LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE CIVILE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Oggetto
XXXXXXXX XXXXXX Presidente
XXXXXX XXXXXXX Consigliere PASQUALINA A.P. XXXXXXXX Consigliere Rel. XXXXXXXX XXXXXXXX Consigliere XXXXXXX XXXXX XXXXXXXX Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
CONTRATTO DI COMODATO GRATUITO DI TERRENO – ACCORDO CHE DISSIMULA CONTRATTO DI AFFITTO DI FONDO RUSTICO – PROVA PER TESTI DELLA SIMULAZIONE
Ud. 19/01/2023 CC
Cron.
Firmato Da: XXXXXX XXXXXXXX XXXXXXX XXXXXXX Xxxxxx Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: 45a4e94db57abcdd6818049c85e804bf
Firmato Da: CARTA VALERIA Emesso Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: 65fd4ec551e9b95df738271ab7400350
R.G.N. 16895/2020
sul ricorso iscritto al n. 16895/2020 R.G. proposto da:
(omissis) (omissis)
rappresentato e difeso, giusta delega in calce al
ricorso, dall'avv. Xxxxxxx Xxxxxxx, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via Xxxxxxx Xxxxxxxx, n. 106
- ricorrente -
contro
sis)
(omis (omissis)
appresentato e difeso, giusta delega in calce al
controricorso, dall'avv. Xxxxxx Xxxxxx e dall'avv. Xxxxxxxxx Xxxxxx, elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxxxx Xxxxxx, in Roma, via Tavernerio, n. 14
- controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d'Appello di Cagliari Sezione Distaccata di Sassari – Sezione Specializzata Agraria - n. 565/2019, pubblicata in data 23 dicembre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19 gennaio 2023 dal Consigliere dott.ssa Xxxxxxxxxx A. P. Xxxxxxxx
Fatti di causa
1. (omissis) (omissis) icorre, con sei motivi, nei confronti di
(omissis)
(omissis)
er la cassazione della sentenza n. 565/2019 pronunciata
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dalla Corte d'appello di Cagliari - Sezione Specializzata Agraria, con la quale, in totale riforma della sentenza di primo grado, è stata respinta la domanda di rilascio del fondo, dallo stesso proposta, ed è stata accertata la sussistenza di un contratto di affitto agrario concluso tra le parti in data 25 marzo 2006, con scadenza al 10 novembre 2011.
Riferisce il ricorrente che: con scrittura privata del 25 marzo 2006
aveva concesso in comodato gratuito a
(omissis)
(omissis) un
appezzamento di terreno e che, alla scadenza, non avendo il (omissis) benché sollecitato, restituito il fondo, lo aveva convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Xxxxxx Xxxxxxxx al fine di ottenere il rilascio del terreno; il giudice di primo grado, a seguito di dichiarata competenza della Sezione specializzata agraria su eccezione in tal senso sollevata dal convenuto, aveva ritenuto fondata la domanda di parte attrice, escludendo che potesse essere provata per testi - come
richiesto dal
(omissis)
l'esistenza di un accordo dissimulato avente ad
oggetto la corresponsione di una controprestazione a fronte
dell'utilizzazione del fondo, e aveva condannato il (omissis) al rilascio.
