti derivanti dalla prosecuzione del contratto di affitto sino alla retrocessione dell’azienda. Nei confronti dell’affittuario il contratto di affitto di azienda perdurerà sino alla data di recesso, ma questa prosecuzione non sarà opponibile al fallimento dell’affittante, che con l’esercizio del diritto di recesso.
Il credito del lavoratore è e rimane un credito concorsuale.
1.3 – Operata la sterilizzazione dei debiti endoconcorsuali astrattamente prededucibili (ossia maturati in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento e sino alla comunicazione del diritto di recesso) connessi alla prosecuzione del contratto di affitto di azienda sino all’avvenuta comunicazione del diritto di recesso, si pone il problema ulteriore della responsabilità del fallimento opposto per il debito maturato per T.F.R. dal momento in cui il lavoratore è passato alle dipendenze dell’affittuario sino all’avvenuta dichiarazione di fallimento dell’affittante, debito questo sicuramente di natura concorsuale. La questione che si pone è se di tale debito da T.F.R. risponda o meno il fallimento dell’affittante per il periodo in cui il rapporto di lavoro è proseguito con l’affittuario. La soluzione del Tribunale di Monza è nel senso dell’applicazione estensiva dell’art. 104-bis, comma 5 l.f. nella sua integralità, ossia nel senso della piena irresponsabilità del fallimento non solo del debito prededucibile post-fallimentare (come si è visto supra 1.2), ma anche di quello concorsuale maturato in epoca successiva alla stipulazione del contratto di affitto di azienda e sino all’avvenuta retrocessione (ovvero, nel caso di specie, sino all’avvenuto scioglimento dai contratti ex art. 72 l.f.). Effettivamente, come rileva il tribunale monzese nel richiamato precedente, l’art. 79 l.f. nulla dice neanche in tema di effetti della retrocessione dell’azienda. La pronuncia si richiama, peraltro, quanto alla circolazione inversa o regressiva dell’azienda, al fatto che deve farsi applicazione della disciplina dei rapporti pendenti dall’avvenuta retrocessione allo scopo di invocare la sterilizzazione degli effetti per la massa della prosecuzione del contratto di affitto di azienda. Norma che, come si è visto supra 1.2, ha come ratio quella di non far carico al curatore di debiti maturati durante il periodo dell’affitto di azienda; il che comporterebbe l’applicazione in via estensiva se non analogica l’art. 104- bis, comma 5, l.f. tout court al caso del contratto di affitto stipulato precedentemente dall’impresa fallita dal quale il curatore abbia esercitato il diritto di recesso.
Peraltro l’applicazione dell’art. 104-bis, comma 5, l.f. relativamente alla disciplina dei rapporti pendenti deriva dal combinato disposto degli artt. 72, 79 l.f. come si è visto supra 1.2, in quanto lo scioglimento dai rapporti pendenti deve
necessariamente veicolare una sterilizzazione degli effetti dei contratti a prestazioni corrispettive parzialmente ineseguiti.
Tuttavia il collegio ritiene che possa giungersi più correttamente al medesimo risultato (sterilizzazione della massa dei creditori dai costi derivanti dalla prosecuzione dell’affitto di azienda) senza far ricorso all’applicazione diretta nel caso di specie del 104-bis, comma 5, l.f., essendo la sterilizzazione degli effetti per la massa per i debiti da T.F.R. maturati tra la stipulazione del contratto di affitto di azienda e lo scioglimento del curatore veicolata dall’applicazione dell’art. 72 l.f. (previo recesso ex art. 79 l.f.), per le ragioni che seguono.
1.4 – Tale sterilizzazione deve ritenersi veicolata dalla strutturazione del
T.F.R. secondo la prospettazione del fallimento opposto, quale retribuzione differita che matura annualmente e diviene meramente esigibile all’atto della cessazione del rapporto di lavoro.
Storicamente, prima della riforma del T.F.R. operata dalla l. 297/82, il trattamento di fine rapporto era disciplinato come indennità di anzianità (secondo l’originaria formulazione dell’art. 2120 c.c.) e si calcolava avendo come base di calcolo l’ultima retribuzione. Secondo tale strutturazione delle modalità di calcolo, era logicamente sostenibile (e non pareva essere diversamente) che l’indennità di anzianità, in quanto agganciata all’ultima retribuzione, non solo era esigibile, ma maturava solo alla fine del rapporto.
