UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE E AZIENDALI “MARCO FANNO”
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ECONOMIA INTERNAZIONALE
LM-56 Classe delle lauree magistrali in SCIENZE DELL’ECONOMIA
IL CONTRATTO DI RETE COME RISPOSTA INNOVATIVA AD UNA NECESSITÀ CONTEMPORANEA: IL CASO DELLE BIOMASSE LEGNOSE.
THE NETWORK CONTRACT AS AN INNOVATIVE ANSWER TO A CONTEMPORARY NEED: THE CASE OF XXXXX XXXXXXX.
Relatore:
Xxxx. XXXX XXXXX
Laureando:
XXXXXXXXX XXXXXXXX
Anno Accademico 2019-2020
Il candidato dichiara che il presente lavoro è originale e non è già stato sottoposto, in tutto o in parte, per il conseguimento di un titolo accademico in altre Università italiane o straniere.
Il candidato dichiara altresì che tutti i materiali utilizzati durante la preparazione dell’elaborato sono stati indicati nel testo e nella sezione “Riferimenti bibliografici” e che le eventuali citazioni testuali sono individuabili attraverso l’esplicito richiamo alla pubblicazione originale.
Firma dello studente
INDICE
1. Collaborazione tra Imprese p. 11
2.1 Le aggregazioni di tipo misto, il contratto di rete p.40
2.2 I Partecipanti al contratto di rete p.41
2.3 L’Oggetto del contratto di rete p.42
2.4 Il fondo Patrimoniale p.42
2.5 Governance della rete p.43
2.6 Il Recesso, lo Scioglimento e l’Esclusione p.44
2.7 Rete soggetto e Rete contratto p.45
2.8 I vantaggi competitivi e rischi di fare rete p.47
2.9 Il contratto di rete e le aggregazioni non equity: ATI e Consorzio p.48
3. Dataset e Analisi dati raccolti p.50
3.1 Analisi descrittiva del dataset p.60
3.7 I limiti dell’analisi p.85
3.8 Struttura del modello p.86
3.11 Conclusioni dell’analisi p.93
4. Il contratto di rete nel contesto agricolo-forestale: i casi di studio p.95
4.3 Il Cippato di legno e il Teleriscaldamento | p.100 |
4.4 Teleriscaldamento, contratto di rete e casi studio | p.104 |
4.5 I Casi studio | p.105 |
4.5.1 Caso studio 1 | p.106 |
4.5.2 Caso studio 1 e analisi | p.110 |
4.5.3 Caso studio 2 | p.111 |
4.5.4 Caso studio 2 e analisi | p.114 |
5. Conclusioni p.116
Bibliografia e sitografia p.121
Appendice p.126
Introduzione
“Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme un successo.” XXXXX XXXX
Collaborare non è facile. La massima di Xxxxx Xxxx esprime con chiarezza la complessità legata alla collaborazione, vista come un percorso fatto di tappe intermedie, il cui vero successo non è tanto il risultato finale, molto spesso in balìa di eventi non controllabili, ma riuscire a lavorare insieme. Collaborare, però, non è facile e il fallimento diventa un rischio concreto se non si è tiene adeguatamente conto delle proprie caratteristiche aziendali, del contesto settoriale di appartenenza e delle proprie inclinazioni personali. Il fallimento sarà in questo caso duplice: economico, per prima cosa, perché collaborare costa, ogni attività imprenditoriale avviene sempre utilizzando risorse scarse dei partecipanti, dal denaro alle competenze, fino al tempo stesso, e poi sociale. Intraprendere un percorso lavorativo insieme, infatti, se non studiato e organizzato adeguatamente, porta alla distruzione della fiducia e del rispetto tra i partecipanti, che si formano un’opinione distorta sulla collaborazione, precludendosi possibili opportunità future.
Il 92% delle imprese italiane è rappresentato da piccole e medie imprese (PMI), quelle il cui fatturato annuo è inferiore ai 50 milioni di euro e il numero di addetti è inferiore ai 250. Proprio le loro ridotte dimensioni e l’elevata frammentazione potrebbero portare a rilevanti problemi di competitività nel lungo periodo, e questa potrebbe venire accentuata dalla mancanza di innovazione. La necessità contemporanea del titolo di questo elaborato è il riflesso di una situazione di nanismo imprenditoriale generale. Una endemica situazione di crisi, che perdura da oltre dieci anni, e una cronica mancanza di risorse, non solo finanziarie ma anche di cultura manageriale, che spinge molti “capi” d’azienda a preferire il totale controllo di una piccola azienda piuttosto che una quota di capitale in una grande azienda (Antonello et al., 2014).
Il lavoro di tesi si pone come obiettivo quello di illustrare l’opportunità di una collaborazione tra imprese che assuma la forma di rete. Il contratto di rete, infatti, strumento giuridico la cui disciplina è stata introdotta nel nostro ordinamento con la legge n.33 del 9 aprile 2009, riconducibile ai contratti plurilaterali con comunione di scopo, sta riscuotendo molto successo tra le imprese che decidono di collaborare. La crescita anno su anno del numero di contratti di rete non si è mai fermata. In questo elaborato si sono analizzate le caratteristiche normative di questo schema contrattuale, focalizzando l’attenzione su un aspetto peculiare della rete: la flessibilità. Il contratto di rete, infatti, nasce con l’obiettivo di agevolare la collaborazione di tutte le imprese italiane, a prescindere dal settore di appartenenza, dalla dimensione e dalla
forma giuridica adottata, focalizzando gli sforzi dei retisti nel miglioramento della forza competitiva e della capacità innovativa. Per realizzare lo scopo della rete, gli imprenditori, unica qualifica imposta alla partecipazione, sono stati lasciati liberi di decidere quale struttura utilizzare per gestire la collaborazione, e il concetto di flessibilità si concretizza nella facoltà di dotare la rete di soggettività giuridica, facendo quindi nascere un soggetto nuovo, capace di assumere obblighi e titolare di diritti in proprio. Dotare di soggettività la rete rende il legame tra i retisti molto più forte, in quanto vengono poste delle condizioni necessarie, come la presenza di un fondo patrimoniale comune, che vanno ad appesantire la rete, non a caso una rete con soggettività giuridica viene definita anche “rete pesante”. Per approfondire il tema della soggettività della rete, grazie al contributo della Camera di Commercio di Padova, è stato composto un dataset contenente tutte le società di capitali aderenti ad una rete in Italia a dicembre 2019, il quale è stato poi analizzato tramite regressione logistica per indagare se esistano delle caratteristiche quantitative, come i dati ricavabili dal bilancio, e qualitative, come forma societaria adottata o anche posizione geografica, che influenzano la scelta di dotare di soggettività la rete. La prima differenza che emerge con forza dall’analisi, e che poi spinge a proseguirla, è la differenza tra il numero di rete soggetto rispetto alla rete oggetto: quest’ultima, infatti, supera sempre la prima di cinque volte, anche a prescindere dalla tipologia di società di capitali adottata (SRL, Spa, cooperativa, consorzio).
Lo spunto per impostare l’analisi è stato fornito da uno studio sulle reti commissionato dalla Banca d’Italia e presentato a febbraio 2013 nel numero 152 di “Questioni di Economia e Finanza”. Da questo studio, in cui i ricercatori avevano cercato di capire quali fossero le caratteristiche di un’impresa che decideva di partecipare ad una rete, è partita la scelta tra le variabili quantitative e qualitative da scegliere per impostare un’analisi che andasse a mettere a confronto tra loro tutte le imprese, società di capitali, nella scelta di aderire ad una rete soggetto piuttosto che oggetto.
Il risultato delle analisi è stato utilizzato come modello per indicare quali variabili influenzano le imprese nella scelta. L’idea di impostare un modello, per identificare quali caratteristiche abbiano influenza nella scelta, parte da due interviste, fornite dal Professor Xxxxx Xxxx. Una particolarità della rete, emersa dai dati forniti da InfoCamere, braccio tecnologico della Camera di Commercio, è la sua multisettorialità. Il contratto di rete sembra interessare maggiormente settori quali servizi e commercio, ma anche settori “minori”, o meglio generalmente poco inclini alla collaborazione, come il settore agricolo, hanno trovato nella rete un’opportunità da sfruttare. I due casi studio rappresentano due realtà imprenditoriali agricolo- forestali che hanno avuto la necessità di organizzare un’attività complessa, caratterizzata dalla
compresenza di molteplici figure professionali e mansioni specifiche che difficilmente una sola impresa sarebbe capace di internalizzare. Il trait d'union tra i due casi è rappresentato dalla vendita di energia da cippato di legna, cioè legname sminuzzato. Per valorizzare questo prodotto, il cui costo volume è molto basso, gli imprenditori hanno optato in un caso nella forma contrattuale della rete e nell’altro nella soggettività della rete. Tramite il modello specifico per il settore agricolo forestale è stato possibile analizzare le società di capitali appartenenti a ciascun caso studio, identificando delle corrispondenze. Dal confronto, poi, tra i due casi si sono tratte delle conclusioni ulteriori in merito alla scelta tra le due tipologie, non colte dall’analisi. Il presente lavoro è organizzato in cinque capitoli. Il capitolo 1 è incentrato sulla collaborazione e sulla maniera di approcciare ad essa affinché non rimanga solo un tentativo, ma divenga un successo. Sono presentati i benefici di una collaborazione efficace e le motivazioni che spingono le imprese ad abbandonare il gioco competitivo per abbracciare
quello collaborativo.
Per descrivere i passaggi fondamentali della collaborazione, è stato seguito l’approccio dello Strategic Management, come fatto da Xxxxxxx e Xxxxx, nel libro Aggregazioni e reti di imprese (Xxxxxxx, Xxxxx, 2017).
Attraverso un percorso a cascata, sono affrontati gli aspetti più importanti per la collaborazione:
- l’identificazione dei partner ideali;
- le attività oggetto di collaborazione;
- le modalità di controllo e di governance da adottare;
- la strategia condivisa, che permette alla collaborazione di puntare al lungo termine creando una “visione” comune;
- le risorse condivise, identificando le motivazioni dietro la scelta di collaborare;
- il dinamismo della collaborazione, dove cambiamento e collaborazione vanno di pari passo per garantire il successo, inteso proprio come capacità di lavorare insieme.
L’ultima parte del capitolo descrive le principali modalità aggregative, divise tra modalità equity e non equity, e queste ulteriormente classificate in formali e informali.
Il capitolo 2 è incentrato sul contratto di rete, modalità di collaborazione non equity formale. In questo capitolo si evidenziano soprattutto gli aspetti giuridici del contratto, riportando la normativa di riferimento. Le caratteristiche principali, a cui sono dedicati i paragrafi dal 2.2 al 2.5, riguardano i partecipanti alla rete, l’oggetto del contratto di rete, in cui è presentato il programma comune, il fondo patrimoniale, e la governance della rete.
Il paragrafo 2.7 è dedicato alla differenza tra rete soggetto e rete oggetto, o contrattuale; questione principale di questo elaborato, che farà da filo conduttore dalla fine del capitolo due fino alla conclusione.
Nel capitolo 3 viene presentata l’analisi statistica. Al paragrafo 3.1 vengono illustrate le caratteristiche principali del dataset utilizzato per le analisi, da cui emerge la preponderanza delle s.r.l. come forma societaria adottata e la grande maggioranza di reti contrattuali rispetto alle reti soggetto. Punto molto interessante è la dimensione, o classe di impresa, nella Figura 3-5 e Figura 3-6, in cui diventa evidente la diffusione della rete tra imprese facenti parte delle PMI. Il capitolo prosegue con le analisi descrittive delle variabili di bilancio specifiche per ogni tipologia societaria. Infine, dal paragrafo 3.6 al 3.11 sono presentate le analisi statistiche, e in particolare al paragrafo 3.10, è presentato il Modello 2 per le aziende agricolo-forestali, rivelatosi un mezzo adeguato all’analisi dei due Casi studio.
Il capitolo 4, quindi, presenta il contesto agricolo italiano, focalizzandosi sul concetto di impresa agricola multifunzionale e di come questa, che solitamente è di piccole dimensioni, potrebbe trovare nella collaborazione tramite rete un’opportunità economica molto interessante. Il paragrafo 4.2 pone le basi per capire i casi studio, in quanto descrive la situazione forestale italiana e il collegamento tra le imprese agricole e il patrimonio boschivo, introducendo le biomasse legnose ed il concetto di filiera corta legno-energia. Grazie alle recenti innovazioni tecnologiche, infatti, è possibile aumentare il valore del legno, sia dal punto di vista economico, utilizzandolo per la produzione di energia termica ed elettrica, sia dal punto di vista sociale. In questo caso, una gestione consapevole della risorsa legno, parte per il tutto, cioè il bosco, si inserisce in un contesto di valorizzazione del territorio, che si identifica nella vera e propria riappropriazione di quelle zone, soprattutto montane, che rischiano di venire completamente abbandonate. Il paragrafo 4.3 procede con la descrizione di un impianto di teleriscaldamento, investimento oggetto di entrambi casi studio, e di come questo possa essere gestito tramite una serie di competenze che difficilmente si possono incontrare in un'unica impresa. Dal paragrafo
4.5 fino al termine del capitolo quattro sono descritti i due casi studio, base di questo elaborato. Sono stati raffrontati sia tra loro, che con i risultati del Modello 2, riscontrando delle interessanti similarità. In Appendice sono riportate le domande poste agli intervistati.
Nel capitolo 5, sono riportate le conclusioni di questo lavoro, formulando alcune interpretazioni evidenti solo alla conclusione dell’elaborato. Il contratto di rete è perfettibile e in conclusione sono state riportate alcune criticità che potrebbero emergere al momento della sua applicazione, invitando i soggetti competenti ad attuare delle iniziative in merito. Viene
infine mostrato l’interesse da parte del Governo Conte rispetto alla collaborazione tramite rete riportando quanto emerso dalle schede di lavoro del Piano Xxxxx rilancio “Italia 2020-2022”.
Capitolo 1 Collaborazione tra Imprese
Negli anni 50, Xxxxxx Xxxxxx, matematico canadese, presentò un problema che è divenuto forse il più famoso esempio di Teoria dei giochi: il Dilemma del Prigioniero. In tale quesito, o paradosso per il pubblico non tecnico, due prigionieri, Detenuto 1 e Detenuto 2, sono accusati di aver commesso un reato. Gli investigatori, che li hanno arrestati e messi in due celle separate, dove non possono comunicare tra loro, propongono ad ognuno di confessare, e spiegano inoltre:
- Se Detenuto 1 confessa e Detenuto 2 non confessa; Detenuto 1 evita la pena, Detenuto 2
viene condannato a 7 anni;
- Se entrambi denunciano l’altro, entrambi sono condannati a 6 anni;
- Se nessuno confessa, vengono entrambi condannati ad 1 anno, perché comunque colpevoli di porto abusivo d’armi;
Sarebbe possibile utilizzare la matematica alla base della teoria dei giochi per dimostrare quale sia la scelta più sensata per entrambi i detenuti, cioè quella di non confessare. Questa soluzione, o ottimo paretiano, purtroppo non viene scelta perché ogni detenuto cerca solo di minimizzare la propria condanna in ragione del fatto che non sa cosa sceglierà di fare l’altro detenuto. In teoria dei giochi questo viene definito come Equilibrio di Xxxx, o equilibrio non cooperativo, dove la strategia non confessa è detta dominata dalla strategia confessa.
Il dilemma del prigioniero si applica bene alla situazione reale di concorrenza tra imprese. Quando due o più imprese concorrenti decidono di aumentare la propria quota di mercato agendo sulla leva dei prezzi, queste corrono un grave rischio a non accordarsi. Abbassare i prezzi nella speranza che l’altro non faccia altrettanto e aspettarsi così di aumentare la propria quota di mercato, porta all’inevitabile conseguenza di un generale abbassamento dei prezzi, riduzione dei margini e nessun cambiamento nelle quote di mercato. Le imprese troverebbero molto più conveniente accordarsi, limitare la concorrenza ed alzare i prezzi, questo è per loro l’ottimo paretiano.
Il concetto di ottimo paretiano o, per meglio dire, equilibrio cooperativo, per quanto auspicabile dal punto di vista dell’impresa, porta con sé inevitabili quesiti etici, quando non sentenze. L’idea di accordarsi per mantenere alti i prezzi mette in atto comportamenti considerati collusivi e per tanto condannati dal nostro ordinamento. Strutturare una collaborazione al fine di ottenere dei vantaggi a discapito dei consumatori, in primis, ma anche dei concorrenti, può creare dei problemi con la disciplina di tutela della concorrenza. Il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea specifica chiaramente nell’ articolo 101 (TFUE, 2008) che alcuni accordi tra imprese sono incompatibili con il mercato interno e perciò vietati. Gli
accordi individuati dal TFUE riguardano tutte quelle forme di cooperazione e pratiche concordate tra imprese che possano “impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato”. Le decisioni prese a seguito di un accordo di due o più imprese che falsano la concorrenza riguardano:
- Il coordinamento dei comportamenti di prezzo, fissando prezzi di acquisto o vendita.
- La limitazione o il controllo di produzione, di sviluppo tecnico e di investimenti.
- L’applicazione di condizioni differenti nell’ offerta di servizi equivalenti.
- La ripartizione dei mercati e delle fonti di approvvigionamento.
Le imprese devono quindi prestare molta attenzione quando decidono di collaborare, il rischio di venire sanzionati per comportamenti anticoncorrenziali può limitare l’interesse alla collaborazione.
Sarebbe riduttivo e di parte tacciare la collaborazione tra imprese di essere generatrice solo di rapporti collusivi a danno della società nel suo insieme. Una collaborazione efficiente è capace di ridurre “la duplicazione delle attività di ricerca e sviluppo, di stimolare l’innovazione in settori ed ambiti dove non sarebbe altrimenti possibile, di agevolare la diffusione delle tecnologie e di promuovere la concorrenza nei mercati” (AGCM, 2011).
Bisogna considerare, infatti, che i payoff ottenuti collaborando correttamente possono superare quelli che si otterrebbero decidendo di operare da soli, aumentando ad esempio la propria capacità di investimento, aprendo così nuove opportunità di mercato. Queste opportunità non andrebbero a giovare solamente alle imprese cooperanti, ma anche ai consumatori che vedrebbero maggiori opportunità di soddisfare i propri bisogni, o ancora di vedersene nascere di nuovi.
A tal proposito, in questo elaborato verranno presentati due casi studio in cui alcune imprese appartenenti al settore primario e al settore terziario sono riuscite tramite la collaborazione a rendere complementari le proprie attività, generando un nuovo modello di business basato sulla vendita di energia.
1.1. La Cooperazione
La cooperazione tra imprese è un ambito di studio delle scienze manageriali e racchiude in sé molteplici significati, ognuno con sue terminologie e definizioni. Gli stessi attori di questa cooperazione sono variamente definiti in quanto la scelta dei possibili partner, che deve essere
fatta in maniera consapevole, è alquanto complessa. Si pensi al concetto di coopetition (Xxxxxxxxxxxxx et al., 2011): “collaborare con i propri concorrenti per realizzare una o più fasi di produzione di un bene o servizio. Condividere un tratto di strada si direbbe, unendo risorse e competenze per accrescere la propria dimensione e ridurre il rischio derivante da una lotta per quote di mercato”. Nel lungo periodo, infatti, la competizione può rivelarsi davvero dannosa per i concorrenti, mentre grazie alla cooperazione si può pensare di superare due situazioni tipiche del nostro contesto socio economico: la crisi, che ormai perdura da oltre dieci anni, ed è più che altro una crisi di domanda globale, a cui il nostro tessuto produttivo, formato in grande maggioranza da piccolissime, piccole e medie imprese, non è in grado di far fronte; e la scarsità di risorse economiche e professionali, legate proprio alla tipologia di imprese italiane, che da sole non sono in grado di conservare e mantenere in maniera durevole il successo. In tale contesto viene ad inserirsi la cooperazione tra imprese. Valutando attentamente di caso in caso è possibile unire le forze per coniugare i vantaggi legati alla dimensione con quelli tipici della piccola e media impresa, primo tra tutti la vicinanza al cliente finale.
1.2. La cooperazione secondo lo Strategic Management
Seguendo l’approccio di studio utilizzato nello Strategic Management, Xxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxx descrivono in maniera efficace il significato di cooperazione tra imprese: “produzione duratura di benefici per i partner, a fin che preservino le condizioni di vantaggio competitivo” (Xxxxxxx, Xxxxx, 2017).
Un’aggregazione di successo richiede che vengano rispettate alcune indicazioni generali, onde evitare che le risorse investite in questa impresa vengano sprecate. Per prima cosa quando si decide di intraprendere una collaborazione è necessario che gli obiettivi delle parti siano condivisi ed orientati alla produzione di benefici economici distribuiti. L’atteggiamento egoistico, lo stesso che fece autoinfliggere ai due detenuti una pena di 6 anni ciascuno, è quanto di più deleterio per qualsivoglia forma di collaborazione. Per tornare alla teoria dei giochi, una collaborazione egoistica, che punti solo a benefici personali, è un classico gioco a somma zero, dove la vincita, o perdita, di un partecipante è perfettamente bilanciata dalla perdita, o vincita, dell’altro partecipante.
In tale contesto è efficace il concetto di azzardo morale, dove nell’impossibilità di controllare dolo o negligenza nella controparte, questa persegue i propri interessi a spese dell’altro. Le relazioni tra le parti devono puntare alla durabilità; sebbene il successo di una aggregazione non possa dipendere solo dal lungo termine, è ovvio che, se l’orizzonte temporale prefissato è
il più esteso possibile e si crea un clima di fiducia nel progetto collaborativo, le parti probabilmente cercheranno di impegnarsi maggiormente per mantenere tali relazioni vive e dinamiche. Nel caso studio 2, riportato nel quarto capitolo di questo elaborato, la rete di imprese che si vuole creare basa il suo successo proprio su un esteso orizzonte temporale e sulla fiducia nelle risorse disponibili. Non sarebbe infatti possibile rivalutare completamente le risorse a disposizione delle imprese agricole umbre, senza organizzare un progetto duraturo, capace di coinvolgere imprese, non interessate alla gestione economica di un bene, il bosco, che hanno e tengono più per una questione di attaccamento familiare.
Una cooperazione tra imprese si basa sulle risorse che ciascuna è capace di fornire al gruppo intero: lo scambio di risorse e competenze firm specific, il loro trasferimento dall’una all’altra impresa, lo sviluppo congiunto di nuove risorse, rendono fruttuosa la collaborazione. Tutto ciò è collegato alla complementarità delle risorse: quando due risorse sono complementari, il valore delle risorse combinate risulta più alto della loro somma algebrica (Pini, 2006).
Infine, bisogna tenere a mente che come in ogni impresa economica esistono dei rischi: il rischio economico, derivante dalle aspettative di ciascuna impresa sulle performance della collaborazione, e come su detto, il rischio relazionale dove una o più parti assumono comportamenti non coerenti con gli obiettivi che si sono prefissati.
Seguendo l’impostazione di Xxxxxx (Xxxxxx et al, 2016), per formare un’aggregazione è necessario rispondere a tre domande, che identificano i tre elementi da combinare insieme:
- Identificare le caratteristiche dei potenziali partner;
- Quali attività economiche saranno soggetto della collaborazione;
- Quali modalità di controllo e di governance adottare per gestire la relazione;
Il processo aggregativo non può che partire dalla selezione dei potenziali partner, i quali dovranno essere studiati sotto tre diversi profili: la complementarità delle risorse, l’impegno che il potenziale partner dimostra nei confronti della cooperazione, e infine la compatibilità, che dimostra la fattibilità di una relazione duratura. La complementarità delle risorse è forse la base di una collaborazione efficace, è necessario che il potenziale partner disponga di risorse e competenze di cui le altre imprese sono sprovviste, e la cui convenienza ad internalizzare non sia evidente. Molto spesso la complementarità è presente nello stesso settore industriale, tanto da rendersi evidente l’esigua differenza tra competizione e cooperazione, rendendo quest’ultima un vero e proprio sospiro di sollievo per le imprese, non più costrette a farsi la guerra. È ovvio che la presenza di una competizione diretta renderebbe la collaborazione più complessa da organizzare in maniera efficace, ma avviata una cooperazione di lungo termine,
le imprese possono accrescere le proprie competenze, le proprie risorse, e addirittura arrivare a definire insieme uno standard di settore. Fondamentale resta comunque il senso di appartenenza, l’impegno che i partecipanti vogliono dedicare alla collaborazione: nelle prime fasi l’impegno economico che si è sostenuto, difficilmente verrà ripagato, ma occorre che i partecipanti mantengano alto l’interesse alla cooperazione, e puntino al lungo periodo.
Trovati partner e deciso quali attività mettere in comune, è il momento di decidere come gestire tale cooperazione. I meccanismi sono molteplici e si basano su regole formali o informali. Le regole formali si basano su modelli precostituiti, inquadrati all’interno del nostro ordinamento giuridico, capaci quindi di garantire diritti e disporre obblighi i capo ai partecipanti, così che vengano tutelati ed allineati gli interessi di tutti.
Le regole informali, invece, si basano sulla fiducia reciproca e meccanismi di governance relazionale. In questo elaborato non saranno trattati tali meccanismi. Non sarà comunque possibile evitare di fare riferimenti anche alla governance relazionale, le imprese infatti sono fatte di relazioni tra le persone, e la fiducia diventa molto spesso il collante più efficace per mantenere delle relazioni durature.
A prescindere dal sistema utilizzato per la gestione della relazione, è di fondamentale importanza che vengano tenuti in considerazione due aspetti principali: l’autonomia giuridica ed economica delle imprese partecipanti, e un indirizzo gestionale unitario. L’autonomia giuridica delle imprese partecipanti mantiene coerenza nella gestione della singola impresa. Se la perdesse, senza che questo fosse preventivato, rischierebbe di non essere coerente rispetto al contesto economico che le è proprio. Ma è fondamentale che l’indirizzo gestionale delle attività economiche sia unitario, in quanto è l’unico elemento capace di mantenere coesione tra imprese diverse, sia dal punto di vista degli obiettivi che l’aggregazione persegue, sia dei beni che la stessa si trova a gestire, garantendo che i benefici generati vengano distribuiti tra i partecipanti. Il tema dell’indirizzo gestionale unitario merita un approfondimento ulteriore in relazione alla distribuzione del potere decisionale: dire infatti che la gestione sia unitaria non significa che ci debba essere una singola impresa che, in virtù di caratteristiche distintive, si pone come capo assoluto e decisore ultimo; le alternative in questo frangente sono molteplici. Xxxxx Xxxxxx e Xxxxxxx Xxxxx nel paper “Modes of Network Governance: Structure, Management, and Effectiveness” descrivono come la distribuzione del potere decisionale influenzi la tipologia di governance scelta (Xxxxxx, Xxxxx, 2008). Sulla base del grado di centralizzazione del potere decisionale, della localizzazione di chi esercita il governo della relazione, i due studiosi
identificano tre tipologie di aggregazione:
- Network Administrative Organizations (NAO) dove un soggetto sovraordinato esterno assume il ruolo di intermediario per le imprese in relazione tra loro, e si occupa solo di coordinamento e organizzazione, mentre le attività operative vengono gestite dalla singola impresa.
