CASSAZIONE CIVILE, sez. I, 29 settembre 2005, n. 19024
Violazione di norme imperative
CASSAZIONE CIVILE, sez. I, 29 settembre 2005, n. 19024
Pres. Xxxxxxx - Rel. Marziale - P.M. Xxxxxxxx (conf.) - P.B. (avv. Blangetti) c. San Paolo IMI s.p.a. (avv.ti Lais, Cavalli)
Obbligazione e contratti - Nullità virtuale - Violazione di norme imperative che attengono alla struttura o al contenu- to del contratto - Necessità
(Art. 1418 c.c.)
La violazione di norme imperative, considerata dall’art. 1418, comma 1, c.c. quale causa di nullità del contratto, postula che essa attenga ad elementi “intrinseci” della fattispecie negoziale, che ri- guardino, cioè, la struttura o il contenuto del contratto (art. 1418, comma 2, c.c.)
Obbligazione e contratti - Nullità virtuale - Comportamenti precontrattuali delle parti - Esclusione. (Artt. 1337, 1338 c.c.)
Va esclusa la nullità del contratto quando contrari a norme imperative siano comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l’esecuzione dello stesso, salvo che il legislatore la preveda espressamente.
Obbligazioni e contratti - Nullità per difetto di accordo - Mancanza di informazioni su elementi diversi dalla natura o dall’oggetto del contratto - Esclusione.
(Artt. 1418 comma 2; 1325, n. 1 c.c.)
Non determina nullità del contratto per difetto di accordo, in forza del combinato disposto degli artt. 1418, comma 2 e 1325, n. 1, c.c., la mancanza di informazioni che non riguardino direttamente la natura e l’oggetto del contratto, ma solo elementi utili per valutare la convenienza dell’operazio- ne.
Obbligazioni e contratti - Responsabilità precontrattuale - Conclusione di un contratto valido ma sconveniente -
Ammissibilità
(Artt. 1337, 1375 c.c.)
La responsabilità per violazione del dovere di buona fede durante le trattative, o di più specifici ob- blighi precontrattuali (ad esempio informativi) riconducibili a quel dovere, non è limitata ai casi in cui alla trattativa non segua la conclusione del contratto o segua la conclusione di un contratto inva- lido o inefficace; bensì si estende ai casi in cui la trattativa abbia per esito la conclusione di un con- tratto valido ed efficace, ma pregiudizievole per la parte vittima del comportamento scorretto.
…Omissis….
Motivi della decisione
4 - Con i quattro motivi di ricorso, che per la loro con- nessione possono essere esaminati congiuntamente, il ricorrente - denunziando vizio di motivazione, nonché violazione e falsa applicazione: a) dell’art. 6, lett. a, b, c, d, f, h, legge 2 gennaio 1991, n. 1, in relazione, rispetti- vamente agli artt. 1325 e 1418 c.c. e agli artt. 1337, 1338, 1375 e 1418 c.c.; b) del citato art. 6, lett. g, in re- lazione alla lett. c, stesso art. 6, nonché agli artt. 1325, 1326, 1343, 1350 n. 13, 1418, 1439 e 1440 - censura la
sentenza impugnata per aver escluso la nullità dei con- tratti impugnati, senza considerare:
- che la stipulazione del contratto “quadro” (retro, Par. 2.1) non escludeva la natura negoziale delle singole operazioni d’investimento successivamente poste in es- sere e il loro assoggettamento ai principi generali in te- ma di invalidità dei contratti;
- che la mancata osservanza, da parte della banca, dei doveri di correttezza e degli obblighi d’informazione sanciti dalle lettere “a” - “f” dell’art. 6, l. 1/91, aveva fat- to venir meno le condizioni per la manifestazione, da parte di esso esponente, di un consenso “libero e consa- pevole” e, quindi, l’esistenza di un requisito (l’accordo delle parti), la cui mancanza determina la nullità del contratto;
- che nel caso di specie il contratto era stato “concluso”
e non poteva essere, quindi, chiesto il risarcimento dei danni subiti a causa del mancato rispetto del principio di buona fede nel corso delle trattative, in quanto la
c.d. responsabilità precontrattuale tutela il solo interes- se “negativo”;
- che, non avendo dato la banca comunicazione “scrit- ta” del proprio interesse conflittuale nelle singole ope- razioni poste in essere dopo la conclusione del contrat- to “quadro” e non essendo stata, conseguentemente, ta- le situazione accettata preventivamente “per iscritto” da essa esponente, come stabilito dalla lettera “g” del- l’art. 6, doveva escludersi che i relativi contratti fossero stati stipulati “per iscritto”, così come stabilito dall’art. 6, lett. “c”.
5 - La censura di vizio della motivazione (sotto il profilo della sua contraddittorietà) è inammissibile. Essa attie- ne infatti, come si ricava chiaramente dalla lettura del- la sentenza impugnata, alla motivazione “in diritto”. La pretesa contraddittorietà è, invero, riferita agli argo- menti posti dalla Corte territoriale a fondamento della tesi, secondo cui le prescrizioni dettate dall’art. 6, lett. a
- b, c - f, l. 1/91 sarebbero relative alla fase delle “tratta- tive precontrattuali” ovvero a quella “esecutiva” e, per- tanto, la loro inosservanza sarebbe priva di incidenza sulla validità del contratto: non vi è dubbio, quindi, che tale doglianza non possa trovare ingresso in questa sede, essendo pacifico che il vizio prefigurato dall’art. 360, n. 5 c.p.c. concerne solo la motivazione “in fatto”. (Cass. 11 aprile 2000, n. 4593; 18 aprile 2002, n. 5582; 6 ago-
sto 2003, n. 11883).
