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IL PRELIMINARE DI PRELIMINARE: SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE IN PROSPETTIVA ERMENEUTICA SUGLI ATTI PREPARATORI DEL CONTRATTO.
Di Xxxxxx Xxxxxxxxx
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Genesi, natura e struttura delle disposizioni codicistiche in materia di interpretazione del contratto. - 3. L’elemento testuale nell’interpretazione: il principio «in claris non fit interpretatio» e le «merger clauses». - 4. La qualificazione giuridica: rapporto con l’interpretazione. - 5. L’applicazione delle norme interpretative nell’accertamento della conclusione del contratto. - 6. Interpretazione degli atti unilaterali e degli atti procedimentali prenegoziali. - 7. Interpretazione e atti preparatori: minuta e puntuazione di clausole. - 8. La natura preparatoria del preliminare di preliminare. - 9. Rilievi conclusivi.
ABSTRACT. Il riconoscimento della liceità del preliminare di preliminare, operato da un recente intervento delle Sezioni unite, impone una più ampia rimeditazione critica dell’orientamento diretto a sostenere che per accertare se il contratto risulti perfezionato ovvero si verta nella fase delle trattative negoziali ad esso prodromica, è necessario indagare la comune intenzione delle parti, facendo applicazione della regola interpretativa di cui all’art. 1362 c.c. In senso contrario a questa conclusione, è possibile rilevare che l’applicazione delle regole interpretative all’accertamento della conclusione del contratto sovverte il rapporto logico sussistente tra formazione ed interpretazione. Poiché le regole ermeneutiche presuppongono l’avvenuta conclusione, esse non possono trovare applicazione né in ordine agli atti unilaterali prenegoziali (proposta ed accettazione), né in relazione agli atti preparatori in cui le parti documentano le trattative in fieri quali la minuta, la puntuazione ed il preliminare di preliminare.
Since the preliminary of preliminary contract has been considered lawful by the Joint Xxxxxxxx in a recent intervention, the theory which argues that it’s necessary to investigate the parties’ com- mon intention - applying the interpretative rule of art. 1362 c.c. – to establish whether the agree- ment is concluded or still involved the preceding negotiation phase, must be widely revised. Against this approach, it is worthy to underline that the application of the rules on interpretation to ascertain the conclusion of the contract reverses the logical relationship between its formation and interpretation. Hermeneutic rules can’t be applied neither to pre-unilateral unilateral acts (proposal and acceptance), nor to the preparatory acts in which the parties write down their nego- tiation such as minute, punctuation and preliminary of preliminary assume the conclusion, because they all assume the conclusion of the contract itself.
R i f l e s s i o n i s u l l e f u n z i o n i d e l l a r e s p o n s a b i l i t à a q u i l i a n a a l l a l u c e d e l l e S e z i o n i U n i t e n . 1 6 6 0 1 / 2 0 1 7 ( C h i a r a S a r t o r i s )
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1. Premessa
Con la sentenza numero 4628 del 6 marzo 2015 le Sezioni Unite della Cassazione sono tornate a pronunciarsi sul tema del preliminare di
preliminare, offrendo una lettura moderatamente
La riconosciuta validità del pre-preliminare contribuisce ad ampliare il già articolato panorama degli accordi preparatori che contraddistinguono la formazione progressiva del contratto, destando, tuttavia, non poche perplessità in ordine alla linea di confine esistente proprio tra il preliminare di
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innovativa dell’istituto che, valorizzando l’intento empirico perseguito dalle parti quale elemento in grado di conferire sostegno causale alla contrattazione, consente di attribuire un’autentica valenza negoziale e teorica a tale figura giuridica1.
1 Cfr. Cass., sez. un., 6 marzo 2015, n. 4628, in Foro it.,
2015, I, 2016 ss.; in Giur. it., 2015, 1069 ss., con note di DI MAJO, Il preliminare torna alle origini; e PALERMO, L’atipicità dei procedimenti di formazione del contratto; in Corr. giur., 2015, 609 ss., con note di X. XXXXXXX, Il diritto vivente dei contratti preliminari; e FESTI, Il contratto preliminare di preliminare; in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 609 ss., con nota di BUSET, Le sezioni unite sul preliminare di preliminare di vendita immobiliare; in Contratti, 2015, 550 ss., con nota di BRIZZOLARI, Il preliminare di preliminare: l’intervento delle sezioni unite; in Not., 2015, 426 ss., con nota di BENIGNI, Le Sezioni unite sulla validità del preliminare di preliminare; in Riv. not., 2015, 597 ss., con nota di XXXXXX, Il concetto di pre-preliminare nel procedimento di formazione del contratto «a tutele crescenti»; e in Vita not., 2015, 813 ss.; e, per una più ampia riflessione sulla portata sistematica della pronuncia, XXXXX, Da
«inconcludente superfetazione» a quasi contratto: la parabola ascendente del «preliminare di preliminare», in Dir. civ. cont., 14 maggio 2015; A.M. XXXXXXXXX, Autonomia dei procedimenti formativi? La vicenda del
«preliminare di preliminare», ibidem, 11 maggio 2015; XXXXXXX, Il «preliminare di preliminare» e le intese precontrattuali nella contrattazione immobiliare, in Riv. dir. civ., 2015, 1230 ss.; ID., Secondo le Sezioni Unite il “preliminare di preliminare” è valido; anzi no, in Dir. civ. cont., 9 giugno 2015; CAPECCHI, Riflessi operativi della sentenza delle Sezioni Unite sul preliminare di preliminare, in Nuova giur. civ. comm., 2015, II, 397 ss.; VILLA, «Mera puntuazione» e «puntazione vincolante»?, in Giust. civ., 2015, 297 ss.; XXXX, Ammissibilità del c.d. preliminare di preliminare, in Studium iuris, 2015, 1029 ss.; DE MATTEIS, Accordi preliminari e modularità del vincolo a contrarre, in Nuova giur. civ. comm., 2015, II,
389 ss.; XXXXXXXXX FIGLIA e CLARIZIA, Puntuazione vincolante o preliminare di preliminare? (a proposito di una pronuncia delle Sezioni Unite), in Contr. impr., 2015, 874 ss.; NAPOLI, Il riconoscimento giurisprudenziale del contratto preliminare di preliminare, in Riv. dir. civ., 2015, 1252 ss.; X’XXXXX, Sul c.d. preliminare di preliminare, ivi, 2016, 40 ss.; nonché, con specifico riferimento alla causa concreta del contratto, ROPPO, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non reticente né compiacente) con la giurisprudenza di legittimità e di merito, ivi, 2013, 957 ss.; C.M. XXXXXX, Causa concreta del contratto e diritto
preliminare, da un lato, e gli altri accordi preparatori, dall’altro.
Nella propria disamina, infatti, la Cassazione suppone come accertata ed esistente la volontà delle parti di concludere un contratto preliminare di preliminare e, pertanto – come da essa stessa precisato nella parte motivazionale della decisione – si è limitata a tracciare la differenza corrente tra il pre-preliminare ed il preliminare vero e proprio, circoscrivendo la propria analisi alla dinamica degli accordi contrattuali in tema di compravendita immobiliare.
Il caso, invero, avrebbe potuto offrire al giudice di legittimità l’occasione di operare una ricognizione più estesa, esaminando anche il passaggio anteriore, ossia puntualizzando quando, in concreto, un accordo preparatorio possa definirsi contratto (sia esso pre-preliminare o preliminare vero e proprio) e portando, in tale modo, la dovuta chiarezza nella sistematica degli atti e degli accordi coinvolti nella graduazione della sequenza procedimentale traslativa.
Il presente elaborato trae spunto proprio dalle questioni rimaste irrisolte nella pronuncia del Supremo Collegio ed, in particolare, dall’accertamento della comune volontà delle parti di concludere un contratto finalizzato alla stipulazione di un successivo accordo, per il momento ancora inesistente.
A tal proposito, la ricerca della comune intenzione dei contraenti sarà qui indagata in prospettiva essenzialmente ermeneutica, valutando se l’accertamento di tale volontà possa essere compiuto mediante il criterio interpretativo della comune intenzione delle parti (art. 1362 c.c.) e, lato sensu, se detta regola possa essere applicata agli atti preparatori che, inserendosi nell’iter procedimentale, concorrono alla formazione del negozio finale.
A tal fine si rende opportuno muovere da una breve ricognizione delle regole di ermeneutica contrattuale al fine di vagliarne l’applicabilità alla formazione progressiva del contratto.
effettivo, ivi, 2014, 251 ss.; TRAVAGLINO, Contratto preliminare di preliminare, in Corr. giur., 2014, 1588 ss.
2. Genesi, natura e struttura delle disposizioni codicistiche in materia di interpretazione del contratto.
Il legislatore italiano ha mutuato le regole di
I dubbi manifestati sul punto dalla dottrina più sensibile all’influenza della cultura pandettistica tedesca hanno infine trovato pieno riconoscimento legislativo con la codificazione del 1942, che, attraverso l’introduzione degli artt. 1362 ss. c.c., ha
interpretazione negoziale dalla codificazione confermato il principio della portata precettiva delle
francese del 1804. Il Code Napolèon dedicava all’interpretazione del contratto gli articoli 1156– 1164. Tali disposizioni sono state recepite e trasposte dapprima nelle codificazioni preunitarie e, successivamente, nel codice civile italiano del 1865, che dedicava alle regulae iuris di interpretazione del contratto gli artt. 1131–1139.
La codificazione d’oltralpe, unitamente alle posizioni della relativa dottrina, ha inizialmente spiegato una decisiva influenza sulla cultura
regole di interpretazione contrattuale, che costituisce oggi dogma indiscusso nella dottrina e nella giurisprudenza3.
La natura vincolante delle regole ermeneutiche ha circoscritto in modo significativo la libertà di cui
– in passato – disponeva il giudice nell’operazione interpretativa, spesso ritenuta lesiva dell’autonomia privata. Si è quindi affermato che l’applicazione ed il rispetto, da parte del giudicante, delle regole ermeneutiche devono emergere dal tessuto
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scientifica italiana dell’epoca, specialmente in
ordine alla natura dei canoni ermeneutici. Poiché infatti essa era concorde nell’attribuire agli artt. 1156 ss. del Code Napolèon natura di xxxx xxxxxxxx e di raccomandazioni, la tesi della natura non vincolante delle norme disciplinanti l’interpretazione del contratto costituiva passaggio argomentativo pressoché scontato della giurisprudenza italiana più risalente2.
Il riconoscimento del carattere non coercitivo dei canoni ermeneutici conferiva infatti all’interprete – e, specialmente, al giudice – ampia libertà nell’indagine del contenuto negoziale e, sottraendo il procedimento interpretativo al sindacato di legittimità, permetteva una più celere definizione dei giudizi.
2 Cfr., a titolo meramente esemplificativo, Cass. Firenze, 24 febbraio 1912, in Ragg. giur., 1912, 221: «negli artt. 1131 e segg. la legge dà criteri direttivi al magistrato senza vincolare la sua libertà di disporre ancora quei mezzi ulteriori di prova che, secondo i casi, possono essere richiesti dalle parti od ordinati di ufficio per meglio chiarire i fatti, la retta intelligenza dei patti, la intenzione dei contraenti»; Xxxx. Roma, 20 aprile 1912, in Cass. un. civ., 1912, 338, secondo cui il magistrato non è tenuto «a dare una minuta spiegazione, potendo addivenire che la oscurità o equivocità delle parole di un contratto, la probabile intenzione dei dichiaranti si volga e stabilisca più per intuizione ed impressione che per effetto di un rigoroso ragionamento»; Xxxx. Torino, 27 novembre 1911, in La Giur., 1912, 200, che precisa che l’interpretazione è rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, talché l’inosservanza di esse non può essere dedotta quale motivo di ricorso per Cassazione. Di contrario avviso, un isolato orientamento giurisprudenziale, rappresentato, ad esempio, da Cass. Palermo, 12 agosto 1897, in Foro sic., 1897, 695. Per una più ampia indagine storica, cfr. X. XXXXXXXXXX, L’interpretazione del contratto. Profili dottrinali e giurisprudenziali, Milano, 2007, 16 ss.
3 Cfr. XXXXXXXXX, L’interpretazione del negozio giuridico con particolare riguardo ai contratti, Padova, 1938, 21 ss.; ID, Interpretazione dei negozi giuridici inter vivos, in Noviss. Dig. It., VIII, Torino, 1962, 904; CARRESI, Il contratto, in Trattato di diritto civile e commerciale, fondato da Xxxx e Messineo, continuato da Xxxxxxx, XXX, 0, Xxxxxx, 1987, 519 ss.; ID., Dell’interpretazione del contratto, in Commentario del codice civile Scialoja e Branca, a cura di Xxxxxxx, Bologna-Roma, 1992, 60 s. e, con diversa opinione, ID., L’interpretazione del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1964, 552; CAPODANNO, L’interpretazione del contratto, Padova, 2006, 6; XXXXXXXXX XXXX, L’interpretazione del contratto, rist. con prefazione, note di aggiornamento e bibliografia a cura di X. Xxxxxxxx, in Il codice civile. Commentario, fondato da Xxxxxxxxxxx, diretto da Xxxxxxxx, Milano, 2013, 31 ss.; COSTANZA, Interpretazione dei negozi di diritto privato, in Dig. disc. priv., sez. civ., X, Torino, 1993, 26; X. XXXXX, Interpretazione del contratto e dello statuto societario, Milano, 2002, 74 ss. Secondo XXXXX, Il contratto, 2a ed., in Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxx e Zatti, Milano, 2011, 441, tali norme sono derogabili dall’autonomia privata. Nello stesso senso si esprime IRTI, Testo e contesto. Una lettura dell’art. 1362 c.c., Padova, 1996, 57-63; ID., Principi e problemi di interpretazione contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, 609; X. XXXXXXXX, L’interpretazione del contratto, in Diritto civile, III, Obbligazioni, 2, Il contratto in generale, diretto da X. Xxxxxx e X. Xxxxxxxx, coordinato da Zoppini, Milano, 2009, 547 ss.; OPPO, Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Bologna, 1943, 16 ss.; XXXXXXXXXXX, Interpretazione del contratto e principio dispositivo, in Temi, 1963, 1135 ss.; MESSINEO, Il contratto in genere, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, XXI, 2, rist. emendata, Milano, 1973, 63; X. XXXXXXXXXXX, Interpretazione e qualificazione: profili dell’individuazione normativa, in Dir. e giur., 1975, 826 ss.; e in ID., Il diritto dei contratti fra persona e mercato. Problemi del diritto civile, Napoli, 2003, 3 ss.; e, in giurisprudenza, Cass.,18 dicembre 2015, n. 25450, in Guida dir., 2016, 8, 92.
motivazionale della sentenza, anche al fine di garantire il controllo di legalità sull’operazione interpretativa compiuta dal giudice di merito4.
Ciò ha ridotto sensibilmente l’ambito di operatività di una ricostruzione esclusivamente
soggettiva delle regole di interpretazione negoziale.
Il legislatore del 1942, dunque, ha dedicato ampia attenzione alla possibilità che la semplice ricerca della volontà dei contraenti non assicuri risultati ermeneutici sufficientemente univoci e ha altresì chiarito che su tutte le regole dedicate all’interpretazione deve prevalere un principio
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Nella dottrina francofona prevaleva la teoria soggettiva dell’interpretazione o «teoria della volontà», volta a ricercare la volontà interiore delle parti, sebbene il Code Napolèon dedicasse una sola disposizione (l’art. 1156) alla ricerca di tale volontà5.