2. I giudici d'appello, in sintesi, dopo avere rilevato che la controversia soggiaceva al rito speciale del lavoro e che, ai fini della
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prova della simulazione, l'art. 421 cod. proc. civ. consentiva al giudice di ammettere ogni mezzo di prova al di fuori dello specifico limite di cui all'art. 1417 cod. civ., hanno osservato che, erroneamente, il Tribunale aveva disatteso le istanze istruttorie formulate volte a dimostrare la simulazione del contratto sottoscritto in data 25 marzo 2006, nonché l'effettiva natura dell'accordo, ed hanno ritenuto che i documenti prodotti e le testimonianze raccolte in grado di appello consentissero di affermare la sussistenza di un rapporto di affitto agrario tra le parti. Xxxxx, quindi, affermato:
‹‹essendo il
(omissis) un imprenditore agricolo (come risulta dagli atti)
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ed essendo stato il contratto stipulato nella forma scritta, prevista dalla legge per la validità dei contratti agrari, deve ritenersi provata l'esistenza di un contratto agrario, non essendo infatti verosimile che i fondi fossero stati rimessi dal comodante nella detenzione del (omissis) perché egli se ne servisse, gratuitamente, custodendolo e traendone frutti senza alcun versamento del canone››; concludendo che il rapporto contrattuale intercorso tra le parti non fosse da considerarsi precario, ma riconducibile all'ipotesi di affitto agrario sorto nel 2006 e proseguito ininterrottamente per quindici anni, con scadenza per legge nell'annata agraria 2021.
3. (omissis) (omissis)resiste con controricorso.
4. La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi
dell'art. 380-biI.1. cod. proc civ.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-biI.1. cod. proc.
civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, deducendo la ‹‹violazione o falsa
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applicazione degli artt. 1350 e 1417 cod. civ., 23 e 41 legge 3 maggio
1982, n. 203, 409 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.››, il ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui la Corte d'appello ha ritenuto che potesse essere dimostrata a mezzo prova orale la simulazione del contratto sottoscritto in data 25 marzo 2006 e l'effettiva esistenza tra le parti di un contratto di affitto agrario.
Evidenzia, al riguardo, che: ricadono sotto la disciplina del rito del lavoro ex art. 409 cod. proc. civ. soltanto i rapporti di affitto a
coltivatore diretto e che né il (omissis) ha provato di esserlo, né la Corte
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d'appello gli ha attribuito tale qualificazione; la Corte non ha tenuto conto della distinzione fra affitto a coltivatore diretto e affitto a conduttore non coltivatore diretto ed ha omesso di considerare che, a tenore dell'art. 3 della legge n. 606/1966 — disposizione che non può ritenersi derogata dall'art. 421 cod. proc. civ. — tale ultimo contratto
‹‹deve essere provato per iscritto››. Sottolinea pure che l'art. 23 della legge n. 203/82 chiarisce espressamente che al contratto di affitto a conduttore non coltivatore diretto ‹‹si applicano le norme previste negli artt. 3, 5, 15, 16, 17, 18, 20, 21, 42, 43 e 45››, con la conseguenza che non può trovare ad esso applicazione l'art. 41, norma di natura eccezionale diretta a riconoscere validità all'affitto agrario ultranovennale stipulato verbalmente solo e soltanto se concernente un coltivatore diretto. Il citato art. 41, comportando una radicale deroga al principio generale di cui agli artt. 1350, nn. 8 e 9, e 2643 nn. 8 e 10 cod. civ., si atteggia come norma eccezionale, che, in quanto non richiamata dall'art. 23, non può trovare applicazione ai contratti di affitto a conduttore non coltivatore. Di conseguenza, secondo la prospettazione del ricorrente, ‹‹i contratti d'affitto di fondo rustico a conduttore non coltivatore diretto, se infrannovennali, richiedono la forma scritta ad probationem tantum, come previsto
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dall'art. 3, comma 1, legge n. 606/1966, e se quindicennali richiedono la forma scritta ad XxxXxxxxxxx, ricadendo integralmente sotto il regime dell'art. 1350 cod. civ., con l'ineludibile corollario che la prova della simulazione non può essere fornita verbalmente››. A ciò aggiunge che è la stessa Corte d'appello a precisare che il contratto è stato ‹‹stipulato nella forma scritta, prevista dalla legge per la validità dei contratti agrari››, con ciò riconoscendo che si trattava di contratto d'affitto di imprenditore non coltivatore diretto, e che la necessità della forma scritta deve riguardare tutti gli elementi essenziali del contratto, e, quindi, anche la controprestazione.