La l. 297/82 (che ha tra l’altro novellato l’art. 2120 c.c.), ha modificato la base di calcolo del T.F.R., calcolando anno per anno la retribuzione lorda annua (art. 2120, comma 2, c.c.) moltiplicandola per un divisore fisso (13,5). Tale sistema di calcolo ha condotto alcuni autori a considerare il
T.F.R. complessivo quale somma di quote annue, che matura anno per anno. Secondo tale impostazione, ogni annuo maturerebbe una singola quota del T.F.R. complessivo, per cui alla cessazione del rapporto sarebbe differita la mera esigibilità. La ricostruzione sistematica del T.F.R. che matura anno per anno sarebbe compatibile con il sistema di calcolo, che genera un mero accrescimento progressivo ogni anno di quote senza ricalcolo in relazione agli anni precedenti. La quota annua rifletterebbe le sole variazioni (in più o in meno) della retribuzione nell’anno, di cui costituisce sostanzialmente la media, senza che la nuova quota abbia incidenza con quanto maturato in precedenza. Si tratterebbe, in questo caso, propriamente di retribuzione differita, in cui il differimento non riguarda il momento costitutivo dell’obbligazione ma il momento dell’adempimento di x una obbligazione già esistente, non diversamente da una retribuzione maturata ed accantonata (non esigibile), la cui condizione di esigibilità si manifesta all’atto della cessazione del rapporto. Come autorevolmente sostenuto, il credito da T.F.R. costituirebbe un credito a termine di adempimento.
La maggioranza degli autori ritiene, invece, che il criterio di calcolo non sia indicativo del momento della maturazione del diritto, potendo essere detto criterio di computo compatibile sia con la impostazione della maturazione anno per anno, sia con quella della maturazione al momento della cessazione del rapporto.
La giurisprudenza maggioritaria della Sezione Lavoro della Suprema Corte segue questa seconda impostazione, ritenendo che il T.F.R. maturi (sorga) alla fine del rapporto di lavoro; non diversamente dalla vecchia disciplina dell’indennità di anzianità, il credito del lavoratore (e il corrispondente obbligo del datore di lavoro) per T.F.R. nasce al momento della cessazione del rapporto, che costituisce elemento della fattispecie costitutiva e non solo termine per l’adempimento; il che comporta che prima della maturazione del diritto sussistono meri accantonamenti contabili (Cass. n. 55/1990, conformi Cass. n. 7081/91, Cass. n. 2714/93, Cass. n. 11470/97, Cass. n. 12548/98). La conseguenza di tale impostazione è che in caso di cessione (o trasferimento) del compendio aziendale sussiste sempre la responsabilità del cessionario (Cass. n. 9189/91, Cass. n. 12548/98, Cass. n. 22067/07) e che durante la vigenza del rapporto di lavoro sono ammesse unicamente azioni di accertamento (Cass. n. 18289/07 e più di recente Cass. n. 11778/12).
Tuttavia anche in passato si era affacciato in giurisprudenza l’orientamento secondo cui il T.F.R. fosse prestazione che maturava anno per anno, consentendosi non solo l’azione di accertamento, ma anche in sede espropriativa presso terzi la possibilità di rendere la dichiarazione del terzo ex art. 547 c.p.c. con l'indicazione delle quote accantonate del
T.F.R. “in quanto intrinsecamente dotate di potenzialità satisfattiva futura e corrispondenti ad un diritto certo e liquido di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina solo l'esigibilità” (Xxxx., Sez. Lav., 3 febbraio 1998, n. 1049).