6 - Le altre censure sopra puntualizzate al Par. 4 sono ammissibili, ma infondate. L’addebito che con esse vie- ne mosso, sotto diversi profili, alla Corte territoriale è quello di aver escluso l’incidenza della mancata osser- vanza, da parte della Banca, delle regole di comporta- mento sopra descritte nel Par. 2.1 sulla validità dei con- tratti di acquisto e di vendita “a termine” di valuta este- ra.
6.1 - L’assunto su cui si fonda la sentenza impugnata è che tali regole attengono alla fase delle trattative pre- contrattuali e che, pertanto, la loro inosservanza non può determinare la nullità del contratto, pur non essen- do revocabile in dubbio che esse abbiano carattere im- perativo (retro, Par. 3).
L’affermazione è corretta. La “contrarietà” a norme im- perative, considerata dall’art. 1418, primo comma, c.c. quale “causa di nullità” del contratto, postula, infatti, che essa attenga ad elementi “intrinseci” della fattispe- cie negoziale, che riguardino, cioè, la struttura o il con- tenuto del contratto (art. 1418, comma 2, c.c.) i com- portamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l’esecuzione del contratto rimangono estranei alla fattispecie negoziale e s’intende, allora, che la loro eventuale illegittimità, quale che sia la natura delle norme violate, non può dar luogo alla nullità del con- tratto (Cass. 9 gennaio 2004, n. 111; 25 settembre 2003, n. 14234); a meno che tale incidenza non sia
espressamente prevista dal legislatore (ad es., art. 1469 ter, comma 4, c.c., in relazione all’art. 1469, quinquies, comma 1, stesso codice).
Né potrebbe sostenersi che l’inosservanza degli obblighi informativi sanciti dal citato art. 6, impedendo al clien- te di esprimere un consenso “libero e consapevole” avrebbe reso il contratto nullo sotto altro profilo, per la mancanza di uno dei requisiti “essenziali” (anzi di quel- lo fondamentale) previsti dall’art. 1325 c.c.. Invero, le informazioni che debbono essere preventivamente fo- mite dall’intermediario, a norma del citato art. 6, non riguardano direttamente la natura e l’oggetto del con- tratto, ma (soltanto) elementi utili per valutare la con- venienza dell’operazione e non sono quindi idonee ad integrare l’ipotesi della mancanza di consenso.
6.2 - Del resto, contrariamente a quel che mostra di ri- tenere il ricorrente, non è affatto vero che, in caso di violazione delle norme che impongono alle parti com- portarsi secondo buona fede nel corso delle trattative e nella formazione del contratto, la parte danneggiata, quando il contratto sia stato validamente concluso, non avrebbe alcuna possibilità di ottenere il risarcimen- to dei danni subiti.
Tale tesi, un tempo non priva di riscontri nella giuris- prudenza di questa Corte (Cass. 9 ottobre 1956, n. 3414; 12 ottobre 1970, n. 1948; 11 settembre 1989, n. 3922), poggia sull’assunto che l’ambito di rilevanza del- la responsabilità contrattuale sia circoscritto alle ipotesi in cui il comportamento non conforme a buona fede abbia impedito la conclusione del contratto o abbia de- terminato la conclusione di una contratto invalido ov- vero (originariamente) inefficace. Di qui la conclusione che, dopo la stipulazione del contratto, ogni questione relativa all’osservanza degli obblighi imposti alle parti nel corso delle trattative sarebbe preclusa, in quanto la tutela del contraente sarebbe affidata, a partire da quel momento, solo alle norme in tema di invalidità e di inefficacia del contratto, la cui applicazione, pur essen- do in alcuni casi ricollegata a comportamenti certa- mente non conformi a “buona fede”, è tuttavia subordi- nata alla ricorrenza di presupposti ulteriori (artt. 1434 - 1437, 1439, 1447 - 1448).
Si è però ormai chiarito che l’ambito di rilevanza della regola posta dall’art. 1337 c.c. va ben oltre l’ipotesi del- la rottura ingiustificata delle trattative e assume il valo- re di una clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in maniera precisa, ma certa- mente implica il dovere di trattare in modo leale, aste- nendosi da comportamenti maliziosi o anche solo reti- centi e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o anche solo conoscibile con l’ordinaria di- ligenza, ai fini della stipulazione del contratto.
L’esame delle norme positivamente dettate dal legisla- tore pone in evidenza che la violazione di tale regola di comportamento assume rilievo non solo nel caso di rot- tura ingiustificata delle trattative (e, quindi, di mancata conclusione del contratto) o di conclusione di un con-
tratto invalido o comunque inefficace (artt. 1338, 1398 c.c.), ma anche quando il contratto posto in essere sia valido, e tuttavia pregiudizievole per la parte vittima del comportamento scorretto (1440 c.c.).