2. Con il secondo motivo, censurando la sentenza impugnata per
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‹‹violazione o falsa applicazione degli artt. 421, secondo comma, cod. proc. civ., nonché 1414 e 1417 cod. civ. in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.››, il ricorrente contesta l'affermazione della Corte d'appello secondo la quale ai fini della prova della simulazione il giudice potesse ammettere ogni mezzo di prova anche al di fuori dei limiti di cui all'art. 1417 cod. civ.
Assume che il contratto dissimulato può avere effetto, ai sensi del secondo comma dell'art. 1414 cod. civ., soltanto ‹‹se sussistono i requisiti di sostanza e di forma››, che, nel caso di specie, invece difettano, e che l'art. 421 cod. proc. civ., sebbene consenta il superamento dei generali limiti probatori imposti dal codice civile, non permette di superare quelli diversi ed ulteriori imposti dalle specifiche previsioni che fissano per determinati negozi la forma scritta ad IubItantiam o ad probationem.
3. Con il terzo motivo, denunciando la ‹‹violazione o falsa applicazione degli artt. 2722 e 2725 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.››, il ricorrente sostiene che la prova per testimoni ammessa dai giudici di appello si traduce in una evidente disapplicazione delle norme evocate, non essendovi spazio
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per prove testimoniali rivolte a contrastare le risultanze documentali.
4. Con il quarto motivo si deduce la ‹‹violazione o falsa applicazione degli artt. 1571 cod. civ. e legge 12 giugno 1962, n. 567, nonché degli artt. 8 - 15, e 24 della legge 3 maggio 1982, n. 203, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.››.
Premettendo che il contratto di affitto è sempre connotato dalla pattuizione di un canone in via corrispettiva, il ricorrente evidenzia che nella scrittura privata del 25 marzo 2006 si fa espresso
riferimento al comodato gratuito e che il
(omissis)
nel costituirsi in
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primo grado e anche in appello, non aveva indicato quale corrispettivo era stato pattuito; lamenta che la sentenza impugnata abbia totalmente ignorato tale questione, in tal modo violando le disposizioni che configurano il contratto di affitto quale contratto a prestazioni corrispettive.
5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce la ‹‹nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.››, evidenziando che la misura del canone, mai
precisata dal
(omissis)
on poteva essere indicata da uno dei testi, con
la conseguenza che la sentenza impugnata, nel porre a fondamento
della decisione circostanze riferite da un testimone
(omissis)
(omissis)
sorella del controricorrente), aveva violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
6. Con il sesto motivo, deducendo la ‹‹violazione o falsa applicazione dell'art. 27 della legge 3 maggio 1982, n. 203 e degli artt. 1803 e 1812 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.››, il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata ha ricondotto il comodato gratuito intercorso tra le parti al contratto d'affitto, pur non avendo in alcun modo accertato in capo al (omissis) lo ItatuI di coltivatore diretto, avendo anzi inteso escludere, laddove a pag. 6 della motivazione discorre di ‹‹imprenditore agricolo›› e di
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‹‹contratto stipulato nella forma scritta, prevista dalla legge per la validità dei contratti agrari››, che ci si trovasse in presenza di un coltivatore diretto.
7. Il primo, il secondo ed il terzo motivo, che possono essere congiuntamente esaminati perché strettamente connessi, sono inammissibili.
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7.1. Occorre, in primo luogo, rilevare che, a fronte della dedotta inammissibilità della prova testimoniale assunta in secondo grado per contrasto con le disposizioni normative evocate nella rubrica dei mezzi in esame, fatta valere dal ricorrente, l'odierno controricorrente ha eccepito – a pag. 11 del controricorso – che tale eccezione è stata proposta per la prima volta, in modo del tutto irrituale, in sede di
legittimità e che lo stesso (omissis) non ha affermato né di avere in
precedenza contestato l'inammissibilità della prova, né tanto meno la
nullità di quella acquisita.