La teoria soggettivistica, avallata dalla dottrina italiana di fine 800, risulta tuttora prevalente nella dottrina e nella giurisprudenza, ma non trova più un richiamo esclusivo nelle disposizioni codicistiche.
Solo gli artt. 1362-1365 c.c., infatti, continuano a delineare regole ermeneutiche di matrice soggettiva o storica, in quanto orientate a ricercare la reale intenzione delle parti. Gli artt. 1367-1371 c.c., invece, introducono regole di interpretazione oggettiva o integrativa, in quanto volte a determinare il contenuto obbiettivo del documento o della dichiarazione negoziale e sono destinate a trovare applicazione qualora il richiamo delle regole soggettive non abbia consentito di accertare il significato giuridicamente rilevante dell’accordo6.
4 Cass., 9 febbraio 2015, n. 2424, in Dir. e giustizia, 2015, 108, con nota di XXXXXXX, Interpretazione del contratto: il giudice è tenuto ad individuare l’assetto di interessi che le parti volevano rappresentare con la clausola.
5 Non si deve peraltro dimenticare che già XXXXXXX,
Traité des obligations, Oeuvres complètes, Paris, 1835,
125 s., aveva evidenziato che l’attività interpretativa aveva quale unico scopo quello di individuare il significato più adatto al dato letterale ed alla natura dell’atto oggetto di interpretazione. Solo però dai primi anni del 900 la dottrina italiana, mossa dai nuovi principi affermatisi nel B.G.B., prende ad orientare l’attività interpretativa all’accertamento della volontà delle parti, decretando la prevalenza gerarchica dei criteri di interpretazione soggettiva su quelli di interpretazione oggettiva. Sul punto si veda anche ALPA, Alle origini della teoria moderna dell’interpretazione del contratto, in Riv. critica dir. priv., 1983, 127.
6 Cfr. OPPO, op. cit., 2 ss.; XXXXXXXX, Dottrina generale del contratto, 3ª ed., Milano, 1948, 364 ss.; OSTI, Contratto, in Noviss. Dig. It., IV, 1959, 523; e in ID., Scritti giuridici, I, Milano, 1973, 825; GRASSETTI, Interpretazione dei negozi giuridici inter vivos, cit., 905 s.; X. XXXXXXXXXXXX, Contratti in generale, 3a ed., in Trattato di diritto civile, diretto da Xxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, IV, 2, Milano, 1975, 180 s.; XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, rist. 2a ed. (1960), Napoli, 2002, 325 ss. e 346 s.; X. XXXXXXXXXXXX,
L’interpretazione, in I contratti in generale, a cura di X. Xxxxxxxxx, 2ª ed., II, in Trattato dei contratti, diretto da P.
generale dell’ordinamento, incentrato sull’applicazione del canone della buona fede. L’art. 1366 c.c., infatti, introduce un criterio ermeneutico assente nel codice unitario del 1865 e, se la sua appartenenza all’uno o all’altro gruppo continua ad essere questione alquanto dibattuta7, è ormai certo che la buona fede ha una funzione selettiva degli esiti ermeneutici perché impedisce di accogliere quelli che – per quanto ispirati ad un’applicazione coerente delle regole soggettive o oggettive – delineano conseguenze applicative inique o contrastanti con i valori fondamentali del sistema giuridico8.
La giurisprudenza ha costantemente posto i due gruppi di criteri normativi in rapporto gerarchico fra loro, conferendo all’interpretazione oggettiva una portata meramente residuale e sussidiaria rispetto alle regulae iuris di interpretazione soggettiva9. In virtù di tale orientamento si è ascritto un decisivo rilievo al primo canone ermeneutico positivizzato dal legislatore, consistente nella ricerca della comune intenzione dei contraenti, anche al fine di circoscrivere quanto più possibile l’intervento del giudice sul contratto. In tale prospettiva parte della dottrina si è spinta sino a contrapporre l’art. 1362
c.c. a tutte le altre norme interpretative, affermando la portata residuale delle seconde sulla prima10.
Xxxxxxxx ed X. Xxxxxxxxx, Torino, 2006, 1062 ss.; GAZZONI, Manuale di diritto privato, 13ª ed., Napoli, 2007, 1078; COSTANZA, op. cit., 27; Cass., 14 luglio
1954, n. 2479, in Giust. civ., 1954, I, 1748 ss.; Cass., 12 giugno 2007, n. 13777, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 185, con nota di TETI, Gerarchia dei mezzi ermeneutici e in claris non fit interpetatio.
7 A favore della natura soggettiva del principio di buona fede si vedano C.M. XXXXXX, Diritto Civile, III, Il contratto, 2a ed., Milano, 2000, 415; MANIACI, Interpretazione del contratto secondo buona fede, in Foro padano, 2001, I, 500; TURCO, Note in tema di ermeneutica contrattuale e principio di buona fede ex art. 1366 c.c., in Riv. critica dir. priv., 1991, 305; BETTI, op. cit., 340.
8 Cfr. XXXXXXXXX XXXX, Note in tema di interpretazione secondo buona fede, Pisa, 1970, 1 ss.; ID., L’interpretazione del contratto, cit., 209 ss.
9 Cass., 26 maggio 2016, n. 10896, in Giur. it., 2016,
1294 ss.; Cass., 18 dicembre 2015, n. 25450, cit.; Cass.,
13 agosto 2015, n. 16795, in Guida dir., 2015, 42, 44. In dottrina, si veda X. XXXXX, op. cit., 42 ss.
10 Cfr. XXXXXXXX, op. cit., 27.
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3. L’elemento testuale nell’interpretazione: il principio «in claris non fit interpretatio» e le «merger clauses».
concetto stesso di interpretazione15. Esso è stato recepito dal legislatore italiano che lo ha trasposto nella prima disposizione codicistica dedicata all’interpretazione (art. 1362, primo comma, c.c.), la quale prescrive all’interprete di indagare la
Lo scopo dell’attività interpretativa negoziale «comune intenzione» dei contraenti, ossia l’unità di
consiste, dunque, nell’accertare il significato
«oggettivo» del contratto, tale essendo il senso oggettivamente ed universalmente apprezzabile dell’atto di autonomia privata11.
La ricerca di un senso «obbiettivo», tuttavia, non deve condurre l’interprete a svilire il volere che l’operazione negoziale riveste per le parti, in quanto il contratto costituisce lo strumento con cui i paciscenti manifestano l’intento di disporre, e in effetti dispongono, della loro sfera giuridica. L’operazione interpretativa, pertanto, dev’essere orientata a ricercare quel significato che emerge dalla formula contrattuale e sia esteriormente valutabile ma che, al contempo, sposi l’intento empirico perseguito dalle parti medesime12. Nell’espletamento di tale attività il volere delle parti e il potere di autonomia delle stesse costituiscono, pertanto, i vincoli entro i quali si muove l’operato ermeneutico del giudice13.
In tal senso, già il codice civile unitario del 1865 stabiliva che «nei contratti si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti contraenti, anziché stare al senso letterale delle parole». La disposizione aderiva all’impostazione dell’art. 1156 del Code Napolèon, per cui «on doit dans le conventions rechercher quelle a été la commune intention des parties contractantes, plutôt che de s’arrétêr au sens litteral des termes»14.
Tale principio ermeneutico assume tutt’oggi pregnante rilievo, tanto da essere identificato con il
11 Non deve escludersi, infatti, che il significato obbiettivo dell’accordo risulti difforme dal senso che una delle parti ha conferito ad esso: cfr. GENTILI, Senso e consenso. Storia, teoria e tecnica dell’interpretazione dei contratti, II, Torino, 2015, 482; MELE, Il comportamento delle parti ai fini dell’interpretazione del contratto: un confronto con l’istituto della Verwirkung, in Nuova giur. civ. comm., 2016, II, 1399 ss.
12 Cfr. C.M. XXXXXX, op. ult. cit., 408; XXXXX, op. cit., 333.
13 XXXXXXXXX XXXX, L’interpretazione del contratto, cit., 6.
14 Ancor prima di ricevere l’imprimatur nelle codificazioni francesi e italiane, il criterio ermeneutico della comune intenzione era affermato da Xxxxxxx. Nell’enucleare le dodici regole sull’interpretazione dei contratti, l’autore, al primo posto suggeriva di indagare la comune intenzione delle parti contraenti, anziché attenersi al senso grammaticale delle parole (In conventionibus contrahentium voluntatem potius quam verba spectari placuit).
intenti delle parti16. Essa non deve essere identificata con la volontà interiore e psichica dei singoli contraenti17, poiché l’intenzione, per essere comune, deve essere manifestata da entrambi i paciscenti ed essere riconoscibile all’altra parte, nonché, in ultima analisi, all’interprete18.
La lettera dell’art. 1362, primo comma, c.c. ammonisce, tuttavia, l’interprete, a non limitarsi al senso letterale della dichiarazione esteriore. Ci si è pertanto interrogati sul valore e sulla portata dell’elemento letterale nell’ambito dell’operazione interpretativa.
È affermazione pacifica che la dichiarazione espressa dai contraenti costituisca il primo e principale elemento di riferimento per l’interprete nella ricostruzione della volontà comune delle parti19. Discussa, invece, è la possibilità
15 XXXXXXXXX XXXX, op. ult. cit., 115 s. In punto si veda anche X. XXXXXXX, La comune intenzione dei contrenti. Dall’interpretazione letterale del contratto all’interpretazione secondo buona fede, Milano, 2003, 1 ss.
16 XXXXXXXXX XXXX, op. ult. cit., 93 s.
17 Come invece riteneva la ormai superata teoria volontaristica: cfr. X. XXXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, Padova, 1947, 223 ss.; ID, Il negozio giuridico è un atto di volontà, in Giur. it., 1948, IV, 41 ss.
18 Cfr. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici (Teoria generale e dogmatica), Milano, 1949, 280; ID., Teoria generale del negozio giuridico, cit., 335; CASELLA, Il contratto e l’interpretazione. Contributo ad una ricerca di diritto positivo, Milano, 1961, 20 ss.; XXXXXXXXXXX, Complessità del procedimento di formazione del contratto ed unità del negozio contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1964, 1355 (da cui la successiva citazione); e in Studi in onore di Xxxxx Xxxxx, II, Padova, 1965, 1005; X. XXXX, Forma solenne e interpretazione del negozio, Padova, 1969, 16 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, Padova, 1992, 174; XXXXXXXXX XXXX, op. ult. cit., 14 ss.
19 La giurisprudenza individua un rapporto gerarchico tra il primo comma dell’art. 1362 c.c. e tutti gli altri criteri ermeneutici: cfr. Cass., 27 luglio 2001, n. 10290, in Dir. ec. ass., 2001, 1137 ss.; Cass., 14 maggio 1991, n. 5406,
in Foro it., 1992, I, c. 3368 ss.; Cass., 12 giugno 2007, n. 13777, cit. Contra X. XXXXXXX, op. cit., 14. Diversamente Cass., 23 aprile 2010, n. 9786, in Foro it., 2010, I, c. 135, sostiene che nell’operazione ermeneutica il giudice debba applicare i criteri di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c. Solo ove l’applicazione congiunta delle predette
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dell’interprete di trascendere il dato letterale e, perfino, di contraddirlo.
L’origine del problema va ricercata nel principio espresso dal celebre brocardo «in claris non fit interpretatio» o «ubi verba sunt clara non debit
Di contrario avviso, la dottrina prevalente ritiene che la chiarezza del significato rappresenti l’epilogo
– e non la premessa – dell’indagine interpretativa24, sicché il dato letterale costituirebbe soltanto il momento incipiente dell’operazione ermeneutica,
admitti voluntatis quaestio»20, che, sebbene non
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positivizzato dal legislatore tra i canoni ermeneutici, è ritenuto dai più un principio consolidato dell’ordinamento giuridico21.
Muovendo dalla premessa per cui il senso letterale costituisce l’origine dell’operazione ermeneutica22, l’orientamento più diffuso in giurisprudenza afferma che l’operazione interpretativa debba arrestarsi laddove il dato letterale e le espressioni utilizzate dalle parti risultino non equivoche e non possano, pertanto, generare una diversa volontà23.
disposizioni non consenta di acclarare il significato obbiettivo dell’accordo, egli può avvalersi dei canoni interpretativi sussidiari ai quali, pertanto, è ascritta portata meramente residuale.
20 Sul tema si xxxx XXXXXXXX, Il principio in claris non fit interpretatio nel sistema delle norme relative alla interpretazione del contratto, in Giust. civ., 1997, II, 151 ss.
21 CAPOGRASSI, Prefazione, in XXXXX XX XXXXX, La certezza del diritto, Roma, 1950, 17; XXXXXXXXX, Ordinamento giuridico e processo economico, in ID., Problemi giuridici, Milano, 1959, 64; MOSCATI, Il comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto in relazione al criterio di ermeneutica contenuto nell’art. 1362 del codice civile, in Giur. it., 1967, I, 1, 627. Non manca chi rileva come il principio della claritas sia privo di un effettivo riferimento normativo e contrasti con la stessa lettera dell’art. 1362 c.c.: cfr. X. XXXXXXX, op. cit., 23 ss., che afferma l’illogicità del principio in esame in quanto al fine di accertare la claritas della dichiarazione negoziale è necessario interpretare la clausola stessa.
22 Cfr. XXXX, Principi e problemi di interpretazione contrattuale, cit., 1120; ID., in L’interpretazione del contratto nella dottrina italiana, Padova, 2000, 618, secondo cui il significato letterale rappresenta il referente essenziale per l’interprete ed offre un «provvisorio» del testo, propedeutico a qualunque altra indagine.