6.3 - Si afferma comunemente che il risarcimento, in caso di responsabilità precontrattuale, è limitato al c.d. “interesse negativo” e deve, pertanto, essere commisu- rato alle spese sostenute per le trattative rivelatesi poi inutili e alle perdite subite per non aver usufruito di oc- casioni alternative di affari, non coltivate per l’affida- mento nella positiva conclusione del contratto per il quale le trattative erano state avviate (in tal senso, tra le altre: Cass. 30 luglio 0000, x. 00000; 14 febbraio 2000, n. 1632; 30 agosto 1995, n. 9157; 26 ottobre 1994, n. 8778; 12 marzo 1993, n. 2973).
È tuttavia evidente che, quando, come nell’ipotesi pre- figurata dall’art. 1440 c.c., il danno derivi da un con- tratto valido ed efficace ma “sconveniente”, il risarci- mento, pur non potendo essere commisurato al pregiu- dizio derivante dalla mancata esecuzione del contratto posto in essere (il c.d. interesse positivo), non può nep- pure essere determinato, come nelle ipotesi appena considerate, avendo riguardo all’interesse della parte vittima del comportamento doloso (o, comunque, non conforme a buona fede) a non essere coinvolta nelle trattative, per la decisiva ragione che, in questo caso, il contratto è stato validamente concluso, sia pure a con- dizioni diverse da quelle alle quali esso sarebbe stato sti- pulato senza l’interferenza del comportamento scorret- to.
Il risarcimento, in detta ipotesi, deve essere ragguagliato al “minor vantaggio o al maggiore aggravio economico” determinato dal contegno sleale di una delle parti (Cass. 11 luglio 1976, n. 2840; 16 agosto 1990, n. 8318), salvo la prova di ulteriori danni che risultino collegati a tale comportamento “da un rapporto rigoro- samente consequenziale e diretto” (Xxxx. 29 marzo 1999, n. 2956).
Non vi è quindi motivo di ritenere che la conclusione di un contratto valido ed efficace sia di ostacolo alla proposizione di un’azione risarcitoria fondata sulla vio- lazione della regola posta dall’art. 1337 c.c. o di obbli- ghi più specifici riconducibili a detta disposizione, sem- pre che, s’intende, il danno trovi il suo fondamento (non già nell’inadempimento un’obbligazione derivan- te dal contratto, ma) nella violazione di obblighi relati- vi alla condotta delle parti nel corso delle trattative e prima della conclusione del contratto.
7 - Resta l’ultimo rilievo, fondato sulla (asserita) viola- zione dell’art. 6, lett. g), l. 1/91, in relazione alla lett. c) dello stesso art. 6 e agli artt. 1325, 1326, 1343, 1350, n.
13, 1418, 1439, 1440 c.c.
La lett. g) del citato art. 6 poneva alle società di inter- mediazione il divieto di “effettuare operazioni con o per conto della propria clientela” se avessero “direttamente o indirettamente” un interesse conflittuale nell’opera- zione, a meno che non avessero “comunicato per iscrit-
to al cliente la natura e l’estensione del loro interesse nell’operazione e il cliente non avesse preventivamente ed espressamente acconsentito per iscritto” alla sua ef- fettuazione.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata per non aver considerato che queste prescrizioni (mantenute dalla disciplina vigente: art. 21, primo comma, lett. c, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, così come integrato dal- l’art. 27, secondo comma, Reg. Consob, 1° luglio 1998,
n. 11522) erano state violate dalla banca, che aveva ef- fettuato le operazioni richieste “in proprio”, invece che come intermediario, senza preavvertirlo in alcun modo (e tanto meno per iscritto) e senza acquisire preventi- vamente il suo consenso scritto. Di qui l’assunto che i contratti così posti in essere sarebbero nulli, perché pri- vi del requisito di forma inderogabilmente stabilito dal- la lettera “c” dello stesso art. 6.
È però agevole replicare che la forma scritta richiesta dalla lettera “g” per la segnalazione, da parte dell’inter- mediario, della situazione di conflitto di interessi e per l’autorizzazione, da parte del cliente, al compimento dell’operazione riguarda atti che, per espressa previsione legislativa, debbono essere posti in essere “preventiva- mente” e, quindi, prima della conclusione del contratto e non ricadono, pertanto, nell’ambito di applicazione della lettera “c” che prescrive la forma scritta per il con- tratto destinati regolati i rapporti l’intermediario e il cliente. È allora evidente, l’inosservanza della forma scritta per il compimento di tali atti non poteva deter- minare la nullità dei contratti successivamente stipula- ti, anche a voler ritenere il requisito di forma prescritto dalla lettera “c” riguardasse, già nel vigore della legge 1/91, non il (solo) contratto “quadro”, ma anche tutti i singoli contratti posti in essere tra l’intermediario e il cliente per regolare le singole operazioni poste in essere, come è stato successivamente chiarito in modo inequi- voco dal legislatore (art. 18, comma 1, d.lgs., n. 415/96; art. 23, d.lgs. 58/98).
Il che, naturalmente, non esclude che l’inosservanza degli adempimenti prescritti dalla lettera “g” del citato art. 6 possa assumere rilievo, sotto altro profilo, alla stregua dei principi stabiliti dagli artt. 1394 e 1395 c.c., la cui applicabilità è rimasta peraltro estranea all’ogget- to del presente giudizio e non può quindi venire in con- siderazione in questa sede.