I mezzi in esame impongono, dunque, di stabilire se, nell'ipotesi in cui, come nella specie, il giudice di primo grado abbia ritenuto inammissibili le prove testimoniali ai sensi dell'art. 1417 cod. civ. e la statuizione, come avvenuto nel caso in esame, sia stata oggetto di specifica censura da parte del deducente la prova ed il giudice d'appello abbia ammesso la prova, occorra che la parte appellata, che, resistendo al gravame, abbia insistito per la conferma della statuizione, eccepisca la nullità dell'ammissione ai sensi del secondo comma dell'art. 157 cod. proc. civ., nella prima difesa successiva, oppure ciò non sia necessario, perché la parte appellata, resistendo all'appello sul punto, ha già dedotto in prevenzione la nullità.
La questione prospettata deve essere risolta nei termini che di seguito si espongono.
Costituisce indirizzo fermo di questa Corte (cfr. Xxxx., sez. 6-2, 17/07/2014, n. 16377; Cass., sez. 2, 21/05/2007, n. 11771; Cass.,
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sez. U, 09/08/2000, n. 551), quello secondo cui le limitazioni poste all'ammissibilità della prova testimoniale non attengono a ragioni di ordine pubblico, ma sono dettate a tutela di interessi di natura privatistica; pertanto, la loro violazione non solo non può essere rilevata d'ufficio dal giudice, ma neppure è rilevabile dalle parti ove non sia stata dedotta in sede di ammissione della prova, ovvero nella prima istanza o difesa successiva. Pertanto, ove la prova testimoniale sia stata ammessa nonostante l'eccezione d'inammissibilità della parte controinteressata, quest'ultima ha l'onere di eccepire, ai sensi dell'art. 157, secondo xxxxx, cod. proc. civ., subito dopo il compimento dell'atto, la nullità della prova ciò non di meno assunta.
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Tali principi valgono anche in caso di violazione dell'art. 1417 cod. civ., che, al pari della violazione delle disposizioni di cui agli art. 2721 e ss. cod. civ., dà luogo ad una nullità relativa, soggetta al regime di cui all'art. 157, secondo comma, cod. proc. civ. (Cass., sez. 3, 08/06/2017, n. 14274). E allo stesso modo, l'inammissibilità della prova testimoniale di un contratto che deve essere provato per iscritto, ai sensi dell'art. 2725 cod. civ., attenendo alla tutela processuale di interessi privati, non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima dell'ammissione del mezzo istruttorio; qualora, nonostante l'eccezione di inammissibilità, la prova sia stata ugualmente assunta, è onere della parte interessata opporne la nullità secondo le modalità dettate dall'art. 157, comma 2, cod. proc. civ., rimanendo altrimenti la stessa ritualmente acquisita, senza che detta nullità possa più essere fatta valere in sede di impugnazione (Cass., sez. U, 05/08/2020, n. 16723).
Si è, altresì, spiegato che l'eccezione di inammissibilità non va confusa con l'altra, quella di nullità, né ad essa può sovrapporsi, perché diversi sono gli interessi che vi sottostanno. La prima
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eccezione, infatti, opera ex ante per impedire un atto invalido; la seconda agisce, invece, ex poIt per evitare che gli effetti di esso si consolidino (Xxxx., sez. 2, 19/09/2013, n. 21443). E ciò anche perché detti interessi possono essere apprezzati in modo differente dalla medesima parte, la quale, valutata la prova, può ritenerne vantaggioso l'esito, che per il principio acquisitivo giova o nuoce indipendentemente da chi abbia dedotto il mezzo istruttorio (Cass., sez. 6-2, 23/05/2013, n. 12784, non massimata).
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Quanto detto comporta che, una volta ammesse dal giudice di appello le prove dichiarate inammissibili in primo grado, il carattere devolutivo del giudizio esige che l'atteggiamento di contestazione dell'ammissibilità, espresso con la richiesta di rigetto dell'appello sul punto, debba essere reiterato dopo l'assunzione della prova, perché l'ammissione dà origine ad una nuova situazione processuale della quale la parte interessata deve dolersi.