23 Cfr. Cass., 11 marzo 2016, n. 4832, in Dir. e giustizia, 2016, 32 con nota di XXXXXXXXX, Il comportamento delle parti non può modificare l’assetto contrattuale; Cass., 6 novembre 2015, n. 22701, in Dejure; Cass., 30 settembre 2014, n. 20599, in Rep. Foro it., 2014, Xxxxxx (rapporto di), n. 955; Cass., 5 ottobre 2012, n. 17033, in Dejure;
Cass., 28 agosto 2007, n. 18180, in Danno e resp., 2008, 752 ss., con nota di I. CONFORTINI, Garanti in quantità: quando la fideiussione si complica; e in Giust. civ., 2008, I, 684; Cass., 12 giugno 2007, n. 13777, cit.; Cass., 18
maggio 2001, n. 6819, in Contr., 2001, 1083 ss., con nota di MANENTI, Il principio di interpretazione del contratto secondo buona fede; Cass., 24 novembre 1999, n. 13104, ivi, 2000, 338, con nota di DE MEO, L’interdipendenza
ermeneutica delle clausole contrattuali; Cass., 18 luglio 1947, n. 1166, in Rep. Giur. it., 1947, Obbligazioni e contratti, n. 184; Cass., 14 febbraio 1956, n. 419, in Rep. Foro it., 1956, Obbligazioni e contratti, n. 232; Cass., 15 settembre 1970, n. 1483, ivi, 1970, Obbligazioni e
contratti, n. 168; Cass., 6 dicembre 1980, n. 6349, ivi,
1980, Contratto in genere, n. 178; Cass., 13 aprile 1985,
n. 2450, ivi, 1985, Xxxxxx (rapporto di), n. 2527; Cass., 14 maggio 1991, n. 5406, cit.; Cass., 30 gennaio 1992, n. 955, in Giur. it., 1993, I, 1, c. 1094 s.; Cass., 9 agosto 1995, n. 8761, in Foro it., 1996, I, c. 615 ss.; Cass., 6 ottobre 1995, n. 10521, in Giust. civ., 1996, I, 1451 ss.; Cass., 20 marzo 1996, n. 2372, in Rep. Giur. it., 1996, Obbligazioni e contratti, n. 297; Cass., 24 ottobre 2000,
n. 13991, in Rep. Foro it., 2000, Xxxxxx (rapporto di), n. 1537; Cass., 2 agosto 2002, n. 11609, in Rep. Foro it., 2002, Contratto in genere, n. 389; Cass., 21 marzo 2003,
n. 4129, ivi, 2003, Contratto in genere, n. 422; Cass., 29 settembre 2005, n. 19140, in Rep. Giur. it., 2005, Obbligazioni e contratti, n. 177; Cass., 13 dicembre 2006, n. 26690, in Giur. comm., 2008, II, 948 ss., con nota di XXXXXXX, Osservazioni in tema di vendita della partecipazione sociale. In dottrina cfr. MESSINEO, Contratto (diritto privato) (Teoria generale), in Enc. dir., XI, Milano, 1961, 950 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, op. cit., 175 ss. Sostiene XXXXXX, Interpretazione del contratto e comportamento complessivo delle parti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, 978 ss., che in tal modo si ricerca il massimo grado di certezza, individuando il significato oggettivo ed evitando di sovrapporre l'opinione soggettiva del giudice al reale intento delle parti.
24 Cass., 2 febbraio 2009, n. 2561, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 883 ss., con nota di XXXXXXXXX, La formazione progressiva del contratto: il complicato discrimen tra puntuazione e perfezionamento dell’accordo; e in Obbl. e contr., 2010, 14 ss., con nota di XXXXXXXXX, Completezza dell’accordo e volontà di obbligarsi; Xxxx., 25 ottobre 2006, n. 22899, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 770 ss., con nota di SESTI, Interpretazione del contratto: senso letterale e criteri ermeneutici; Cass., 22 febbraio 2007, n. 4176, in Rep. Giur. it., 2007, Obbligazioni e contratti, n. 760; Cass., 28 agosto 2007, n. 18180, cit.; IRTI, Xxxxx e contesto, cit., 65; X. XXXXXXXXXXXX, L’interpretazione, cit., 1054 s.; nonché, sia pure con più ampio riferimento all’interpretazione della legge, X. XXXXXXXXXXX, L’interpretazione della legge come sistematica ed assiologica. Il broccardo in claris non fit interpretatio, il ruolo dell’art. 12 disp. prel. c.c. e la nuova scuola dell’esegesi, in Rass. dir. civ., 1985, 990 ss. (da cui la successiva citazione); e in ID., Scuole tendenze e metodi. Problemi del diritto civile, Napoli, 1989, 275 ss.; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, 3ª ed., Napoli, 2006, 589 ss.
ma non lo stadio finale25. Il compito dell’interprete consiste, dunque, nella ricerca della comune intenzione delle parti, ancorché essa possa apparire
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– prima facie – espressa in maniera limpida26, vero essendo che, all’esito di una più approfondita
vigente – potrebbero celare un significato volitivo difforme da quello apparente27.
Così argomentando, si perviene ad una ridimensionata valutazione dell’elemento testuale della dichiarazione, che, lungi dal costituire un
indagine, le espressioni utilizzate dalle parti – limite dell’attività interpretativa, ne costituisce il
spesso atecniche e condizionate dal patrimonio culturale di esse, da fattori ambientali, dalla prassi
25 Cfr. Cass., 15 luglio 2016, n. 14432, in Rep. Foro it., 2016, Contratto in genere, n. 210; Cass., 1 dicembre 2016, n. 24560, in Dejure; Cass., 3 settembre 2015, n. 17581, in Rep. Foro it., 2015, Contratto in genere, n. 349; Cass., 10 ottobre 2003, n. 15150, ivi, 2003, Contratto in genere, n. 405; Cass., 1 giugno 2004, n. 10484, ivi, 2004, Contratto in genere, n. 439, secondo le quali «l’elemento letterale e quello del comportamento delle parti devono porsi... in posizione paritaria onde il giudice non può sottrarsi a tale duplice indagine allegando una pretesa chiarezza del significato letterale del contratto». Similmente, Cass., 23 agosto 2003, n. 12389, ivi, 2003, Contratto in genere, n. 408, rileva che
«nell’interpretazione del contratto va ricostruita la comune volontà dei contraenti sulla scorta di due elementi principali, ovvero il senso letterale delle espressioni usate e la ratio del precetto contrattuale; tra i predetti criteri non esiste un preciso ordine di priorità ma sono piuttosto destinati ad integrarsi a vicenda, in un razionale gradualismo dei mezzi di interpretazione, che devono fondersi ed armonizzarsi nell’apprezzamento dell’atto negoziale». In dottrina, cfr. C. M. XXXXXX, op. ult. cit., 408; XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 333; X. XXXXX, op. cit., 42 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, L’interpretazione, cit., 1054 s.; X. XXXXXXXXXXX, L’interpretazione della legge come sistematica ed assiologica, cit., 990 ss.; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., 589 ss.
26 Cfr. Cass., 20 luglio 2016, n. 14842, in Dejure; CODINI, Priorità dell’elemento letterale del contratto come criterio ermeneutico: contrasto tra giurisprudenza e dottrina, in Giur. it., 1992, I, 1, c. 1543 s.; XXXXXXX, In tema di in claris non fit interpretatio, in Riv. dir. comm., 1997, I, 319 ss.; C.M. XXXXXX, op. ult. cit., 421; X. XXXXXXX, op. cit., 17 ss.; XXXXX, L’interpretazione, in Trattato di diritto privato, diretto da X. Xxxxxxxx, X, 2, 3ª ed., Torino, 2002, 549 ss.; ID., in SACCO e DE NOVA, Il contratto, II, in Trattato di diritto civile, diretto da Xxxxx, 3ª ed., Torino, 2004, 390 ss.; XXXXXXXXXX, La determinazione del regolamento, in Trattato del contratto, diretto da Xxxxx, II, Regolamento, a cura di Vettori, Milano, 2006, 222 s. e 310 ss.; XXXXXXX, Trattato di diritto civile, II, Padova, 2009, 445 s.; X. XXXXXXXX, op. cit., 560 s. Più articolata la posizione di IRTI, op. loc. ult. cit.; ID., Xxxxx e contesto, cit., 42 s. Recentemente la suprema Corte ha affermato che la claritas idonea ad arrestare la ricerca dell’interprete non è la chiarezza del testo letterale, bensì la chiarezza delle intenzioni dei contraenti: cfr. Cass., 15 luglio 2016, n. 14432, cit.
punto d’origine e, al contempo, un criterio complementare nell’indagine del comune volere dei contraenti28.
In ottemperanza al monito dell’art. 1362 c.c. l’interprete deve, dunque, ricercare la volontà dei contraenti anche tramite elementi extra-testuali ed, in special modo, il comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto29.
27 In tal senso si è espressa la giurisprudenza più recente: cfr. Cass., 10 maggio 2016, n. 9380, in Rep. Foro it., 2016, Contratto in genere, n. 228 Evidenzia IRTI, Principi e problemi di interpretazione contrattuale, cit., 1139 ss.; ID, in L’interpretazione del contratto nella dottrina italiana, cit., 609 ss., che alla radice dell’art. 1362, primo comma, c.c. vi è la polisemia del testo linguistico. Ciascun vocabolo presenta una pluralità di significati, uno dei quali rappresenta il senso letterale, sicché l’individuazione del senso più congeniale all’intento delle parti non può prescindere dall’indagine del contegno complessivo di esse. Cfr. anche X. XXXXXXX, op. cit., 23; Cass., 9 aprile 1981, n. 2080, in Rep. Foro it.,
1980, Contratto in genere, n. 200; Cass., 22 ottobre
1981, n. 5528, ivi, n. 202; Coll. Arb., 13 marzo 1992, in
Arch. giur. opere pubbl., 1993, 296 ss.; Cass., 23
dicembre 1993, n. 12758, in Giur. it., 1994, I, 1, c. 1164 ss., con nota di XXXXXX XXXXXXX, «In claris non fit interpretatio»: un brocardo che non trova asilo nel nostro ordinamento giuridico; e in Giust. civ., 1994, I, 1928 ss., con nota di XXXXXXXX, Sulla valutabilità del comportamento dovuto in sede di interpretazione del contratto; Cass., 5 aprile 2004, n. 6641, in Contr., 2005,
136 ss.; Cass., 11 gennaio 2006, n. 261, in Rep. Giur. it.,
2006, Obbligazioni e contratti, n. 297; Cass., 28 marzo
2006, n. 7083, ivi, n. 522.
28 Cfr. Cass., 10 ottobre 2003, n. 15150, cit.; Cass., 1 giugno 2004, n. 10484, cit.; Cass., 23 agosto 2003, n. 12389, cit.
29 Cfr. Cass., 1 dicembre 2016, n. 24560, cit.; X. XXXXXXX, op. cit., 27; BETTI, Teoria generale dell’interpretazione, II, Milano, 1990, 635; XXXXXXXX, Le norme interpretative speciali, Milano, 1972, 26; ALPA (a cura di), L’interpretazione, I, Orientamenti e tecniche della giurisprudenza, Milano, 1983, 140 ss.; nonché, con più ampio riferimento alla natura generale del criterio dell’interpretazione globale e alla possibilità di imporne l’applicazione anche a fronte della ricostruzione del contenuto precettivo di una norma giuridica, Cass., 18 aprile 1995, n. 4333, in Giust. civ., 1996, I, 1451 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, cit., 52 ss. Contra Cass., 23 febbraio 1988, n. 1940, in Giur. it., 1988, I, 1, c. 2256.
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Le conclusioni che precedono, seppur largamente condivise, possono essere superate allorché le parti, nell’esercizio dell’autonomia privata, inseriscano nel contratto un accordo dispositivo dell’interpretazione.
Nella contrattazione d’impresa è assai frequente
l’interpretazione, la merger clause non osta all’operatività dell’interpretazione sistematica e complessiva34.
Tale lettura, del resto, ben si sposa con l’orientamento prevalente - sopra richiamato - in virtù del quale l’interpretazione è sempre ammessa
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l’uso di «clausole di completezza» – figure mutuate dalle «merger clauses» anglosassoni – per mezzo delle quali le parti si impegnano a considerare vincolante il documento – e solo il documento – ove le citate clausole sono inserite. L’utilizzo delle merger clauses assume decisivo rilievo nell’ambito della formazione progressiva del contratto, poiché consente di superare e destituire di rilevanza negoziale gli accordi preparatori prodromici al documento finale30.
Le clausole in esame, tuttavia, presentano una portata vincolante che trascende il mero profilo discretivo tra il contratto concluso e gli accordi preparatori, investendo, fra l’altro, la metodica ermeneutica31. L’accordo con cui le parti si impegnano a conferire efficacia precettiva ad un dato documento, infatti, vincola l’interprete all’elemento testuale di tale scrittura32, profilando problemi di libertà ermeneutica, specialmente in ordine alla possibilità di ricorrere ai canoni extra testuali ed al comportamento complessivo delle parti33.
Una lettura sistematica delle merger clauses – che tenga conto del disposto dell’art. 1362 c.c. – suggerisce di concludere che tali clausole possono precludere l’esame, ai fini interpretativi, delle scritture precedenti se queste conducano ad un’interpretazione contrastante con il dato testuale della scrittura finale. Diversamente, ove gli elementi testuali non contrastino con il dato letterale del documento finale, ma, al contrario, ne agevolino
30 FOGLIA, Il contratto autoregolato: le merger clauses, Torino, 2015, 22 s. e 153 ss., spec. 177, secondo cui la merger clause costituisce un valido indice dell’animus contrahendi delle parti, consentendo di distinguere il documento finale dagli accordi preparatori. In tale prospettiva è riconducibile alla clausola di completezza anche un’efficacia novativa di tutti gli eventuali accordi assunti in precedenza.
31 L’operatività delle merger clauses si manifesta anche sulla dinamica processuale, potendo dare luogo a delle vere e proprie convenzioni probatorie nei limiti di cui all’art. 2698 c.c.: cfr. XXXXXX, op. cit., 202 ss.
32 Cfr. XXXXXX, op. cit., 32; XXXXXXX, Le clausole di completezza tra forma e oggetto del contratto, in Giustizia xxxxxx.xxx, 26 maggio 2015, 7 ss.
33 Rileva FOGLIA, op. cit., 237, come la merger clause abbia il potere di escludere il contesto negoziale dall’interpretazione e di restringere il materiale interpretativo oggetto di disamina per l’accertamento del significato obbiettivo del contratto.
ed opportuna anche a fronte di un’apparente chiarezza del dato testuale35.
Nella medesima prospettiva funzionale delle clausole di completezza si pone il rapporto tra l’interpretazione ed il formalismo dell’atto. Ove la legge o l’autonomia privata prescrivano che il contratto debba rivestire una forma solenne, quest’ultima condiziona l’attività interpretativa, selezionando a priori i procedimenti e i criteri ermeneutici a disposizione dell’interprete. Si è tuttavia evidenziata, a tal proposito, la necessità di distinguere tra i diversi formalismi astrattamente utilizzabili, specialmente in riferimento alla contrapposizione tra atto pubblico e scrittura privata. Se nel primo, infatti, la presenza del pubblico ufficiale rogante offre maggiori garanzie di rispondenza della volontà delle parti al contenuto dell’atto notarile – arginando, in tal modo, problematiche interpretative e qualificative – a diverse conclusioni si dovrebbe pervenire nel caso della mera scrittura privata, ove, al contrario, si ritiene comunque opportuna un’approfondita indagine ermeneutica che si valga anche di elementi extra testuali36.
4. La qualificazione giuridica: rapporto con l’interpretazione.
L’applicazione delle regole interpretative nella formazione del contratto investe anche il tema della qualificazione giuridica dell’atto di autonomia privata realizzato dalle parti, nella consapevolezza che quest’ultima operazione concorre, unitamente all’interpretazione, all’individuazione dell’intento empirico perseguito dalle parti stesse37.
34 XXXXXX, op. cit., 267; X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxxx di completezza, in Clausole negoziali. Profili teorici e applicativi di clausole tipiche e atipiche, a cura di X. Xxxxxxxxxx, Torino, 2017, 973 ss.