…Omissis….
LIMITI DELLA “NULLITÀ VIRTUALE”
E CONTRATTI SU STRUMENTI FINANZIARI
di Xxxxx Xxxxxxxx
La Cassazione delinea i limiti della “nullità virtua- le” ex art. 1418, commi 1 e 2, c.c., in relazione al- la disciplina dei contratti su strumenti finanziari
A seguito delle perdite generate da alcuni contratti di compravendita a termine di valuta, intervenuti tra il marzo 1993 e il luglio 1995, un investitore conveniva in giudizio l’istituto bancario con cui aveva stipulato ta- li contratti, sostenendo la nullità degli stessi sia perché
«si configuravano, per le modalità in cui erano stati ef- fettuati, quali atti di negoziazione di valori mobiliari la cui stipulazione era riservata alle società d’intermedia- zione mobiliare»; sia perché «la banca non si era atte- nuta alle prescrizioni poste a carico degli operatori nel settore della commercializzazione di valori mobiliari da- gli artt. 5, 6 e 11», della legge 2 gennaio 1991, n. 1; e ciò al fine di ottenere la restituzione degli importi ver- sati in dipendenza di tali operazioni.
La banca convenuta sosteneva la totale infonda- tezza della domanda attrice, puntualizzando: a) che i contratti «non avevano dato luogo a negoziazione di valori mobiliari»; b) che, in ogni caso, «era stata auto- rizzata, a suo tempo, all’esercizio di attività di interme- diazione mobiliare»; c) che «l’asserita violazione dei precetti dettati dagli artt. 5, 6 e 11, l. 1/91, oltretutto af- fermata in termini assolutamente generici, non trovava alcuna rispondenza nella realtà».
Il Tribunale di Torino, giudice avanti al quale la causa era stata riassunta a seguito all’eccezione di in- competenza formulata dalla convenuta, respingeva la domanda attorea, precisando: i) che «la banca era stata
La pronuncia in commento è di grande attualità dal momento che, nell’affrontare temi estremamente delicati della disciplina del contratto in generale, quali i rapporti tra “nullità virtuale” e responsabilità precon- trattuale, esprime principi che hanno portata dirimente con riferimento al recente contrasto, emerso nella giu- risprudenza di merito, in ordine alla rilevanza delle vio- lazioni degli obblighi di informativa previsti dalla legi- slazione speciale in capo agli intermediari autorizzati.
Infatti, a seguito dell’ampio contenzioso delineato- si nell’ultimo biennio con riferimento ad operazioni su strumenti finanziari, sono emerse pronunce discordanti:
(i) alcune sostengono che la violazione delle norme re- lative agli obblighi di informativa «poste a presidio di interessi costituzionalmente rilevanti, comporta la nul- lità ex art. 1418 c.c. del contratto di acquisto e il conse- guente obbligo dell’intermediario di restituire la somma di denaro investita, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2033 c.c.» (1); (ii) altre sostengono, sempre con riferimento agli obblighi di informazione, che «la voluta distinzione fra adempimenti prescritti a pena di nullità ed altri ob- blighi di comportamento pure posti a carico dell’inter- mediario, impedisce una generalizzata qualificazione di tutta la disciplina dell’intermediazione mobiliare come di ordine pubblico e, ultimamente, presidiata dalla c.d. nullità virtuale di cui all’art. 1418 comma 1 c.c.» (2); e precisano che «ancorché le norme sugli obblighi infor- mativi e comportamentali della banca verso i clienti perseguano un interesse pubblico, sicché i contratti conclusi in violazione di esse potrebbero ritenersi nul- li... non può parlarsi di vizio genetico, relativo alla con- clusione del contratto, bensì deve parlarsi di vizio fun-
autorizzata all’esercizio dell’attività di intermediazione
mobiliare» e, quindi, era legittimata alla stipulazione di contratti su strumenti finanziari; b) che l’attore non aveva fornito nessuna prova delle violazioni denunzia- te; c) che, comunque, «tali violazioni, se sussistenti, avrebbero comportato, per la banca, conseguenze solo sul piano risarcitorio e sanzionatorio, senza incidere sul- la validità dei contratti posti in essere».
Nei medesimi termini, si esprimeva anche la Corte territoriale investita del gravame, la quale rigettava l’appello, osservando che «la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative postula che il contrasto attenga al suo contenuto percettivo e non può essere, quindi, dichiarata quando la violazione sia stata com- messa nel corso delle trattative (e, quindi, prima della conclusione del contratto), ovvero durante l’esecuzio- ne».
La Suprema Corte di cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’appello.