- Lead Organizational Governed (LOG) dove un soggetto interno all’aggregazione viene deputato al governo della stessa, a fronte di una superiorità competitiva evidente.
- Partecipant Governed Networks (PGN) l’aggregazione viene governata congiuntamente dalle imprese partecipanti, il potere decisionale è decentrato e distribuito orizzontalmente.
Mentre i sistemi di governance tipo P.G.N. sono i più semplici, in quanto adatti alle piccole dimensioni, più complesso è la gestione dei sistemi L.O.G. In tale governance gli scambi economici vengono realizzati in senso orizzontale, se le imprese operano in business differenti ma comunque complementari, oppure in senso verticale, dove le imprese si trovano situate nella medesima filiera produttiva e le loro attività economiche si vanno a combinare in sequenza, portando così il prodotto o servizio al cliente finale. In tale contesto vi è un’impresa sovraordinata che coordina ed indirizza tutte le attività, per via di una superiorità riconosciuta. Le imprese che divengono partner sono scelte in base alle specifiche esigenze dell’impresa leader. La tipologia N.A.O. mostra una struttura centralizzata affidata ad una entità esterna che a volte viene appositamente creata, in quanto capace di risolvere problematiche organizzative, mentre le imprese partner si occupano di gestire la dimensione operativa. I vantaggi di tale struttura sono da ricercare nella legittimazione che il network ottiene dalla presenza di un ente riconosciuto esterno, e nella riduzione delle difficoltà gestionali tipiche delle aggregazioni in cui i meccanismi decisionali sono condivisi.
Lo scopo di una governance efficiente, adatta al contesto imprenditoriale che caratterizza l’aggregazione è da ricercare nell’equilibrio tra ciò che i partecipanti apportano all’aggregazione e i benefici che questi si attendono. I partner si attendono che la governance sia capace, innanzitutto, di salvaguardare gli investimenti che hanno effettuato, siano risorse tangibili, come macchinari, o intangibili, competenze, e inoltre questa sia capace di minimizzare i costi di transazione1. La governance deve essere capace di ridurre rischio e incertezza mediante meccanismi di controllo contrattuali e relazionali. Per raggiungere tale obiettivo, è
1 Xxxxx, tutti quei costi che l’impresa sostiene quando deve negoziare per arrivare ad un accordo. In tale maniera si tiene conto dello “sforzo” per raggiungere l’accordo, e dei costi che insorgono una volta che l’accordo è stato raggiunto. Banalmente il tempo dedicato dagli amministratori per far firmare un determinato contratto, la commissione destinata alla Banca una volta che l’accordo è entrato in essere.
necessario che il coordinamento venga effettuato mediante specificazione dei ruoli di ogni partecipante, identificazione degli obiettivi, e disposizione di meccanismi per il monitoraggio dei risultati. Per una cooperazione efficace è necessario che venga messo in piedi una struttura capace di assicurare equilibrio tra i contributi e i benefici, tenendo presente che più aumenta l’ambito della collaborazione e l’interdipendenza tra le imprese, più difficilmente si mantiene in equilibrio il sistema. Xx è qui che la tenuta della collaborazione viene messa maggiormente alla prova: il rischio di ricevere minori contributi, o che un partner si appropri indebitamente di risorse dei partecipanti, o venga sfruttata la propria forza contrattuale per garantirsi dei vantaggi immeritati. Se gli interessi specifici prevalgono, viene messa in discussione l’intera cooperazione (Xxxxxx et al, 1998). Per tali ragioni la governance deve non solo attivare meccanismi formali di controllo, ma anche informali/relazionali basati sulla creazione di un sostrato culturale organizzativo comune, sulla condivisione di credenze e valori di base (Xxxxxxxx, Xxxxxx, 2006).
1.3. I benefici della cooperazione
I benefici che i partecipanti si aspettano sono relativi alla struttura dei ricavi e dei costi, anche perché l’aggregazione deve risultare più conveniente di andare da soli ovviamente. Le aspettative sui ricavi riguardano:
- Un migliore posizionamento di mercato, generato dal superamento della dimensione critica per poter aggredire nuovi mercati; esempio creare una rete di imprese per poter accedere a bandi pubblici richiedenti soglie minime di dimensione.
- Un aumento della forza competitiva, nel caso in cui si riesca ad innescare una cooperazione con i propri concorrenti.
- Innovazioni relative ai prodotti e/o processi, attuabile tramite la condivisione di risorse con i partner.
- Miglioramenti in termini di efficienza ed efficacia.
- Aumento dei prezzi di vendita, con possibile formazione di cartelli.
Per quanto riguarda i benefici impattanti sulla struttura dei costi:
- Una riduzione dei costi unitari dovuta ad un migliore rendimento dei fattori produttivi.
- Una riorganizzazione interna in termini di processo recuperando efficienza, magari anche riducendo o eliminando le attività meno profittevoli.
- Riduzione dei costi di approvvigionamento di materie o risorse.
1.4. La strategia condivisa
Prima di trattare il tema delle risorse che ogni singola impresa apporta all’aggregazione, deve essere introdotto il concetto di strategia condivisa. La governance deve essere capace di metter in piedi una visione strategica collettiva, dove la dimensione individuale della singola impresa e del collettivo di imprese vengono esaltate. (Xxxxxx et al., 2011). Se il top management è in grado di mantenere un elevato accordo sulle priorità da seguire, quindi è puntato concordemente ad obiettivi di lungo termine, allora viene a crearsi un nesso causale tra le performance della cooperazione e il consenso espresso da coloro che devono indirizzarla. Nella definizione della strategia è importante che la visione, intesa come i valori e gli ideali verso cui tende l’impresa economica, sia condivisa da tutti i soggetti demandati a decidere. L’impresa comune deve essere vista come fondata su unità organizzative interdipendenti, evitando in tal modo qualsivoglia obiettivo che non sia generale ed estendibile a tutto il gruppo. I passaggi salienti per la definizione efficace di una strategia condivisa sono:
- Approcciare alla strategia utilizzando il processo cognitivo del decision making collettivo, individuando la visione collettiva, comunicando le finalità dell’operazione, pianificando le tappe cercando feedback.
- Avere ben chiaro le strutture cognitive nei processi decisionali, in particolare quando deve essere presa una decisione questa deve essere il frutto di una stratificazione nel tempo dei valori e delle conoscenze del soggetto chiamato a decidere. Lo scopo è di identificare chiaramente lo schema interpretativo utilizzato per interpretare i fenomeni.
- Devono essere presenti diversi livelli di analisi, ordinati in maniera progressiva: dall’individuale si passa al gruppo operativo, fino ad arrivare all’intera organizzazione.
- Gli obiettivi strategici devono essere coerenti con l’analisi SWOT dell’intera aggregazione.
- Tenere a mente che una pluralità di decisori, manager e imprenditori, probabilmente non possiede una visione della strategia univoca, è necessario cercare di renderla quanto più simile possibile per riuscire ad elaborare un piano su larga scala. Sarà comunque opportuno accertare spesso il consenso tra i decisori, così da rendere conto del carattere dinamico tipico della collaborazione.
1.5. Le risorse condivise
Le risorse che le imprese convogliano all’interno del gruppo possono venire genericamente definite per due soli aggettivi: quantità e qualità. Abbracciando la Resource-based View, la distanza competitiva tra imprese viene identificata nella eterogeneità delle risorse e nella generale tendenza a rimanere all’interno delle imprese. Avere più risorse rispetto ai concorrenti, specifiche e difficilmente trasferibili, consente di acquisire un vantaggio concorrenziale. Calando il discorso all’interno della cooperazione, possiamo distinguere la ricerca di partner in due filoni: le imprese che cercano i partner in maniera tale da condividere risorse che permettano loro di fare un salto su una scala dimensionale più alta, consentendo a ciascuna di contare su una quantità di risorse simili superiore rispetto alla loro condizione individuale. E le imprese che ricercano risorse la cui convergenza è limitata, dove il vantaggio competitivo viene esplicitato dalle sinergie nuove che si creano tra realtà differenti. Le problematiche organizzative sono più complesse in questo caso, ma la singola impresa, prima di cercare quelle risorse in altre imprese tramite la collaborazione, deve effettuare delle valutazioni in ordine ai costi che sosterrebbe nel caso in cui volesse sviluppare internamente ciò che le manca (Xxxx, Xxxxx, 1998).
Xxxxx Xxxxx dell’Università Bocconi, nella ricerca sul vantaggio competitivo delle imprese interconnesse, identifica la collaborazione come rendita relazionale, in quanto il vantaggio economico derivante da questa scaturisce dalle risorse che le imprese hanno intenzionalmente deciso di mettere in comune; queste risorse possono identificarsi in asset specifici, competenze, risorse complementari, meccanismi di coordinamento e gestione dell’aggregazione (Lavie, 2006).
1.6. Il dinamismo della collaborazione
Per garantire il successo dell’aggregazione, in ultima analisi, occorre considerare che la collaborazione ha intrinsecamente una natura dinamica: non è attuabile la stesura di alcun contratto capace di gestire ogni possibile problema che vada a minare la stabilità dell’aggregazione stessa. Accettare che il dinamismo è un elemento costitutivo della cooperazione, ha permesso di trovare, secondo alcuni studi, una correlazione positiva tra il cambiamento e il tasso di successo dell’aggregazione (Xxxxxxxxx et al.,2015). Il cambiamento, in quanto intrinseco, deve essere guidato identificando gli ambiti in cui esso va ad influire:
- Elementi strutturali, che investono le relazioni stesse tra i partner, mettendo in discussione la presenza di alcuni, o il loro grado all’interno della governance della cooperazione.
- Elementi della governance veri e propri, riferendosi a tutti quegli aspetti che riguardano le finalità e gli obiettivi, o addirittura mettendo in discussione la modalità di governance scelta e i meccanismi di controllo delle performance che ne conseguono.
Una volta individuati gli ambiti, rispondendo alle domande su “chi” e “cosa” cambiare, è necessario domandarsi “perché” cambiare, studiando le spinte interne, insuccessi, performance attese non raggiunte, e studiando le spinte esterne, tecnologia che cambia, nuove regolamentazioni, cambiamento dell’assetto dell’intero settore, si deve ripristinare l’adeguatezza dell’aggregazione rispetto all’ambiente che la circonda.
L’ultima domanda a cui rispondere, e forse la più complessa, è il “come”. Mantenendo l’attenzione sull’oggetto del cambiamento, se ne deve valutare l’ampiezza, se riguardi un solo elemento, separato dagli altri, o uno in grado di influire pesantemente sull’intero assetto aggregativo. Si deve valutare anche la direzione domandandosi se il cambiamento andrà a rinforzare la cooperazione tra partner oppure andrà ad accrescerne la competizione.
1.7. Modalità aggregative
Sebbene siano già stati presentati in parte come benefici per le imprese cooperanti, è bene ricordare quali sono gli obiettivi comuni che un’aggregazione d’imprese cerca di conseguire:
- Accrescere il proprio Know-how attraverso lo scambio di conoscenze tra le imprese partecipanti.
- Rafforzare la competitività della singola azienda, diminuendo i costi di transazione fra le imprese partecipanti.
- Migliorare le attività messe in comune sfruttando le economie di scopo e di scala.
- Presentarsi come entità unica, per cui dimensionalmente maggiore, a bandi e gare che altrimenti risulterebbero inaccessibili.
- Limitare la concorrenza, in primis tra i partecipanti all’aggregazione, che come abbiamo detto passano da competizione a coopetizione, e poi, correndo comunque dei rischi legali, creare cartelli che ostacolino gli esterni.
La prima distinzione sulle tipologie di aggregazione è relativa alla localizzazione giuridico spaziale dei soggetti che collaborano. In tal modo abbiamo collaborazioni intra-aziendali, e collaborazioni inter-aziendali. Con questa definizione distinguiamo le aggregazioni costituite da attività economiche che rispondo giuridicamente ad una sola azienda, ad esempio, gli spin- off di una società che lavorano insieme facendo sempre riferimento alla società madre, dalle aggregazioni che coinvolgono società distinte e autonome.
Con riferimento alla Network Theory (Xxxxxxxxxxx, 1983) che studia le interazioni tra soggetti calati in differenti sistemi relazionali e l’effetto di tali relazioni sul comportamento individuale e collettivo, è interessante introdurre il concetto di legame debole e legame forte. Non è solo importante la tipologia di collaborazione che viene a crearsi, ma anche l’intensità della relazione. Non dobbiamo però dare per scontato che i legami forti siano sempre preferibili, abbiamo visto, infatti, che sono molteplici le forme di governance utilizzate per gestire la cooperazione, e l’una non è meglio dell’altra, sono diverse, sono frutto delle caratteristiche aziendali delle imprese che collaborano e anche per l’intensità dei legami il discorso non è differente.
I legami forti aiutano la formazione di fiducia, ancora di più nel lungo periodo, e permettono di raggiungere più facilmente a soluzioni congiunte (Uzzi, 1996). I legami deboli, più facilmente rilevabili tra le aggregazioni interaziendali, consentono relazioni con altri soggetti che si trovano al di fuori della cooperazione, richiedono meno investimenti sia di tempo che di risorse. I legami forti consentono di aumentare le possibilità di crescita ed apprendimento, richiedendo però investimenti molto specifici, che rischiano di ingessare la singola impresa, legandola a doppio filo con l’aggregazione. I legami deboli, invece, permettono un maggior numero di contatti con altri sistemi sociali. Risultando in tal modo più dinamici ed innovativi.
All’interno di ogni aggregazione troviamo comunque sia legami deboli che legami forti. Se l’aggregato, poi, si pone degli obiettivi di lungo termine, l’intensità dei legami diviene ancora più mutevole, riflettendosi su alcune variabili alla base della cooperazione:
- L’impegno dei partner, inteso sia come risorse messe a disposizione che come orizzonte temporale;
- La trasparenza informativa;
- La propensione a adattarsi reciprocamente con l’obiettivo di migliorare il coordinamento;
- La fiducia reciproca che è alla base di qualunque relazione e ne solidifica le radici.
1.8. Tipologie di aggregazione
Alla base di ogni aggregazione vi è un accordo. L’accordo, chiamato in diritto accordo delle parti, non è altro che l’espressione del consenso di coloro che vogliono stringere un rapporto economico. Viene cioè manifestata la loro volontà in merito alla decisione di concludere insieme un affare. In diritto privato, l’accordo delle parti è, ex art 1325 del Codice civile, uno dei requisiti del contratto, a pena di nullità. In questo contesto però la protezione che l’apparato legislativo concede ai contraenti, non è sempre garantita. Nella disciplina dei contratti infatti, la manifestazione dell’accordo, che può essere espresso anche in maniera tacita, dando così seguito a quanto stabilito tra le parti, è solo elemento del processo contrattuale, che prevede una “proposta” ed una accettazione. La proposta è effettivamente tale se e solo se contiene tutti gli aspetti rilevanti dell’operazione economica.
Nella prassi aggregativa invece, questa precisione, richiesta dal nostro ordinamento per garantire validità e protezione dei contraenti, non è sempre garantita, ma bisogna specificare che non sarebbe neppure sempre voluta. Le tipologie aggregative infatti sono molteplici, ognuna con specifiche caratteristiche basate sul livello di interdipendenza che le parti vogliono raggiungere.
La distinzione principale tra le varie tipologie di aggregazioni è basata sull’influenza di queste nel capitale sociale delle imprese coinvolte (Fidanza, 2017). Distinguiamo quindi tra:
- Aggregazioni Equity, fondate su un legame di tipo patrimoniale molto vincolante, dove solitamente un soggetto economico unitario stringe rapporti uno-a-molti. Questo tipo di accordi è considerato molto stabile, infatti, di norma si considerano come stipulati a tempo indeterminato. In queste aggregazioni si perde parte dell’autonomia economica, scambiando quote del capitale. La consistenza dell’acquisizione di equity determina un ulteriore divisione delle aggregazioni, che vengono considerate parziali o totali: le prime in quanto parte di un processo che potrebbe svilupparsi in futuro, ad esempio, acquisizioni del controllo a step successivi; le seconde sono messe in atto per ottenere subito un controllo totale. Le tipologie di aggregazioni equity sono:
o Conferimenti d’azienda
o Gruppi
o Keiretsu
o Konzern
o Operazioni di Fusione o scissione
o Trust
- Aggregazioni Non-Equity, dove il legame patrimoniale o non esiste, oppure è molto attenuato. I soggetti economici che vi fanno parte possono essere molto differenti tra loro, in questo caso il rapporto che viene a crearsi è molti-a-molti: organismi paritetici si riuniscono per sfruttare economie di scala e sinergie. Altrimenti il rapporto può essere uno-a-molti, dove una grande impresa riesce ad esercitare una forte influenza su imprese più piccole, che divengono sue subfornitrici. La stabilità dei rapporti non è elevata e molto spesso è più la fiducia a rendere stabile l’aggregazione, che il rischio di sanzioni per inadempienza. Vengono garantite l’autonomia e la flessibilità delle imprese che vi partecipano, rendendo possibile il recesso dall’accordo velocemente. Le tipologie più diffuse di accordi non-equity sono a loro volta suddivise in due gruppi, la cui differenza sta nel grado di formalizzazione dell’accordo. In tale maniera sono disponibili aggregazioni non-equity:
o A carattere informale, senza contratto, basati sulla produzione:
▪ Reti di subfornitura
▪ Costellazioni di imprese
▪ Distretti industriali
o A carattere informale, senza contratto, basati su rapporti finanziari.
o A carattere informale, senza contratto, su base personale:
▪ Gentlemen’s Agreement.
▪ Communities of Interests
o A carattere formale, alla cui base vi è un vero e proprio contratto, che sancisce ex-ante vincoli, responsabilità e ambito di applicazione dell’accordo in capo alle controparti, godendo così della tutela del nostro ordinamento. La stipula di un contratto permette una maggiore stabilità del rapporto collaborativo. Questi contratti sono:
▪ Associazione Temporanea di Imprese, Joint Venture
▪ Associazioni in partecipazione
▪ Consorzi
▪ Contratti di Rete2
2 I contratti di rete verranno trattai approfonditamente all’interno del secondo capitolo di questo elaborato.
Non sarebbe possibile in questa sede trattare tutte le modalità di aggregazione siano esse patrimoniali e no, formali e informali. Si è operata una scelta basta sul tema di questo elaborato: le biomasse legnose. Il fulcro centrale è il contratto di rete, in quanto istituto giuridico nuovo e scelto dalle imprese che saranno presentate nei casi studio. La presenza all’interno di questo capitolo di altre forme collaborative si spiega con l’identificazione delle possibili scelte che le imprese dei casi studio hanno vagliato o che comunque avrebbero potuto essere delle valide alternative al contratto di rete.
1.8.1. Aggregazioni equity
Le aggregazioni equity sono chiamate anche di tipo patrimoniale in quanto vanno ad incidere sulla struttura del capitale delle imprese che vi partecipano. La distinzione tra equity e non equity fa comunque riferimento a quelle realtà imprenditoriali caratterizzate dalla presenza di soci che conferiscono capitale, detto appunto equity. L’impresa, infatti, può essere svolta sia in maniera individuale, costituita da una sola persona, l’imprenditore, che prende le decisioni e apporta capitali, i quali vanno a formare l’azienda, sia in maniera collettiva. In tal caso l’impresa è formata da più persone dette soci, che comunque apportano risorse per lo svolgimento dell’attività economica, formando appunto l’azienda.
Mettere in atto aggregazioni di tipo equity per un’impresa di tipo individuale significa che inevitabilmente l’imprenditore andrà a perdere la propria qualifica di individuale, ottenendo in cambio una partecipazione al capitale condiviso. Se l’imprenditore individuale accetta di aggregarsi a livello di equity sarà obbligato ad entrare in una società esistente o crearne una ex- novo. Solitamente le forme societarie prescelte rientrano nella fattispecie delle società di capitali, in quanto beneficiano di autonomia patrimoniale e una più precisa ripartizione di compiti e responsabilità.
In questa veloce disamina delle tipologie di aggregazione questa premessa era necessaria, in quanto nella scelta della modalità di presentazione delle aggregazioni basate sul capitale le imprese coinvolte saranno considerate tutte collettive. Ma poiché il fulcro centrale di questo elaborato saranno i due casi studio presentati più avanti, quando verrà introdotto il contratto di rete si farà riferimento anche all’impresa individuale. I contratti di rete presentati nei casi studio sono caratterizzati da realtà imprenditoriali diverse al loro interno, imprese individuali e collettive si sono unite, o vogliono unirsi, per sfruttare le sinergie e i benefici derivanti dall’unione delle proprie specificità.
1.8.2. Conferimento d’azienda
Con conferimento d’azienda si intende un’operazione di gestione straordinaria volta a riorganizzare radicalmente l’attività produttiva aziendale. La realizzazione di tale operazione si concretizza in un rapporto di scambio, il soggetto economico conferente cede l’azienda al conferitario “scambiandola” con una partecipazione al capitale della conferitaria. L’azienda è identificata dall’articolo 2555 del Codice civile come il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’attività d’impresa. Il concetto di complesso di beni è il più esteso possibili comprendendo beni tangibili ed intangibili, ma anche i rapporti giuridici contrattuali, crediti e debiti. Fondamentale poi è il concetto di organizzazione cioè che i beni sopracitati siano tra loro collegati in maniera funzionale allo svolgimento dell’attività d’impresa.
L’identificazione dei confini dell’azienda è molto importante, infatti quando viene conferita, l’azienda deve essere chiaramente circoscrivibile ad un settore specifico, ad una fase dell’attività di lavorazione, ad una funzione organizzata. L’azienda, infatti, organizza coerentemente dei mezzi per svolgere un’attività specifica, e anche dopo il conferimento questa organizzazione deve essere riconoscibile. L’oggetto del conferimento non è necessariamente l’azienda nel complesso, ma anche solo un ramo della stessa, purché sia presente una autonomia funzionale del settore. È necessario comunque valutare caso per caso, altrimenti si potrebbe correre il rischio di scambiare per conferimento d’azienda un conferimento di beni. L’azienda conferita, quindi, la consistenza dei beni che la compongono, deve essere tale per cui l’attività economica non sia pregiudicata.
I soggetti partecipanti a questa operazione di scambio sono due:
- Il conferente, colui che apporta l’azienda ricevendo in cambio partecipazioni. Può essere una persona fisica imprenditore, ex articolo 2082 Codice civile3. Può essere anche persona fisica non imprenditore, chiunque quindi abbia acquisito la titolarità dell’azienda. Può essere una società, qualunque tipologia. Enti commerciali e no.
- Il conferitario, il soggetto economico che aumenta il proprio capitale acquisendo l’azienda. Questo soggetto può essere preesistente, oppure di nuova costituzione.
3 Colui che esercita una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. L’attività economica è un comportamento volto alla creazione di nuova ricchezza conseguenza dell’organizzazione dei fattori produttivi.
Le motivazioni alla base del conferimento sono molteplici. Generalmente questo scambio viene considerato un’ottima opportunità per aggregarsi, riorganizzare le proprie imprese e crescere. Questo tipo di operazione straordinaria, effettuata nel contesto economico sociale odierno, si rende spesso fiscalmente più appetibile rispetto ad altre forme aggregative. Se il mercato richiede attori economici di una certa dimensione per reggere la concorrenza, il conferimento d’azienda risulta una valida maniera per concentrarsi. Ma non solo, all’interno delle stesse grandi imprese tale operazione permette il riassetto organizzativo e produttivo, o in generale nella possibilità di liquidare settori aziendali considerati ormai strutturalmente in perdita.
1.8.3. I Gruppi
Nel tentativo di diversificare e separare il rischio di impresa in singole unità operative, le grandi imprese nazionali ed internazionali scelgono diffusamente il sistema del gruppo. In tal modo si riescono ad unire i vantaggi derivanti dall’unità economica della grande impresa con quelli della divisione in tante piccole imprese, autonomamente gestite ma guidate con una direzione unitaria.
Il contesto del gruppo presenta però un problema sistematico: la definizione degli obiettivi comuni. Tanto maggiore è la dimensione, tanto più è richiesta una rigorosa definizione di obiettivi, ruoli, competenze e responsabilità in capo a ciascuna società del gruppo. Una realtà fondata su molteplici “teste pensanti”, richiede una costante dialettica sulle strategie globali, che inevitabilmente portano al conflitto tra l’interesse del gruppo e l’interesse delle singole imprese che lo formano. Alla base quindi vi è la corretta definizione di diritti e obblighi specifici, rendendo molto più veloce e sicura l’attuazione dei programmi strategici.
Il nostro ordinamento non offre una definizione precisa del gruppo di società. Il Codice civile si riferisce al gruppo, o meglio, alla direzione e coordinamento di società, al Capo IX Titolo V articoli 2497 – 2497-septies. Non viene dunque definito propriamente il gruppo in sé, ma la direzione e coordinamento che ne rappresentano il fulcro centrale.
Possiamo definire il gruppo come una aggregazione di imprese societarie che al loro interno vengono guidate e coordinate da una società, la capogruppo, che impone un indirizzo gestionale unitario per realizzare un programma comune, non attuabile dalle singole imprese. Il gruppo si sostanzia nell’unione di unicità della strategia economico-finanziaria e pluralità di soggetti giuridici, le singole aziende giuridicamente indipendenti. Laddove sussistano i requisiti
presentati negli articoli 2497 – 2497sexies c.c. la direzione e coordinamento è presunta salvo prova contraria, per cui devono essere rispettati gli obblighi di legge relativi a tale fattispecie. La direzione e coordinamento fa riferimento ad una pluralità di atti che gli amministratori della capogruppo introducono per indirizzare le attività di gestione finanziaria, commerciale e industriale delle società subordinate. Le modalità attraverso cui si sostanziano queste attività sono deliberazioni o accordi contrattuali tra le società, o istituzione di regole di comportamento, o codificazione di appositi patti parasociali volti a piegare il comportamento delle subordinate. Il nostro ordinamento specifica ulteriormente la disciplina del gruppo richiedendo che sia presente una specifica responsabilità della capogruppo nei confronti di azionisti esterni e creditori delle controllate, e istituendo un sistema di pubblicità capace di dimostrare tale subordinazione. Le controllate infatti devono iscrivere di essere sottoposte a direzione e coordinamento nel registro delle imprese, esporre in Nota Integrativa il bilancio della controllante per macro-voci, e indicare, nella relazione sulla gestione, i rapporti avuti con la
controllante e i loro effetti sui risultati.