35 FOGLIA, op. cit., 237.
36 XXXXXXXXX XXXX, op. ult. cit., 50 ss.
37 Cfr. IRTI, L’interpretazione del contratto nella dottrina italiana, cit., 613 s., il quale si richiama a X. XXXX, op. cit., 55 ss. [e già condiviso dallo stesso XXXX, Per una teoria analitica del contratto (a proposito di un libro di Xxxxxxx Xxxx), in Riv. dir. civ., 1972, II, 307 ss.; e in ID., Xxxxx e fatti. Saggi di teoria generale del diritto, Milano, 1984, 261 ss.]. TRAVERSA, Contratto di ... e qualificazione, in Contr., 2006, 332 ss. X. XXXXXXXXXXX,
La qualificazione, in particolare, designa il procedimento volto ad individuare il paradigma contrattuale astratto al quale, all’esito di un’operazione di sussunzione normativa, può essere ricondotta la fattispecie. Essa, cioè, appartiene al
La qualificazione del contratto, infatti, presuppone l’interpretazione e, sul piano logico, è successiva a questa, poiché la sussunzione dell’operazione economica nella fattispecie normativa diviene possibile soltanto dopo aver
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momento della «valutazione giuridica», consistente acclarato il significato del negozio giuridico e gli
nella «assegnazione dell’operazione economica al tipo contrattuale»38.
L’interdipendenza di tali operazioni ha indotto parte della giurisprudenza a considerarle quali fasi distinte di un procedimento unitario a struttura bifasica, la prima delle quali, consistente nella individuazione della comune intenzione delle parti e la seconda relativa alla sussunzione della fattispecie concreta nel tipo normativo. Quest’ultima operazione sarebbe, a sua volta, costituita dalla
«descrizione del modello della fattispecie giuridica» e dalla valutazione della «rilevanza giuridica qualificante degli elementi di fatto in concreto accertati»39.
Invero, l’interpretazione e la qualificazione giuridica, seppur strettamente correlate, costituiscono due momenti strutturalmente e funzionalmente distinti dell’iter di ricostruzione del precetto dell’autonomia privata40.
Interpretazione e qualificazione: profili dell’individuazione giuridica, cit., 826 ss., cui presta piena adesione X. XXXXX, Interpretazione dei contratti e relatività delle sue regole, Napoli, 1985, 132 ss. In giurisprudenza si veda Cass., 3 novembre 2004, n. 21064, in Contr., 2005, 564; e, per ulteriori indicazioni, sia consentito il rinvio a TORRESANI, Il rapporto tra stipulazione, interpretazione e qualificazione giuridica nella ricostruzione del programma contrattuale, in Obbl. e contr., 2010, 436 ss.
38 Cfr. ALPA, XXXXX e RESTA, L’interpretazione del contratto. Orientamenti e tecniche della giurisprudenza, 2ª ed., Milano, 2001, 218.
39 Cfr. Cass., 15 febbraio 2007, n. 3468, in Giust. civ., 2008, I, 2587 ss., con nota di XXXXXXX, Assicurazione per la responsabilità civile, professione forense e curatela fallimentare: una singolare e problematica triangolazione; Cass., 7 dicembre 2005, n. 27000, in Rep. Foro it., 2005, Contratto in genere, 478; Cass., 25 gennaio 2001, n. 1054, ivi, 2001, Contratto in genere, n. 406; Cass., 26 giugno 1996, n. 5893, ivi, 1996, Contratto in genere, n. 313; Cass., 24 giugno 1983, n. 4333, in Giur. it., 1984, I, 1, c. 1148.
40 Cfr. CARIOTA-FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1949, 686; BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, cit., 11 ss. e 144 ss.; ID., Teoria generale del negozio giuridico, cit., 245 ss.; XXXXXX, La qualificazione dei contratti nell’interpretazione, Milano-Varese, 1962, 99 ss.; BESSONE, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1969, 349 ss. Contra GRASSETTI, L’interpretazione del negozio giuridico con particolare riguardo ai contratti, cit., 200 ss.; ID., Interpretazione dei negozi giuridici inter
effetti negoziali perseguiti dalle parti41. Per procedere alla qualificazione è, pertanto, necessario che sia terminata e risolta in senso positivo la ricerca della comune intenzione delle parti.
Sul piano strutturale, inoltre, l’interpretazione
«esaurisce il proprio ruolo nella zona del fatto»42, mentre la qualificazione involge il profilo della valutazione giuridica del contratto, costituendo un’attività di puro diritto, sicché l’eventuale errore valutativo del giudice è soggetto al controllo di legalità della Cassazione, che può investire sia la descrizione del tipo normativo, sia la rilevanza degli elementi in fatto accertati in funzione della qualificazione sia, infine, gli effetti giuridici ascritti alla fattispecie43. Al contrario, l’interpretazione
vivos, cit., 904 s.; XXXXXXXX, L’interpretazione dell’atto amministrativo e la teoria giuridica generale dell’interpretazione, Milano, 1939, 57 ss., che riconducono le due operazioni ad un unicum. Nega la sequenzialità logica interpretazione-qualificazione ROPPO, Il contratto, cit., 442 s., riconducendo il rapporto ad una «sequenza aperta, non rettilinea ma circolare». Similmente, XXXXX, in SACCO e DE NOVA, op. cit., 387 s.: «non esiste un ordine inderogabile di precedenza, che ci obblighi a individuare prima il tipo e poi le clausole, o prima le clausole e poi il tipo. E si deve ricordare, in ogni caso, che, finché l’interpretazione è in corso, i risultati parziali ottenuti devono considerarsi provvisori e ipotetici»; X. XXXXXXXXXX, op. cit., 23. Sul tema cfr. altresì PIRAINO XXXX, Qualificazione e interpretazione del contratto, in Monitore tribunali, 1972, 1097; NOVARA, Spunti in tema di qualificazione e interpretazione dei contratti, in Temi, 1977, 425 ss.; GRONDONA, Interpretazione e qualificazione del contratto tra merito e legittimità, in Not., 1996, 512 ss.; XXXXXXXXX XXXX, op. ult. cit., 23 ss.; XXXXXXXXXX, op.
cit., 304 ss.; Cass., 15 luglio 2016, n. 14432, cit.
41 CARRESI, Il contratto, cit., 508; Cass., 20 febbraio 1993, n. 2048, in Riv. giur. lavoro, 1993, 551; Cass., 16 giugno 1997, n. 5387, in Contr., 1998, 337, con nota di
X. XXXXXX, Il rapporto tra interpretazione e qualificazione; Cass., 22 giugno 2005, n. 13399, ivi, 2005, 1123; Cass., 3 novembre 2004, n. 21064, cit.
42 CARRESI, op. ult. cit., 505.
43 CAPODANNO, op. cit., 15; Cass., 26 maggio 2016, n. 10896, cit.; Cass, 29 marzo 2016, n. 6054, in Giur. it., 2016, 1893 ss., con nota di BARAFANI, Quaestio facti in Cassazione, l’interpretazione dei contratti e degli atti unilaterali inter vivos; Cass., 22 agosto 1997, n. 7857, in Foro it., 1998, I, c. 878; Cass., 29 marzo 1995, n. 3705, in Rep. Giur. it., 1995, Obbligazioni e contratti, n. 316;
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costituisce una quaestio facti demandata al giudice di merito e suscettibile di censura in Cassazione solo per violazione delle regulae iuris di interpretazione positivizzate agli articoli 1362 ss. c.c.44.
Il tema della qualificazione richiama la fiorente
ordine alle espressioni qualificative da essi utilizzate.
L’operazione, tuttavia, può rivelarsi più difficile allorché il regolamento contrattuale rechi elementi propri di tipi normativi diversi, così da concorrere a delineare fattispecie astratte incompatibili fra loro e
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giurisprudenza sorta in relazione al nomen iuris ascritto dalle parti al regolamento contrattuale, tema che assume una portata trasversale alle operazioni di qualificazione giuridica e di interpretazione: se da un lato, infatti, esso concerne il senso letterale delle parole utilizzate dalle parti, richiamando, in tal modo, il primo comma dell’art. 1362 c.c., tuttavia, non può negarsi come esso involga una valutazione di puro diritto, ossia la sussunzione della fattispecie
– già acclarata ed interpretata – nel tipo normativo.
Notoriamente i contraenti conferiscono alla manifestazione di volontà una definizione normativa nell’intento di rafforzare la rilevanza giuridica del proprio accordo e di ricondurla ad un dato paradigma normativo. Il linguaggio utilizzato dalle parti – spesso atecnico – può rivelarsi foriero di equivoci, sicché risulta decisivo comprendere se il nomen iuris abbia carattere vincolante per l’interprete.
La giurisprudenza è ormai unanime nel risolvere il quesito in senso negativo.
In virtù di quanto già precisato in ordine alla scissione dell’operazione interpretativa da quella qualificativa, nonché alla natura prettamente giuridica di quest’ultima, emerge come la corretta individuazione del nomen iuris costituisca prerogativa del giudice (di merito e, se del caso, di legittimità).
Ciò vale, in particolare, quando la definizione del contratto operata dalle parti non collimi con il risultato pratico dalle stesse perseguito. All’esito della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il giudicante potrà ricondurre la fattispecie al tipo normativo che più rispecchia l’intento empirico ricercato dai paciscenti, senza vincolo alcuno in
Xxxx., 9 febbraio 1985, n. 1072, in Rep. Foro it., 1985,
Contratto in genere, n. 127.
44 Cass., 20 luglio 0000, x. 00000, cit.; Cass., 11 marzo 2016, n. 4832, cit.; Cass., 4 maggio 2009, n. 10232, in Rep. Foro it., 2009, Contratto in genere, 301; Cass., 22 dicembre 2005, n. 28479, in Obbl. e contr., 2006, 553 s., con sintesi di GENNARI; Cass., 18 marzo 2005, n. 5954, in Contr., 2005, 891; Cass., 17 marzo 2005, n. 5788, in Rep. Foro it., 2005, Contratto in genere, 493; Cass., 9 agosto 2004, n. 15381, in Contr., 2005, 263. Contra GRASSETTI, L’interpretazione del negozio giuridico con particolare riguardo ai contratti, cit., 100 s., per il quale l’interpretazione non costituisce un giudizio di mero fatto ma un procedimento logico-giuridico.
da ostacolare la stessa operazione sussuntiva45.
In tali ipotesi – ferma la riconduzione dell’autoregolamento privato al caso del contratto atipico – diviene essenziale individuare la disciplina normativa applicabile.
La soluzione al predetto problema è individuata, talora, nella teoria dello schema negoziale prevalente, in forza della quale la disciplina applicabile alla fattispecie è quella del contratto tipico avente maggiori elementi di contatto con la fattispecie posta in essere dalle parti46. Così operando, tuttavia, risulterebbe mistificato il principio di atipicità e lesa l’autonomia negoziale dei contraenti, poiché l’art. 1322, secondo comma,
c.c. conferisce alle parti proprio la libertà di concludere contratti che non siano riconducibili alla disciplina di un negozio tipico.
In luogo del criterio della prevalenza dovrebbe pertanto applicarsi il principio della integrazione delle discipline dei contratti tipici coinvolti nell’operazione negoziale concreta.
5. L’applicazione delle norme interpretative nell’accertamento della conclusione del contratto.
È controverso se i canoni di ermeneutica contrattuale possano trovare applicazione anche nel momento anteriore al perfezionamento del contratto e allo scopo di verificare la sussistenza di quest’ultimo. Il diritto vivente offre, infatti, numerosi esempi pratici in cui i giudici, di merito e di legittimità, si avvalgono delle norme interpretative allo scopo di accertare se le parti abbiano concluso un contratto47. Tale modus operandi determina, tuttavia, un abuso del criterio della comune intenzione, troppo spesso utilizzata
45 SACCO, op. ult. cit., 442.
46 Cass., 25 luglio 1984, n. 4436, in Foro it., 1985, I, c. 495 ss.; XXXXX, op. ult. cit., 440.
47 Cass., 4 febbraio 2009, n. 2720, in Obbl. e contr., 2010, 428 ss., con nota di XXXXXXXXX, Il rapporto tra stipulazione, interpretazione e qualificazione giuridica nella ricostruzione del programma contrattuale, cit.; e in Giur. it., 2010, 830 ss., con nota di BOTTONI, Accordo
«incompleto» e conclusione del contratto; Trib. Milano, 18 luglio 2016, in Contr., 2017, 297 ss., con nota di XXXXX, Gli accordi preparatori tra puntuazione di clausole e perfezionamento del contratto.
per accertare, contestualmente, l’avvenuta conclusione del contratto ed il significato che le parti hanno inteso attribuire al medesimo.
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Tale operazione, in altri termini, sovverte la stessa logica sottesa all’interpretazione del
Non si deve peraltro dimenticare che l’attività di interpretazione e quella di accertamento della stipulazione del contratto presentano oggetti ben distinti. Segnatamente, l’interpretazione è orientata ad accertare il significato giuridicamente rilevante
contratto. del contratto, laddove la verifica della sua
L’interpretazione, infatti, essendo orientata a ricercare la volontà «comune» dei contraenti, non può che intervenire dopo la conclusione del contratto48. Se è vero che il contratto è concluso allorché sia raggiunto l’in idem palcitum consensus, è evidente come non possa sussistere una «volontà comune» prima della sua conclusione. La «comune intenzione» dei contraenti rappresenta, infatti, un quid oggettivo49 che trascende la mera volizione delle parti – connotata, invece, da una valenza puramente psicologica e soggettiva50 - ed emerge soltanto allorché il contratto, esaurita la sua fase dinamica e formativa, si stabilizza nella fattispecie.
L’accertamento della comune volontà dei contraenti, interessando il momento in cui la fattispecie risulta già consolidata, postula, pertanto, l’avvenuto perfezionamento del contratto, ponendosi quale posterius rispetto all’iter procedimentale di formazione. I due momenti, sia pure interconnessi e complementari fra loro, conservano ciascuno la propria individualità. Ne risulta, pertanto, inibita l’applicazione indiscriminata delle norme che sovraintendono l’una all’altra fase, con la conseguenza che le norme interpretative non possono essere utilizzate al fine di verificare la conclusione del contratto51.
48 Cfr. XXXX, Principi e problemi di interpretazione contrattuale, cit., 1139; ID., in L’interpretazione del contratto nella dottrina italiana, cit., 612; G.B. FERRI, Considerazioni sul problema della formazione del contratto, in Riv. dir. comm., 1969, I, 203; e in ID., Saggi di diritto civile, 2ª ed., Rimini, 1994, 326. Contra C. M. XXXXXX, op. ult. cit., 410, per il quale l’interpretazione è diretta altresì a verificare la conclusione del contratto.
49 Cfr. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, cit., 280; ID., Teoria generale del negozio giuridico, cit., 335; X. XXXXXXXXXXXX, op. cit., 174; CASELLA, op. cit., 20 ss.; XXXXXXXXXXX, Complessità del procedimento di formazione del contratto ed unità del negozio contrattuale, cit., 1355; X. XXXX, op. cit., 16 ss.; XXXXXXXXX XXXX, op. ult. cit., 14 ss.
50 Quest’ultima posizione era avallata dalla passata dottrina: cfr. X. XXXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 223; X. XXXXXXXXXX, Volontà (diritto privato), in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993, 1043 ss.; ma cfr. anche X. XXXXXXXXXXXX, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, cit., 73 ss.; G.B. XXXXX, La volontà privata e la teoria del negozio giuridico, in Dir. e giur., 1997, 11 ss.
51 Il principio è chiaramente espresso da X. XXXXXXXXX,
Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969, 48
stipulazione ha per oggetto l’accertamento di un fatto sociale.