Note:
(1) Così, testualmente, Trib. Mantova 18 marzo 2004, in Giur. it., 2005,
54. Nel medesimo senso: Trib. Ferrara 25 febbraio 2005, in Contratti, 2006, 12 ss., con nota di Poliani, Obblighi di informazione e acquisto di ob- bligazioni Parmalat; Trib. Venezia 11 luglio 2005, in Danno e resp., 2005, 1225 ss., con nota di Dellacasa, Collocamento di prodotti finanziari e regole di informazione: la scelta del rimedio applicabile; Trib. Monza 27 gennaio 2005, in Resp. civ. e prev., 2005, 1, 134; Trib. Firenze 19 aprile 2005 in questa Rivista, 2005, 9, 1271 ss., con nota di di Majo, Prodotti finanziari e tutela del risparmiatore; Trib. Avezzano 23 giugno 2005 e Trib. Palermo 16 marzo 2005, entrambe in Foro it., 2005, I, 2536, con nota di Xxxxxxxx, Prestiti obbligazionari, “default” e tutela “successiva” degli investitori: la map- pa dei primi verdetti; Trib. Venezia 22 novembre 2004, in Danno e resp., 2005, 614, con nota di Xxxxx, La tutela del risparmiatore fra nullità e riso- luzione, (a proposito di Xxxxx xxxx e Tango bond); Trib. Mantova, 12 no- vembre 2004 e Trib. Firenze 30 maggio 2004, entrambe in Resp. civ. e prev., 2005, 136; App. Milano, 13 giugno 2003 in Banca, borsa e tit. cred., 2004, 3, 297; Trib. Milano 20 febbraio 1997, ivi, 2000, II, 82; Trib. Milano 11 maggio 1995, in Giur. comm., 1996, II, 79 ed in Banca borsa tit. cred., 1996, II, 442.
(2) Così, testualmente, Trib. Milano 25 luglio 2005, in Corr. merito, 2005, 1047.
xxxxxxx, che inerisce il contratto ormai perfezionatosi, e cioè di difetto delle prestazioni da rendersi sulla base del contratto concluso» (3).
Di fronte all’incertezza originata dal riferito con- trasto giurisprudenziale (4), la pronuncia della Supre- ma Corte muove un primo passo verso una più netta demarcazione dei confini tra i cosiddetti rimedi con- trattuali; e, in particolare, delinea con uno sforzo pre- gevole (anche se non completamente riuscito) i limiti della cosiddetta «nullità virtuale», affermando che (i)
dall’art. 1345») e la mancanza «nell’oggetto dei requisi- ti stabiliti dall’art. 1346»; e il terzo comma, norma di semplice richiamo, individua quali ulteriori ipotesi tipi- che di nullità «gli altri casi stabiliti dalla legge».
Sulla scorta di tale disposto normativo, dottrina
(7) e giurisprudenza (8), seppur con qualche iniziale perplessità (9), hanno evidenziato l’esistenza di due ca- tegorie di nullità: quella testuale, espressamente previ- sta dal Legislatore quale conseguenza della violazione di
la contrarietà a norme imperative, «considerata dal-
l’art. 1418, comma 1, c.c.» attiene unicamente ad
«elementi “intrinseci” della fattispecie negoziale ... cioè, la struttura o il contenuto del contratto (art. 1418, comma 2, c.c.)»; (ii) e che, ai fini della citata norma, non rilevano, comunque, i «comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l’esecuzione (del contratto), salvo che il legislatore lo preveda espressamente».
Tali affermazioni hanno destato alcune perplessità, non tanto sul piano operativo quanto sul piano concet- tuale.
Sul piano operativo, infatti, può dirsi finalmente e ormai acclarato che la violazione delle disposizioni che impongono agli intermediari autorizzati obblighi com- portamentali, nella fase antecedente o successiva alla conclusione del contratto, non incide direttamente sul- la validità dello stesso, rilevando, al più, sotto il profilo della responsabilità precontrattuale o contrattuale: è necessario chiarire che, nel caso di specie, si faceva rife- rimento alle disposizioni degli artt. 5, 6 e 11 della legge 2 gennaio 1991, n. 1, «Disciplina dell’attività di inter- mediazione mobiliare e disposizioni sull’organizzazione dei mercati mobiliari», ma il medesimo ragionamento deve valere per l’attuale normativa che disciplina tale attività, ovvero il d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 «Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria» e successive modifiche.
Sul piano concettuale, la posizione della Suprema Corte si presenta più problematica, dal momento che richiama sia il primo che il secondo comma dell’art. 1418 c.c. (5).
È noto che la dottrina italiana ha diffusamente in- dagato le ragioni che hanno spinto il Legislatore del ‘42 a costruire il disposto dell’art. 1418 c.c., articolando tre commi in apparenza antinomici (6): commi, al con- tempo, espressione del principio di atipicità (primo e secondo) e di tipicità (secondo e terzo) del sistema del- le nullità degli atti di autonomia privata.
Infatti: il comma 1, norma da cui generalmente si fa discendere il carattere atipico e aperto delle nullità nel nostro sistema, dispone che «il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente»; il successivo comma 2 indica quali cause (in apparenza) tipiche di nullità la
«mancanza di uno dei requisiti indicati dall’art. 1325», l’illiceità della causa o dei motivi («nel caso indicato
Note:
(3) Cfr. Trib. Genova 15 marzo 2005, in Danno e resp., 2005, 609 ss..; e, nel medesimo senso, Trib.Genova 2 agosto 2005, ivi, 2005, 1225; Trib. Roma 25 maggio 2005, in questa Rivista, 2005, 9, 1275; Trib. Roma 31 marzo 2005, in Foro it. 2005, I, 1538; Trib. Taranto 27 ottobre 2005, ivi, 2005, I, 896; Trib. Monza 27 luglio 2004, in Resp. civ. e prev., 2005, 1, 135.