Il ruolo della capogruppo, chiamata anche holding, è di gestione strategica dei settori nevralgici delle società coinvolte nel gruppo. La holding delinea i programmi finanziari e produttivi di tutto il gruppo, raccogliendo informazioni sul mercato per valutare rischi e opportunità di nuove operazioni. Emana direttive e fornisce istruzioni, valutando di volta in volta l’adeguatezza di tutto il sistema amministrativo, contabile e organizzativo. In generale la holding si occupa di tutte le operazioni e vicende societarie di maggior rilevanza economica. L’ingerenza della capogruppo nelle vicende gestionali autonome delle società aderenti è un tema molto delicato che si concretizza nella corretta individuazione dell’equilibrio tra interesse del gruppo e interesse delle controllate. A questo proposito il nostro ordinamento ha posto una precisa ed incisiva responsabilità della capogruppo nei confronti di tutti i portatori di interessi.
1.8.4. Keiretsu e Konzern
La disciplina dei gruppi ha come antesignani le fattispecie giapponesi e tedesche. I giapponesi identificano il gruppo come una serie di imprese che stringono tra loro relazioni basate sullo scambio di partecipazioni e su aree di business collegate. A rendere differente questo gruppo rispetto alla nostra nozione giuridica è la presenza di una banca che funge da finanziatore dell’intero gruppo, solo dopo il 1977 fu introdotto un limite del 5% alle partecipazioni delle banche all’interno dei gruppi industriali. Il keiretsu, infatti, è un
conglomerato di imprese che sfruttano l’integrazione orizzontale o verticale di imprese industriali e commerciali, fu introdotto nel dopoguerra per sostituire i vecchi zaibatsu, o trust, strumenti per la realizzazione die piani economici e produttivi della politica imperialista giapponese. Il fine che cercano di raggiungere i keiretsu giapponesi è la stabilità nel lungo termine. L’idea stessa di manifattura giapponese si basa su prospettive di lungo termine, avere una banca al proprio interno come finanziatore è sembrato e sembra tutt’ora ai giapponesi la maniera più sicura per ripararsi da fluttuazioni del mercato e da tentativi di scalata ostile.
I keiretsu orizzontali, conosciuti anche come gruppi finanziari, vengono creati attorno ad una banca centrale scambiandosi azioni reciprocamente. I keiretsu verticali invece sono presenti soprattutto in manifattura, collegando fornitori produttori e distributori in un unico network, esempio classico è l’azienda Toyota.
La presenza di scambi azionari tra le partecipanti al keiretsu diviene modalità ed indice per il calcolo della forza dei legami tra le imprese partecipanti. Il tasso di azioni detenute dalle imprese dentro al keiretsu rispetto a quelle detenute da soggetti esterni, e la percentuale di finanziamenti ottenuti dalla banca interna rispetto al totale dei prestiti del gruppo, rendono il keiretsu più o meno capace di indirizzare il management verso obiettivi di crescita a lungo termine, evitando che si concentrino troppo su risultati immediati.
In Germania invece troviamo un’altra forma tipica di aggregazione tra imprese, il Konzern o concentrazione. La caratteristica principale è il collegamento tra imprese legalmente indipendenti tramite la condivisione di un management unificato. L’analogia con la disciplina del gruppo è molto forte, ma le realtà che vanno ad unificarsi possono essere anche solo unità produttive, senza quindi una propria personalità giuridica. L’ampiezza del collegamento però è ciò che differenzia il konzern dal gruppo: infatti il collegamento tra queste realtà produttive, imprese e no, può essere di tipo patrimoniale, quindi con scambio di partecipazioni, oppure anche di tipo contrattuale. Fulcro centrale rimane la condivisione del business, aggregando solo realtà funzionali alla realizzazione degli obiettivi aziendali.
In base alla modalità attraverso cui si realizza il konzern, sono presenti due tipologie:
- Konzern contrattuale, in cui l’impresa controllante stipula un contratto con la controllata per assicurarsi i pieni poteri sul management di quest’ultima.
- Konzern di fatto, viene a crearsi una posizione di dominazione di una impresa rispetto l’altra, è la situazione in cui un’impresa ha un’influenza dominante su un’altra impresa, perché ad esempio detiene un numero di partecipazioni tali da non averne la maggioranza assoluta ma, per via delle dinamiche interne all’assemblea, sufficienti per guidare le decisioni della partecipata, rendendola una controllata di fatto.
1.8.5. Operazioni di Fusione o Scissione
Fusione e scissione sono due operazioni consentite dal nostro ordinamento alle forme societarie. Anche se non sono propriamente delle modalità per effettuare un’aggregazione tra imprese, il risultato della loro utilizzazione, la creazione cioè di legami tra imprese, le rende modalità aggregative.
La fusione consente di costituire una sola società partendo da una pluralità. È una operazione di concentrazione e il nostro Codice civile la disciplina negli articoli 2501-2504 quinques. Le modalità attraverso cui si attua sono due:
- Fusione per incorporazione, vengono assorbite all’interno di una società una o più società.
- Fusione per unione, dove le società che si fondono insieme formano un nuovo soggetto o NewCo.
Il tipo di società, se di capitali o di persona, va a qualificare solo se la fusione sarà omogenea o eterogenea.
Gli scopi della fusione sono molti e sono vari, e per questo motivo la fusione può rientrare in una modalità di aggregazione tra imprese. A livello produttivo si potrebbe sceglie di fondersi per sfruttare economie dimensionali, aumentando la propria capacità produttiva o integrando fasi di lavorazione. Con questo anche il lato tecnologico ne gioverebbe, permettendo l’acquisizione di marchi o brevetti e soprattutto know-how. La competitività potrebbe essere un altro punto su cui riflettere per decidere di fondersi, unire le forze per aumentare la propria presenza nel mercato, garantendo al cliente finale una più ampio assortimento e profonda gamma di prodotti. Ma anche il lato amministrativo potrebbe migliorare le proprie performance riducendo costi.
La scissione invece trova il suo palinsesto normativo negli articoli 2506-2506 quater del libro quinto del Codice civile. La scissione implica che ci sia una società che trasferisce in tutto o in parte il suo patrimonio, una o più società beneficiarie del trasferimento del patrimonio, e i soci della società scissa che ricevono azioni o quote emesse dalle beneficiarie a fronte del trasferimento di patrimonio. In tale aspetto si differenzia dalla cessione di azienda, infatti, i soci ricevono azioni non denaro. Le motivazioni per effettuare una scissione sono varie: possono avere carattere organizzativo, spostando in tal modo la responsabilità delle decisioni in capo agli amministratori delle beneficiarie; cercare una maggiore specializzazione liberandosi di parte del proprio business per occuparsi di lavorazioni specifiche; tentativi di risanamento di attività in crisi, con dismissione delle attività in perdita; facilitare le operazioni di vendita di
rami d’azienda. Le motivazioni sono dunque molteplici, ma di base condividono la caratteristica di mettere in comune società, imprese differenti.
1.8.6. Trust
Il trust è un istituto di origine anglosassone, che trae la propria legittimazione dal common law. In Italia non era mai stato preso in considerazione se non dopo il 1992, quando venne ratificata la convenzione dell’Aja del 1985 che riconosceva l’istituto e la legge applicabile ad esso. La flessibilità del trust lo ha reso valido sostituto per molteplici forme contrattuali e i risultati economici raggiungibili sono molto evidenti.
Il trust ricorre quando un soggetto pone dei beni sotto il controllo di un altro soggetto chiamato trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico. Alla base di questo istituto risiede la fiducia che viene riposta nei trustee ai quali viene affidato il bene, nel caso delle aggregazioni aziendali questo bene è l’azienda da amministrare. Nel caso specifico dei trust aziendali, vengono ceduti ad un organo di gestione centrale ed unico tanti titoli da assicurargli il controllo sulla gestione delle singole aziende. A fronte di tale scambio, vengono rilasciati in capo ai proprietari delle aziende certificati di trust che conferiscono loro il diritto di partecipare agli utili generati dalla gestione attuata dai trustee. Le aziende formalmente mantengono la loro autonomia giuridica, ma rinunciando alla gestione, ritenendo che i nuovi gestori possano generare maggiori vantaggi economici dalla gestione unitaria. Solitamente la similarità o la complementarità sono le caratteristiche delle aziende che decidono di partecipare ad un trust aziendale. Le motivazioni sono di carattere economico, riduzione di costi e aumento dei profitti. Non si deve considerare il trust come un cartello, l’integrazione all’interno del Board of trustee del controllo lo differenzia dal cartello per controllo di prezzi e mercato. Nel cartello un gruppo di imprese giuridicamente indipendenti si accorda in maniera temporanea per adottare misure che ostacolano la concorrenza.
In Italia questo istituto genera parecchie perplessità di ordine normativo. Sebbene sia fuori dubbio di che il trust stipulato all’estero venga riconosciuto in Italia, non c’è una vera e propria disciplina in merito, tanto da generare alcune idiosincrasie normative per cui un trust costituito da stranieri in territorio italiano su beni italiani è consentito, mentre se a costituirlo fossero italiani la questione potrebbe essere portata in tribunale. Non è ancora presente una legge di applicazione per la convenzione dell’Aja.
1.8.7. Aggregazioni Non Equity
In questo elaborato è presente un confronto tra il contratto di rete, specificatamente rete oggetto e rete soggetto, e forme di collaborazione che non impattano sulla sfera proprietaria delle imprese. La flessibilità del contratto di rete permette il confronto con le aggregazioni non equity, potendo infatti definire contratti che rassomigliano a consorzi con attività esterna, ad associazioni temporanee di imprese, fino a cooperative.
1.8.8. Informali
La classificazione di non equity raggruppa al suo interno tutte quelle forme di collaborazione che non vanno ad impattare nelle vicende proprietarie delle società. In questo elaborato verrà dato più spazio a questo tipo di aggregazioni in particolare al contratto di rete. Infatti, entrambi i casi studio presentati nel capitolo 4 puntano ad una collaborazione basata sul contratto di rete, una forma di aggregazione recente, legge n. 33 del 9 aprile 20094, che permette un’ampia flessibilità organizzativa alle parti e che per tale ragione ha spinto le imprese oggetto di studio a sceglierlo.
Le modalità di aggregazione si dividono in informali e formali in base alla tipologia di accordo che le parti decidono di attuare. Nelle aggregazioni informali si sviluppa una collaborazione di fatto, che non viene regolata da contratti specifici per la fattispecie di aggregazione, ma piuttosto contratti basati su rapporti di lavoro e compravendite. In questa situazione la relazione è estremamente precaria, ma bisogna considerare che, se la collaborazione proseguisse per lunghi periodi, potrebbe, o forse anche dovrà, formalizzarsi. Le tipologie di aggregazioni informali vengono distinte in tre categorie, in base alla tipologia di rapporto tra le imprese:
- Collegamenti di carattere tecnico e produttivo.
- Collegamenti di carattere personale.
Nei collegamenti tecnici e produttivi troviamo i rapporti di subfornitura di fatto. La legge 192 del 1998 specifica che per aversi una subfornitura è necessario che alla base vi sia un contratto
4 La disciplina del contratto di rete ha subito più modifiche dalla sua prima introduzione. L’ultima modifica, che rimane ad oggi giugno 2020 risale al D.L. 18 ottobre 2012, n.179 “Decreto sviluppo bis” convertito in dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221.
scritto, la cui mancanza renderebbe nullo lo stesso e quindi inesistente la subfornitura. In realtà è possibile inserire la subfornitura nelle aggregazioni di tipo informale in quanto nel comma 2 della legge 192, viene specificato che i comportamenti concludenti del subfornitore rendono completo il contratto. L’unica formalità richiesta è la proposta del committente che deve essere scritta. Il committente ha tutto l’interesse che vi sia quantomeno una proposta scritta, infatti, lo scopo della subfornitura è l’affidamento ad imprese minori di parti del processo produttivo di un prodotto finale, mettendo in piedi un meccanismo di coordinamento a monte. Questo processo deve essere ben organizzato, perlomeno da parte del committente, che solitamente è un’impresa di maggiori dimensioni rispetto alle subfornitrici. In questo contesto le imprese a valle del processo produttivo vengono tutelate dall’abuso di dipendenza economica. Le imprese subfornitrici, infatti, potrebbero trovarsi in una situazione di dipendenza dalla subfornitura tale, perché per esempio il committente acquista la maggioranza della produzione, da vedersi applicare delle condizioni contrattuali sbilanciate nei confronti del committente. L’abuso si concretizza nel rifiuto di vendere o di comprare, di vedersi imporre condizioni contrattuali gravose in maniera ingiustificata, o addirittura nella conclusione arbitraria delle relazioni commerciali. Qualunque patto stipulato in tal senso è nullo e il subfornitore viene tutelato con la disciplina del risarcimento del danno.
Simili alle reti di subfornitura ci sono le costellazioni di imprese. A differenza delle imprese subfornitrici, le imprese presenti in una costellazione di imprese sono simili a livello dimensionale, di solito di ridotte dimensioni, e stringono rapporti basati sulla complementarità delle attività che svolgono. Il ciclo di produzione diviene completo grazie alla collaborazione di tutte le imprese, che sebbene non abbiano collegamenti di carattere societario, riescono a coordinarsi tramite un’impresa guida. È importante che il settore operativo sia lo stesso.
L’ultima modalità aggregativa tecnico-produttiva informale riguarda i distretti industriali. Questi sono forse il fenomeno aggregativo più famoso dell’economia italiana. I distretti industriali si sono sviluppati dal secondo dopo guerra in poi in alcune zone specifiche, ricordiamo il distretto dell’occhialeria Bellunese, o della meccanica nell’Alto Vicentino, grazie alla concentrazione di imprese ad alta specializzazione e di ridotte dimensioni. I legami all’interno del distretto sono di collaborazione molto stretta, alla cui base ci sono competenze condivise. Il primo a studiarle fu l’economista inglese Xxxxxx Xxxxxxxx nel suo scritto “Principles Of Economics” del 1890. Marshall conia l’espressione di distretto industriale durante lo studio del settore tessile del Lancashire e Sheffield: “[il distretto industriale] è un’entità socioeconomica costituita da un insieme di imprese, facenti generalmente parte di
uno stesso settore produttivo, localizzato in un’area circoscritta, tra le quali vi è collaborazione ma anche concorrenza.”
Il successo del distretto viene ricondotto a due fattori principali: il territorio, a cui il distretto si lega a livello sociale e culturale, favorendo gli scambi di know-how, i così detti effetti spillover, e creando quella identità di zona vocata ad una specifica produzione; la natura collaborativa del distretto e delle strutture organizzative che lo compongono, che hanno fondato il successo tramite rapporti di fornitura continuativi. Le caratteristiche del distretto, quindi, favoriscono quello scambio di conoscenze fondamentale per il progresso tecnologico e l’innovazione, e la specializzazione rende molto più facile l’organizzazione dei rapporti di subfornitura e di distribuzione del lavoro.
1.8.9. Collegamenti di carattere personale
Nei collegamenti di carattere personale il legame tra due o più aziende non si basa su rapporti di tipo produttivo o finanziario, ma si basa sul rapporto di conoscenza e stima reciproca che si instaura tra le figure di comando delle aziende stesse. Questa tipologia di collegamenti è molto interessante in quanto da questi è possibile sviluppare ulteriori legami che possono andare ad impattare nella sfera produttiva o finanziaria delle aziende. Amicizie di lunga data, rapporti familiari possono intercorrere tra imprese differenti, generando in tal modo delle linee preferenziali alla collaborazione. Negli Stati Uniti i collegamenti a carattere personale più diffusi sono chiamati “comunità di interessi”: all’interno di queste “comunità” troviamo aziende differenti che condividono azioni e membri del consiglio di amministrazione comuni.
La seconda modalità di aggregazione informale è il gentlemen’s agreement. Si tratta di accordi personali, non scritti e basati interamente sulla fiducia che gli uni hanno verso gli altri. Solitamente vengono stipulati tra aziende operanti nello stesso settore, e lo scopo è la fissazione di prezzi di vendita, la gestione della distribuzione dei prodotti. Come si può notare, questi accordi hanno molto spesso finalità di controllo della concorrenza e rischiano di venire sanzionati anche se non sono stati messi per iscritto.
1.8.10. Formali
Le aggregazioni di tipo formale ma non impattanti sulla struttura proprietaria basano la propria efficacia su un contratto. Questi contratti possono generare legami più o meno stringenti, di volta in volta le parti decideranno su cosa voler accordarsi, dandosi così dei limiti. Nulla vieta che gli aspetti da organizzare riguardino l’intera gestione di specifiche aree aziendali, oppure riguardino singole operazioni, ad esempio, attraverso i patrimoni destinati ad uno specifico affare. La caratteristica fondamentale rispetto alle aggregazioni informali resta comunque il contratto, che deve essere rispettato in ogni sua parte e che identifica chiaramente l’estensione della collaborazione, con diritti e doveri delle parti.
1.8.11. Associazioni Temporanee di Impresa – Joint venture
Alcune operazioni economiche particolarmente articolate necessitano di una struttura molto complessa per poter essere portate a termine da un’unica impresa. Si pensi all’impresa che deve partecipare ad una gara d’appalto per la fornitura di un particolare servizio o bene. Sebbene il settore dell’appalto sia di sua competenza, ipotizziamo sfalcio dell’erba delle golene, potrebbe non essere dimensionalmente capace di gestire in tempi utili tale mole di lavoro. Il nostro ordinamento permette quindi una figura contrattuale atipica chiamata joint-venture, o associazione temporanea di imprese (ATI). Questo strumento giuridico consente alle imprese di presentarsi ai terzi come un soggetto unitario, senza dover sostenere i costi di crearne uno realmente. Si potrebbe infatti creare una nuova società, ma l’impegno sarebbe enormemente più gravoso, sia in termini economici che organizzativi. La disciplina dell’ATI si trova nelle leggi speciali racchiuse nel codice degli appalti5, che descrive questo istituto come un contratto atipico con interesse meritevole di tutela. La durata di questo contratto coincide con i tempi dell’esecuzione dell’opera o della prestazione dei servizi, e si dichiara concluso quando le obbligazioni sorte al momento dell’accettazione dell’appalto sono terminate.
La disciplina che regola l’ATI è la stessa che regola il mandato collettivo. I soggetti giuridici quindi che intervengono sono: le imprese associate, la capogruppo, scelta tra le stesse, e il committente. I rapporti tra committente ed ATI avvengono tramite la capogruppo, in forza del mandato collettivo con rappresentanza che ha rilevanza solo esterna; infatti, all’interno dell’ATI è l’autonomia negoziale che regola i rapporti tra le imprese associate. La responsabilità
5 D.lgd. 12 aprile 2006 n.163
delle imprese associate per il lavoro svolto è congiunta, salvo che le opere siano scorporabili, in tal modo infatti è possibile risalire all’impresa associata che doveva occuparsi di quella precisa parte dell’opera, e il committente potrà agire contro di essa. In questo contesto si divide l’ATI in due tipologie: orizzontale e verticale. Nel primo abbiamo una responsabilità solidale di tutte le imprese facenti parte dell’aggregazione, in quanto l’opera per cui si è vinto la gara d’appalto necessita solo di una maggiore dimensione rispetto alla singola impresa, esempio dello sfalcio d’erba. Nel secondo caso invece, riunendosi insieme le imprese riescono ad ottenere l’appalto di un’opera complessa e verticalmente dividono le mansioni da svolgere, riuscendo così a monitorare le performance della singola impresa.
1.8.12. Associazione in partecipazione
Il contratto di associazione in partecipazione lega un imprenditore chiamato associante e uno o più lavoratori, gli associati, che prestano il proprio lavoro o conferiscono beni all’associante. In cambio gli associati non ricevono uno stipendio, ma il diritto alla partecipazione agli utili dell’impresa. Con il decreto legislativo n.81 del 2015, non è più possibile per l’associato fornire una vera e propria prestazione lavorativa, a meno che l’associato non sia una impresa per cui saranno i dipendenti di quest’ultima a fornirla.
L’imprenditore-associante opera nel mercato come entità unica e senza bisogno del parere degli associati. A questi è permesso solo di ottenere un rendiconto delle attività svolte per poter poi effettuare i dovuti controlli. La libertà contrattuale comunque rende possibile stabilire dei veri e propri poteri di controllo in capo agli associati. Il rapporto con i terzi invece è riservato in via esclusiva all’imprenditore associante, in quanto non viene mai a crearsi un nuovo centro di imputazione di diritti e doveri.
La partecipazione agli utili è un diritto dell’associato se ovviamente l’impresa è in attivo, e devono essere effettivamente utili: sotto questo contratto potrebbe infatti nascondersi un rapporto di lavoro subordinato. Con la riforma Fornero del 2012, vengono descritte alcune ipotesi in cui si presume un rapporto di lavoro subordinato nascosto sotto il velo di associazione in partecipazione: la mancanza del rendiconto dell’associante, o l’attività svolta dall’associato che non ha connotati di lavoro autonomo. In questi casi l’apporto di lavoro viene considerato come lavoro subordinato vero e proprio, e come tale viene trattato, quindi, retribuzione e contribuzione adeguate.
Nel caso invece che dalla gestione si verificassero delle perdite, l’associato risponde delle perdite in misura pari all’apporto dato all’associante, salvo che nel contratto si sia stabilito diversamente.
1.8.13. Consorzio
Il consorzio fa parte della categoria di contratti plurilaterali con comunione di scopo. Il nostro ordinamento disciplina il contratto di consorzio agli articoli 2602 e seguenti del Codice civile. Utilizzando questo contratto due o più imprenditori istituiscono una organizzazione comune per la disciplina o lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese. Il consorzio non è una società, ciò che lo differenzia è il fine perseguito, non l’utile, ma lo scopo consortile, che deve essere comune e condiviso dai tutti i partecipanti.
Il contratto deve essere redatto a forma scritta a pena di nullità, e devono essere indicati espressamente l’oggetto, i diritti e gli obblighi dei consorziati, la disciplina del recesso e dell’esclusione. La durata del consorzio è stabilita in dieci anni se le parti non lo prevedono, altrimenti non c’è un vero limite di tempo.
Il Codice stabilisce che è necessaria la presenza di un fondo consortile, art. 2614 C.c., formato dai contributi dei consorziati e dai beni acquistati con questi contributi. Vige una separazione patrimoniale del fondo rispetto ai patrimoni personali dei consorziati, che per tutta la durata del consorzio non possono chiederne la divisione, e neppure i creditori particolari dei consorziati.
Per quanto riguarda la gestione, devono essere espressamente previste le attribuzioni e i poteri degli organi incaricati di gestire e rappresentare il consorzio. Queste vengono regolate dalle norme sul mandato.
Esistono due tipologie di consorzio consentite dal nostro ordinamento: il consorzio anticoncorrenziale e il consorzio di coordinamento. I primi vengono conclusi da più imprenditori per governare la concorrenza tra imprese. I secondi invece sono conclusi con lo scopo di svolgere in comune fasi delle attività di ciascun partecipante. Il consorzio come strumento di cooperazione diviene una modalità di riduzione dei costi.
In base alla tipologia del soggetto che promuove la nascita del consorzio avremo consorzi volontari, i cui promotori sono tipicamente imprenditori, esempio classico sono i consorzi di tutela di prodotto agroalimentare, come il consorzio della Mela della Valtellina.
Qualora il promotore fosse l’autorità pubblica, invece, avremo un consorzio obbligatorio, ad esempio, i consorzi per la raccolta di olii esausti. E infine se il promotore è il legislatore avremo
un consorzio coattivo, esempio classico sono i consorzi a tutela del territorio, come i consorzi di bonifica.
La classificazione più importante per i consorzi riguarda la possibilità o meno di svolgere attività con terzi, i soggetti con non fanno parte del consorzio. Sono possibili i consorzi con attività interna, che seguono la disciplina comune identificata negli articoli 2611-2612 c.c. e gli effetti si manifestano solo per i consorziati.
I consorzi invece con attività esterna sono disciplinati dagli articoli 2612-2615-ter. Devono essere iscritti nel Registro delle Imprese, svolgono le attività con i terzi tramite un apposito ufficio. Questa attività è una vera e propria attività economica imprenditoriale, che prevede assunzione di obblighi e sottoscrizione di contratti con terzi. Il fondo consortile è indipendente dai patrimoni dei consorziati, quindi, i creditori del consorzio possono soddisfarsi sul patrimonio stesso.
1.9. Scegliere la tipologia di legame
In questo primo capitolo si sono mostrate le modalità di aggregazione tra le imprese dividendole essenzialmente in formali e informali. Le aggregazioni formali basano la loro efficacia sul contratto, che rende meritevoli di tutela legale gli interessi delle parti. Il contratto può essere più o meno specifico a seconda della modalità scelta. Si pensi ai succitati consorzi che tutelano gli interessi dei consorziati affidandosi a una disciplina ben definita o, ancora, a quei contratti che permettono di unire le proprie risorse per presentarsi come un unico soggetto, come le associazioni temporanee d’impresa.
Nelle aggregazioni informali, invece, il rispetto delle decisioni tra le imprese che decidono di collaborare si basa unicamente sulla fiducia che intercorre fra le stesse. Infatti, queste aggregazioni non garantiscono una tutela legale degli interessi delle parti paragonabile a quella delle aggregazioni formali, ma non per questo risultano meno capaci di raggiungere il proprio scopo.
Lo scopo delle aggregazioni, siano esse formali o informali, resta il trarre benefici e vantaggi in termini di riduzione dei costi, miglioramento della capacità competitiva, maggiore disponibilità economica da destinare a ricerca ed innovazione e non è possibile individuare ab origine quale modalità sia più efficace nel raggiungerli. Si tratta infatti di possibilità, e in quanto tali gli imprenditori, quando scelgono di collaborare, lo fanno dandogli un connotato più o meno formale: in parte in base all’efficienza o inefficienza che ritengono ottenibile dal livello di formalità, e in parte dal contesto economico. In un settore industriale specifico, come può essere
un’azienda che lavori pellami in una zona vocata alla produzione di scarpe, il contesto economico porta inevitabilmente ad intessere collaborazioni con altre imprese operanti nello stesso settore, in maniera complementare o cumulativa, senza però che ciò venga codificato a forza all’interno di un contratto specifico.