Applicando siffatti principi al caso in esame, si ha che, contro l'ordinanza ammissiva delle prove, l'odierno ricorrente avrebbe avuto l'onere di eccepire la nullità e inoltre di confermare l'eccezione a seguito dell'assunzione della prova ed all'atto della precisazione delle conclusioni in sede di udienza di discussione secondo il rito del lavoro. Poiché il ricorrente non riferisce di avere formulato siffatta eccezione, né risulta dalla sentenza che ciò sia stato fatto in sede di
conclusioni, con le quali il
(omissis)
si è genericamente opposto
all'ammissione delle prove perché ‹‹illegali, generiche e comunque ininfluenti ai fini della decisione della causa››, è evidente che l'eccezione d'inammissibilità della prova testimoniale non può essere introdotta per la prima volta in questa sede.
Ne segue che, poiché il giudizio era soggetto al rito del lavoro, essendosi svolto dinanzi al giudice specializzato agrario, correttamente il giudice d'appello ha evocato l'art. 421 cod. proc. civ.
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7.2. Il ricorrente ha pure dedotto con i mezzi in esame che, nel caso in esame, si discute di un contratto di affitto a coltivatore non diretto, che doveva essere stipulato per iscritto, e che, essendo stato accertato che il contratto aveva durata quindicennale, la forma avrebbe dovuto essere scritta ad IubItantiam.
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Nel prospettare tale tesi difensiva, anche per l'assoluta genericità dell'esposizione del fatto, il ricorrente non indica se e dove tale qualificazione del contratto sarebbe stata dedotta nel giudizio di merito e neppure dove sarebbe stata accertata in sentenza. Infatti, anche se si sostiene – a pag. 5 del ricorso – che essa emergerebbe dall'inciso ‹‹stipulato nella forma scritta, prevista dalla legge per la validità dei contratti agrari››, che si legge a pag. 6 della decisione impugnata, l'assunto è privo di fondamento sia perché l'espressione che si rinviene nella motivazione della sentenza non allude in alcun modo alla qualificazione del contratto, sia perché la Corte territoriale, nell'individuare la durata dell'affitto, ha fatto riferimento alla disciplina stabilita per il contratto di affitto a coltivatore diretto.
Poiché, dunque, la censura per come illustrata risulta carente e non evidenzia da quali elementi di fatto esposti emergerebbe la qualificazione del contratto come di affitto a coltivatore non diretto, la doglianza, anche sotto tale profilo, deve essere disattesa.
In ogni caso, anche a prescindere da tale assorbente rilievo, la tesi prospettata dal ricorrente non è condivisibile.
Invero, il già citato art. 41 della legge n. 203/82 non risulta inserito nell'elenco di cui all'art. 23 delle norme della legge n. 203 del 1982 applicabili in presenza di un affitto a conduttore non coltivatore diretto.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, deve escludersi che l'art. 41 della legge 3 maggio 1982, n. 203, nel disporre che ‹‹i contratti agrari ultranovennali, compresi quelli in corso, anche se
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verbali e non trascritti, sono validi ed hanno effetto anche riguardo ai terzi››, abbia abrogato – indiscriminatamente – tutte le disposizioni normative anteriori che, per particolari contratti agrari, richiedevano una particolare forma ad IubItantiam o ad probationem (Cass., sez. 3, 12/06/1997, n. 10651; Cass., sez. 3, 27/10/1992, n. 11689).
Il che implica, dovendo l'art. 3, comma 1, della legge n. 606 del 1966, che stabilisce che il contratto di affitto di fondi rustici a conduttore non coltivatore diretto ‹‹deve essere provato per iscritto››, essere coordinato con la previsione dell'art. 22 della legge
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n. 203 del 1982, circa la durata del contratto di affitto a coltivatore non diretto in quindici anni, che la prima norma (art. 3 legge n. 606/1966) sul requisito formale sia rimasta lex IpecialiI rispetto alla previsione dell'art. 1350, n. 8, cod. civ. e che debba ritenersi prevista, anche per la stipula dei contratti ultranovennali, solo la forma scritta ad probationem.