(4) Roppo, in La tutela del risparmiatore fra nullità e risoluzione, (a proposi- to di Xxxxx xxxx e Tango bond), cit., 625, parla di «ambaradan dei rimedi contrattuali», sottolineando che «stiamo vivendo in una fase in cui l’or- dine che tradizionalmente presidiava la materia (quella contrattuale, ndr), tende ad incrinarsi ed a intorbidarsi: le vecchie classificazioni e qualifi- cazioni tengono sempre meno; i confini tra le aree di applicazione dei diversi rimedi si fanno mobili e indistinti, o addirittura saltano ...».
(5) In questo senso si veda il commento di Xxxxx e Afferni, Xxx contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della Cassazione su nullità virtua- le e responsabilità precontrattuale, in Danno e resp., 2006, 25 e segg..
(6) Xxxxx, Il contratto, in Trattato di dir. civ. diretto da Xxxxxxxx, 1975, 524 ss, ha sostenuto che «la dottrina ha preparato la categoria ove sistemare questa super operatività dei divieti legali, coniando l’idea e il nome delle “nullità virtuali”. Il legislatore italiano del 1942 utilizza queste nuove possibilità, comminando la nullità di ogni contratto che contrasti con norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente (art. 1418, comma 1). Però poi, con i commi 2 e 3 dello stesso articolo, sembra ab- bandonare l’idea delle nullità virtuali, perché redige un elenco di cause di nullità tipiche, rinviando per il completamento dell’elenco, agli altri casi “stabiliti dalla legge”».
(7) Per tutti di Majo, Il contratto in generale, Xxxx XXX, in Trattato di dirit- to privato diretto da Xxxxxxx, Torino, 2002, 82.
(8) Cass. 12 ottobre 1999, n. 11442, in Mass. Giust. civ., 1999, 314;
Cass. 17 agosto 1999, n. 8688, in Contratti, I, 9; Cass. 18 novembre
1997, n. 11450, in Giust. civ., 1998, I, 1355; Cass. 1 gennaio 1995, n.
9219, in Arch. civ., 1996, 760; Cass. 18 maggio 1994, n. 4844, in Arch.
civ., 1994, 1010 e in Giust. civ., 1994, I, 2471; Cass. 28 ottobre 1992, n.
11703, in questa Rivista, 1993, 1441; Cass. 8 marzo 0000, x. 0000, xx Xx-
xx xx., 0000, X, 0000; Cass. 17 giugno 1985, n. 3642, in Nuova giur. civ.
comm., 1986, I, 284; Cass. 11 ottobre 1979, n. 5311, in Foro pad., 1979,
I, 364; Cass. 20 settembre 0000, x. 0000, xx Xxxxx. xxx., 0000, X, 000;
Cass. 13 maggio 1977, n. 1901, in Mass. Giur. it., 1977, 441; Cass. 27
novembre 1975, n. 3974, Foro it., I, 309; Cass. 8 ottobre 1975, n. 3193,
xxx, 1976, I, 712; Cass. 20 luglio 1972, n. 2697, in Giust. civ., 1972,
1914; Cass. 3 dicembre 1970, n. 2545, in Mass. Giur. it., 1970, 1008;
Cass. 12 dicembre 1966, n. 2892, in Giur. it., 1967, I, 1, 1029; Cass. 17
giugno 1960, n. 1591, in Sett. cass., 1960, 1138.
(9) In giurisprudenza: App. Milano 12 ottobre 1951, in Foro pad., 1951, 79; App. Firenze 16 giugno 1960, in Giur. tosc., 1950, 327; Cass. 30 giu- gno 1948, n. 1036, in Rep. Foro it., 1948, voce Locazione, n. 539.
In dottrina: Xxxxxxxxx, voce Nullità, in Enc. dir., XXVIII, Milano 1978, 873 ss., il quale ha sostenuto che «Questa formula (1418 c.c., ndr) è tale da perpetuare la travagliata disputa circa la ammissibilità, accanto alla nullità testuale e espressa, della nullità virtuale o tacita, da desumer- si dalla ratio delle norme imperative violate». Ed ancora, Messineo, Il contratto in genere, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Ci- cu-Messineo, 1972, 174, il quale ha affermato che «se nel diritto italia- no, sia ammessa la nullità virtuale, è controverso».
una norma; e quella virtuale, non espressamente sanci- ta ma desumibile dalla contrarietà a norma imperativa dell’atto di autonomia privata.
La collocazione sistematica delle nullità testuali e delle nullità virtuali all’interno dei singoli commi del disposto dell’art. 1418 c.c. è di estrema difficoltà sia perché «gli altri casi stabiliti dalla legge» di cui al comma 3 non possono che essere «norme imperative» di cui al comma 1 del medesimo articolo; sia, soprat- tutto, perché «le due categorie finiscono con l’intrec- ciarsi (e l’intreccio rischia di diventare un groviglio) nelle previsioni del secondo comma: il quale riprodu- ce in negativo l’elenco e la disciplina dei requisiti es- senziali del contratto quale emerge dagli artt. 1325 ss., codice civile» (10).