Un esempio chiarificatore è rappresentato dalle relazioni di subfornitura che avvengono nel distretto industriale della calzatura sportiva a Montebelluna, nel vicentino: “coesistono e si combinano differenti forme di organizzazione del lavoro: unità produttive di media taglia, […] un'ampia diffusione di piccole imprese artigiane, caratterizzati dall'estrema specializzazione e dall'alto grado qualitativo di professionalità che intrattengono con esse un rapporto di subfornitura non puramente esecutiva” (TradeNordest, 2020). Nel distretto di Montebelluna convivono relazioni di tipo formale, attuate tramite l’acquisizione di aziende a composizione locale e familiare da parte di grandi gruppi industriali internazionali, ma anche relazioni di tipo informale, in quanto le stesse aziende acquisite hanno stretti rapporti di collaborazione con le altre imprese del territorio, formando una rete di conoscenze e specializzazione nel settore della calzatura sportiva.
In definitiva non può esistere una modalità “migliore” di collaborazione in termini assoluti. Lo stesso contratto di rete, oggetto di questo elaborato, non rappresenta la soluzione a tutte le necessità di aggregazione espresse dal tessuto produttivo italiano. Ogni decisione in merito alla collaborazione deve essere ben ponderata, calata nel contesto in cui si dovrà collaborare, ed effettuata tenendo a mente il risultato che si vuole raggiungere. Nel tentativo di dare un’indicazione di massima per orientarsi all’interno di forme collaborative più o meno regolamentate, l’aspetto da tenere in considerazione potrebbe essere l’ammontare degli investimenti. Portando come esempio le modalità concesse dal nostro ordinamento per svolgere attività d’impresa, l’ammontare di investimenti che si ha intenzione di sostenere è un discrimine spesso usato nella scelta tra società di capitali e società di persone. Se viene data maggiore importanza al capitale, insieme dei beni conferiti dai soci, verrà scelta la tipologia di società dette di capitali, soggette ad una normativa molto fitta, mentre se ad essere fulcro dell’impresa saranno le “persone” dei soci, si sceglieranno le società di persone, caratterizzate da una maggiore discrezionalità organizzativa.
Il collegamento con le aggregazioni di impresa risulta evidente, verrà scelta una modalità di aggregazione formale quando si ritiene che la collaborazione possa richiedere investimenti ingenti, o un impegno notevole, che deve essere tutelato, altrimenti si sceglierà una aggregazione di tipo informale.
Capitolo 2 Il contratto di Rete
Il contesto economico in cui le imprese si trovano ad operare è sempre più caratterizzato dall’economia della conoscenza (Zanda, 2012), dove le risorse materiali tipiche del contesto aziendale, beni e persone, vengono affiancate da asset di natura immateriale, le conoscenze, appunto, che vanno a stimolare processi di apprendimento, innovazione e aumento di competitività.
Per riuscire a combattere le maggiori difficoltà legate al contesto imprenditoriale italiano, situazione di crisi costante e scarsità di risorse, come accennato nel capitolo 1, le aziende devono trasformarsi in “aziende della conoscenza che fondano la loro esistenza sui princìpi della collaborazione e della condivisione del sapere, al fine di creare valore nel lungo periodo” (Xxxxxx, 1998).
Ma ogni impresa potrebbe essere interessata da questa trasformazione? Certamente: si pensi all’impresa che volesse investire nella produzione di energia da fonti rinnovabili, come sono le biomasse legnose. In prima istanza dovrebbe attivarsi per la creazione di conoscenze approfondite in merito ad una pluralità di campi che non solo riguardano l’investimento vero e proprio, il cogeneratore6 ad esempio, ma anche tutta una serie di informazioni su legislazione, modalità di produzione dell’energia, logistica nello stoccaggio delle materie prime, e infine supporto e assistenza alla rete commerciale, nel caso in cui si volesse mettere in piedi un sistema di vendita dell’energia a terzi.
Il contesto economico e il susseguente mutamento delle aziende in “aziende della conoscenza” trovano nella collaborazione un’arma efficacie per lo sviluppo di una maggiore competitività, sia a livello nazionale che internazionale. Nel contesto italiano, caratterizzato da piccole e medie imprese, il Legislatore ha percepito questo stimolo derivante dal mutamento economico. “Più precisamente, a partire dall’emanazione delle leggi 133/2008 e 33/2009, le aziende contemporanee possono dar vita a una nuova forma aggregativa derivante dalla sottoscrizione di un accordo riconoscibile come modello reticolare formale…” (Lombardi, 2015).
Ricordando il capitolo 1, le tipologie di aggregazioni tra imprese sono divise in equity, basate quindi su rapporti patrimoniali e obbligatoriamente formali, e non equity. Queste ultime vengono poi distinte in: informali, cioè la collaborazione che si instaura tra le imprese si fonda
6 Impianto che riesce a recuperare parte dell’energia prodotta da un motore primario, alimentato a fonti fossili o a biomasse, per produrre energia elettrica.
su legami di tipo fiduciario, che possono intercorrere tra i top manager di due o più imprese, o sulla vicinanza territoriale e settoriale, come i distretti industriali; oppure rapporti formali basati su contratti specifici. Ma la legislazione precedentemente menzionata ha introdotto una terza categoria di aggregazioni aziendali, che fonde insieme la fiducia dei legami informali, con le regole del contratto, tipiche dei legami formali, andando a creare una aggregazione definita di tipo misto (Xxxxxxxxxxx, 2011).
2.1. Le aggregazioni di tipo misto: il contratto di rete
La prerogativa delle aggregazioni di tipo misto è quella di proporsi come innovative. Non è raro che imprenditori, trovandosi nelle condizioni di voler collaborare, scelgano proprio il contratto di rete tra le alternative disponibili. Nel Caso Studio 2, l’intervistato, a tal proposito, afferma che: “…è un metodo nuovo che gli enti pubblici apprezzano abbastanza, ..., viene apprezzato sia a livello regionale che territoriale al punto che è quello che viene definito da alcuni PSR regionali nell’incentivazione all’associazionismo di imprese agricole forestali.”
Il modello della rete di imprese si basa sulla sottoscrizione di un contratto, il contratto di rete, la cui “disciplina è stata introdotta nel nostro ordinamento con l’art. 3, comma 4-ter, D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, c.d. Decreto incentivi, recante misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, successivamente convertito e modificato 1. Con il contratto di rete due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato” (Calabrese, 2015). Essendoci un contratto alla base, la rete rientra tra le aggregazioni formali, e allo stesso tempo si configura come evoluzione della forma consortile.
Lo scopo del contratto di rete è quello di accrescere la competitività nel mercato e la capacità di innovazione di tutti i partecipanti alla rete, non solo attraverso lo scambio di informazioni, prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica e tecnologica, ma anche esercitando in comune una o più attività proprie della singola impresa. Attorno al contratto di rete rimangono comunque aperte le discussioni in ambito legislativo, tanto che si sono susseguite molteplici modificazioni della normativa. La ratio di tali modifiche è il mantenimento della struttura flessibile del contratto, garantendo la crescita della competitività sul mercato delle imprese che decidessero di usufruirne.
La legge n.122 del 2010 ha modificato ulteriormente la disciplina del contratto di rete integrandola con la previsione di un contenuto normativo essenziale, che, se rispettato, e ne
viene fatta opportuna richiesta, è atto a concedere alla rete la soggettività giuridica. L’articolo 3, co. 4-ter della legge 33/2009, che è stato modificato dalla legge 122/2010 prevede: “4-ter. Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso. Ai fini degli adempimenti pubblicitari di cui al comma 4-quater, il contratto deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata…”. Inoltre, con l’articolo 2-ter della legge 122/2010 è stato modificato anche l’articolo 3-quater della legge 33/2009 prevedendo che le imprese coinvolte nel contrato di rete debbano iscrivere il contratto nella sezione del Registro imprese presso cui ogni impresa partecipante è iscritta.
Gli elementi specificati dalla modificazione del 2010 sono i Partecipanti, l’Oggetto, il Patrimonio, la Governance e il Recesso.
2.2. I Partecipanti al contratto di rete
La disciplina del contratto di rete prevede che i partecipanti siano tutti imprenditori7, iscritti a qualunque titolo nel Registro delle Imprese. Così facendo possono partecipare sia imprenditori commerciali che agricoli, imprenditori individuali, piccoli imprenditori, piccole e medie imprese, società di capitali, società di persone, società semplici, cooperative, consorzi anche con attività esterna, società pubbliche, il cui obiettivo sia di fare rete per aumentare innovazione e competitività.
La Legge dispone anche chi non può partecipare ad una rete, per lo meno in via diretta, quindi cioè comparire all’interno del contratto di rete come retista. Questi soggetti sono i liberi professionisti e le Pubbliche Amministrazioni, come gli enti di ricerca. In sostanza possono
7 L’art. 2082 definisce imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.
partecipare solo quei soggetti a cui è richiesta l’iscrizione nel Registro delle Imprese, sessione ordinaria, ovvero speciale.
La conseguenza derivante dalla partecipazione al contratto di rete di un soggetto non titolato comporta la nullità della partecipazione del soggetto in questione, che va ad estendersi all’intero contratto se la sua partecipazione era considerata essenziale.
2.3. L’Oggetto del contratto di rete
Quando si parla di oggetto nel contratto di rete è necessario parlare di multiscopo (Lombardi, 2015), in quanto l’oggetto è duplice: l’esercizio in comune delle attività svolte dalle aziende e le modalità attraverso cui le imprese decidono di gestire la collaborazione.
“La struttura del contratto di rete è plurilaterale con comunione di scopo. Le reti per l’esercizio dell’attività in comune hanno forme miste di coordinamento tra le imprese.” (Lombardi, 2015).
Fondamentale risulta indicare:
- la forma giuridica delle imprese sottoscriventi il contratto. Sarà necessario specificare se le imprese sono società di persone, società di capitali o ditte individuali.
- Fissare gli obiettivi strategici, che saranno comuni a tutte le imprese aggregate e coerenti con qualità e costi dei prodotti offerti al mercato.
- Definire un programma di rete, che è costituito da:
o Diritti e obblighi di ciascun partecipante, cosa spetta a ciascun partecipante e cosa la rete si aspetta da ognuno di loro, quali risorse e competenze condividere;
o Modalità di realizzazione dell’obiettivo comune, i passi da seguire per realizzare lo scopo della rete.
Il programma di rete risulta fondamentale per la validità della rete, senza di esso il legislatore non riconosce la rete. Il programma potrà comunque essere modificato in seguito, ma sarà necessaria l’unanimità dei partecipanti, se non diversamente definito.
2.4. Il fondo Patrimoniale
Nella disciplina del fondo patrimoniale di rete, il Legislatore mette in evidenza la grande flessibilità del contratto, lasciando libere le parti di istituirlo o meno. Nel caso in cui la rete avesse come scopo la sola condivisione di informazioni, know-how o semplici collaborazioni,
il fondo patrimoniale potrebbe anche non essere necessario. In questo aspetto il contratto di rete si differenzia molto dalla disciplina di consorzi, dove la presenza del fondo consortile è obbligatoria ex articolo 2614, Codice civile. Ma proprio dalla disciplina dei consorzi, il contratto di rete trae le normative sull’eventuale costituzione del fondo. Dagli articoli 2614- 2615 c.c., relativi al consorzio con attività esterna, ottengono la possibilità di richiedere che il fondo venga spartito al termine della durata del contratto, e che i creditori particolari delle imprese di rete non possano aggredire il fondo comune, fatta eccezione per i creditori della rete. “Lo stato d’insolvenza nei rapporti tra le imprese aggregate implica che il debito venga ripartito tra tutti i partecipanti alla rete in relazione alle quote di partecipazione detenute” (Lombardi, 2015).
“L'oggetto dei conferimenti nel fondo è, di norma, il denaro, ma non si può escludere che possa essere rappresentato dal godimento di un immobile, laddove, ad esempio, la rete possa stabilire la propria sede, o ancora sia costituito da marchi, brevetti, strutture, impianti o macchinari. In tali casi, sarà necessario determinare il valore del conferimento sulla base di criteri chiari ed espressi.” (Busani, 2011).
Dal punto di vista civilistico il fondo patrimoniale risulta liberamente costituibile, ma qualora si volesse accedere a benefici tributari, o si volesse far acquisire alla rete la soggettività giuridica, è necessaria la sua presenza.
2.5. Governance della rete
Non viene richiesto di specificare all’interno del contratto il tipo di governance che si intende adottare, lasciando libere le parti di decidere le modalità che meglio si adattano alle caratteristiche dei partecipanti. Viene comunque presentata la possibilità di nominare un organo comune il cui compito sarà quello di eseguire il contratto, assumendosi poteri gestori e di rappresentanza. Anche nel caso in cui fosse stabilita la presenza di un organo di governo è possibile che alcune decisioni vengano comunque prese a maggioranza. Viene lasciata libertà alle parti di definire regole per l’assunzione di decisioni che modifichino il programma di rete.
Nel caso in cui si decidesse di propendere per l’istituzione di un organo comune, devono essere indicati nel contratto:
- il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale del soggetto incaricato;
- i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti per l’esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso;
- le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la validità del contratto.
Si ritiene che gli incaricati per la formazione dell’organo comune possano essere persone fisiche o giuridiche, sia interni alla rete che esterni.
Sebbene sia considerato come facoltativo, lo studio di commercialisti Cortellazzo e Xxxxxx conviene che, tra le caratteristiche per il successo di una rete, l’organo di governance sia necessario (Xxxxxxxxx, 2012).
2.6. Il Recesso, lo Scioglimento e l’Esclusione
Il contratto di rete si scioglie quando viene rescisso un partecipante la cui collaborazione era considerata essenziale, oppure perché il programma di rete diviene impossibile da eseguire.
È possibile inserire nel contratto delle clausole riguardanti il recesso di un partecipante, specificandone le cause e le condizioni necessarie a far valere tale diritto. Esercitare il recesso comporta la cessazione del rapporto di rete limitatamente al soggetto che lo esercita, senza minare l’intero contratto.
È possibile prevedere anche la risoluzione anticipata come diritto invocabile da ogni singolo partecipante se si verifica un grave inadempimento da parte degli altri aderenti alla rete. Sarà compito delle parti stabilire nel contratto la scala con cui valutare la gravità dello stesso. Nel caso in cui l’inadempimento delle prestazioni sia essenziale per l’attività del contratto di rete, allora la risoluzione del contratto si ripercuote su tutti i partecipanti, determinando lo scioglimento della rete.
È possibile inserire clausole specifiche di esclusione di un singolo partecipante, che nel caso verrà disciplinata secondo le norme relative al recesso e alla risoluzione dei contratti.
Se è presente un fondo comune, la giurisprudenza non ha ancora chiaro se quanto versato sia ripetibile o meno, se debba quindi essere applicata la disciplina dei consorzi, art 2609 c.c. in cui quanto versato dal rescisso accresce le quote degli altri partecipanti, oppure la disciplina societaria, art 2289 c.c., con conseguente liquidazione del valore che la quota di partecipazione aveva al momento dell’uscita dal contratto. Dal momento che il fondo comune viene costituito per realizzare lo scopo della rete, è opportuno prevedere che la ripetizione possa avvenire solo dopo l’esecuzione delle prestazioni dovute.
Figura 2-1 Modalità operative per il contratto di rete. Lombardi, 2015
2.7. Rete soggetto e Rete contratto
Il contratto di rete può manifestarsi all’esterno, e quindi ai terzi, come soggetto autonomo dotato di una propria soggettività giuridica, o come insieme di diversi soggetti di diritto (le singole imprese/persone giuridiche che lo compongono). Questa distinzione fa riferimento alla questione sulla soggettività delle persone giuridiche.
Con il concetto di “soggettività giuridica” o di “soggetto di diritto” ci si riferisce alla possibilità di essere titolari di diritti e di doveri imposti dall’ordinamento. Con riferimento alle persone fisiche questa situazione, definita anche “capacità giuridica”, è automaticamente riconosciuta dall’ordinamento al momento della nascita (art. 1 c.c.).
Le stesse considerazioni non possono essere fatte in via generale per le persone giuridiche. Si noti, infatti, che lo stesso art. 1 c.c. ne subordina l’acquisizione “al momento della nascita” facendo riferimento all’individuo e non all’ente.
Per quest’ultimo, infatti, l’acquisizione della capacità giuridica, e quindi della soggettività, non è automatica, ma è subordinata all’acquisizione di determinati requisiti individuati dall’ordinamento.
Come anticipato, la rete può decidere di svolgere attività all’esterno. In tal caso però, il legislatore, proprio a garanzia dei terzi che instaurano rapporti giuridici con la rete, ha previsto delle regole speciali. La rete di imprese, infatti, ha l’obbligo di dotarsi di un organo comune ed un fondo patrimoniale comune.
La rete che svolge attività esterna, inoltre, può essere dotata di soggettività giuridica e presentarsi come soggetto di diritto autonomo e distinto rispetto alle imprese che ne fanno parte, parlandosi in questo caso di “rete-soggetto”, ovvero può avere rapporti con i terzi presentandosi come “insieme” delle singole imprese. Si parla allora di “rete-oggetto”.
Di default il modello disegnato dal legislatore è proprio quest’ultimo, avendo egli previsto la rete come strumento meramente contrattuale. La legge afferma infatti che il contratto di rete
che prevede l’organo comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa ai sensi del comma 4-quater ultima parte.
È proprio l’ultima parte di questa disposizione che conferisce all’autonomia delle parti la possibilità di creare con la rete un soggetto giuridico autonomo, altro e diverso rispetto alle imprese partecipanti. Ai fini della creazione della “rete-soggetto”, quindi, la presenza dell’organo comune e del fondo patrimoniale sono elementi necessari, ma non sufficienti. Le parti, infatti, devono preoccuparsi anche di far acquisire soggettività giuridica alla rete. Questo ulteriore passaggio è disciplinato dall’art. 3 comma 4 ter e ss. del D.L.n.5/09: “se è prevista la costituzione del fondo comune, la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede; con l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede la rete acquista soggettività giuridica”.
La rete-contratto può essere dotata di rappresentanza legale. Nel caso in cui lo sia, l’organo comune ha la rappresentanza delle imprese aderenti, Figura 1 modalità I. Nel caso in cui non lo sia, la legge presume che sussista comunque un potere di rappresentanza per alcune mansioni espressamente indicate, quali le procedure di programmazione con le pubbliche amministrazioni, gli interventi di garanzia per l’accesso al credito, la promozione e la tutela di marchi e qualità o prodotti con garanzia di genuinità e provenienza, ecc.
La rete senza soggettività giuridica si costituisce con atto pubblico, o con scrittura privata autenticata, o anche con atto firmato digitalmente o con firma elettronica autenticata.
La rete-soggetto, Figura 1 modalità II, è, invece, sempre dotata di un organo rappresentativo che si individua proprio nell’organo comune, il quale assume diritti ed obblighi. A quest’ultimo può essere anche conferita la rappresentanza dei singoli imprenditori partecipanti alla rete potendo, in tal caso, formulare proposte in nome e per conto altrui.
Quanto al contratto costitutivo, anche in tal caso, può essere concluso con atto pubblico, scrittura privata autenticata.
Quanto al fondo patrimoniale, costituisce patrimonio autonomo e distinto da quello dei patrimoni dei singoli partecipanti, indipendentemente dalla soggettività giuridica o meno della rete. Ciò significa che esso è aggredibile solo dai creditori della rete e non dai creditori personali dei singoli partecipanti, né allo stesso modo i singoli aderenti possono chiedere la divisione del fondo fino a che dura la rete.
Quanto alla responsabilità per le obbligazioni assunte dall’organo comune, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune, a contrario per le obbligazioni assunte per conto dei singoli imprenditori quest’ultimi rispondono solidalmente con il fondo. In caso di
insolvenza dell’imprenditore obbligato, il debito viene ripartito pro quota tra gli altri imprenditori aderenti.
2.8. I vantaggi competitivi e rischi di fare rete
Le reti di impresa, o più in generale i business network, sono nate in risposta ad un contesto competitivo globale crescente, che richiede un continuo sviluppo in termini di innovazione e complessità produttiva.
Le Piccole e Medie imprese, che come detto rappresentano la maggioranza delle imprese italiane8, hanno risentito del mutamento del contesto competitivo, e per rispondere alla perdita di posizioni e importanza all’interno del mercato hanno collaborato tramite il modello della rete al “fine di combinare le proprie risorse, conoscenze e competenze con quelle [dei partner] per superare le problematiche legate alla limitata capacità di finanziamento (sia interno che esterno), alla bassa competitività e alla scarsa circolazione di conoscenza.”(Calabrese, 2015). La crisi finanziaria poi continua a far sentire i suoi effetti sulle imprese, alle quali viene richiesto un incremento dimensionale e un miglioramento strategico, non per mantenere una
crescita costante, ma addirittura per la propria sopravvivenza.
In questo contesto, la rete di imprese, tramite le sue molteplici relazioni, si candida ad essere uno strumento efficace per accrescere “il vantaggio competitivo sia della singola impresa aderente alla rete sia dell’intero network. Vantaggio competitivo che sarà tanto maggiore quanto più stabile sarà la rete e quanto più consolidate e inimitabili saranno le relazioni tra i partner” (Calabrese, 2015).
Volendo specificare i vantaggi di rete questi possono essere divisi in sei macrocategorie:
- Strategici, che, attraverso cooperazione e condivisione di costi e rischi, pongono l’attenzione sullo sviluppo e l’accumulazione di competenze e conoscenze;
- Organizzativi, tramite una struttura flessibile le risorse umane, tecniche e finanziarie permettono il raggiungimento di risultati maggiori e lo sviluppo di progetti innovativi;
- Tecnologici;
- Finanziari, consentendo un migliore rapporto con il sistema bancario, riducendo il fabbisogno finanziario e gli oneri nell’accesso alle fonti di finanziamento;
- Economici, economie di scala, di apprendimento, riduzione del rischio operativo;
8 “Le piccole e medie imprese, qui definite come imprese attive con un giro d’affari inferiore a 50 milioni di euro, impiegano l’82% dei lavoratori in Italia (ben oltre la media Ue) e rappresentano il 92% delle imprese attive”
Il Sole 24 Ore xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xxxxxx00xxx.xxx/0000/00/00/00000/ consultato il 2/05/2020
- Fiscali, sono garantite alcune agevolazioni nel caso in cui gli utili delle imprese retiste vengano reinvestite nella rete stessa.9
Come ogni impresa economica anche il fare rete non mantiene esenti da rischi. I rischi si dividono in tre categorie:
- Strategici
o L’attività che viene messa in comune può diventare difficile da controllare e coordinare;
o Le imprese corrono il rischio di perdere il dominio sulla tecnologia e sulla conoscenza;
o Il controllo qualità su prodotto e processo diviene difficile;
o La scelta di entrare in una rete, sebbene reversibile, può risultare molto onerosa;
- Economici
o I costi effettivi potrebbero risultare più elevati di quelli preventivati;
o I costi di transazione10 potrebbero non venire recuperati anche se viene introdotto un processo più efficiente;
- Operativi
o Una dipendenza eccessiva dal fornitore;
o La probabilità che le parti mettano in atto comportamenti opportunistici, dovuto soprattutto alle difficoltà di controllo dei risultati;
2.9. Il contratto di rete e le aggregazioni non equity: ATI e Consorzio
Il contratto di rete grazie alla sua flessibilità viene spesso associato ad altre due aggregazioni formali non patrimoniali, il consorzio e l’Associazione Temporanea di Imprese. Entrambi i casi studio che saranno presentati più avanti, alla domanda se abbiano pensato ad altre forme di collaborazione citano queste due tipologie, aggiungendo nel Caso 2 la cooperativa. Le
9 Sospensione d’imposta sugli utili che le imprese della rete destinano alla realizzazione del programma di rete e accantonano in apposita riserva.
10 Costi di Transazione, tutti i costi che si vengono a generare nel momento in cui si decide di stipulare un contratto. Non sono chiaramente rinvenibili nel contratto stesso, ma concorrono nella valutazione dell’efficienza economica dello scambio.
motivazioni della scelta della rete si basano essenzialmente su due aspetti: la normativa stessa del contratto e la snellezza del processo organizzativo e di coordinamento.
L’ATI viene utilizzato qualora più imprese vogliano realizzare un progetto specifico che si concretizza, ad esempio, in un raggruppamento temporaneo di imprese per presentarsi come soggetto unitario nelle gare di appalto pubbliche. L’obiettivo dell’ATI risulta per tanto mirato, temporaneo, ma non necessariamente votato all’innovazione. L’ambito di applicazione del contratto di rete al contrario, pur essendo anch’esso mirato, ha nell’innovazione il suo concetto cardine. È sempre possibile per le parti strutturare un contratto di rete che rassomigli ad una associazione temporanea di imprese. Nel Caso 2 viene specificato che per motivi progettuali l’ATI non poteva essere considerata come valida alternativa in quanto non è possibile strutturare il contratto in maniera tale da ottenere autonomia patrimoniale e fiscale.
Per quanto concerne il consorzio entrambi i casi studio lo ritenevano una valida alternativa alla rete. È infatti possibile strutturare una rete sullo stesso modello di un consorzio con attività esterna, o addirittura facendola rassomigliare ad una cooperativa. La normativa sul consorzio, però, è molto più articolata e lascia meno spazio di manovra alle parti. Nell’articolo 2603 c.c. la forma e il contenuto del contratto sono specificati e vengono richiesti dal nostro ordinamento a pena di nullità.
Capitolo 3 Dataset e Analisi dati raccolti
Le camere di commercio sono enti pubblici territoriali che si occupano di tutelare l’interesse collettivo del sistema produttivo italiano. Sono dislocate in tutto il territorio e solitamente fanno da punto di riferimento per le attività produttive di una singola provincia. Promuovono lo sviluppo locale e si posizionano come punto di incontro tra le imprese e le amministrazioni pubbliche. Uno dei principali compiti di questi enti è la tenuta del Registro delle imprese, un vero e proprio database contenente tutti i dati che il nostro ordinamento richiede ad un’impresa, società o imprenditore individuale, per svolgere una attività economica. Questo registro si divide in due sezioni, ordinaria dove si iscrivono tutti quei soggetti che necessitano di “pubblicità legale” per poter svolgere la propria attività, e speciale dove si iscrivono tutti quei soggetti a cui è sufficiente “pubblicità notizia”, che si limita cioè a dare notizia di determinati fatti, senza però pregiudicarne la validità qualora questa non venisse esperita.