Recentemente l’orientamento della maturazione progressiva del credito per T.F.R. è stata ribadita dalla giurisprudenza più recente di legittimità che si è mostrata favorevole, in caso di trasferimento di azienda, al c.d. “spacchettamento” del T.F.R. tra soggetto cedente e soggetto cessionario. Emblematica è in proposito Xxxx., Sez. VI/1, ord. 14 maggio 2013, n. 11479, che ha ritenuto che in caso di cessione d'azienda assoggettata al regime di cui all'art. 2112 c.c., posto il carattere retributivo e sinallagmatico del trattamento di fine rapporto che costituisce istituto di retribuzione differita, il datore di lavoro cessionario è obbligato nei confronti del lavoratore, il cui rapporto sia con lui proseguito quanto alla quota maturata nel periodo anteriore alla cessione in ragione del vincolo di solidarietà e resta l'unico obbligato quanto alla quota maturata nel periodo successivo alla cessione, mentre il datore di lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore suo dipendente per la quota di trattamento di fine rapporto maturata durante il periodo di lavoro svolto fino al trasferimento aziendale”. La giurisprudenza più recente della Sezione Lavoro della Cassazione mostra di condividere questo orientamento, laddove statuisce che “in caso di cessione d'azienda assoggettata al regime di cui all'art. 2112 c.c., posto il carattere retributivo e sinallagmatico del trattamento di fine rapporto che costituisce istituto di retribuzione differita, il datore di lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore suo dipendente, il cui rapporto sia proseguito con il datore di lavoro cessionario, per la quota di trattamento di fine rapporto maturata durante il periodo di lavoro svolto fino al trasferimento aziendale, mentre il datore cessionario è obbligato per la stessa quota solo in ragione del vincolo di solidarietà, e resta l'unico obbligato quanto alla quota maturata nel periodo successivo alla cessione” (Cass., Sez. Lav., 22 settembre 2011, n. 19291; conf. Cass., Sez. Lav., 11 settembre 2013, n. 20837).
1.5 – Fatte tali premesse deve conseguentemente ritenersi che il T.F.R., in quanto maturato anno per anno, può essere ripetuto in caso di trasferimento di azienda in danno del cessionario solo nel caso di circolazione inversa dell’azienda, ma con l’eccezione del periodo per il quale il lavoratore sia stato alle dipendenze del cedente. Il fallimento del concedente può rispondere solo del T.F.R. maturato sino al momento del trasferimento, mentre per il periodo successivo (sino alla dichiarazione di fallimento del concedente), risponderà solo il cessionario (per il periodo successivo non risponde per quanto supra 1.2). Nei confronti del cessionario sarà, invece, azionabile anche il rateo (o i ratei) di T.F.R. maturati dopo la dichiarazione di fallimento, in quanto l’inopponibilità del credito del lavoratore opera unilateralmente per il fallimento del concedente/affittante, mentre per l’affittuario il credito matura sino alla dichiarazione di recesso del concedente.
Correttamente il curatore del fallimento del concedente ha optato per lo “spacchettamento”, ammettendo il solo credito per T.F.R. maturato in epoca precedente la stipulazione del contratto di affitto di azienda.
Il primo motivo di opposizione va, pertanto, rigettato.
1.6 – Passandosi al secondo motivo di opposizione relativo al diritto di preavviso, il motivo è fondato e va accolto per le ragioni che seguono. Deve ritenersi pacifica oltre che documentata la circostanza allegata dall’opponente che il curatore del fallimento ha intimato il licenziamento/scioglimento dal rapporto ex art. 72 l.f., una volta scaduto il termine per la CIGS, senza il rispetto dei termini di preavviso. Sostiene il fallimento opposto la non cumulabilità tra erogazione del trattamento di CIGS e dell’indennità di mancato preavviso.
Orbene, se è certa la non cumulabilità tra erogazione dell’indennità sostitutiva del preavviso e successivo trattamento di integrazione salariale per CIGS per i lavoratori che abbiano ottenuto l’erogazione dell’indennità sostitutiva del preavviso (in quanto l’erogazione del preavviso presuppone l’effettuazione dell’attività lavorativa, ovvero il rifiuto della stessa da parte del datore di lavoro, entrambi incompatibili con la sospensione della prestazione lavorativa che si verifica all’atto della collocazione in CIG, con conseguente esclusione del trattamento CIGS: Cass., Sez. Lav., 12 marzo 1996, n. 2012), non è altrettanto vero il contrario, nel senso che è possibile cumulare l’erogazione del trattamento di indennità sostitutiva del preavviso successivamente in caso di esaurimento in favore del lavoratore del trattamento di CIGS.