Quanto al rapporto tra il primo e il terzo comma dell’art. 1418 c.c., più che di un’apparente antinomia, parrebbe, in realtà, più corretto parlare di una ridon- danza normativa se, come detto, è vero che le norme che comminano la nullità a fronte della relativa viola- zione sono comunque imperative (11).
Ben più complesso è il rapporto tra il primo e il se- condo comma dell’art. 1418 c.c. e di tale complessità è espressione anche la pronuncia in commento.
Se, come si legge in motivazione, la nullità vir- tuale ex art. 1418, comma 1, c.c., attiene a struttura e contenuto del contratto (12), può ritenersi che tale nullità «si identifica perfettamente con la nullità di cui all’art. 1418, comma 2, c.c.» (13); con una conse- guente concreta difficoltà, per l’interprete, ad indivi- duare un autonomo spazio applicativo per il citato pri- mo comma.
Si consideri, infatti, che la contrarietà a norma imperativa può rilevare, in xxx xxxxxxxxx, xx xxxxx xxx xxxxx comma dell’art. 1418 c.c., configurando un’i- potesi di «contratto illegale»; ma può altresì rilevare, in via mediata, ai sensi del secondo comma del mede- simo articolo, nel caso in cui vi sia la violazione di una norma imperativa che comporti «l’illiceità della causa» ai sensi dell’art. 1343 c.c., «l’illiceità dei moti- vi» ai sensi dell’art. 1345 c.c. o l’illiceità dell’oggetto ai sensi dell’art. 1346 c.c., configurando, così, un’ipo- tesi di «contratto illecito»: si è osservato, con un’e- spressione figurativa, che le cause di nullità «corri- spondono a cerchi concentrici» (14), ove il cerchio minore è costituito dai casi di illiceità del contratto e il cerchio maggiore è formato dalle ipotesi di illega- lità dello stesso.
La distinzione tra le due fattispecie non è di poco momento se si considera che, mentre il contratto ille- cito è sempre nullo (15), la validità del contratto ille- gale può essere fatta salva (16), ai sensi del primo comma dell’art. 1418 c.c., da una diversa disposizione di legge (per questa ipotesi si è parlato di «contratto irregolare» (17)).
Inoltre, ai sensi dell’art. 2126 x.x., xx xxxxxxx xxx xxxxxxxxx xx xxxxxx produce effetti, per il periodo in
cui il rapporto ha avuto esecuzione, solo se deriva da illiceità del contratto; ai sensi dell’art. 1417 c.c., la prova per testimoni della simulazione è ammessa senza limiti, anche tra le parti dell’accordo, se la domanda è
«diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimula- to» (18); ai sensi dell’art. 1972 c.c., è nulla la transa- zione relativa ad un contratto illecito, mentre non lo è la transazione relativa a un titolo semplicemente
«nullo» (19).
Ed ancora, al contratto nullo per illiceità non sono applicabili altri effetti indiretti, quali la conferma (della
Note:
(10) Così, Mariconda, Nullità urbanistiche e disciplina generale del contratto nullo: le nullità relative ai terreni, in questa Rivista, 1987, 7, 752 ss. L’Auto- re si è espresso nel medesimo senso in I contratti in generale - Effetti, inva- lidità e risoluzione, in Giur. sist. Dir. civ. e comm., fondata da Bigiavi, To- rino, 1991, 368 ss., affermando che l’elenco delle ipotesi di nullità par- rebbe articolarsi come segue: a) nullità virtuali enucleabili sulla base del primo comma dell’art. 1418 c.c.; b) nullità virtuali riconducibili al se- condo comma; c) nullità testuali riferibili allo stesso secondo comma; d) nullità testuali risultanti dal terzo comma.
(11) Così, Sacco, Il contratto, in Trattato di dir. civ., diretto da Xxxxxxxx, 1995, 560.
(12) di Xxxx, op. ult. cit., 73, precisa che «alla struttura del contratto fa capo non solo la regola che elenca i suoi elementi e/o i requisiti (accor- do+causa+oggetto+forma) ma anche quella che ne predica la qualità (arg. ex 1418)».
(13) Roppo e Afferni, op. ult. cit..
(14) di Majo, op. ult. cit., 74.
(15) In proposito, Xxxxxxx, Il negozio giuridico, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu-Messineo-Xxxxxxx, 2002, III, 1, 282 ss., precisa, inoltre, che «il concetto di illiceità esprime una contraddizione più forte di quella espressa dalla sua contrarietà a norme imperative ... questa più forte contraddizione si manifesta anche nella già rilevata cir- costanza che il contratto illecito è sempre nullo e improduttivo di effetti, mentre la comune contrarietà a norme imperative tollera, per riserva fi- nale di cui al primo comma dell’art. 1418, una conseguenza diversa dalla nullità».
(16) «Salvo che la legge disponga diversamente» può significare: una espressa esclusione della nullità; un’espressa previsione di una conse- guenza diversa dalla nullità; una esclusione della nullità ricavabile dalla ratio della norma violata: così De Nova, Il contratto contrario a norme im- perative, in Riv. crit. dir. priv., 1985, 436.