Pertanto, le norme che disciplinano la verifica della conclusione del contratto – avendo ad oggetto la prova di un fatto sociale, non già il suo contenuto
– sono norme di natura esclusivamente probatoria, che debbono essere coordinate con gli artt. 2721 ss. c.c., i quali introducono un rigore formale sufficiente ad escludere la rilevanza – nella fase del procedimento – della ricerca della «comune intenzione dei contrenti»52.
L’accertamento dell’avvenuta stipulazione negoziale costituisce dunque antecedente logico e cronologico del processo interpretativo, perché mira ad individuare un fatto storico preliminare alle operazioni di interpretazione e qualificazione giuridica.
6. Interpretazione degli atti unilaterali e degli atti procedimentali prenegoziali.
L’applicazione degli artt. 1362 ss. c.c. per verificare l’avvenuto perfezionamento del contratto non può essere sostenuta neppure limitando la loro operatività agli atti prodromici al negozio vero e proprio che, sebbene distinti da questo, si inseriscono nell’iter costitutivo del precetto dell’autonomia privata.
Per verificare, infatti, se le norme interpretative possono operare in relazione agli atti procedimentali prenegoziali e, specialmente, alla proposta e all’accettazione, nonché agli accordi preparatori in senso stretto, occorre anzitutto rilevare che tali atti presentano prima facie una difformità strutturale dal
ss. (l’opera, recensita da OPPO, in Riv. dir. civ., 1973, I,
372 ss.; e, con il titolo Dal contratto al negozio unilaterale, in Scritti giuridici, cit., 452 ss., ha conosciuto due ristampe anastatiche, rispettivamente nel 2000 e nel 2007, quest’ultima con prefazione di G. B. XXXXX, L’art. 1333 c.c. e le idee di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, e recensione anonima in Giust. civ., 2008, II, 239 ss.). Nello stesso senso, X. XXXXX, L’accettazione tardiva, Milano, 2008, 51 ss., evidenzia che l’esame degli interessi procedimentali deve prescindere dalla fattispecie la quale assume che il contratto si sia formato e, pertanto, che l’iter procedimentale della sua formazione si sia concluso positivamente.
52 CARRESI, op. ult. cit., 508 ss.
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contratto che ne deriva, in ragione della natura unilaterale che li contraddistingue53.
La soluzione dell’indagine muove, pertanto, dal più ampio problema dell’applicabilità delle norme contrattuali agli atti unilaterali lato sensu54.
Il dato normativo sembrerebbe risolvere il
l’intenzione del dichiarante al fine di individuare gli effetti giuridici da esso perseguiti57.
Nell’atto non negoziale, cioè, ciò che rileva è la volontà diretta al compimento dell’atto e non la volontà del suo risultato o dell’attuazione del suo contenuto. Gli effetti dell’atto non negoziale sono,
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dubbio in senso positivo, consentendo l’estensione delle norme contrattuali agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale (art. 1324 c.c.).
La soluzione è avallata da buona parte della dottrina55 e dalla giurisprudenza56, che afferma l’applicabilità indiscriminata delle norme contrattuali – ivi comprese quelle relative all’interpretazione – agli atti tra vivi aventi contenuto patrimoniale.
Altra dottrina, però, muovendo dalla distinzione tra atti negoziali ed atti giuridici in senso stretto, ha limitato la conclusione appena prospettata ai soli atti unilaterali a contenuto negoziale, evidenziando che esclusivamente per essi è necessario indagare
53 Proposta ed accettazione, pur assumendo pregnante rilevanza, non sono i soli atti prenegoziali che si inseriscono nella sequenza procedimentale: nel caso, infatti, di accettazione tardiva, assumono tale connotazione anche la stessa accettazione tardiva, qualitativamente difforme dalla accettazione tempestiva, nonché la dichiarazione unilaterale recettizia contenente l’avviso del proponente di ritenere efficace l’accettazione pervenuta tardivamente: cfr. X. XXXXX, op. ult. cit., 61 ss.
54 Sul tema si veda X. XXXXXXXXX L’interpretazione degli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, in L’interpretazione del contratto nella dottrina italiana, cit., p. 513 ss.; X. XXXXXXXXX, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, 2a ed., Napoli, 1997, 1 ss.
55 X. XXXX, Tutela della controparte di fronte all’annullamento e alla ratifica del negozio, in Riv. dir. civ., 1973, I, 552; XXXXXXX, Il negozio giuridico, in Trattato di diritto civile e commerciale, fondato e già diretto da Xxxx, Messineo e Xxxxxxx, continuato da Xxxxxxxxxxx, III, 1, 2ª ed., Milano, 2002, 10 s. Osserva X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., 84, come l’estensione delle norme e contrattuali al negozio giuridico operata in virtù dell’art. 1324 c.c. consente di fondare nel sistema un diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale; v. anche X. XXXXXXXXX, op. cit., 518 ss.
56 Cfr. Cass., 6 maggio 2015, n. 9006, in Dir. e giust., 2015, 26 ss., con nota di XXXXX, L’interpretazione delle dichiarazioni unilaterali deve essere effettuata utilizzando le norme che disciplinano l'interpretazione dei contratti; e in Resp. civ. prev., 2015, 1293; Cass., 4 febbraio 2009, n. 2720, cit. Circa l’applicabilità dell’art. 1362 c.c. all’atto mortis causa – sia pur con alcuni correttivi - si veda la recentissima Cass., 22 dicembre 2016, n. 26791, in Dir. e giustizia, 2017, 4, con nota di XXXXXXX, La volontà testamentaria può essere validamente dichiarata anche con una lettera.
infatti, determinati a priori dal legislatore e si producono indipendentemente dalla volontà dell’agente58. Non sussisterebbe dunque alcuna necessità di applicare le norme interpretative agli atti giuridici in senso stretto, vero essendo che le conseguenze di essi sono predeterminate dal legislatore e non dipendenti dalla volontà della parte59.
Altra parte della dottrina, infine, opera un’ulteriore distinzione nella categoria degli atti non negoziali tra le mere operazioni e gli atti giuridici non negoziali, affermando che per questi ultimi la volontà non può considerarsi del tutto irrilevante, essendo essa il presupposto di validità e di efficacia dell’atto medesimo. Ne deriverebbe l’applicabilità anche alle dichiarazioni non negoziali delle norme interpretative, essendo esse funzionali ad accertare il significato oggettivo della dichiarazione e i suoi effetti60.
Orbene, la tesi della applicazione indiscriminata delle norme interpretative agli atti unilaterali non merita adesione: il legislatore, pur manifestando un favor all’estensione della disciplina, ha individuato un limite nel requisito della «compatibilità» (art. 1324 c.c.), la quale presuppone un elemento di comunione tra il contratto ed il negozio unilaterale.
L’elemento comune tra contratto ed atto unilaterale viene da taluno individuato nel
57 XXXXXXXX, op. cit., 31, che opera un’ulteriore distinzione tra atti negoziali recettizi e non recettizi, affermando – limitatamente ai primi – l’operatività del principio dell’affidamento.
58 C.M. XXXXXX, op. ult. cit., 17 s.; CISIANO, Atto giuridico, in Dig. disc. priv., sez. civ., Agg., I, Torino, 2003, 151, il quale fa l’esempio dell’adempimento, ritenuto il paradigma del mero atto dovuto (sebbene XXXXXX, L’attuazione del rapporto obbligatorio, II, Il comportamento del debitore, in Trattato di diritto civile e commerciale, fondato da Cicu e Messineo, continuato da Xxxxxxx, XIV, 2, Milano, 1984, 20 ss., non ne escluda una veste negoziale) e all’intimazione di pagamento.
59 X. XXXXXXXX, Atto giuridico (diritto privato), in Enc. Giur. Treccani, IV, Roma, 1988, 2, sostiene che per le dichiarazioni di volontà non negoziali non siano necessari i requisiti di capacità e volontà prescritti per i negozi, poiché la volontà del dichiarante attiene all’«an» dell’atto, non già ai suoi effetti.
60 PUGLIATTI, Esecuzione forzata e diritto sostanziale, Milano, 1935, 10; PANUCCIO, Le dichiarazioni non negoziali di volontà, Milano, 1966, 273; XXXXXXXXX XXXX, op. ult. cit., 121 ss. spec. 128 ss.
contenuto patrimoniale dell’atto61, ma è chiaro che, in questo modo, il requisito in esame è svalutato, in quanto assorbito da un puntuale ed ulteriore riferimento alla patrimonialità contenuto nel dettato letterale dell’art. 1324 c.c., sicché l’opinione
A tal stregua, l’applicazione – in via diretta o analogica – delle norme ermeneutiche al negozio unilaterale si risolve nel riconoscimento della portata generale ed universale di alcune di tali norme, applicabili, in astratto, ad ogni atto
maggioritaria ravvisa il presupposto estensivo della unilaterale, negando l’applicabilità, invece, a quelle
disciplina nella manifestazione di volontà sottesa alla produzione degli effetti negoziali62.
Quest’ultima tesi assume particolare rilevanza in merito alle norme interpretative, essendo le stesse protese all’accertamento della volontà delle parti.
Non è infatti difficile evidenziare che alcuni fra i canoni di ermeneutica contrattuale e specialmente i criteri di interpretazione soggettiva si pongano ictu oculi in aperto contrasto con l’atto unilaterale, strutturalmente carente di una comunione di intenti, sicché il generico richiamo alla patrimonialità non può superare l’effettivo riscontro di una incompatibilità strutturale che preclude la possibilità di fondare sul generico richiamo dell’art. 1324 c.c. la dimostrazione dell’applicabilità degli artt. 1362 ss. c.c. a tutti gli atti unilaterali inter vivos.
Attribuendo decisiva importanza al criterio strutturale, invero, riesce altresì agevole distinguere un primo gruppo di norme interpretative che, avendo portata generale e non essendo vincolate all’intenzione della parte, possono trovare
disposizioni che necessitano di una struttura almeno bilaterale dell’atto64.
Il profilo strutturale, tuttavia, non pare costituire un criterio sufficientemente persuasivo per l’estensione delle regole ermeneutiche all’atto unilaterale. Se è pur vero, infatti, che l’atto unilaterale manca, per definizione, di articolazione dialettica, vi sono, tuttavia, atti indirizzati ad un soggetto determinato, per i quali la figura del destinatario degli effetti assume peculiare importanza strutturale.
Negli atti recettizi, pertanto, l’affidamento del destinatario costituisce un limite alla valorizzazione della volontà individuale del dichiarante.
La tutela dell’affidamento del destinatario, tuttavia, non costituisce un criterio pienamente convincente per cogliere il punto di rilevanza ermeneutica dell’atto unilaterale, non essendo esso applicabile a tutti gli atti recettizi: ne sarebbero esclusi, infatti, gli atti i cui effetti sono strettamente determinati dalla legge (è il caso, per esempio della diffida ad adempiere), ovvero in cui l’atto si
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applicazione indipendentemente dal contenuto
negoziale dell’atto (artt. 1363–1365 e 1367 c.c.), così da contrapporle a quelle che, di contro, presuppongono la natura almeno bilaterale dell’atto interpretando (artt. 1362, 1370 e 1371 c.c.) e che, di conseguenza, risultano incompatibili con l’atto unilaterale63.
61 IRTI, Per una lettura dell’art. 1324 c.c., in Riv. dir. civ., 1994, I, 559 ss.
62 In tal senso si esprime X. XXXXXXXXX, La categoria generale del contratto, in Riv. dir. civ., 1991, I, 679 ss.; e in Il contratto. Silloge in onore di Xxxxxxx Xxxx, I, Padova, 1992, 75 ss.; e in Lezioni di diritto civile, Presentazione di X. Xxxxxxxxxxx, Napoli, 1993, 215 ss.; e, con integrazioni e aggiunte, in ID., Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, cit., 84 ss., il quale richiama X. XXXXXXXXXXXX, Contributo alla teoria del negozio giuridico, rist. 2ª ed. (1969), Napoli, 2008, 81 s.; ID., Xxxxxxxxx in generale, cit., 54; XXXXXX, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, Napoli, 1972, 411 ss. Sul tema, torna ora X. XXXXXXX, Il rapporto tra contenuto ed effetti nell’ottica della compatibilità, Milano, 2015, 59 ss. Con specifico riferimento ai criteri di interpretazione del negozio mortis causa, cfr. invece X. XXXXXXXX, op. cit., 181 ss.; XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 329.
63 X. XXXXXXXXX, op. cit., 513 ss., spec. 520 ss.; Cass., 12
maggio 2016, n. 9777, in Guida dir., 2016, 36, 75, xxx xx
afferma: «Deve escludersi, in tema di interpretazione di atti unilaterali non negoziali di natura confessoria, la possibilità di fare applicazione diretta delle norme relative alla interpretazione dei contratti. Anche ammettendo la possibilità di un'applicazione analogica di tali disposizioni, comunque, è certamente inapplicabile l'applicazione del criterio ermeneutico del comportamento successivo del dichiarante o del destinatario dell'atto, ai sensi dell'art. 1362 c.c., alla stessa stregua - del resto - di tutti gli atti unilaterali, anche a carattere negoziale»; Cass., 1 giugno 2002, n. 7973, in Rep. Foro it., 2002, Lavoro (rapporto di), 1212:
«nell'interpretazione degli atti unilaterali, qual è il licenziamento, il canone ermeneutico di cui all'art. 1362, comma 1, c.c., impone di accertare esclusivamente l'intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio. È invece esclusa, provenendo l'atto da un solo soggetto, la possibilità di applicare il canone interpretativo previsto per i contratti dal comma 2 di detto articolo, che fa riferimento alla comune intenzione dei contraenti, imponendo di valutare il comportamento complessivo delle “parti” anche posteriore alla conclusione del contratto». In senso conforme si vedano Cass., 19 novembre 2008, n. 11712, in Notiz. giur. lav., 2009, 286 ss.; Cass., 22 aprile 2002, n. 5835, in Rep. Foro it., 2002, Contratto in genere, n. 394; Cass., 24 dicembre 2002, n. 18328, ivi, n. 380.
64 Conclude per l’applicabilità dei canoni ermeneutici anche agli atti unilaterali e pur nei limiti della compatibilità XXXXXXXXX XXXX, op. ult. cit., 70 ss..
esaurisce interamente nell’esercizio del diritto soggettivo del dichiarante (come nel caso del riscatto ex art. 1500 c.c.) o, ancora, che si producono indipendentemente dalla volontà e cooperazione del soggetto che ne trae vantaggio
(come nell’ipotesi di rinuncia a un dritto reale).
In primis, la proposta e l’accettazione, pur configurandosi, sul piano ontologico, come dichiarazioni unilaterali volitive, rientrano nell’iter della formazione del contratto. Per tale ragione, esse si collocano sul piano procedimentale, logicamente e cronologicamente anteriore alla fattispecie, talché
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Accanto alla struttura è quindi necessario considerare altresì il piano degli effetti: se, infatti, l’efficacia del contratto è di norma limitata alle parti (art. 1372 c.c.), l’atto unilaterale spiega sempre un’efficacia (indiretta), rispetto ai terzi estranei all’atto65.
L’intreccio tra il piano strutturale e quello effettuale evidenzia la distinzione tra i negozi unilaterali con struttura a rilievo bilaterale66, nei quali il destinatario ha il potere di disporre degli effetti, e i negozi con struttura unilaterale perfetta, nei quali, invece, il destinatario si trova in una posizione di soggezione, potendo unicamente subire gli effetti dell’atto.