Il principio di diritto che viene in rilievo è il seguente:‹‹in tema di contratto di affitto di fondo rustico a conduttore non coltivatore diretto, la disposizione dell'art. 3, comma 1, della l. n. 606 del 1996, là dove stabiliva il requisito della forma scritta ad probationem per tale contratto, deve considerarsi norma che, stabilendo una lex IpecialiI circa la forma del contratto, prevale sulla disposizione del codice civile di cui all'art. 1350 n. 8 anche a seguito dell'entrata in vigore della norma dell'art. 22 della legge n. 203 del 1982, che ebbe a stabilire per detta tipologia di contratto agrario una durata di quindici anni››.
8. Anche il quarto motivo non si sottrae alla declaratoria di inammissibilità per violazione dell'art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., in quanto la censura si fonda sul contenuto dell'atto di costituzione del convenuto in primo grado e sul successivo atto di
appello del
(omissis)
i cui si omette la localizzazione in questo giudizio
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di legittimità (Cass., sez. 1, 01/03/2022, n. 6769). Né, come ammette Cass., sez. U, n. 22726 del 2011, parte ricorrente dichiara, agli effetti dell'art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., di voler far riferimento alla loro presenza nel fascicolo d'ufficio del quale ha richiesto la trasmissione.
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9. Neppure è ravvisabile la violazione dedotta con il quinto motivo, in quanto il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell'azione (petitum e cauIa petendi) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato) (Cass., sez. 1, 11/04/2018, n. 9002; Cass., sez. 2, 21/03/2019, n. 8048).
Poiché, dunque, il vizio di mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all'art. 112 cod. proc. civ., riguarda soltanto l'ambito oggettivo della pronunzia e non anche le ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione (Cass., sez. 2, 21/04/1976,
n. 1397), non ricorre la violazione di tale disposizione allorché si lamenti che il giudice del merito, chiamato a decidere se il rapporto intercorso tra le parti fosse inquadrabile nel contratto di comodato gratuito o piuttosto in quello di affitto di fondo rustico, non abbia fatto buon uso dei suoi poteri discrezionali di apprezzamento delle prove.
10. Il sesto motivo è inammissibile.
Il ricorrente afferma che ‹‹la sentenza impugnata, per contro, ha attuato la conversione del comodato gratuito intercorso tra le parti in contratto d'affitto pur non avendo in alcun modo accertato (e neppure
attestato) in capo al (omissis) lo ItatuI di coltivatore diretto››, ma non
evidenzia se e quando nel giudizio di merito si sia discusso del
problema della qualificazione dell'affitto nell'alternativa fra affitto a
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Numero registro generale 16895/2020 Numero sezionale 219/2023
Numero di raccolta generale 6312/2023 Data pubblicazione 02/03/2023
coltivatore diretto e affitto a coltivatore non diretto, né tanto meno spiega in che termini la questione fosse stata dedotta, dato che l'esposizione del fatto, sul punto, è assolutamente insufficiente.
In ogni caso la prospettazione svolta con tale motivo perde rilevanza se si considera che essa è stata fatta valere sempre nel presupposto – errato per le ragioni esposte al § 7.2. – che un contratto di affitto a coltivatore non diretto sarebbe soggetto a forma scritta ad IubItantiam quando fosse stipulato con durata ultranovennale.
11. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Firmato Da: XXXXXX XXXXXXXX XXXXXXX XXXXXXX Xxxxxx Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: 45a4e94db57abcdd6818049c85e804bf
Firmato Da: CARTA VALERIA Emesso Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: 65fd4ec551e9b95df738271ab7400350
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Non ricorrono i presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1,
comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, trattandosi di processo esente dal pagamento del contributo unificato (Xxxx., sez. U, 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile il 19 gennaio 2023
IL PRESIDENTE
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