Proprio perché le camere di commercio sono enti così importanti e vicini alla realtà imprenditoriale del territorio italiano, tramite la camera di commercio della provincia di Padova, è stato possibile ottenere alcuni dati sui contratti di rete. Le camere di commercio, infatti, fanno un ampio utilizzo dei sistemi informatici che la tecnologia ha reso disponibili. Tramite il così detto braccio tecnologico delle camere di commercio, InfoCamere, le camere di commercio dislocate in tutto il territorio nazionale comunicano quotidianamente tra loro, aggiornando in tempo reale il Registro imprese, che ora, grazie alla dematerializzazione, è divenuto uno strumento a portata di click: il Registro Imprese telematico. Come viene ampiamente delineato nello studio n.5-2013/I ad opera del Consiglio Nazionale del Notariato, “il contratto in oggetto è sempre stato, e continua ad essere (anche dopo le ultime novelle), soggetto a pubblicità presso il registro delle imprese, senza che ciò implichi necessariamente la soggettività della rete” (Maltoni, 2013). Infatti, la pubblicità riguardo la partecipazione di un’impresa ad una rete è necessaria in quanto afferente alle vicende dell’impresa stessa. Con ciò viene poi specificato che si dà pubblicità dell’atto, o meglio della “propria partecipazione”, con iscrizione di questo nella sezione di appartenenza della propria impresa, ordinaria o speciale.
Collegandosi alla pagina web xxxx://xxxxxxxxxxxxxxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxx/, è possibile dare uno sguardo d’insieme al contratto di rete e alle sue caratteristiche principali, normative e pratiche. È presente una voce “Le statistiche”, in cui sono mostrati i “numeri” delle reti. In Italia
sono stati stipulati dal 2010, anno successivo al Decreto-legge 5/2009 convertito in legge 33/2009, al 2019 5.251 contratti di rete, e le imprese partecipanti sono 34.032. l’indirizzo web in questione mette in risalto tali dati in una tabella riassuntiva che divide per regione il numero di imprese coinvolte. In Figura 1 sono riportati i dati della tabella presente nella pagina web. Il Lazio risulta la regione con maggiore presenza di imprese che partecipano ad una rete, si vedrà in seguito che questa differenza rispetto alle altre regioni è statisticamente significativa, non solo per quanto riguarda il numero di contratti di rete stipulati, ma anche nella tipologia.
Figura 3-1 numero di imprese partecipanti ad una rete per regione.
Questo lavoro di analisi è incentrato sull’individuazione di uno o più determinanti che influiscono nella scelta di stipulare un contratto di rete che abbia la soggettività giuridica, caratteristica che permette al contratto di rete di divenire soggetto terzo rispetto ai partecipanti alla rete, e dotarsi di propria autonomia patrimoniale, tipica del regime di responsabilità patrimoniale limitata. In seconda e terza posizione troviamo Lombardia, con 3528 imprese, e Veneto, con 2696. Una prima interpretazione per la differenza così importante tra Lazio e Lombardia è riscontrabile in un fattore di tipo culturale, ipotesi verificata tramite l’analisi.
La pagina web del registro delle imprese, però, non si limita a questi scarni dati, e da qui non sarebbe possibile ricavare molto altro rispetto alla distribuzione delle imprese e dei contratti, ma fortunatamente viene reso disponibile un file Excel chiamato “statistiche.xls” che contiene esattamente i riferimenti di ogni singola impresa che partecipa ad una rete.
Questo file si compone di tre fogli, il primo foglio è chiamato “Riepilogo” e riporta esattamente i dati mostrati in Figura 1, il numero delle imprese partecipanti divise per regione. Ma i fogli più utili sono il secondo ed il terzo. Il secondo foglio, indicato genericamente come
“Elenco” descrive dettagliatamente le reti cosiddette “oggetto”, o contrattuali, quindi che non hanno la soggettività giuridica. Le voci in colonna sono:
Progr.: Che identifica il numero progressivo della rete;
Denominazione contratto: che descrive il nome scelto per la rete;
Data atto: la data di stipula del contratto;
Numero repertorio e numero atto: utili alle camere di commercio per ragioni archivistiche;
Oggetto: breve descrizione della motivazione per cui è stata creata la rete;
N.rea: Repertorio economico e amministrativo è una banca dati che raccoglie informazioni di tipo amministrativo ed economico sulle aziende e rappresenta un’integrazione al Registro Imprese;
C.f.: il codice fiscale della singola impresa partecipante;
Denominazione impresa: la ragione sociale o la ditta;
Impresa di riferimento: quell’impresa che si occuperà di svolgere e presentare tutte le pratiche necessarie al Registro delle Imprese, non è obbligatoriamente la capogruppo;
Comune – REG – PV: la località dove è situata l’impresa partecipante;
Codice ATECO: codice identificativo del settore di appartenenza della singola impresa;
Settore di attività: il settore in cui la singola impresa opera;
Sezione attività – attività: ulteriori specificazioni riguardanti il settore.
Il terzo foglio, intitolato “Sogg.Giu.” contiene l’elenco di tutte le reti che invece hanno scelto di ottenere la soggettività giuridica, le reti chiamate “soggetto”: nel foglio Excel sono presentate le seguenti voci:
Progr.: Che identifica il numero progressivo della rete;
Nome contratto: che indica il nome scelto per la rete;
N.Rea contratto: repertorio economico amministrativo;
C.f. contratto: il codice fiscale in questo caso assegnato alla rete soggetto;
Data: la data di nascita della rete;
Comune – regione – pv: la località dove è situata la sede legale della rete;
numero repertorio contratto: numero per ragioni archivistiche;
oggetto: le motivazioni della rete;
codice ATECO 2007: il codice identificativo del settore di appartenenza della rete;
x.XXX impresa: il numero di repertorio economico amministrativo specifico dell’impresa partecipante;
C.F impresa: il codice fiscale dell’impresa partecipante;
Denominazione impresa: il nome dell’impresa partecipante;
Comune – regione impresa – PV impresa – NG impresa: la località dove la singola impresa partecipante ha sede;
CODICE ATECO impresa: codice identificativo del settore di appartenenza dell’impresa partecipante.
Figura 3-2 Grafico a torta rete oggetto vs. rete soggetto.
Il file fornito dalla camera di commercio, presentato in questa maniera, è solo un elenco, per quanto dettagliato, della situazione delle reti di impresa italiane. Non sarebbe possibile andare molto oltre ad una tabella che ordini le due tipologie di rete per territorio: in Figura 2, le reti oggetto sono la maggioranza, sono in rapporto di quasi 5 a 1 rispetto alle reti soggetto. Tale risultato non va comunque trascurato, infatti c’è una differenza sostanziale tra rete oggetto e rete soggetto, l’intensità del legame che si va a creare con gli altri partecipanti alla rete. Da un legame “leggero” rete oggetto, in quanto lascia quasi completamente libere le parti di deciderne i diritti e i doveri, si passa ad uno “pesante” rete soggetto, dove l’intenzione delle parti di creare un soggetto, per l’appunto terzo a loro e titolare di diritti e doveri in proprio conto, richiede una struttura giuridica più articolata e maggiormente vincolata alle scelte del legislatore. Le due tipologie di rete sono differenti nella sostanza, ma è possibile andare più a fondo nell’analisi del grafico di Figura 2.
Una interpretazione molto interessante di questa differenza, infatti, viene ipotizzata dalla Commissione di Studio Societario dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Padova – Gruppo di lavoro Reti di imprese, coordinati da Xxxxx Xxxxxxxxx. Secondo questo studio, solitamente si approccia alla rete in maniera graduale, soprattutto in un contesto come quello italiano, composto di micro e piccole imprese che associano alla difficoltà di innovare e competere, in uno scenario sempre più globale e caratterizzato da imprese molto strutturate e di maggiori dimensioni, una certa “resistenza a cedere o condividere il controllo dell’impresa. La maggior parte degli imprenditori italiani propende per detenere l’intero capitale di una media impresa piuttosto che una percentuale del capitale di una grande impresa, pur sapendo che nel contesto competitivo attuale corre un grave rischio di nanismo
imprenditoriale.” (Xxxxxxxxx et al., 2014). L’approccio graduale che viene descritto dalla Commissione prevede tre fasi distinte per raggiungere una collaborazione imprenditoriale stretta come quella di una rete con soggettività giuridica.
Viene prima creata una rete che può svolgere attività solo con i retisti, cioè attività solo interna. L’impegno dei partecipanti è limitato alle regole di comportamento che hanno scelto di siglare di fronte ad un notaio, non si dispone di fondo comune e organo comune. Non viene compromessa l’autonomia e i capitali investiti non sono ingenti, la responsabilità patrimoniale è illimitata, sebbene il rischio non sia alto.
Nella seconda fase, se la prima ha successo, i retisti possono aumentare le attività svolte dalla rete, accrescendone il peso in termini di responsabilità, investendo maggiori capitali, dotandosi di un fondo comune e formando l’organo comune. La responsabilità patrimoniale dei retisti diventa così limitata.
Nella terza fase, se la rete aspira a stringere obbligazioni in proprio, perché nel frattempo i retisti hanno dotato la rete di un organo di controllo per gestire l’aumentata mole di attività che la rete svolge, allora si dovrà richiedere il riconoscimento della soggettività giuridica tramite l’iscrizione della rete nella sezione ordinaria del Registro delle Imprese.
I dati presentati sinteticamente in Figura 2, con questa grande maggioranza di rete oggetto, possono trovare spiegazione nella teoria di un passaggio che avviene per gradi, partendo da una rete definibile come “leggera” per poi arrivare ad una “pesante”. Sebbene sia valida come ipotesi, non è sempre così, nei casi studio che saranno presentati nel capitolo 4, la scelta tra rete oggetto o soggetto è stata alquanto indipendente rispetto all’idea di percorso lineare, che ha come punto di arrivo una forma di collaborazione forte.
La rete è uno strumento e mai un fine, di volta in volta viene scelta la maniera più adatta per svolgere l’oggetto dell’impresa, generare profitti per i portatori di interesse, e anche se il concetto di percorso organico che porti una rete da “leggera” a “pesante” si riscontra spesso nella realtà, i casi studio in questo elaborato mostrano un approccio diverso allo strumento rete. Infatti, nel Caso 1, venne deciso di stipulare un contratto di rete “oggetto” perché più congeniale con le necessità di coordinamento e organizzazione del lavoro, mentre nell’altro, Caso 2, la rete “soggetto” era necessaria, in quanto gli imprenditori partecipanti dovevano presentarsi come soggetto unico, capace di assumere obbligazioni in proprio, per poter creare il gruppo operativo che poi avrebbe fatto partire il progetto.
Il dataset della camera di commercio analizzato così com’è non permette di andare molto oltre nell’analisi, ma fornisce comunque delle importanti informazioni sulle imprese che partecipano attualmente ad una rete. Da questi dati si può arrivare ad una vera e propria analisi
quantitativa dell’argomento rete oggetto – rete soggetto. In primo luogo, è riportata la ditta, un nome di impresa da associare al contratto di rete, in secondo luogo il codice fiscale, che definisce in maniera univoca l’azienda. Mettendo assieme questi due dati è stato possibile creare un elenco composto dal nome dell’impresa e dal suo codice fiscale, caricarlo nel database AIDA e recuperare i dati di bilancio delle società di capitali.
Ci sono alcuni caveat da osservare: il dataset creato dalla camera di commercio include ogni impresa, ditta individuale, persona fisica, società di persone o capitali che sta partecipando ad una rete; non è possibile ottenere alcun dato di bilancio per le persone fisiche o le società di persone, a meno di chiedere singolarmente ai diretti interessati. Per questa ragione, il dataset su cui su cui sono state effettuate le analisi non è completo. Probabilmente alcune reti non saranno presenti perché composte esclusivamente da soggetti che non hanno obblighi per quanto riguarda la comunicazione dei dati di bilancio, ma può essere comunque interessante procedere ugualmente.
L’idea di fondo nella creazione del dataset su cui fare le analisi parte dal presupposto che ci siano delle caratteristiche, specifiche di ogni singola impresa, che possono influenzare la decisione in merito all’intensità della collaborazione con le altre, facendo propendere per una rete soggetto o per una rete oggetto.
Non è la prima volta che viene usato tale approccio per studiare le reti, infatti è stato usato un approccio simile, nello studio sulle reti commissionato dalla Banca d’Italia, già nel 2013 (Bentivogli et al., 2013). I dati su cui sono state effettuate le analisi sono recuperabili agilmente da Stato Patrimoniale e Conto Economico di ogni bilancio, alcune voci sono riportate così come vengono presentate in questi documenti, mentre altre sono i classici indici di bilancio più conosciuti.
L’intervallo temporale entro cui recuperare i dati di bilancio è il più esteso possibile, dal 2008, anno più lontano per cui XXXX xxxxx consultabili i dati di bilancio, e 2017, ultimo anno disponibile. Questo intervallo è sufficientemente lungo per poter osservare gli effetti delle variabili selezionate sulla scelta di aderire ad una rete forte o debole. La normativa sulle reti, di imprese, infatti, risale al 2009, per cui i nove anni di dati disponibili sono attinenti all’analisi in questione.
Dopo aver concluso la ricerca, e verificato nome per nome la correttezza delle imprese per cui XXXX aveva trovato una corrispondenza, è stato formato il campione di riferimento, composto da 13750 imprese, tutte società di capitali.
Le voci che compongono il dataset utilizzato per le analisi sono:
Ragione sociale: la ditta della singola impresa, termina con l’indicazione della tipologia societaria adottata, utile per rappresentare la distribuzione dei contratti di rete tra le varie tipologie di società;
Sede – Macroarea: classiche indicazioni geografiche, rispondono alla domanda se la scelta della rete di tipo soggetto è significativamente collegata alla località in cui l’impresa ha sede;
ANNOCOST: l’anno in cui l’impresa è stata fondata, la scelta di aderire ad una rete di tipo soggetto, quindi a legame più forte, dipende dalla sua maturità?
CLASSE_dimens: la dimensione delle imprese in base alla Raccomandazione 361 del 2003 della Commissione Europea. Essere una Grande o Medio-Piccola impresa ha qualche influenza nella scelta tra le reti?
ANNORETE: l’anno in cui l’impresa ha deciso di aderire alla rete, questo dato proviene direttamente dal dataset della camera di commercio;
Etaimp: simile ad ANNOCOST, la differenza tra l’anno in cui l’impresa è entrata in rete e il suo anno di costituzione, le imprese che aderiscono ad una rete soggetto sono quelle più mature?
DIP20XX: il numero di dipendenti dell’impresa anno su anno, dal 2008 al 2017, il numero di dipendenti influisce in qualche modo sulla scelta?
ATT20XX: l’attivo di bilancio dell’impresa, quanto può influenzare tale dato? La probabilità di entrare in rete soggetto è maggiore, minore, o ininfluente?
RIC20XX: i ricavi dell’impresa, sono le aziende che fatturano di più ad essere spinte a aderire ad una rete soggetto?
ROA20XX: la redditività del capitale investito, la sua capacità di generare valore e quindi di agire in base a ciò che possiede senza chiedere finanziamenti, è un parametro significativo?
CAP20XX: rappresenta il capitale sociale dell’impresa;
RAPPINDEB20XX: il rapporto di indebitamento, a contrario del ROA permette di capire quanto l’impresa faccia conto su capitali di terzi per svolgere la propria attività, il fatto che questa faccia uso del capitale di rischio aumenta o diminuisce la probabilità di entrare in una rete soggetto?
UTILE20XX: l’utile o la perdita di esercizio può influire nella scelta di entrare in rete soggetto?
ATECO: il codice ATECO 2007 che permette di identificare il settore di appartenenza dell’impresa;
PI – CF: partita iva e codice fiscale dell’impresa, utili nell’identificare la singola impresa e per migliorare il matching;
Tiporete: variabile dummy dicotomica, può assumere valore 0 o 1, è la variabile dipendente dell’analisi statistica Probit e Logit. L’analisi è strutturata in modo tale che le altre variabili siano indipendenti e da esse dipenderà la probabilità di aderire: ad una rete soggetto quando assume valore 1, o aderire ad una rete oggetto, quando assume valore 0;
SETTORE: il settore di appartenenza, può essere Industria, Servizi, Agricoltura, Commercio, Ricerca, Sanità, Costruzioni, Energia, Trasporti, Istruzione, Attività Finanziarie, Altro settore
È importante esplicitare il fatto che la scelta di queste variabili non è stata casuale, ma segue sempre lo studio commissionato dalla Banca d’Italia nel 2013. Tra i paper intitolati “Questioni di Economia e Finanza”, studi che sono condotti su aspetti fondamentali per lo svolgimento dei compiti istituzionali che caratterizzano la Banca d’Italia, il numero 152, datato febbraio 2013, ha trattato in maniera approfondita del fenomeno reti di imprese. In questo numero, in particolare, viene discusso il tema delle reti e di come queste si inseriscano nel contesto imprenditoriale italiano, caratterizzato da imprese dimensionalmente molto ridotte, incapaci di fronteggiare le pressioni competitive globali. Dopo aver indagato approfonditamente i motivi alla base della nascita delle reti, rete come soluzione ad alcuni tipi di asimmetrie informative, passa alla trattazione della teoria contrattuale dell’impresa e di come questa particolare modalità di collaborazione possa permettere un più facile superamento dei costi di contrattazione, tipici di un mercato caratterizzato da incertezza sulla frequenza degli scambi e sul comportamento dei possibili partner. Il testo prosegue con una breve disamina della normativa italiana in merito alle reti, facendo riferimenti puntuali alle similitudini di tale contratto con strumenti giuridici
già presenti e consolidati nel nostro ordinamento, vedasi consorzi, associazioni temporanee di imprese e patrimoni destinati. In questo lavoro di tesi si fa riferimento a quanto il paper della Banca d’Italia ha fatto nella descrizione delle prime applicazioni del contratto di rete. I redattori di tale rapporto hanno infatti effettuato delle analisi descrittive su un dataset prodotto da Confindustria-RetImpresa che includeva i contratti di rete esistenti in Italia al 5 dicembre 2011. Ciò che hanno voluto approfondire riguarda: i settori interessati che, come in questo caso, sono molti, dal turismo all’energia, all’agroalimentare, per citarne alcuni; la localizzazione territoriale delle imprese in rete, la tipologia di società che si presenta con più frequenza nel dataset, la dimensione media per numero di addetti, e alcune variabili quantitative presenti nei bilanci delle società di capitali. In particolare, grazie al confronto tra il dataset di Confindustria- Retimprese e i dati di bilancio forniti da Cerved, società specializzata nel fornire informazioni quantitative riguardo le imprese, relativi al periodo 2005 – 2010, è stata eseguita un’analisi empirica volta a capire se le caratteristiche aziendali hanno influenzato o meno la scelta di aderire alla rete. Il loro interesse, rispetto a quello di questo elaborato, era capire se tra le aziende che hanno aderito al contratto di rete esistesse una qualche forma di self-selection dovuta a variabili quali la dimensione in termini di attivo di bilancio, di fatturato, di ROA, di MOL che influenzasse la probabilità di scegliere di stipulare un contratto di rete, confrontando poi i risultati con un gruppo di imprese di controllo simili che però non avevano aderito ad una rete. I risultati che hanno ottenuto, dalle regressioni di tipo Probit e Logit, confermano che “la probabilità che un’impresa entri in un contratto di rete è positivamente correlata sia con la dimensione (…) sia con la dinamicità dell’impresa. (…) Con riferimento ai settori, emerge che, rispetto al corrispondente benchmark (imprese che operano in comparti a contenuto tecnologico elevato), quelle con produzioni manifatturiere a basso contenuto tecnologico e quelle che operano nei comparti del terziario sono significativamente meno presenti tra le imprese di rete rispetto al gruppo di confronto. Emergono inoltre relazioni positive e significative fra la probabilità di entrare in rete e l’area in cui sono localizzate le imprese.” (Xxxxxxxxxx et al., 2013). Questo lavoro di tesi prende spunto dalle loro conclusioni e cerca di studiare la questione reti dall’interno. Poiché la domanda di ricerca si concentra sulla scelta tra rete soggetto e rete oggetto tra aziende che hanno già deciso di entrare a far parte di una rete, il campione di imprese di riferimento è diverso e non è necessario un gruppo di controllo come invece lo era nel paper della Banca d’Italia.
È necessario ricordare che il settore è una variabile qualitativa di grande importanza in questo elaborato. Il focus centrale, infatti, è il contratto di rete rapportato al caso delle biomasse legnose. Quest’ultime trovano la migliore espressione in realtà agricole-industriali, per tale ragione una parte importante dell’analisi verterà proprio sulla scelta tra rete oggetto e soggetto nel settore agricoltura. I casi studio, fulcro centrale su cui testare la bontà del modello statistico,
riportano delle fattispecie prettamente agricole: da una parte, caso 1, la società agricola semplice è di importanza fondamentale per la velocizzazione del processo burocratico, l’affitto di alvei fluviali per il recupero di materiali legnosi è favorito dalle istituzioni locali nei confronti di società semplici; dall’altra, caso 2, le aziende agricole umbre, guidate dalla capofila, una cooperativa che associa un centinaio di produttori di tabacco, vedono nella rete soggetto una opportunità per sfruttare più efficacemente le risorse boschive che il territorio umbro mette loro a disposizione.
Figura 3-3 Tipologia di società che aderiscono ad una rete.
3.1. Analisi descrittiva del dataset
In Figura 3 sono riportate nel grafico a torta le tipologie di società che compaiono nel dataset. Queste sono di quattro tipi: 10.823 società a responsabilità limitata, il 79% del totale, 1068 società per azioni, 7,7% del totale, 1715 cooperative che sono sia s.r.l. che s.p.a., 12.5% del totale, 144 consorzi anche qui sia s.r.l. che s.p.a., 1% del totale. Come possiamo notare, le società a responsabilità limitata sono la maggioranza, in similitudine a quanto visto nel paper della Banca d’Italia.
Prima di procedere con la descrizione del dataset, analizzando le caratteristiche principali delle imprese presenti, divise per tipologia di società, è interessante riportare graficamente la variabile categoriale relativa alla classe dimensionale. La comunità europea, infatti, ha ritenuto di uniformare a regole uniche il trattamento delle imprese comunitarie, al fine di evitare conflitti tra
meccanismi europei e Stati Nazionali in termini di aiuti e convenzioni a micro e piccole imprese. La variabile CLASSE_dimens riassume bene quanto deciso in sede comunitaria, e lo fa assumendo due valori, 0 e 1.
Il valore 0 viene assunto quando l’impresa è classificata come Media o Piccola, il valore 1, invece, quando l’impresa è classificata come Grande. Dato lo scopo dell’analisi, sembra opportuno riportare graficamente questa classificazione dividendo le imprese in base alla scelta di aderire ad una rete oggetto o soggetto. Nella Figura 4 e nella Figura 5, sono riportate le imprese classificate in base alla dimensione e divise tra quelle che hanno scelto di aderire ad una rete oggetto, 9793 imprese medie e piccole e 841 imprese grandi, e quelle invece che hanno aderito ad una rete soggetto, 2986 medie piccole, 130 grandi. Balzano subito all’occhio due cose: per prima cosa la grande differenza numerica in termini assoluti, le imprese medie e piccole sono la maggioranza, e in entrambi i grafici superano il 90%; e per secondo si nota la preferenza trasversale per la rete contrattuale.
Figura 3-5: numero e percentuale imprese per dimensione che aderiscono ad una rete soggetto.
Figura 3-4: numero e percentuale imprese per dimensione che aderiscono ad una rete oggetto.
MEDIA | MEDIANA | DEVIAZIONE STD | ||||
ETA' | 14 | 10 | 13 | |||
Dipendenti | 22 | 8 | 77 | |||
ATTIVO | € | 5.299.711,15 | € | 1.158.787,00 | € | 22.475.643,76 |
RICAVI | 5.221.737 | 1.005.890 | 32.547.137 | |||
ROA | 3,21 | 3,64 | 30,77 | |||
Rapporto indebitamento | 12,63 | 4,34 | 112,46 | |||
CAPITALE SOCIALE | € | 396.295,98 | € | 20.000,00 | € | 3.235.419,89 |
Utili | € | 164.798,09 | € | 13.392,00 | € | 1.592.315,39 |
Tabella 3-1 statistiche descrittive delle variabili presenti nel dataset per tutte le SRL che aderiscono ad una rete al 2017.
3.2. S.R.L
La modalità di presentazione delle caratteristiche delle società che compaiono nel dataset viene presentata nella Tabella 1. Le SRL hanno un’età media pari a 14 anni, e mediana pari a 10; il numero di dipendenti si attesta al 2017 pari a 22, con mediana pari a 10, il trend nel periodo preso in considerazione è crescente; l’attivo di bilancio al 2017 è in media 5.300.000 € crescente anno su anno, mentre la mediana è 1.158.787€. I Ricavi al 2017 in media sono pari a 5.221.711€ stabili anno su anno, così come è stabile la mediana 1.005.890 €; il ROA al 2017 vale circa 3,21% in media e anno su anno presenta fluttuazioni comprese tra il 4,56% e il 3,23%, la mediana non si discosta molto dalla media, quindi le performance di queste società sono simili; il Capitale sociale al 2017 vale in media quasi 400.000 €, superiore di circa venti volte rispetto alla mediana che vale anno su anno circa 20.000 €; il Rapporto di Indebitamento al 2017 è circa 12,63% mentre la mediana vale 4,34% stabile anno su anno, ciò indica che ci sono alcune società che fanno uso di capitale di rischio in maniera molto pesante; Utile che al 2017 in media si attesta attorno a 165.000 € in crescita, esclusi il 2015 che vede un utile pari a 69.379
€ e il 2013 in cui è addirittura negativo – 3.745 € , la mediana invece è crescente e passa da
8.099 € nel 2008 a 13.392 € nel 2017. È interessante mettere a confronto media e mediana quando si effettuano delle analisi descrittive, e in questo caso si vede proprio come la media venga fortemente influenzata dai valori estremi. Ci sono infatti alcune SRL che presentano dei valori di attivo di bilancio, di ricavi, altissimi, raggiungendo come massimo alla voce attivo 2017 più di 22.000.000€, è palese che tale valore vada ad influire sulla media, che perciò diviene imprecisa.