In ragione di tali premesse, l’applicabilità delle regole ermeneutiche all’atto unilaterale costituisce questione non suscettibile di una soluzione in senso assoluto, poiché il punto di rilevanza ermeneutica deve essere indagato alla luce della struttura, degli effetti, dell’interesse e dei soggetti coinvolti nel singolo atto67.
Il tema dell’interpretazione degli atti unilaterali assume particolare interesse nella genesi contrattuale, la quale si connota per l’incontro e lo scambio di manifestazioni unilaterali di volontà: la proposta e l’accettazione.
Si è detto che gli atti unilaterali a contenuto negoziale soggiacciono al regime delle regole interpretative di cui agli articoli 1362 ss. c.c. – in virtù del richiamo operato dall’art. 1324 c.c.68 – nei limiti della «compatibilità».
In ordine agli atti prenegoziali, tuttavia, la questione si pone in maniera più articolata.
L’applicazione delle regole di ermeneutica contrattuale agli atti procedimentali prodromici al contratto pare essere contrastata da un duplice ordine di ragioni69.
65 X. XXXXXXXXX, op. cit., 527 ss.
66 È il caso dell’art. 1333 c.c. elevato da X. XXXXXXXXX, Dal contratto al negozio unilaterale, cit., a paradigma del negozio unilaterale soggetto a rifiuto.
67 X. XXXXXXXXX, op. cit., 534 ss.
68 La posizione è avallata da XXXXXXXXX XXXX, op. ult. cit., 70 ss., la quale precisa, tuttavia, che agli atti unilaterali prenegoziali sia applicabile l’art. 1363 c.c. ma non il 1362 c.c.
69 Sul punto si veda DUVIA, Il principio di conformità nella conclusione del contratto, Milano, 2012, 120 ss., il quale affronta incidentalmente il tema dell'interpretazione della proposta e dell'accettazione
esse non possono beneficiare delle regole di interpretazione del contratto.
In secondo luogo, gli atti prenegoziali si pongono in una prospettiva differente rispetto agli atti unilaterali negoziali a sé stanti.
Questi ultimi, essendo dotati di un’attitudine autonoma alla produzione di effetti giuridici sostanziali, necessitano di essere interpretati al fine di chiarire l’intento empirico del dichiarante in funzione degli effetti pratici perseguiti.
Gli atti prenegoziali, invece, hanno un’efficacia meramente procedimentale70, inserendosi nell’iter di progressivo raggiungimento della conformità tra proposta ed accettazione71, e la volontà in essi
nella prospettiva della opportunità di avvalersi del criterio interpretativo per verificare la conformità tra i due atti prenegoziali. Rileva l’Autore come un’accettazione non conforme consentirebbe di ritenere comunque concluso il contratto ove la difformità si esaurisca nella aggiunta di clausole che dovrebbero comunque ritenersi inserite nel contratto in virtù del principio integrativo (art 1374 c.c). Una conformità interpretativa, invece, aprirebbe a valutazioni ampiamente discrezionali, come la conformità a buona fede delle clausole o modifiche apportate dall’oblato. La non conformità letterale dell’accettazione può essere strumentalizzata dal proponente per sottrarsi all’adempimento delle proprie obbligazioni: in tal caso, aderendo alla tesi della mirror image rule (sulla quale v. infra), l'oblato riceverebbe tutela ex art. 1337 c.c. Diversamente, sposando un’interpretazione più elastica del principio di conformità, anche in difetto di corrispondenza speculare, potrebbe ritenersi concluso il contratto, talché l'oblato riceverebbe la tutela piena della lesione dell’interesse positivo. Sul tema si veda anche X. XXXXX, op. ult. cit., 229 ss., spec. 233, 281 e 304 s., per il quale la conformità non condiziona soltanto l’efficacia dell’atto, ma la sua stessa qualificazione: l’accettazione deve essere conforme per definizione e la riprova di ciò risiede nell’art. 1326, 5° co., c.c., secondo cui un’accettazione non coerente muta di qualificazione, divenendo (nuova) proposta. L’Autore, inoltre, non condivide l’applicazione della buona fede ex art. 1337
c.c. nell’ambito delle trattative contrattuali poiché tale operazione genera una commistione tra il profilo del procedimento e quello della fattispecie.
70 RICCIUTO, La formazione progressiva del contratto, in
I contratti in generale, I, cit., 183.
71 Sulla distinzione tra la fase procedimentale della formazione del contratto e la successiva fase, che, presupposta l’avvenuta conclusione del contratto consente la disamina della fattispecie, si veda
contenuta è destinata ad essere superata – dopo la formazione del contratto – dalla comune intenzione delle parti.
I l p r e l i m i n a r e d i p r e l i m i n a r e : s p u n t i p e r u n a r i f l e s s i o n e i n p r o s p e t t i v a e r m e n e u t i c a s u g l i a t t i p r e p a r a t o r i d e l c o n t r a t t o ( C h i a r a T o r r e s a n i )
Tale comune intenzione non coincide con la volontà contenuta negli atti prodromici al contratto,
procedimento – intervengono successivamente alla avvenuta conclusione del contratto e non possono dunque essere invocate per accertare quest’ultima.
Nella pratica negoziale, tuttavia, il passaggio dalla fase delle trattative al contratto vero e proprio
costituendo, rispetto ad essi, un quid pluris. può non essere abbastanza limpido da consentire
L’indagine del contenuto e dell’intenzione del proponente ovvero dell’oblato non potrebbe condurre ad accertare il significato obbiettivo del contratto, essendo la volontà dei singoli contraenti alterum rispetto all’intenzione comune.
In una prospettiva diversa, ma pur correlata al tema in indagine, è l’opportunità e la necessità di interpretare gli atti prenegoziali e sindacarne il contenuto al fine di verificare il raggiungimento della conformità tra proposta ed accettazione, questione alla quale ben possono estendersi le considerazioni esposte in ordine alla astratta applicabilità delle regole ermeneutiche contrattuali agli atti con struttura unilaterale72. Viepiù, l’operazione in esame condurrebbe al già evidenziato errore metodologico insito nel risolvere con gli strumenti della fattispecie un problema – l’an della formazione del contratto – che è prima della fattispecie.
Le dichiarazioni unilaterali anteriori alla formazione del contratto possono tuttavia – una volta accertata positivamente la conclusione del contratto – costituire un valido ausilio interpretativo al giudicante, collocandosi nel novero degli elementi ancillari che concorrono all’interpretazione sistematica73.
7. Interpretazione e atti preparatori: minuta e puntuazione di clausole.
Le considerazioni che precedono evidenziano le ragioni che ostano all’applicazione delle regole ermeneutiche all’accertamento della conclusione del contratto: le disposizioni normative richiamate – attenendo al piano della fattispecie e non del
l’approfondita analisi di X. XXXXXXXXX, Dal contratto al negozio unilaterale, cit., 55, testo e nota 65, 63 s. e 101 s.; ID., La formazione del contratto e l’inizio di esecuzione: dal codice civile ai principi del diritto europeo dei contratti, in Eur. dir. priv., 2005, 314 ss.; e in Scritti in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, IV, Diritto civile, Milano, 2005, 4250 ss.; XXXXX, Vincoli preparatori e contratto avente per oggetto l’obbligazione di non interrompere le trattative, in Xxxxxxxx Xxxxxx, I, Interesse e rapporti giuridici, a cura di X. Xxxxxxxxxxx e Xxxxxxxx, Napoli, 2009, 754 ss.
72 X. XXXXX, op. ult. cit., 294 ss.; ID, Interpretazione del contratto e dello statuto societario, cit., 154.
73 In tal senso, XXXXX, op. cit., 45.
un’agevole applicazione del predetto principio.
Sovente la conclusione del contratto è preceduta da una fase dinamica di negoziazione. Quanto più essa è articolata, tanto più le parti avvertono l’esigenza di cristallizzare in forma scritta i punti essenziali dell’accordo in fieri e lo stadio raggiunto dalle trattative correnti, dando vita ad una pluralità di figure giuridiche complessivamente riconducibili al genus degli atti preparatori.
L’applicabilità delle regole ermeneutiche a tali figure è subordinata alla possibilità – affatto pacifica – di ascrivere agli atti preparatori valore negoziale.
Tra essi, peculiare rilevanza assumono la minuta e puntuazione di clausole74, ossia i documenti ove le parti fissano i punti di un accordo non interamente concluso, riservandosi di proseguire le trattative per la determinazione degli elementi integrativi o accessori, ovvero rinviando ad un momento successivo la formale stesura organica del rapporto75.
Minuta e puntuazione, pur nella veste formale del documento scritto recante un contenuto negoziale, si distinguono dal contratto vero e proprio per la precarietà che le contraddistingue, quale si evince dall’uso di espressioni interlocutorie e dallo stile redazionale sintetico76.
In ragione della maggiore o minore pienezza del contenuto la dottrina distingue la «puntuazione di clausole» dalla «puntuazione completa di clausole»: mentre la prima contiene un’intesa soltanto parziale, la seconda reca, invece, un programma negoziale più compiuto e idoneo a generare obbligazioni,
74 Sul tema si veda X. XXXXXXX, op. cit., 877; ANGIULI, Rapporti tra contratto preliminare e minuta o puntuazione: riflessi pratici, in Giur. it., 2000, 2040; ROPPO, Il contratto, cit., 139, che distingue la puntuazione, ossia il documento sintetico in cui le parti fissano i punti già concordati, dalla minuta, che invece rappresenta un testo provvisorio del contratto in formazione, sebbene per la restante dottrina non vi sia una concreta differenza tra le due figure; Cass., 5 aprile 1982, n. 2092, in Rep. Giur. it., 1982, Obbligazioni e contratti, 152; App. Firenze, 14 aprile 2004, in Giur. it., 2005, 731, con nota di TOSCHI VESPASIANI, Le intese propedeutiche al contratto di vendita immobiliare, «i preliminari» e l’incidenza dell’agente immobiliare nella formazione del consenso traslativo.
75 Cass., 24 maggio 1995, n. 5691, in Corr. giur., 1996,
79.
76 RICCIUTO, op. cit., 179.
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consistenti nella necessità di proseguire le trattative contrattuali per definire i soli elementi che non sono ancora stati oggetto di definitiva trattazione77.
Per tale ragione si è osservato come l’attitudine della puntuazione completa a generare un obbligo di
contrarre renda meno definito il confine della
completezza – tra contratto preliminare «aperto», recante un assetto negoziale meno definito, e contratto preliminare «chiuso», costituente, invece, un contratto preliminare vero e proprio genetico dell’obbligazione a contrarre79.
Riprendendo tale bipartizione, nella pronuncia
I l p r e l i m i n a r e d i p r e l i m i n a r e : s p u n t i p e r u n a r i f l e s s i o n e i n p r o s p e t t i v a e r m e n e u t i c a s u g l i a t t i p r e p a r a t o r i d e l c o n t r a t t o ( C h i a r a T o r r e s a n i )
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puntuazione con il contratto preliminare78, specialmente per l’orientamento che distingue – sempre in virtù del criterio della maggiore o minore
77 XXXXXXX, Xxxxx in contrahendo, accordi e intese preliminari (un classico problema rivisitato), in La casa di abitazione tra normativa vigente e prospettive. Quarant’anni di legislazione, dottrina, esperienze notarili e giurisprudenza, II, Aspetti civilistici, Milano, 1986, 96 ss.; XXXXXX, Dichiarazione di intenti, in Dig. disc. priv., sez. civ., V, Torino, 1989, 329 ss.; SPECIALE, Contratti preliminari e intese precontrattuali, Milano, 1990, 278 s., nt. 103; DE MATTEIS, La contrattazione preliminare ad effetti anticipati. Promesse di vendita, preliminari per persona da nominare o in favore di terzo, Padova, 1991, 149-158; XXXXXXX, Intese e procedimento formativo del contratto, in Rass. dir. civ., 1998, 561; GUERINONI, Incompletezza e completamento del contratto, Milano, 2007, 4 s. e 86 s.; RICCA, Carattere vincolativo della minuta nella fase precontrattuale, in Giust. civ., 1961, I, 1671; MAGGIOLO, Formazione progressiva del contratto e vincoli precontrattuali, in XXXXXX e XXXXXXX (a cura di), Diritto civile. Xxxxx, questioni, concetti, I, Bologna, 2014, 686. La puntuazione completa sarebbe sorretta da una presunzione semplice di avvenuto perfezionamento dell’accordo, talché, ove si volesse dimostrare la mancata conclusione del contratto occorrerebbe superare tale presunzione in conformità al principio per cui un documento, sia pur completo, può avere efficacia meramente preparatoria del successivo contratto ove manchi la volontà attuale dell’accordo negoziale: cfr. SELVINI, Formazione progressiva del contratto: il confine tra le trattative e la conclusione, in Contr., 2006,
22 ss. In tema di negozi preparatori e obbligo di proseguire le trattative si veda ADDIS, op. cit., 711 ss.
78 Le considerazioni ora esposte si estendono al tema delle lettere o dichiarazioni di intenti, figure di dubbia collocazione dogmatica, ricondotte talora al paradigma della minuta di contratto talora del contratto preliminare (XXXXXXXXX XXXX, op. ult. cit., 112 ss.), sebbene non manchi chi nega la possibilità di ridurle ad un modello unitario in ragione della varietà di contenuti e funzioni che le contraddistinguono (XXXXXX, op. cit., 329 ss.). Sul tema si veda anche DE XXXXXXX, La contrattazione preliminare e la modularità del vincolo a contrarre, in Liber Amicorum per X. Xxxxxxxx, Milano, 2014, 252 ss., la quale evidenzia l’esistenza di una pluralità di atti preparatori riconducibili lato sensu allo schema dell’obbligo a contrarre; XXXXX, op. ult. cit., 618; LUMINOSO, La compravendita, 7a ed., Torino, 2009, 410; XXXXXXXXX, Dal preliminare ai preliminari: la frammentazione dell’istituto e la disciplina della trascrizione, in Contr. impr., 1999, 98.
da cui trae ispirazione il presente scritto, le Sezioni Unite contrappongono le «mere puntuazioni», connotate da un’intesa solamente iniziale, alle
«puntuazioni vincolanti», caratterizzate, invece, dal raggiungimento di un accordo irrevocabile su alcuni punti dell’affare, ma che non possono ancora qualificarsi come vero e proprio preliminare per l’assenza del consenso su taluni elementi essenziali. Sebbene le «puntuazioni vincolanti» siano confinate in uno stadio meramente precontrattuale, la violazione di esse, posta in essere mediante la ridiscussione degli aspetti che hanno formato oggetto di accordo, genera una «responsabilità contrattuale da inadempimento di un’obbligazione specifica sorta nel corso della formazione del contratto, riconducibile alla terza delle categorie considerate nell’art. 1173 c.c., cioè alle obbligazioni derivanti da ogni fatto o atto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico»80.
La suddivisione del contratto preliminare e della minuta in sottocategorie variamente denominate e connotate da un progressivo implemento di completezza si riduce ex se ad una partizione improduttiva di ricadute applicative.