E’ utile richiamare in proposito il noto arresto delle Sezioni Unite (Xxxx., Sez. Un., 29 settembre 1994, n. 7914), che ha esaminato proprio il caso del lavoratore licenziato per cessazione della attività di una impresa fallita ammesso alla cassa integrazione straordinaria. Nel caso dell’ammissione al trattamento alla CIGS e per tutto il tempo di erogazione della stessa il rapporto di lavoro è sospeso all’atto della collocazione in CIGS. Il rapporto di lavoro prosegue, pertanto, “pur sempre con sospensione della prestazione e della retribuzione (...) in caso non si sia pervenuti al recupero dell'attività”. In questo caso “non si verifica la esistenza di un periodo di tempo doppiamente retribuito, posto che, a seguito del fallimento, i rapporti di lavoro proseguono sia pure con sospensione dell'attività ed integrazione salariale, e, all'esito, sopravvenuto il licenziamento, spetterà la indennità sostitutiva del mancato preavviso”. Principio ribadito più di recente con riferimento alla CIGS a termini dell'art. 3 l. n. 223/91, ove il Supremo Collegio osserva che “l'ammissione alla cassa integrazione delle aziende in crisi implica la prosecuzione dei rapporti di lavoro da questa intrattenuti”. Conseguentemente la comunicazione del recesso prevista dall'art. 4, comma 9 l. 223/91, cit., svolge la funzione del preavviso di licenziamento analogamente alla fattispecie di recesso disciplinata dall'art. 2118 c.c., che decorre in costanza di periodo di sospensione del rapporto (Cass., Sez. Lav., 23 dicembre 1997, n. 12989) e comporta il riconoscimento del diritto all'indennità sostitutiva del preavviso ove tale comunicazione non abbia rispettato il termine contrattuale di preavviso (Cass., Sez. Lav., 21 giugno 1997, n. 5570).
Nel caso in cui il datore di lavoro (e il curatore per essa) abbia intimato il licenziamento senza il rispetto del termine per il preavviso durante il periodo di CIGS o (a fortiori) al termine della stessa, spetta l’erogazione in favore del lavoratore dell’indennità di preavviso.
Per il vero la difesa del fallimento si concentra su un aspetto propriamente concorsuale, ossia la compatibilità dell’indennità di preavviso in questo caso (conseguente allo scioglimento del rapporto di lavoro, benché conseguente a un periodo di sospensione dovuto alla collocazione in CIGS del singolo lavoratore) con la disciplina di cui all’art. 72 l.f. che non contempla alcuna indennità di carattere risarcitorio.
Orbene, l’indennità sostitutiva del preavviso non ha, per giurisprudenza prevalente, natura risarcitoria, ma indennitaria, compensativa della necessità per il lavoratore di trovarsi altro impiego (Cass., Sez. Lav. 11 giugno 2004, n. 11137) ed è, pertanto, istituto compatibile con il disposto di cui all’art. 72, comma 3, l.f., secondo cui matura, anche in caso di recesso, quale corrispettivo per il mancato adempimento della prestazione, la prestazione conseguente al mancato adempimento (“in caso di scioglimento, il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno”). L’indennità di preavviso, avente natura indennitaria e non risarcitoria, in quanto commisurata alla retribuzione percepita e commisurata al periodo indicato nei contratti collettivi, assurge, pertanto, a indennità corrispondente al mancato adempimento della prestazione da parte del datore di lavoro e assume il ruolo di credito concorsuale sorto all’atto dello scioglimento del rapporto che segue le regole del privilegio di competenza come da domanda.
L’opposizione va, pertanto, parzialmente accolta come da dispositivo, riconoscendosi l’indennità di mancato preavviso.
2 – Quanto alle spese processuali, la reciproca soccombenza, la particolare novità e complessità della questione comportano la compensazione integrale delle spese processuali.
P.Q.M.
Il tribunale, definitivamente pronunciando sull’opposizione allo stato passivo promossa da M. V.nei confronti di Fallimento O.M.B. con ricorso depositato in data 29.07.2014, così provvede:
1 – in parziale accoglimento dell’opposizione, ammette M. V. al passivo del FALLIMENTO O.M.B. O. M. F.LLI B. S.r.l. per l’importo di Euro 5.196,83 al privilegio ex art. 2751-bis n. 1, c.c. per indennità sostitutiva del mancato preavviso, oltre rivalutazione monetaria sino alla definitiva formazione dello stato passivo e interessi legali sino alla completa liquidazione dell’attivo; rigetta nel resto l’opposizione;
2 – dichiara integralmente compensate le spese processuali.
Così deciso in Milano, nella Camera di Consiglio del 16 aprile 2015. Depositato in cancelleria il 5 maggio 2015.