Tabella riassuntiva SRL rete soggetto dati 2017 | ||||||
MEDIA | MEDIANA | DEVIAZIONE STD | ||||
ETA' | 13 | 9 | 12,6 | |||
Dipendenti | 16 | 6 | 46 | |||
ATTIVO | € | 4.155.000,00 | € | 802.300,00 | € | 23.570.000,00 |
RICAVI | € | 3.450.000,00 | € | 713.000,00 | € | 20.640.000,00 |
ROA | 3,30% | 3,45% | 25,22% | |||
Rapporto indebitamento | 9,84% | 4,21% | 51,75% | |||
CAPITALE SOCIALE | € | 269.000,00 | € | 12.000,00 | € | 3.194.000,00 |
Utili | € | 100.400,00 | € | 9.000,00 | € | 1.070.000,00 |
Tabella 3-2: statistiche descrittive per le SRL di ogni settore che hanno aderito ad una rete "pesante".
Nella Tabella 2 sono riassunte le principali caratteristiche di tutte le SRL che hanno aderito ad una rete soggetto. È interessante notare come la deviazione standard sia molto alta per tutte le variabili del dataset, ed è chiaro il motivo: sebbene siano tutte accumunate dal fatto di essere
Figura 3-6: Divisione settoriale per le SRL aderenti ad una rete soggetto.
SRL e di aver scelto una rete “pesante”, appartengono comunque a settori diversi, ognuno caratterizzato da proprie specificità.
Le SRL che partecipano ad una rete “pesante”, Figura 6, sono 2.628, distribuite nei vari settori, i SERVIZI sono il settore con il maggior numero di SRL che hanno scelto di aderire ad una rete soggetto, seguite da COMMERCIO e INDUSTRIA, l’AGRICOLTURA si posiziona al quinto posto. La Figura 6 riassume i dati per settore. L’età media per l’azienda che si occupa di servizi si attesta intorno ai 13 anni, 16 dipendenti in media, attivo intorno ai 4.000.000 €, ricavi intorno ai 2.000.000 €, alto rapporto di indebitamento circa 11 % e utili pari a 52.000 €.
Per l’azienda invece che si occupa di commercio abbiamo età media di circa 13 anni, 17 dipendenti in media, attivo intorno ai 4.500.000 €, ricavi di circa 7.800.000 €, rapporto indebitamento al 7%, utili di 140.000 €. L’azienda industriale ha età più alta, circa 18 anni, 24 dipendenti, attivo sui 5.400.000 €, ricavi pari a 5.000.000 €, rapporto di indebitamento intorno all’8%, utile 240.000 €. Infine, l’azienda agricola media ha età pari a 13 anni, 12 dipendenti, attivo 5.300.000 €, la mediana è circa 2.500.000€, ricavi 2.000.000 €, rapporto di indebitamento molto alto al 22%, utili intorno ai 40.000 €.
Tabella riassuntiva SRL rete oggetto dati 2017 | ||||||
MEDIA | MEDIANA | DEVIAZIONE STD | ||||
ETA' | 14 | 11 | 13 | |||
Dipendenti | 23 | 9 | 71 | |||
ATTIVO | € | 5.253.870,55 | € | 1.487.648,00 | € | 19.566.132,03 |
XXXXXX | € | 4.814.362,62 | € | 1.256.462,00 | € | 22.285.958,38 |
ROA | 3,30% | 3,70% | 27,90% | |||
Rapporto indebitamento | 14,19% | 4,21% | 137,52% | |||
CAPITALE SOCIALE | € | 2.168.110,40 | € | 30.000,00 | € | 107.682.246,17 |
Utili | € | 132.621,36 | € | 17.562,00 | € | 1.342.107,82 |
Tabella 3-3: dati di bilancio principali Srl aderenti ad una rete oggetto.
Figura 3-7: Divisione settoriale per le SRL aderenti ad una rete oggetto.
Le restanti 8.633 SRL hanno invece aderito a reti oggetto. Come possiamo vedere in Figura 7, le percentuali per settore non si discostano molto da quelle delle SRL che hanno aderito ad una rete soggetto, ma in questo caso troviamo in prima posizione l’INDUSTRIA, seguita dai
SERVIZI e in terza posizione dal COMMERCIO, l’AGRICOLTURA scende al sesto posto. I principali dati relativi alle SRL che hanno scelto la rete oggetto sono: per le aziende industriali una età media pari a 18 anni, circa 32 dipendenti, attivo 8.450.000 €, ricavi per 8.650.000 €, rapporto di indebitamento al 14%, utile 260.000 €. Per le aziende di servizi abbiamo età media 13 anni, 26 dipendenti, attivo 3.560.000 €, ricavi 3.130.000 €, rapporto di indebitamento 9,5%, utile 74.000 €. L’azienda commerciale ha in media 13 anni, 15 dipendenti, attivo 3.860.000 €, ricavi 6.500.000 €, rapporto di indebitamento 10%, utile 100.000 €. L’azienda agricola ha 12 anni di media, 13 dipendenti, attivo 5.900.000 €, ricavi 2.100.000 €, rapporto di indebitamento 22%, utile 86.000 €.
Da questa prima analisi descrittiva sulla situazione delle reti d’impresa tra le società a responsabilità limitata, si può notare come la crescita del numero di dipendenti possa in qualche modo far propendere per una rete oggetto, così come la crescita dimensionale di attivo e fatturato. Sembra invece ininfluente l’età dell’azienda cosi come il suo rapporto di indebitamento. Anche la crescita dell’utile può influire su tale scelta, ma per esserne sicuri è necessario proseguire con le analisi statistiche.
Figura 3-8: Distribuzione SRL aderenti ad una rete soggetto al 2017.
Figura 3-9: Distribuzione SRL aderenti ad una rete oggetto al 2017.
La localizzazione di queste società divise per tipologie di rete è presentata nei due grafici, Figura 8 e Figura 9. Per quanto riguarda la rete soggetto, le SRL che vi aderiscono si trovano maggiormente nel Centro, che da solo raccoglie quasi la metà di tutte le SRL. Le altre macroaree, ad esclusione delle Isole in ultima posizione, sono a parimerito. Se ci spostiamo invece nella Figura 9 e quindi nella tipologia della rete oggetto, la situazione cambia drasticamente: il Centro mantiene il numero più alto in termini assoluti, 2043, ma le altre macroaree, ad esclusione ancora delle Isole, lo raggiungono tanto che è possibile dire che in
ogni macroarea della penisola troviamo circa lo stesso numero di SRL aderenti ad una rete oggetto. È possibile provare ad intuire qualcosa a riguardo: considerando che nel grafico di Figura 9 il numero di SRL è pressocché uguale tra tutte le macroaree della penisola, se escludiamo il Sud quasi un quarto del totale per macroarea, devono esserci delle caratteristiche della macroarea Centro che creano un terreno fertile per la nascita di reti soggetto. Le altre macroaree come per la Figura 9 presentano nella Figura 8 un numero di reti soggetto simile tra loro.
Tabella riassuntiva SPA dati 2017 | ||||||
MEDIA | MEDIANA | DEVIAZIONE STD | ||||
ETA' | 32 | 31 | 19 | |||
Dipendenti | 000 | 00 | 0000 | |||
ATTIVO | € | 185.626.790,49 | € | 23.087.679,00 | € | 2.074.286.470,88 |
XXXXXX | € | 75.918.645,59 | € | 17.445.076,00 | € | 479.811.720,97 |
ROA | 4,39% | 3,35% | 10,75% | |||
Rapporto indebitamento | 5,09% | 3,07% | 10,51% | |||
CAPITALE SOCIALE | € | 22.224.719,07 | € | 1.490.177,00 | € | 369.898.259,79 |
Utili | € | 2.892.433,98 | € | 372.549,00 | € | 34.986.387,62 |
Tabella 3-4: statistiche descrittive per tutte le Spa presenti nel dataset, i dati si riferiscono al 2017.
3.3. S.p.A.
Le Spa presenti all’interno del mio dataset sono 1068, di queste 146 hanno aderito ad una rete soggetto. Come si nota nella Tabella 3, le Spa, anche se in numero minore, presentano valori molto differenti rispetto alle SRL. Per cominciare sono molto più mature: se l’età media per una SRL è di circa 13 anni, per una Spa siamo oltre i 32, e pure la mediana conferma questo valore, considerando che almeno la metà delle società per azioni ha almeno 31 anni. Non è un dato che da solo possa stupire poi molto, la società per azioni è tra le più sofisticate modalità organizzative per “fare” impresa e come tale richiede una struttura capace di far fronte agli obblighi stringenti che la normativa richiede; nulla vieta di costituire immediatamente una società per azioni, ma la prassi insegna che questa società è più un traguardo che un punto di partenza, soprattutto quando il business si espande e sono richieste maggiori risorse economiche ed organizzative. Se mettiamo a confronto l’età media, doppia rispetto alle SRL, con l’interpretazione del Gruppo di lavoro Reti di imprese, per quanto concerne l’idea di una progressione temporale della forza dei legami contrattuali tra imprese nel caso delle reti,
sembrerebbe una ulteriore prova della bontà dell’ “approccio graduale” alla crescita di intensità del rapporto di rete: come inizialmente si sceglie una forma societaria più snella, elastica, una SRL ad esempio, così si parte da una cauta collaborazione per poi proseguire fino alla creazione di un soggetto autonomo.
La variabile DIPENDENTI mette in risalto la sostanziale differenza dimensionale tra le Spa e le SRL. Il numero medio di dipendenti è pari a 311, quasi 15 volte superiore ai dipendenti delle SRL, e la mediana, 65 dipendenti, è 6 volte maggiore.
In questo contesto, è interessante introdurre la definizione di PMI che viene fornita dalla Raccomandazione n. 2003/361/Ce della Commissione Europea del 6 maggio 2003: secondo tale documento le imprese vengono dimensionalmente catalogate in:
MICRO Impresa:
- <10 dipendenti
- Fatturato < 2 milioni di euro
- Totale di bilancio < 2milioni di euro
PICCOLA Impresa:
- <50 dipendenti
- Fatturato < 10 milioni di euro
- Totale di bilancio < 10 milioni di euro
MEDIA Impresa
- <250 dipendenti
- Fatturato < 50 milioni di euro
- Totale di bilancio < 43 milioni di euro
Dal semplice schema riassuntivo della Raccomandazione 361, le Spa presenti nel dataset rientrano per numero di dipendenti tra le medie imprese, infatti, la metà dei campioni ha almeno 65 dipendenti. Andando più a fondo però, si vede come esistano imprese che danno lavoro a molti più dipendenti rispetto alla media impresa. Infatti, se si selezionano le imprese che hanno più di 250 dipendenti, 370 imprese, il 3% del totale di tutte le imprese del dataset 13750, si scopre che queste danno lavoro a più del 58% dei dipendenti totali. Il 45% di queste 370 sono Spa, il 33% sono COOPERATIVE, il 22% SRL, e l’1% CONSORZI. La Società per azioni si conferma quindi la modalità scelta da chi vuol fare grande impresa.
L’ATTIVO di bilancio, o totale di bilancio, conferma la disparità delle Spa con le SRL. Le Spa hanno un fatturato mediano che si attesta intorno ai 23 milioni di euro, i dipendenti sono inferiori ai 250 alla mediana, indicando che la metà delle società per azioni sono imprese di media dimensione. Anche qui però sono presenti enormi complessi aziendali, tanto che la media dell’attivo di bilancio risulta più di dieci volte superiore alla mediana, valore più che confermato dalla deviazione standard che indica senza ombra di dubbio che siamo in presenza di sottopopolazioni, le grandi e grandissime società per azioni. Il fatto che le deviazioni standard siano così elevate suggerisce che sarebbe il caso di effettuare le analisi Probit e Logit dividendo le imprese in base a scaglioni di fatturato, indipendenti, quindi, dalla tipologia di società scelta. Poiché il dataset è unico, e descrive le singole imprese attraverso le stesse variabili, sarà comunque possibile provare anche questa strada.
La voce RICAVI, o fatturato, comprende tutte le vendite e le prestazioni di servizi che l’impresa ha fornito durante l’anno preso in considerazione. Questi confermano quanto faceva già presagire l’ammontare delle due variabili appena descritte: le Spa sono almeno per metà medie imprese. La mediana dei dipendenti, 65, unita alla mediana dell’attivo, 23 milioni di euro, e a quella dei ricavi 17 milioni di euro, indicano chiaramente come le Spa presenti nel dataset siano medie imprese. Ovviamente anche qui, la media dei ricavi viene pesantemente influenzata dalla presenza di una sottopopolazione di enormi società, capaci di generare al suo massimo 14 miliardi di euro (TIM Spa, bilancio 2017).
Il ROA medio è pari a 4,39%, valore più alto rispetto a quello delle SRL, e a differenza di queste ultime la deviazione standard è molto più contenuta, circa 10%. Questo dato evidenzia una distribuzione più simmetrica del ROA. Le Spa risultano anche meno indebitate rispetto alle SRL, con circa il 5%. Il capitale sociale medio, come logico aspettarsi, è più alto e raggiunge i 22 milioni di euro. Sulla base dei dati raccolti, dal 2008 al 2017, questo valore è cresciuto costantemente dopo il 2013, presentando una iniziale discesa, da circa 15 milioni di euro nel 2008, ai 13 milioni del periodo 2009-2012. Infine, gli utili, che nel 2017 sono circa 2.8 milioni di euro. Anche gli utili hanno visto una tendenziale crescita temporale, nel 2008 infatti partivano da circa 800 mila euro, escludendo il picco raggiunto nel 2013, che riporta utili per 2.9 milioni.
Figura 3-10: divisione settoriale per le Spa aderenti ad una rete soggetto.
In Figura 10 sono presentate tutte le Spa che aderiscono ad una rete nel 2017. Come si nota, le attività che aderiscono maggiormente ad una rete soggetto sono Industria e Servizi, a parimerito, seguiti da commercio e costruzioni. L’agricoltura invece si posiziona settima, le società per azioni agricole sono in netta minoranza rispetto a quelle appartenenti ad altri settori. In generale, infatti, la tipologia di società dominante nel mondo agricolo è quella di società semplice, che grazie ai suoi regimi fiscali agevolati ed una più snella organizzazione, ben si sposa con la mutevolezza del contesto lavorativo agricolo.
Figura 3-11: Numero di Spa aderenti ad una rete soggetto per macroarea.
In figura 11 viene presentato il numero di Spa aderenti ad una rete soggetto divise per macroarea. Il nordovest ed il nordest primeggiano, in queste aree troviamo più di un terzo del totale di queste società, mentre poco meno di un quarto si trovano al centro, ed il rimanente 15% si divide tra Sud e Isole.
Tabella riassuntiva SPA rete soggetto dati 2017 | ||||||
MEDIA | MEDIANA | DEVIAZIONE STD | ||||
ETA' | 30 | 28 | 18 | |||
Dipendenti | 000 | 00 | 0000 | |||
ATTIVO | € | 77.057.554,10 | € | 23.584.960,50 | € | 184.505.281,27 |
XXXXXX | € | 56.310.019,52 | € | 13.693.866,50 | € | 129.695.025,25 |
ROA | 3,33 | 3,27 | 11,74 | |||
Rapporto indebitamento | 4,55 | 2,82 | 6,44 | |||
CAPITALE SOCIALE | € | 13.252.183,38 | € | 1.375.000,00 | € | 54.764.714,54 |
Utili | € | 1.000.339,85 | € | 340.369,50 | € | 7.731.354,23 |
Tabella 3-5: Dati relativi alle Spa aderenti ad una rete soggetto al 2017.
La Tabella 5 mostra i dati relativi alle 146 società appena citate: hanno un’età media pari a 30 anni, leggermente più bassa rispetto al totale delle Spa. Il numero dei Dipendenti passa dai 251 ai 308, che, sebbene sia solo in media, porta queste società più vicine alle grandi imprese che alle medie. L’attivo scende a 77 milioni di euro, più che dimezzandosi, cala anche la deviazione standard, il che suggerisce una maggiore omogeneità delle società aderenti ad una rete soggetto. Anche i ricavi calano, passando dai 75 milioni del gruppo nel suo complesso, ai 56 di questo sottogruppo, come per l’attivo anche qui la deviazione standard scende. Il ROA fa segnare una diminuzione, attestandosi in media al 3,33% contro il 4,39% del complesso. Il rapporto di indebitamento, invece, risulta più basso e più concentrato rispetto all’insieme del gruppo di Spa. Capitale sociale ed Utili si dimezzano, ma sono molto più concentrati.
Figura 3-12: Distribuzione settoriale Spa aderenti ad una rete soggetto.
In Figura 12 viene presentata la divisione settoriale per le 922 Spa che hanno scelto di aderire ad una rete oggetto. Le prime due posizioni vengono ancora occupate da Industria e Servizi, ma in questo caso l’industria da sola accoglie circa la metà di tutte le Spa aderenti ad una rete oggetto. È comunque interessante notare la forte preferenza verso il tipo di rete più snello, che obbliga a vincoli meno stringenti. L’86% delle società per azioni presenti nel dataset ha optato per una rete oggetto. L’agricoltura scende di posizione e si colloca al decimo posto, ma se si confronta il numero assoluto di società, si vede come non ci sia una grande differenza, il settore agricolo ha 7 imprese aderenti ad una rete oggetto contro le 5 che hanno scelto una rete soggetto. Ripensando ai casi studio e alle ragioni che hanno spinto il caso 1, Nordest, e caso 2, Centro, verso l’una o l’altra tipologia di rete, si può lecitamente ipotizzare che non ci sia una vera preferenza per l’una o per l’altra forma di rete, e che essa dipenda in maggioranza da caratteristiche prettamente aziendali. La creazione di una rete oggetto o soggetto è dipesa in entrambi i casi da situazioni contingenti, che richiedevano risposte immediate: da una parte, agevolazioni sull’affitto di terreni, ma anche facilitazioni in merito all’organizzazione del lavoro, caso 1; e dall’altra, la necessità della creazione di un soggetto nuovo, con la capacità di assumersi diritti e doveri, un soggetto giuridico, caso 2. Il fatto quindi che, nel settore agricolo, la distanza numerica delle Spa che hanno scelto strade diverse sia così ridotta, potrebbe indicare che le variabili aziendali e di bilancio, scelte per l’analisi statistica, non abbiano una influenza tale da risultare significative. Estendendo questo discorso però agli altri settori, non si può non notare che la differenza tra le Spa che aderiscono ad una rete soggetto e quelle che aderiscono
ad una rete oggetto sia molto elevata. Nel settore industriale, che risulta primo in termini numerici, oltre il 90% delle società sceglie una rete oggetto; nel settore dei servizi sono oltre l’80%; nelle costruzioni oltre il 75%. Percentuali così elevate fanno pensare che ci sia effettivamente una propensione alla rete oggetto piuttosto che ad una rete soggetto. Se spostiamo l’attenzione nuovamente sul settore agricolo, bisogna pur notare che nel caso delle SRL, che risultano molto più numerose rispetto alle Spa agricole, le percentuali di scelta rispetto alla tipologia di rete, si fanno più simili all’andamento generale del dataset, dove in maggioranza si trovano reti oggetto. Sicuramente la maggiore semplicità e snellezza della rete oggetto fa propendere per questa, e la differenza principale tra Figura 12 e Figura 10 si nota a colpo d’occhio nel maggior numero di settori coinvolti.
Tabella riassuntiva SPA rete oggetto dati 2017 | ||||||
MEDIA | MEDIANA | DEVIAZIONE STD | ||||
ETA' | 28 | 27 | 19 | |||
Dipendenti | 000 | 00 | 0000 | |||
ATTIVO | € | 202.890.879,59 | € | 22.900.592,00 | € | 2.231.605.188,13 |
RICAVI | € | 79.036.702,59 | € | 18.015.818,00 | € | 513.944.268,01 |
ROA | 4,56 | 3,39 | 10,58 | |||
Rapporto indebitamento | 5,17 | 3,13 | 11,02 | |||
CAPITALE SOCIALE | € | 23.662.755,27 | € | 1.499.955,00 | € | 397.851.351,26 |
Utili | € | 3.193.979,85 | € | 386.085,00 | € | 37.539.482,44 |
Tabella 3-6: Principali dati Spa aderenti ad una rete soggetto.
La Tabella 6 mostra i dati riassuntivi delle Spa che hanno scelto una rete oggetto. I valori, rispetto alla Tabella 5, sono molto diversi: innanzitutto l’età media scende a 28 anni, rispetto ai 30 delle Spa aderenti a reti soggetto, e anche se due anni di differenza non sono molti potrebbe indicare che un’età inferiore spinga le Spa a aderire ad una rete meno stringente. Anche il numero di dipendenti cala, si passa infatti dai 308 ai 242 dipendenti medi per impresa, a conferma dell’idea che il numero di dipendenti, se minore, favorisca una rete oggetto. Se invece guardiamo i dati di bilancio come Attivo, Ricavi, Capitale Sociale, Utili i valori si ribaltano: le Spa di Figura 8 sono in media molto più grandi delle Spa a rete soggetto, contraddicendo la tesi iniziale sulla dimensione, che dovrebbe favorire una rete organizzata in maniera più complessa. Le Spa di Tabella 5 risultano più indebitate, 5.17% nel rapporto di indebitamento medio contro
il 4.55% di Tabella 4; sono anche più produttive con un ROA che sebbene risulti simile, 4.56% e 4.55%, ha un valore mediano più alto, 3.39% contro 2.82%.
Figura 3-13: Disposizione per macroaree delle Spa aderenti ad una rete oggetto.
In Figura 13 la posizione delle Spa aderenti ad una rete oggetto, non ci sono sconvolgimenti rispetto alla Figura 11 che presentava la disposizione delle Spa aderenti a rete soggetto. Il Nordovest rimane sempre la macroarea con la maggiore concentrazione di società ma a parimerito con il Nordest, si vedrà poi se lo spostamento da una macroarea ad un’altra influisce nella scelta tra le due tipologie di reti.
3.4. Cooperative
Il dataset comprende 1715 cooperative, 315 hanno aderito ad una rete soggetto, e le rimanenti 1400 hanno scelto di partecipare ad una rete oggetto. Anche per le cooperative la percentuale di aderenti ad una rete oggetto supera l’80%, in qualche modo la preponderanza della rete contrattuale sembra essere trasversale rispetto al tipo di organizzazione scelta, ciò fa pensare che effettivamente ci siano delle caratteristiche tipo che permettano ad una realtà, a prescindere dalla forma organizzativa adottata, di optare per l’una o per l’altra forma di collaborazione. A maggior ragione, se riflettiamo sulla differenza nello scopo delle tipologie societarie: la cooperativa non deve generare lucro nei suoi portatori di interesse, i soci. A differenza delle altre società di capitali, infatti, lo scopo di una cooperativa è mutualistico, deve cioè generare dei benefici, in termini di opportunità di lavoro, di acquisto e, più in generale, di soddisfazione di bisogni, per i propri soci. Se anche le cooperative, così concettualmente diverse dalle altre società di capitali, seguono comunque un percorso simile alle SRL e alle Spa, allora devono esserci delle motivazioni di fondo che spingono le imprese a fare le stesse scelte.
Le 315 cooperative, figura 14, che aderiscono al 2017 ad una rete soggetto sono presenti in tutti i settori del dataset, escluso quello dell’energia. A differenza di SRL e Spa, non è più l’Industria ad avere il maggior numero di imprese, che con 25 cooperative si posiziona al quinto posto, ma sono Servizi, con 83 società, e Agricoltura, con 65. Questo dato non deve stupire, infatti, i servizi e l’agricoltura sono i settori dove le cooperative si esprimono al meglio: il primo Rapporto EURICSE, associazione privata non profit con sede a Trento la cui mission è lo studio
Figura 3-14: distribuzione settoriale cooperative aderenti ad una rete soggetto al 2017.
e la promozione della cooperazione in Italia ed in Europa, riporta che i settori a maggior presenza di cooperative sono, al 31 dicembre 2008, i Servizi e l’Agricoltura. Sebbene datato, i dati forniti da questo rapporto sono stati aggiornati al 2014, attraverso la stesura del Terzo Rapporto EURICSE dove non solo viene confermato il trend di crescita nel settore agricolo, ma soprattutto nel settore dei Servizi.
Figura 3-15: Divisione settoriale cooperative aderenti ad una rete oggetto al 2017.
Se si guarda la distribuzione settoriale delle cooperative aderenti ad una rete oggetto, figura 15, si nota che il numero è maggiore, in linea con quanto già visto per SRL e Spa. A differenza però di quanto accade per le Spa agricole, dove la scelta tra l’una e l’altra sembra quasi indifferente, nelle cooperative che fanno parte del settore agricolo non si vede questa indifferenza, anzi, si nota un adeguamento rispetto agli altri settori. Il rapporto si attesta intorno ad 1 a 4/5. In Figura 15, il settore agricolo scende di posizione, venendo scalzata dalla sanità. La scelta tra le due tipologie di rete non sembra essere quindi influenzata dal settore di appartenenza, in questo caso quindi potrebbero effettivamente essere delle caratteristiche aziendali ad essere dirimenti nella scelta.
Figura 14a: numero di cooperative aderenti ad una rete oggetto per macroarea al 2017.
Figura 15a: numero di cooperative aderenti ad una rete soggetto al 2017.
In Figura 14a ed in Figura 15a vediamo la localizzazione delle cooperative aderenti ad una rete oggetto e soggetto. Non ci sono differenze evidenti su una ipotetica influenza della macroarea nella scelta tra le reti; ciò che è certo è che il Centro si conferma come l’area in cui si trovano il maggior numero di cooperative aderenti ad una rete. Il nord ovest, che primeggiava nelle SRL e nelle Spa, non fornisce terreno fertile per lo sviluppo i questa tipologia d’impresa: storicamente le aree del nord d’Italia sono più propense a sviluppare forme di impresa a scopo di lucro, piuttosto che a scopo mutualistico. Secondo il Rapporto Euricse sono le regioni del sud a vantare il maggior numero di cooperative in proporzione al numero di abitanti, ma il maggior valore aggiunto viene a crearsi proprio nel Nord Ovest e nel Nord Est, Tabella 7.
Tabella 3-7: Valore aggiunto e Valore della produzione in Milioni di euro di tutte le cooperative italiane nel 2014. Fonte Terzo rapporto EURICSE.