L’elemento della completezza rileva non tanto in una prospettiva gradualistica, quanto più in senso assoluto. In presenza di un assetto di interessi precario l’atto non potrebbe assurgere allo stato del contratto preliminare81. A comprova di ciò si consideri che, in caso di inadempimento all’obbligo di concludere il contratto definitivo, il contratto preliminare ammette il peculiare rimedio
79 La giurisprudenza è solita identificare il contratto preliminare «aperto» con il contratto «preliminare di preliminare». Tale figura giuridica, sino ad epoca recente ritenuta nulla per difetto di causa, è stata recentemente rivalutata dal Xxxx., sez. un., 6 marzo 2015, n. 4628, cit., che, escludendone la natura meramente preparatoria di un successivo contratto preliminare, ne ha affermato il carattere vincolante qualora la volontà delle parti – da indagarsi in virtù dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c. – si sia espressa in tal senso.
80 Cfr. Cass., sez. un., 6 marzo 2015, n. 4628, cit.
81 La tesi per cui il contratto preliminare deve contenere gli elementi del successivo contratto definitivo è affermata da TAMBURRINO, I vincoli unilaterali nella formazione progressiva del contratto, Milano, 1954, 67 s.; G.B. XXXXX, In tema di formazione progressiva del contratto e negozio formale per relationem, in Riv. dir. comm., 1964, II, 198 s.; ADDIS, op. cit., 715 ss.
sinallagmatico dell’art. 2932 c.c.82, in forza del quale – ricorrendone i presupposti normativi – il giudice potrebbe supplire al mancato consenso della parte inadempiente con una sentenza di natura costitutiva. A tal fine è necessario che l’assetto di
Al rilievo soltanto precontrattuale della minuta deriva, de plano, l’inapplicabilità alla stessa delle regole contrattuali e, in special modo, del canone della comune intenzione dei contraenti, non potendo sussistere una volontà univoca delle parti
interessi portato dal contratto preliminare suscettibile di indagine ove non sia ancora
inadempiuto sia connotato dall’elemento della completezza, poiché l’operato suppletivo del giudice – a tutela dell’autonomia negoziale delle parti – deve investire esclusivamente l’an, non il quid del contratto83.
In tale prospettiva, l’elemento della completezza assurge a criterio discretivo tra il contratto preliminare (o preliminare chiuso), da una parte, e le residue figure preparatorie (preliminare aperto, minuta, puntuazione), le quali non partecipano della natura contrattuale propria del preliminare.
Nell’iter della progressiva formazione del
conseguita la congruenza tra gli atti prenegoziali.
Il raggiungimento della piena conformità tra proposta ed accettazione costituisce, infatti, la conclusione della sequenza procedimentale e consente di risolvere, in senso positivo, il quesito dell’avvenuto perfezionamento del contratto86.
Essa decreta il passaggio dalla fase dinamica del procedimento al successivo stadio della fattispecie, nel quale soltanto, essendo il contratto ormai perfezionato, potranno trovare applicazione i canoni ermeneutici volti all’accertamento della comune intenzione dei contraenti87.
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contratto, la minuta, pertanto, deve essere valutata
nella prospettiva di atto unicamente preparatorio del successivo contratto84, i cui effetti hanno natura procedimentale, essendo essa protesa a garantire la progressiva formazione della conformità tra proposta ed accettazione85.
82 Osserva ADDIS, op. cit., 738 ss., che l’art. 2932 c.c. fu introdotto nel panorama normativo soltanto con la vigente codificazione. Nel vigore del codice di commercio del 1882, l’assenza di una norma analoga consentiva di qualificare come contratto preliminare anche gli accordi preparatori connotati da minor pienezza programmatica.
83 ADDIS, op. cit., 718; XXXXXXXXX XXXX, op. ult. cit., 121 ss., analizzando il profilo degli effetti e, specialmente, dell’interruzione della negoziazione, sostiene che la sola contrapposizione rilevante sussista tra la minuta e il preliminare cd. aperto (ossia non completo), da una parte, ed il preliminare chiuso, dall’altra, vero essendo che soltanto quest’ultimo, in quanto contratto perfezionato, è suscettibile di dar luogo evidenziando la sterilità della contrapposizione della minuta al preliminare aperto, i quali, interessando la sola fase delle trattative, possono originare esclusivamente una responsabilità precontrattuale ex art. 1337. Circa il profilo della completezza dell’accordo in relazione alla esistenza del contratto si veda Xxxx., 2 febbraio 2009, n. 2561, cit.
84 In caso di ingiustificata interruzione delle trattative la minuta di contratto, proprio in ragione della funzione storica e probatoria della negoziazione in fieri, conferisce alla parte non inadempiente il diritto all’azione funzionale a conseguire il risarcimento dell’interesse negativo: cfr. ADDIS, op. cit., 723 s.
85 ADDIS, op. cit., 711 ss. e spec. 755 ss. Secondo A.M. BENEDETTI, Autonomia privata procedimentale. La formazione del contratto fra legge e volontà delle parti, Torino, 2002, 25 ss., gli accordi preparatori ad efficacia procedimentale costituiscono l’esplicazione dell’autonomia privata nell’iter formativo del contratto. In tal senso, FRANCO, Autonomia privata e procedimento
nella formazione della regola contrattuale, Padova, 2012, 52 ss. Sul tema della conformità si veda altresì DUVIA, op. cit., 6 s. e 85 ss., il quale, in conformità a quanto già rilevato da ALLARA, La teoria generale del contratto, Torino, 1955, 285, evidenzia l’importanza dell’art. 1326, 5° co., c.c. nell’iter formativo del contratto e definisce la conformità come «la necessaria relazione di congruenza che deve sussistere tra le relazioni delle parti al fine di ritenere concluso un contratto». Esaminando in chiave comparatistica il principio della conformità, egli sottolinea altresì che tale regola è condivisa – seppur in maniera meno rigorosa - anche dagli ordinamenti di common law, ove trova applicazione la cd. mirror image rule, in virtù della quale la corrispondenza tra proposta ed accettazione deve essere speculare. L’Autore evidenzia come la rigida interpretazione del principio di conformità operata dal legislatore e, conseguentemente, dai giudici nazionali, costituisca un’eccezione rispetto alle tendenze europee e transnazionali; sostiene, tuttavia, che l’orientamento italiano, lungi dall’esprimere il disinteresse del legislatore alla tematica è, invece, frutto di una scelta consapevole, e debba essere apprezzata in chiave funzionale, in quanto protesa a valorizzare la semplificazione e certezza dei rapporti giuridici. Diversamente, A.M. XXXXXXXXX, Accettazione
«condizionata» e principio di conformità, in Contr., 2004, 226, ritiene che l’applicazione tuzioristica del principio di conformità possa essere superata mediante il richiamo del principio di buona fede. Ma – replica ancora DUVIA, op. cit., 129 s. e 214 - con particolare riferimento al tema della formazione progressiva del contratto, il tema della conformità non riveste particolare rilievo, vero essendo che il quesito, in tal caso, non consiste nell’indagine della congruenza delle dichiarazioni, bensì se ed in che misura le dichiarazioni delle parti – congruenti fra loro – possano considerarsi vincolanti – e dunque contratto – ovvero meri atti preparatori.
86 X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., 102 ss., spec. 105.
87 DUVIA, op. cit., 15, il quale aggiunge che il principio di conformità rappresenta il paradigma del modello formativo del contratto, ben potendosi applicare anche
La rilevanza che il principio di conformità assume in tale prospettiva trova piena conferma, sia pur indirettamente, nel disposto dell’art. 1326, ult. co., c.c., ove il legislatore evidenzia come una accettazione non conforme risulti ostativa alla
conclusione dell’iter formativo del negozio, poiché,
conformità possa essere raggiunta progressivamente, attraverso un procedimento di
«completamento dinamico»90 del quale proprio la minuta costituisce un esempio paradigmatico.
La concordanza tra gli atti procedimentali non deve essere intesa, in maniera riduttiva, quale mera
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configurandosi quale nuova proposta, origina una sequenza ulteriore di proposta-controproposta che mantiene in essere la fase delle trattative88.
Affinché il contratto possa dirsi concluso, la conformità deve investire tutte le clausole della proposta, poiché un’accettazione difforme, sia pur parzialmente o limitatamente ad un’unica clausola, potrebbe impedire il perfezionamento dell’intero negozio89. Ciò non esclude, tuttavia, che la
identità delle espressioni contenute, rispettivamente, nella proposta e nell’accettazione, dovendosi intendere, invece, quale uniformità in senso sostanziale e potendo sussistere, quindi, anche nelle ipotesi in cui, essendo il contratto stipulato mediante la redazione di un unico testo negoziale, non sia possibile individuare due distinte dichiarazioni91.
Le considerazioni che precedono, applicate al
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tema oggetto della presente indagine, consentono di
alle ipotesi di contrattazione tra persone lontane, alla contrattazione standard tra imprenditori e all’e- commerce.
88 DUVIA, op. cit., 11 ss., che, dopo aver evidenziato che il principio in esame è già menzionato nelle Institutiones di Gaio, ma è rimasto ignoto tanto al Code Napolèon quanto alla codificazione del 1865, sottolinea le analogie tra l’art. 1326, ult. co., x.x. x xx § 000, x. 0, XXX, nonché l’art. 19, 1° co., Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (CISG). Quest’ultima previsione, in particolare, dispone che la risposta che voglia essere l’accettazione di un’offerta, ma che contenga aggiunte, limitazioni o altre modifiche, è un rifiuto di quest’ultima e costituisce una contro-offerta. A tal stregua, l’attuale codificazione dà per assodato il principio di conformità, limitandosi a sottolineare l’inefficacia di un’accettazione genericamente non conforme, senza precisare quali tipologie di difformità possano incidere negativamente sul perfezionamento del contratto. Secondo X. XXXXX, op. ult. cit., 277 ss. il canone della conformità costituisce un requisito indefettibile dell’accettazione: quest’ultima, infatti, si connota per la propria dipendenza dalla proposta, rispetto alla quale presenta un contenuto adesivo. A tal proposito, secondo l’Autore, la formulazione dell’art. 1326, ult. co.,
x.x. x xxxxxxx xx xxxxxxxx xxxxxxx, xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxxxx di un’accettazione difforme dalla proposta pare affermare l’esistenza di un’accettazione non conforme. In verità, l’accettazione difforme non costituisce una reale accettazione, bensì una proposta nuova, talché è possibile concludere che l’accettazione o è conforme o non è accettazione, poiché il canone della conformità condiziona non soltanto l’efficacia dell’atto, bensì la sua stessa qualificazione.
89 A tal proposito DUVIA, op. cit., passim, spec. 28 ss. e 120 ss. osserva come non possa prestarsi adesione alla tesi che ravviserebbe la conclusione del contratto nel raggiungimento della conformità sui soli elementi essenziali, non essendo possibile stabilire – in sede procedimentale – quali clausole siano rilevanti e quali marginali. Diversamente, non è ostativa al perfezionamento del negozio una difformità che consista nell’aggiunta di clausole negoziali che dovrebbero comunque intendersi inserite nel contratto in virtù
concludere che, all’esito di un’interpretazione teleologicamente orientata dell’art. 1326 c.c. ed, in particolare, del quinto comma, risulta evidente come la conformità tra proposta ed accettazione (e non, invece, i canoni di ermeneutica negoziale) costituisca il criterio di valutazione dell’avvenuto perfezionamento del contratto.
8. La natura preparatoria del preliminare di preliminare.
Quanto appena rilevato non deve indurre a privare in senso assoluto gli atti preparatori anteriori al contratto di qualsivoglia efficacia nell’evoluzione dell’iter interpretativo. Essi, infatti, concorrono all’interpretazione negoziale in forza del criterio storico, in forza del quale è necessario valutare il comportamento complessivo delle parti, sia anteriore che posteriore all’esecuzione del contratto (art. 1362, secondo comma, c.c.). Tali dichiarazioni, pertanto, seppur non costituiscano l’oggetto principale dell’interpretazione, possono tuttavia rappresentarne – dopo la conclusione del contratto – un valido strumento92.
dell’art. 1374 c.c. Xxxxxxx, inoltre, l’Autore come la mancanza di una conformità letterale tra proposta ed accettazione potrebbe essere strumentalizzata dal proponente per sottrarsi all’adempimento delle proprie obbligazioni: in tal caso, tuttavia, aderendo alla tesi delle mirror image rule, l’oblato riceverebbe la tutela ex art. 1337 c.c.
90 X. XXXXX, op. ult. cit., 289 s.
91 Secondo DUVIA, op. cit., 179, la mancanza della duplice dichiarazione non potrebbe escludere tout court un’ipotesi di difformità, ben potendo configurarsi un caso di dissenso occulto.
92 Diverso è il caso in cui nel contratto sia introdotta una clausola di completezza che priva di rilevanza precettiva
Tale conclusione trova oggi ulteriore rafforzamento dal riconoscimento della validità del preliminare di preliminare.
Quest’ultimo era stato teorizzato sin dalla metà del secolo scorso nell’ambito degli accordi
Il tema mostrava una tale rilevanza sul piano pratico che il Supremo Collegio ebbe già occasione di pronunciarsi nel 2009, aderendo all’orientamento meno possibilista al fine di evidenziare che la stipula di un accordo che obbligasse a concludere
preparatori del contratto, ma la sua validità era un successivo contratto, genetico, a sua volta, di un
alquanto discussa.
Si contrapponevano, in dottrina come in giurisprudenza, un orientamento più aperto, propenso a conferire validità all’accordo ove esso esprimesse un interesse concreto delle parti93 ed un secondo orientamento, più rigoroso, secondo il quale il preliminare di preliminare costituiva, invece, un’inutile moltiplicazione delle fasi prodromiche al perfezionamento del contratto94.
obbligo a contrarre, costituirebbe un’«inconcludente superfetazione, non sorretta da alcun effettivo interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico», così da escludere che tale moltiplicazione di atti preparatori potesse rispecchiare il reale interesse delle parti contraenti95. Proprio tale posizione costituisce la premessa logica dell’ordinanza interlocutoria della seconda sezione civile96: i giudici rimettenti, pur
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riconoscendo la bontà del principio affermato nel
gli accordi preparatori anteriori: cfr. retro e FOGLIA, op. cit., 215 ss.
93 CHIANALE, Contratto preliminare, in Dig. disc. priv., sez. civ., IV, Torino, 1989, 285, afferma l’ammissibilità della figura del preliminare di preliminare in quanto espressione dell’autonomia negoziale, la quale deve essere salvaguardata laddove sia volta a realizzare interessi meritevoli di tutela e non contrari a norme imperative. Nel senso della validità del contratto preliminare di preliminare si vedano anche XXXXX, Il contratto, cit., 616; ID., Causa concreta: una storia di successo?, cit., 957; C.M. XXXXXX, op. ult. cit, 261 X. XXXXX, in SACCO X XX XXXX, xx. xxx., XX, 000; M. D’XXXXXXXX, Contratto preliminare e contratto definitivo. Contratto preparatorio e preliminare di preliminare, in Riv. not., 1980, 1546; X. XXXXXXXXX, Prassi della compravendita immobiliare in tre fasi: consensi a mani dell’intermediario, scrittura privata preliminare, atto notarile definitivo, ivi, 1994, 24; e in MARMOCCHI (a cura di), Dalle proposte di acquisto al preliminare formale, Milano, 1995, 123. In giurisprudenza, si veda Trib. Napoli, 28 febbraio 1995, in Dir. e giur., 1995, 463; Trib. Napoli, 11 gennaio 1994, ivi, 1996, 501. Affermavano la natura di preliminare vero e proprio del pre-preliminare: Pret. Bologna, 9 aprile 1996, in Giur. it., 1997, I, 2, 250, con nota di MAGNI, Puntuazione di contratto, preliminare e preliminare di preliminare; Pret. Firenze, 19 dicembre 1989, in Giur. mer., 1990, 468.