(17) Xxxxx, Il contratto, in Trattato di diritto privato a cura di Xxxxxx e Zat- ti, 2001,748, sostiene che il contratto è illegale e nullo «quando i suoi effetti andrebbero a ledere direttamente gli interessi protetti dalla nor- ma, la quale ha precisamente lo scopo d’impedire quegli effetti»; mentre è «semplicemente irregolare, e non nullo, quando viola sì la norma, e tuttavia non sono propriamente i suoi effetti a ledere l’interesse protetto da questa».
(18) Cfr.: Cass. civ., sez. III, 6 maggio 2003, n. 6882, in Nuova giur. civ. comm., 2004, I, 54; Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2001, n. 6892, in Giust. civ. Mass., 2001, 1015; Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2000, n. 6971, ivi, 2000, 1125; Cass. civ., sez. III, 16 maggio 1995, n. 5371, ivi, 1995, 1009; Cass. civ., sez. II, 27 settembre 1994, n. 7878, in Foro it., 1995, I, 1227 ed in Riv. notariato, 1995, 1004; Pret. Pesaro, 4 maggio 1998, in Foro it., 1999, I, 725.
(19) Cfr., tra le tante, Xxxx. civ., sez. II, 27 agosto 1994, n. 7553, in Giur. it., 1995, I, 1, 1248, nella quale si afferma che «l’art. 1972 comma primo
c.c. sancisce la nullità della transazione soltanto se questa ha ad oggetto un contratto nullo per illiceità della causa o del motivo comune ad en- trambe le parti e non quando si tratta di contratto nullo per mancanza di uno dei requisiti previsti dall’art. 1325 c.c..».
donazione nulla) ex art. 799 c.c., la conservazione ex
art. 1367 e la conversione ex art. 1424 c.c. (20).
Pur a fronte di una così evidente differenziazione di disciplina, non è facile distinguere il contratto illeci- to da quello illegale.
Al fine di trovare un criterio discriminante tra le due categorie, è stata sottolineata la distinzione tra nor- me imperative che rendono il contratto illegale e nor- me imperative che rendono il contratto illecito; queste ultime «a) sono sempre norme proibitive, che pongono insormontabili divieti, mentre le norme imperative ex art. 1418, comma 1 c.c., possono consistere tanto in norme proibitive quanto ordinative»; «b) sono norme che si collocano al vertice della gerarchia di valori pro- tetti dall’ordinamento: non sono solo, come le norme imperative ex art. 1418, comma 1 c.c., norme poste a tutela di interessi generali» (21).
Ma questa argomentazione non è conclusiva, dal momento che «la medesima norma imperativa può de- terminare, a volte, la stipulazione di contratti nulli per illiceità della causa; e, a volte, la stipulazione di contratti con causa lecita ma con essa contrastanti, ciò significa che la distinzione tra contratto con causa illecita e con- tratto semplicemente contrario a norma imperativa non può essere affidata in modo risolutivo al differente “gra- do di imperatività della norma violata” ma va piuttosto puntualizzata avendo riguardo alla qualità del contrasto tra l’atto di autonomia ed il precetto violato» (22).
Si consideri, ad esempio, che il contratto posto in essere in violazione di un precetto penale non è per ciò solo nullo ai sensi dell’articolo 1418, comma 1, c.c. (23); ma lo è certamente quando il comportamento delle parti si pone in contrasto con norme penali che determinano l’illiceità della causa o dell’oggetto: «in
questi casi il giudizio di disvalore, sul quale si fonda la nullità, attiene direttamente ad uno degli elementi es- senziali del contratto, sicché è il rilievo civilistico del- l’illiceità, rilevato in via autonoma, a determinare la nullità, e non, invece, il contrasto con la norma penale imperativa ai sensi del primo comma dell’articolo 1418 c.c.» (24).
Allo stato, quindi, il principio espresso dalla pro- nuncia in commento consente di affermare che non potrà determinare la nullità del contratto la violazione di norme le cui prescrizioni non attengano alla struttura e al contenuto del contratto; ma rimane aperta a valu- tazioni empiriche la questione se la violazione di una norma che attenga a tali caratteri integri un’ipotesi di contratto illecito o semplicemente di contratto illegale, eventualmente irregolare; suscettibile quest’ultimo di produrre effetti diversi dalla nullità in virtù della clau- sola di salvezza di cui all’art. 1418, comma 1, c.c..
Note:
(20) Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2003, 964.
(21) Xxxxxxx, Diritto civile e commerciale, Vol. II, Tomo I, Padova, 2004, 359 ss.
(22) Così, testualmente, Mariconda, op. ult. cit., 469 ss., riferendosi a violazioni della normativa valutaria.
(23) Cfr. Oppo, Formazione e nullità dell’assegno bancario, in Riv. dir. comm., 1963, I, 176; Ferri, Ordine pubblico, buon costume e la teoria del contratto, Milano, 1970, 165; Xxxxxxxxx, Il negozio contrario a norme im- perative, in Legislazione economica (1978-1979) a cura di Xxxxxxxxx e Vas- xxxxx, Milano, 1981, 306; Vassalli, In tema di norme penali e nullità del ne- gozio giuridico, in Riv. crit. dir. priv., 1985, 467; Xxxxxxxxx, Divieti legisla- tivi e nullità del contratto, in Nuova giur. civ. comm., 1987, 72.
(24) Così, Franchi, Responsabilità della banca per concessione abusiva del credito, in Xxxxxxxxx, 2004, 151 ss.