Tabella riassuntiva COOPERATIVE dati 2017 | ||||||
MEDIA | MEDIANA | DEVIAZIONE STD | ||||
ETA' | 18 | 13 | 18 | |||
Dipendenti | 111 | 26 | 420 | |||
ATTIVO | € | 6.680.429,18 | € | 993.934,00 | € | 24.950.765,37 |
RICAVI | € | 11.353.231,43 | € | 1.346.119,00 | € | 109.493.215,65 |
ROA | -0,60 | 1,94 | 40,95 | |||
Rapporto indebitamento | 20,29 | 5,08 | 143,90 | |||
CAPITALE SOCIALE | € | 270.006,18 | € | 9.600,00 | € | 1.006.769,14 |
Utili | € | 23.387,64 | € | 3.539,00 | € | 367.336,56 |
Tabella 3-8: Dati aggregati sulle cooperative aderenti una rete, aggiornati al 2017.
La Tabella 8 presenta il valore delle variabili del dataset per le cooperative nel loro complesso. Sono tendenzialmente più giovani rispetto alle altre società, con una età media di 18 anni. I dipendenti le portano a classificarsi come medie imprese, con un valor medio di 111, però la mediana indica chiaramente che almeno la metà delle cooperative è una piccola impresa. Attivo e Xxxxxx evidenziano che in media queste cooperative aderenti ad una rete non sono grandi imprese, ma si distribuiscono tra la piccola e media impresa. Il ROA medio risulta negativo, ma la sua deviazione standard è molto elevata, alcune imprese distruggono molto più di quanto creano. Questo indice così negativo potrebbe risultare una variabile importante nelle scelta di aderire ad una rete oggetto o soggetto: cercando di interpretarne il significato, si può ipotizzare che cooperative con ROA fortemente negativo siano più propense ad aderire ad una rete di tipo soggetto, in quanto incapaci di gestire in maniera efficace i proprio asset, potrebbero vedere in una forma di collaborazione più stringente una maniera per rimediare ai danni provocati da una mala gestione dell’azienda. Il rapporto di indebitamento medio è superiore al 20%; in generale un rapporto di indebitamento è considerato alto quando supera il 50%, e basso quando è inferiore al 25%, ma se si considerano le società di capitali descritte nei paragrafi precedenti, al di sotto del 10% medio, in congiunzione con un ROA medio negativo, la situazione generale delle cooperative sembrerebbe di difficoltà.
Analizzando la variabile ROA per le cooperative aderenti ad una rete soggetto si vede come siano queste ultime a rendere tale variabile negativa per le cooperative. In tabella 9, infatti, sono presentati i dati per le reti soggetto, il ROA medio risulta pari a – 14,64%, dato molto preoccupante e che va ad inficiare il ROA medio di tutte le cooperative. Se confrontato con quello presente in Tabella 10, che mostra i dati delle cooperative aderenti ad una rete oggetto,
Tabella riassuntiva COOPERATIVE rete soggetto dati 2017 | |||||||
MEDIA | MEDIANA | DEVIAZIONE STD | |||||
ETA' | 19 | 13 | 20 | ||||
Dipendenti | 93 | 9 | 753 | ||||
ATTIVO | € | 4.824.995,88 | € | 441.941,00 | € | 15.755.401,87 | |
RICAVI | € | 3.503.425,36 | € | 479.772,00 | € | 12.694.819,01 | |
ROA | 14,64 | 1,88 | 90,70 | ||||
Rapporto indebitamento | 10,35 | 3,44 | 28,21 | ||||
CAPITALE SOCIALE | € | 200.341,30 | € | 5.164,00 | € | 551.638,15 | |
Utili | € | 47.055,47 | € | 2.091,50 | € | 234.554,85 |
Tabella 3-9: principali dati cooperative aderenti ad una rete soggetto al 2017.
Tabella riassuntiva COOPERATIVE rete oggetto dati 2017 | ||||||
MEDIA | MEDIANA | DEVIAZIONE STD | ||||
ETA' | 18 | 12 | 18 | |||
Dipendenti | 129 | 21 | 638 | |||
ATTIVO | € | 12.603.755,63 | € | 1.221.366,00 | € | 119.906.742,17 |
RICAVI | € | 8.696.119,61 | € | 1.226.788,50 | € | 68.216.112,52 |
ROA | 1,48 | 1,90 | 15,79 | |||
Rapporto indebitamento | 14,19 | 4,21 | 137,52 | |||
CAPITALE SOCIALE | € | 2.168.110,40 | € | 30.000,00 | € | 107.682.246,17 |
Utili | € | 42.308,05 | € | 3.354,00 | € | 774.618,47 |
Tabella 3-10: principali dati cooperative aderenti ad una rete oggetto al 2017.
la maggioranza, vediamo che esso è positivo, anche se non molto elevato, pari a 1,48%. Nel caso delle cooperative la scelta di entrare in una rete maggiormente organizzata potrebbe essere influenzata dalla quantità di valore generata dall’impresa durante lo svolgimento della sua attività.
Nelle cooperative osserviamo pressappoco lo stesso andamento delle variabili rispetto a SRL e Spa: come per queste società, anche nelle cooperative l’attivo medio è più grande per quelle che aderiscono ad una rete oggetto, così come ricavi medi, ROA, rapporto di indebitamento, utili e capitale sociale. Ciò che subisce un’inversione è il numero di dipendenti, che risulta maggiore nel caso delle cooperative aderenti ad una rete oggetto, mentre in SRL e Spa avviene l’opposto.
3.5. Consorzio
Ultimo istituto giuridico inserito all’interno del dataset è il consorzio. La scelta del consorzio deriva dalla presenza non trascurabile di tale schema aggregativo imprenditoriale nel dataset sulle reti di impresa della Camera di commercio. Il consorzio si configura come un contratto plurilaterale con comunione di scopo, un contratto tra più parti che assieme perseguono un obbiettivo comune e condiviso. In questo sembra molto simile ad un contratto di rete, e nel caso il consorzio decida di stringere rapporti con terzi dotandosi di una struttura organizzativa adeguata, somiglia ad una rete di tipo soggetto. Nel caso studio 2 era stata valutata l’opzione di aggregarsi tra imprenditori tramite un consorzio con attività esterna, ma questa idea venne scartata per sfruttare l’effetto “novità” fornito dalla rete di impresa. Non bisogna comunque pensare che non esistano delle differenze tra le due fattispecie giuridiche: il consorzio, infatti, permette a due o più imprenditori di svolgere determinate fasi delle rispettive imprese (art. 2602 codice civile) per raggiungere l’oggetto sociale; mentre la rete, sia essa soggetto o contrattuale, può consentire lo svolgimento di una attività economica nuova, diversa ed autonoma il cui scopo è quello di migliorare il funzionamento aziendale e rafforzare la competitività delle imprese partecipanti tramite la stesura e realizzazione del programma comune di rete. In aggiunta, il consorzio è limitato nei modelli di governance che può adottare, mentre la rete offre una ampia e flessibile scelta, che viene liberamente decisa dai partecipanti. I 144 consorzi che inseriti nel dataset di analisi, sono tutti consorzi con attività esterna per cui hanno l’obbligo ex art. 2612 del Codice civile di depositare annualmente i propri bilanci.
Tabella riassuntiva CONSORZI dati 2017 | ||||||
MEDIA | MEDIANA | DEVIAZIONE STD | ||||
ETA' | 14 | 11 | 11 | |||
Dipendenti | 43 | 5 | 243 | |||
ATTIVO | € | 13.457.418,83 | € | 2.039.599,00 | € | 42.192.337,61 |
XXXXXX | € | 7.869.300,57 | € | 1.073.341,50 | € | 16.695.681,62 |
ROA | 4,28 | 0,85 | 43,38 | |||
Rapporto indebitamento | 14,19 | 4,21 | 137,52 | |||
CAPITALE SOCIALE | € | 2.168.110,40 | € | 30.000,00 | € | 107.682.246,17 |
Utili | -€ | 20.811,95 | € | 2.027,00 | € | 675.628,95 |
Tabella 3-11: Dati aggregati per i consorzi presenti nel dataset al 2017.
Nella Tabella 11 si vede come le realtà consortili aderenti ad una rete siano più recenti rispetto alle altre tipologie societarie finora presentate. Dimensionalmente sono più grandi delle cooperative sia per fatturato che per attivo, ma non per numero di dipendenti che in media si attestano a poco più di 40. Risultano più grandi anche delle SRL in generale, ma vengono superate di svariate misure se confrontate con le Spa. Xxxxx rapporto di indebitamento e ROA altrettanto basso, mostrano un ambiente non propriamente dinamico, ma le realtà consortili dipendono molto dal settore in cui operano. La Tabella 11 riporta un dato aggregato che non
RETE SOGGETTO CONSORZI 2017
SANITA; 1 ALTROSETT; 1
COMMERCIO; 1
RICERCA; 2 SERVIZI; 9
AGRICOLT; 3
ATTIVFIN; 4
TRASPORTI; 5
SERVIZI
TRASPORTI ATTIVFIN
AGRICOLT
RICERCA COMMERCIO SANITA ALTROSETT
Figura 3-16: Divisione settoriale per i consorzi aderenti ad una rete soggetto al 2017.
riesce a valutare le singole esperienze consortili. Alcune, infatti, fanno della dinamicità, se non proprio un punto di forza, un obiettivo a cui tendere, e anche senza riportare esperienze dirette, basti guardare le deviazioni standard molto elevate.
In Figura 16 si vede come per le altre tipologie societarie in quali settori in cui operano i consorzi è stato scelto di aderire ad una rete soggetto. Dei 12 settori riportati nel dataset, questa
Figura 3-17: Distribuzione per macroarea dei consorzi aderenti ad una rete soggetto, 2017.
tipologia di scelta è stata adottata solo in 8. Al primo posto si trovano i servizi, seguiti da trasporti e attività finanziarie. Il trend in generale è sempre lo stesso, quando siamo in presenza di rete soggetto i numeri sono inferiori.
In Figura 17 è presentata la posizione di questi consorzi. Si nota un trend diverso rispetto a quanto visto fino ad ora: il Centro non è più l’area con il maggior numero di aderenti ad una rete soggetto, ma viene scalzato dal Nordest che condivide la prima posizione assieme al Sud, seguiti da Nordovest. Le differenze tra le macroaree non sono elevate, anzi si potrebbe ben dire che i consorzi che hanno scelto una rete soggetto sono equamente divisi tra le aree della penisola, escluse le isole.
RETE OGGETTO CONSORZI 2017
ISTRUZIONE; 3
COSTRUZIONI; 3
TRASPORTI; 4
ALTROSETT; 1
ENERGIA; 1
INDUSTRIA; 6
ATTIVFIN; 34
COMMERCIO; 8
AGRICOLT; 9
RICERCA; 10
SERVIZI; 26
SANITA; 13
ATTIVFIN
SERVIZI
SANITA
RICERCA
AGRICOLT COMMERCIO INDUSTRIA TRASPORTI
COSTRUZIONI ISTRUZIONE ALTROSETT ENERGIA
Figura 3-18: Divisione settoriale per i consorzi che hanno aderito ad una rete oggetto, al 2017.
Nella Figura 18 è riportata la divisione settoriale per i consorzi che hanno aderito ad una rete contrattuale. Rispetto alla rete soggetto, la tendenza seguita dai consorzi è simile a quella delle altre tipologie di imprese. Il numero di settori coinvolti cresce passando da 8 per la rete soggetto ai 12, evidenziando ancora una volta che la rete oggetto venga scelta con maggiore frequenza, sia numerica, 118 contro i 26 della rete soggetto, sia settoriale. Attività Finanziarie e Servizi accolgono più della metà dei consorzi, l’Agricoltura scende di una posizione ma triplica il numero dei consorzi presenti.
Nelle Tabelle 9 e 10 i principali dati di bilancio dei consorzi presenti nel dataset. Ci sono alcune differenze in termini quantitativi tra le due tipologie di scelta riguardo la rete effettuate dai consorzi. Per cominciare l’età, i consorzi aderenti ad una rete oggetto sono in media stati formati 5 anni prima dei 26 aderenti ad una rete soggetto, anche nei consorzi quindi si ripete
quanto visto per le altre forme organizzative: un’età più bassa viene generalmente legata ad una maggiore propensione ad entrare in una rete soggetto. Il numero di dipendenti, invece, è sei volte maggiore nei consorzi a rete soggetto rispetto a quelli con rete oggetto. Attivo e Xxxxxx trovano posizione diametralmente opposte, in Tabella 12 l’Attivo è circa la metà di quello presente
Tabella riassuntiva CONSORZI rete soggetto dati 2017 | ||||||
MEDIA | MEDIANA | DEVIAZIONE STD | ||||
ETA' | 10 | 9 | 11 | |||
Dipendenti | 145 | 7 | 599 | |||
ATTIVO | € | 7.422.460,74 | € | 2.166.023,00 | € | 14.362.962,35 |
XXXXXX | € | 9.809.688,32 | € | 690.480,00 | € | 19.039.616,79 |
ROA | 0,03 | 0,40 | 4,08 | |||
Rapporto indebitamento | 10,77 | 9,67 | 22,09 | |||
CAPITALE SOCIALE | € | 478.555,32 | € | 66.050,00 | € | 1.362.473,17 |
Utili | € | 637,42 | € | 1.375,00 | € | 22.423,50 |
Tabella 3-13: principali dati relativi ai consorzi aderenti ad una rete oggetto.
Tabella riassuntiva CONSORZI rete oggetto dati 2017 | ||||||
MEDIA | MEDIANA | DEVIAZIONE STD | ||||
ETA' | 15 | 13 | 11 | |||
Dipendenti | 26 | 5 | 85 | |||
ATTIVO | € | 14.509.384,00 | € | 2.003.166,00 | € | 45.293.143,44 |
RICAVI | € | 7.531.067,84 | € | 1.167.052,00 | € | 16.327.544,83 |
ROA | 5,02 | 1,11 | 46,97 | |||
Rapporto indebitamento | 51,51 | 10,03 | 220,98 | |||
CAPITALE SOCIALE | € | 937.093,24 | € | 40.200,00 | € | 5.282.229,98 |
Utili | -€ | 24.550,83 | € | 2.160,00 | € | 732.530,77 |
Tabella 3-12: Principali dati relativi ai consorzi aderenti ad una rete soggetto.
in Tabella 13, ma i Ricavi medi sono maggiori di circa 2,3 milioni di euro. Stranamente il ROA di Tabella 9 è molto basso, vicino allo 0, andando a guardare nello specifico i 26 consorzi, la maggior parte ha ROA vicini allo 0 e in 3 casi è inferiore al 5%, bisogna dire comunque che lo scopo di un consorzio è disciplinare il rapporto tra consorziati e non quello di creare valore per i portatori di interesse, almeno per i consorzi, quindi, il ROA potrebbe non essere la variabile
quantitativa più indicata da studiare. Le altre variabili mostrano una dimensione maggiore per i consorzi aderenti ad una rete oggetto.
MACROARE RETE OGGETTO CONSORZI 2017
ISOLE;
14
SUD; 21
NORDEST;
30
CENTRO; 28
NORDOVEST;
25
NORDEST CENTRO NORDOVEST SUD ISOLE
Figura 3-19: Macroarea dei consorzi aderenti ad una rete oggetto al 2017.
In Figura 19, la localizzazione dei consorzi aderenti ad una rete oggetto. Non c’è una vera predominanza di una area piuttosto che un’altra: Nordest e Centro quasi si dividono la metà dei consorzi con rete contrattuale ma solo le Isole scendono sotto i 20 consorzi, indicando una sostanziale neutralità della localizzazione nella scelta tra le due modalità di rete.
Rappresentazione del modello Logit e Probit
3.6. Analisi dei dati
Per effettuare le analisi del dataset, è stata utilizzata la tecnica di regressione di tipo logistico. Questo tipo di regressione fa parte delle regressioni non lineari, dove la variabile dipendente è di tipo dicotomico. In questo caso, la variabile dipendente è “TipodiRete”: le società presenti nel dataset hanno scelto di aderire ad una rete di tipo oggetto, quindi basata esclusivamente su un contratto tra le parti, o soggetto, dove il contratto vincola le parti in maniera più stringente perché viene a crearsi un soggetto terzo, un soggetto giuridico. Per poter effettuare la regressione logistica, è stata assegnata alla variabile dipendente “TipodiRete” il valore 0, per indicare che la società ha aderito ad una rete oggetto, e il valore 1, quando ha aderito ad una rete soggetto. Il modello Logit permette di calcolare quando aumenta, o diminuisce, la probabilità di entrare a far parte di una rete soggetto, dove la variabile dipendente ha valore 1, al mutare delle variabili indipendenti, scelte al momento della creazione del dataset. Poiché la variabile dipendente può assumere solo valori compresi tra 0 e 1, se si volesse usare un modello di regressione lineare, si troverebbe come risultato sia valori compresi tra 0 e 1, ma anche valori inferiori a 0 o superiori ad 1, cosa che non ha alcun senso quando si parla di probabilità.
Il modello non risponde in maniera precisa, indicando di quanto aumenta la probabilità di scegliere una rete soggetto se, ad esempio, il capitale sociale è più o meno alto, ma il coefficiente che la regressione restituisce per ogni singola variabile permette solo di esprimere una valutazione qualitativa. In teoria il coefficiente potrebbe essere valutato come una percentuale pari a X che la variabile dipendente assuma valore pari ad 1, se X>0, o assuma valore pari a 0, se X<0. Un esempio può chiarire bene l’interpretazione dei coefficienti stimati dal modello: se risulta che il coefficiente per il capitale sociale, di una SRL agricola, aumenti al passaggio da una rete oggetto, quindi valore delle variabile dipendente pari a 0, ad una rete soggetto, variabile dipendente pari ad 1, allora il modello restituirà un coefficiente positivo, e
verificando la significatività dello stesso tramite il P-value, si potrà dire se effettivamente ad un aumento di capitale sociale in una SRL agricola corrisponderà una maggiore probabilità di aderire ad una rete soggetto.
3.7. I limiti dell’analisi
Ci sono però alcuni limiti dovuti alla modalità con cui sono stati raccolti i dati nel dataset: il primo problema deriva dalla scelta stessa delle imprese da inserire. Alla base dell’inferenza statistica, procedimento che permette di studiare le caratteristiche di una popolazione, c’è la selezione di un campione che sia rappresentativo della popolazione stessa ma al tempo stesso casuale, quindi non influenzato dalle scelte di chi effettua le analisi. L’inferenza statistica mira quindi alla verifica di un’ipotesi relativa alle caratteristiche di una popolazione, in questo caso l’ipotesi da verificare riguarda l’influenza delle caratteristiche aziendali nella scelta di aderire ad una rete soggetto o oggetto. Se si ipotizza che effettivamente ci sia un’influenza significativa nella scelta allora è necessario valutare la probabilità di ottenere questi risultati nell’intera popolazione. Già da qui si può intuire il problema: il campione, che dovrebbe essere estratto casualmente dall’intera popolazione, cioè tutte le società di capitali, imprese obbligate a pubblicare annualmente i propri bilanci, non è un campione casuale. Le imprese presenti nel dataset hanno già effettuato una scelta che le divide dalle altre imprese simili, hanno già scelto di aderire ad una rete, possiedono delle caratteristiche particolari. Il nome di questo problema è Self-selection, le imprese si sono auto selezionate, ciò deve essere tenuto a mente nella valutazione dei risultati, in quanto questi non potrebbero essere estesi in maniera universale a tutte le imprese obbligate a pubblicare i propri bilanci. Si deve comunque ricordare che è praticamente impossibile eliminare del tutto il problema dell’effetto selezione, anche qualora si effettuasse un sondaggio in merito ad una generica questione si avrebbe questo problema, perché di base il campione si dividerà sempre tra chi è disposto a rispondere alle domande dell’intervistatore, e chi, pur avendo una risposta, un’opinione in merito alla questione, decide di sottrarsi all’intervista, rendendo in tal modo non completamente imparziali i risultati. In generale è tipico di ogni analisi empirica avere delle limitazioni in questo senso, e l’unica soluzione sarebbe effettuare un censimento, cosa che diventa dispendiosa in termini di tempo e risorse.
Il secondo problema che merita un’attenzione particolare sta alla base della struttura del dataset. Una variabile inserita, si potrebbe dire, per necessità di cronaca, è l’anno in cui l’impresa ha deciso di aderire alla rete. L’ipotesi di base della regressione è aderire a l’una o
l’altra forma di rete, ma è diverso aver aderito, si ipotizzi, ad una rete soggetto nel 2009 e averlo fatto nel 2015, o nel 2017 o nel 2010 (il periodo temporale preso in considerazione è il più lungo possibile concesso dal database Aida, 9 anni dal 2008 al 2017). In questo senso la domanda non è solo a quale rete si ha aderito, ma quando è stato deciso di aderire. Da questa semplice constatazione sorgono spontaneamente altre domande: perché si è deciso di aderire ad una rete oggetto o soggetto, proprio ora? Xxxx ha spinto a scegliere tra le due reti? Inserendo la variabile temporale, la regressione acquista uno spessore che a prima vista sembrava non avere. Tenendo in considerazione quando l’impresa ha aderito ad una rete, è impensabile prendere in considerazione i valori delle variabili indipendenti gli anni successivi all’adesione, il valore dell’attivo di bilancio nell’anno 2014 non può avere alcuna influenza nella scelta di aderire ad una rete soggetto avvenuta due anni prima nel 2012, semmai potrebbe essere interessante vedere l’evoluzione dell’attivo di bilancio tra imprese simili, ma che hanno scelto nel 2012 di partecipare a tipologie diverse di rete, valutando poi l’impatto di tali scelte. Nell’impostazione del modello, per tenere in considerazione questo aspetto del dataset, si è deciso di rendere dipendenti le variabili indipendenti rispetto all’anno in cui le imprese hanno aderito ad una rete. Nell’esempio relativo all’attivo di bilancio, il valore di questa variabile non sarà una media di tutti i valori disponibili, dal 2008 al 2017, ma sarà quello che aveva nell’anno T – 1 rispetto alla variabile AnnoRete. Impostando così il modello, si può effettivamente confrontare l’influenza delle variabili indipendenti nella scelta.
3.8. Struttura del modello
Il software utilizzato per la generazione del modello è Stata 2013, un software che permette di effettuare analisi statistiche. Per prima cosa sono state generate delle nuove variabili indipendenti che permettessero di tenere in considerazione il valore che queste avevano nell’anno precedente all’adesione alla rete. Queste variabili sono:
- UTILE
- RIND, rapporto indebitamento
- CAP, capitale sociale
- ROA
- RIC, i ricavi
- ATT, attivo di bilancio
- DIP, numero di dipendenti
È stato utilizzato non solo il modello Logit, ma anche il modello Probit. Il modello Probit si distingue dal modello Logit per xxx xxxxx xxxxxxxx xxxxxxxxxx cui viene calcolata la probabilità condizionata, questo modello usa la funzione di ripartizione normale standardizzata, invece di quella logistica. I valori di probabilità, quindi la variabile dipendente, sono espressi come Z- scores.
Le variabili indipendenti sono raggruppate all’interno della xlist,, così chiamato da Stata, nella prima riga troviamo le variabili riguardanti le caratteristiche aziendali, condizionate all’anno di adesione alla rete, e ANNOCOST che indica quando l’impresa è stata fondata, indirettamente la sua età. La variabile dicotomica CLASSE_dimens assume valore 1 quando l’impresa è classificata come grande impresa, e valore 0 quando è medio-piccola.
Nella seconda riga si trovano le variabili indipendenti geografiche, viene escluso il CENTRO. Il software stesso eliminerebbe una macroarea per evitare problemi di collinearità, quindi è stato deciso di escluderne una con cognizione di causa. Il centro infatti è la macroarea che presenta il maggior numero di reti soggetto tra tutte le aree, ed è interessante capire se effettivamente sia significativa tale differenza.
Nella terza riga abbiamo tutti i settori ad esclusione di quello agricolo: ciò che interessa confrontare è il comportamento di tutti i settori rispetto a quello agricolo. Che succede se ci si sposta dal settore agricoltura a questo o quel settore?
3.9. Il primo modello
I risultati di questa prima versione del modello sono presentati nella tabella 3-14. Sono riportate entrambe le analisi, Probit e Logit, in un’unica tabella, così da poter meglio confrontare i risultati ottenuti. Non ci sono differenze sostanziali tra i due modelli, e questo era auspicabile, per l’interpretazione possono quindi venire usati entrambi.
Tabella 3-14: Primo xxxxxxx00.
Tiporete | Probit | Logit | Probit | Logit | |
UTILE | 5.25e-09 | 9.42e-09 | NORDOVEST | -0.367*** | -0.632*** |
(0.87) | (0.84) | (-10.10) | (-10.18) | ||
RIND | -0.000000 | -0.000000 | ATTIVFIN | 0.191*** | 0.341*** |
(-1.10) | (-1.01) | (3.01) | (3.07) | ||
CAP | 9.54e-10 | 1.58e-09 | ISTRUZIONE | -0.137 | -0.218 |
(0.85) | (0.79) | (-0.45) | (-0.39) | ||
ROA | -0.000000 | -0.00000 | TRASPORTI | 0.0812 | 0.147 |
(-1.27) | (-1.32) | (1.12) | (1.14) | ||
RIC | -3.90e-10 | -7.79e-10 | ENERGIA | 0.176 | 0.334 |
(-0.73) | (-0.76) | (0.95) | (1.06) | ||
ATT | -3.02e-10 | -4.80e-10 | COSTRUZIONI | 0.205*** | 0.358*** |
(-0.66) | (-0.57) | (3.73) | (3.71) | ||
DIP | 0.0000791 | 0.000153 | RICERCA | -0.169* | -0.319* |
(1.32) | (1.45) | (-1.87) | (-1.90) | ||
ANNCOST | 0.00333*** | 0.00608*** | COMMERCIO | 0.491*** | 0.844*** |
(3.45) | (3.55) | (9.59) | (9.56) | ||
CLASSE_dimens | -0.180*** | -0.332*** | ALTROSETT | 0.564 | 0.988 |
(-2.95) | (-2.96) | (0.74) | (0.80) | ||
ISOLE | -0.483*** | -0.836*** | INDUSTRIA | -0.0983** | -0.183** |
(-7.36) | (-7.18) | (-1.98) | (-2.04) | ||
NORDEST | -0.481*** | -0.840*** | SERVIZI | 0.260*** | 0.462*** |
(-13.08) | (-13.12) | (5.61) | (5.67) | ||
SUD | -0.395*** | -0.683*** | _cons | -7.268*** | -13.16*** |
(-10.46) | (-10.53) | (-3.78) | (-3.85) |
11 Numero di osservazioni per entrambe le funzioni 11929 t statistics in parentheses
* p<0.10, ** p<0.05, *** p<0.01 Pseudo R2 Probit = 0.0475 Pseudo R2 Logit = 0.0483
Nella Tabella 14 sono riportati i risultati relativi al primo modello impostato per le analisi. Le variabili significative per il modello Probit sono significative anche per il modello Logit, a variare sono solo i coefficienti, e nell’interpretazione solitamente si prendono in considerazione quelle con la significatività più alta.