94 Cfr. SATTA, L’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, in Foro it., 1950, IV, 73 ss.; XXXXXXXXXX, Contratto preliminare, esecuzione in forma specifica, e forma del mandato, in Giust. civ., 1961, I, 64 ss.; XXXXXX, Il contratto preliminare, Napoli, 1967, 174, secondo cui la sola alternativa può configurarsi tra il contratto preliminare vero e proprio e la mera intesa precontrattuale, ravvisando il discrimen tra le due figure nella sussistenza della volontà delle parti di vincolarsi; X. XXXXXXXXX, op. cit., 30 s.; X. XXXXXXX, Contratto preliminare di preliminare: un contratto inutile?, in Dir. e giur., 1995, 464; X. XXXXXXXXX, Opzione di preliminare o preliminare di preliminare? Una soluzione poco condivisibile della Corte di Cassazione, in Giust. civ., 1993, I, 2818; DE MARTINI, Profili della vendita
2009, si interrogano se tale orientamento – espresso in forma assoluta – debba essere ribadito senza alcun temperamento anche laddove le parti manifestino un interesse concreto a frazionare ulteriormente l’iter di realizzazione dell’affare.
Tale interesse, del resto, è assai frequente nella prassi della vicenda traslativa immobiliare assistita dal mediatore, ove le parti, mediante la sottoscrizione di una proposta irrevocabile di acquisto (paradigma del pre-preliminare) «bloccano l’affare», pur riservandosi la possibilità di verificare
commerciale e del contratto estimatorio, Milano, 1950, 79; PEREGO, I vincoli preliminari e il contratto, Milano, 1974, spec. 125; GAZZONI, Contratto preliminare, in Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxxx, XXXX, XX, Xxxxxx, 0000, 565; Cass., 10 ottobre 2009, n. 19557, in Rep. Foro it., 2009, voce Contratto in genere, n. 384; App. Napoli, 1 ottobre 2003, in Giur. merito , 2004, 63; App. Genova, 21 febbraio 2006, in Obbl. e contr., 2006, 648; Trib. Salerno, 23 luglio 1948, in Dir. e giur., 1949,
101.
95 Cfr. Cass., 2 aprile 2009, n. 8038, in Giur. it., 2009, 2658 ss., con nota di FERORELLI, Compravendita immobiliare, validità ed effetti del c.d. «preliminare di preliminare»; in Contr., 2009, 986 ss., con nota di TOSCHI VESPASIANI, Il «preliminare di preliminare» e la
«proposta di acquisto accettata»; in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 998 ss., con nota di SALVADORI, La validità del c.d. preliminare di preliminare: una questione (non ancora) risolta; e in Not., 2010, 40 ss., con note di CHIANALE, Il preliminare di preliminare: intentio certa sese obligandi?; e di LA PORTA, La (salutare) nullità del contratto inutile.
96 Cass., ord. 12 marzo 2014, n. 5779, in Giur. it., 2014, 2419 ss., con nota di TAMBURINI, Una inesauribile fonte di dubbi: il contratto preliminare di preliminare; e in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 735 ss., con nota di XXXXXXXXX, Il contratto preliminare di preliminare: la parola passa alle sezioni unite. La pronuncia è altresì analizzata da XXXXXXX, Le Sezioni Unite chiamate a pronunciarsi sulla validità del «preliminare di preliminare», in Dir. civ. cont., 2 settembre 2014.
la praticabilità dell’operazione prima di definirlo in termini più articolati97.
Nel tipo di contrattazione di cui si discorre, peraltro, accanto all’intento concreto delle parti, emerge, altresì, un autonomo interesse del
mediatore a far sì che le parti stesse fermino l’affare
(deformalizzato) comunque riconducibile allo stadio degli accordi preparatori.
Le Sezioni Unite, muovendo proprio dal concetto di «causa concreta», riconoscono come l’interesse delle parti alla trilogia della contrattazione non possa, in astratto, essere
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ben prima di procedere alla formalizzazione della sequenza preliminare-definitivo, poiché la conclusione di esso costituisce – per il futuro – la fonte del suo diritto alla provvigione. Essendo proprio il mediatore a predisporre il modulo standard della proposta irrevocabile che le parti sottoscriveranno, risulta alquanto agevole per questi inserire una clausola che gli assicuri il pagamento della provvigione da entrambe le parti, procurandosi così un titolo scritto per la propria pretesa economica da spendere al momento della conclusione dell’affare98.
Reciprocamente, si osservi che, se, da un lato, l’attuale panorama normativo conferisce alle parti la possibilità di tutelarsi mediante la sottoscrizione di un preliminare suscettibile di trascrizione, è altresì vero che il formalismo solenne che contraddistingue il preliminare trascrivibile (art. 2645 bis c.c.) e il definitivo (artt. 1351 e 2643 c.c.), rende evidente la necessità «bloccare l’affare» ben prima di recarsi innanzi al notaio.
Il dato empirico dello svolgimento della contrattazione immobiliare preceduta da mediazione rende, dunque, concreta ed attuale l’esigenza di pianificare un iter negoziale suddiviso in tre fasi distinte, che contempli, accanto alla sequenza (più formale) preliminare-definitivo, un tertium genus
connotato da disvalore e sia, invece, meritevole di tutela, riconoscendo, quindi, la validità del pre- preliminare99.
La ratio decidendi della Suprema Corte, tuttavia, non costituisce un effettivo revirement rispetto al precedente indirizzo, poiché la validità del pre- preliminare non è qui riconosciuta in via universale, ma è circoscritta alle figure di contratti che, lungi dal costituire un’inutile bis in idem, si differenzino dal preliminare vero e proprio per una diversità di contenuti. Restano, invece, travolti da nullità i preliminari che si pongono quali inutile duplicazione del primo accordo100.
A differenza dell’orientamento precedentemente espresso, in altri termini, la Cassazione manifesta un favor per la conservazione dell'operazione negoziale complessiva: se, infatti, secondo la posizione del 2009, dalla nullità del pre-preliminare discendeva, de plano, la nullità dell’intero affare, le Sezioni Unite, facendo applicazione del principio della nullità parziale (art. 1419, primo comma, c.c.), richiamato dall’ordinanza di rimessione101, chiariscono che la nullità del (secondo) preliminare
«duplicato» non inficia la validità della sequenza (pre)preliminare-definitivo, poiché, rimosso l’atto meramente reiterato, l’operazione negoziale riprende le forme tradizionali del binomio
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97 Cfr. X’XXXXX, op. cit., 41; XXXXX, op. cit., 610, i quali rilevano altresì che la sottoscrizione della proposta irrevocabile di acquisto consente alle parti – e, specialmente, al compratore – di svolgere, nelle more della stipula del preliminare, le opportune verifiche sulla solvibilità della controparte, sullo stato della cosa e sulla sua situazione urbanistica.
98 Cfr. X. XXXXXXXXX, I contratti preparatori di trasferimenti immobiliari, in Obbl. e contr., 2007, 585; X. XXXXXXX, op. cit., 464; DE CASAMASSIMI, Contrattazione immobiliare e «preliminare di preliminare», in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, 248; TOSCHI VESPASIANI, op. cit., 991; NAPOLI, Il contratto preliminare del preliminare, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, 00; DE MATTEIS, Accordi preliminari e modularità del vincolo a contrarre, cit., 389 ss.; XXXXX, op. cit., 626; XXXXXXXX, op. cit., 397 ss.; nonché da ultimo Cass., 17 gennaio 2017, n. 923, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, 946 ss., con nota di XXXXXXXX, La provvigione de mediatore in caso di stipulazione del preliminare di preliminare. Una decisione che non convince, secondo cui la sottoscrizione del preliminare di preliminare costituisce effettiva conclusione dell’affare idonea a far sorgere il diritto del mediatore alla provvigione.
99 Secondo XXXXXXXXX FIGLIA e XXXXXXXX, op. cit., 874 ss., la pronuncia, in parte qua, rischia di svilire l’operazione di accertamento della causa concreta da parte dell’interprete, la quale si intenderebbe presunta allorché le parti esplicitassero l’interesse pratico perseguito.
100 LA PORTA, op. cit., 49; BRIZZOLARI, op. cit., 553; MAZZARIOL, op. cit., 739. In tal caso, la nullità per assenza di causa inficia il secondo contratto e non già il primo: se, infatti, si affermasse l’invalidità del primo preliminare, si dovrebbe concludere che l’accordo preparatorio costituirebbe una mera puntuazione di clausole, sicché non vi sarebbe alcun obbligo per le parti di concludere un contratto (preliminare). Peraltro, in tale ipotesi la somma di denaro consegnata al mediatore immobiliare all’atto della sottoscrizione della proposta irrevocabile, non potrebbe configurarsi come caparra confirmatoria (di un accordo non ancora raggiunto), potendo costituire, al più, un deposito fiduciario, suscettibile di restituzione in caso di mancato perfezionamento dell’accordo ovvero – solo dopo la conclusione del preliminare – di imputazione a titolo di caparra o in conto prezzo: cfr. XXXXXXX, op. cit., 1232.
101 XXXX, op. cit., 1029 s.
preliminare-definitivo, conferendo attuabilità e tutela al programma negoziale divisato dalle parti.
Il criterio della diversità dei contenuti, inoltre, consente al Supremo Collegio di disattendere l’orientamento che eleva a preliminare i soli accordi
efficacia tra quest’ultimo e il c.d. preliminare chiuso: se quest’ultimo genera un’obbligazione a contrarre, il primo sarebbe invece genetico di un più generale obbligo ad tractandum.
Tale conclusione induce la Suprema Corte a
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della sequenza procedimentale suscettibili di negare natura contrattuale ed efficacia sostanziale al
esecuzione in forma specifica102.
A tale soluzione approda evidenziando come la tutela prestata dall’art. 2932 c.c. non trovi applicazione universale ai contratti preliminari, vero essendo che – come del resto si evince dal dato normativo – l’esecuzione in forma specifica è consentita solo «qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo»103.
L’argomento, tuttavia, non è pienamente persuasivo, poiché i preliminari non suscettibili di esecuzione in forma specifica conservano, in ogni caso, la natura di contratto preliminare e non sono riducibili alle figure di preliminari di preliminari104.
Del resto, non si deve dimenticare che la tutela sinallagmatica del contratto preliminare non si esaurisce nel rimedio ex art. 2932 c.c., ma si estende, fra l’altro, alla garanzia dell’opponibilità ai terzi, attuata mediante la trascrizione ex art. 2645 bis c.c. Proprio in tale ultima prospettiva si comprende la meritevolezza di un accordo pre- preliminare con il quale le parti si vincolino a concludere un preliminare che assuma la veste formale necessaria per essere trascritto ed essere confortato dalla maggior tutela prevista dall’art. 2645 bis c.c.105.
L’individuazione del pre-preliminare come categoria autonoma sul piano dogmatico induce la Cassazione ad individuare altresì una differenziata
000 XX XXXXXXX, op. ult. cit., 392, evidenzia come lo stesso art. 2932 c.c. manifesti un’apertura – rappresentata dall’inciso «qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo» – all’esistenza di contratti preliminari non suscettibili di esecuzione specifica. Afferma BRIZZOLARI, op. cit., 555 s., che le Sezioni Unite ritengono applicabile l’art. 2932 c.c. al pre-preliminare secondo un criterio di
«diretta proporzionalità», in virtù del quale tanto più sarà completo e definito l’accordo, tanto maggiore sarà la possibilità di ottenere l’esecuzione in forma specifica e l’integrazione suppletiva del contratto (art. 1374 c.c.).
000 XX XXXXXXX, op. ult. cit., 392; X’XXXXX, op. cit., 50.
104 Con specifico riferimento al rimedio ex art. 2932 c.c., rileva FESTI, op. cit., 631 s. che la suddivisione trifasica della contrattazione immobiliare riveste importanza pratica ove la si osservi dal punto di vista dell’operazione economica posta in essere dalle parti, mentre, se valutata dal punto di vista del rimedio dell’esecuzione in forma specifica, essa manca di una vera e propria utilità, poiché tale rimedio consente al contraente leso di realizzare l’effetto finale perseguito vanificando la conclusione della sequenza successiva di contratti.
000 XX XXXXXXX, op. ult. cit., 52.
pre-preliminare, riconducendovi una valenza esclusivamente procedimentale nell’iter formativo del contratto106.
Il preliminare di preliminare si colloca, pertanto, nel novero degli accordi preparatori al pari della minuta e della puntuazione, talché possono estendersi a tale figura le considerazioni già esposte circa l’inapplicabilità delle regole di interpretazione del contratto.
9. Rilievi conclusivi.
Le considerazioni che precedono conducono ad escludere la possibilità di applicare i canoni ermeneutici nell’iter formativo del contratto poiché gli atti – prodromici e preparatori – che si inseriscono nella sequenza formativa del negozio finale presentano e conservano natura meramente procedimentale, distinguendosi, in tal modo, dal contratto finale, il quale, invece, postula che il momento procedimentale sia appunto esaurito. In tale prospettiva, del resto, si pone il recente arresto delle Sezioni Unite, le quali hanno evidenziato come il pre-preliminare – e dunque, lato sensu, gli accordi preparatori – manchino di efficacia sostanziale, producendo, al contrario, effetti meramente procedimentali consistenti nella genesi di un obbligo ad tractandum.
La carenza di efficacia sostantiva, pertanto, determina una difformità sostanziale e funzionale tra gli accordi preparatori ed il contratto finale.
Ciò premesso, si comprende come le regole ermeneutiche, essendo orientate all’accertamento dell’intento empirico e sostantivo perseguito dalle parti, operino esclusivamente sul piano della fattispecie e suppongano l’avvenuta conclusione della sequenza procedimentale, circostanza da accertarsi, nella sede dinamica del procedimento, tramite la verifica del raggiungimento della conformità tra proposta ed accettazione.
Ne segue che i canoni interpretativi non possono essere utilmente estesi agli accordi preparatori come agli atti unilaterali prenegoziali.
106 Dalla natura non contrattuale del pre-preliminare deriva l’inapplicabilità della disciplina positiva del contratto preliminare e, specialmente, dell’art. 2932 c.c.: contra, però, CHIANALE, op. loc. ult. cit.
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Questi ultimi, tuttavia, possono inserirsi, in via mediata, nell’operazione interpretativa allorché la ricerca della comune intenzione debba trascendere il dato testuale per orientarsi alla disamina degli elementi extra testuali e del contegno complessivo
delle parti.
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Tale operazione, però, si pone in via eventuale e residuale, essendo condizionata al volere delle parti che, nell’esercizio del potere di autonomia, potrebbero scientemente escludere, mediante la stipulazione di accordi o clausole interpretative, la possibilità di avvalersi di tali elementi.