Le variabili inserite nella prima parte del modello, quelle cioè che si riferiscono alle caratteristiche reperibili dal bilancio, risultano tutte non significative. Bisogna considerare che in questo modello la popolazione è la più ampia possibile, non è stato selezionato alcun settore specifico, quindi data la diversità della popolazione e la grandissima differenza che intercorre tra le varie società, il modello non è in grado di trovare alcuna relazione tra la scelta di entrare in rete oggetto o soggetto e le variabili di bilancio.
La non significatività, comunque, è di per sé una risposta in quanto permette di dire che tali variabili di bilancio, se non clusterizzate trovando un elemento comune e riferibile ad un gruppo specifico, non influenzano la variabile dipendente “Tiporete”. La prima variabile che presenta significatività è ANNCOST, ed è molto significativa. Il coefficiente è positivo, per cui la crescita di tale variabile, aumenta la probabilità di scegliere una rete di tipo soggetto. Essere un’azienda giovane sembra avere un impatto positivo nella scelta di aderire ad una rete più complessa, che crea un soggetto autonomo. Nel lavoro di ricerca “Entrepreneurial risk taking: Empirical evidence from UK family firms” (Xxxx, Poutziouris, 2010), la propensione dell’imprenditore ad assumere rischi di impresa più elevati viene ricondotta, tra le altre cose, all’età dell’imprenditore o del manager. In questo caso è possibile che un’azienda più giovane abbia anche un management più giovane, disposto a correre rischi più elevati creando un soggetto terzo per migliorare le performance aziendali.
Molto interessante è il risultato ottenuto dalla variabile CLASSE_dimens. Questa variabile divide le società presenti nel dataset in due gruppi, Grandi imprese e Medio-piccole imprese. Un aumento della dimensione d’impresa porta ad una riduzione nella probabilità di aderire ad una rete soggetto, a maggior prova di quanto evidenziato dalla variabile ANNOCOST. Un’impresa dimensionalmente più piccola probabilmente aderirà ad una rete complessa, e visto che l’impresa dovrebbe crescere anno su anno, viene da pensare che effettivamente imprese più giovani e più propense al rischio preferiscano una rete più organizzata e complessa, rendendo anche una piccola impresa capace di competere in mercati che richiederebbero maggiori dimensioni.
Nella seconda parte del modello, invece, la sezione riguardante la macroarea di appartenenza delle società del dataset, si è creata una situazione diametralmente opposta: tutte le variabili indipendenti dicotomiche di posizione sono significative. Il modello è stato impostato in
maniera tale da escludere la variabile CENTRO, in quanto, come spiegato, in quest’area si concentrano il maggior numero di reti soggetto. Grazie ai risultati dell’analisi, si vede come questa differenza rispetto alle altre macroaree sia molto significativa. Lo spostarsi dal Centro ad ogni altra macroarea comporta una riduzione della propensione a scegliere una rete soggetto in tutte le macroaree. Se si osservano i risultati ottenuti dal modello Logit, il segno dei coefficienti stimati non cambia, cambia il valore assoluto, l’interpretazione rimane la stessa: passando dal centro a tutte le altre macroaree la probabilità di aderire ad una rete soggetto scende. Per capire se sia dovuto al vantaggio del first mover, è stato controllato il numero di reti soggetto per macroarea partendo dal 2010. Ciò che si nota in realtà non è un CENTRO costantemente capolista, questa macroarea ottiene il primato rispetto a tutte le altre tra il 2016 e il 2017 dove più che raddoppia la presenza di reti soggetto all’interno dei suoi territori, e nel 2018 aumenta ancora il distacco rispetto a tutte le altre macroaree. Evidentemente quest’area ha trovato nella forma più completa di collaborazione tramite rete un utilissimo strumento per migliorare la propria competitività, ma solo negli ultimi tre anni.
Analizzando infine la parte settoriale del modello, i settori il cui confronto con il settore agricolo risultano significativi sono 5. Le attività finanziarie hanno un segno positivo, quindi mostrano una più alta probabilità di formare reti soggetto rispetto all’agricoltura, così come costruzioni e servizi. Anche il settore del commercio ha influenza positiva. Se si passa invece dal settore agricolo a quello industriale o al settore della ricerca, la probabilità diminuisce.
3.10. Il secondo modello
Il secondo modello vuole essere più preciso, mettendo in risalto il settore agricolo-forestale in quanto tema centrale di questo lavoro di tesi. La struttura di tale modello riprende totalmente quella del precedente, ma è più specifico infatti punta l’attenzione sull’agricoltura, settore cardine di questo elaborato. Le variabili indipendenti, già condizionate rispetto all’anno in cui le società hanno deciso di aderire ad una rete, vengono ulteriormente condizionate dalla variabile settoriale, rendendo in grado di impostare il modello solo per il settore agricolo. I risultati ottenuti saranno specifici e non diluiti dalla compresenza degli altri settori. Potrebbero presentarsi per tanto delle differenze rispetto al modello allargato, e sarà possibile trarre delle conseguenze più appropriate per interpretare i casi studio. Il tipo di analisi eseguita è la stessa del modello precedente, Probit e Logit.
Nella Tabella 15 sono riportati i risultati ottenuti tramite le analisi. Sono evidenti alcune differenze rispetto al modello non condizionato dal settore agricoltura: mentre prima nessuna
variabile di bilancio risultava significativa nella scelta di adesione o meno alla rete soggetto, qui invece due variabili sono significative: il capitale sociale e il ROA. Per quanto riguarda il capitale sociale, questo può influire in maniera positiva, ad un capitale sociale più alto ci si può attendere una maggiore propensione ad entrare in una rete soggetto piuttosto che oggetto, probabilmente potrebbe essere legato al fatto che in questo settore la già scarsa presenza di società di capitali implichi che solo le società a maggior capitalizzazione abbiano un management sufficientemente preparato ed interessato a creare un nuovo soggetto. In generale però, scrive Azzini Zagni, società di avvocati e commercialisti, in un articolo pubblicato nel loro sito12, che il settore agricolo predilige la rete di tipo contratto, in quanto permette totale autonomia senza modificare la soggettività tributaria dei contraenti. Il ROA invece, misurando la capacità dell’impresa di creare valore dai suoi asset, risulta spingere verso una rete oggetto nel caso in cui crescesse. Il valore medio di questo indice per il settore agricolo si attesta al 2%, quindi sarebbe sensato per l’azienda il cui ROA risultasse più alto della media, pensarci bene prima di entrare in una rete vincolante come quella soggetto, assieme ad altre realtà su cui il controllo è limitato.
Inoltre, interessante notare che ora le variabili “anno di costituzione” e “classe dimensionale” non sono significative.
Come per il modello precedente, la parte relativa alla determinazione geografica delle società presenti nel dataset conferma anche per il settore agricolo quanto riportato prima: quando ci si sposta dal centro a qualsiasi altra macroarea, si nota una riduzione significativa della propensione a partecipare ad una rete soggetto. L’ultima parte dell’analisi relativa alle variabili settoriali mostrano con evidenza che in agricoltura si predilige la forma più snella di rete, la rete contrattuale.
12 xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxx-xxxx-xxxxxxxxxxx/ consultato in data 22/01/2020
Tabella 3-15: Secondo modello, settore agricoltura13.
Tiporete | ProbitAGR | LogitAGR | ProbitAGR | LogitAGR | |
UTILEAGR | 8.09e-08 | 0.000000149 | NORDOVEST | -0.386*** | -0.667*** |
(0.93) | (1.01) | (-10.67) | (-10.76) | ||
RINDAGR | -0.000000 | -0.000000 | ATTIVFIN | 0.424*** | 0.777*** |
(-1.10) | (-1.06) | (5.73) | (5.81) | ||
CAPAGR | 6.91e-08* | 0.000000127* | ISTRUZIONE | 0.0880 | 0.197 |
(1.92) | (1.96) | (0.29) | (0.35) | ||
ROAAGR | -0.00234* | -0.00413* | TRASPORTI | 0.305*** | 0.568*** |
(-1.91) | (-1.78) | (3.72) | (3.82) | ||
RICAGR | 1.32e-10 | 8.76e-10 | ENERGIA | 0.407** | 0.766** |
(0.05) | (0.19) | (2.17) | (2.36) | ||
ATTAGR | -4.79e-09 | -1.13e-08 | COSTRUZIONI | 0.421*** | 0.766*** |
(-0.72) | (-0.92) | (6.30) | (6.27) | ||
DIPAGR | -0.000683 | -0.000967 | RICERCA | 0.0650 | 0.120 |
(-0.49) | (-0.42) | (0.66) | (0.65) | ||
ANNOCOSTAGR | 0.000230*** | 0.000424*** | COMMERCIO | 0.715*** | 1.267*** |
(5.55) | (5.72) | (11.24) | (10.96) | ||
CLASSE_dimensAGR | -0.000 | -0.000 | ALTROSETT | 0.865 | 1.548 |
(-0.81) | (-0.74) | (1.14) | (1.26) | ||
ISOLE | -0.493*** | -0.858*** | INDUSTRIA | 0.0851 | 0.165 |
(-7.50) | (-7.37) | (1.36) | (1.41) | ||
NORDEST | -0.502*** | -0.880*** | SERVIZI | 0.491*** | 0.897*** |
(-13.71) | (-13.79) | (8.21) | (8.11) | ||
SUD | -0.387*** | -0.668*** | _cons | -0.841*** | -1.434*** |
(-10.21) | (-10.27) | (-14.65) | (-13.52) |
13 Numero di osservazioni 11929 per entrambe le regressioni t statistics in parentheses
* p<0.10, ** p<0.05, *** p<0.01 Pseudo R2 Probit = 0.0486 Pseudo R2 Logit = 0.0496
3.11. Conclusioni dell’analisi
Da queste analisi possono trarsi degli ottimi spunti per interpretare almeno in parte le decisioni in merito all’adesione ad una rete. Le differenze tra rete oggetto e rete soggetto ci sono, le due tipologie comportano degli oneri ben diversi e questo si riflette chiaramente nella prevalenza della categoria contrattuale della rete, più snella, più veloce, più limitata, una sorta di banco di prova. Le analisi dimostrano che sono comunque molte le caratteristiche che spingono un’impresa ad aderire a una rete più complessa: innanzitutto la posizione. La macroarea è indubbiamente una delle variabili più significative di entrambi i modelli, e il CENTRO sembra esattamente il luogo adatto a sviluppare una rete soggetto. A ulteriore conferma di ciò, il “Caso studio 2” che, per via della richiesta di sovvenzioni da parte della regione Umbria, si è concretizzato nella realizzazione di una rete soggetto. Mentre se ci spostiamo al Nordest, il modello indica che la probabilità di aderire ad una rete soggetto diminuisce, e il “Caso studio 1” ne è la prova, dove è stata realizzata una rete contrattuale per creare un punto di contatto tra le imprese facenti capo a un unico imprenditore.
Tra le possibili ragioni che spiegano la preferenza di reti soggetto nel CENTRO ci sono le politiche regionali di incentivazione alla collaborazione in rete. Queste regioni, infatti, sono state e sono tuttora molto attive nello sviluppo della cooperazione tra imprese tramite rete. Recentemente14, proprio nel Lazio, la Camera di Commercio ha stanziato 100.000 € per le reti di impresa che siano soggetto giuridico. Mentre in Veneto, la Regione ha stanziato dei fondi Europei tramite il bando POR FESR 2014/2020 per contribuire a fondo perduto alle spese sostenute dalle imprese che avviano o consolidano una rete di imprese o club di prodotto15, e alla base deve esserci un contratto di rete. In questo caso non viene specificato che la rete sia solo una rete contrattuale, ma viene data libertà alle imprese di gestire come meglio credono il rapporto tra di loro, in tal modo si rafforza quanto emerso dalle analisi: spostandosi dal centro al nordest la probabilità di aderire ad una rete soggetto diminuisce.
Le variabili di bilancio invece risultano poco significative: nessuna variabile influenza la scelta tra le due reti se si mettono insieme tutti i settori. Difficilmente la scelta di altre voci di bilancio, o indici, avrebbe dato risultati molto differenti, ma ciò che emerge è comunque interessante. Nessuna significatività indica che le motivazioni alla base di una rete sono altre, probabilmente di tipo qualitativo più che quantitativo. Una rete risponde ad un bisogno ormai
14 xxxx://xxx.xxxx.xx/xxxxxx_xxxxxxxx_xxxxxx/xxxxxxx/xxxxxx_xxxxxxxx/xxxxxxx/xxxxx/0000/00/00/xxxxxx-xxxxxxxxx- bando-reti-impresa_0947e7ad-48b9-466c-91dd-791728b5734a.html sito consultato in data 13 febbraio 2020.
15 forma di aggregazione tra imprese finalizzata alla creazione di un prodotto turistico specifico destinato ad un mercato specifico. Esempio: Valtellina Green Road.
diffuso e necessario: fare gruppo. La dinamicità delle imprese che scelgono di collaborare, che non è affatto scontato in una realtà imprenditoriale italiana imperniata sulla figura dell’imprenditore illuminato, capo di tutto, permea tutte le imprese presenti nel dataset, in quanto come già menzionato, sono imprese che hanno già deciso. Già deciso di intraprendere un percorso nuovo, aperto alla condivisione delle informazioni, delle ricerche, della clientela, il tutto nell’ottica di gruppo, dell’“insieme si vince”.
Il secondo modello però permette di passare ad un ingrandimento della situazione, il singolo settore agricolo-forestale. Aumentando la precisione, il capitale sociale e il ROA mostrano una leggera significatività, l’aumento del capitale sociale spingerebbe verso una rete di tipo soggetto, mentre il ROA influirebbe in maniera opposta, spingendo verso una rete oggetto nel caso di un suo aumento.
Il settore in cui si fa rete è importante. Far parte, ad esempio, del settore commerciale piuttosto che agricolo, spinge ad una maggiore propensione verso la rete soggetto, ed in generale quasi tutti gli altri settori influiscono in maniera similare, a maggior prova di quanto detto dallo studio Azzini Zagni.
Alla luce di tali risultati, sarà interessante, presentando i casi studio, osservare se il modello sia in grado di spiegare le decisioni delle imprese in merito alla scelta tra le due tipologie. Nei due casi studio, saranno tre le imprese di cui osservare le caratteristiche quantitative e qualitative, confrontandole con il modello per saggiarne le capacità esplicative.
Capitolo 4 Il contratto di rete nel contesto agricolo- forestale: i casi di studio
4.1. La connessione all’azienda agricola multifunzionale
Le caratteristiche del contratto di rete delineate nel capitolo 2, ed in particolare l’attenzione all’innovazione, presentata direttamente nella norma che lo disciplina, si prestano ad identificare nel contratto di rete lo strumento principe per le esigenze della nuova agricoltura multifunzionale.
Un’azienda agricola si considera multifunzionale “quando non si limita alle attività di coltivazione del fondo, selvicoltura e allevamento di animali, svolgendo almeno un’altra attività fra quelle considerate connesse dal Codice civile e soprattutto indirizzate a offrire prodotti e servizi al cittadino-consumatore. Si tratta di attività che ampliano la “funzione” dell’azienda, valorizzandone le diverse risorse (edifici, prodotti, manodopera, natura, paesaggio, cultura ecc.)” (Boschetti et al., 2019).
L’azienda agricola multifunzionale si inserisce perfettamente nel tema dello sviluppo delle aree rurali, dove con rurale si intende “tutto ciò che non è città e che si attua negli spazi verdi un tempo dominati economicamente dall’agricoltura” (Secco, Pisani, 2016), e volendo andare più a fondo possiamo classificare come rurale tutto ciò che include la sfera sociale e il territorio. All’interno di questo luogo, le funzioni svolte dall’azienda agricola non si limitano solo ad una mera funzione economica, che nel contesto di agricoltura multifunzionale deve puntare alla diversificazione nella produzione, ma devono considerare come possibili attività rurali anche attività che normalmente non sono associate al concetto classico di agricoltura. Ciò significa associare alle attività prettamente agricole, come la coltivazione di orticole, o colture a pieno campo o allevamento di animali, attività connesse quali alloggio agrituristico, ristorazione, vendita prodotti, settimane verdi in fattoria. In tal senso vengono stimolate ed esaltate le funzioni sociale, ambientale e paesaggistica che sono proprie di questo nuovo concetto di azienda agricola.
Le imprese agricole in Italia secondo i dati ISTAT del 2014 presentano delle dimensioni medio piccole ed una elevata frammentazione fondiaria. Le aziende iscritte nel Registro delle imprese che si occupano di coltivazioni agricole e allevamento animale risultano 766.25616,
16 Registro Imprese 2014
l’88% delle imprese aveva forma individuale, le società di persone e di capitali erano il 10%, mentre il 2% era iscritto con altre forme giuridiche. Il totale delle imprese agricole però è più del doppio e ammonta a 1,5 milioni di imprese17 che occupano una superficie pari a 12.5 milioni di ettari, in calo rispetto all’ultimo censimento sull’agricoltura del 2010. Il 60,4% delle aziende si trova nell’Italia del Sud e nelle Isole, ciò nonostante le aziende agricole situate nell’Italia settentrionale risultano essere maggiormente all’avanguardia.
Aspetto del settore primario che meriterebbe maggiore attenzione in ottica multifunzionale è la silvicoltura e le attività ad essa connesse. La superficie forestale complessiva ammonta a quasi 11 milioni di ettari, ossia al 34% della superficie nazionale totale.18 L’estensione di questa superficie è in costante aumento, dal 2005 al 2015 è aumentata del 6.2%.
A fronte di un così consistente patrimonio boschivo l’industria italiana è costretta ad importare l’80% delle materie prime dall’estero in quanto le risorse verdi italiane non sono sufficientemente valorizzate. Le motivazioni alla base del mancato utilizzo sono di natura strutturale, prima tra tutte l’ubicazione di questi boschi, zone montane o collinari particolarmente impervie, che rende difficoltoso l’accesso a prezzi competitivi a tali risorse. In secondo luogo, le proprietà boschive sono spesso, circa il 60% del totale, in mano a “proprietari assenti o disinteressati; una elevatissima frammentazione fondiaria, la superficie media delle proprietà boschive private è pari a 8 ettari; la maggior parte delle imprese di utilizzazione boschiva ha dimensioni familiari (3-5 addetti); una scarsa innovazione tecnologica ed altro ancora. A causa da un lato del limitato contributo che la produzione legnosa fornisce all’economia nazionale, e dall’altro al mancato riconoscimento del valore e dell’importanza dei servizi ecosistemici che dalle foreste derivano, al settore forestale è riconosciuto un ruolo del tutto marginale nell’ambito del settore primario. Tuttavia, non vanno sottovalutate le potenzialità di applicazione del contratto di rete anche ad imprese forestali.” (Secco, Pisani, 2016).
Il contratto di rete come spiegato da Xxxxx Xxxxx può risultare molto utile in questo contesto agricolo forestale, permettendo a questi proprietari assenti e disinteressati di unire le forze creando delle sinergie che promuovano crescita economica, sociale basata su relazioni tra gli attori coinvolti, dentro e fuori la rete.
17 ISTAT 2013. Indagine sulla struttura e produzioni delle aziende agricole, Roma.
18 Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di Carbonio, 2015
4.2. Le Biomasse Legnose
Per lo studio delle differenze tra le due tipologie di rete, rete soggetto e rete contrattuale, sono stati analizzati due casi studio che hanno la forma di interviste. Entrambi i soggetti intervistati sono accomunati da due aspetti principali: hanno scelto di aderire o formare una rete di imprese e appartengono entrambi al settore primario e in special modo al settore agricolo- forestale.
A tal proposito, prima di presentare in maniera esaustiva i già più volte citati casi studio, è opportuno descrivere brevemente il settore di appartenenza delle imprese coinvolte nelle interviste, cercando di mostrare in maniera sufficientemente completa le caratteristiche principali del settore agricolo forestale e delle biomasse legnose in particolare.
Come presentato nell’introduzione al capitolo 4, l’Italia è un paese ricchissimo dal punto di vista forestale che però non vengono adeguatamente sfruttate. Una gestione efficacie di questo patrimonio abbinata all’uso di nuove tecnologie, quali impianti di cogenerazione che sfruttano la biomassa legnosa per la produzione di energia, termica ed elettrica, permetterebbe la creazione di una nuova filiera, sintetizzabile in Bosco-Legno-Energia.
Il termine biomasse legnose è molto ampio e comprende tutti quei sottoprodotti della lavorazione del legno. Sono infatti biomasse legnose la legna da ardere, gli scarti delle lavorazioni industriali di legno. All’elenco devono anche essere aggiunti le potature di colture agricole stabili come oliveti, frutteti e vigneti.
La grande varietà che caratterizza la biomassa legnosa non consente comunque all’Italia di creare un’offerta interna adeguata alla sua domanda. Le scelte politiche attuate dai governi italiani susseguitisi dagli anni 50 ad oggi, non hanno permesso uno sfruttamento razionale del bosco e delle foreste, anzi, privilegiando altri settori economici si è segnato il destino delle aree boschive. Questa mancanza di visione rispetto al settore forestale, da una parte ha indebolito fortemente l’offerta interna, dall’altra invece non ha diminuito la domanda di legna da ardere. Nel 201319 l’Italia è divenuta primo importatore mondiale di legna da ardere e terzo importatore di residui e scarti legnosi, a fronte di una superficie boschiva che è cresciuta costantemente. Si consideri che all’inizio degli anni 50 la superficie nazionale di bosco ammontava a 5 milioni di ettari, nel 2010 la FAO stimò che in Italia ammontava a quasi 11 milioni di ettari20. Sviluppo industriale e massiccio esodo dalle aree montane hanno permesso al bosco di svilupparsi autonomamente ed espandersi senza controllo umano. L’atteggiamento della società nel suo complesso in merito a questa crescita incontrollata è solitamente positivo, tuttavia come
19 FAO
20 Forest Resource Assestment (FRA, 2010) della FAO la superficie forestale nazionale è pari a 10.916.000 ha.
sostiene Xxxxx Xxxxx Xxxxxx, ricercatore per l’Osservatorio Foreste del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, “Boschi che, da un lato, si espandono e che, dall’altro, non vengono più gestiti e utilizzati come in passato a causa della carenza di politiche di promozione e della sempre più forte competitività del mercato globale del legno. Questo processo impone una riconsiderazione complessiva delle politiche forestali che non possono più essere orientate alla sola tutela e alla salvaguardia del bosco, ma devono iniziare a considerare la gestione attiva e sostenibile dei boschi, all’interno del quadro più ampio dell’auspicata transizione alla green economy, anche come opportunità produttiva e di sviluppo socioeconomico dei territori rurali. Un’attenta e corretta gestione attiva della risorsa forestale, che nasca da un investimento politico, culturale e sociale costituirebbe per il nostro paese un’opportunità per il mantenimento e la creazione di attività imprenditoriali di sviluppo socioeconomico delle aree interne e del sistema paese, favorendo allo stesso tempo benefici ambientali diffusi, costante presidio, manutenzione e messa in sicurezza del territorio,
aspetto quest’ultimo di notevole importanza vista la fragilità della superficie nazionale nel rispondere a eventi climatici estremi sempre più frequenti.”
Figura 4-1 rifugio Revolto in Alta val d’Illasi prima della ricostruzione della Foresta Regionale di Giazza (fine ‘800). Fonte: Regione Veneto
Figura 4-2 Rifugio Revolto nel 2015 in Alta val d’Illasi circondato da boschi stabili e produttivi. Fonte: Veneto Agricoltura
La Figura 1 mostra come era il paesaggio che attorniava il rifugio Revolto in Alta val d’Illasi a fine ‘800. Situata tra le province di Vicenza e Verona, la foresta che si vede in Figura 2 è una foresta artificiale il cui scopo era di impedire i gravissimi fenomeni di dissesto idrogeologico che si verificavano a fine ‘800. Nell’ottica di una gestione attiva e consapevole del territorio, la piantumazione di foreste permette il risanamento naturale di aree a forte rischio per le comunità che vi vivono.
A tal proposito diventa interessante menzionare il maltempo abbattutosi sul Triveneto fra 26 e 30 ottobre 2018 a causa del sempre più evidente cambiamento climatico. La tempesta denominata “Vaia’’ si è abbattuta con venti fra i 100 e i 200 km\h causando danni ancora oggi visibili alle foreste monocolturali e artificiali di abeti rossi che popolavano queste zone.
«Popolamenti puri, monostratificati e densi», spiega Xxxxx Xxxxx del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali dell’Università di Torino, «sono più facilmente schiantati rispetto a popolamenti misti e pluristratificati» (Motta, 2018).
È della stessa opinione anche Xxxxxxxx Xxxxxxx, professore di Inventari Forestali e Telerilevamento all’Università di Firenze, che aveva coordinato il gruppo di lavoro di 47 esperti incaricato di stimare i danni a partire dalle immagini satellitari, e che lo scorso marzo a Linkiesta aveva spiegato che “la monocoltura crea problemi, mentre i boschi misti, non solo per composizione delle specie ma anche per struttura ed età come sono quelli che crescono naturalmente, di fronte alle raffiche di vento interrompono l’effetto domino delle piante che cadono l’una sull’altra” (Il Post, 2019).
Xxxxx Xxxxxxxxx, professore di Ecologia forestale e silvicoltura all’Università della Basilicata, ha spiegato che quando la velocità del vento supera certe soglie, nessun albero sta in piedi, aggiungendo che però certe zone coltivate artificialmente con un solo tipo di albero sono più esposte a subire danni. “Gran parte degli alberi caduti a ottobre si trovavano infatti in boschi artificiali di abete rosso, che risultano particolarmente vulnerabili, e che sono venuti giù come in un effetto domino”, ha detto Xxxxxxxxx. “Al contrario, sono caduti pochissimi larici, che hanno un apparato radicale profondo con un ancoraggio molto tenace, mente l’abete rosso ha un apparato radicale superficiale” (Il Post, 2019).
Questo sarà un aspetto da tenere in considerazione non solo per il ripopolamento dei boschi distrutti dalla tempesta ma anche nella gestione delle risorse boschive. Lo sfruttamento delle stesse a scopo di biomassa permetterebbe da un lato alla foresta di crescere in maniera naturale evitando la pericolosa monocoltura e dall’altro di controllare le risorse boschive che rappresenterebbero anche una risposta all’evidente domanda interna creando mercato a livello